domenica 19 gennaio 2014

L'ambiente , la salute e il governo che sta con la morte..


“Ci sono uomini che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili” (B. Brecht, Vita di Galileo).  Michelangiolo Bolognini era uno di questi. Infaticabile, competente, generoso, intransigente contro l’ambientalismo di facciata: è questa l’immagine che emerge dai numerosi attestati di stima e di dolore che hanno fatto seguito alla sua morte, il 25 agosto scorso. Lo ricordano al loro fianco nelle lotte contro gli inceneritori e le discariche numerosi comitati di base, associazioni e gruppi impegnati nella difesa dell’ambiente e della salute, oltre ovviamente all’ ISDE e a Medicina Democratica, le associazioni in cui militava.
Quello che segue è il suo intervento al Convegno “Il rischio corre sul filo. Inquinamento elettromagnetico e nocività  nei luoghi di lavoro. Il caso dei lavoratori delle ferrovie”, tenutosi a Rimini il 19/10/02. Ne avevo la sbobinatura, e ci ho pensato un po’ prima di pubblicarla, visto che non mi è più possibile chiedergli il parere o le eventuali correzioni. Ma alla fine ho deciso di non tenermela per me: la sua eredità è nelle conoscenze che ha voluto trasmetterci. E’ bene raccoglierle e metterle in circolo (seguono al suo intervento alcuni  links a suoi scritti disponibili in rete).
PS  Medicina Democratica ha aperto una sottoscrizione per finanziare una borsa di studioin sua memoria,  da devolvere a uno studente che si proponga di analizzare con efficacia i modi con i quali oggi si manifesta in concreto, nell’ambito della medicina e della ricerca biomedica, la “Non Neutralità della Scienza”.
Intervento di Michelangiolo Bolognini (ASL di Pistoia) al Convegno “Il rischio corre sul filo. Inquinamento elettromagnetico e nocività  nei luoghi di lavoro. Il caso dei lavoratori delle ferrovie”, tenutosi a Rimini il 19/10/02″
Mi presento brevemente. Sono un medico igienista, anche igienista del lavoro, ma professionalmente mi occupo di sanità pubblica più che di patologie occupazionali. Mi sono ritrovato abbastanza per caso a dare una mano ad alcune cause di lavoro per quanto riguarda il problema dei campi elettromagnetici nelle Ferrovie. Tra l’altro io sono un ex scettico sui campi elettromagnetici, vale a dire, fino a qualche anno fa’ mi sono sempre interessato soprattutto di rischio chimico e diffidavo molto dall’enfatizzazione sulla problematica dei campi elettromagnetici. Un po’ per caso l’incontro con alcuni personaggi a Firenze in un incontro pubblico mi ha un po’ aperto gli occhi.
Avevo preparato due tipi di relazione, di cui una riguardava la problematica dei ferrovieri per quanto riguarda i rischi da campi elettromagnetici, e questa relazione la lascerò agli atti.
Vorrei partire adesso riprendendo la frase di Gallori, noi qui facciamo suonare le nostre campane però bisogna essere ben consapevoli che da ben altre parti suonano delle trombe. Vi dico subito che non ci sono notizie buone su quella che è la strategia messa in atto dalla controparte. Ad esempio considero che la valutazione che lo IARC fa di 2B per i campi elettromagnetici non è una vittoria bensì una grandissima fregatura. Io non voglio essere catastrofista; che poi si possa utilizzare tutto per impostare una battaglia che possa essere anche vincente è un altro paio di maniche.
Riprendendo il discorso di quel medico che dice che tanto ci adatteremo a tutto, guardate che quell’esempio non è campato in aria: è la filosofia, è la cultura che si respira oggigiorno. Quando si parla di lotta e di ricerca contro il cancro, si sta impostando esattamente questa strategia a tutti i livelli: una strategia nata con il presidente Richard Nixon, quando nel 1971 ha impostato la famosa “guerra contro il cancro”, dicendo che se si davano soldi per la ricerca contro il cancro (soldi finalizzati a due tipologie di ricerca: sull’affinamento diagnostico e sul miglioramento dei mezzi terapeutici e non altro) si doveva arrivare alla sconfitta del cancro entro il 1990. Siamo arrivati al 2000 e questa strategia è completamente perdente, perdente dai fatti.
Ci dicono che i tumori sono in diminuzione ma non è vero. Com’è che si fa a dire che i tumori maligni sono in diminuzione nel mondo occidentale? Facendo dei confronti sulle popolazioni standard. La popolazione standard è una popolazione che non esiste, è una popolazione in cui si pesano le varie fasce d’età in un certo modo: si taglia praticamente tutto quello che c’è sopra i 65 anni e si fa alla svelta quindi a dire che i tumori sono in diminuzione. Poi esiste ovviamente un tumore che è in diminuzione, quello polmonare nei maschi, questo non perché sia migliorata la ricerca scientifica o ci siano dei mezzi diagnostici ma semplicemente perché è diminuita l’abitudine al fumo nei maschi. E’ questa la grossa innovazione tecnologica!
Quindi, ritornando al ragionamento che fa quel medico, esprime semplicemente “l’aria che si respira” di questi tempi, perché tutti i fondi raccolti vanno a finire in ricerche che hanno come filosofia quella di adattare l’uomo ad un ambiente sempre più degradato, alle brutte facendogli venire le branchie per tornare nell’acqua, sempre che l’inquinamento dell’acqua sia più accettabile di quello dell’aria. C’è poco da ridere.
Un’altra problematica venuta fuori in questa discussione è il problema dei controlli. Qui si tratta di ritardo culturale italiano veramente pazzesco. Noi abbiamo diviso nel 1993 la Sanità separando la Salute dall’Ambiente, facendo un’operazione culturale tutta in perdita, su questo bisogna essere chiari. Paradossalmente, 2 anni prima, negli Stati Uniti era stato creato l’Istituto Nazionale sulla Salute dell’Ambiente, istituzione pubblica che però non ha funzioni di controllo (essendo stati eliminati i controlli dall’amministrazione Reagan, dopo che l’amministrazione Carter li aveva potenziati, è stato eliminato anche l’Ispettorato del Lavoro Federale). Mentre gli Stati Uniti rendendosi conto del problema sanitario in campo ambientale facevano nascere le agenzie ambientali, come l’Agenzia Ambientale Federale che tra l’altro funziona relativamente bene con tutti i limiti politici che ci sono, noi in Italia invece, che avevamo una normativa anche più avanzata, quella della riforma sanitaria del 1978, facevamo passi indietro separando salute e ambiente.
Ancora sul problema dei controlli: se io chiedo alla mia Usl di dotarmi di strumentazione per la misurazione dei campi elettromagnetici, mi sento rispondere di rivolgermi all’Arpa, l’Arpa di Pistoia non la possiede, quelle di Livorno e di Firenze ce l’hanno ma con liste di attesa di due anni. Questi sono dati reali. Perché l’unica struttura pubblica dove si deve risparmiare è quella sui controlli.
Nessuno si scandalizza nel nostro paese che il diritto alla proprietà (non un diritto costituzionale, mentre quello alla salute lo è) abbia come difensore sei o sette polizie, mentre sembra normale che per tutelare l’ambiente, oltre all’Usl e all’Arpa, non ci possono essere strutture adeguatamente competenti. Non parliamo delle guardie ecologiche volontarie, che secondo me non combinano niente, perché ci vogliono professionisti per fare queste cose, e tra l’altro ci vogliono controlli incrociati. Per quanto riguarda la pubblica sicurezza non c’è mai una polizia unica, ce ne sono almeno due (in Italia la polizia e i carabinieri, in Francia la gendarmeria e la polizia), semplicemente per scongiurare il monopolio dei controlli. La stupidaggine invece che è passata nelle teste dei nostri politici ( che per altro è frutto invece di una strategia ben precisa, bisognerebbe ricostruirla ma non mi sembra oggi il caso) è quella di azzerare la possibilità di controlli incrociati.
C’è stato un caso eclatante in Toscana, invito tutti a rifletterci, è il caso dell’inquinamento del fiume Merse. Questo fiume era pulitissimo, quello del mulino bianco della pubblicità per intendersi, ed è stato inquinato da industrie del gruppo Eni. Questo inquinamento è stato tirato fuori dalla volontà personale di due o tre persone, cittadini, che hanno sbugiardato i dati falsi dell’Agenzia Regionale Toscana. C’è stata anche una querela. Quindi attenzione, sul discorso dei controlli anche qui c’è una responsabilità ben precisa, perché non ci sono solo i luoghi di lavoro ma anche i luoghi di vita, dove non vedo perché io, che ho compiti di polizia amministrativa, non debba avere un laboratorio di cui mi fido, e debba utilizzare un laboratorio invece di cui io non ho la possibilità di controllare perlomeno la filiera o l’affidabilità.
Riguardo al problema dei dati per l’indagine epidemiologica, mi sento di poter fare una proposta intermedia, quella del registro tumori su base regionale, che sarebbe un piccolo passo avanti. Il mio assessore regionale, della Toscana, mi sembra che l’abbia recepita positivamente. Sembra infatti abbastanza inconcepibile che si facciano registri tumori di province mentre bisognerebbe farli regionali, come accade tra l’altro già in Piemonte. In tal modo si migliorerebbe la qualità del dato, quando si parla di cancro, e si darebbero strumenti gestionali di governo a chi gestisce la sanità, perché si danno sicuramente dati più affidabili di quelli che sono i dati che vengono fuori dai certificati di morte.
Andando al sodo, vorrei parlare delle strategie in campo che ci sono per quanto riguarda soprattutto uno degli effetti più interessanti dei campi elettromagnetici, non dimenticando però che i campi elettromagnetici hanno anche altri effetti. quelli che hanno riferimento normativo sono gli effetti termici, vale a dire quanto soprattutto le alte frequenze possono causare prima di riscaldare un tessuto: ci sono veli cronici, cataratta, disturbo del sonno e soprattutto i rischi cancerogeni a bassa ed alta frequenza. Nella normazione di un cancerogeno fisico ci siamo comportati storicamente in modo diverso rispetto a quelle che sono le norme di un cancerogeno chimico. Vedremo le differenze.
Intanto, qual è la storia della norma sul cancerogeno fisico? In modo un po’ suggestivo l’ho definita “l’eredità avvelenata dell’energia atomica”, perché è collegata alla nascita dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, che ora va molto di moda per i controlli nel Nord Corea e nell’Iraq. Questa nasce dopo l’OMS, nel 1956, ed ha come mandato quello di promuovere l’industria nucleare ai fini pacifici. C’è un contrasto l’anno dopo nel 1957 con l’OMS, e purtroppo nell’accordo che viene fatto nel 1959 l’OMS rinuncia al suo ruolo di valutazione degli effetti sulle radiazioni nucleari. Non a caso la prima valutazione che viene fatta sulle radiazioni nucleari è quella su l’uranio impoverito due anni fa. Da allora l’OMS non si è mai più occupata di radiazione nucleare. Non è ozioso fare un discorso del genere, perché quando si parla di campi elettromagnetici il modello mutuato è quello dell’energia nucleare. Si tratta in ogni caso di radiazioni, anche se molto diverse.
Vediamo quali erano i criteri di protezione sanitaria in campo di radiazioni nucleari, che sono stati fissati, vi ricordo, non da strutture sanitarie ma aziendali, si potrebbe dire brutalmente, perché l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica ha come finalità la promozione dell’energia nucleare. Questo cosa ci dice in pratica? Che viene permessa l’esposizione sia della popolazione che dei lavoratori ad un cancerogeno. Questo è il criterio di massima che è sempre stato sancito dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Tra l’altro si permette un’esposizione professionale che è abbastanza superiore a quella della popolazione in generale. Ci sono delle giustificazioni a questi criteri, perché si pensa che tutto sommato abbiamo uno scarso numero di esposti. Gli esposti della popolazione per quanto riguarda queste radiazioni sono coloro che abitano in prossimità delle centrali atomiche o di trattamento per quanto riguarda i combustibili. C’è poi il problema dell’esposizione di eventuali gruppi di individui particolarmente sensibili e l’eventuale esposizione combinata più fattori di rischio. Sono argomenti di cui ha già parlato Soffritti: esiste una fascia di popolazione, dal 5 al 16 %, che è estremamente sensibile ai cancerogeni perché ha meccanismi di riparazione del Dna alterati, ed è molto importante difficile dare in questi casi un qualsiasi valore limite.
I criteri per stabilire i limiti dei campi elettromagnetici sono stati ripresi dai criteri per le radiazioni nucleari, infatti anche qui per i campi elettromagnetici a bassa frequenza si considera che abbiamo ugualmente uno scarso numero di esposti tra la popolazione in generale, a parte l’esposizione professionale. E’ un argomento controverso perché ci sono tutta una serie di fonti che sono poco normate. Per i campi elettromagnetici ad alta frequenza abbiamo al contrario un alto numero di esposti per ora solo volontari, vale a dire gli utilizzatori dei cellulari, però involontari nel futuro grazie al decreto Gasparri. Sulle differenze biologiche tra reazione nucleare e campi elettromagnetici, i secondi sono probabilmente dei deboli cancerogeni perché non hanno come le radiazioni ionizzanti, ossia le radiazioni nucleari per intendersi, un danno diretto sul Dna, sul nostro codice genetico. Probabilmente il meccanismo d’azione è molto più complicato, quindi anche più difficilmente valutabile.
Ci sono alcune critiche da fare, come la mistificazione di quell’organismo pseudoindipendente, citato dal decreto Gasparri. L’Incrip, nata sul calco dello stesso organismo che c’è per le radiazioni nucleari, è un’associazione tra vari esperti, non particolarmente del campo sanitario o che si occupano di protezione, ma soprattutto fisici e ingegneri nucleari. La finalità di questo organismo non è la protezione dei lavoratori o della popolazione ma la promozione della tecnologia dei campi elettromagnetici. E’ un po’ come far fare certe valutazioni alla controparte.
Importante è poi la differenza tra possibili e probabili cancerogeni. In una pubblicazione dell’Istituto Superiore di Sanità del 2001 Lagorio e Salvan facevano un’affermazione abbastanza ingenua se non disarmante, sostenendo che le evidenze epidemiologiche relative alla possibile associazione tra campi elettromagnetici a 50 herz ed il rischio leucemie infantili, apparse abbastanza consistenti nella seconda metà degli anni novanta, sono state indebolite dai risultati scientifici più recenti. Questa affermazione è in falsa. In effetti sono state molto demolite le affermazioni dell’evidenza scientifica sulle radiazioni non ionizzanti come cancerogeni, ma non dai risultati scientifici più recenti bensì da una campagna messa in atto in modo molto intelligente per far spostare la classificazione di questi campi elettromagnetici, che nei primi anni novanta erano stati classificati dall’Istituto Superiore di Sanità come probabili cancerogeni, a possibili cancerogeni. Non è una differenza da poco questa, perché il probabile cancerogeno, da un punto di vista anche normativo, è di fatto un cancerogeno. Il possibile cancerogeno è invece un limbo, è un’arma molto più debole rispetto al probabile cancerogeno.
A questo proposito cito un episodio interessante per vedere come anche degli studiosi seri si salvano l’anima o almeno credono di farlo. Il direttore di quell’organismo suddetto nato nel 1991 negli Stati Uniti per studiare i rapporti tra salute e ambiente in un’affermazione al Congresso degli Stati Uniti nel giugno del 1999 si esprime così: . Questa motivazione all’origine era più lunga ed io l’ho riassunta. Il senso è questo, dice chiaramente che ci sarebbero prove scientifiche per quanto riguarda le leucemie infantili e tumori professionali, però purtroppo mancano le prove sugli animali. Come se la normativa dovesse tutelare gli animali, paradossalmente.
Gli esperti, invece, del National Royal Protection Board inglese, l’ente di protezione radiologica inglese, presieduta da un illustrissimo epidemiologo, dicono: . Si salvano sulla “chiara evidenza” ma si entra nell’opinabile con questi termini.
Da questi precedenti scaturisce il recentissimo volume numero 80 delle monografie dello IARC, che definisce i campi magnetici a bassissima frequenza come possibili cancerogeni per l’uomo. Lo IARC è una struttura dell’OMS con sede a Lione, ed è l’agenzia internazionale più prestigiosa per quanto riguarda le classificazioni dei cancerogeni. Sintetizzando qui si classificano i cancerogeni in 4 gruppi. Per il primo gruppo si definiscono le “sostanze cancerogene; è stata stabilita una relazione causale tra l’esposizione dell’uomo ed il tumore”. Nel secondo gruppo ci sono 2 sostanze, una con probabile ed una con possibile azione cancerogena negli uomini. Il gruppo 2a definisce“sostanze a probabile azione cancerogena nell’uomo; è stata osservata un’associazione positiva tra esposizione e tumori per la quale è credibile l’associazione causale, nel contempo non possono essere esclusi con ragionevole sicurezza effetti del caso, di preselezione o altri elementi di incertezza, e a una tale situazione si associano dati sufficienti di cancerogenicità per gli animali da esperimento”. Vengono usati termini opinabili come “credibile” oppure “ragionevole sicurezza” che non hanno molto senso in termini scientifici. Invece il gruppo 2b definisce “sostanze a possibile azione cancerogena nell’uomo; esistono prove sufficienti di cancerogenicità negli animali non accompagnate da dati adeguati di induzione di tumori nell’uomo considerato esposto”. Poi ci sono il terzo gruppo, “sostanze non classificabili per la loro cancerogenicità dell’uomo” e il quarto “probabilmente non cancerogeni per l’uomo”.
Vorrei ricordare ancora due significative affermazioni fatte due anni fa, ad un convegno a Bologna sui campi elettromagnetici, da un tale dottor Repacioli, persona abbastanza importante visto che è stato nominato dall’attuale direttore generale dell’OMS come coordinatore del gruppo di lavoro sugli inquinanti ambientali. Tra l’altro ho notato anche che le sue affermazioni, riportate dagli abstract della conferenza, sono state poi abbastanza sfumate negli atti pubblicati.
Questo studioso, nell’ambito di un discorso sulla protezione del pubblico dai campi elettromagnetici, ad un certo punto dice: . I fattori di sicurezza si riferiscono a questa procedura: quando si ha a che fare con un probabile o possibile cancerogeno chimico, se risulta dagli studi sugli animali il valore 1 come dato di cancerogenicità, per lo meno si mette 0,01, almeno 2 fattori di grandezza in meno. Questo è il protocollo dell’Ente Protezione Ambientale degli Stati Uniti.
La seconda affermazione sconcertante, che non ha bisogno di commento, era sul discorso dei principi di precauzione, su cui lui si espresse così: .
A questo punto vorrei concludere proprio con il principio di precauzione, citando la definizione dell’OMS: <è una politica di gestione del rischio, che viene applicata in circostanze caratterizzate da un alto grado di incertezza scientifica, e riflette la necessità di intervenire di fronte ad un rischio potenzialmente serio in attesa dei risultati della ricerca scientifica>, come a dire, astenersi prima di prendere una decisione. Ci sono le norme europee che dichiarano che (ma anche sanitaria, perché è stata ampliata anche in campo sanitario), è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione in via prioritaria alla fonte dei danni causati all’ambiente e alla salute, nonché sul principio che chi inquina paga> .Vorrei esprimere quella che è la reale applicazione, purtroppo non solo italiana, di queste norme: vale a dire non si può vietare la commercializzazione di un prodotto, l’utilizzo di una tecnologia, a meno che, nonostante la disinformazione anche scientifica, non diventi palesemente insostenibile la sua assenza di nocività. Purtroppo la reale applicazione del principio di precauzione sta diventando questa. Grazie a tutti.


Scritti e interventi
Michelangiolo Bolognini, Gianluca Garetti, Massimo Gulisano, Marco Paganini, VIS di Firenze: la parola a quattro medici della Piana , in Epidemiologia & Prevenzione, anno 30 (4-5) , luglio – ottobre 2006, pp. 298/302.
F. Bartolini, M. Bolognini, E. Burgio, F. Cigala, M. Franchini, G. Filippazzo, A. Galassi, M. Generoso, V. Gennaro , P.Gentilini, F. Laghi, A. Marfella,V. Migaleddu, C. Panizza, M. G. Petronio, L. Pittini, R. Raffelli, G. Rasconi,R. Ridolfi, A. Romanini, R. Romizi, D. Rosetti, G. Timoncini, L. Tomatis, B. Tonelli, G. Vantaggi, V. Vicentini, Inceneritori, salute pubblica e interessi economici: il pensiero di un gruppo di medici in Epidemiologia & Prevenzione, anno 32 (1), gennaio – febbraio 2008, pp.8/11.
Michelangiolo Bolognini, Gianluca Garetti, Valerio Gennaro, Patrizia Gentilini, Giovanni Ghirga, Manrico Guerra, Vincenzo Migaleddu, Mauro Mocci, Celestino Panizza, Critiche al seminario OMS-Europa sui rifiutiin Epidemiologia & Prevenzione, anno 32 (2), marzo – aprile 2008, p.80.
Michelangiolo Bolognini, Inceneritori, propaganda e mercato assistito, 13/06/2008
Michelangiolo Bolognini, Gianluca Garetti, Valerio Gennaro, Patrizia Gentilini, Manrico Guerra, Vincenzo Migaleddu, Celestino Panizza, Giovanni Vantaggi,  Lettera aperta ai colleghi dell’AIE sul documento «Trattamento dei rifiuti e salute», in Epidemiologia & Prevenzione, anno 32 (4-5), luglio – ottobre 2008, p.188.
Michelangiolo Bolognini, Per un ambiente meno nocivo (slides), Ferrara, 25/10/2009.
Michelangiolo Bolognini, L’insostenibile scelta delle centrali a biomasse14/05/10.
Michelangiolo Bolognini,  Relazione sull’inceneritore di Montale, luglio 2010.
Michelangiolo Bolognini, Dalle parole ai fatti: Politici e ricerche nell’Amiata, Abbadia San Salvadore, 29 gennaio 2011.
P. Gentilini, A. Moschetti, E. Burgio, M. Bolognini, S. Raccanelli, A. Cattaneo. Latte materno, diossine e PCB, in “ Medico e Bambino”.  2011;30:510-517  (abstract).
Michelangiolo Bolognini, I cancerogeni nelle acque per uso umano , in Associazione Italiana di Oncologia Medica, Progetto Ambiente e Tumori, 2011, pp. 110/116.


Michelangiolo BologniniL’avvelenamento partecipato in Toscana, in “Il Ponte”, ottobre 2012.
Questo l’augurale saluto che l’amico Michelangiolo avrebbe certamente utilizzato per commentare il terzo (e speriamo ultimo!) “regalo” del Ministro Clini.
Infatti, dopo  il “declassamento” di 18 siti di interesse nazionale da bonificare (Sin), dopo la ripresentazione del decreto sulla combustione dei rifiuti nei cementifici (nonostante la bocciatura in Commissione Ambiente alla Camera) ecco arrivata l’autorizzazione all’esercizio per ben 15 anni per tutti gli impianti con meno di 250 addetti (compresi fonderie, inceneritori, raffinerie) ed il passaggio dai controlli ”amichevoli” del decreto semplificazioni a praticamente alcun controllo, cosa possiamo aspettarci se non di ammalarci sempre più?
Credo che in questi tempi così bui abbiamo più che mai bisogno di esempi alti e testimonianze coraggiose e per questo vorrei ricordare Michelangiolo Bolognini, prematuramente scomparso il 25 agosto scorso. Michelangiolo era un amico straordinario, medico, specialista in Igiene e Medicina Preventiva,  i cui punti  di riferimento erano Giulio Maccacaro, Lorenzo Tomatis, Ivan Illich. Per Michelangiolo la “non neutralità della scienza”, la salute come bene non negoziabile e la prevenzione primaria erano le basi su cui si è fondato tutto il suo impegno umano e professionale. Michelangiolo aveva fatto sue queste parole di Ivan Illich: “La salute è semplicemente una parola del linguaggio quotidiano che designa l’intensità con cui gli individui riescono a tenere testa ai loro stati interni ed alle condizioni ambientali”…mentre per quanto riguarda “un popolo”, la salute dipende …“dal modo in cui le azioni politiche condizionano l’ambiente e creano quelle circostanze che favoriscono in tutti, e specialmente nei più deboli, la fiducia in se stessi, l’autonomia e la dignità”.
La sua intelligenza lucida e raffinata non si fermava mai alle apparenze e nei suoi articoli, sempre puntuali e documentati, infrangeva luoghi comuni e svelava - anche anni prima che diventassero di dominio pubblico - scomode verità (basti ricordare “Camorra di Stato e stato di emergenza, il caso dei rifiuti in Campania”). Umanamente era aperto e generoso, sempre pronto a mettere le sue competenze a disposizione di cittadini e comitati impegnati nel difendere il proprio territorio da insediamenti inutili e nocivi (a cominciare dagli inceneritori di rifiuti, per lui emblema dell’assurdità del nostro tempo), ma il suo rigore morale, i suoi giudizi taglienti, la coerenza con cui difendeva le sue idee, l’insofferenza per ogni forma più o meno larvata di ipocrisia gli crearono non pochi problemi e sofferenze.
Fin dai tempi dell’Università aderì a Medicina Democratica, associazione in cui più di ogni altra vedeva rappresentati i propri ideali e proprio in sua memoria Medicina Democratica ha deciso di aprire una sottoscrizione per finanziare una borsa di studio da devolvere a studente giovane e meritevole. Oggetto della borsa di studio è  l’analisi del rapporto fra scienza e potere e, più specificamente, le modalità con i quali oggi si manifesta nell’ambito della medicina, la “non neutralità della scienza”.
Chi volesse contribuire può farlo! Qui tutte le informazioni su come contribuire.
Ciao Michelangiolo e… Salute, ne abbiamo bisogno!

In questi 15 anni, potrebbe pensare qualcuno, ci saranno però allora frequenti controlli e un rilevante apparato di sanzioni per chi non rispetta le regole. Macché: all’articolo 9 si prescrive che ci sarà solo un monitoraggio annuale sull’attuazione della nuova Aua (vale a dire sul fatto se la semplificazione funziona). Controlli e sanzioni? Non ci sono. Anche stavolta il governo ammette nella sua relazione che entrambi gli erano stati richiesti dalle Regioni, ma – purtroppo anche stavolta – non si può perché ci si è dimenticati di inserirli nel dl Semplificazioni e quindi il regolamento non li può creare dal nulla. E così potranno lavorare per 15 anni praticamente senza controlli robette come inceneritori, discariche, fonderie, raffinerie e impianti pericolosi d’ogni genere. Lo si evince anche dalle correzioni all’articolato originale che Il Fatto Quotidiano ha potuto visionare: la prima formulazione escludeva infatti dal rinnovo semplificato “scarichi di sostanze pericolose”, “emissione di sostanze cancerogene, tossiche per la riproduzione o mutagene o di sostanze di tossicità e cumulabilità particolarmente elevate” e via dicendo, previsione poi cancellata con un bel tratto nero in orizzontale.
Non bastasse, grazie alla soppressione di un comma del Codice Ambientale, la nuova Autorizzazione unica potrà essere per così dire parcellizzata, ovvero concessa senza “considerare l’insieme degli impianti e delle attività” presenti nello stabilimento che la richiede. Non manca nemmeno qualche elemento pazzoide: le regioni potranno infatti “definire ulteriori criteri per la qualificazione delle modifiche sostanziali” e altri cambiamenti minori, finendo in sostanza per complicare la giungla normativa e costringendo imprese che lavorano su più territori a seguire regole diverse per ottenere lo stesso via libera.
Infine, una nota di colore: il governo che voleva abolire le Province – e il premier che vuole abolirle se gli italiani lo voteranno – ha deciso che il soggetto a cui fa capo il rilascio della nuova Aua saranno… le Province. L’attivismo di fine mandato di Clini, peraltro, non si limita alla deregulation ambientale per le Pmi, ma include un controverso decreto che permetterà ai cementifici di bruciare nei loro impianti il cosiddetto Css (combustibili solidi secondari). Il dl ha avuto il parere contrario della commissione Ambiente della Camera, ma il ministro ha già annunciato che questo non sarà sufficiente a fermarlo: quel parere non è vincolante. La curiosa motivazione dei tecnici del ministero è che molti cementifici già bruciano il petcoke, che è molto più inquinante del Css, quindi con le nuove regole ci sarebbe un miglioramento delle emissioni in atmosfera. Ora, a parte l’idea che il problema dei rifiuti si risolve solo con la combustione, c’è il fatto che bruciando Css i cementifici inquinano assai di più rispetto ai “normali” inceneritori e possono per di più farlo a norma di legge, visto che hanno limiti di emissione più alti. “Clini dovrebbe dare a Monti consigli per l’Agenda green – conclude Bonelli – ma tra decreti sull’Ilva, silenzio assenso per costruire persino in aree protette, tagli ai parchi nazionali e questi ultimi atti può al massimo scrivergli l’Agenda black”.
Da Il Fatto Quotidiano del 17 febbraio 2013

sabato 18 gennaio 2014

Gigi Sanna candidato Presidente alle elezioni della RAS per ZONA FRANCA scrive alla dr.sa Maria Rosaria Randaccio


Per una questione di pluralità d'informazione e nel rispetto delle intenzioni di voto di ogni uno, copio questo comunicato del prof. Sanna, candidato presidente per il movimento Zona Franca

 Cara 'signora' (Randaccio M.R.) il nostro motto è determinazione ma non aggressività. E a questo io mi atterrò. In politica bisogna mantenere i nervi saldi perché basta una parola sbagliata per finire in tribunale. 

Già l'avermi accusato di essere 'avventuriero' solo perché non sono servo suo né tanto meno del signor Cappellacci indica la sua caduta di stile. 
Direi clamorosa. 

In questa battaglia per l'ottenimento della Zona Franca bisogna che ci sia su 'ballu tundu', una metafora per dire che i Sardi devono fare la battaglia uniti. Molto uniti. 

Ora dove sta il punto del contendere? Bisogna spiegarlo con molta calma ai Sardi. Sta qui. 

La sua tesi è: che solo andando 'pragmaticamente' con il forte o con il padrino (per dirla in termini più espliciti) che sta in un partito forte si può ottenere il risultato. 

La nostra invece è: solo i sardi uniti, uniti come popolo, possono ottenere i vantaggi economici derivanti dall'attuazione del regime di Zona Franca integrale. Questo detto in soldoni. 

Pertanto, lei faccia la sua strada e buona fortuna, noi faremo la nostra. Nel rispetto democratico delle idee. 

Quanto poi all'acquisto del logo della KLS da parte sua e del suo gruppetto, quello che lei dice è solo vergognoso. 

Quello studio grafico, del tutto gratuito, del designer dott. Massimiliano Sanna (zonafranchista tra i più attivi e convinti del progetto) aveva bisogno del massimo del rispetto. Invece lei 'signora', come un pugile suonato già dalla prima ripresa, spara pugni alla cieca. 

Sarò sincero con lei, cara 'signora'. 
Io ero uno di quelli che ha parlato (sia pur brevemente) nell'incontro di Marrubiu ed ero anche personalmente contento per il 'sardismo' che infilava nei suoi discorsi. 


In quel momento ero un suo fante e lei era il generale. Poi lei è stata sconfessata con la sua 'avventura' andando con un partito che è quello che è. 

Quell'umile fante ora cerca di fare umilmente quello che semplicemente avrebbe dovuto fare lei, caro generale. 

Perché ora il movimento Zona franca urla compatto: 'Lei ha tradito'.Si faccia da parte!'.

Un consiglio, se lei permette. 

Se vuole fare strada in politica bisogna stare attenti alla psicologia di chi viene guidato soprattutto se ha un'anima nobile movimentista. 

I movimenti mai e poi mai si lasciano condurre verso il potere, per sua natura statico, corrotto, reazionario. 

Vogliono distruggerlo. 

Gigi Sanna.




venerdì 17 gennaio 2014

Italia addestra militari libici contro i migranti


Italia addestra militari libici contro i migranti


Antonio Mazzeo antoniomazzeoblog.

È già in Italia il primo contingente di militari libici che sarà addestrato principalmente in funzione di vigilanza e contrasto dei flussi migratori. Si tratta di 340 uomini che svolgeranno a Cassino (Fr), presso l’80° Reggimento addestramento volontari dell’Esercito italiano, un ciclo addestrativo di 14 settimane.



L’attività è frutto dell’Accordo di cooperazione bilaterale tra Italia e Libia nel settore della Difesa, firmato a Roma il 28 maggio 2012. Secondo il portavoce del Ministero della difesa italiano, i cicli addestrativi prevedono la “formazione in Italia di più gruppi, scaglionati nel tempo, provenienti dalle regioni di Tripolitania, Cirenaica e Fezzan”. Il programma addestrativo a cura del personale misto di Esercito, Marina, Aeronautica e Arma dei Carabinieri, è inoltre parte delle iniziative di “ricostruzione” delle forze armate e di sicurezza libiche, decise in occasione del vertice G8 tenutosi a Lough Erne (Irlanda del Nord), nel giugno 2013. Nello specifico, Italia e Gran Bretagna si sono impegnati ad addestrare, ognuno, 2.000 militari libici all’anno; 6.000 militari saranno addestrati dagli Stati Uniti, mentre la Francia si occuperà della formazione delle forze di polizia.




Parte delle attività saranno realizzate direttamente in Libia da un team dell’Esercito integrato nella Missione Italiana in Libia (MIL), ufficialmente lanciata il 1° ottobre 2013 quale “evoluzione” dell’Operazione “Cyrene” che prese il via dopo la caduta del regime di Muammar Gheddafi. La MIL prevede infatti un sensibile aumento del numero del personale impiegato (sino a un centinaio di uomini) e delle finalità operative “La Missione Italiana in Libia ha lo scopo di organizzare, condurre e coordinare le attività addestrative, di assistenza e consulenza nel settore della Difesa”, ha spiegato il Capo di Stato Maggiore, ammiraglio Luigi Binelli Mantelli.

 “Si articola in una componente core interforze a carattere permanente, e in una componente ad hoc, costituita da mobile teams formativi, addestrativi e di supporto in base alle esigenze di volta in volta individuate dalle forze armate libiche”. Il salto strategico della nuova presenza italiana in Libia è sancito dalle risorse finanziarie messe in campo dal governo Letta: mentre nei primi nove mesi del 2013, “Cyrene” è costata 7,5 milioni di euro, nel trimestre ottobre-dicembre la missione MIL ha divorato oltre 5 milioni.

Le prime significative attività addestrative in Libia hanno preso il via nel dicembre 2012, quando una ventina di ufficiali di polizia sono stati ammessi a un corso di 4 settimane organizzato dall’Arma dei carabinieri. Temi trattati: “gestione dell’ordine pubblico, tecniche di intervento operativo, check point, perquisizioni, ammanettamenti, maneggio e uso delle armi, primo soccorso, servizi di tutela e scorta, difesa personale, contrasto agli ordigni esplosivi improvvisati, ecc.”. Sono seguiti poi per tutto il 2013 altri corsi pianificati e gestiti da una training missioncomposta da ufficiali e sottufficiali della 2a Brigata Mobile dei carabinieri. L’Arma ha curato anche l’addestramento dei “battaglioni di ordine pubblico” libici e della Border Guard a cui è affidata la vigilanza dei confini e dei siti strategici nazionali.

Una trentina di militari della neo-costituita guardia di frontiera sono stati invitati per un ciclo addestrativo di 10 settimane presso il Coespu (Centre of excellence for stability police units) di Vicenza, la scuola di formazione delle forze di polizia dei paesi africani e asiatici, di proprietà dei Carabinieri ma utilizzata pure da personale specializzato di Africom, il comando militare Usa per le operazioni in Africa. Un’altra trentina di ufficiali della Border Guard e della Gendarmeria libica hanno invece partecipato nella primavera 2013, presso la Scuola del Genio e del Comando logistico dell’Esercito di Velletri (Rm), a un corso sulle “tecniche di bonifica di ordigni esplosivi convenzionali” e a uno sulla “manutenzione” dei blindati da trasporto e combattimento “Puma”.

Venti di questi veicoli prodotti dal consorzio Fiat Iveco-Oto Melara erano stati consegnati “a titolo gratuito” ai libici il 6 febbraio 2013, in occasione della visita a Tripoli dell’allora ministro della difesa, ammiraglio Di Paola. In quella data fu pure raggiunto un accordo di massima tra Italia e Libia sui futuri programmi di formazione dei reparti militari e delle forze di polizia e, come spiegato dallo stesso Di Paola, “di cooperazione, anche tecnologica, nelle attività di controllo dell’immigrazione clandestina, di supporto nazionale alla ricostruzione della componente navale, sorveglianza e controllo integrato delle frontiere”.

Nell’ottica del rafforzamento dei legami italo-libici, una delegazione della Marina del paese nordafricano è stata ospite nel luglio 2013 dell’Accademia Navale di Livorno, della stazione elicotteri della Marina di Luni e del Comando delle forze di contromisure mine (Comfordrag) di La Spezia. E a fine ottobre, le autorità di Tripoli hanno annunciato di voler rinnovare la collaborazione con Roma e l’industria Selex ES (Finmeccanica) per installare un sistema di sorveglianza radar e monitoraggio elettronico delle coste libiche e delle frontiere con Niger, Ciad e Sudan, dal costo di 300 milioni di euro. Il contratto fu firmato il 7 ottobre 2009 all’epoca del regime di Muammar Gheddafi, ma fu interrotto nel 2011 con il completamento di solo una tranche di 150 milioni.

Selex ES, con la collaborazione di GEM Elettronica, deve provvedere all’installazione di una rete radar Land Scout “in grado di individuare anche i movimenti di gruppi di persone appiedate”, e curerà la formazione degli operatori e dei manutentori libici. Secondo il sito specialistico Analisi Difesa, i libici avrebbero espresso la volontà di dotarsi pure di un non meglio precisato “monitoraggio aereo delle frontiere” che comprenderebbe l’acquisto dei droni di sorveglianza “Falco”, prodotti sempre dall’italiana Selex.
Enzo Apicella, 2011

Che siano gli aerei senza pilota la nuova frontiera tecnologica per le guerre ai migranti e alle migrazioni lanciate dalle forze armate italiane e libiche lo prova l’ultimo “accordo tecnico” di cooperazione bilaterale sottoscritto a Roma il 28 novembre 2013 dai ministri della difesa Mario Mauro e Abdullah Al-Thinni. Il memorandum autorizza l’impiego di mezzi aerei italiani a pilotaggio remoto in missioni a supporto delle autorità libiche per le “attività di controllo” del confine sud del Paese. Si tratta dei droni Predator del 32° Stormo dell’Aeronautica militare di Amendola (Fg), rischierati in Sicilia a Sigonella e Trapani-Birgi nell’ambito dell’operazione “Mare Nostrum” di controllo e vigilanza del Mediterraneo. Grazie ai Predator, gli automezzi dei migranti saranno intercettati quanto attraversano il Sahara e i militari libici potranno intervenire tempestivamente per detenerli o deportarli prima che essi possano raggiungere le città costiere.

V-RMTC
Sempre secondo quanto dichiarato dal Ministero della difesa italiano a conclusione del vertice bilaterale del 28 novembre scorso, “nell’ottica di uno sviluppo delle capacità nel settore della sorveglianza e della sicurezza marittima, è emersa anche la possibilità di imbarcare ufficiali libici a bordo delle unità navali italiane impegnate nell’Operazione “Mare Nostrum”, nonché di avviare corsi di addestramento sull’impiego del V-RMTC (Virtual Maritime Traffic Centre)”. Il governo Letta, cioè, pensa di consentire ai militari di un paese all’indice per le violazioni dei diritti umani, di partecipare a bordo della “San Marco” e delle fregate lanciamissili italiane alle (illegittime) operazioni di identificazione e agli (ancor più illegittimi) interrogatori di tutti coloro che saranno “salvati” nel Canale di Sicilia.

La "San Marco"

“Con la stipula delle nuove intese tra il ministro della difesa libico e Mario Mauro viene svelato il vero senso della missione militare “Mare Nostrum”, sempre meno umanitaria”, ha commentato il giurista Fulvio Vassallo Paleologo dell’Università di Palermo. “Con i funzionari del ministero dell’interno già operativi potranno essere imbarcati agenti di polizia libici, con conseguenze devastanti per il destino dei naufraghi raccolti in mare, tutti ormai potenziali richiedenti asilo, che saranno sempre più esposti al rischio di identificazioni violente e di successivi respingimenti in Libia. Si potrà ripetere dunque quanto accaduto nel 2009, quando la Guardia di Finanza italiana riportò in Libia decine di migranti. Pratica per la quale l’Italia è stata condannata, nel 2012, dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo”.

Foto del Ministero italiano della Difesa


mercoledì 15 gennaio 2014

Hezbollah e Libano tra destabilizzazioni interne e preparativi per una grande guerra.

Hezbollah e Libano tra destabilizzazioni interne e preparativi per una grande guerra.

Da mesi ormai in Libano non si respira un’aria mite e la tensione la si percepisce ovunque. Da Beirut a Sidone, da Tripoli a Baalbeck, sebbene le forze di polizia abbiano checkpoints ovunque e controllino il territorio in maniera capillare, vi è ansia/attesa che qualcosa possa accadere da un momento all’altro. È questo il prezzo che sta pagando per il considerevole supporto al governo di Damasco contro le milizie terroriste.
La situazione politica interna
downloadPremesso che le elezioni del giugno scorso sono state rinviate proprio per il coinvolgimento nella guerra siriana, possiamo fare un analisi della situazione politica interna. Le fazioni politiche, attualmente , si sono radicalizzate su posizioni che riflettono il loro appoggio o meno al governo di Damasco, rendendo, in questo modo, settimana dopo settimana, più marcati i dissidi interni tra le stesse.
Da una parte quindi abbiamo il Movimento 14 marzo, aggregazione di forze politiche che fondamentalmente fa capo a leaders sunniti e quindi supporta, con parole e con fatti, i terroristi che stanno insanguinando la Siria e che, di tanto in tanto, compiono qualche attentato anche in Libano al fine di destabilizzare il Paese ed indebolire Hezbollah. Superfluo aggiungere che i grandi finanziatori (leggasi manovratori) di queste fazioni politiche siano, principalmente, Arabia Saudita, Qatar ed USA sotto la regia israeliana.
Dall’altra parte, nel Movimento 8 marzo, troviamo fazioni politiche che, facendo capo ad Hezbollah, hanno quale obiettivo primario la stabilità politica e sociale del Libano e l’allontanamento dei terroristi islamici al soldo dei Paesi imperialisti. In questa coalizione, è importante specificarlo per questioni che analizzeremo più avanti, un notevole contributo viene dato dall’appoggio dal partito Amal e da Michel Aoun.
Il conflitto siriano quindi, in pochi mesi, si è esteso in gran parte della regione mediorientale fino a peggiorare la situazione in Iraq da un lato ed in Libano dall’altro. Le varie milizie affiliate ad Al-Qaeda (ISISAl-Nusra), con autobombe e kamikaze nei quartieri roccaforti di Hezbollah, hanno messo dichiarato guerra aperta in cima alla lista dei loro obiettivi proprio perché importante pilastro dell’Asse della Resistenza (Iran-Siria-Hezbollah-Resistenza palestinese, ma dei palestinesi parleremo più avanti).
L’Arabia Saudita quindi sta cercando, come ha sempre saputo fare (Afghanistan 1979, Bosnia 1990, Cecenia, Libia …), di organizzare milizie di fanatici islamisti che, con una guerra settaria all’interno del Libano, costringano Hezbollah a ritirarsi dal conflitto siriano. Le sue principali pedine sono sia lo sceicco salafita e anti-HezbollahAhmed al-Assir in Sidone, sia il clan degli Hariri, entrambi ultra-finanziati dalla famiglia Saud.
A tal proposito è interessante andare ad informarsi, per chi voglia, sul “Piano Yinon”, dal nome del ministro degli esteri israeliano del 1982, il quale prevedeva la famosa strategia divide et impera, proprio con frammentazioni settarie, in tutta la regione mediorientale al fine di fortificare il potere israeliano.
Il rapporto frammentato con i palestinesi
Specie nell’ultimo periodo, il rapporto tra Hezbollah ed alcuni movimenti palestinesi si è incrinato, a causa del supporto, da parte di quest’ultimi, ad alcuni miliziani anti-Assad che escono dai campi profughi per raggiungere la Siria e poi rientrare dopo diverse settimane di combattimento. In questo caso stiamo parlando di movimenti estremisti religiosi vicini all’ambiente salafita, quindi una piccola minoranza. Inutile aggiungere che Hezbollah ha ufficialmente condannato tali azioni e, soprattutto, ha aggiunto che i palestinesi non sono riconoscenti nei confronti del principale movimento che realmente lotta per il loro ritorno in Palestina. Per contro, alcuni movimenti palestinesi, affermano che nei fatti Hezbollah ha fatto ben poco per essi, come ad esempio cercare di concedergli i diritti civili elementari, il diritto al lavoro, alla casa, ecc… (Ma questa è una questione ben più complessa che richiederebbe un apposito approfondimento).
Ma i motivi dell’incrinazione dei rapporti  sono anche altri. Le tensioni tra i movimenti palestinesi ed Hezbollah nascono fondamentalmente dalle scelte politiche di quest’ultimo che, alleandosi con il partito Amal e con ilMovimento Patriottico Libero di Michel Aoun, ha provocato l’ira della quasi totalità dei palestinesi. Questo perché Michel Aoun, è famigerato tra i signori della guera cristiani per la sua campagna militare e politica anti-palestinese. Per quanto riguarda Amal invece, si stima che abbia ucciso più palestinesi in Libano durante i massacri del 1985-1988 che i sionisti in 60 anni (si parla di massacri in campi praticamente indifesi). In questi giorni hanno fatto discutere molto gli enormi poster del leader di Amal, considerati una provocazione, specie fuori i campi profughi palestinesi, ed in particolar modo fuori Shatila, il campo che più di tutti ha sofferto per i suddetti massacri.
Il leader del Fronte Al-Nusra ( Abou Mohammed al- Jawlani) ovviamente va a nozze con queste frammentazioni nella vita politica e sociale libanese ed ha dichiarato che al-Qaeda ha già parecchi contatti in territorio libanese ed il suo scopo è quello di aiutare i sunniti contro le ingiustizie di Hezbollah.
Tutti ormai sappiamo da chi è controllata al-Qaeda e del fatto che i suoi obiettivi sono sempre unificati con quelli di CIA e Mossad; è ovvio quindi che i palestinesi solo se stolti possono seguire i richiami di Al-Nusra e cadere nella trappola.
Intanto, fonti sicure affermano che gruppi islamici palestinesi quali Usbat al-AnsarJund al-ShamFatah al-Islam e altri gruppi salafiti si stanno preparando a difendere il campo di Sidone contro un eventuale attacco di Hezbollah.
Da precisare, inoltre, che Abbas, il leader dell’ANP, anche se con ritardo, ha puntualizzato che chiunque permetta l’accesso nei campi ai miliziani ribelli è da ritenersi traditore della causa palestinese.
I preparativi per una grande guerra
imagesUn alto comandante delle Guardie della Rivoluzioneiraniane ha di recente affermato che Hezbollah ha migliorato notevolmente le sue capacità missilistiche e può individuare obiettivi in tutta la Palestina occupata con ottima precisione. Secondo alcune fonti si tratta anche di missili in grado di colpire elicotteri, missili anti-carro e missili atti a colpire le navi. Anche se le notizie non possono avere conferme tangibili al momento, resta il fatto che l’Iran, il principale fornitore di armi per Hezbollah, ha una capacità bellica non indifferente e quindi le notizie sono più che attendibili.
Tutti sono coscienti dell’enorme supporto del regime saudita verso i salafisti al fine di indebolire Hezbollah ed aumentare il pressing sul governo siriano. Lo scopo è quello di rendere totalmente instabile, politicamente e socialmente, la regione Libano-Siria-Iraq per isolare l’Iran e padroneggiare, assieme ai fratelli israelo-sionisti, nell’area mediorientale. Ma nell’ultimo periodo le cose non stanno andando come programmato, l’Esercito Arabo Siriano (il grande eroe di questa guerra) ha ormai il controllo della quasi totalità della Siria e già la Comunità Europea ha cambiato la propria linea politica verso al-Assad (a parte la Francia di Hollande grande alleata della famiglia Saud, ed il Regno Unito che continua a fare affari nella vendita di armi alle milizie terroriste).
Questo non significa che la vittoria per l’Asse della Resistenza sia vicina, perché i Magnifici 6 (Francia, Regno Unito, Arabia Saudita, Qatar, USA ed Israele) hanno ancora un’infinità di armi, soldi e uomini a disposizione per sovvertire la stabilità nella regione ed indebolire l’Asse della Resistenza. Resta il fatto che, non appena il controllo dell’Asse si accentuerà nella regione, Hezbollah focalizzerà la sua attenzione verso Sud, e riprenderà in maniera più intensiva il conflitto con Israele.
Israele sa bene quanto quest’ipotesi sia reale, tanto che, negli ultimi giorni, sta intensificando le incursioni aeree in Libano (in particolare nella Valle della Beqaa) al fine di catturare immagini e controllare movimenti sospetti. È noto che l’arsenale di Hezbollah da tempo ha raggiunto un livello qualitativo e quantitativo come mai prima, e continua ad ingigantirsi costantemente con armi di tutti i tipi che entrano dal confine siriano.
Hezbollah ha addirittura affermato che in Siria sta combattendo con appena il 5% della sua forza militare. Affermazione alquanto ardita, anch’essa non confermabile in maniera ufficiale. È probabile, secondo un “calcolo” del tutto personale, che un buon 30-40% della fascia di “combattenti prontamente disponibili” sia impiegato in Siria e nei pressi del confine e, quindi, potremmo dedurre che effettivamente di tutto il personale che potrebbe mobilitarsi per una vera e propria guerra di resistenza in futuro, sia attualmente impiegato solo il 10-15%.
Resta il fatto che i preparativi per una grande guerra sono in atto, in maniera “occulta ma evidente” (permettetemi la contraddizione). Questa volta si prevede un guerra non limitata, ma totale fino alle ultime forze. Psicologicamente, parlando con i combattenti del Partito di Dio, è evidente che sono da tempo pronti al grande sacrificio che comporterà la prossima guerra. Ma sono sicuri della loro vittoria. Resta solo da vedere quali saranno le prossime mosse sullo scacchiere mediorientale perché non appena l’Asse della Resistenza avrà riacquistato la totale stabilità, sarà pronta a ripagare il danno subito con tanto di interessi, ed Hezbollah freme nell’attesa che arrivi l’ora giusta.

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