
Di fronte all’anarchia della fine del  diciannovesimo secolo, il legislatore ha inventato la "associazione  sovversiva" è ben noto anche oggi, l’uso criminale indiscriminato  dell’inchiesta dello stato francese, emettendo ordini di custodia  cautelare che durano un tempo indeterminato, a persone cui non sono  accusate di trasgressioni penali con accuse certe su episodi certi  coadiuvati di trasgressioni di legge certe, no, non di questo si tratta,  ma di accuse esercitate in modo blando generico e superficiale, accuse  di associazione sovversiva con fini di “impresa terroristica” senza  prove ne documentate ne provate. Con l’aggravante della negazione della  possibilità di autodifesa per i detenuti Patrioti Corsi falsamente e  ingiustamente detenuti dallo stato francese, in quanto trattasi di  accusa astratta falsa e insensata, La condanna a 30 anni di carcere,e la  reclusione da Jean Castela e Vincent Andriuzzi, l’assoluzione in  appello e la condanna successiva alla pena massima di Yvan Colonna  certifica l'affondamento del diritto e della giustizia dei tribunali  francesi in Corsica(1).
In quasi tutti i più recenti conflitti,  gli insorti hanno invocato il proprio diritto all’autodeterminazione per  giustificare la secessione di una parte del territorio nazionale. Di  autodeterminazione parlano poi alcuni gruppi terroristici dell’Europa  occidentale (l’ETA nei Paesi baschi e l’IRA nell’Irlanda del Nord), che,  pur non dando luogo a vere e proprie guerre civili, hanno determinato  situazioni di indubbia gravità. Infine, gruppi politici ben insediati  nei parlamenti di alcune democrazie occidentali inseriscono nei loro  programmi, secondo il vento che tira, un’ipotetica quanto futura  separazione di una parte del territorio dello Stato (quella che essi  rappresentano): la Lega nord in Italia, o al Partito catalano in Spagna,  ma anche ai gruppi per l’indipendenza di Sardegna, Corsica, Bretagna,  Scozia, Galles, Québec. Ma il diritto dei popoli all’autodeterminazione  fa a pugni con l’esigenza di tutelare l’integrità territoriale degli  Stati. Tutto questo porta ad un’inevitabile questione: a chi spetta e a  che condizioni può essere esercitato il diritto all’autodeterminazione?  Quand’è che un popolo può spezzare le frontiere che fino a quel momento  l’hanno racchiuso?
La Carta delle Nazioni Unite, senza troppe  specificazioni, fa riferimento al diritto all’autodeterminazione  nell’art. 1, par. 2 (che lo considera una condizione indispensabile per  lo sviluppo di relazioni amichevoli tra le nazioni) e all’art. 55 (dove  sono indicate le misure da prendere per garantirne l’esercizio). Stando  alla lettera delle disposizioni, comunque, gli Stati europei non avevano  alcun obbligo di evacuare le colonie per lasciarle al loro destino, ma  dovevano limitarsi a promuoverne lo sviluppo e il benessere, in vista di  una futura quanto ipotetica indipendenza. Inoltre, in virtù dell’art.  2, par. 7, che sancisce il divieto di ingerenza negli affari interni  degli Stati, i poteri dell’Organizzazione in materia erano alquanto  ridotti. Oggi la situazione è completamente diversa, grazie alla mutata  coscienza degli Europei e alle numerose dichiarazioni e risoluzioni che  sono state approvate in materia: la Dichiarazione dell’Assemblea  generale sulla decolonizzazione (2) (che sancisce il dovere positivo di  promuovere l’autodeterminazione e il dovere negativo di astenersi  dall’usare la forza per privarne i popoli); il Patto sui diritti civili e  politici e il Patto sui diritti economici, sociali e culturali del 1966  ("all peoples have the right to self-determination" (3) ); la  Dichiarazione 2160 del 1966 (4) (per la quale ogni azione coercitiva,  diretta o indiretta, volta a privare un popolo del suo diritto  all’autodeterminazione, costituisce una violazione della Carta delle  Nazioni Unite); la Dichiarazione sulle relazioni amichevoli (1970),  adottata per consensus (5) ("all peoples have the right freely to  determine, without external interference, their political status and to  pursue their economic, social and cultural development, and every State  has the duty to respect this right in accordance with the provision of  the Charter" (6) ), che qualifica l’uso della violenza per privare i  popoli della loro identità nazionale come una violazione dei loro  diritti inalienabili e del principio del non intervento; la  Dichiarazione sulla definizione di aggressione del 1974 (7) , che  riafferma il divieto di minaccia o uso della forza contro istanze di  autodeterminazione (8) . A ciò bisogna aggiungere le numerose  risoluzioni di condanna contro la politica colonialista di Portogallo,  Repubblica Sudafricana, Rodesia del Sud, Israele, che sono state  approvate all’unanimità "virtuale", cioè con il solo voto contrario di  coloro contro cui erano dirette.
Al colonialismo possiamo  affiancare l’apartheid (cioè quel regime che pratica su larga scala,  tramite una precisa legislazione, la discriminazione razziale), che oggi  viene considerato un crimine contro l’umanità (9) . Visto che la  stragrande maggioranza degli Stati si è conformata alla condanna  generale del colonialismo e del razzismo, si può ritenere attualmente  esistente una norma consuetudinaria che ha modificato le originarie  previsioni della Carta ed ha internazionalizzato questo tipo di lotta  per l’autodeterminazione.
Ma chi è legittimato ad accertare la  natura razzista e/o colonialista del governo contro cui combattono gli  insorti? Non è sufficiente che lo Stato interveniente dichiari  unilateralmente, per giustificare il proprio appoggio militare ai  ribelli, che il governo legittimo opera discriminazioni basate sulla  razza o attua una dominazione di tipo coloniale: è fin troppo facile  prevedere gli abusi di un simile potere discrezionale. La lotta dei  movimenti di liberazione nazionale deve perciò essere legittimata da un  atto delle Nazioni Unite, quale una risoluzione di condanna nei  confronti del regime, o una dichiarazione di sostegno agli insorti. Tra i  tanti esempi, si possono ricordare la risoluzione 390 del 1950  dell’Assemblea generale, che prevedeva l’autogoverno dell’Eritrea, i  pareri consultivi della Corte internazionale di giustizia che hanno  riconosciuto la legittimità della lotta della Namibia contro  l’occupazione sudafricana (1970) e quella del Fronte Polisario per  l’indipendenza del Sahara occidentale (1975), o ancora la risoluzione  3237 del 1974, che invitava permanentemente l’Organizzazione per la  Liberazione della Palestina a partecipare come osservatore ai lavori  dell’Assemblea generale. Questi atti si aggiungono alle numerose  risoluzioni di condanna nei confronti di Israele, Rodesia del Sud,  Repubblica Sudafricana e Portogallo, che hanno legittimato  indirettamente gli oppositori a questi governi.
Anche nel lontano  tempo del nazifascismo imperavano i “Tribunali Speciali” , malattia  comune e diffusa nell’Europa nazi-fascista, i quali si dilettavano alla  ricerca di criminali che nella loro concezione non potevano chiedere di  autodeterminarsi e perciò considerati di fatto oppositori allo stato  assolutista. In Italia il fascismo colpisce l’indipendentismo Sardo che  aveva contribuito in modo determinante alla liberazione alla sua  liberazione dall’occupazione Austriaca, con decine di migliaia di  martiri Sardi morti per una nazione che non ci appartiene, e che invece  di premiarci ci opprime; e così anche per i fratelli Corsi il regime di  Vichy riserba loro il carcere duro e sicure decapitazioni, il tutto  senza nemmeno aver uno straccio di prova contro i patrioti, cosa  dobbiamo pensare del regime attuale sia in Francia che in Italia, in  paragone dei fatti anzidetti?
RIVENDICARE IL DIRITTO ALLA SOVRANITA’ E FATTO INCONTESTABILE E  DOVUTO!L’insurrezione  contro un governo colonialista e/o razzistaIl diritto  dei popoli all’autodeterminazione comparve per la prima volta tra i  quattordici punti proclamati dal presidente americano Wilson alla fine  della Prima guerra mondiale (10) . Nella sua prima versione, fu  riconosciuto soltanto ai popoli (intesi come comunità caratterizzate  dall’appartenenza ad una stessa etnia, lingua, cultura) dell’Europa  dell’est e del Medio Oriente, che, dopo la caduta degli Imperi centrali e  di quello Ottomano, erano finalmente liberi di decidere del proprio  destino. Nacquero così Stati come la Cecoslovacchia e la Yugoslavia, ed è  significativo notare (per evidenziare l’elasticità del principio) che  proprio questi Paesi oggi non esistono più.
Ma non è tutto. L’art. 1,  par. 4 del primo Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del  1949, stipulato nel 1977, equipara ai conflitti internazionali, ai fini  dell’applicazione del diritto umanitario, le guerre in cui i popoli  lottano contro la dominazione coloniale, i regimi razzisti o  l’occupazione straniera (9) , distinguendoli perciò dalle guerre civili,  di cui si occupa il secondo Protocollo. Per essi, si prescinde  dall’elemento materiale del controllo effettivo di una parte del  territorio nazionale, per privilegiare il fine, ritenuto dagli Stati  presenti a Ginevra particolarmente meritevole.
Una precisazione  si rende però necessaria. Secondo un’opinione ricorrente, favorire e  riconoscere l’indipendenza del Kosovo potrebbe legittimare, in un  prossimo futuro, le pretese secessioniste di altre minoranze, come  quelle dei baschi, dei còrsi dei sardi o degli altoatesini di lingua  tedesca. Ci si chiede, perciò, perché la Serbia

 dovrebbe tollerare che un’autorità esterna le  imponga di amputare una parte rilevante del suo territorio, quando  Spagna, Francia e Italia, di fronte ad una simile pretesa, alzerebbero  gli scudi. L’opinione si basa sulla premessa: l’affinità della  situazione balcanica con i movimenti indipendentisti occidentali.
La  necessità di liberazione per i popoli e le nazioni senza stato in  Europa è di fondamentale impellenza, l‘Europa e le Nazioni si devono  porre il problema per risolverlo velocemente, dando il giusto risvolto  ai bisogni dei popoli, 10) mostrando buona volontà liberando i  prigionieri “politici” che sono incarcerati nei vari Paesi a partire  dalla Francia e dalla Spagna 2)dare tutte le libertà civili necessarie e  liberalizzare e propugnare il diritto all'autodeterminazione delle  nazioni in Europa delle realtà senza stato, tutte, presenti nella  Comunità Europea.
Parità di diritti e dignità, parità di  rappresentanza e parità di sovranità di tutti i popoli e le nazioni  senza stato, in una libera Europa.
Libertà Per tutte le nazioni  senza stato  nel mondo

NOTE  BIBLIOGRAFICHE:
1)   http://www.uribombu.com/france_justice_exception716482.htm
2) Sul  principio di autodeterminazione, vi sono interessanti contributi  reperibili a questo indirizzo telematico.
3) Declaration on  granting Indipendence to Colonial Countries and Peoples, in Yearbook of  the United Nations, 1960, p. 46.
4) Testo in American Journal of  International Law, 1967, p. 861 e 870.
Paragrafo 1, lett. b della  Declaration on the Strict Observance of the Prohibition of theThreat or  Use of Force in International Relations and the Right of Peoples to  Self Determination.
6) Cioè in assenza di voto palese.
7)  Testo in American Journal of International Law, 1971, p. 243 ss.
8)  Testo in Revue générale de droit international public, 1975, p. 261 ss.
Cfr.,  per un esame delle dichiarazioni richiamate, ISLAM, Use of Force in  Self-Determination Claims, in Indian Journal of International Law, 1985,  p. 424 ss.; VIRALLY, Droit international et décolonisation devant les  Nations-Unies, in Annuaire français de droit international, 1963, p. 508  ss.
10) Cfr. Revue générale de droit international public, 1978,  p. 330.
Sulla personalità internazionale degli Stati che  praticano l'apartheid, si veda CONFORTI, Diritto internazionale, Napoli,  1996, p. 18. Secondo l'Autore, nel caso della Rhodesia del Sud, contro  cui il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva approvato misure  di isolamento totale, si era formata una norma ad hoc, che ne escludeva  la personalità.
http://www.cahiers.org