Tutti si presentano come rivoluzionari, ma nessuno ha il coraggio di parlare di ciò che realmente succede nel mondo. Figuriamoci se si tratta della connessione tra Servizi Segreti, massoneria euro-atlantica e criminalità organizzata.
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martedì 22 novembre 2022
mercoledì 22 maggio 2019
Lettera aperta a Matteo Messina Denaro. ''Davvero vuole finire così?''
Lettera aperta a Matteo Messina Denaro. ''Davvero vuole finire così?''
Chris Barlati
Sa defenza
No trattativa Stato-Mafia, ma Falange-Governo
Chris Barlati
*****
https://sadefenza.blogspot.com/2019/05/lettera-aperta-matteo-messina-denaro.html
Sa Defenza non effettua alcun controllo preventivo in relazione al contenuto, alla natura, alla veridicità e alla correttezza di materiali, dati e informazioni pubblicati, né delle opinioni che in essi vengono espresse.
Chris Barlati
Sa defenza
Giusto fino ad un mese fa non si faceva altro che parlare di Matteo Messina Denaro. Per quale motivo?
Non è un caso che si smetta di parlare
del ''mafioso'' più ricercato d'Italia, se non d'Europa, prima delle
elezioni europee.
La storia di Messina Denaro è un
romanzo dell'incredibile. Miliziano di prim'ordine di Cosa Nostra,
Messina Denaro diventa il referente nazionale della Falange Armata,
l'organizzazione terrorista che mosse guerra allo stato Italiano,
uccidendo Falcone e Borsellino e che conquistò non solo il mercato
economico del nuovo mondo globalizzato, ma il mondo della
politica nazionale.
Il contesto storico
Ricordiamo tuttavia un evento di
fondamentale importanza: con il crollo della prima Repubblica e le
bombe che segnarono l'inizio della Seconda, una nuova struttura, del
tutto aliena alla vecchia comprensione di cui poteva disporre il
potere politico, iniziò ad insidiarsi nei meccanismi decisionali
dello Stato. Tra questi, massoneria, 'Ndrangheta, Cosa Nostra,
finanza vicino all'ala di De Benedetti, le strane politiche del post Pc in senso liberista, si
unirono in una commistioni all'allora indefinibile.
Gli unici che riuscono a scorgere la
fisionomia di tale chimera furono Falcone e Borsellino. Altri, come
il pool di Milano e, nella fattispecie di Di Pietro, vennero usati,
tanto che resosi conto della reale pericolosità della situazione,
decisero di allontanarsi per sempre dal mondo della magistratura
senza più nulla tentare per timore di una definitiva ''liquidazione''.
I ''sopravvissuti'' della politica, i
vari post comunisti successori del Pci, insieme ad una sparuta
minoranza di socialisti, divennero implicitamente parte del nuova sistema(vuoi per ignoranza, o per quieto vivere).
Resistenze non ve ne furono, a parte lo stupido tentativo dei socialisti craxiani e Dc andreottiani di ergere Berlusconi a Homo Novus e referente politico del nuovo divenire, con l'intento di ''assorbire'', nel modo meno traumatico possibile, lo shock dell'inevitabile trasformazione, impedendo così la diluizione della politica italiana in un mero agglomerato di interessi e proiezioni economiche e finanziarie.
Resistenze non ve ne furono, a parte lo stupido tentativo dei socialisti craxiani e Dc andreottiani di ergere Berlusconi a Homo Novus e referente politico del nuovo divenire, con l'intento di ''assorbire'', nel modo meno traumatico possibile, lo shock dell'inevitabile trasformazione, impedendo così la diluizione della politica italiana in un mero agglomerato di interessi e proiezioni economiche e finanziarie.
Chi è(era) il ''dritto''. Una nuova
trattativa all'orizzonte?
E' questo il contesto in cui Matteo
Messina Denaro assume il ruolo di referente dell'ala militare
della Falange Armata, ovvero di quella chimera composta da Mafia,
parte della 'Ndrangheta, sezioni filo atlantiche dei
Servizi Segreti e massoneria finanziaria.
Storia insegna che, ogni qual volta un
nuovo governo voglia praticare un po' di politica, senza la
''benedizione'' di questa invisibile ma presente entità, si corra matematicamente il
rischio di inaugurare una nuova stagione di bombe, attentati o di inchieste giudiziarie
riguardanti i reati più indicibili(i più comuni sono di
finanziamento illecito e sessuali).
Tutti i precedenti governi hanno lanciato messaggi di distensione nei
riguardi di tale sovrastruttura.
Forniamo alcuni esempi:
- Berlusconi:
Il buon vecchio Silvio ha vissuto per
oltre un ventennio da giocatore di primo piano nella vita politica ed
economica del Paese. Tramite dell'Utri, suo vecchio amico di
Università, ha potuto avvicinarsi a Cosa Nostra e rendersi
''credibile'', di conseguenza, agli occhi della finanza falangista(di cui Cosa Nostra
era la componente maggioritaria). E' qui che il sogno del ponte
sullo stretto di Messina, chiaro segnale di distensione nei confronti
della criminalità, prende avvio. In quel periodo, qualsiasi
criminale poteva trarre sostegno ed impunità facendosi eleggere
come senatore o deputato di Forza Italia(vedi Cosentino). E
l'incessante ritorno al tema del Ponte costituiva ad ogni tornata
elettorale un messaggio di rinnovata amicizia nei riguardi della succitata organizzazione.
- Renzi:
Dopo il crollo della destra in Italia,
e prima dell'affermarsi del Movimento 5 stelle, il potere è passò alla ''sinistra'', l'ala atlantica del nazismo finanziario. Anche
Renzi, come Berlusconi, corteggiò infinite volte la Falange con
la sua intenzione di voler proseguire l'operato di Berlusconi: in primis, il Ponte e, a seguito, privatizzazioni, deregolamentazioni,
precariato e concessioni di territori nazionali(Mar di Sardegna).
- Governo giallo verde.
Sia Salvini che Luigi di Maio non hanno
sprecato una sola parola nei riguardi del super latitante Messina
Denaro. Basterebbe scrivere ''Salvini/Di Maio'' con ''Messina
Denaro'' su google per rendersi conto dell'inesistenza di qualunque
trattazione od argomentazione spesa dai due ''super
ministri''. Ritroviamo sorprendentemente ed unicamente le
affermazioni di Cafiero de Raho, uomo stimato dal defunto pentito
Carmine Schiavone, che si lascia andare a dichiarazioni sconcertanti,
quasi stupide, che ''non gli appartengono'' data la sua brillante e
professionale carriera nell'antimafia(nonché stando alla stima
nutrita nei suoi confronti dall'ex boss dei Casalesi).
Caro De Raho, le parole sono
importanti
''Arresteremo Messina Denaro'',
''Abbiamo tagliato le reti che lo supportavano'', ''La sua cattura è
questione di tempo''.
Tempo fa De Raho aveva
pubblicamente annunciato che la Direzione Nazionale Antimafia aveva sventato la formazione di una nuova cupola mafiosa a Palermo, sul punto di riformarsi a seguito della morte del ''capo dei capi''. Tale assurdità è stata il prologo di
una serie di scivoloni che non sono certo il prodotto dell'intelletto
di Cafiero de Raho, ma che trovano bensì spiegazione in una sua
ipotetica strumentalizzazione ad opera del governo in carica; governo
che sembra inviare al ''referente'' della Falange un inequivocabile
messaggio: ''Accordiamoci''.
5 Stelle e Lega. Una nuova
Trattativa
Quando si vuole
arrestare qualcuno, lo si fa e basta. Non lo si avvisa. Ciò lo
allarmerebbe e gli permetterebbe di fuggire. Quando nei passati anni
'90 si dichiarò in pubblico l'imminente arresto di Riina,
quest'ultimo comprese chi e come l'avesse 'venduto'. La storia è la
narrazione di un procedere universale chiamato 'tempo', che si ripete
in forme diverse ma con attuazioni analoghe.
Perché si decide,
in questo caso, di ''allarmare'' il mafioso più importante del mondo? Colui che, alla guida dell'esercito di ''Cosa
Nuova'', commistione tra Cosa Nostra e 'Ndrangheta, gestisce e
permette l'entrata in Europa dell'intero mercato della droga
atlantica? Colui che, molto probabilmente, assieme alle sezioni
''deviate'' dei servizi segreti ha preso accordi per impedire
attentati in Italia in cambio di un ''ragionevole'' traffico di armi
e di rifiuti nucleari con i paesi del Medio Oriente, in perfetto stile
''Lodo Moro 2.0''?
Risponderemo qui
di seguito.
Si allarme un
personaggio di tale calibro perché:
- Si vuole dargli un avviso, ''attenzionarlo'', per rimetterlo in riga;
- Si vuole lanciare un messaggio, in modo che possa essere il solo ed unico a poterlo comprendere;
- Si vuole salvare il latitante da un omicidio interno, offrendogli un ''armistizio'' o ''protezione'', arrestandolo.
I contesti,
naturalmente, cambiano a seconda dell'opzione.
Per il punto 1,
storia criminale ci insegna che, qualora un Riina si avvicini alla
fine, sorga sempre un Provenzano pronto a consegnarlo alle forze
dell'ordine, non per tradirlo, ma per offrire un capro espiatorio
alla pubblica opinione e procedere ad una ''distensione'' tra i due
mondi: quello formale, pubblico, della politica, e quello oscuro, dei
sporchi meccanismi dello Stato e dell'interazione tra servizi e
criminalità. Ad ogni Provenzano succederà un Messina Denaro, e così
via...
E se davvero ne capissero qualcosa
di politica?
Lega e 5 Stelle
potrebbero aver ideato consapevolmente tutto ciò, consci del
lento ma inarrestabile divenire multipolare europeo, cambiamento che
richiede, come sempre, una riformulazione degli equilibri esistenti tra
strutture statali e sovrastrutture irregolari.
Proprio come
accadde in Europea quando crollò il muro di Berlino, la necessità di ''aggiornare'' la ''gestione'' della Cosa Pubblica in
senso finanziario ed ultraliberale(a suon di bombe ed omicidi di
''Stato'') divenne prioritaria: vitale. Allo stesso modo, 5 Stelle e
Lega, da ottimi prevenuti, potrebbero aver anticipato eventuali
offerte, lanciando per primi il loro
messaggio alla ''stanza dei bottoni'': ''Siamo qui, a vostra disposizione, ma abbiamo il coltello
dalla parte del manico. Caro Messina Denaro, o sei dei nostri o
faremo di tutto per delegittimarti e farti eliminare dalla stessa
organizzazione di cui fai (o facevi) parte''. Se così fosse, tanto di cappello
nei confronti degli strateghi della Lega e dei 5S. Ciò spiegherebbe
anche il perché del silenzio del ''capitano'' Salvini su argomenti
quali 'Ndrangheta, Servizi Segreti e massoneria deviata, assieme al
menefreghismo dei 5S che ha fatto, in passato, della trasparenza il suo cavallo di battaglia(l'esponente più rude, a tal proposito, era Alessandro Di Battista, silurato in fretta in furia, guarda caso in vista
delle elezioni europee).
Ora tutti europeisti
Per il punto 2,
M5s e Lega hanno, altra casualità, abbracciato un europeismo fatto di
santini, figurine della madonna e richiami a qualsiasi entità che
potesse loro fornire consensi. Chiesa, criminalità, mercati
finanziari ecc... Una politica priva di dignità, insomma, al limite
del ridicolo, di cui il nuovo Governo vuole farsi incarnazione. In
questo mese che ha preceduto, e precede, le votazioni, la questione
''Messina Denaro'' ha perso di significato. Potremmo interpretare
questa 'casualità' come un tentativo preparatorio in vista delle
europee, o come un obiettivo temporaneo raggiunto, in parte, nella
propria realizzazione. Nel senso: ''Caro Messina Denaro, se hai capito il messaggio vediamo chi vincerà queste elezioni e se ci saranno problemi. In base ai risultati, poi, ragioneremo.''
Naturalmente, le mie sono supposizioni. Ma ricordiamo che il santino sta alla Chiesa come l'europeismo ai mercati finanziari ed il silenzio al consenso mafioso...
Il punto 3,
rifacendoci all'intricata cronologia della trattativa tra Stato e Mafia degli anni '90, ha del concreto ed è attinente con l'odierna
evoluzione degli eventi politici nazionali ed internazionali.
Sappiamo di per certo che senza quella ''sezione'' dei
''servizi'' segreti italiani, che oramai detiene il potere
nell'ambito decisionale politico ed economico, sarebbe impossibile
governare, a meno che non si vogliano rischiare bombe, scandali, intercettazioni e finanziamenti illeciti.
Definito il
contesto nel quale si è avallato ''l'avviso di arresto'', seguo con
le domande al signor Denaro, speranzoso che possa leggerle e che
possa rispondere magari con un ''papello'' scritto di suo pugno ed
inviato ai maggiori quotidiani nazionali(nel dubbio, a quotidiani
minori siciliani, o al giornale LA VOCE DELLE VOCI, di cui stimo l'operato ed i
collaboratori. Link http://www.lavocedellevoci.it/):
Lettera aperta a Matteo Messina Denaro. ''Voleva davvero finire così?''
Caro signor
Messina Denaro,
Non mi interessa
conoscere i come, i dove ed i perché. E' inutile domandarlo, e sono sicuro che solo gli stupidi pretenderebbero di avere certe risposte. Carmine Schiavone informò Cafiero de Raho degli
''inconfessabili segreti'' pervenuti da suo padre quando questi si trovava in
cella con il boss casalese. E sappiamo bene che De Raho si guarda bene
dal raccontarli. Molte delle dichiarazioni di Schiavone sono adesso nelle mani
dei servizi belgi. Quest'ultimi hanno la strana
predisposizione nell'accogliere, tra le loro braccia, uomini della
criminalità della provincia di Caserta e Salerno, che si sono distinti nel loro agire, cambiandogli
connotati ed identità. Ma non voglio domandarle questo. Le mie domande riguardano le sue intenzioni. Le passate, ovvio. Il suo lato ''umano'' ed ''intellettuale''. Mi
spiego meglio:
- Quando iniziò a mettere a fuoco i contorni del nuovo divenire, si rese conto che si sarebbe circondato di persone meschine, inutili e senza un minimo di anima? Gente che, condannata alla depravazione del denaro e della cocaina, in nulla e per nulla avrebbe potuto attuare i suoi ''ideali'' di crociato mafioso?
- Non si sente usato da quel mondo che ha contribuito a creare? Pensa davvero che la sua proiezione, in tale microcosmo, possa tuttavia influenzare la realtà circostante in maniera ''positiva''?
- Pensa davvero che ci siano persone incapaci di percepire quella verità che viene ridicolizzata e mistificata da esseri di infimo valore presenti nelle istituzioni e nelle megacorporazioni mediatiche?
- La storia si ripete, e si sta ripetendo anche per Lei. Di sicuro era preparato a tutto questo, poiché lei è, come direbbe Riina, uno ''dritto''. Pensa sia arrivato il momento di raccontarci un po' di Lei? Non dei suoi segreti, ma della sua persona. Un racconto, e non una confessione, di ciò che fu. La chiamano ''Svetonio'', ma preferire la chiamassero ''Petronio'' o ''Marziale'', poiché ''la nostra pagina sa di uomo'', e mi piacerebbe leggere una sua di pagina, anche una sola, che descriva la situazione di questi anni. Se la sentirebbe? Prima che l'arrestino o che la facciamo scomparire per sempre?
Chris Barlati
*****
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sabato 1 dicembre 2018
"Storie di Prima Repubblica"
"Storie di Prima Repubblica"
Sa Defenza
Chris Barlati è un collaboratore attivo per Sa Defenza che ama scrivere su temi quali Servizi Segreti, interessi finanziari e, più in generale, politica internazionale. Il
multipolarismo è sempre stato il suo principale interesse, ma questa volta ha ben pensato di scrivere un libro inerente la Prima Repubblica.
In un periodo di rifacimenti, nostalgie e definizioni errate della politica, il nostro collaboratore ha tentato di ristabilire i vecchi significati degli schieramenti, nonché
terminologie quali "destra" ,"sinistra";"criminalità" e "sovranità". Incontrando personaggi un tempo detentori dei meccanismi decisionali del nostro Paese, Barlati
ha potuto conoscere, parlare, discutere degli eventi, le strategie ed i segreti che hanno cambiato per sempre le sorti d'Italia. "Storie di Prima Repubblica" è il risultato di un percorso di studi che parte da una semplice tesi di laurea, ma che approda alla rielaborazione dei principali misteri d'Italia, nonché degli omicidi di Falcone e Borsellino, per offrire una verità che ancora oggi deve essere metabolizzata dalla pubblica opinione e che svela l'esistenza di chi si è sempre celato dietro Cosa Nostra, Gladio, Uno Bianca e le privatizzazioni postume al crollo del muro di Berlino. Abbiamo così deciso di intervistare il nostro collaboratore e di porgli alcune domande.
Partiamo Subito con la prima domanda. Mani Pulite fu un'operazione d'oltre oceano?
«Mani Pulite fu una conseguenza del crollo del Muro di Berlino. Le inchieste della
magistratura rappresentano il naturale divenire delle indagini allora in corso che,
non essendo più ostacolate dalle manine atlantiche, manine abituate agli omicidi ed
alle destabilizzazioni, poterono scardinare l'intera struttura dirigente. Mani Pulite
deflagra anche in Giappone, Francia, non solo in Italia e in maniera del tutto simile.
Mani Pulite, in sintesi, è una delegittimazione dei vecchi sistemi politici, protrattasi
a livello internazionale.»
Per quale motivo ciò avviene?
«Perché non ha più senso difendere e sostenere un immenso e dispendioso esercito
anti comunista. Mi riferisco alla Dc, al Psi e all'immunità di cui godeva l'Italia, come
altri paesi, sia nei rapporti con la mafia che per i numerosi finanziamenti illeciti.
Dunque, il ragionamento fu allo stesso tempo economico e politico. Diciamo che la
presenza statunitense, in questo caso, si esplica attraverso il proprio non intervento.
Mi spiego meglio: mentre in passato l'alleato era pronto a coprire eventuali
compromissioni, sia con l'utilizzo di qualche agente spregiudicato, sia con qualche
finanziamento ad personam, da quel momento in poi nessuno più si attivò a difesa dei
vecchi alleati. Anzi, ben accetta fu la scoperta di tutte le tangenti afferenti il Psi o la
Dc. Per eliminare l'oramai inefficiente e corrotta macchina pentapartitica, si pensò di
lasciar fare alla magistratura il suo corso naturale. Socialisti e democristiani inoltre
avevano fin troppo infastidito con la loro politica filo araba inglese e statunitense. Lo
stesso Andreotti con la sua equidistanza si era messo in cattiva luce, irritando le
intelligence anglosassoni e francesi.»
Quale fu il ruolo di Gladio nella prima Repubblica, nell'omicidio di Falcone e
Borsellino e nei confronti dell'Unione Sovietica?
«Gladio ufficialmente fu un apparato militare di intervento dedito alla prevenzione di
ogni possibile minaccia sovietica. Lo studio di Gladio era principalmente di natura
programmatica e strategica, e solo nel peggiore dei casi d'attuazione di guerra non
convenzionale. Alcuni critici collegano una partecipazione Gladio al rapimento e
omicidio di Aldo Moro, mentre dal mio punto di vista ciò non avrebbe avuto molto
senso nella seconda ipotesi. Vada pure, per assurdo, la validità del rapimento, ma
illogico si configurerebbe l'omicidio, per un aspetto di fondamentale importanza:
Moro era stimato ed amato dai Servizi italiani, da quegli stessi Servizi che
continuarono ad osservare fedelmente il patto con i palestinesi per il trasporto di armi in
territorio italiano in cambio dell'assenza di attentati (il cosiddetto Lodo Moro). Un
omicidio Moro avrebbe generato un guerra interna agli stessi Servizi, a meno che
quest'ultimi non fossero stati ingannati da altri servizi meglio preparati e con
maggiori dotazioni. Ricordiamo che il democristiano Galloni solo recentemente ha
parlato della presenza di truppe israeliane all'interno delle Brigate Rosse. Dunque,
quest'ipotesi si rende leggermente più credibile rispetto all'esclusiva partecipazione di
Gladio, o meglio nell'omicidio dello statista.
Nei riguardi di Falcone e Borsellino non abbiamo molte prove per dubitare di Gladio.
Basandoci su di un collegamento di fatti, e non di opinioni, dobbiamo escludere la
partecipazione diretta dell'organizzazione, poiché sciolta completamente e sotto i
riflettori della pubblica opinione già nel 1990. Potremmo invece ipotizzare arruolamento di alcuni suoi componenti fanatici di estrema destra, la cosiddetta Gladio Nera, nelle fila della Falange armata, poiché vicini per ideologia ad alcuni esponenti della criminalità organizzata e della P2.»
Una Gladio all'nterno di Gladio?
«Gladio, per quanto "Stay Behind", fu pur sempre un apparato militare italiano,
dunque suscettibile anch'essa di sviste e goffaggini all'italiana, nonché di
infiltrazioni e manipolazioni. Non sono rari casi di analogie tra esponenti della
criminalità, figure massoniche ultra atlantiche e militari di apparati segreti.
Ricordiamo che tutti i maggiori attentati di quel periodo vennero rivendicati dalla
Falange Armata, in una non casuale confusione di chiamate fatte da sedi dei servizi
segreti e da voci marcate dai più disparati dialetti ed accenti stranieri. Se poi
volessimo citare Elio Ciolini, terrorista nero che seppe predire le azioni falangiste, o il
pentito Messina Denaro, padre di Matteo Messina Denaro, che per primo parlò di una
commistione tra mafia e massoneria, entriamo in un circuito composto da terroristi
neri, criminalità organizzata e massoneria. Tutte entità che ebbero in comune il
medesimo interesse: divenire decisori della nuova politica italiana.»
Se non sbaglio fu questa l'ossatura della Falange Armata.
«Esatto.»
Quindi, se non direttamente ci fu sempre una partecipazione esterna?
«Assolutamente, sì. Gli esplosivi, le tecniche d'azione militari, il radiocomando nel
citofono della madre di Borsellino, l'elicottero che sorvolò le strade al momento degli
attentati, strane figure viste e riviste in più di un'occasione: se non mercenari,
sicuramente personaggi assoldati da interessi non prettamente nazionali.»
Come è stato possibile che personaggi quali Cossiga od Andreotti non si resero
conto di ciò che stava accadendo?
«Andreotti non venne mai seriamente indagato, al massimo i suoi Pomicino e
Vitalone pagarono le conseguenze della sua condotta. Cossiga, ex amministratore
politico della Gladio, poté parlare in futuro liberamente, e senza remore, dei più
oscuri segreti di Stato. Pensiamo ai premi carriera per gli ottimi impiegati che rifilano
dopo un quasi decoroso licenziamento...
Sicuramente i due democristiani compresero che piega stesse prendendo il divenire
nazionale, ma non poterono opporre significative resistenze, poiché impossibilitati.
Andreotti puntò su Berlusconi e sul tentativo di conservare una radice culturale
politica della Prima Repubblica, così da rallentare il processo di svuotamento e
finanziarizzazione. Cossiga, invece, si ritirò a vita privata, dedicandosi sì alla politica,
ma al racconto degli inconfessabili segreti. Spazi d'azione, concessi, come ho detto,
poiché in fondo i due avevano ubbidito bene ai loro padroni sino all'ultimo momento.
Di una loro partecipazione diretta negli omicidi dei Giudici e nella strategia della
tensione, è difficile dire. Ma di sicuro non si sono opposti al cambiamento. Hanno
cercato solo di mitizzarlo. Come sempre hanno fatto.»
Che ruolo ebbe Di Pietro? Si vocifera di tutto, dall'essere un agente della Cia ad
un agente di Andreotti.
«Vi è un ottimo articolo, scritto dal direttore Andrea Cinquegrani, uomo che stimo
moltissimo e che reputo un'eccellenza del giornalismo italiano, che mette in risalto
tutte le sfaccettature del caso Di Pietro. L'articolo è rintracciabile su internet al nome
di "Di Pietro chi?".
Ho avuto il piacere di guardare Di Pietro negli occhi, di riderci e scherzarci, ed anche
di parlare in dialetto. Di Pietro, posso affermare, è stato implicitamente aiutato da
quel sistema che poi ha deciso di farlo cadere. Il carisma di Di Pietro e la sua volontà
di dirigere una Mani Pulite Internazionale è stata, indirettamente, l'incarnazione delle
stesse forze che hanno poi benedetto il governo Berlusconi per poi successivamente
delegittimare Mani Pulite e l'operato del PM Di Pietro, in sintesi, è stato una pedina
poco consapevole, come tutti in quel momento, delle reali direzioni che stava
assumendo la politica italiana. Il futuro leader dell'Italia dei Valori venne invitato
anche negli U.S.A. e sarebbe interessante conoscere per filo e per segno i contenuti di
quelle conversazioni, ma noi curiosi sappiamo per certo che non furono altro che
tentativi di carpire le intenzioni del magistrato, nonché la profondità raggiunta dalle
inchieste di Mani Pulite. Una volta stabilizzatosi il sistema, iniziano gli attacchi della
magistratura al pool di Milano. Non solo nei confronti di Di Pietro, ma di Gherardo
Colombo e di tutti i suoi componenti.
Per le ipotesi di Cia, Fbi o agente di Andreotti, tutto è possibile. Specialmente nella
prima Repubblica. Ma su questo non posso affermare niente, poiché non ho studiato
nello specifico il caso. Tuttavia consiglio la lettura di "L'odore dei soldi" di Elio
Veltri, autore a cui ho dedicato in primis la tesi di laurea e poi questo libro.»
Nel tuo libro poni l'accento su di un'ipotetica trattativa tra mafia e quella che tu
definisci "corrente De Benedetti". Pensi sia tutt'ora valida?
«Autori come Travaglio lasciano intendere che i politici della sinistra democristiana
abbiano trattato con la mafia servendosi di esponenti dell'arma dei Carabinieri.
Dovremmo avere il coraggio di definire ciò che è empirico, ovvero che la sinistra Dc
aspirava da sempre alla guida del paese, anche in virtù di una sua posizione di
apertura a sinistra. E sembra inoltre strano che De Mita, capo corrente della sinistra
Dc, non avesse conoscenza delle azioni dei suoi sottoposti. Come ha potuto uno come
De Mita non conoscere i polli del suo recinto?
Non solo la sinistra Dc, ma anche la sinistra ebbe un ruolo non trascurabile. Vengono
fatti nomi quali quelli di Violante e De Gennaro, rispettivamente politico ed
esponente del mondo di polizia. Le accuse mosse verso quest'ultimi sono di
faciloneria, incompetenza ed omertà. Come verrà espresso nel libro, l'isolamento di
Borsellino da parte della sinistra culminerà non con la sua morte, ma con le bombe di
San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano, secondo alcuni messaggi rivolti a
Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini. Cose strane, certo, non prove, ma
collegamenti di fatti, non complotti. Bisognerebbe guardare a sinistra e non solo alla
Dc per la trattativa Stato-Mafia, poiché se una delle due fazioni politiche avesse
avuto intenzione di salvare la vita dei giudici, l'avrebbe fatto. In passato sono stati
sventati colpi di stato grazie al Pci, alzando solo una cornetta telefonica. Figuriamoci
salvare la vita di un giudice quando questi già è stato oggetto di minacce.»
Ultima domanda. Perché le dediche a Veltri e Giannuli?
«Originariamente, Storie di prima Repubblica nasce come un lavoro di tesi di laurea.
L'idea me la diede Aldo Giannuli, che volli incontrare per ricevere consiglio.
Naturalmente io ho stravolto il progetto originario, mettendoci del mio. E devo dire
che il risultato finale non è stato affatto male. Non potevo non affrontare il tema
stragi di stato poiché tuttora ritengo sia strettamente connesso al passaggio Prima-
Seconda Repubblica. E spero che se un giorno il proff. Giannuli leggerà il mio libro,
non la prenderà a male.
Per quanto riguarda la dedica ad Elio Veltri, mi sono ispirato molto a lui. Il suo modo
di raccontare la storia è simile, per aspetti, a quello di Montanelli. Indro Montanelli,
nella sua storia d'Italia, critica, giudica ed analizza spietatamente personaggi, luoghi e
circostanze. Veltri le chiarifica e le spoglia delle sofisticazioni. Grazie a Veltri ho
scoperto un nuovo modo di leggere la storia e di definire la politica passata e
corrente. Non a caso mi definisco un "socialista Veltriano".
Per la "simpatia" delle interviste ho pensato che non bastasse riadattare i contenuti e
stilare le necessarie definizioni, già presenti in forme diverse, e con diverse
argomentazioni, negli innumerevoli libri degli autori della vecchia classe dirigente.
Storie di prima Repubblica è un libro per i ragazzi che vogliono conoscere il vero
significato dei concetti della politica. E' un libro pensato per chiarire e per spiegare,
non per romanzare. Quello lo lasciamo fare ai politici della Seconda Repubblica. Per
quelli come me conta sì il politichese, ma la fede nei confronti della verità, del
proprio Paese e della memoria storica che andrebbe preservata ad ogni costo.»
*****
https://sadefenza.blogspot.com/2018/12/storie-di-prima-repubblica.html
Sa Defenza
Chris Barlati |
multipolarismo è sempre stato il suo principale interesse, ma questa volta ha ben pensato di scrivere un libro inerente la Prima Repubblica.
In un periodo di rifacimenti, nostalgie e definizioni errate della politica, il nostro collaboratore ha tentato di ristabilire i vecchi significati degli schieramenti, nonché
terminologie quali "destra" ,"sinistra";"criminalità" e "sovranità". Incontrando personaggi un tempo detentori dei meccanismi decisionali del nostro Paese, Barlati
ha potuto conoscere, parlare, discutere degli eventi, le strategie ed i segreti che hanno cambiato per sempre le sorti d'Italia. "Storie di Prima Repubblica" è il risultato di un percorso di studi che parte da una semplice tesi di laurea, ma che approda alla rielaborazione dei principali misteri d'Italia, nonché degli omicidi di Falcone e Borsellino, per offrire una verità che ancora oggi deve essere metabolizzata dalla pubblica opinione e che svela l'esistenza di chi si è sempre celato dietro Cosa Nostra, Gladio, Uno Bianca e le privatizzazioni postume al crollo del muro di Berlino. Abbiamo così deciso di intervistare il nostro collaboratore e di porgli alcune domande.
Partiamo Subito con la prima domanda. Mani Pulite fu un'operazione d'oltre oceano?
«Mani Pulite fu una conseguenza del crollo del Muro di Berlino. Le inchieste della
magistratura rappresentano il naturale divenire delle indagini allora in corso che,
non essendo più ostacolate dalle manine atlantiche, manine abituate agli omicidi ed
alle destabilizzazioni, poterono scardinare l'intera struttura dirigente. Mani Pulite
deflagra anche in Giappone, Francia, non solo in Italia e in maniera del tutto simile.
Mani Pulite, in sintesi, è una delegittimazione dei vecchi sistemi politici, protrattasi
a livello internazionale.»
Per quale motivo ciò avviene?
«Perché non ha più senso difendere e sostenere un immenso e dispendioso esercito
anti comunista. Mi riferisco alla Dc, al Psi e all'immunità di cui godeva l'Italia, come
altri paesi, sia nei rapporti con la mafia che per i numerosi finanziamenti illeciti.
Dunque, il ragionamento fu allo stesso tempo economico e politico. Diciamo che la
presenza statunitense, in questo caso, si esplica attraverso il proprio non intervento.
Mi spiego meglio: mentre in passato l'alleato era pronto a coprire eventuali
compromissioni, sia con l'utilizzo di qualche agente spregiudicato, sia con qualche
finanziamento ad personam, da quel momento in poi nessuno più si attivò a difesa dei
vecchi alleati. Anzi, ben accetta fu la scoperta di tutte le tangenti afferenti il Psi o la
Dc. Per eliminare l'oramai inefficiente e corrotta macchina pentapartitica, si pensò di
lasciar fare alla magistratura il suo corso naturale. Socialisti e democristiani inoltre
avevano fin troppo infastidito con la loro politica filo araba inglese e statunitense. Lo
stesso Andreotti con la sua equidistanza si era messo in cattiva luce, irritando le
intelligence anglosassoni e francesi.»
Quale fu il ruolo di Gladio nella prima Repubblica, nell'omicidio di Falcone e
Borsellino e nei confronti dell'Unione Sovietica?
«Gladio ufficialmente fu un apparato militare di intervento dedito alla prevenzione di
ogni possibile minaccia sovietica. Lo studio di Gladio era principalmente di natura
programmatica e strategica, e solo nel peggiore dei casi d'attuazione di guerra non
convenzionale. Alcuni critici collegano una partecipazione Gladio al rapimento e
omicidio di Aldo Moro, mentre dal mio punto di vista ciò non avrebbe avuto molto
senso nella seconda ipotesi. Vada pure, per assurdo, la validità del rapimento, ma
illogico si configurerebbe l'omicidio, per un aspetto di fondamentale importanza:
Moro era stimato ed amato dai Servizi italiani, da quegli stessi Servizi che
continuarono ad osservare fedelmente il patto con i palestinesi per il trasporto di armi in
territorio italiano in cambio dell'assenza di attentati (il cosiddetto Lodo Moro). Un
omicidio Moro avrebbe generato un guerra interna agli stessi Servizi, a meno che
quest'ultimi non fossero stati ingannati da altri servizi meglio preparati e con
maggiori dotazioni. Ricordiamo che il democristiano Galloni solo recentemente ha
parlato della presenza di truppe israeliane all'interno delle Brigate Rosse. Dunque,
quest'ipotesi si rende leggermente più credibile rispetto all'esclusiva partecipazione di
Gladio, o meglio nell'omicidio dello statista.
Nei riguardi di Falcone e Borsellino non abbiamo molte prove per dubitare di Gladio.
Basandoci su di un collegamento di fatti, e non di opinioni, dobbiamo escludere la
partecipazione diretta dell'organizzazione, poiché sciolta completamente e sotto i
riflettori della pubblica opinione già nel 1990. Potremmo invece ipotizzare arruolamento di alcuni suoi componenti fanatici di estrema destra, la cosiddetta Gladio Nera, nelle fila della Falange armata, poiché vicini per ideologia ad alcuni esponenti della criminalità organizzata e della P2.»
Una Gladio all'nterno di Gladio?
«Gladio, per quanto "Stay Behind", fu pur sempre un apparato militare italiano,
dunque suscettibile anch'essa di sviste e goffaggini all'italiana, nonché di
infiltrazioni e manipolazioni. Non sono rari casi di analogie tra esponenti della
criminalità, figure massoniche ultra atlantiche e militari di apparati segreti.
Ricordiamo che tutti i maggiori attentati di quel periodo vennero rivendicati dalla
Falange Armata, in una non casuale confusione di chiamate fatte da sedi dei servizi
segreti e da voci marcate dai più disparati dialetti ed accenti stranieri. Se poi
volessimo citare Elio Ciolini, terrorista nero che seppe predire le azioni falangiste, o il
pentito Messina Denaro, padre di Matteo Messina Denaro, che per primo parlò di una
commistione tra mafia e massoneria, entriamo in un circuito composto da terroristi
neri, criminalità organizzata e massoneria. Tutte entità che ebbero in comune il
medesimo interesse: divenire decisori della nuova politica italiana.»
Se non sbaglio fu questa l'ossatura della Falange Armata.
«Esatto.»
Quindi, se non direttamente ci fu sempre una partecipazione esterna?
«Assolutamente, sì. Gli esplosivi, le tecniche d'azione militari, il radiocomando nel
citofono della madre di Borsellino, l'elicottero che sorvolò le strade al momento degli
attentati, strane figure viste e riviste in più di un'occasione: se non mercenari,
sicuramente personaggi assoldati da interessi non prettamente nazionali.»
Come è stato possibile che personaggi quali Cossiga od Andreotti non si resero
conto di ciò che stava accadendo?
«Andreotti non venne mai seriamente indagato, al massimo i suoi Pomicino e
Vitalone pagarono le conseguenze della sua condotta. Cossiga, ex amministratore
politico della Gladio, poté parlare in futuro liberamente, e senza remore, dei più
oscuri segreti di Stato. Pensiamo ai premi carriera per gli ottimi impiegati che rifilano
dopo un quasi decoroso licenziamento...
Sicuramente i due democristiani compresero che piega stesse prendendo il divenire
nazionale, ma non poterono opporre significative resistenze, poiché impossibilitati.
Andreotti puntò su Berlusconi e sul tentativo di conservare una radice culturale
politica della Prima Repubblica, così da rallentare il processo di svuotamento e
finanziarizzazione. Cossiga, invece, si ritirò a vita privata, dedicandosi sì alla politica,
ma al racconto degli inconfessabili segreti. Spazi d'azione, concessi, come ho detto,
poiché in fondo i due avevano ubbidito bene ai loro padroni sino all'ultimo momento.
Di una loro partecipazione diretta negli omicidi dei Giudici e nella strategia della
tensione, è difficile dire. Ma di sicuro non si sono opposti al cambiamento. Hanno
cercato solo di mitizzarlo. Come sempre hanno fatto.»
Che ruolo ebbe Di Pietro? Si vocifera di tutto, dall'essere un agente della Cia ad
un agente di Andreotti.
«Vi è un ottimo articolo, scritto dal direttore Andrea Cinquegrani, uomo che stimo
moltissimo e che reputo un'eccellenza del giornalismo italiano, che mette in risalto
tutte le sfaccettature del caso Di Pietro. L'articolo è rintracciabile su internet al nome
di "Di Pietro chi?".
Ho avuto il piacere di guardare Di Pietro negli occhi, di riderci e scherzarci, ed anche
di parlare in dialetto. Di Pietro, posso affermare, è stato implicitamente aiutato da
quel sistema che poi ha deciso di farlo cadere. Il carisma di Di Pietro e la sua volontà
di dirigere una Mani Pulite Internazionale è stata, indirettamente, l'incarnazione delle
stesse forze che hanno poi benedetto il governo Berlusconi per poi successivamente
delegittimare Mani Pulite e l'operato del PM Di Pietro, in sintesi, è stato una pedina
poco consapevole, come tutti in quel momento, delle reali direzioni che stava
assumendo la politica italiana. Il futuro leader dell'Italia dei Valori venne invitato
anche negli U.S.A. e sarebbe interessante conoscere per filo e per segno i contenuti di
quelle conversazioni, ma noi curiosi sappiamo per certo che non furono altro che
tentativi di carpire le intenzioni del magistrato, nonché la profondità raggiunta dalle
inchieste di Mani Pulite. Una volta stabilizzatosi il sistema, iniziano gli attacchi della
magistratura al pool di Milano. Non solo nei confronti di Di Pietro, ma di Gherardo
Colombo e di tutti i suoi componenti.
Per le ipotesi di Cia, Fbi o agente di Andreotti, tutto è possibile. Specialmente nella
prima Repubblica. Ma su questo non posso affermare niente, poiché non ho studiato
nello specifico il caso. Tuttavia consiglio la lettura di "L'odore dei soldi" di Elio
Veltri, autore a cui ho dedicato in primis la tesi di laurea e poi questo libro.»
Nel tuo libro poni l'accento su di un'ipotetica trattativa tra mafia e quella che tu
definisci "corrente De Benedetti". Pensi sia tutt'ora valida?
«Autori come Travaglio lasciano intendere che i politici della sinistra democristiana
abbiano trattato con la mafia servendosi di esponenti dell'arma dei Carabinieri.
Dovremmo avere il coraggio di definire ciò che è empirico, ovvero che la sinistra Dc
aspirava da sempre alla guida del paese, anche in virtù di una sua posizione di
apertura a sinistra. E sembra inoltre strano che De Mita, capo corrente della sinistra
Dc, non avesse conoscenza delle azioni dei suoi sottoposti. Come ha potuto uno come
De Mita non conoscere i polli del suo recinto?
Non solo la sinistra Dc, ma anche la sinistra ebbe un ruolo non trascurabile. Vengono
fatti nomi quali quelli di Violante e De Gennaro, rispettivamente politico ed
esponente del mondo di polizia. Le accuse mosse verso quest'ultimi sono di
faciloneria, incompetenza ed omertà. Come verrà espresso nel libro, l'isolamento di
Borsellino da parte della sinistra culminerà non con la sua morte, ma con le bombe di
San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano, secondo alcuni messaggi rivolti a
Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini. Cose strane, certo, non prove, ma
collegamenti di fatti, non complotti. Bisognerebbe guardare a sinistra e non solo alla
Dc per la trattativa Stato-Mafia, poiché se una delle due fazioni politiche avesse
avuto intenzione di salvare la vita dei giudici, l'avrebbe fatto. In passato sono stati
sventati colpi di stato grazie al Pci, alzando solo una cornetta telefonica. Figuriamoci
salvare la vita di un giudice quando questi già è stato oggetto di minacce.»
Ultima domanda. Perché le dediche a Veltri e Giannuli?
«Originariamente, Storie di prima Repubblica nasce come un lavoro di tesi di laurea.
L'idea me la diede Aldo Giannuli, che volli incontrare per ricevere consiglio.
Naturalmente io ho stravolto il progetto originario, mettendoci del mio. E devo dire
che il risultato finale non è stato affatto male. Non potevo non affrontare il tema
stragi di stato poiché tuttora ritengo sia strettamente connesso al passaggio Prima-
Seconda Repubblica. E spero che se un giorno il proff. Giannuli leggerà il mio libro,
non la prenderà a male.
Per quanto riguarda la dedica ad Elio Veltri, mi sono ispirato molto a lui. Il suo modo
di raccontare la storia è simile, per aspetti, a quello di Montanelli. Indro Montanelli,
nella sua storia d'Italia, critica, giudica ed analizza spietatamente personaggi, luoghi e
circostanze. Veltri le chiarifica e le spoglia delle sofisticazioni. Grazie a Veltri ho
scoperto un nuovo modo di leggere la storia e di definire la politica passata e
corrente. Non a caso mi definisco un "socialista Veltriano".
Per la "simpatia" delle interviste ho pensato che non bastasse riadattare i contenuti e
stilare le necessarie definizioni, già presenti in forme diverse, e con diverse
argomentazioni, negli innumerevoli libri degli autori della vecchia classe dirigente.
Storie di prima Repubblica è un libro per i ragazzi che vogliono conoscere il vero
significato dei concetti della politica. E' un libro pensato per chiarire e per spiegare,
non per romanzare. Quello lo lasciamo fare ai politici della Seconda Repubblica. Per
quelli come me conta sì il politichese, ma la fede nei confronti della verità, del
proprio Paese e della memoria storica che andrebbe preservata ad ogni costo.»
*****
https://sadefenza.blogspot.com/2018/12/storie-di-prima-repubblica.html
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