giovedì 17 novembre 2011

Gasdotto, mezze verità mezze bugie

16 novembre 2011


Stefano Deliperi

manifestosardo.org


La vicenda del progetto di gasdotto Algeria – Sardegna – Toscana proposto da Galsi s.p.a. rappresenta proprio un caso emblematico di come le cose nascano e siano gestite in Sardegna. A cavolo. O a membro di segugio, come preferite.

C’è una società di infrastrutture (Galsi s.p.a.) direttamente o indirettamente riconducibile a Stati e regioni europei (Italia, Regione autonoma della Sardegna) o magrebini (Algeria) che intende realizzare un’infrastruttura energetica definita “strategica” dall’Unione Europea. L’obiettivo è portare miliardi di metri cubi di gas naturale dai giacimenti algerini alla rete europea. La Sardegna, poi, è l’unica regione italiana non servita da una rete di distribuzione di gas naturale. Senza dimenticare che, in un’ottica di medio periodo, il gas naturale può essere una fonte energetica di transizione dalle fonti fossili “tradizionali” (olio pesante) e finto-alternative (es. Targas) verso le fonti energetiche rinnovabili.

A questo punto, essendo fondamentale sul piano economico il passaggio sulla terraferma sarda, la Regione autonoma della Sardegna, azionista di Galsi s.p.a. attraverso la società finanziaria Sfirs s.p.a. (detiene l’11,6% del capitale sociale), avrebbe dovuto giocare il suo ruolo da protagonista, dettando condizioni temporali e infrastrutturali irrinunciabili per la realizzazione dell’opera in progetto.

In parole povere, il tracciato, i tempi di realizzazione e le opere di connessione alle aree industriali e urbane le avrebbe dovute decidere la Regione autonoma della Sardegna, attraverso il coinvolgimento delle comunità locali e i soggetti sociali interessati (imprenditori, agricoltori, associazioni ecologiste, ecc.).

Le varie Amministrazioni regionali che si sono succedute dalla proposta dell’opera (Pili, Masala, Soru, Cappellacci) non hanno fatto niente di tutto questo, non hanno fatto praticamente nulla per minimizzare l’impatto ambientale e per massimizzare l’utilità dell’opera per l’Isola.

Il tracciato l’ha progettato Galsi s.p.a. e le uniche variazioni sono state quelle imposte dal provvedimento conclusivo del procedimento di valutazione di impatto ambientale – V.I.A., il decreto DVA DEC – 2011 n. 64 del 24 febbraio 2011, con gli allegati (parere della Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale V.I.A. e V.A.S. CTVA – 2011 n. 174 del 25 gennaio 2011; parere del Ministero dei beni e attività culturali – Direzione generale per il paesaggio, le belle arti, l’architettura e l’arte contemporanee n. 25241 del 25 agosto 2010; parere Regione autonoma della Sardegna – Assessore della difesa dell’ambiente n. 28308 del 17 dicembre 2010). Risultato ottenuto soprattutto grazie alla battaglia disperata di associazioni ecologiste come Gruppo d’Intervento Giuridico, Amici della Terra e Lega per l’Abolizione della Caccia e appassionati disinteressati come l’ornitologo Giuseppe Floris e la biologa marina Paola Turella.

Per anni l’interesse mostrato da amministrazioni locali e popolazioni interessate è stato piuttosto scarso fino a queste ultime settimane, quando in modo caotico e poco ragionato le tifoserie del “si”, del “no”, del “nì” e del “boh” si sono improvvisamente destate. Le associazioni ecologiste Gruppo d’Intervento Giuridico, Amici della Terra e Lega per l’Abolizione della Caccia avevano in proposito presentato uno specifico atto di “osservazioni” (20 febbraio 2010) indicando varie modifiche del tracciato per la salvaguardia di aree di rilevante interesse ambientale e naturalistico, nonché attività economiche e sviluppando sinergie con il solo Comune di S. Antioco, comitati, semplici cittadini, pur essendovi stati anche incontri pubblici di sensibilizzazione a S. Antioco e Portoscuso (a fine gennaio 2010 e a fine febbraio 2010).

Ma dove passa il tracciato del gasdotto Galsi? Interessa la prateria di posidonia del Golfo di Palmas, vero e proprio polmone d’ossigeno per il mare e la pesca locale, le zone umide litoranee del basso Sulcis, i vigneti del Carignano (Sulcis) e del Vermentino (Gallura), zone agricole del Campidano e dell’Arborea, numerosi siti di importanza comunitaria, allevamenti di cavalli (Gallura), boschi (in varie parti della Sardegna), zone turistiche (Olbia). Eppure le proposte alternative non sono mancate. Il tracciato dovrebbe esser diverso – con l’approdo nella zona industriale di Portovesme (e non nel Golfo di Palmas), lungo aree già pubbliche del tracciato dismesso delle Ferrovie Meridionali Sarde, lungo i tratti dismessi e le fasce di rispetto della S. S. n. 131 e di altra viabilità pubblica – come abbiamo formalmente chiesto nell’atto di intervento del procedimento di V.I.A. – e l’impatto ambientale e socio-economico sarebbe infinitamente minore. Inoltre, come abbiamo analogamente formalmente richiesto, dovrebbero esser previsti e finanziati i collegamenti e le connessioni con le reti di distribuzione delle aree urbane e industriali sarde (es. con i fondi comunitari 2007-2013). Altrimenti, ci dovremo tenere chissà fin quando impianti inquinanti e depredatori di soldi pubblici come il Targas (gruppo Saras s.p.a.) e quelli di Portovesme e Porto Torres.

Perché di questo non parlano l’on. Mauro Pili, il Presidente della Provincia di Carbonia-Iglesias Tore Cherchi e tutti gli altri sfegatati tifosi del gasdotto? Dove stanno i progetti e – soprattutto – i soldi per le connessioni con le aree urbane e industriali?

Ora siamo agli ultimi atti della lunga procedura: il 25 luglio 2011 sul quotidiano La Nuova Sardegna è stato pubblicato l’avviso + elenco particelle catastali e proprietari di avvio del procedimento di esproprio (art. 52 ter del D.P.R. n. 327/2001 e s.m.i.) delle aree interessate dal tracciato in Sardegna e a Piombino, in Toscana. Inoltre, il Ministero dell’ambiente, pur imponendo solo minime modifiche di tracciato (soprattutto nella parte a mare: la prateria di Posidonia oceanica interessata è di 78.700 mq. rispetto ai 175.800 della versione progettuale Galsi, con una riduzione di circa 97.000 mq.), ha disposto ben 112 prescrizioni vincolanti (65 da parte del Ministero dell’ambiente, 17 da parte del Ministero per i beni e attività culturali, 30 da parte della Regione autonoma della Sardegna) e rimane necessario il parere della Commissione europea (art. 5, comma 10°, del D.P.R. n. 357/1997 e s.m.i.), nonostante le modifiche di tracciato imposte, in quanto “comunque persista un’incidenza negativa sull’habitat tutelato ai sensi della Direttiva europea 92/43 Habitat e dei D.P.R. n. 357/1997 e 120/2003”.

Rimangono inoltre da acquisire i pareri sul vincolo idrogeologico (regio decreto n. 3267/1923 e s.m.i.) da parte dei competenti Ispettorati del Corpo forestale e di vigilanza ambientale, l’autorizzazione integrata ambientale–A.I.A. sulla centrale di compressione di Olbia, l’approvazione del piano di caratterizzazione per l’attraversamento di aree minerarie dismesse, eventuali ulteriori prescrizioni da parte della Direzione generale protezione della natura del Ministero dell’ambiente per l’attraversamento del “Santuario dei Cetacei”, il parere sull’immersione in mare dei materiali di escavo marino (art. 109 del decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i.).

Allo stato attuale, senza alcuna distribuzione locale immediata del metano, il gasdotto Galsi s.p.a. è solo portatore di danni ambientali e socio-economici, ma di nessun beneficio per la Sardegna. L’ennesima speculazione, grazie all’insipienza della Regione autonoma della Sardegna e della sua classe politica, buona solo a parlare per slogan.


domenica 6 novembre 2011

Giornalista giapponese accusa Israele di sabotaggio al reattore di Fukushima

Un eminente giornalista giapponese – Yoichi Shimatsu, ex editore del Japan Times Weekly – ha recentemente rilasciato due dichiarazioni incredibili relative all’impianto nucleare di Fukushima, dove si è verificata la fusione nucleare del nocciolo nel marzo del 2011, con conseguenti onde d’urto in tutto il mondo.
http://americanfreepress.net/?p=969

By Richard Walker -


FUKUSHIMA il reattore esploso

Un eminente giornalista giapponese – Yoichi Shimatsu, ex editore del Japan Times Weekly – ha recentemente rilasciato due dichiarazioni incredibili relative all’impianto nucleare di Fukushima, dove si è verificata la fusione nucleare del nocciolo nel marzo del 2011, con conseguenti onde d’urto in tutto il mondo.

La prima accusa sostiene che USA ed Israele erano a conoscenza del fatto che a Fukushima fossero presenti sia dell’uranio che del plutonio – a livello di arma – rimasti esposti all’atmosfera dopo lo tsunami. La seconda accusa, attribuisce all’intelligence israeliana il sabotaggio del reattore come ritorsione dopo il sostegno giapponese all’indipendenza dello Stato palestinese.

Stando a quando affermato da Shimatsu questi materiali nucleari furono immessi nell’impianto nel 2007 per ordine di Dick Cheney e di George W. Bush, con la connivenza di Ehud Olmert, Primo Ministro di Israele. L’invio consisteva in nuclei di testate rimosse segretamente dall’impianto americano della BWXT Plantex, vicino ad Amarillo, nel Texas.

Israele avrebbe trasportato le testate prelevate dal porto di Houston e, mentre agiva così da intermediario, si sarebbe appropriata di quelle migliori rifilando ai giapponesi quelle vecchie che, oltretutto, avrebbero poi dovuto essere ulteriormente arricchite con l’uranio di Fukushima.

Shimatsu dà così credito alla versione di Roland Vincent Carnaby – ex agente CIA e mercenario – suffragando l’informazione che le testate siano state trasportate da Houston. Carnaby fu misteriosamente ucciso un anno più tardi, dalla Polizia di Houston, ad un incrocio stradale: un colpo alla schiena ed uno al torace. Non era armato. Fonti dei servizi segreti sostengono che stesse pedinando un’unità del Mossad intenta a contrabbandare del plutonio americano dal porto di Houston, destinazione un reattore nucleare israeliano.

Inoltre, il giornalista afferma che 20 minuti prima della fusione dell’impianto nucleare di Fukushima, Israele fosse così irritata dal sostegno giapponese alla dichiarazione di uno Stato palestinese, da fare il doppio gioco con il Giappone infettando i computer di Fukushima con il virus Stuxnet, virus informatico che avrebbe impedito lo spegnimento, causando di conseguenza una fuoriuscita dell’impianto che ospitava l’uranio ed il plutonio, ricavati dalle testate fornite nel 2007.

Yoichi Shimatsu

Se da una parte è impossibile verificare alcune delle affermazioni di Shimatsu, è vero che a marzo, all’epoca del disastro di Fukushima, c’è stata una grande operazione di occultamento di informazioni. Le esplosioni nel sito furono immediatamente sminuite, mentre da una parte veniva ripetutamente sostenuto che tre reattori fossero in fusione, le autorità giapponesi cercarono di classificare il disastro come di livello 4 sulla International Nuclear and Radiological Event Scale, e questo nonostante gli esperti presenti all’esterno dichiarassero fosse di livello 7, quello massimo.

Degno di nota è che nel 2009, due anni dopo che Shimatsu sostenne che le testate fossero state portate segretamente in Giappone, la International Atomic Energy Agency (per noi AIEA) emise un velato ammonimento al Giappone a non abbandonare la propria politica contro le armi nucleari.

La AIEA doveva comunque sapere che il Giappone avesse da tempo raggiunto il potenziale per costruire armi atomiche; la cosa era infatti nota fin dal lontano 1996, quando un documento del ministero degli Affari Esteri – sfuggito – rivelò come il Giappone stesse perseguendo fin dagli anni ‘60, relativamente alle armi nucleari, una doppia strategia: pubblicamente professava ripetutamente una politica antinuclearista, mentre conservava la capacità di costruirsi un arsenale atomico. Il Partito Liberale Democratico, che ha dominato la politica giapponese, ha sempre sostenuto non ci fosse alcun impedimento costituzionale al detenere armi atomiche.

La potenza crescente della Cina potrebbe essere stato un fattore tale da incoraggiare il duo della Casa Bianca Bush-Cheney a fornire al Giappone i mezzi per costruire in segreto delle armi nucleari. Dunque Cheney e Bush avrebbero cercato di armare con armi nucleari il Giappone e l’India allo scopo di contenere la Cina.

Uccisione di Vincent Carnaby

venerdì 21 ottobre 2011

Euskadi. ETA annuncia la fine della lotta armata

Orsola Casagrande
ilmanifesto.it

Con un comunicato in video e audio recapitato ai giornali baschi Gara e Berria questa sera, ETA ha annunciato la fine della lotta armata.



Declaración de ETA
Euskadi Ta Askatasuna, organización socialista revolucionaria vasca de liberación nacional, desea mediante esta Declaración dar a conocer su decisión:
ETA considera que la Conferencia Internacional celebrada recientemente en Euskal Herria es una iniciativa de gran trascendencia política. La resolución acordada reúne los ingredientes para una solución integral del conflicto y cuenta con el apoyo de amplios sectores de la sociedad vasca y de la comunidad internacional.
En Euskal Herria se está abriendo un nuevo tiempo político. Estamos ante una oportunidad histórica para dar una solución justa y democrática al secular conflicto político. Frente a la violencia y la represión, el diálogo y el acuerdo deben caracterizar el nuevo ciclo. El reconocimiento de Euskal Herria y el respeto a la voluntad popular deben prevalecer sobre la imposición. Ese es el deseo de la mayoría de la ciudadanía vasca.
La lucha de largos años ha creado esta oportunidad. No ha sido un camino fácil. La crudeza de la lucha se ha llevado a muchas compañeras y compañeros para siempre. Otros están sufriendo la cárcel o el exilio. Para ellos y ellas nuestro reconocimiento y más sentido homenaje.
En adelante, el camino tampoco será fácil. Ante la imposición que aún perdura, cada paso, cada logro, será fruto del esfuerzo y de la lucha de la ciudadanía vasca. A lo largo de estos años Euskal Herria ha acumulado la experiencia y fuerza necesaria para afrontar este camino y tiene también la determinación para hacerlo.
Es tiempo de mirar al futuro con esperanza. Es tiempo también de actuar con responsabilidad y valentía.
Por todo ello,
ETA ha decidido el cese definitivo de su actividad armada. ETA hace un llamamiento a los gobiernos de España y Francia para abrir un proceso de diálogo directo que tenga por objetivo la resolución de las consecuencias del conflicto y, así, la superación de la confrontación armada. ETA con esta declaración histórica muestra su compromiso claro, firme y definitivo.
ETA, por último, hace un llamamiento a la sociedad vasca para que se implique en este proceso de soluciones hasta construir un escenario de paz y libertad.
GORA EUSKAL HERRIA ASKATUTA! GORA EUSKAL HERRIA SOZIALISTA! JO TA KE INDEPENDENTZIA ETA SOZIALISMOA LORTU ARTE!
En Euskal Herria, a 20 de octubre de 2011
Euskadi Ta Askatasuna E.T.A.

Translated by GARA
ETA’s DECLARATION
With this declaration, Euskadi Ta Askatasuna, the Basque socialist revolutionary organization for national liberation, wishes to give news of its decision:
ETA considers that the International Conference that has recently taken place in the Basque Country is an initiative of enormous significance. The agreed resolution includes all the elements for an integral solution of the conflict, and it has attained the support of a wide spectrum of the basque society and the international community.
A new political time is emerging in the Basque Country. We have an historical opportunity to find a just and democratic solution for the centuries old political conflict. Dialogue and agreement should outline the new cycle, over violence and repression. The recognition of the Basque Country and the respect for the will of the people should prevail over imposition.
This has not been an easy way. The cruelty of the fight has taken away the lives of many comrades. Many others are still suffering in prison and in the exile. For them our recognition and deepest tribute.
From now on the way is neither going to be easy. Facing the imposition that still exists, every step, every achievement, will be the result of the effort and fight of basque citizens. During these years the Basque Country has accumulated the necessary experience and strength to address this path and it also has the determination for doing it. It is time to look at the future with hope. It is also time to act with responsibility and courage.
Therefore, ETA has decided the definitive cease of its armed activity. ETA calls upon the Spanish and French governments to open a process of a direct dialogue with the aim of addressing the resolution of the consequences of the conflict and, thus, to overcome the armed confrontation. Thorough this historical declaration ETA shows its clear, solid and definitive commitment.
Lastly, ETA calls upon the basque society to commit with this process of solutions until we build a context of freedom and peace.
GORA EUSKAL HERRIA ASKATUTA! GORA EUSKAL HERRIA SOZIALISTA! JO TA KE INDEPENDENTZIA ETA SOZIALISMOA LORTU ARTE!
Basque Country, 20th october 2011
Euskadi Ta Askatasuna E.T.A.

taduciòn Italian Moreno Radaelli
by Sadefenza

dichiarazione de l'ETA

Euskadi Ta Askatasuna, l'organizzazione rivoluzionaria socialista basca di liberazione nazionale, attraverso questa dichiarazione vuole far conoscere la sua decisione:
ETA ritiene che la Conferenza Internazionale tenutasi recentemente in Euskal Herria è un'iniziativa di grande trascendenza politica. La risoluzione accordata riunisce tutti gli ingredienti per una soluzione globale del conflitto, che conta col sostegno di ampi settori della società basca e della comunità internazionale.

In Euskal Herria si sta aprendo un nuovo periodo politico. Siamo di fronte a un’occasione storica per dare una soluzione giusta e democratica al secolare conflitto politico. Contro la violenza e la repressione, il dialogo e l'accordo dovrebbero caratterizzare il nuovo ciclo. Il riconoscimento di Euskal Herria ed il rispetto della volontà popolare deve prevalere sull’imposizione. Questo è il desiderio della maggioranza dei cittadini baschi.

La lotta di molti anni ha creato questa opportunità. Non è stato un cammino facile. La crudezza del conflitto ha portato via molti compagni e compagne per sempre. Altri soffrono la galera o l’esilio. A loro è il nostro apprezzamento e sentito omaggio.

D’ora in poi, la strada non sarà facile. Davanti all’imposizione che esiste ancora, ogni passo, ogni realizzazione, sarà il risultato dello sforzo e della lotta dei cittadini baschi. In tutti questi anni Euskal Herria ha accumulato l’esperienza e la forza necessaria per affrontare questo cammino, ed ha anche la determinazione di farlo.

E 'tempo di guardare avanti con speranza. E 'anche tempo di agire con responsabilità e coraggio.
Pertanto,ETA ha deciso la cessazione della sua attività armata. ETA chiede ai governi di Spagna e Francia di aprire un dialogo diretto che tenga come obiettivo la risoluzione delle conseguenze del conflitto e quindi superare il conflitto armato. ETA questa dichiarazione storica dimostra il suo impegno chiaro, fermo e definitivo.

ETA infine, chiama la società basca di coinvolgersi in questo processo di soluzioni fino a costruire uno scenario di pace e libertà.

GORA EUSKAL HERRIA ASKATUTA! GORA EUSKAL HERRIA SOZIALISTA! JO TA KE INDEPENDENTZIA ETA SOZIALISMOA LORTU ARTE!
Basque Country, 20th october 2011
Euskadi Ta Askatasuna E.T.A.

Il quotidiano Gara pubblica un’ampia intervista in video all’avvocata basca Jone Goirizelaia.
Un’intervista anche molto intima in cui l’avvocata (tra l’altro di Arnaldo Otegi, uno dei portavoce della sinistra Abertzale) racconta come è diventata legale ma anche come nel Paese Basco bisogna rendersi conto che “tutti siamo parte del problema e quindi tutti dobbiamo essere parte della soluzione”.

segue link intervista:
http://www.gara.net/bideoak/111021_ezkabertzalea_es/

mercoledì 28 settembre 2011

Sinistra Critica Sarda PERCHE’ UNA POSIZIONE INDIPENDENTISTA

dipinto di Moreno Cotza


di Gian Luigi Deiana

Si apre una nuova pagina nel percorso di Sinistra Critica Sarda. Il coordinamento sardo dell’organizzazione - riunito il 10 settembre a Ghilarza - ha deciso all’unanimità di formalizzare la scelta di una posizione politica indipendentista. Il documento costituisce il frutto e allo stesso tempo la base di un lavoro politico di analisi e di pratica che è stato condotto in questi anni e che sarà approfondito, sviluppato e articolato nei prossimi mesi.

1: PERCHE’ UNA POSIZIONE INDIPENDENTISTA. - L’assunzione di una posizione indipendentista non viene da una valutazione di fase ma si fonda sulla realtà di un processo storico e sul suo esito attuale. In particolare: prima il rapporto tra la Sardegna e il Piemonte, poi il rapporto tra la Sardegna e il regno d’Italia, poi il rapporto tra la Sardegna e la repubblica italiana e infine il rapporto tra la Sardegna e l’assetto italo-europeo del neoliberismo. In termini cronologici si tratta di quattro distinte statuizioni del rapporto coloniale: 1719-1861; 1861-1945; 1945-1991; 1991-2011. Per tutto il corso del processo, che si avvia ormai a toccare i tre secoli, il filo conduttore è stato ed è e nel caso sarà il colonialismo interno, una specie di colonialismo straccione sia per chi lo ha imposto che per chi lo ha subìto. Tuttavia questo tri-secolare cordone ombelicale con l’Italia non si è condotto da solo, si è bensì svolto e nutrito svolgendo e nutrendo insieme il rapporto di classe interno alla Sardegna: prima il privilegio feudale, poi le sotto-borghesie mediatrici del regno, poi i ceti amministrativi e dirigenti locali della repubblica, e infine gli attuali replicanti regionali del neoliberismo.

2: POSSIAMO NON DIRCI ITALIANI? - Dentro questo particolare modello di subalternità la Sardegna oltre ad avere perso ha anche guadagnato, nel senso che per questa via, nel bene e nel male, è entrata nella modernità. Ha sperimentato, anche se a singhiozzo, una stagione di riformismo piemontese che ha contribuito a generare lo spirito della rivoluzione antifeudale (1770-1800); ha maturato una capacità popolare ed intellettuale reattiva rispetto al cedimento di classe rappresentato dalla “fusione perfetta” (1848-1878); non si è lasciata penetrare dal fascismo mentre ha dato un grande contributo alla resistenza e alla costituzione (1920-1950); ha maturato in forme nuove una coscienza critica anticapitalista e anticoloniale nella fase imperialistica del neoliberismo (1970-2011). In sintesi, la società sarda ha reimparato dall’Italia quella modernità del “diritto” e quella necessità della “cultura” che essa aveva perduto con la sconfitta dei Giudicati, e che i ceti parassitari sardi avrebbero volentieri soffocato ad ogni passo. Certo questo è avvenuto in modo contorto e contraddittorio, ma si può allo stato attuale, e solo in quanto sardi, disconoscere per esempio il valore della resistenza italiana e il significato della costituzione italiana, e ripudiare il contributo dei sardi alla loro storica realizzazione? E’ rinunciabile la comune vicenda storica passata nel fuoco delle trincee, nell’emigrazione, nelle università e soprattutto nelle fabbriche e nella lotta di classe? Può non dirsi italiano il Gramsci dei Consigli operai o degli scritti del carcere? E tuttavia l’ingresso della Sardegna nella modernità, di cui siamo involontari debitori nei confronti dell’Italia, è stato certamente un ingresso prigioniero, tenuto costantemente per mano e quindi costantemente sotto bastone: e questo oggi non lo si può subire più.

3: INDIPENDENTISMO DOGMATICO ED AUTONOMISMO AMMINISTRATO. - La storia recente della Sardegna ha riproposto ad ogni generazione il tema dell’indipendenza e della sovranità, e parallelamente ha riproposto l’autonomismo e il regionalismo come sua risoluzione concreta. Il risultato è sempre stato il gemellaggio fra un indipendentismo dogmatico e un autonomismo empirico, velleitario e puro il primo e subalterno e corrotto il secondo. Il punto più tragicomico e più surreale di questa ricorrente gemellatura si produce quando essa esibisce una specie di rapporto incestuoso tra il culto dell’indipendenza pura e la pratica dell’autonomia corrotta, cosa che riguarda quasi tutta la storia del Psdaz, le prediche dell’ultimo Cossiga e praticamente tutte le varie esercitazioni di funambolismo dei presidenti dei Consigli regionali, delle segreterie regionali dei partiti ecc. Bene, per questa via è chiaro che non si va da nessuna parte. Vi è una e una sola possibile alternativa: la costruzione attuale di un indipendentismo empirico.

4: LA COSTRUZIONE DI UN INDIPENDENTISMO EMPIRICO. - Nonostante la lunga vicenda di soffocamento coloniale e di alterazione storica che i sardi hanno subìto nei secoli “italiani” l’indipendenza non è necessariamente una via obbligata: in presenza di una “radicale” lotta anticapitalistica in Italia infatti non avremmo alcuna fretta di essere necessariamente indipendenti. Tuttavia l’indipendenza diventa una via obbligata quando diventa evidente che questo vecchio stato padrone e questa sua economia degli squali non può più tornare indietro dalla sua marcia di distruzione, e cioè quando non può più fare a meno di scaricare sulla colonia storica la sua più sporca fisiologia futura: occupazione militare, produzioni inquinanti con elevatissima componente di capitale e bassissima componente di forza lavoro, colonizzazione turistica a piena devastazione ambientale ecc. La necessità strutturale della colonizzazione è drammaticamente peggiore della volontà ideologica o della opzione politica della colonizzazione: siamo quindi ad un salto di qualità rispetto al quale l’innocuo adattamento gemello di indipendentismo dogmatico e di autonomismo amministrativo cessa di essere un gioco politico e diventa un fattore di distorsione grave. Si tratta quindi di scegliere il traguardo dell’indipendenza ed insieme di segnarne analiticamente le tappe in termini empiricamente praticabili. Debito pubblico, tenuta finanziaria, beni comuni, relazioni internazionali, unione europea, sistema bancario, rating, disarmo, riconversioni, ecc. E’ un compito da giganti che probabilmente non potrà nemmeno prendere avvio al di fuori di una grande trasformazione italiana ed europea: e questo è il motivo per cui la questione dell’indipendenza sarda va comunque tenuta all’interno della lotta anticapitalista internazionale, senza limitarsi con questo ad esserne una semplice appendice.

5: L’INDIPENDENTISMO EMPIRICO E LE ORGANIZZAZIONI ANTICAPITALISTE IN ITALIA. - L’idea di depurare l’indipendentismo sardo dalla condivisione di strutture organizzative anticapitaliste italiane (ovvero il comandamento di rompere organizzativamente con i partiti “italianisti”) è come tale un’idea religiosa; ma anche la liquidazione della questione da parte delle organizzazioni antagoniste italiane come vezzo “nazionalitario” è a sua volta un pregiudizio religioso. Poiché il problema è reale (è reale nella struttura, oppure non lo è affatto) è sbagliato sia vederlo in modo abbagliante (con la conseguenza che poi non si vede il contesto che lo genera) sia vederlo dal rifugio visuale dei congressi politici italiani (con la conseguenza che poi lo riduce a birdwatching). Di conseguenza è necessario costruire un percorso attraverso il quale tutti i compagni sardi a vario titolo impegnati nelle diverse organizzazioni anticapitaliste italiane possano convergere in un’unica organizzazione anticolonialista sarda. Questa, proprio in considerazione della sua ragione “includente”, dovrebbe avere una articolazione orizzontale e quindi non gerarchizzata, una identità collettiva e non leaderistica, una pratica di movimento e non di burocrazia, una forma educativa di inchiesta e non di ideologia ecc.

6: L’INDIPENDENTISMO EMPIRICO E L’INDIPENDENTISMO STORICO. - Poiché è il movimento reale che decide del mutamento dello stato di cose presente, l’ultimo anno di conflitti in Sardegna ha chiarificato che vi sono significative esperienze di organizzazione anti-italianiste, degne anche di grande stima: è il caso soprattutto di A Manca, di Sardigna Natzione e di Irs. La scissione in Irs ha messo temporaneamente a nudo i limiti all’origine dell’orientamento assunto da questo movimento, il cui eclettismo ideologico e il cui interclassismo pratico non si sarebbero potuti affidare, all’atto del successo elettorale, ad altro che sublimazioni, personalistiche o intellettuali a seconda delle propensioni interne. Il successo politico sul referendum antinucleare non solo ha premiato Sardigna Natzione con pieno merito, ma la ha anche avvicinata positivamente al lavoro comune con le organizzazioni antagoniste in genere, e con organizzazioni antagoniste “italianiste” anche più che con organizzazioni indipendentiste “sarde”, e ha evidenziato definitivamente l’insostenibilità di fratellanze a destra in nome della “sovranità”. A Manca prosegue in un percorso radicale col quale ci siamo rapportati costruttivamente in situazioni diverse, ma che pure presenta forti connotati di a-manca-centrismo, antiitalianismo, pregiudiziale indipendentista ecc. che allo stato attuale rendono favorevoli convergenze su problemi specifici ma rendono difficile una convergenza sulla linea politica di fondo. In tutte queste organizzazioni, e ovviamente in quelle indipendentiste e nazionaliste minori, è presente una tentazione settaria che talvolta sembra costituirne persino il vero denominatore comune: la documentazione diretta presente sui blog ne è una testimonianza efficace. D'altronde va considerato il fatto che la percezione di analoghe manchevolezze è presente fondatamente anche nel giudizio che queste organizzazioni indipendentiste hanno maturato nei confronti delle varie formazioni antagoniste di matrice italiana presenti attualmente in Sardegna. La condizione speculare di questo punto pregiudiziale necessita di tutta la chiarezza e di tutta l'apertura di cui oggi si possa essere reciprocamente capaci.

7: CHE FARE ? LA PROSPETTIVA - Il primo passo (v. sopra, punto 6) è quindi quello di costruire il ragionamento partendo dal punto di avvio prodotto all’interno di Sinistra Critica Sarda e valutandolo insieme ad altri compagni per i quali il problema si pone in partenza nel medesimo modo. Non è irrealistico prospettare che da una situazione di discussione così costruita possa nascere a breve una realtà definita dotata di un minimo di massa critica e di riconoscibilità: con carattere antiliberista, anticapitalista e anticolonialista riguardo alla visione politica generale; ma anche antagonista rispetto al bipolarismo italiano e all’opportunismo di sinistra in esso presente; interna all’anticapitalismo italiano ed europeo e convergente con l’indipendentismo sardo nella prospettiva di un fronte ampio popolare e di classe. Questo soggetto politico che di fatto è già in gestazione può poi consentirsi di presentare le proprie credenziali a quelle che comunque ne sono state le organizzazioni politiche madri (Sinistra Critica, Rifondazione ecc.) e ridefinire i rapporti formali con le stesse alla luce dei risultati politici acquisiti nella fondazione e nella prospettiva.

8: LA SITUAZIONE PRESENTE - Sulla situazione politica presente pesa da molti anni la configurazione del bipolarismo italiano, che in realtà è a sua volta una protesi del bipolarismo europeo e che prevedibilmente continuerà a durare, in quanto è lo strumento istituzionale necessario al neoliberismo come macchina reale dell'organizzazione sociale. Il bipolarismo è apparentemente nei singoli stati la condizione “politica” della sovranità popolare, ma in generale e dunque sul piano europeo è la condizione “istituzionale” della sottrazione della sovranità popolare; il bipolarismo significa, costituzionalmente, che la sovranità non appartiene al popolo. La condizione italiana è in molti sensi la peggiore poiché essa presenta insieme il peggior centrodestra ed insieme il peggior centrosinistra della scena bipolare europea; questi schieramenti sono anzi talmente peggiori l'uno dell'altro che oltre a non poter far intravvedere alcun possibile contributo all'uscita dallo sprofondamento, e potendo solo reiterare la stagnazione, l'unico esito del gioco a loro appaltato sarebbe “la rovina comune di tutte le classi in lotta”, nonché l'imbarbarimento fatale delle situazioni coloniali. Per tale ragione, anche ammettendo la debolezza per la quale in situazioni contingenti si accetta di fissare un accordo politico su qualcosa (ad esempio temi referendari, campagne di interesse generale o anche lavoro comune fra i compagni) non deve essere possibile legare strutturalmente ed organicamente una organizzazione anticapitalista sarda al bipolarismo italiano, nemmeno in varianti regionali o locali di centrosinistra; come del resto non deve essere possibile legare strutturalmente e organicamente una organizzazione anticolonialista sarda alle espressioni classiste organizzate della stessa borghesia sarda (partiti, lobby, media ecc.).

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