venerdì 19 luglio 2013

F35, la rotta di collisione Partiti divisi sull'acquisto dei 90 caccia dell'americana Lockheed Si ipotizza una spesa di 14 miliardi. Il voto di Camera e Senato


F35, la rotta di collisione Partiti divisi sull'acquisto dei 90 caccia dell'americana Lockheed Si ipotizza una spesa di 14 miliardi. Il voto di Camera e Senato

di Augusto Ditel
www.unionesarda.it

Una lettera: F. Due numeri: 35. Trilogia di guerra, scenari d'attacco a potenze straniere secondo input americani. Eppoi, soldi, tantissimi soldi per acquistare questi cacciabombardieri di quinta generazione a tecnologia avanzatissima, costruti dalla Lockheed. F35 Lightening II è il nome di un programma militare conosciuto anche come Joint strike fighter , lanciato dagli Stati Uniti insieme con altri otto Paesi alleati, tra cui l'Italia, all'inizio degli anni '90. I soldi in ballo sono talmente tanti che tutti danno i numeri, ma nessuno sa quantificare con esattezza l'impegno finanziario del nostro Paese. 

TIPO A E B 

Comunque, non si tratta di bruscolini. L'F35 di tipo A (quello a decollo tradizionale) costa poco meno di 100 milioni di euro; per l'altro (tipo B), a decollo rapido simile a quello di un elicottero per intenderci, occorrono sui 107 milioni per macchina. Secondo calcoli approssimati per difetto, dopo la riduzione del numero dei velivoli (da 131 a 90) decisa dall'allora ministro del governo guidato da Mario Monti, Giampaolo Di Paola, le risorse da impiegare sfiorano i 14 miliardi. Ma per esempio il Movimento 5 Stelle ritiene che, alla fine l'Italia, se non si darà una mossa, ne spenderà 50, di miliardi.

LE POLEMICHE 

Il dibattito sull'opportunità di alimentare la corsa agli armamenti, con cifre colossali, in un momento come questo, è assai articolato. Montano le polemiche perché si ha l'impressione che la stragrande maggioranza dell'opinione pubblica non comprenda né tantomeno giustifichi la spesa, e le stesse forze politiche si sono lacerate su due mozioni, votate a maggioranza da Camera e Senato. Tra i partiti che sostengono il governo, il Pd è quello più attraversato da correnti contrarie. 

LA CAMERA 

Hanno cominciato i deputati, lo scorso 26 giugno (381 sì, 149 no), col dire sì a una mozione della maggioranza che non blocca per nulla (si potrebbe dire che congela) l'acquisto degli F35, e rimanda ogni decisione al voto del Parlamento.
A Montecitorio la mozione presentata da Sel e Movimento 5 Stelle prevedeva l'annullamento dell'acquisto, ma è stata respinta (136 a favore, 378 contrari). Un no secco, questo, che ha prodotto una diaspora tra i Democratici, molti dei quali invitano i compagni a non confondere le esigenze di Difesa, da quelle del welfare. La stessa Valentina Sanna, ieri, nel dimettersi da presidente dell'assemblea regionale del Pd ha fatto riferimento alla vicenda degli F35.
Giusto per restare in Sardegna, se da un lato il capogruppo del Pd in Commissione Difesa, Gian Piero Scanu, ha detto sì alla mozione di maggioranza, dall'altro Mauro Pili, del Pdl, è stato l'unico parlamentare sardo di una forza politica che sostiene il Governo di Enrico Letta a schierarsi con le opposizioni.


IL SENATO 

Il voto del Senato è di martedì scorso: 202 sì, 55 no, 15 astenuti. Simile il contenuto della mozione di maggioranza: rinvio di ogni determinazione su quanti aerei comprare, secondo il volere del Parlamento, come prescrive l'articolo 4 della legge 244 del 2012. Contrari, anche a Palazzo Madama, Sel e M5S. In quest'ultimo gruppo il no più covinto agli F35 è arrivato dal senatore cagliaritano Roberto Cotti, autore di una clamorosa protesta: in aula ha indossato una giacca tricolore e la bandiera della Pace, poi se l'è tolta su invito del presidente Piero Grasso. Molto più marcato, al Senato, il malessere (!) nel Pd. L'alfiere della contestazione è l'ex magistrato Felice Casson, in dissenso con l'indicazione di partito e dunque d'accordo con Sel e M5S. Come lui la pensano Laura Puppato e il giornalista Corradino Mineo.

Per una nuova indipendenza, le sfide del Partito dei Sardi


Per una nuova indipendenza, le sfide del Partito dei Sardi

di GIORGIO PISANO
www.unionesarda.it


Franciscu Sedda
Gli stati generali del nuovo indipendentismo sono convocati domani (sabato 20 luglio 13) a Losa per assistere al battesimo quasi ufficiale d'una ultimissima creatura politica: il Partito dei Sardi. Obiettivo: correre (e possibilmente vincere) alle prossime elezioni regionali. Dietro si muove Franciscu Sedda, semiologo all'università di Tor Vergata, transfuga dall'Irs di Gavino Sale e da Progres di cui era padre legittimo. Con lui c'è Paolo Maninchedda, prof universitario a Cagliari, plurischierato, nel senso che ha attraversato l'universo dal pianeta Dc al centrosinistra per transitare poi in area sardista e riproporsi adesso in veste inedita.
Trentasette anni, sposato a una militante (Ornella), una figlia (Soliana), un bel manifesto politico alle spalle ( I sardi sono capaci d'amare ), Sedda si lancia in questa avventura «con l'entusiasmo dell'evoluzione».

Che vuol dire?«Significa che mi sono liberato da un'idea vecchia e folcloristica di indipendentismo, dalla logica dei duri e puri che però non contano niente. Ai sardi dico che dobbiamo liberare la parte migliore di noi e diventare sovrani in casa nostra, come accade a Malta, in Scozia o in Catalogna».

Che significa sovrani?«Recuperare, per esempio, quei diritti sanciti dallo Statuto eppure ignorati. In questa logica si spiega la battaglia per creare un'Agenzia sarda delle Entrate. Dopo la raccolta di firme, aspettiamo che il Consiglio regionale la faccia diventare legge».

Andate soli alle elezioni?«Noi confidiamo di far parte del cartello di centrosinistra. Non credo ci siano problemi anche perché il nostro programma di governo ha molti punti in comune con quell'area».

Candidato presidente?«Quasi certamente Paolo Maninchedda».

Strana alleanza la vostra, no?«No. Maninchedda ed io siamo profondamente diversi ma il Partito dei Sardi non deve far le pulci a nessuno. È già una vittoria saper guardare oltre, verso il futuro. In fondo, chiediamo di liberare la parte migliore di noi stessi. Eppoi, Maninchedda è l'unico consigliere regionale che ha presentato una mozione sull'indipendentismo».

I compagni di ieri che ne dicono?«Ci siamo confrontati ma non c'è stato nulla da fare. Avremmo voluto unirli, fare fronte comune, ma ha prevalso la divisione: ognuno per conto proprio, ciascuno con certezze sacrali, inviolabili».

Cosa manca ai sardi per acquisire coscienza nazionale?«La capacità di guardare al presente e alla storia di questa terra. Già nel dodicesimo secolo Barisone parlava di sovranità dei sardi, sovranità di un popolo che decide il destino comune. Da allora non siamo cresciuti granché».

Però restiamo liberi di lamentarci.«Appunto. Non siamo riusciti a svezzarci da vizi antichi come quello del vittimismo. Non ci ha aiutato, negli anni, la classe politica: è rimasta inerte e passiva di fronte al governo di Roma anche nel caso, come succede per le entrate fiscali, di diritti sacrosanti».

E i sardisti, che dire dei fratelli coltelli?«Il Psd'Az ha fatto da tempo una scelta di centrodestra che noi non condividiamo. Ne prendiamo atto: il partito di Giacomo Sanna è una delle tante sfaccettature di un malinteso senso dell'indipendentismo. Non è un caso che Maninchedda sia separato in casa nel gruppo consiliare per evidente incompatibilità».

Piccoli e fragili: come pensate di superare lo sbarramento?«Faremo parte di una coalizione piuttosto ampia e questo ci metterà al riparo dal rischio di restare a bocca asciutta, fuori dal prossimo Consiglio regionale».

L'incognita 5 Stelle vi preoccupa?«Non più di tanto. Si tratta di un movimento che ha dato un forte segnale di rottura ma ha finito poi per perdersi in questioni di nessun valore. Ho la sensazione che dopo il boom elettorale alle Politiche, i grillini siano adesso in fase calante. La novità siamo noi».

Ugo Cappellacci vi ha deluso?«Ha governato il vuoto per quattro anni mentre negli ultimi dodici mesi ha riscoperto un attivismo sorprendente impadronendosi, tra l'altro, di battaglie che non gli appartengono. Sto parlando, giusto per capirci, di sovranità fiscale. Dovessi fare un bilancio direi che la giunta Cappellacci ha sprecato il suo tempo e, purtroppo, quello di tutti noi».

L'opposizione ha funzionato?«Poteva certamente fare di più. Si è trovata spesso in panne, divisa e polemica al suo interno. La mia impressione è che abbia svolto il suo ruolo per senso del dovere piuttosto che per convinzione. È mancata la grinta necessaria, la consapevolezza di quella che noi chiamiamo costante esistenziale».

Che sarebbe?«A differenza di quella resistenziale di cui parlava il professor Lilliu, la costante esistenziale è la conquista d'una consapevolezza: capire chi siamo, quali siano i nostri diritti, dove dovremmo puntare. Per questo vogliamo creare un Partito dei Sardi in Europa».

La variabile Michela Murgia?«È una libera cittadina, siamo in democrazia e dunque può fare quello che crede».

Non la sentite affatto vicina. Eppure è indipendentista.«Quando abbiamo avviato il nostro progetto, Paolo Maninchedda ed io abbiamo scommesso sull'unità, sul raggruppamento delle varie anime indipendentiste. Che però hanno scelto altre strade».

Lei, ad esempio, perché ha abbandonato Progres?«Perché non mi piace un indipendentismo che si parla addosso, che si chiude nel fortino della purezza ideologica per guardarsi allo specchio. Preferisco scendere in piazza per conquistarmi la fiducia di quelli che ancora indipendentisti non sono; preferisco parlare ai sardi, a tutti i sardi, senza fare le pagelle dei buoni e cattivi o la selezione sulle aree di provenienza».

Insomma, siete la differenza.«Non abbiamo questa pretesa. Più semplicemente usciamo da una logica che ci sembra superata. La sovranità che rivendichiamo non è diversa da quella scozzese che a settembre del 2014 vota un referendum per presentarsi in Europa come Stato membro».


E questo ha un senso?«Eccome. Vorrei che i sardi si rendessero conto delle condizioni in cui ci fanno vivere: penso a mia figlia e mi chiedo quale sarà il livello delle scuole che l'aspettano, quale sanità, perfino su quali strade dovrà camminare. Noi vogliamo costruire uno Stato, non vogliamo continuare a subire l'arbitrio della centralità romana su questioni per noi fondamentali. Eppoi, credo d'aver già vinto».

Già vinto?«Beh, molte tematiche di quindici anni fa oggi sono all'ordine del giorno. Quello che allora non avevamo capito è il rapporto con gli altri: non basta la qualità delle proposte, bisogna conquistare il consenso e, col consenso, il diritto a governare. Finora siamo rimasti trincerati su posizioni che avevano invece bisogno di una verifica popolare».

Per questo ha rinnegato i sacri padri, cioè Bellieni e Lussu?«Ci hanno fatto credere che l'autonomia fosse il massimo dei risultati possibili. Ed è sbagliato. Aveva ragione chi, come Antonio Gramsci, diceva che non si deve dissertare di politica ma viverla pragmaticamente. Uscire allo scoperto, insomma».

È questo che vi separa dagli altri?«Ci dividiamo su fatti concreti. La situazione muterebbe radicalmente se avessimo un'Agenzia che incassa i tributi pagati dai sardi e, una volta detratta la parte che spetta alla regione, versa il resto allo Stato. Oppure, visto che i soldi in cassa li abbiamo noi, riapre qualche contenzioso rimasto impiccato. Ci ritroveremmo il coltello dalla parte del manico. E questa è già una rivoluzione».
pisano@unionesarda.it

martedì 16 luglio 2013

PRO DARE SA PARAULA A SA NATZIONE E DARE IDENTIDADE A SA CULTURA POLITICA NATZIONALE

PRO DARE SA PARAULA A SA NATZIONE E DARE IDENTIDADE A SA
CULTURA POLITICA NATZIONALE


Bustianu Cumpostu

COORDINADORI NATZIONALE
 DE SARDIGNA NATZIONE INDIPENDENTZIA

ANDALAS  PRO ASSENDERE A SOS STATI GENERALI DELLA NAZIONE SARDA
PRENDERE ATTO DEL DISASTRO
  • Il disastro, economico, politico, culturale, ambientale, energetico, di rappresentatività, psicologico, di autostima e di auto-fiducia, causato alla Sardegna ed ai Sardi è evidente e ormai difficilmente riparabile.
  • Le cause di tale disastro sono altrettanto evidenti e ricadono sul sistema che ha imposto, modelli, e tempi, che  ha elevato ad obiettivi il fallimento ed il disastro, ha perpetuato la dipendenza e impedito iniziative economiche o politiche fuori sistema.  
  • Un sistema complesso quello del disastro sardo, nel quale vere e proprie agenzie della dipendenza, create dal sistema politico e sindacale italiano hanno imposto la loro cultura politica, la hanno resa totalizzante ed hanno ridotto a suoi sottoinsiemi gran parte delle espressioni politiche di genesi e motivazione organiche alla nazione sarda.

INSUFFICIENZA DELLE ESPRESSIONI POLITICHE SARDE
  • Bisogna prendere atto che le espressioni politiche che la nazione sarda ha generato perché fungessero da anticorpi contro il sistema del disastro, non solo non sono state all’altezza di contrastare l’avanzamento del male ma in parte si sono trovate, non volendolo, coinvolte ed integrate nel sistema linfatico che lo alimenta.
  • Non serve a niente distribuire quote di responsabilità tra le espressioni politiche sarde, dobbiamo solo prendere atto della loro insufficienza   e della necessità di restituire le deleghe alla natzione sarda, aprire le gabbie e chiamare, insieme, la gente sarda a dare corpo collettivo e cervello collettivo alla nazione per avere un ruolo nel decidere e contrastare il sistema del disastro con una propria cultura politica, intesa in senso lato, anche in compartecipazione con la cultura politica italianista ma da essa disgiunta e con essa in concorrenza.

STATI GENERALI DELLA NATZIONE SARDA
  • Quando si è in emergenza si chiama a raccolta tutta la famiglia ed ogni componente ha la sua quota di responsabilità ed ha il dovere di contribuire al superamento dell’emergenza, ma più di tutti hanno responsabilità le espressioni politiche e culturali che la famiglia ha generato in base ai propri bisogni, interessi ed aspettative. Spetta a loro, sintesi organizzate della nazione, leggere l’emergenza, valutarne la gravità e proporre occasioni e modi per collettivizzare responsabilità e soluzioni.
  • Le sintesi organizzate della nazione, devono chiamare a consulto gli STATI GENERALI DELLA NAZIONE SARDA, formare un gruppo di serietà nazionale e creare le condizioni perché LA CULTURA POLITICA SARDA entri nello scenario, batta i propri tempi, determini azioni e proposte proprie, viva, pur in compartecipazione, di vita propria e non di supporto o contrasto alla cultura politica italiana.
  • Le sintesi “sardiste” hanno il dovere di creare spazio vitale alla cultura politica sarda e di creare spazio e motivazione politici di esistenza anche per se stesse, che altrimenti non avranno capitale politico autonomo ma solo all’interno del contesto “italianista”.
  • NON DEVE ESSERE UN EVENTO INTERNO ALLA CONTINGENZA ELETTORALE E FINALIZZATO AD ESSA, ma deve entrare dentro il contesto ricettivo indotto da tale evento, polarizzare l’attenzione aprendo un sipario più serio e in alternativa a quello presentato dalle comparse sarde negli scontri di potere che vanno in scena nel teatro italiano.
  • Ogni sintesi “sardista” deve essere lasciata libera di continuare le sue trattative elettorali, tale argomento non deve essere motivo di scontro ma  non può neanche essere usato per nascondere, alla nazione, i propri intenti, omettere proposte e rifiutare condivisioni.
  • Se le condivisioni si riscontreranno nelle parole, si creeranno le condizioni perché si concretizzino nei fatti,  chi non sarà coerente verrà valutato dalla gente sarda, dagli stati generali della natzione sarda.
  • Non ci dovranno essere schemi o pregiudiziali, ne graduatorie di sardismo o di indipendentismo e l’ambito di riferimento sarà quello del nazionalismo, di coloro, sardi, che pensano che la famiglia di riferimento sia la nazione e non lo stato e che credono che le libertà collettive nascano dal rispetto e dalla tutela delle particolarità nazionali e non dagli interessi degli stati.


No isco si so resessidu in sa punda, ma ispero de aere abertu un’andala.

Cun istima manna
Bustianu Cumpostu


domenica 14 luglio 2013

SU SARDU EST LIMBA. IN SU 2001 A SU PROTZESSU CONTRAS S'ENEL IS INDIPENDETISTAS CHISTIONANT IN LIMBA

SU SARDU EST LIMBA. IN SU 2001 A SU PROTZESSU CONTRAS S'ENEL IS INDIPENDETISTAS CHISTIONANT IN LIMBA


Juanne Zoseppe Bandinu


In limba contro l’Enel davanti al giudice. Primo processo col traduttore per gli indipendentisti sardi che occuparono la sala comandi della centrale: «per denunciare le maxibollette applicate nell’Isola».


L'Unione Sarda | 11 dicembre 2001

Sassari. “Porte aperte alla centrale”, era un vecchio slogan dell’Enel. E loro, indipendentisti doc, lo hanno preso alla lettera e sono entrati dritti dritti prima nella sala comando della termocentrale di Fiumesanto e poi nell’aula di un tribunale che ha battezzato il primo processo in limba.

Accusati di minacce, resistenza a pubblico ufficiale eccetera eccetera, gli otto del commando Amsicora, col dovuto rispetto per il giudice “straniero”, la loro battaglia l’hanno già vinta: portare a conoscenza di tutti il grande salasso energetico inflitto ai sardi. Una bolletta che nell’Isola pesa oltre il quaranta per cento in più rispetto agli utenti del resto d’Italia. Cavallo di razza cavalcato, dopo l’incursione,un po’ da tutti i partiti politici.


Ieri finalmente si è aperto il processo, con tanto di traduttore ufficiale per la prima volta nella storia. Il professor Michele Pinna, docente universitario di Lingua e letteratura sarda alla facoltà di lettere e filosofia, ha accompagnato con la versione in italiano le dichiarazioni spontanee di Giovanni Pietro Marras, meglio noto come “Zampa” e Gavino Sale, leader di Sardigna Natzione (attualmente coordinatore di IRS, ndr) all’epoca responsabile della Commissione politiche energetiche del partito.


Il giudice Guido Vecchione ha fatto capire subito che aria tirava, allontanando l’ex interprete, arrivata in aula con bavaglio alla bocca e cartelloni appesi al collo, a denunciare l’ennesima ingiustizia. L’avevano esclusa perché la sua domanda di iscrizione all’albo dei traduttori ufficiali era stata redatta soltanto in lingua sarda, senza traduzione in italiano. «Niente sceneggiate, prego», e dopo la decisione del giudice l’interprete si lascia accompagnare fuori.


Poi l’aula si riempie, “Zampa” Marras, sotto l’inseparabile berritta, prova a raccontare i suoi natali. «Si attenga ai fatti». Quello che accade il diciannove ottobre di quattro anni fa non è casuale, dice Zampa. È stato pensato due mesi prima, vista l’inutilità di convegni e volantini e la scarsa incisività di sporadiche apparizioni sul giornale. Stavolta sulla carta stampata vogliono apparire ben bene, caratteri in neretto, per un’azione clamorosa quanto pacifica.


A “Porte aperte” loro ci sono, otto patrioti del commando: «due donne coraggiose e sei uomini arditi». Ma, sottolineano al giudice, sempre nel pieno rispetto della legalità: «decisi a denunciare l’Enel, che dal 1962 ha estorto alle famiglie e alle industrie sarde all’incirca ottomila miliardi di lire».


Mai nessun accenno alle armi? chiede il giudice Vecchione. «Mai, per me tutte le armi del mondo depen esser fattas a chijina», devono essere ridotte in cenere, chiarisce l’interprete. Per Gavino Sale non ci sono dubbi. Ma quali armi, l’unica arma era il suo Tritolo, compagno di commando così chiamato per le sue esplosioni di allegria, così contagiose. Soltanto un equivoco. «Non ci siamo mai qualificati come gruppo armato, mai abbiamo avuto l’intenzione di abbassare quella leva e spegnere la centrale elettrica, privando della luce i fratelli sardi. Questo era piuttosto l’intendimento dell’ingegner Signoriello, il metodo più veloce per far intervenire i carabinieri. Noi lo abbiamo dissuaso». Le domande dell’avvocato Teresa Pes sono filtrate senza traduttore, per risparmiare sui tempi altrimenti infiniti del processo. Che si concluderà soltanto il sette febbraio ma per un problema tutto avvocatizio.


Tutto a posto quindi, il traduttore c’era, il processo si è tenuto regolarmente, il sardo è entrato ufficialmente in un’aula giudiziaria, accompagnato da telecamere e macchine fotografiche.

Articolo di Patrizia Canu.

sabato 13 luglio 2013

SHA'AR HA BA'AL!

SHA'AR HA BA'AL!

Vàturu Erriu Onnis Sayli 

sa defenza

A San Giovanni in Sinis si è consumato un lauto pasto culturale, il Prof Gigi Sanna esperto studioso di lingue antiche ha esposto agli astanti le sue teorie sulle scritte scoperte  presso: "SHA'AR HA BA'AL" era la "LA PORTA DEL SOLE" conosciuta oggi come la sala da ballo, antica cava nuragica bagnata  dal mare nella penisola del Sinis nel comune di Cabras (OR)  -Sardinya- .

I partecipanti , una cinquantina di persone appassionate di studi su "la nuraxia  e sa limba de is etzus" guidati dal Prof Gigi Sanna , hanno approfondito e sviscerato il significato delle antiche iscrizioni presenti  presso SHA'AR HA BA'AL , vedi immagine sottostante.


riproduzione pittografica dei segni e scritte nuragiche presso SHA'AR HA BA'AL effettuate dal Prof Gigi Sanna
La giornata è stata, a dir poco, radiosa ; le intelligenze degli astanti che pressavano il prof Sanna di domande prima: circa  la veridicità e la non falsità dei pittogrammi ha impegnato il Prof in lunghe e profuse disquisizioni scientifiche,  esposizioni suffragate anche da tecnici presenti in loco,oltre a intellettuali e studiosi di arkeo come la Dott. Aba Losi, inoltre tecnici e studiosi di posizioni  mappali; hanno spiegato come le  coordinate geografiche costruite con precisione dettata agli scultori dagli antichi scribi nuragici era importante per la precisione usata e con dovizia affinché la caduta precisa del del solstizio estivo sull'immagine del viso nello spigolo della roccia fosse delineata pienamente al sopraggiungere del crepuscolo del solstizio estivo, ove si tenevano riti religiosi in onore di NU-Ra porta di LUCE che  si può osservare nell'immagine sottostante .


pittogrammi nuragici indicanti la porta della luce


Il prof Sanna, spiega i pittogrammi , la tanit una specie di pupattola , segno protocananaico simile allo schema dentro il brassard; il segno a T e quello simile a C sembrano segni romani ma non lo sono , sono segni antichissimi; il resch , il pittogramma è un disegno e sembra ciò che non è conosciuto. Sui segni che si ripetono , continua il Prof.,   sono segni da noi conosciuti, come ad esempio il serpente che è l'attuale N, o la testa del toro è una Aleph .. l'occhio la consideriamo che sia un'inclusione della roccia , ma, questo ispira un occhio di RA,  poi c'è un NUR luce , in pratica i pittogrammi possiamo ipotizzare essere una frase del tipo: Lui è luce dell'occhio di RA. il pittogramma è Resh è la testa, l'aleph del toro. Se va bene questa lettura la lettera T può rappresentare he e yod. Valori fonetici sulle conoscenze degli oltre 150 simboli nuragici conosciuti,così interpretiamo: testa di colui che da la vita.



La dr.sa Aba Losi mostra l'immagine, un viso a forma di goccia,  che ha ritratto poche ore prima sulla riva rocciosa sotto la città nuragica di Tharros,  spiega,  sia  di sicura fattura  nuragica.

Sotto il Prof Sanna  spiega le iscrizioni, trovate casualmente da un appassionato ricercatore di segni antichi qual è Stefano Sanna; che apparentemente a prima vista sembrano lettere latine , mentre nella decriptata realtà sono segni e pittogrammi nuragici che il prof. ci spiega ampiamente  con la dovuta sapienza e conoscenza delle lettere antiche scritte sulla roccia, con  vista a mare,  dagli antichi sacerdoti amanunensi nuragici.


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