Il premier britannico: tassare le transazioni finanziarie
Paolo Gerbaudo
ilmanifesto.it
«Non è accettabile che i benefici del successo siano raccolti da pochi mentre i costi del fallimento vengono pagati da tutti». Intervenendo di fronte ai ministri delle finanze e ai governatori delle banche centrali dei paesi G-20, riuniti a Saint Andrew in Scozia - «patria del golf» e parte del suo collegio elettorale - il primo ministro britannico Gordon Brown ha proposto la creazione di un fondo globale per il salvataggio delle banche, finanziato da una tassa sulla finanza internazionale simile alla Tobin Tax. Ma la proposta di Brown è stata subito silurata dagli altri partecipanti al summit, con il segretario Usa al tesoro Timothy Geithner che ha risposto ruvidamente che il provvedimento «non è una cosa che siamo disponibili a sostenere». Contrario anche il ministro dell'economia Giulio Tremonti, che ha sostenuto che «gli speculatori bisogna fermarli prima, non tassarli dopo».
Nell'ennesimo incontro targato G20 in un 2009 segnato dal tentativo di evitare che la crisi finanziaria si tramuti in una depressione duratura dell'economia globale, la discussione si è concentrata sulle prospettive di recupero accarezzate da alcune economie tra cui l'Italia a dispetto di una disoccupazione galoppante e sulle misure da prendere per garantire quella «crescita sostenuta e sostenibile» di cui si è tanto parlato al vertice G20 di Pittsburgh del settembre scorso.
Brown che ha provato a rivestire i panni di architetto del nuovo sistema finanziario internazionale, che aveva rivendicato nell'aprile scorso al vertice di Londra, ha avvertito che si è «a metà del cammino sulla strada del recupero» e che superata la fase di emergenza acuta è necessaria «una exit strategy dalla crisi» in cui sarà necessario affrontare la «crisi di legittimità del sistema finanziario internazionale» che «ha perso credibilità» dopo il crollo delle borse del settembre 2008.
Il primo ministro britannico ha incentrato il suo discorso sulla necessità di «un nuovo contratto sociale ed economico tra il sistema finanziario e i cittadini».
Obiettivo evitare che in futuro siano di nuovo i contribuenti a dover sborsare i soldi per evitare il collasso dei giganti della finanza. Il fondo globale di salvataggio delle banche proposto a questo scopo, potrebbe essere finanziato secondo Brown in diversi modi, tra cui con l'erogazione da parte delle banche di contributi assicurativi per coprire i rischi del mercato finanziario, oppure attraverso un'imposta globale sulle transazioni finanziarie, che ricorda la Tobin Tax, chiesta in anni recenti da Attac ed altri gruppi altermondialisti.
La proposta del primo ministro è stata accolta positivamente da sindacati e organizzazioni non governative che hanno manifestato vicino al luogo del summit. La Ong britannica Oxfam ha affermato per bocca di un suo portavoce che «per i banchieri sta per arrivare il conto» e ha chiesto che parte del fondo globale sia destinata alle popolazioni dei paesi in via di sviluppo.
Se la proposta di un piano di copertura dei rischi del sistema finanziario internazionale è stata respinta in coro dagli altri paesi del G20, a consolare Brown ci sono un impegno formale del G20 di puntare ad un accordo ambizioso al vertice Onu sul clima a Copenhagen, e la continuazione del «piano di stimolo» da mille miliardi di dollari varato nell'aprile scorso durante il G20 di Londra, nonostante la perplessità di alcuni paesi tra cui Stati Uniti e Germania.
Così anche questa volta della tanto discussa riforma del sistema finanziario globale non si è visto niente. Se le discussioni su un limite agli stipendi dei manager delle banche agitati da Sarkozy al G20 di Pittsburgh si erano tradotte in un nulla di fatto, in questa occasione la stessa sorte è toccata al piano di salvataggio globale proposto da Brown, ansioso di presentarsi come il fautore di una riforma sociale dei mercati globali, ma poco disposto ad accettare un regolamentazione robusta del mercato finanziario voluto da paesi come Germania e Francia ma di cui i broker della City di Londra non vogliono sentir parlare.
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