giovedì 10 settembre 2020

IL COMMISSARIO ARCURI VOLEVA DARE 45 MILIONI A UN'AZIENDA CON UN SOLO DIPENDENTE

IL COMMISSARIO ARCURI VOLEVA DARE 45 MILIONI A UN'AZIENDA CON UN SOLO DIPENDENTE 

Giacomo Amadori
Alessandro Rico

La Verità
SA DEFENZA 

Domenico Arcuri (Ansa)

Il proprietario e unico impiegato della Nexus a marzo è entrato in cassa integrazione. Ora è irreperibile, come il fratello elettricista.

Piange miseria la Nexus made Srl, la ditta di Ostia cui il commissario straordinario, Domenico Arcuri, era pronto a versare 45 milioni di euro per 180.000 banchi. Nel suo bilancio, la società dichiara che nel 2020 subirà, causa Covid, «una sensibile contrazione del fatturato». Ciò l'ha costretta a «contenere il più possibile tutti i costi» e a fare «ricorso agli ammortizzatori sociali per i dipendenti», oltre ai «finanziamenti agevolati» previsti dal decreto Liquidità. D'altronde, l'azienda si occupa di organizzazione eventi. E così, a marzo, ha messo in cassa integrazione quello che, nel bilancio 2019, risultava essere il suo unico dipendente, nonché suo proprietario e socio principale (aveva corrisposto 3.900 dei 4.000 euro del capitale registrati nell'ultima visura): Fabio Aubry, nato a Roma nel 1964 e, fino al 2019, rappresentante legale della Nexus sistemi Srl di Pomezia, ora in liquidazione. L'uomo è stato anche deferito all'autorità giudiziaria, nel 2013, per insolvenza fraudolenta. Abbiamo provato a contattarlo telefonicamente e via sms per un chiarimento, ma Aubry non ha risposto. Suo fratello Franco (pure lui irreperibile), amministratore unico della Nexus made Srl (quella che doveva consegnare i banchi), è dipendente presso un'altra ditta, la Sater4show di Casal Lumbroso.

Sì, il Franco Aubry, che su Facebook dichiara di lavorare alla Sater come elettricista, è lo stesso Franco Aubry, nato a Marino nel 1973, amministratore di Nexus. Ce lo confermano due soci della Sater, Cristian e Luigi Santini. Quest'ultimo, che riferisce di essere «amico di Fabio Aubry da trent'anni», appare esterrefatto quando gli raccontiamo dell'appalto per 180.000 banchi e del contratto risolto dopo la nostra inchiesta: «Me coj…», commenta in romanesco. «Quarantacinque mijoni? Fabio se sarà sbajato, avrà letto 4,5…».

Non c'è che dire: sul tavolo della struttura commissariale di Arcuri era finita un'azienda dalle credenziali impeccabili. E pensare che il contratto per la fornitura di arredi scolastici, la Nexus l'aveva ottenuto: «Ah, hanno pure vinto il bando?», chiosa ironico Luigi Santini. Già: un'impresa che certifica di navigare in cattive acque per via del coronavirus, il cui socio principale e unico dipendente, denunciato nel 2013 per insolvenza fraudolenta, è entrato in cassa integrazione a marzo, avrebbe dovuto realizzare a tempo di record ben 180.000 banchi di scuola. Quelli che, a metà agosto, in diretta a In Onda su La 7, Arcuri assicurava sarebbero stati consegnati entro ieri.

Tra la Nexus e la Sater4show, che ha lavorato già con la Pa, persino ai G7 di Ischia e Taormina, nel 2017, esiste dunque un trait d'unione: Franco Aubry. Un centauro, per metà elettricista e per metà amministratore unico dell'impresa di Ostia. Il nome delle due ditte figura sulla cassetta delle lettere di un edificio di Ostia, in via Consalvo 2, sede legale della Nexus. Una palazzina gialla, accanto a un piccolo teatro. All'interno, però, siamo riusciti a scorgere solo un parcheggio e un'auto bianca in sosta. Il proprietario della vettura diceva di aver affittato il posto macchina, ma di non risiedere nello stabile. Alla fine, svelato l'arcano: dietro via Consalvo, in via Armuzzi 6, in un edificio liberty giallo e rosso, con qualche segno del tempo sui fregi del portone, c'è lo studio Proteo. È un commercialista: la segretaria dalla chioma fulva ci spiega che lì si appoggiano sia la Sater sia la Nexus, ma che non è autorizzata a dare i recapiti dei rappresentanti legali.

All'atto della fondazione della Nexus, nel dicembre 2015, si erano riuniti Franco Aubry e Roberta Aubry, romana, classe 1995, figlia di Fabio. Avevano costituito la Nexus made Srl con un capitale di 2.000 euro. Roberta ne aveva versati 1.900. Ma sebbene le fosse stato attribuito il 95% della quota di partecipazione al capitale sociale, al telefono ieri è caduta dalle nuvole. Come se, di quella stipula di cinque anni fa, non avesse mai saputo nulla.

Franco, invece, si era limitato a 100 euro. D'altronde, l'elettricista della Sater non vive esattamente in una reggia: è proprietario di un immobile di quattro vani, in via Solferino, a Frascati. Un edificio centrale, ma modesto, con le mura esterne visibilmente scrostate. Ma se lui guadagna meno di 2.000 euro lordi al mese, anche il fratello «capitalista», Fabio, non porta a casa cifre molto superiori. Costui risultava residente, con la madre defunta, in un caseggiato popolare di Ostia, a due passi dal viadotto Attico Tabacchi. Ma nell'abitazione abbiamo trovato due giovani, in tenuta da spiaggia, che ci hanno riferito di essere «appoggiati» lì: «Adesso Fabio sta all'Infernetto o a Casal Palocco». Un indizio per metterci sulle sue tracce ce l'ha fornito Santini: «L'ultima volta che ho lavorato con lui è stato qualche anno fa a un'Expo. Che io sappia, hanno una falegnameria in un capannone». Un tassello importante, per capire come la Nexus abbia potuto lasciarsi ingolosire dal bando per i banchi, considerato che nel suo oggetto sociale si parla di «diffusione, promozione, organizzazione e gestione di manifestazioni, eventi, fiere, congressi, spettacoli, mostre», o di «installazione, trasformazione, ampliamento e manutenzione […] di impianti […] di distribuzione e di utilizzazione dell'energia elettrica». Mica di opere di falegnameria. Eppure, per vincere la gara di Arcuri, bisognava dimostrare «forniture di prodotti analoghi effettuate negli ultimi tre anni».

Il famoso capannone è situato in via delle Pesche, a Pomezia, ed è indicato sulla visura come «sede secondaria» della Nexus made Srl. Quando siamo arrivati in zona, in piena campagna, al tramonto, era già troppo tardi: dentro la struttura, solo una macchina con targa rumena e un telefono che squillava a vuoto. Raffaele Romeo, tuta da lavoro e sigaro in mano, è lì vicino. È titolare della Metallurgica europea Srl. «Di chi è l'azienda qui a fianco? Di Fabio Aubry. Sono qui, credo, dal 2006. Fanno falegnameria, arredamenti per interni e anche palchi per eventi, roba grossa. All'epoca lavoravano tanto con i palchi per eventi, noleggiavano attrezzature. Hanno fatto allestimenti pure per gli internazionali di tennis. Hanno lavorato anche per il governo uzbeko». Gli spieghiamo che hanno appena perso un appalto da 45 milioni. «Non hanno la forza finanziaria per un impegno del genere. Sono usciti con le ossa rotte dai lavori con l'Uzbekistan. Io gli avevo detto di non mandare fuori il lavoro se prima non lo pagavano. Fabio mi ha risposto: “No, questi sono tranquilli, hanno promesso di pagarmi"». Ma che lavoro era? «Tre-quattro anni fa c'è stata una cosa mondiale di cui hanno parlato pure in televisione, loro hanno fatto questo grande palco, erano tanti soldi. Ma alla fine non li hanno pagati. E noi comuni mortali, se non ci pagano all'estero, non è che possiamo mandare un avvocato lì a difenderci».

La falegnameria di Aubry avrebbe lavorato anche per il colosso della nostra industria nautica, la Fincantieri. «Per loro facevano gli allestimenti delle navi da crociera. In quel periodo gli ho fatto io tutte le strutture in metallo, i teatrini per i ragazzini… […]. Fabio non lo vedo da un po', anche perché mi doveva dare dei soldi per un muletto, 4-5.000 euro, e si è dimenticato. Quando glieli ho chiesti, lui è caduto dalle nuvole: “Ah, perché, non avevo finito di pagartelo? Allora parlo con un commercialista". Questo un paio di mesi fa…».

Hanno mai fatto politica? «Che mi risulti no. Non ho mai capito in che area siano posizionati. Agganci politici diretti non credo che ne abbiano […]. L'unico collegamento che mi viene in mente è che in questo periodo ha qui a lavorare personale di Ora acciaio, ecco perché i banchi. Credo che sia una ditta che sta sulla Pontina. Fa arredamenti di un certo livello. Hanno una commessa di scrivanie per gli emirati arabi, roba da 10-15.000 euro l'una».

Arcuri stava facendo un affare: scegliere l'azienda dell'uomo con il debito da 5.000 euro per il muletto, che doveva fabbricargli 180.000 banchi per 45 milioni.


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