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Accordo fra la compagnia petrolifera BP e la Libia, 900 milioni di dollari
(S.D.R.)
Si allunga sul Mediterraneo l'incubo di una nuova marea nera. Un incubo che le parole un po' sfottenti del capo della compagnia petrolifera libica non servono certo a cancellare («Uno non smette di volare solo perchè ci sono gli incidenti aerei»).
La British Petroleum - messa alla gogna negli Usa per la gigantesca chiazza di petrolio che infesta dallo scorso 20 aprile le acque del golfo del Messico - comincerà presto nuove perforazioni nel cuore del Mediterraneo e più precisamente nel golfo libico della Sirte, a poco più di 500 chilometri dalle coste siciliane e ancor meno dalle isole di Lampedusa, Pantelleria, Linosa. La notizia, anticipata dal Financial Times di Londra, è stata confermata ieri da un portavoce della compagnia britannica: «Entro le prossime settimane», ha precisato David Nicholas -, la Bp darà il via alla prima delle 5 trivellazioni previste da un accordo da 900 milioni di dollari stipulato nel 2007 con la Libia di Muammar Gheddafi e sbloccato di recente. Passando così all'incasso, secondo il giudizio di qualche analista (e di alcuni senatori del senato Usa), dopo il pressing esercitato l'anno scorso dalla Bp sulle autorità britanniche per la liberazione di Abdelbaset al-Megrahi, il libico condannato per la strage di Lockerbie del 1988 in cui morirono 259 persone, in gran parte americani. Sulla vicenda della liberazione, ufficialmente per ragioni di salute, di al-Meghrai, sta indagando la Commissione esteri del senato Usa, che ha convocato per il prossimo 29 luglio l'amministratore delegato della Bp Tony Hayward per far luce sulla questione.
Al largo delle coste libiche le perforazioni avranno luogo ad una profondità di circa 5.700 piedi (1.700 metri), 200 metri più giù rispetto a quelle della Deepwater Horizon, la piattaforma situata al largo della Louisiana la cui esplosione lo scorso 20 aprile ha scatenato la gigantesca marea nera che inquina il golfo del Messico e l'ondata di polemiche che ha investito la compagnia britannica. E anche se la Bp ha assicurato che farà tesoro della nefasta esperienza, c'è - tra gli ambientalisti e non solo - chi pensa al peggio. Come il presidente della Commissione ambiente del senato italiano Antonio D'Alì (siciliano) che, citato dall'Ft, si dice «preoccupatissimo» per i piani della compagnia britannica, «considerato che stiamo parlando di uno dei mari già più inquinati dal petrolio di tutto il mondo, le conseguenze di un disastro potrebbero essere irreversibili». La Bp mette le mani avanti, e ha già fatto sapere che nella remota eventualità di un nuovo disastro, ha già in cantiere «dettagliati piani d'emergenza»: come quelli che non hanno funzionato e non sono ancora riusciti a fermare il disastro del golfo del Messico?
Un «no secco» al progetto è venuto dalla Regione Sicilia per bocca dell'assessore regionale all'ambiente Giovanni Roberto Di Mauro che ha già presentato la sua opposizione al governo italiano.
Contrarissimi anche i Verdi. «È necessaria una immediata moratoria alle trivellazioni, onde evitare che anche il Mediterraneo possa rischiare un disastro ambientale come quello del golfo del Messico», ha detto il presidente nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli. Bonelli ha auspicato che «il governo italiano chieda immediatamente a quello libico di fermare le trivellazioni che la Bp intende avviare a largo della Libia: se accadesse un incidente come quello degli Stati uniti nel bacino mediterraneo le conseguenze sarebbero enormemente più gravi». La macchia petrolifera del golfo del Messico, secondo i dati dell'Agenzia federale statunitense per gli oceani e l'atmosfera, il Noaa, è grande come il centro Italia e «una tale perdita di petrolio sancirebbe la morte definitiva del Mediterraneo. Il golfo del Messico, infatti, ha un ricambio d'acqua che è prodotto dalla potente Corrente del Golfo, mentre nel Mediterraneo il ricambio delle acque verso l'oceano Atlantico attraverso lo stretto di Gibilterra impiega 150 anni».
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