lunedì 29 luglio 2013

L’INCONTRO – Indipendentisti in cerca di unità

 Il nostro augurio è che tutti i movimenti,i partiti e liberi pensatori indipendentisti sardi si mettano a "sa mesa" per ragionare sulla possibilità di affrontare tutti assieme  la prossima tornata elettorale della regione Sardinya, con nel cuore e nella mente gli interessi natzionali della nostra terra.

Sa Defenza


L’INCONTRO – Indipendentisti in cerca di 

unità

SARDEGNA QUOTIDIANO 

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Le elezioni regionali e lo sbarramento della nuova legge elettorale agitano il fronte indipendentista. 


Domani ad Olbia sarà apparecchiata l’ultima tappa di “Laboratorio Gallura”: «percorsi politici verso l’indipendenza del nostro popolo»,si legge nella locandina dell’evento che apre le porte ai segretarinazionali dei partiti nazionalisti. Hanno già dato la loro adesione Sardigna Natzione, Progres, Fiocco Verde, Psd’Az, Sardigna Libera e Fortza Paris. 

Non sarà presente all’appuntamento Gavino Sale di Irs perché, come fa sapere il diretto interessato, «siamo impegnati nel decennale della fondazione del nostro movimento, a Tissi ma abbiamo partecipato alle altre tappe di Laboratorio Gallura». 

Una serie di incontri per «promuovere un’ipotesi di riunificazione o coalizione dei partiti sardi, indipendentisti ed identitari con la finalità di presentare liste per le prossime regionali». «Perché - spiegano i promotori dell'inziativa - la particolare situazione in cui versa la nostra isola, ci spinge a trovare convergenze che consentano di intraprendere un cammino unitario verso la conquista del governo».

Gli organizzatori tengono pure a precisare che tutto l’apparato non è organizzato da Sardigna Natzione ma da «un gruppo di lavoro i cui membri sono indipendentisti della base, simpatizzanti e alcuni militanti nei vari partiti e movimenti del vasto universo indipendentista, nonché da indipendentisti liberi». 

Però Bustianu Cumpustu, coordinatore nazionale del neonato Laboratorio e leader di Sardigna Natzione,tiene a dire la sua su tutta la questione. Il punto, d’altronde, è sempre quello, e cioè come muoversi in vista dell’appuntamento elettorale fissato per il febbraio del 2014.

«I sovranisti come in un’ardìa a piedi o in una corsa degli scalzi di Sinis cercano di superarsi a vicenda per non perdere gli autobus italianisti che portano agli scranni del consiglio regionale sardo», ragiona Cumpustu, riferendosi ai movimenti dell’ultim’ora che «ingannano se stessi ed i sardi facendo credere che saranno messi loro alla guida». 

Ma non tutto è perduto: «La cultura politica sarda è viva, può dettare una propria agenda politica», rende noto ancora. In prima fila, manco a dirlo, Sardigna Natzione che «chiama,senza pretese di primogeniture, tutte le forze politiche, movimenti, comitati, e singole persone che non hanno dirigenze italiane al dovere di tentare un’alternativa al sistema politico del disastro», è l’appello finale. 

Quindi Laboratorio Gallura come primo passo per «trovare spazi di condivisione e,se ci sarà la maturità necessaria, sintetizzare una proposta di alternativa alsistema del collaborazionismo», è il finale. 

Saluta positivamente l’iniziativa anche il segretario nazionale del Psd’Az Giovanni Colli: «L’idea è quella di promuovere un confronto costante tra partiti e movimenti», osserva per poi precisare che «l’aria non è quella di discutere di formule elettorali ma piuttosto capovolgere i termini della questione. 

Cioè prima il confronto su questioni concrete e poi si vedrà», è la tesi. 

È positivo comunque «l’inizio di un percorso molto importante, dopo le conflittualità precedenti quando ognuno pensava al proprio orticello, ma ancora non sappiamo se i frutti si vedranno alle prossime regionali o più in là», conclude con molta cautela il segretario dei Quattro Mori. 

Francesca Ortalli


Quando si utilizzano i disoccupati per rafforzare lo sfruttamento


Quando si utilizzano i disoccupati per rafforzare lo sfruttamento

Daniel Zamora 
Tradotto da  Centro di Cultura e Documentazione Popolare



Mentre la disoccupazione ha raggiunto livelli record in Europa con un tasso che supera il 12%, in una lunga intervista per Standaard, Bart De Wever [leader del Partito di Nuova Alleanza Fiamminga, N-VA] dichiara che la contraddizione tra capitale e lavoro non è più rilevante: la nuova linea di demarcazione è tra produttivi e non produttivi. Per lui, "lo Stato è un mostro che ispira ed espira denaro. Chi apporta denaro? Quelli che creano valore aggiunto. Chi consuma denaro? I non produttivi, così importanti elettoralmente che consentono di perpetuare questa politica".

In Francia, il deputato di estrema destra Jacques Bompard ha presentato un disegno di legge per trasformare il disoccupato in un lavoratore gratuito. Questa idea, tutt'altro che nuova, era già nel programma di Nicolas Sarkozy nel 2007, suggerendo che "i titolari del minimo sociale siano impegnati in attività di interesse generale, per incoraggiare tutti a trovare un posto di lavoro, piuttosto che vivere di assistenza". In Inghilterra, per giustificare una nuova riforma del sistema di previdenza sociale per ridurre la quantità dei sussidi di disoccupazione, David Cameron dichiara oggi che il sistema "è diventato una scelta di vita per alcuni" [1]. Gli interventi raccomandati da questi politici sono quindi diretti a ripristinare la "giustizia" di un sistema che penalizza chi "lavora sodo" e premiare chi indulge nella "dipendenza". Questo discorso è diventato egemonico e incarna una tendenza generale sul continente dove è diventato luogo comune esaltare "chi si alza presto", contro gli "assistiti", i "produttivi" contro gli "improduttivi" e per meglio legittimare le riforme di austerità e la crescita della disuguaglianza.

Questa idea ci reinvia oggi al "modello tedesco", con la promozione di lavori di interesse generale pagati 1 euro all'ora per ottenere l'assistenza sociale. Il vantaggio di questo modello sviluppato sotto il governo Schroeder tra il 2003-2005, risiede precisamente nel fatto che si concentra sulla ristrutturazione radicale del sistema di disoccupazione e degli ammortizzatori sociali legandoli a profonde riforme in materia di impiego, le riforme Hartz. Questa riconfigurazione dello stato sociale tedesco viene quindi posta a sostegno della riforma del mercato del lavoro, costringendo i disoccupati ad accettare un posto di lavoro anche se lo stipendio percepito è inferiore all'indennità di disoccupazione, facendo esplodere il fenomeno dei "lavoratori poveri". Lungi dal limitarsi ad una politica di moderazione salariale, il modello tedesco ha come caratteristica centrale quella d'aver incentrato i suoi sforzi sulle "riserve" (disoccupati, poveri, precari) e non sui lavoratori "stabili". Ma per questa via, ha causato una profonda destabilizzazione di tutto il mercato del lavoro senza dover affrontare direttamente i settori più sindacalizzati e combattivi del salariato. Tali riforme non sembrano limitate alla Germania, ma invece si generalizzano in tutta Europa. Si pone con insistenza una questione: come spiegare la relativa passività con cui i sindacati e i movimenti operai dei vari paesi hanno risposto a queste riforme. In Belgio la riforma per la riduzione progressiva degli ammortizzatori sociali ha mobilitato solo frange minoritarie del salariato, in Germania le riforme radicali Hartz sono state accompagnate da loro. Come spiegare una mobilitazione così debole da parte degli "attivi" quando si tratta di questioni che interessano i "non-attivi"?

Per capire questo problema, è necessario rifarsi alla polarizzazione dei salari verificatasi tra "attivi" e "non attivi" a seguito dell'esplosione della disoccupazione, fin dagli anni '70. Questo ha cambiato profondamente la visione popolare del mondo, con la separazione tra "loro" (i padroni) e "noi" (i lavoratori), così ben studiata da Richard Hoggart [intellettuale britannico, sociologo, ha dedicato particolare attenzione alla cultura popolare, ndt]. Radicata nell'esperienza quotidiana del mondo del lavoro, questa visione permetteva, anche prima di ogni pratica politica, la solidarietà culturale della classe operaia, fondando l'efficacia del discorso politico della sinistra [2]. La disgregazione degli ambienti popolari ha considerevolmente destabilizzato questa solidarietà, introducendo un "loro" al di sotto di "noi". Parti delle classi popolari hanno iniziato a nutrire la sensazione che "quelli" in alto non facevano nulla contro gli abusi di "quelli" in basso. Nel suo studio sul mondo operaio Oliver Schwartz ha scritto che: "Si produce qui una sorta di coscienza popolare che (...) si rivolta alternativamente contro quelli in alto e quelli in basso" [3]. Questa struttura corrisponde parzialmente al nuovo profilo che il Fronte Nazionale [di Le Pen] cerca di darsi per conquistare il voto delle classi lavoratrici: schierandosi contro il "sistema", le "elite" e il "dio denaro", ma attaccando contemporaneamente i disoccupati, gli immigrati, gli irregolari che ingrossano le fila degli "assistiti" [4]. Questa visione della società non dovrebbe tuttavia renderci ciechi riguardo al fatto che la logica politica della sinistra non è quella che rafforza questa dinamica, ma al contrario, quella che la supera. Sia sul piano teorico, che pratico.

Sul piano teorico significa rompere con la tendenza che ha sostituito il tema della centralità della questione operaia con quello dell'"esclusione", dal periodo post-bellico. In effetti, anche se la problematica si articola in modo differente nei diversi paesi, è tuttavia la questione delle "riserve" in tutte le sue varianti (disoccupati, poveri, precari, immigrati esclusi, ...) ad aver occupato il dibattito pubblico e scientifico per decenni. Come ha notato Xavier Vigna, c'è una nuova messa a fuoco "dal mondo del lavoro all'esclusione, alla povertà e alla disoccupazione" [5], che, paradossalmente, ha contribuito a plasmare questo dualismo nel dibattito pubblico. Separata dall'occupazione, la categoria dei "disoccupati", dei "poveri", dei "precari", non si iscrive più nella nozione di sfruttamento alla base dei rapporti economici quanto invece a forme di dominio, a situazioni di privazione relativa in termini monetari, sociali o psicologici.

A questo proposito è interessante notare come Marx poneva il problema alla sua epoca. Considerando che "Il concetto di lavoratore libero implica che egli è povero: virtualmente povero" [6], concepiva la nozione di pauperismo come latente nel lavoro salariato. Lo è virtualmente poiché è il risultato contraddittorio di uno stesso e unico sviluppo, quello che stabilisce una relazione fatale tra accumulazione di capitale e accumulazione di miseria. Fredric Jameson inoltre sottolineava che dobbiamo partire dalla struttura del modo di produzione e quindi dalla struttura dello sfruttamento e non dalle sue forme immediate e apparenti. Il dominio o l'esclusione sono per lui, non solo "il risultato di questa struttura, ma anche il modo in cui si riproducono" [7] e non il contrario. In questo modo ci incoraggia a "pensare la disoccupazione come una categoria dello sfruttamento" [8] e non solo come uno stato "precario" o una situazione separata dallo sfruttamento del lavoro salariato.

In termini pratici, è chiaro che le organizzazioni di difesa dei disoccupati e dei poveri troppo spesso trattano questi problemi indipendentemente dal mondo del lavoro. Eppure è proprio questa separazione che determina aspre riforme nei confronti delle "riserve", eludendo una forte protesta sociale. Questa mancanza di interesse - vedi la posizione talvolta conservatrice della classe operaia - verso gli "assistiti", diventa uno dei temi centrali dei movimenti sociali per gli anni a venire contro l'austerità. La capacità che avranno le organizzazioni politiche e sindacali a sensibilizzare e legare gli interessi delle "riserve" a quelli della classe operaia "stabile" determineranno il successo o il fallimento delle lotte future. Inoltre, dall'inizio dell'industrializzazione, Marx rimarcava che un passo decisivo nello sviluppo della lotta sociale coincide con il momento in cui i lavoratori scoprono che l'intensità della concorrenza che si fanno gli uni con gli altri dipende interamente dalla pressione esercitata dalle riserve e decidono di unirsi per organizzare obiettivi e azioni comuni tra gli occupati e i non occupati. [9]

Note
[1] http://www.lesoir.be/221184/article/actualite/monde/2013-04-07/david-cameron-vivre-des-aides-sociales-est-un-choix-vie 
[2] Lire à ce propos Robert Castel, La montée des incertitudes, Seuil, Paris, 2009, p. 370-371
[3] Olivier Schartz, Le monde privé des ouvriers, PUF, Paris, 2002, p. 56
[4] Marine Le Pen, Pour que vive la France, Grancher, Paris, 2012, pp.18
[5] Xavier Vigna, Histoire des ouvriers en France au XXe siècle, Perrin, Paris, 2012, p. 282
[6] Karl Marx, Œuvres. Economie II, La Pléiade, Gallimard, Paris, 1968, p.255
[7] Fredric Jameson, Representing capital, Verso, London, 2011, p. 150
[8] Ibid, p. 151
[9] Karl Marx, Œuvres. Economie I, La Pléiade, Gallimard, Paris, 1965, p.1157




Per concessione di Resistenze
Fonte: http://www.michelcollon.info/Quand-on-utilise-les-chomeurs-pour.html?lang=fr

domenica 28 luglio 2013

ZONA FRANCA INTEGRALE IL DIBATTITO CONTINUA...

Il dibattito sulla zona franca integrale , tra le varie polemiche,   si disquisisce in tutta la Sardinya ne parlano tutti e le speranze di una situazione che migliori le condizioni del popolo sardo attrae sempre più folle.

Ognuno dei partecipanti al dibattito ha i suoi riferimenti,  a idee o a punti di partenza diversi, chi si lega alle origini dell'istituzione  del dopoguerra, chi si riferisce alle ultime leggi lasciate inappilicate dalla RAS Sardinya e dai comportamenti poco rispettosi dei politicanti di carriera che si sono susseguiti in questa martoriata terra.

Mettiamo in circolo  questi post e video tratti dal dibattito trasferito in rete per dare una info sulla portata del dibattito quì in Sardinya.

Sa Defenza


Francesco Scifo Maria Rosaria Randaccio Maria Pia Zonca Antioco PattaAndrea Impera



Dopo mesi di lavoro speso visitando ogni paese dell'Isola, posso dire che ormai si è formata in Sardegna un'opinione pubblica in grado di capire cosa sia la zona franca e quali vantaggi l'uso questo strumento di politica economica porti con se. Ormai le leggi che sanciscono questo diritto sono chiare a tutti e tutti possono chiedere il rispetto della legalità, con cognizione dii causa. Dal 1998 Cagliari per legge avrebbe dovuto essere operativa: oggi invece continuiamo a vedere poca chiarezza sugli scopi e sull'oggetto di questi tavoli tecnici, nonchè sui rispettivi ruoli.
Oggi la mancata attuazione della zona franca di Cagliari, ove tutto il procedimento amministrativo di attuazione è stato completato con DPCM fin dal 2001, conferma che la zona franca politicamente non si vuole realizzare.
Sono contento che Andrea Impera vada a rappresentare i movimenti a Roma: dato che ormai è una questione politica e non giuridica perciò, forse, non è opportuno che io sia presente al tavolo. Ritengo ormai doveroso che la Sardegna mostri la propria autonomia e chieda con forza che, da ora in poi, qualsiasi riunione con il Governo centrale per l'attuazione del dlgs. 75/98 sia svolta a Cagliari.
Non siamo una colonia che deve sottostare alle decisioni arbitrarie della madrepatria ma una regione autonoma che fa parte di una Repubblica fondata sul diritto.
Per questi motivi parteciperò a questo tavolo tecnico solo se verrò convocato ufficialmente e messo per tempo al corrente dei contenuti da discutere.



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venerdì 26 luglio 2013

Lettera aperta del generale Aoun all’Unione Europea


Lettera aperta del generale Aoun all’Unione Europea

Mi rivolgo a voi in nome di questa cultura europea a cui mi sento così vicino e di cui divido i valori ed i princìpi.

Sono sconvolto dalla decisione dell’Unione Europea di iscrivere l’ala militare di Hezbollah nell’elenco delle organizzazioni terroristiche. Difatti questa decisione è in evidente contraddizione con la Carta delle Nazione Unite che riconosce il diritto naturale di legittima difesa, individuale o collettiva, nel caso in cui un Membro delle Nazioni Unite sia oggetto di un’aggressione armata.

Quest’ala militare, oggi accusata di terrorismo, è la stessa che costrinse Israele a ritirarsi dal Libano senza condizioni nel maggio del 2000.  La stessa dunque che 22 anni  dopo assicurò l’esecuzione della risoluzione 425 adottata il 19 marzo 1978 dal Consiglio di sicurezza dopo l’occupazione di Israele del sud del Libano.

La risoluzione 425 stipula difatti che il Consiglio di sicurezza dell’ONU esiga da Israele di cessare immediatamente la sua azione militare contro l’integrità territoriale libanese e ritirare immediatamente le sue forze da tutto il territorio libanese. Per 22 lunghi anni è rimasta senza applicazione; perché è così che Israele interpretò allora il termine “ritirare immediatamente”. Il Libano non dovette la liberazione dei suoi territori che alla volontà impeccabile della sua Resistenza, testimone anche dei fatti che portarono Israele a muovere guerra contro il Libano durante l’estate del 2006.

Tuttora il Libano continua a fare fronte a tre aggressioni israeliane accertate:

1) l’occupazione delle fattorie di Chebaa,delle colline di Kfarchouba e del villaggio El-Ghajar.
2) il problema dei profughi palestinesi in Libano
3) le violazioni ripetute della sua integrità territoriale, aerea, e marittima.

A questo si devono aggiungere le illegittime mire israeliane sulle acque territoriali libanesi ed il suo ostinato rifiuto a rispettare le frontiere marittime tracciate secondo le convenzioni internazionali in vigore.

Invece che accusare di terrorismo la Resistenza libanese, sarebbe stato doveroso che le Nazioni-membro dell’Unione Europea sostenessero il diritto del Libano a preservare la sua integrità territoriale, così come il diritto del popolo palestinese a tornare sulle sue terre. Alcuni motivi invocati in passato per rafforzare queste accuse sono già stati rigettati tanto dall’Argentina – per gli attentati di Buenos Aires – che dalla Bulgaria; il ministro degli Affari Esteri bulgaro, pochi giorni orsono, ha difatti dichiarato che niente giustifica una decisione europea contro Hezbollah perché le accuse di una sua implicazione nell’attentato di Burgas sono del tutto infondate.

Quando l’Europa tutta rinnega il diritto di una nazione a difendersi – diritto sancito dalla Carta delle Nazioni Unite –, e quando volta le spalle a queste nazioni che lottano per preservare la loro libertà e la loro sovranità, questa Europa rinnega allora i suoi stessi valori ed i suoi stessi princìpi; volta le spalle alle lezioni della sua Storia; perché ciascuno dei popoli che la costituiscono, in passato, versò il suo sangue per resistere al giogo dell’occupazione.

Esorto dunque l’Unione Europea a restare fedele ai suoi princìpi, ai suoi ideali, ed alla sua Storia. Occorre che prenda coscienza della gravità delle sue responsabilità e che le assuma pienamente in merito al suo ruolo nella guerra che insanguina la Siria con gravi ripercussioni che ricadono sul Libano; una guerra che alcuni dei suoi Stati-membri continuano ad alimentare apertamente con uomini ed armamenti.

Michel Aoun (24 luglio)

Traduzione a cura di Lorenzo de Vita

Fonte > 
 Réseau Internationa
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giovedì 25 luglio 2013

IL CASO KAZAKO E LE GARE DI FILOAMERICANISMO

Interessante anche quanto viene affermato sul sito russo Kompromat  , del coinvolgimento dei servizi di Israele su caso Kazako. http://www.compromat.ru/page_33578.htm
sa defenza

IL CASO KAZAKO E LE GARE DI FILOAMERICANISMO
Di comidad 

Sono passati vari giorni dalla "carica dei Cosacchi" al Ministero degli Interni, ma il caso kazako ancora non è inquadrabile in un contesto preciso. L'effetto di distrazione provocato dal Buffone di Arcore, con la sua patologica tendenza a mentire, all'inizio ha attirato su di lui la maggior parte dei sospetti per la vicenda della frettolosa e brutale espulsione della moglie e della bambina del "dissidente" Ablyazov. 

La menzognera dichiarazione del Buffone di aver conosciuto il presidente kazako Nazarbayev solo nel 2009, anzi di conoscerlo appena, era improponibile nell'epoca di internet, nella quale è a disposizione di chiunque un articolato archivio-stampa. Risultano infatti negli archivi ADN-Kronos incontri del Buffone con Nazarbayev almeno dal 2003, con reciproche promesse di altri viaggi ed incontri, ovviamente con al seguito cordate imprenditoriali, in primis ENI e Finmeccanica.

Non erano mancate neppure le consuete profferte di amicizia personale tra i due leader, nel più tipico linguaggio scompostamente confidenziale di stampo arcoriano, che a suo tempo aveva congedato la ritualità delle formule diplomatiche. 

D'altra parte non si può neppure presentare questi rapporti così cordiali come un'attrazione fatale del Buffone per personaggi di dubbia fama a livello internazionale (i famosi "dittatori"). Alcuni commentatori hanno proposto il paragone con la Corea del Nord, ma il Kazakistan non è affatto catalogato dalla "Comunità Internazionale" - cioè dagli USA - come uno "Stato Canaglia" o uno "Stato Paria". Non si può negare peraltro che Human Rights Watch - cioè l'organizzazione per i diritti umani alle dipendenze dal finanziere George Soros - presenti annualmente rapporti allarmati sul Kazakistan. 


Ambasciatore Kazako

Ciò non sembra però comportare conseguenze sulle sue relazioni internazionali; quindi potrebbe trattarsi non di una scomunica, ma di una semplice spada di Damocle, cioè un "ricordati che se non continuerai a fare il bravo suddito, potrei sempre metterti nella lista dei cattivi". Il Kazakistan può vantare infatti uno status di partner esterno della NATO, confermato dalle notizie riportate dal sito ufficiale della stessa NATO appena l'anno scorso. 

Anche il fatto che il Kazakistan abbia costituito con Russia e Bielorussia un'unione doganale, non è di per sé un sufficiente motivo di frizione con Washington, poiché si tratta di un meccanismo pienamente inserito nelle regole del WTO, e che non disturba le relazioni d'affari con gli USA. 

Infatti è sul sito della Casa Bianca che si possono reperire le lodi più sperticate a Nazarbayev, lodi rivoltegli nel marzo dell'anno scorso dal presidente Obama in persona: la lista dei meriti attribuiti al presidente kazako è praticamente infinita, e va dalla collaborazione nella cosiddetta "lotta al terrorismo", alla partnership negli affari, all'attività nel campo della denuclearizzazione. 

In questo ultimo aspetto Nazarbayev può essere davvero considerato un benefattore degli USA, in quanto il Kazakistan ha letteralmente regalato al Pentagono tutto l'uranio degli impianti nucleari militari ereditati dall'Unione Sovietica. L'ingratitudine degli USA è sì proverbiale (basti pensare alla sorte del povero Pakistan), ma al momento non si riscontrano tracce significative di una qualche ostilità statunitense verso il Kazakistan. 

Poche settimane fa, il 2 luglio, un altro esponente di spicco del Sacro Occidente, uno dei più proni ai diktat americani, il primo ministro britannico Cameron, ha compiuto anche lui un pellegrinaggio d'affari in Kazakistan, intrattenendosi con gli studenti dell'Università che prende il nome proprio dal presidente kazako. 

In quell'occasione a Cameron è stato consentito di pronunciare indisturbato tutta la sua trita propaganda contro Assad davanti ad una platea di studenti addomesticati, nessuno dei quali gli ha chiesto conto della presenza dei reparti speciali britannici delle SAS in Siria, in assistenza ai cosiddetti "ribelli". Eppure questo tipo di notizie è riportato dall'anno scorso (ed in toni smaccatamente celebrativi!) dalla stampa britannica; tutto ciò mentre Cameron sta recitando la sceneggiata del dubbio amletico dell'inviare o non inviare aiuti ai "ribelli" siriani. 

Proprio dal Regno Unito è arrivato in questi ultimi giorni il più grosso depistaggio sul caso Ablyazov. Secondo le voci fatte pervenire dalla Gran Bretagna, Ablyazov avrebbe truffato per vari miliardi alcune banche italiane, tra cui il Monte dei Paschi di Siena. 

Pare strano che con un MPS sotto inchiesta giudiziaria da mesi, questa notizia non sia uscita prima. In realtà dal novembre del 2011 risultava alla magistratura britannica che i maggiori creditori truffati da Ablyazov fossero invece le più importanti banche del Regno Unito, e cioè la Royal Bank of Scotland e la Barclays. La notizia era già disponibile sulla stampa britannica, e "The Guardian" se ne era largamente occupato. 

Non c'è quindi bisogno di supporre esclusivamente moventi affaristici di marca italiana nel troppo zelante servilismo dei funzionari del Ministero degli Interni, poiché nella circostanza si trattava di favorire un beniamino degli USA ed un partner della NATO, più volte insignito di riconoscimenti internazionali nel campo della sedicente lotta al terrorismo. 

In un quadro di sottomissione coloniale come quello dell'Italia, è del tutto fisiologico che la mediazione politica venga scavalcata, dato che la "politica" sta lì solo come pura distrazione ed intrattenimento per l'opinione pubblica; perciò non è assolutamente sorprendente che le burocrazie statali rispondano direttamente ai loro omologhi esteri senza passare per il consenso governativo.

Ma ciò non può essere condotto nel modo plateale che si è riscontrato in questa circostanza, con un ambasciatore/agente segreto straniero che scorazza per un ministero facendosi notare anche da chi non avrebbe dovuto. 

C'è però da considerare che la presenza di un personaggio di spudorata inconsistenza come Angelino Alfano nella poltrona di ministro degli Interni, può aver assunto indirettamente una valenza destabilizzante nella vicenda, convincendo i funzionari ministeriali di poter fare tutto quel che gli pareva. 

Che alcuni prefetti abbiano poi cercato di giustificarsi con il ridicolo pretesto dell'assenteismo di Alfano per il suo "doppio lavoro" di segretario del PdL, è un fatto che conferma questa sensazione, poiché nell'epoca dei telefoni satellitari non ci si può nascondere dietro la patetica foglia di fico dell'irreperibilità del proprio superiore, specialmente se questi vive circondato dalla scorta di polizia. 

La stampa italiana ha affrontato, come sempre, il caso kazako nei termini della pura sottomissione coloniale, cercando di scaricare tutte le responsabilità sul piano interno, secondo i forzati schemi interpretativi della "anomalia italiana" e della "partitocrazia", quando invece le evidenti analogie col caso Abu Omar avrebbero suggerito il contrario. 

Una delle caratteristiche principali del colonialismo psicologico consiste proprio in questa infantilizzazione, in questo compiacimento dell'additare le continue "marachelle" del proprio Paese, presentato come il figlio degenere nell'austera famiglia occidentale. 

Appena un anno fa si era avuto un esempio analogo di questa autorazzistica sottomissione coloniale, allorché il settimanale "l'Espresso" aveva rilanciato con toni scandalistici una "rivelazione" di Wikileaks circa la vendita da parte di Finmeccanica di una tecnologia di telecomunicazioni (il "Tetra") alla Siria. 

Ma la "rivelazione" appariva chiaramente strumentale ed enfatizzata, forse perché in quel periodo Julian Assange era già sotto assedio nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra, ed aveva iniziato la sua collaborazione con la testata giornalistica "Russia Today", quindi aveva bisogno di dimostrare imparzialità facendo un po' di "cerchiobottismo". 

L'ovvia accusa de "l'Espresso" a Finmeccanica era di aiutare il "tiranno" Assad; ciò a conferma dell'aforisma manzoniano, secondo il quale anche ai mascalzoni capita a volte di essere calunniati. 

La stessa notizia era stata infatti riportata dalla stampa americana senza gli eccessi di zelo ed i toni indignati della stampa italiana (gli Americani non hanno bisogno di fare sempre i filoamericani), sottolineando invece che non si trattava di una tecnologia prettamente militare, e che l'affare era stato combinato nel 2008. 

La disciplina filoamericanistica del Paese colonizzato costringe infatti i nostri media a perpetuare le ipocrisie nella rappresentazione della guerra in Siria, mentre i media americani possono già permettersi di trattare quella situazione come un revival della guerra fredda, con gli USA e la Russia che armano e assistono le parti in conflitto.



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