venerdì 21 giugno 2013

ULTIME DAL MES: STATI E RISPARMIATORI DEVONO PAGARE LA RICAPITALIZZAZIONE DELLE BANCHE

ULTIME DAL MES: STATI E RISPARMIATORI DEVONO PAGARE LA RICAPITALIZZAZIONE DELLE BANCHE
DI PIERO VALERIO
tempesta-perfetta.blogspot.it



E voi direte, ma cosa c’è di nuovo sotto il sole? E’ dall’inizio della crisi dell’eurozona che governi e contribuenti pagano per il salvataggio delle banche e attraverso la manipolazione mediatica la cosa ormai è diventata una prassi comunemente accettata. La novità però questa volta è che i tecnocrati di Bruxelles, in vista del prossimo Consiglio europeo di fine mese, hanno messo nero su bianco su un documento ufficiale regole, metodi, cifre, vincoli per descrivere come si deve svolgere l’intero processo, lasciando poco spazio all’improvvisazione e all’immaginazione. In pratica i criminali hanno finalmente confessato la loro colpa, sperando negli effetti terapeutici dell’outing e spiegando chiaramente agli europei quanto ancora devono pagare (e si tratta di cifre da capogiro) per tenere in piedi l’idiozia dell’euro

Qualcuno diceva che il miglior modo per nascondere la verità, è renderla palese e visibile a tutti. Ecco, confidando nella nostra incapacità di interpretare gli eventi e capire la realtà che ci gira intorno, pare che i tecnocrati e i politicanti europei abbiano decisamente intrapreso questa strada. 

Ma vediamo come funzionerà l’ennesimo meccanismo infernale messo a punto da tecnocrati e banchieri per distruggere la democrazial’economia reale, la coesione sociale. Già sapevamo che gli accordi del MES, Meccanismo Europeo di Stabilità, prevedevano al loro interno, oltre al sostegno diretto agli stati (che serviva poi a finanziare le banche in difficoltà, vedi il caso Irlanda, Spagna e Cipro, o a pagare i creditori francesi e tedeschi, vedi il caso Grecia e Portogallo), anche la possibilità di ricapitalizzare le banche “zombie” dell’eurozona. Ora conosciamo i termini in cui avverranno queste operazioni di ricapitalizzazione, e vi anticipo già che saranno ancora dolori, lacrime e sangue per tutti i contribuenti, che già hanno dovuto una prima volta pagare e stanno ancora pagando per mettere in piedi la trappola del MES. Insomma nell’eurozona, fra mille indecisioni e tentennamenti, di una cosa possiamo sempre essere certi: la socializzazione delle perdite bancarie e la privatizzazione dei profitti non è più una raccapricciante anomalia dovuta all’emergenza ma la prassi, lanormalità, la forma principale di “buon governo” dell’economia e della finanza. E siccome, come abbiamo anticipato, i capitali necessari per salvare l’intero settore bancario fallitoraggiungono a spanne numeri ciclopici, non sappiamo quanto saranno ancora bravi gli europei a reggere l’urto e capaci di bere l’amaro calice. E’ davvero così difficile capire che ciò che sta accadendo in Europa corrisponde alla più grande espropriazione collettiva di ricchezza mai avvenuta nella storia dell’umanità? 

Prima però di analizzare nei dettagli il piano micidiale, vediamo da cosa nasce tutto l’affanno e la fretta con cui i tecnocrati sono arrivati a concepire il documento e le procedure incriminate. In Europa, per usare una metafora, c’è un vero e proprio iceberg gigantesco che giace nella profondità degli abissi, nel più assoluto riserbo e silenzio degli addetti ai lavori, e solo sporadicamente emerge in superficie: il credito in sofferenza delle banche (in inglese bad loan o NPLNon Performing Loan). In pratica una parte sempre più ingente e in continuo aumento degli attivi di bilancio delle banche è ormai inesigibile o incagliato, perché il debitore (che sarebbero poi i privati mutuatari, le aziende, i governi e le stesse banche) è fallito o è tecnicamente insolvente. Questo processo vizioso, simile ad un enorme cane che si morde la coda, come sappiamo è stato innescato dalle misure di austerità imposte a tutta l’Europa per salvare proprio le banche: i governi tassano i cittadini e le aziende, tagliano le spese pubbliche, rastrellano capitali da destinare al settore bancario, ma così facendo deprimono l’economia, costringono al fallimento i debitori privati e le banche alla fine hanno più danni che benefici dalle politiche rigoriste, perché se da una parte ricevono capitali freschi dai governi, dall’altra perdono sempre di più la possibilità di recuperare i crediti pregressi contratti con il settore privato. L’immagine del colapasta è forse quella più efficace per descrivere il fenomeno: la liquidità arriva abbondante dall’alto ma se ne va subito attraverso i buchi (di bilancio) che intanto si aprono in basso. Ma di quali cifre stiamo parlando? 

Arrivati a questo punto la faccenda diventa sempre più nebulosa e confusa, perché grazie alla complicità che esiste fra gli organismi di vigilanza europei (BCE, banche centrali, EBA) e le stesse banche, è molto difficile e complicato se non impossibile capire quanto ci sia di vero e di falso nei bilanci bancari. Secondo alcune stime, il totale del credito in sofferenza nell’eurozona ammonta a circa €720 miliardi, di cui €500 miliardi relativi alle banche della periferia. Il calcolo però è molto approssimativo perché si riferisce soltanto a ciò che viene riportato pubblicamente sui bilanci bancari e all’andamento aggiornato periodicamente dell’indice NPL delle banche, che come si può notare dal grafico sotto, soprattutto nelle periferia più colpita dalle misure di austerità, ha avuto una progressione esponenziale in questi ultimi anni, con una media di incremento del 2,5% l’anno. A causa del meccanismo perverso descritto in precedenza, per l’Italia attualmente l’indice NPL è arrivato a sfiorare punte del 13,4% sul totale degli attivi bancari, raggiungendo così in questa particolare classifica Spagna e Portogallo, ma rimanendo sempre dietro alle due prime della classe: Grecia con il 25% e Irlanda con il 19%. 



Tuttavia se dovessimo andare un poco più a fondo nella faccenda, le cose sarebbero molto più preoccupanti. Drammatiche, direi. Come emerge da un recente studio di due economisti olandesi, Harry Huizinga e Harald Benink, pubblicato su Vox.eu, il rapporto fra il valore di mercato dei cespiti bancari e quello riportato a bilancio ormai raggiunge la soglia dello 0,5 (vedi grafico sotto): ciò significa che le informazioni fornite dai bilanci bancari sono troppo ottimistiche e sovrastimate, e un attivo che viene registrato a bilancio con il valore di 1000 in realtà ne vale 500. In questo modo, continuando a manipolare i bilanci per nascondere la polvere sotto il tappeto, sarà sempre più complicato tarare un piano di salvataggio adeguato dell’intero settore bancario europeo, perché non tenendo conto di questo macroscopico margine di errore avrebbe sempre effetti parziali e provvisori. Inutile dire che l’economista Harry Huizinga sia un eurista convinto e abbia svolto mansioni di consulenza per la Commissione europea: lo studio infatti dal titolo emblematico “L’urgente necessità di ricapitalizzare le banche europee” doveva servire a creare nell’opinione pubblica il clima adatto di emergenza e a fare da apripista al documento poi pubblicato dalla stessa Commissione europea. Per intenderci, Huizinga propone uno schema di salvataggio bancario sul modello di Cipro, che pesi maggiormente sui bail-in interni tramite tagli in prima battuta sulle obbligazioni subordinate non garantite, e poi su quelle senior e i depositi (quindi prelievi forzosi ai risparmiatori e ai clienti della banca). Anche perché come rivela sfacciatamente lo stesso economista molti di questi strumenti sono garantiti dallo Stato e quindi in ultima istanza sarebbero sempre i governi a pagare. E così, conclude il geniale economista, si eviterebbe di utilizzare il MES: un giro di parole incredibile per nascondere il fatto che sia con i bail-in interni che con il MES sarebbero sempre i contribuenti a pagare i costi delle perdite bancarie. Siamo alla beffa allo stato puro e allo sberleffo in salsa olandese. 



Ad ogni modo, tenendo conto dei margini di errore dei valori contabili, la cifra esorbitante dei piani di salvataggio salirebbe realisticamente ben oltre i €1000 miliardi, e considerando altri fattori progressivi legati alla stagnazione economica generale e ai prossimi fallimenti che si verificheranno tra i debitori privati, le stime più pessimistiche parlano addirittura di €3000 miliardi, ovvero €3 trilioni. E qui viene il bello, perché nonostante queste cifre pazzesche nel documento della Commissione europea il programma di ricapitalizzazione diretta del MES e quindi lacopertura a livello europeo delle singole perdite bancarie è limitata a soli €50-70 miliardi, con la possibilità di ampliamento soltanto in caso di emergenza dopo approvazione del consiglio dei governatori. Mentre il resto deve essere a carico di ogni singolo stato membro. E quindi dei governi, dei contribuenti, dei risparmiatori e dei clienti della banca. Ma anche le modalità con cui il MES dovrebbe attivarsi sono piuttosto bizzarre. Vediamone in estrema sintesi alcune: 

· Il MES si attiva quando lo stato membro non ha la capacità finanziaria di ricapitalizzare da solo le sue banche

· Il MES si attiva anche quando la situazione fiscale dello stato membro è talmente delicata da compromettere l’accesso ai mercati dei capitali e da richiedere il sostegno dello stesso MES

· L’assistenza finanziaria del MES è indispensabile per la salvaguardia della stabilità finanziaria dell’area euro nel suo complesso o dei suoi stati membri

· La banca non ha i requisiti patrimoniali richiesti dalla BCE nella sua veste di ente di vigilanza centralizzato ed è incapace di attrarre capitali tramite il settore privato, gli investitori, gli azionisti, laconversione del debito (qui dovrebbero stare attenti i titolari di obbligazioni strutturate convertibili in azioni) e la ristrutturazione del debito esistente (qui dovrebbero stare attenti tutti gli obbligazionisti e i depositanti, perché si tratta dello schema bail-in cipriota)

· La banca è un istituto di rilevanza sistemica e un suo eventuale fallimento rappresenterebbe una minaccia per la stabilità dell’area euro nel suo complesso o dei suoi stati membri (bisognerebbe capire come si fa a capire quali banche abbiano queste caratteristiche e se nei precedenti casi di salvataggio bancario con fondi europei, Anglo-Irish Bank in Irlanda, Bankia in Spagna e Laiki a Cipro, il MES si sarebbe potuto attivare)

· Se la banca non raggiunge la soglia minima legale del 4,5% del parametro CET1 (Common Equity Tier 1, rapporto fra patrimonio di vigilanza e attivi ricalcolati per il rischio), come previsto dagli Accordi di Basilea III, sarà lo stato membro a fornire un’immediata iniezione di capitali al fine del raggiungimento di questo livello, prima che si attivi il MES

· Se la banca raggiunge la soglia minima legale del 4,5%, lo stato membro sarebbe comunque obbligato a fornire un equivalente importo pari al 10/20% del capitale totale erogato dal MES

· Il consiglio dei governatori del MES può decidere di sospendere parzialmente o totalmente il suo piano di aiuti in accordo con lo stato membro qualora quest’ultimo non fosse più in grado di contribuire al programma o la sua adesione comporta delle implicazioni negative per l’accesso al mercato dei capitali

· Condizionalità : oltre a poter decidere sui livelli retributivi e bonus dei managers della banca, il MES potrà avanzare richieste di politica economica e fiscale ai singoli stati membri (austerità, insomma, sempre e solo austerità), allegandole al memorandum d’intesa che in ogni caso deve essere stipulato con il MES per avere diritto agli aiuti pattuiti


Penso che ce ne sia abbastanza per capire che questa ennesima trovata diabolica avrà l’effetto di mettere gli stati in ginocchio qualora dovesse scoppiare in tutta la sua enormità il bubbone del credito in sofferenza delle banche europee. Malgrado tutti i roboanti proclami, i tecnocrati non hanno alcuna intenzione di scindere lo stretto legame che intercorre fra i governi e le banche: i primi si finanziano grazie ai secondi e i secondi si salvano solo con gli aiuti di stato, causando l'espansione incontrollata del debito pubblico. Ma quello che deve più spaventare i semplici risparmiatori e depositanti delle banche è che ormai il ricorso ai prelievi forzosi è diventato uno strumento istituzionale regolarmente previsto dagli accordi intergovernativi europei. Ovviamente la giustificazione di facciata di tutta questa operazione è favorire l’uscita dell'eurozona dal lungo periodo di stagnazione, del tipo giapponese, grazie al salvataggio degli istituti finanziari e alla ripresa del credito bancario nei confronti di aziende e famiglie. E dalle analisi degli economisti e commentatori vicini agli ambienti comunitari si prende spesso a modello il caso degli Stati Uniti, che sono riusciti a riemergere dalla recessione economica solo in seguito alle tempestive ricapitalizzazione di stato delle sue principali banche nazionali. Ma come al solito, non fatevi fregare dal chiacchiericcio da bar e dalla propaganda di regime.

Negli Stati Uniti, le banche sono state salvate dall’intervento della Federal Reserve che con l'ausilio del computer del governatore Bernanke ha iniettato enormi quantità di liquidità creata dal nulla sia nel mercato finanziario per sostenere il corso dei titoli sia nel capitale sociale delle banche per evitarne il fallimento. Nessun contribuente americano ha dovuto pagare per questi salvataggi, o in modo diretto tramite aumenti delle tasse e tagli alla spesa pubblica, oppure in modo indiretto, tramite incrementi dell’inflazione e perdita del potere di acquisto dei salari e dei risparmi: la teoria quantitativa della moneta, che erroneamente postula un collegamento automatico fra aumento dell’offerta di moneta della banca centrale e inflazione, viene creduta o fatta passare per buona solo ai trogloditi europei, mentre nel resto del mondo sono andati parecchio più avanti nella moderna gestione dei flussi finanziari e monetari. I salvataggi bancari che presto o tardi si renderanno necessari in tutta l’eurozona, dalla Germania (a proposito: vuoi vedere che la prima banca ad usufruire del MES sarà proprio Deutsche Bank?) alla Grecia, saranno invece tutti a carico dei governi e quindi dei contribuenti, dei risparmiatori e dei semplici correntisti. Per chi ancora non avesse capito, il tempo delle rappresaglie è finito e adesso inizia il conflitto aperto fra noi e loro. E questo ultimo documento della Commissione europea equivale ad una dichiarazione di guerra in pieno stile militare-finanziarioEstote parati.

Piero Valerio

giovedì 20 giugno 2013

Prosciutti sardi solo di nome.....

«Consumatori tutelati da tanti controlli, produciamo più documenti che salsicce» 

 Michele Tatti
unionesarda.it

Prosciutti sardi solo di nome 
Maiali dellaValle del Cedrino - Orosei.
Vietato lavorare nei salumifici la carne di maiale isolana

Ricordate la filastrocca in limba per descrivere le dita di una mano? Custu est su porcu , custu l'at mortu...Dal pollice («il maiale»), fino al mignolo rimasto piccolino perché gli altri hanno mangiato tutto. La chiusa della cantilena, quel a custu mischineddu nudda nudda , può essere dedicata agli imprenditori del settore preoccupati, più che delle presunte frodi, del divieto assoluto di lavorare carni sarde imposto dall'Europa e avallato da Stato e Regione nel novembre 2012. Piaga dolente su cui si posa il sale del sequestro in uno stabilimento di Settimo San Pietro di insaccati falsamente etichettati (e fatti pagare) come cinghiale. Per ribattere all'accusa di frode alimentare, Antonio Vacca, l'imprenditore finito nell'occhio del ciclone, ha giustificato la vicenda con un occasionale scambio di etichette per poi scaricare tutte le colpe proprio sulla peste suina.


ALLEVATORE CONTRO 
«Scuse», ribatte autodefinendosi «il principale produttore di suini da carne della Sardegna», Pierluigi Mamusa deciso nel lanciare una sfida agli industriali agroalimentari: «Abbiate il coraggio di scrivere nelle etichette salume prodotto in Sardegna con carne di provenienza non sarda e per la gran parte congelata . Quanta merce si venderebbe e a che prezzo verrebbe esposta nei banchi della grande distribuzione?». Mamusa riprende una vecchia polemica e ribadisce che nell'Isola «si alleva e si alleverà sempre più carne di quanto gli industriali attualmente consumano: solo io produco molta più materia prima di quella che i principali salumifici lavorano». E la peste suina africana? «Solo una scusa per non comprare carne sarda», rincara la dose prendendosela anche con lo stesso Antonio Vacca: «Sostiene (dichiarazione gonfiata) che esporta solo il 10 per cento della sua produzione e, quindi, non subirebbe danni scegliendo esclusivamente carne sarda e certificandola realmente senza frodare i consumatori».

IRGOLI 
Tirata in ballo in prima persona, Rosaria Murru, amministratrice dell'omonimo salumificio di Irgoli, fuori sede per lavoro, si riserva di approfondire la vicenda e concede solo una replica indiretta a Mamusa: «Purtroppo avevamo una rilevante partita di prosciutti stagionati di carni sarde quando è scattato il divieto. Abbiamo dovuto riaccreditarci per esportare fuori e non possiamo commercializzare quel prodotto. Comunque, i problemi sono ben altri».

DESULO E FONNI
 «Polemica inutile e dannosa per tutti», sostiene a sua volta Daniela Falconi delle Fattorie Gennargentu di Fonni (16 dipendenti, sei milioni di euro di fatturato, il 30 per cento del prodotto esportato), «Mamusa sa bene che fino a sette mesi fa acquistavamo da lui la materia prima, il 40 per cento del nostro fabbisogno, perché non riusciva a garantirci di più. Tutti, allevatori e trasformatori, dobbiamo fare fronte comune e convincere la classe politica che l'Africana è un problema sociale, non sanitario. Noi lavoriamo 250 maiali a settimana e oggi purtroppo dobbiamo importarli, perdendo un indotto economico rilevante». Anche al salumificio Rovajo di Desulo (200 mila chili di carne lavorati ogni anno, 12 posti di lavoro) sarebbero ben felici di acquistare la materia prima in Sardegna. «Purtroppo il divieto è un dato di fatto», conferma Mario Ladu stremato come i suoi colleghi dal rincorrere, con l'Europa che ha perso la pazienza con la Sardegna incapace di eradicare la peste suina, veterinari, Asl, Regione, Ministero: «Ormai produciamo più documenti che salsicce».

NO AL PUGNO DI FERRO Più che inseguire le accuse di Mamusa, preoccupano le ultime vicende, con gli abbattimenti coatti nel paese del Gennargentu. «Le prove di forza possono causare solo danni - dice Ladu - bisogna dialogare e, soprattutto, trovare un modo per anagrafare tutti gli animali, monitorarli e abbattere i capi infetti innescando il processo naturale di sviluppo dei ceppo-resistenti». A Orgosolo - sottolineano al salumificio Rovajo - sono stati individuati suini di 12-13 anni immuni dall'Africana. Mi chiedo - conclude Mario Ladu - perché non si sviluppi questa ricerca. Con tutti i miliardi spesi in 35 anni non è possibile che non si sia investito per individuare un vaccino contro questa peste maledetta».

CONSUMATORI TUTELATI
 E le frodi? «Impossibili con tutti questi controlli - dicono in coro a Desulo, Fonni e Irgoli - e poi sarebbe folle solo rischiare di rovinare un marchio consolidato per guadagnare pochi euro in più». Custu est su porcu , custu la mortu...

mercoledì 19 giugno 2013

Assalto ai nostri risparmi: Se le Poste acquisissero MPS, comprerebbero un buco nero che rischierebbe di compromettere l’integrità dei depositi dei risparmiatori?

Assalto ai nostri risparmi: Se le Poste 

acquisissero MPS, comprerebbero un buco nero 

che rischierebbe di compromettere l’integrità 

dei depositi dei risparmiatori?


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Molti, anziché contestare e denunciare le malefatte dello stato italiano ai danni dei cittadini, esortano il suo governo truffa, quello “dalle larghe intese” insediatosi da qualche mese a questa parte, a trovare i soldi per mantenere in ordine i conti pubblici e contemporaneamente far risollevare l'economia italiana. E' il solito atteggiamento italiota secondo il quale, l'incapace si rivolge sempre allo stato quando si tratta di mettere le mani sui soldi degli altri, così da poter risolvere i problemi derivanti dalla sua incompetenza.

Ho la vaga impressione che quelli del governo i soldi a loro necessari li abbiano già trovati. Devono solo capire come, quando e a chi distribuirli.

Dove li avrebbero trovati questi soldi? Ebbene, a questo proposito, è da più di un anno che ce la menano, a noi italiani; noi siamo quelli che in Europa abbiamo il più alto risparmioprivato, noi siamo quelli che, considerato il numero di persone proprietarie di immobili, saremmo molto più ricchi dei virtuosi cittadini tedeschi, la ricchezza privata delle famiglie italiane dovrebbe essere ricompresa nel calcolo del rapporto debito/PIL, ecc..

Insomma, se non l'avete ancora capito, i soldi necessari, che lo stato avrebbe già trovato per attuare la sua politica, secondo il sottoscritto sarebbero quelli che noi italiani abbiamo sistemato nell'acquisto delle nostre case e quelli che, parsimoniosamente, abbiamomesso da parte nei libretti di deposito e attraverso la sottoscrizione dei buoni ordinari postali.

Infatti due sono le notizie che recentemente si sono susseguite e che mi hanno indotto a credere fermamente quanto testé esposto. La prima riguarda quella secondo la quale, un'idea avanzata a Poste Italiane (PI) vorrebbe che essa rilevasse il malandato Monte dei Paschi di Siena (MPS). Leggi qui.

Per PI l'affare potrebbe risultare interessante visto e considerato che sono anni ormai che essa tenta di ottenere la licenza bancaria senza alcune esito positivo, e che invece, una probabile fusione con MPS, permetterebbe a PI di raggiungere l'obiettivo tanto ambito.

Infatti, in mancanza di una licenza bancaria, a PI non è concesso prestare ai privati i depositi da essa raccolti. I prestiti ai privati attualmente proposti da PI, in realtà sarebbero frutto di convenzioni poste in essere fra PI e banche commerciali, per i quali essa risulterebbe essere solo un intermediario commerciale. Di conseguenza, i soldi prestati ai clienti di PI non sarebbero quelli da essa raccolti con il servizio di deposito dei risparmi e di conto corrente, bensì quelli raccolti dalle banche sue partner. L'unico soggetto privato a cui PI concederebbe prestiti è Cassa Depositi e Prestiti s.p.a. (CDP), di proprietà del Ministero dell'Economia e Finanza, che usa il denaro raccolto per investirlo, principalmente, in titoli di stato italiani.

Un ulteriore dimostrazione del fatto che PI non sarebbe una vera e propria banca è quella secondo la quale PI non pagherebbe gli assegni emessi dai suoi correntisti anticipando la relativa somma, così come  fa normalmente una banca (la quale, in questo modo, crea di fatto nuova moneta dal nulla). Infatti, se non esiste la provvista necessaria per coprire l'assegno emesso, PI normalmente non concede la possibilità di andare in rosso, non paga l'assegno e protesta immediatamente il correntista.

Dunque, PI, non essendo una vera e propria banca, non potrebbe disporre dei depositi dei propri clienti per esporli ad alti rischi così come possono fare le banche normali, ai danni degli ignari risparmiatori (vedi il caso MPS). Certo, alla fin dei conti, in base a quanto testé detto, i depositi dei correntisti di PI sarebbero utilizzati per essere investiti in titoli di stato, che di sicurezze ne danno anch'essi ben poche da qualche anno a questa parte, ma perlomeno gli investimenti di PI non sono principalmente costituiti dagli ancora più pericolosi titoli derivati e la sua attività non è ampiamente dedita ad azzardi morali sui mercati finanziari.

Teoricamente, potremmo dire che i soldi depositati in PI sono esposti a rischi minoririspetto a quelli depositati nelle normali banche. (E' un'affermazione questa, da prendere con le pinze, ovviamente!)
Delle condizioni in cui versa MPS ho ripetutamente scritto su questo blog; esse sarebberodisastrose, proprio perché pare che essa sia stata gestita con scarso riguardo dei principi di prudenza ed economicità, rivelandosi più una banca dedita agli affari, usando i soldi degli altri (ossia quelli dei suoi correntisti), che un intermediario finanziario.

In definitiva, se PI acquisisse veramente MPS, comprerebbe un buco nero che rischierebbe di compromettere l’integrità dei depositi dei risparmiatori di PI, i quali non sarebbero più al sicuro tanto quanto lo sarebbero attualmente.
Questa voce circa la fusione fra PI e MPS, avrei potuto considerarla come una semplicevoce di corridoio, alla quale inizialmente non volevo darci peso più di tanto, per non preoccupare ulteriormente i risparmiatori circa i possibili rischi a cui potrebbero essere esposti i risparmi di una vita.

Poi ho dovuto leggermente ricredermi quando ho appreso la seconda notizia, ossia quella riguardante l'idea di far giungere lo stato italiano in soccorso di un'altra azienda italiana, anch'essa acciaccata: Telecom Italia s.p.a..

Infatti, a fine maggio, il cda di Telecom Italia ha deliberato l'intenzione di scorporare dalla compagnia telefonica italiana la sua rete telefonica, i cui costi di gestione sembrerebbero pesare troppo sul suo bilancio, il quale evidenzierebbe un debito di circa 28 miliardi di euro. Leggi qui.

Nel dettaglio, l'idea di Telecom Italia sarebbe quella di costituire una nuova società e di vendere le infrastrutture della rete telefonica a quest'ultima, le cui quote di proprietà verrebbero cedute a terzi, purché il pacchetto di controllo di essa resti sempre in mano agli attuali proprietari di Telecom Italia.

In tempi non sospetti, gli azionisti della società hanno palesemente fatto capire che non sono disposti ad alcuna ricapitalizzazione dell’azienda telefonica, rimettendoci di tasca propria. Stando così le cose, l’azienda ha pensato bene di non cercare altri soci privati, interessati ad entrare nella trattativa e aventi lo stimolo imprenditoriale giusto per rinnovare la qualità tecnologica della compagnia (una soluzione più auspicabile rispetto a qualunque altra). Telecom Italia avrebbe pensato invece di bussare alle porte del governo italiano per trovare un accordo che riguardasse la sopravvivenza dell’azienda.

In merito, se un accordo con il governo italiano dovesse essere raggiunto, conseguentemente alla delibera del cda di Telecom Italia, lo stato potrebbe intervenire nell’operazione acquisendo quote di minoranza della società di nuova costituzione la quale, come già detto, gestirebbe la più che onerosa rete telefonica scorporata da Telecom (la bad company). In questo modo, Telecom otterrebbe dallo stato i soldi necessari per ridurre la perdita di 28 miliardi, senza però perdere il controllo della rete ceduta alla nuova società (visto che, come deliberato dal cda, la quota di maggioranza di essa dove essere di Telecom).

Ciò che resterebbe della compagnia telefonica italiana, dopo lo scorporo, sarebbe l’attività di Telecom che genera più utili (la good company), nella quale lo stato non c’entrerebbe nulla e che resterebbe di esclusiva proprietà degli attuali soci privati (furbetti), i quali hanno sostenuto la non molto virtuosa dirigenza di Telecom Italia fino ad ora e che riuscirebbero a salvaguardare i propri interessi di guadagno, non grazie ai risultati della compagnia telefonica ottenuti sul mercato, ma grazie all’ottenimento di soldi pubblici. Bello fare gli imprenditori con i soldi degli altri, non è vero?

Ricapitolando, lo stato (tramite CDP) entrerebbe in affari beccandosi l’attività di Telecom che sarebbe meno profittevole, salvando così l’azienda da un probabile default, mentre gli attuali proprietari della compagnia telefonica italiana si terrebbero l’attività più redditizia. Queste sono le tipiche operazioni degli italiani, che prima permettono il salvataggio economico degli inefficienti e poi si chiedono come mai l’Italia non cresca!

In effetti, chi sarebbe il fesso che entrerebbe in una trattativa del genere, accollandosi gli oneri di gestione di una rete obsoleta, percependo la fetta minore dei redditi derivanti da tale infrastruttura, tutta da rimodernare (non scordiamocelo)? Lo stato italiano, no?

E con quali soldi lo stato italiano acquisterebbe le quote della nuova società? Con quelli raccolti dai cittadini da Cassa Depositi e Prestiti s.p.a.. Ecco spuntare di nuovo la gallina dalle uova d'oro, da 213 miliardi di risparmi raccolti nell’anno 2012 (leggi qui la notizia).

Pochi giorni dopo in cui CDP è stata tirata in ballo per il salvataggio del MPS in pericolo di default, oggi lo è nuovamente, per il salvataggio di Telecom Italia da una grave perdita in bilancio.

Dopotutto, secondo la L. 56/2012, il governo ha potere di veto avverso su qualunque delibera, atto o operazione adottata da una società (anche se privata) e riguardante i settori strategici dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni! Qualsiasi decisione in merito dunque, per legge, deve passare dal benvolere dello stato. Qualcuno si chiederebbe: ma che libertà economica sarebbe mai questa? Infatti, non è mica uno paese libero quello italiano! Non lo sapevate?

Quindi, lo stato può permettersi (ed è questo il bello; nessuna legge vieta ad esso di farlo) di usare i soldi degli ignari risparmiatori italiani, per favorire i già ricchi proprietari della compagnia telefonica in difficoltà. In questo modo questi ultimi continuerebbero a controllare la rete telefonica e l’intera compagnia, senza un soldo uscito dalle loro tasche, e a spolparsi quel che resta di buono dell'azienda. I costi di gestione dell’attività scorporata, verrebbero condivisi con CDP, la quale parteciperebbe agli utili solo in minima parte, mentre la storica compagnia tornerebbe ad assumere i tratti velati di un’azienda pubblica la cui gestione economica, come bene sappiamo, sarebbe paragonabile a ciò che ci si aspetterebbe da uno scimpanzé messo davanti al timone di una nave da crociera (quindi, addio progresso italiano nel campo delle telecomunicazioni!).

Come è possibile che nessuno ritenga che sarebbe cosa corretta quella di dover chiedere, a coloro che ci mettono realmente i soldi (cioè i singoli risparmiatori privati), se essi siano o meno disposti a rischiare i denari risparmiati, in un’operazione dai dubbi vantaggi per la collettività?

L'Italia è una colonia tedesca


L'Italia è una colonia tedesca

Letta fa poco perché anche lui è telecomandato da Berlino 
 di Costanza Rizzacasa d'Orsogna   

Lo dice Nigel Farage, europarlamentare inglese ed euroscettico. Il suo partito è secondo in Gb

Enrico Letta? Non ho alcuna opinione su di lui. È un personaggio irrilevante. Un altro burattino. Nessuna offesa personale, per carità. Ma, oggi, chi è al potere in Italia non conta niente. Non comanda su nulla. L'Italia non è più uno Stato sovrano, ma una colonia della Germania».

In un'intervista a ItaliaOggi, Nigel Farage, leader e militante storico dello Ukip, il partito indipendentista britannico che vuole l'addio del Regno Unito a Bruxelles, nonché co-presidente, con il leghista Francesco Speroni, del gruppo Efd (Europa della Libertà e della Democrazia), che raccoglie i principali partiti euroscettici al Parlamento europeo, denuncia «il declino della politica italiana».
Dopo il trionfo alle Europee del 2009, quando era riuscito addirittura a superare i laburisti, imponendosi come seconda formazione politica del Regno, alle ultime elezioni amministrative, un mese fa, il suo partito ha registrato un nuovo, clamoroso boom, trasformando il voto in un avvertimento per la politica nazionale e per l'Europa. Un vero tsunami, che ora rischia di travolgere anche le prossime elezioni politiche.

In rete, gli anatemi contro l'euro, di Farage, carismatico quanto furbo, oltre che bravissimo a gestire i tempi del video, sono seguitissimi. E tra i suoi estimatori (oltre a milioni di donne inglesi, che secondo il Telegraph considerano Farage più affascinante di Cameron – perché la popolarità oggi è più sexy del potere, signora mia) non poteva mancare Beppe Grillo, che l'ha definito un «oratore straordinario». Una stima ricambiata, quella del leader del M5S per il politico britannico, e del resto Farage è definito da molti “il Grillo inglese”. Anche se, al di là dei toni infiammati e della comune avversione al progetto europeo, le posizioni dei due non sempre convergono.

Domanda. Proprio ieri il Financial Times si è scagliato contro Letta, definendolo “in letargo” e spronandolo a svegliarsi. Concorda con il giudizio del quotidiano?
Risposta. Purtroppo sì. Letta sta un po' dormendo, è vero. D'altronde, se sei un Paese membro dell'euro cosa puoi fare davvero? Assolutamente nulla. L'abbiamo già visto accadere con altri Paesi. Non importa chi è al governo, perché, tanto, non è quella persona a governare. L'incarico politico, come si conferiva ed era inteso una volta, non esiste più. Non sono gli italiani a decidere, né tantomeno il Presidente della Repubblica: è l'Europa. E se all'Europa un leader non piace, lo rimpiazzano.

D. Si riferisce alle dimissioni forzate di Berlusconi nel 2011?
R. Guardi, io credo che in politica, come nel calcio e nello spettacolo, arrivi il momento di ammettere a se stessi che è tempo di andare in pensione. Per il bene dell'Italia, per l'immagine del vostro Paese in Europa e nel mondo, spero che Berlusconi abbia giocato la sua ultima partita. Detto questo, la nomina di Monti a Presidente del Consiglio è stata l'azione più esecrabile che abbia mai visto dalla nascita dell'Unione Europea. Sconvolgente e vergognoso che un gruppetto di persone in Europa decida, secondo le loro convenienze per di più, chi deve guidare l'Italia. Un governo fantoccio. È stato un bruttissimo segnale. Ero disgustato. Come si sono permessi? Come lo avete permesso?

D. Ce lo chiede l'Europa, o meglio, la Merkel.
R. Proprio così. Viviamo in un'Europa dominata dalla Germania. L'Unione europea, che sotto un altro nome, dopo la Seconda Guerra Mondiale, era stata concepita per contenere il potere tedesco, oggi è controllata e tiranneggiata economicamente dalla Germania. Una situazione pericolosissima. E nessun Paese sembra avere la forza di ribellarsi. Anche se il sentimento antitedesco e antieuropeo sui temi economici cresce, come ad esempio in Francia. Ma c'è di più: l'Ue era stata disegnata per avvicinare i suoi popoli, un tempo divisi tra Est e Ovest. Invece ha creato nazionalismi. Oggi l'Europa è divisa tra Nord e Sud, e il razzismo e la xenofobia dilagano. A questo proposito vorrei ricordare che è stato su mia iniziativa che Mario Borghezio è stato espulso dal gruppo degli euroscettici al Parlamento europeo, dopo le dichiarazioni sul ministro Kyenge.

D. Ma lei pensa che l'Italia dovrebbe uscire dall'euro e dall'Ue?
R. Penso che Grecia, Spagna e Portogallo debbano uscire il più presto possibile dall'euro, se vogliono sopravvivere. Sull'Italia non ho certezze altrettanto forti. I vostri indicatori economici sono drammatici, è vero. Ma l'Italia versava in gravi difficoltà ben prima di entrare nell'euro, e, lasciandolo, non risolverebbe tutti i suoi problemi. Allo stesso tempo, uscire dall'euro permetterebbe al governo italiano di governare davvero, di non essere un governo fantoccio. E questo è fondamentale. Grillo ha ragione quando chiama al referendum sull'euro e sull'Ue, uno dei suoi cavalli di battaglia. È un dibattito necessario, se non altro per spingere gli italiani a prendere coscienza di cos'è davvero l'euro e cosa vi sta facendo. Per quanto mi riguarda, considero l'intera esperienza europea un totale fallimento.

D. Tra lei e Grillo c'è stima reciproca. Come giudica la débâcle del Movimento 5 Stelle alle ultime amministrative?
R. Credo sia naturale che un movimento partito dal nulla e arrivato al top in pochissimo tempo vada incontro ad alti e bassi. Quel 25% che Grillo ha preso alle politiche di febbraio, e che neanche lui si aspettava, denuncia la grande sete di cambiamento degli italiani. Una sete che non è stata soddisfatta. Ed è per questo che Grillo è stato punito dagli elettori alle amministrative: perché non ha tenuto fede alle aspettative di cambiamento che aveva creato e alimentato. Ma il partito è appena nato. Bisogna dargli tempo. Questa sconfitta, come pure le divisioni interne e l'incapacità di alcuni parlamentari, sono i classici problemi della crescita.

D. Molti però dicono che Grillo si sia stancato e cerchi una via d'uscita. Lei che ne pensa?
R. Voglio credere che non sia così. Grillo sta ricoprendo un ruolo molto importante nella politica italiana. L'Italia ha bisogno di un dibattito aperto e franco sul proprio futuro economico e politico. E il M5S oggi è l'unico che possa portare a questo dibattito.

martedì 18 giugno 2013

Uscire dall'euro


Uscire dall'euro

Ida Magli 
www.italianiliberi.it


 Maurizio Belpietro, Direttore del quotidiano Libero, ha preso una bella iniziativa. Il giorno 2 giugno, una data significativa, ha finalmente rotto il tabù del silenzio intorno all’euro e ha titolato così il suo editoriale: “Apriamo la discussione – Dieci buoni motivi per uscire dall’euro”. Perché soltanto in Italia– si domanda Belpietro – non si parla dei problemi dell’euro, mentre in tutti i paesi d’Europa si discute animatamente e a tutti i livelli se convenga abbandonare questa disgraziatissima moneta? I cittadini, dunque, sono invitati a dibatterne su Libero esprimendo la propria opinione sull’uscita dell’Italia dall’euro, e a indicare anche in quale modo farlo, tenendo conto naturalmente delle eventuali ricadute negative di una tale decisione. 



Dire che è stato rotto un tabù, purtroppo, è dire poco. I tabù non nascono da soli: sono i detentori del Potere che li instaurano. Il termine “tabù” nasconde la realtà, una realtà vergognosa per il tanto osannato mondo libero e democratico: sull’unificazione europea, ivi inclusa l’adozione della nuova moneta, e su tutto quanto ha comportato per i cittadini togliendo loro indipendenza,  sovranità, ricchezza, libertà in ogni campo, i governanti hanno imposto una censura di nuovo tipo per cui anche il termine censura è inadeguato e bisognerebbe crearne un altro. Il sistema è stato ed è pressappoco questo: non far sapere nulla ai cittadini; far sapere quello che non si può tenere nascosto esclusivamente elogiandolo e dimenticandolo il giorno dopo; non attribuire mai nulla di quanto accade all’unificazione europea, tanto meno  quello che accade di negativo (c’è sempre la Germania come bersaglio); non collegare mai gli uni agli altri i fatti che riguardano l’Europa. Bisogna poi aggiungere al sistema della segretezza le modalità con le quali si è proceduto all’unificazione: decine di provvedimenti quotidiani o quasi quotidiani, pensati, scritti, calibrati nelle forme appropriate per apparire come strumenti tecnici, politicamente soft, o meglio come costruzione di un’Europa “governata senza governo”.






 Per rendersi conto dell’enorme segretezza che circonda  l’Ue bisogna pensare che sono in attività ogni giorno, riccamente retribuiti da noi, oltre 900 parlamentari, migliaia di funzionari, migliaia di traduttori nelle 27 lingue ufficiali d’Europa, tutte le strutture di uno Stato con una Corte dei Conti, una Corte di Giustizia, una Commissione e un Consiglio con i suoi Ministri, ambasciate in ogni paese del mondo e un Ministro degli esteri che  non conta nulla perché è l’Europa che non conta nulla (né a Obama né a nessun altro capo di Stato viene in mente di rivolgersi a Lady Ashton invece che alla Merkel o a Hollande quando c’è da risolvere qualche problema in comune.) Che cosa fa tutta questa gente? Come mai i giornalisti ci informano di ogni parola, di ogni sospiro che esce dalla bocca di uno qualsiasi dei nostri politici e non ci dicono nulla, assolutamente nulla, delle migliaia di decisioni, di decreti, di norme che da Bruxelles piovono sulla nostra testa? Volete chiamarla censura? No, non esiste un termine per descrivere e per definire il modo con il quale è stata realizzata l’unificazione europea.

  È in questo contesto di menzogne e di totale finzione  che bisogna guardare alla moneta euro: tutto è stato deciso esclusivamente secondo la volontà dei governanti, i quali non torneranno mai indietro, non ammetteranno mai di aver sbagliato perché non hanno sbagliato. E come si può pensare che non sapessero quello che facevano i migliori professori di economia e i migliori banchieri d’Europa? L’euro è una moneta in balia di ogni più piccolo colpo di vento perché non ha uno Stato dietro di sé, ma i proprietari della Banca centrale europea e sono stati gli economisti e i banchieri a volerla così. E’ sufficiente guardare ai fatti per sapere quale sia la realtà. L’unione europea è stata pensata e realizzata per distruggere gli Stati nazionali e la potenza della civiltà europea, consegnandone le ricchezze e i governi alla grande finanza e ai partecipanti delle banche centrali. L’euro ha aiutato a raggiungere questo scopo, accelerando la distruzione delle singole economie. Il progetto era questo ed è riuscito ottimamente.

  Forse si sarebbe ancora in tempo a salvare l’Italia, uscendo però subito dall’Ue e non soltanto dall’euro, ma quale dei nostri governanti lo farebbe? Hanno venduto la propria anima, la patria, la libertà dei propri confratelli per conquistarsi una poltrona di carta in un impero di carta e anche se un movimento politico (che non c’è) riuscisse a provocare  qualche piccola ribellione, si comporterebbero esattamente come si sta comportando Erdogan. La democrazia è obbedienza. I popoli parlino, discutano quanto vogliono dato che le loro opinioni non cambiano nulla alle decisioni dei governanti, ma obbediscano.

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