ANTI-NUKE - Tanaka, storico leader del movimento
«Arroganza, profitti, bugie Così è nata la catastrofe»
Junko Terao
ilmanifesto
Quando il 1 marzo 1954 gli Stati Uniti testarono una bomba all'idrogeno nell'atollo di Bikini, il peschereccio giapponese «Daigo Fukuryu Maru» si trovava al largo delle coste giapponesi, 150 chilometri a est dell'area dichiarata pericolosa dalle autorità americane. Poco dopo Aikichi Kuboyama, il radioperatore del peschereccio, si ammalò a causa delle radiazioni e morì. Nel frattempo il carico di tonno pescato era finito sui banchi del mercato Tsukiji di Tokyo, il più grande del Giappone, e si temeva che le piogge avessero contaminato l'acqua e il terreno. La contaminazione del cibo era una cosa fino ad allora sconosciuta e provocò il panico. In particolare furono le casalinghe di Tokyo a rendersi conto subito della portata dell'evento e a organizzare la prima campagna contro il nucleare. Nel giro di pochi mesi raccolsero più di un milione di firme per la messa al bando dei test nucleari e l'anno successivo il comitato che nel frattempo era nato e si era allargato organizzò la prima conferenza mondiale contro l'atomica e la bomba H. Fu quella la scintilla che diede origine al Gensuikyo, il Consiglio giapponese contro l'atomica, fulcro del movimento antinucleare giapponese e punto di riferimento per i movimenti analoghi nel resto del mondo. Di colpo l'incidente di Bikini (così lo chiamano i giapponesi) riportò a galla l'incubo delle devastazioni di Hiroshima e Nagasaki, e centinaia di migliaia di giapponesi cominciarono a manifestare per le strade per dire «mai più». Un movimento che negli anni non è rimasto indenne da conflitti politici e scissioni ma che ha svolto un ruolo importante nella diffusione di una coscienza antinucleare tra i giapponesi. All'interno del Gensuikyo anche gli hibakusha, i sopravvissuti alle atomiche, i testimoni dell'orrore, trovarono il modo di uscire allo scoperto dopo dieci anni di silenzio. Terumi Tanaka è il segretario generale dello Hidankyo, l'associazione nazionale degli hibakusha che ha svolto un ruolo fondamentale all'interno del movimento e ottenuto risultati importanti, a cominciare dalla legge speciale per i sopravvissuti, che fino al 1957 non avevano diritto all'assistenza medica speciale. Se il Giappone sta vivendo una crisi come quella di oggi, dice, è colpa dell'arroganza di chi ha sempre minimizzato gli effetti del nucleare.
Come mai il Giappone, che ha vissuto la tragedia atomica, ha deciso di ricorrere all'energia nucleare correndo un rischio molto elevato vista l'alta sismicità del territorio?
La scelta di affidarsi all'energia nucleare è da imputare all'arroganza dei tecnici, che hanno sempre assicurato che non ci fossero rischi, e all'atteggiamento delle grandi multinazionali che pensano solo al profitto. La sicurezza totale è un falso mito e chi ha conosciuto l'orrore delle radiazioni dell'atomica, come me, è sempre stato contrario alle centrali nucleari. Le nostre opinioni in merito, però, non sono mai state ascoltate dai governi giapponesi, che hanno sempre sottovalutato i danni delle radiazioni e hanno deciso di seguire la politica pro-nucleare statunitense, cercando di convincere i cittadini che il nucleare è sicuro.
Col tempo la memoria si è indebolita, di chi è la colpa?
La responsabilità è della classe politica che ha sempre inseguito i suoi interessi. E anche i mezzi d'informazione hanno una responsabilità. In questi giorni i media non hanno mai accennato a Hiroshima e Nagasaki. Parlano del pericolo della fuga delle radiazioni ma il vero dato spaventoso è l'esistenza di ventimila armi atomiche nel mondo. Il fatto che non vi si accenni mai è un nonsense.
Si è sviluppato un movimento molto attivo. Com'è cambiata nei decenni la coscienza anti-nucleare?
La coscienza antinucleare in Giappone ha risentito dell'indebolimento di questo sentimento nel resto del mondo negli anni della guerra fredda. Ma l'anno scorso abbiamo ottenuto un risultato incoraggiante alla conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione: un accordo mondiale per la realizzazione di un mondo senza nucleare.
Crede che questa crisi porterà a una nuova coscienza anti-nucleare tra le giovani generazioni o i giapponesi tra qualche anno dimenticheranno come è successo con Hiroshima e Nagasaki?
Questo incidente probabilmente farà crescere un movimento contro l'energia nucleare ma è importante che questo vada di pari passo con uno sforzo intenzionale per aumentare quello contro le armi nucleari. Bisogna ricordarsi che il nucleare è incompatibile con l'essere umano.
Cosa significa vivere da hibakusha?
Significa avere il dovere di denunciare questa incompatibilità.
In queste ore ci sono dei cittadini che scappano verso sud. Cosa prova sentendo queste notizie?
Sia il governo che i tecnici della Tepco sapevano benissimo cosa stava succedendo. Nonostante questo hanno evacuato la popolazione vicino alla centrale senza spiegare perché, senza spiegare il rischio delle radiazioni e creando solo panico. Paradossalmente avrei preferito credere che né il governo né i tecnici sapessero bene cosa stava accadendo e quali erano i rischi, ma la verità è che l'hanno nascosto volontariamente.
Guido Viale
ilmanifesto
Apocalisse significa rivelazione. Che cosa ci rivela l'apocalisse scatenata dal maremoto che ha colpito la costa nordorientale del Giappone?
La valutazione della gravità
Non e non solo - come sostengono più o meno tutti i media ufficiali - che la sicurezza (totale) non è mai raggiungibile e che anche la tecnologia, l'infrastruttura e l'organizzazione di un paese moderno ed efficiente non bastano a contenere i danni provocati dall'infinita potenza di una natura che si risveglia. Il fatto è, invece, che tecnologia, infrastrutture e organizzazione a volte - e per lo più - moltiplicano quei danni, com'è successo in Giappone, dove la cattiva gestione di una, o molte, centrali nucleari si è andata ad aggiungere ai danni dello tsunami.
Non è stato lo tsunami a frustrare anche le migliori intenzioni di governanti, manager, amministratori e comunicatori: l'apocalisse li ha trovati intenti a mentire spudoratamente su tutto, di ora in ora; cercando di nascondere a pezzi e bocconi un disastro che di ora in ora la realtà si incarica di svelare. È un'intera classe dirigente, non solo del nostro paese, ma dell'Europa, del Giappone, del mondo, che l'apocalisse coglie in flagrante mendacio, insegnandoci a non fidarci mai di nessuno di loro. Solo per fare un esempio, e il più "leggero": Angela Merkel corre ai ripari fermando tre, poi sette, poi forse nove centrali nucleari che solo fino a tre giorni fa aveva imposto di mantenere in funzione per altri vent'anni. Ma non erano nelle stesse condizioni di oggi anche tre giorni fa? E dunque: c'era da fidarsi allora? E c'è da fidarsi adesso?
Per chi non ha la possibilità o la voglia di sviluppare un pensiero critico e si lascia educare dai media, sono gli scienziati e i tecnici a poterci e doverci guidare lungo la frontiera dello sviluppo. I risultati di quella guida sono ora lì davanti ai nostri occhi. L'apocalisse ci rivela invece che sono gli artisti, con la loro sensibilità e il loro disinteresse, a instradarci verso la scoperta del futuro. Leggete Terra bruciata di James Ballard o, meglio ancora, La strada di Cormac McCarthy; o andate a vedere il film tratto da questo romanzo. Vi ritroverete immediatamente immersi in panorami che oggi le riprese televisive della costa nordorientale del Giappone ci mettono davanti agli occhi. E con McCarthy potrete rivivere anche il senso di abbandono, di terrore, di sconforto, di inanità che solo una irriducibile voglia di sopravvivere a qualunque costo e il fuoco di un legame affettivo indissolubile riesce a sconfiggere.
L'apocalisse ci rivela che la normalità - quella che ha contraddistinto la vita di molti di noi per molti degli anni passati, ma che non è stata certo vissuta dai miliardi di esseri umani che hanno fatto le spese del nostro "sviluppo" e del nostro finto "benessere" - è finita o sta per finire per sempre. È finita per il Giappone - e non solo per le popolazioni sommerse dallo tsunami - che ora deve fermare le sue fabbriche, sospendere le sue esportazioni, far viaggiare a singhiozzo i suoi treni, chiudere le pompe di benzina, spegnere le luci, bloccare tutti o quasi i suoi reattori nucleari; senza sapere con che cosa sostituirli e senza sapere se e quando potrà riprendersi da un colpo del genere (un destino simile a quello che potrebbe far piombare di colpo la Francia nelle condizioni di un paese "sottosviluppato" se solo le accadesse un incidente analogo). I tanti programmi di «rinascita del nucleare» varati negli ultimi anni - che sono la risposta più irresponsabile e criminale alla crisi economica mondiale - si rivelano una truffa: il tentativo di far credere che con l'atomo consumi, sviluppo ed "emersione" di paesi che annoverano miliardi di abitanti possano riprendere e continuare a crescere come prima. Tant'è che quei programmi stavano andando avanti - e forse verranno mantenuti ancora per un po' - soltanto nei paesi senza nemmeno la parvenza della democrazia (tra cui l'Italia). Ma adesso tutti, o quasi, si dovranno fermare.
Ma non saranno rose e fiori neanche per i paesi che viaggiano a petrolio, metano e carbone, come il nostro. Il Medio Oriente è in fiamme e se - o meglio, quando - crollerà il regno saudita, anche il petrolio arriverà con il contagocce. Soprattutto in Italia; ma anche in Europa. E allora addio sogni di gloria per l'industria automobilistica: non solo quelli di Marchionne (che sono un mero imbroglio), ma anche per quelli di tutta l'Europa. Per non parlare degli Stati Uniti: a giugno dovranno rinnovare una parte del loro debito, che è ben più serio e in bilico di quelli di tutti i paesi dell'Unione europea messi insieme; ma forse nessuno lo vorrà più comprare. Il che significa che un nuovo crack planetario è alle porte.
Insomma, niente sarà più come prima. Era già stato detto all'indomani dell'11 settembre; ma poi ciascuno ha continuato a fare quello che faceva prima. Comprese le guerre; compresa le speculazioni finanziarie e la reiterazione della crisi che essa si porta dietro; e che è stata invece trattata come «un incidente di percorso», da cui riprendere al più presto la strada di prima, discettando sui decimali di Pil che da un momento all'altro potrebbero invece precipitare di un quinto o di un terzo.
Quello che l'apocalisse dello tsunami in Giappone ci rivela è la "normalità" di domani. L'apocalisse è già tra noi, in quello che facciamo tutti i giorni e soprattutto in quello che non facciamo. Dobbiamo imparare ad attraversare e a vivere dentro un panorama devastato, dove niente o quasi funziona più: non solo per il crollo o il degrado delle sue strutture fisiche; o per l'intasamento della loro "capacità di carico"; ma anche e soprattutto per la manomissione delle linee di comando, per la paralisi delle strutture organizzate, per la dissoluzione dello spirito pubblico calpestato dalle menzogne e dall'ipocrisia di chi comanda.
Volenti o nolenti saremo obbligati a cambiare il nostro modo di pensare e dovremo studiare come riorganizzare le nostre vite in termini di una maggiore sobrietà; e in modo che non dipendano più dai grandi impianti, dalle grandi strutture, dalle grandi reti, dai grandi capitali, dalle grandi corporation che li controllano e dalle organizzazioni statali e sovrastatali che ne sono controllate: tutte cose che possono venir meno, o cambiare improvvisamente aspetto dall'oggi al domani.
Dobbiamo adoperarci per mettere a punto strumenti di autogoverno a livello territoriale, in un raggio di azione che sia alla portata di ciascuno, in modo da avvicinare le risorse fisiche alle sedi della loro trasformazione e queste ai mercati del loro consumo e alle vie del loro recupero: perché solo di lì si può partire per costruire delle reti sufficientemente ampie e flessibili che siano in grado di far fronte a una improvvisa crisi energetica, alle molte facce della crisi ambientale, a una nuova crisi finanziaria che è alle porte, al disfacimento del tessuto economico e alla crisi occupazionale che si aggrava di giorno in giorno; e persino a una crisi alimentare che potrebbe farsi improvvisamente sentire anche in un paese del "prospero" Occidente. Le fonti rinnovabili, l'efficienza e il risparmio energetici, il riciclo totale dei nostri scarti, un'agricoltura a chilometri zero, la salvaguardia e il riassetto del nostro territorio, ma soprattutto uno stile di vita più sobrio e restituito alla socievolezza sono i cardini e la base materiale di una svolta del genere. Va bene tutto ciò che va in questa direzione; anche le piccole cose. Va male tutto ciò che vi si oppone: soprattutto la rinuncia a un pensiero radicale.
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