domenica 18 ottobre 2009
REFERENDUM CONSULTIVO CONTRO NUCLEARE IN SARDEGNA
di difendere il proprio territorio, le proprie risorse, la propriaSNI ha preso solo atto di un bisogno espresso dal popolo sardo, quello di difendere il proprio territorio, le proprie risorse, la propria salute e quella delle generazioni future nonché riaffermare la sua esclusiva sovranità sulla Sardegna.
OPPOSIZIONE A QUALUNQUE COSTO, questo è il clima che si respira nella collettività sarda, è un respiro condiviso da tutti i sardi, senza distinzione di schieramento politico o ideologico, è la reazione della nazione sarda verso chi intende ulteriormente umiliarla e togliergli la sovranità sul proprio territorio.
Ci opporremo, non perché nuoce al turismo o ad altri settori produttivi ma perché toglie ai sardi il bene più prezioso che posseggono, il loro meraviglioso territorio.
E’ una questione di sovranità e di difesa della salute del futuro popolo sardo.
SNI, ritiene che nessuno, specialmente lo stato italiano e le istituzioni sarde ad esso funzionali, possa decidere sul Habitat del popolo sardo.
Esso infatti, per essi, è un bene indisponibile in quanto, scelte come quelle sul nucleare, incidono in modo fondamentale più sull’Habitat delle generazioni future che non su quello che dette istituzioni contingenti hanno la pretesa di rappresentare.
Per costringere i sardi ad accettare useranno il ricatto dell’occupazione, piloteranno la chiusura del settore industriale, porteranno il popolo sardo all’esasperazione, alla fame ed all’umiliazione.
L’opposizione di SNI sarà dura e decisa, siamo certi che non saremo da soli, sarà uno scontro tra la nostra civiltà e la barbarie altrui.”
Come siamo certi che tutti i sardi liberi voteranno SI ne referendum CONTRO la nuclearizzazione della Sardegna mediante l’imposizione di centrali nucleari o di siti per lo smaltimento di scorie radioattive.
Il pericolo che incombe sulla nostra patria sarda è estremamente grave, potrebbe in caso di incidente mettere in dubbio la sopravivenza stessa della nazione sarda, occorre dare una risposta dura e adeguata al pericolo.
Riteniamo assolutamente insufficienti le argomentazioni, contro il nucleare, avanzate dai partiti e dai sindacati italiani presenti in Sardegna, in quanto valide per qualunque altra regione dello stato italiano ed inefficaci nella concorrenza all’esclusione in quanto, al contrario della Sardegna, le altre regioni possono chiedere di essere escluse per sismicità.
Come assolutamente insufficiente è la tesi del presidente della giunta, il quale si illude che la Sardegna sia protetta dallo Statuto di Autonomia, dimenticando che lo stato italiano ne ha fatto carta straccia ogni volta che lo ha ritenuto opportuno per le magnifiche sorti della nazione italiana. (L’imposizione dei parchi eolici sul mare sardo insegna).
Non si ha il coraggio e la volontà di rivendicare la sovranità sul proprio territorio nazionale sardo.
Non si ha il coraggio di dire che il popolo sardo è un altro popolo, un popolo che, a differenza di quello italiano, anche se con rinunce e sacrifici, ha preferito un’economia dolce e compatibile con il territorio, invece che frenetica e di sfruttamento sfrenato dello stesso.
Non hanno il coraggio di dire che la nostra civiltà può soccombere sotto l’inciviltà di popoli dominatori che hanno già compromesso il loro territorio e vogliono adesso scaricare le scorie della loro inciviltà sui dominati.
Come non si ha, neanche il coraggio, di dire che la scelta, quasi certa, della Sardegna, come sito per centrali nucleari e come muntonarzu radioattivo, non sarà tollerata dal popolo sardo e potrà essere causa di destabilizzazione dell’ordine pubblico.
Settori del popolo sardo, insofferenti per la rapina delle nostre risorse, per le servitù militari, per la servitù di smaltimento delle scorie industriali, per il tracollo del modello di sviluppo che hanno dovuto subire e per il duro prezzo che ne stanno pagando in termini occupazionali e di avvelenamento del territorio e per altre discriminazioni tutte di marca italiana, potrebbero scegliere forme di protesta molto dure e non auspicabili perché potrebbero causare problemi di ordine pubblico.
Si tratta di un referendum consultivo promosso ai sensi dell’art. 1, lett. f) della Legge Regionale
n. 20 del 17 maggio 1957, successive modificazioni, per chiedere ai sardi di pronunciarsi sul seguente quesito “Sei contrario all’installazione in Sardegna di centrali nucleari e di siti per lo stoccaggio di scorie radioattive da esse residuate o preesistenti ?”
Sardigna Natzione Indipendentzia è convinta che solo i sardi possano difendere gli interessi ed il territorio del proprio popolo e considera lo strumento referendario uno dei modi più efficaci per farlo.
SNI nel 1995 aveva promosso due referendum, uno abrogativo ed uno consultivo:
Abrogativo: Volete voi che sia abrogata la Legge Regionale Sarda 19 giugno 2001, n. 8 (“ le disposizioni di cui al comma 19 non si applicano ai rifiuti di origine extraregionale da utilizzarsi esclusivamente quali materie prime nei processi produttivi degli impianti industriali ubicati in Sardegna e già operanti alla data di approvazione della presente legge, non finalizzati al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti”), per fermare lo smaltimento, in Sardegna, di scorie industriali.
Consultivo: “Siete contrari alla presenza in Sardegna di basi militari straniere, comunque istituite, atte ad offrire punti di approdo e di rifornimento anche a navi e sommergibili a propulsione nucleare o con armamento nucleare ?” contro la presenza dei sommergibili nucleari a La Maddalena.
Invitiamo tutti a firmare la richiesta di referendum e chiediamo che chi è abilitato si metta a disposizione per l’autenticazione delle firme ( Sindaci, Consiglieri comunali e provinciali, cancellieri, giudici di pace, notai, e funzionali delegati)
Castedhu 16/10/09 BUSTIANU CUMPOSTU
Coordinadore Natzionale
Fine della crisi. Forse, insomma, chissà...
Federico Zamboni
ilribelle.com
I banchieri continuano a ragionare solo da
banchieri: evitato il crac dicono che il peggio
è passato. Forse per loro. Non certo per noi
Dice Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve statunitense dal 2006 e riconfermato da Obama fino al 2014 per aver “allontanato l’economia da una depressione”: «Da un punto di vista tecnico, la recessione è molto probabilmente terminata». E aggiunge: «Ho visto un certo consenso tra i previsori riguardo il fatto che siamo in ripresa, ma il punto di vista prevalente tra loro è che il ritmo della crescita nel 2010 sarà moderato». Purtroppo, però, «si avvertirà un’economia molto debole per un certo tempo in quanto molte persone sentiranno ancora che la loro sicurezza lavorativa e il loro status occupazionale non sarà quello desiderato».
Incredibilmente, queste dichiarazioni di metà settembre sono state accolte come se fossero positive. Positive non soltanto per il sistema finanziario, che era destinato al tracollo e si è salvato grazie agli sterminati finanziamenti da parte dei governi, ma anche per l’economia nel suo complesso. La menzogna sottintesa è proprio questa: che quello che va bene per le banche vada bene, o prima o dopo, anche per il resto della società. Imprese, lavoratori, cittadini.
L’altro aspetto interessante, che i grandi media si sono ben guardati dall’evidenziare, è che le parole di Bernanke riescono a essere simultaneamente vaghe, ipocrite e capziose. Espressioni come “da un punto di vista tecnico”, “un certo consenso tra i previsori”, “si avvertirà un’economia molto debole” e “molte persone sentiranno ancora che la loro sicurezza lavorativa e il loro status occupazionale non sarà quello desiderato”, sono in parte impressioni spacciate per analisi e in parte eufemismi. Eufemismi rivoltanti, bisogna aggiungere. I milioni di uomini e donne che hanno perso il posto di lavoro e non riescono, e non riusciranno, a trovarne un altro non sono “persone che sentiranno ancora eccetera eccetera”. Sono individui che hanno perso la loro fonte di reddito e, insieme ad essa, l’architrave della loro identità sociale e del loro avvenire come singoli e come membri di una famiglia serena, già costituita o di là da venire.
Non stiamo aleggiando nel mondo delicato delle sensazioni. Annaspiamo, o sprofondiamo, nel mondo concreto e doloroso, per non dire tragico, della vita reale. Che va a rotoli. Che va a puttane.
Silence, please
La verità sarebbe semplicissima, solo che è un tabù: nessuno sa con certezza che cosa accadrà nei prossimi mesi e, a maggior ragione, nei prossimi anni. Troppe variabili. Troppe incognite. Troppe esigenze contrastanti che collidono tra loro in una tensione permanente che non si può eliminare e che, per questo e per le sue potenzialità distruttive, ricorda l’attrito delle faglie tettoniche. Che ci sono anche se non si vedono. Che si muovono, pericolosamente, all’insaputa dei più.
Quello che sta accadendo davvero, vedi anche quest’ultima farsa del G20 di Pittsburgh che spaccia come massimo allarme planetario la “minaccia” atomica iraniana, è che i potentati economici e politici occidentali stanno cercando di capire come riformulare l’equazione del loro dominio. Come farcela a restarsene tranquillamente al comando anche dopo aver dimostrato di non esserne degni e, quel che forse è ancora peggio, apprestandosi a trasformare le difficoltà sociali causate dalla crisi in un peggioramento permanente delle condizioni di vita.
Il dato di fatto da cui bisognerebbe partire è che i problemi strutturali dell’economia occidentale, e in particolare di quella statunitense, sono tutt’altro che superati. Essendo appunto strutturali, a cominciare dalla carenza di liquidità, sono impossibili da rimuovere. Hanno portato al crollo dei mercati e lasceranno dietro di sé guasti enormi, soprattutto per quanto riguarda l’occupazione. A meno che non si creino ulteriori bolle speculative – e vale la pena di ricordare che nella medesima conferenza stampa citata in apertura l’ineffabile Bernanke ha anche detto che il fenomeno dei derivati di Borsa «almeno nel medio termine non tornerà alle dimensioni che aveva in precedenza», dove l’espressione chiave è ovviamente “almeno nel medio termine” e prelude a un successivo recupero di questa pratica abietta e velenosa, non appena le acque si saranno calmate e la memoria del disastro si sarà attenuata quanto basta a far sì che la cosa venga accettata pacificamente – bisognerà abituarsi a vivere in una società in cui circola meno denaro. E in cui le conseguenze negative di questa diminuzione le sconta, manco a dirlo, la gente qualsiasi, non certo le oligarchie che detengono il potere finanziario.
Comunque vada a finire, la preesistente illusione di una crescita continua e illimitata – da una parte del Pil, dall’altra dei redditi e dei consumi della generalità della popolazione – dovrà essere abbandonata. Quello che gli esperti sanno benissimo è che c’è un vizio d’origine, una sorta di inganno a priori, che è stato utilizzato per decenni e decenni come leva propagandistica dell’attuale modello di produzione e consumo. Per tutto questo tempo l’Occidente ha vissuto ampiamente al di sopra dei suoi mezzi. Il problema, che ora è assai più difficile nascondere ma che per gli osservatori consapevoli non è certo una novità, è che questa “cattiva abitudine” è diventata insostenibile.
L’Occidente del nuovo millennio è come un’immensa azienda che ha perduto il privilegio del monopolio: prima poteva pagare i suoi dipendenti quanto voleva, scaricandone il costo sul prezzo finale dei suoi “prodotti”. Adesso che non gode più dell’assoluta supremazia tecnologica, economica e militare sul resto del mondo, è costretta a fare i conti con un numero crescente di Paesi che sono pronti e determinati a competere, e che sono in grado di farlo in condizioni vantaggiose. Sia sul piano produttivo, grazie a lavoratori che accettano retribuzioni e tutele normative di gran lunga inferiori, sia su quello politico, grazie a cittadini abituati a livelli di consumo e di libertà individuale incomparabilmente più bassi.
Per continuare nella stessa direzione di prima, quella che pretendeva di far coesistere lo smodato arricchimento di una minoranza e il benessere di (quasi) tutti gli altri, non ci sono abbastanza soldi. In realtà, del resto, non ci sarebbero stati neanche prima: ed è il motivo per cui sono state create tutta una serie di bolle speculative, con una “finanziarizzazione” dell’economia che di fatto ha privato il denaro, che già nasce astratto di per sé, di qualsiasi elemento oggettivo. Cioè di qualunque, residuo ancoraggio alla realtà produttiva.
Oggi, per tutta una serie di motivi che non staremo a elencare ma che si riducono alla consueta difesa a oltranza dello statu quo, la parola d’ordine è gettare acqua sul fuoco. Il messaggio che si vuole lanciare è che il peggio è passato e che (pregasi applaudire o, almeno, tirare un vistoso sospiro di sollevo) il sistema non si è disintegrato. La riduzione obbligatoria dei consumi, determinata dal crollo della produzione e dai licenziamenti di massa, viene spacciata per una scelta etica di ritrovata sobrietà. Gli eccessi della speculazione vengono addossati a manager troppo famelici che, nell’ansia di spuntare bonus sempre più alti, gonfiavano a dismisura gli utili delle banche e delle finanziarie per le quali operavano.
Se solo si volessero riscrivere davvero, le regole della finanza mondiale, basterebbero poche frasi: e la prima è che le Borse si aprono solo una volta al mese e che nessuno può vendere nel corso della stessa seduta ciò che ha appena comprato. Cancellato il tourbillon dei continui cambi di mano, e quindi delle scommesse rialziste e ribassiste, e quindi lo scandalo degli acquisti senza denaro, il problema della speculazione sarebbe in gran parte risolto.
Ma siccome non se ne ha nessuna intenzione, vai con i vertici “globali” in cui molto si auspica e niente si migliora. Il G8 diventerà G20 e forse, in seguito, G32 o G48. Il consiglio d’amministrazione si allarga. L’oggetto sociale, ovverosia lo sfruttamento del pianeta e dei popoli, rimane lo stesso.
Criminalità organizzata e rifiuti tossici, radioattivi. NO NUKE UNA RISATA SARDONICA VI SEPPELLIRA'
NO NUKE! UNA RISATA SARDONICA VI SEPPELLIRA!!
NON PERMETTIAMO DI RENDERE INVIVIBILE LA TERRA DEI NOSTRI FIGLI CHE DEVONO ANCORA NASCERE!!
25 OTTOBRE ORE 9,30 CAGLIARI
AL SIT-IN PIAZZA GIOVANNI XXIII
CI SAREMO MA LA COSA DA QUANTO CI RISULTA SARA' SOLO UN COMIZIO DI SIAMOVIVI SARDEGNA,
ESPRIMIAMO IL NOSTRO NO AL NUCLEARE ATTIVAMENTE
SENZA DELEGARE NESSUN ALTRO AL POSTO NOSTRO!
LA RIMADIAMO A DATA FUTURA ....
AFFERMIAMO IL NOSTRO SI ALLE
ENERGIE ALTERNATIVE NON
INVASIVE
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