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mercoledì 28 settembre 2022

NESSUNA OMBRA RUSSA SULL'ITALIA. CON GIORGIA MELONI ROMA SI CONFERMA LA PIÙ FEDELE ALLEATA DI WASHINGTON

i leader di centro destra italioti: Silvio Berlusconi ,  Giorgia Meloni, Matteo Salvini
Scritto da Piero Messina
Sbagliano al Cremlino se qualcuno pensa che l'Italia diventerà l'anello debole dell'Ue nei confronti della Russia. La coalizione di centrodestra ha vinto le elezioni del 25 settembre. Un successo ben oltre le aspettative di Giorgia Meloni, l'appassionata di destra cresciuta nel mito del fascismo “buono” e Tolkien come leader naturale. Il centrodestra che si appresta a governare l'Italia è formato da tre diversi gruppi politici. Il vero vincitore della contesa sono i “Fratelli d'Italia”, il partito fondato poco più di dieci anni fa da Giorgia Meloni, Ignazio La Russa e Guido Crosetto. Eredi della tradizione postfascista, le donne e gli uomini guidati da Meloni sono sempre stati ai margini della società. Sono gli eredi della tradizione del Movimento Sociale Italiano, il partito che venne liquidato a metà degli anni Novanta dopo il rifiuto della nostalgia di Mussolini.

giovedì 7 novembre 2019

Dell'ILVA se ne lavano tutti le mani

Dell'ILVA se ne lavano tutti le mani

La multinazionale ArcelorMittal minaccia di abbandonare Taranto rescindendo il contratto per l'acquisizione dell'ex Ilva. Prescrizioni, tutele ambientali e lacci legali si legano male alla proliferazione del capitale.

Andrea Angelini 
lintellettualedissidente 
Sa Defenza 





L’ex Ilva di Taranto è da tempo un ingombrante altoforno i cui gas non asfissiano solamente i lavoratori e la popolazione del capoluogo di provincia pugliese, bensì hanno la capacità di disperdersi nei gangli dei dicasteri governativi romani e di infiammare il dibattito politico come pochi altri temi sul lavoro. Al governo, che nel palio delle alleanze, delle rivalità e dei colori degli ultimi mesi ha conservato la sua componente gialla, non è evidentemente bastata la lezione di Whirlpool concernente l’unità produttiva di Napoli. Ha dovuto nuovamente sbattere la testa sul muro eretto dai padroni, sull’economia che detta le regole alla politica, sul capitale che giostra le regole del lavoro, perché non possiamo più nascondere l’ennesimo voltafaccia di un colosso industriale all’Italia dietro l’orpello dell’inesperienza di chi governa. Una minaccia non può essere frutto di una contingenza politica. Le mani che ora si passano la palla avvelenata dell’abrogazione dello scudo penale – il quale avrebbe fatto saltare il banco nelle stanze dei bottoni di ArcelorMittal– sono le stesse che firmavano accordi di riqualificazione e ambientalizzazione dello stabilimento tarantino, mani che gestivano le casse statali che erogavano ammortizzatori sociali per appagare i capricci industriali ed occupazionali dei padroni.

Quando esponenti apicali del governo ci raccontano di rivoluzioni gentili e ci comunicano, attraverso smorfie, la loro sorpresa nel non veder rispettati accordi con una multinazionale che ha un utile operativo di 6 miliardi e mezzo di dollari l’anno, abbiamo la consapevolezza che nessuno di loro è rimasto in una fonderia oltre il tempo necessario per un comizio tra gli operai. Nessuno di loro, prima di pensare se armare o meno la parte datoriale di uno scudo penale, ha mai pensato alle reali condizioni di lavoro dopo l’abolizione dell’articolo 18 e la defenestrazione del contratto a tempo indeterminato. Così come nel quartier generale lussemburghese della ArcelorMittal riescono benissimo a fare gli indiani, fingendo di non capire quale bomba sociale ed ambientale rappresenti la dismissione incontrollata dello stabilimento di Taranto, a Palazzo Chigi reiterano lo stesso comportamento, derubricando l’emergenza in una penosa individuazione di responsabilità cronologica nei confronti di chi ha portato sui banchi del Parlamento la norma sull’immunità penale ai gestori dell’acciaieria.

D’altra parte nel circo mediatico che viene allestito quando ballano diecimila posti di lavoro è più vendibile e ricreativo sbranarsi sotto gli occhi del domatore che offrire spettacoli edificanti, in un’ottica di unità nazionale. Che la rimozione dello scudo penale e le prescrizioni del tribunale di Taranto siano per la ArcelorMittal solo il casus belli per abbandonare un impianto non remunerativo come da aspettative, non ne parla quasi nessuno. La crisi di acciaio in Europa è già realtà: i grandi colossi che divorano capitale finanziario e umano hanno un’oggettiva difficoltà nel trovare manovalanza a basso costo in un continente dalle grandi tradizioni industriali e sindacali. In aggiunta, l’economia stagnante del Vecchio Continente ha compresso la richiesta di acciaio e permesso alla Via della Seta – anche nel settore della siderurgia – di diventare un’arteria radiale per l’ingresso dei suoi prodotti in Europa.

Malgrado ciò e i loschi tentativi di promuovere nuove cordate di acquirenti che succedano ad ArcelorMittal, in cambio di appoggio politico, lo scenario dell’ex Ilva sarebbe la tempesta perfetta per rispolverare l’ombrello costituzionale, in riferimento alla disciplina dei rapporti economici. L’articolo 43 della Costituzione Italiana detta chiaramente che “la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazione di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”. L’ex Ilva non fa forse parte di questa categoria di imprese? Siamo sicuri che i lavoratori non sappiano gestire e realizzare un piano industriale – nel rispetto delle prescrizioni ambientali – meglio di manager prezzolati i quali, se non vengono debitamente assecondati nei loro bluff, buttano le carte e si siedono tranquilli su un altro tavolo da gioco? Sino a quando nelle politiche e nelle relazioni industriali non tornerà centrale l’assioma che è il lavoro ad essere in vendita e non il lavoratore, lo Stato Italiano giammai potrà essere in grado di affrontare seriamente il tema della gestione privata delle grosse imprese. Se nazionalizzare è un’utopia – o una distopia per i fan delle liberalizzazioni – bonificare il sito e salvaguardare i piani occupazionali rilanciando una produzione ecosostenibile deve essere il centro di gravità permanente su sui fissare il futuro di Taranto. Chi ha paura di lottare continua a morire ogni giorno invece che una volta sola.


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venerdì 15 febbraio 2019

L'ELEFANTE (GOVERNO ITALIOTA) HA PARTORITO UN TOPOLINO (AUMENTO 5 CENT PREZZO LATTE )

L'ELEFANTE (GOVERNO ITALIOTA) HA PARTORITO  UN TOPOLINO (AUMENTO 5 CENT PREZZO LATTE )

SA DEFENZA



Dopo giorni e giorni di dure proteste, in Sardinya, con lo sversamento di migliaia di litri di latte per le strade,  dei Pastori sardi, protesta dovuta alla miseria con cui viene pagato il latte, che a dire il vero è a prezzi che oscillano da 60 cent € in giù ben sapendo che il costo per litro è molto più alto e perciò venduto sottocosto.

Il Governo italiota si cimenta a una ulteriore grande provocazione contro il settore dell'allevamento sardo proponendo un prezzo irrisorio di 70 cent€ litro, ben sapendo che i costi sono bel al disopra quella proposta. Così chi si fosse fatto un'idea e pensava fosse un governo amico , si può ravvedere e capire che non esistono governi amici, da Gilet Gialli della Sardinya sosteniamo e solidarizziamo con la giusta lotta dei pastori da sempre.

Ma  è venuto il momento di ragionare su questa situazione  che non è di certo piacevole per le famiglie  degli allevatori,  che come sappiamo si trovano in gravi difficoltà economiche; ciononostante azzardiamo fare una proposta solidale, ovvero di trasformare  il latte giacente negli ovili in formaggi da distribuire  ai compaesani, che in modo solidale permettono alle famiglie degli allevatori di poter racimolare, con un giusto prezzo da loro imposto, le risorse per i loro bisogni.

Quanto accade in Sardinya non è una novità , il potere politico che è sempre servo di altri interessi superiori a loro , élite private e spesso sovranazionali , esprime  il limite a cui sono sottoposti per incapacità relazionale e di visione chiara sugli interessi da fare. 

La maggioranza delle genti pensa che siamo in una democrazia  e spesso si rifà alla costituzione della repubblica. che come sappiamo i partiti hanno modificato a favore di situazioni trasnazionali con il pareggio di bilancio trasformando di fatto  la repubblica in azienda, atto preso dal governo servo degli interessi esteri del criminale Mario Monti e company sostenuto da tutti i partiti, e rendendo la nazione italica incapace di reagire  alle difficoltà economiche.

La proposta che facciamo tutti insieme  al movimento dei pastori è di non fermarsi alla sola richiesta di un prezzo migliore ma si deve chiedere anche l'assorbimento totale della produzione, blocco importazione del latte, oltre a un controllo del prodotto finale, perchè con uno stato non stato come quello che abbiamo le cose continuano ad essere negative per le genti del paese , dunque oltre alla giusta retribuzione del duro lavoro che la categoria di allevamento esegue deve essere richiesta il cambiamento di paradigma che metta la persona al centro della politica  economica e sociale e non la competizione sfavorevole proposta dal globalismo esasperato che favorisce solo gli interessi delle multinazionali.

Proponiamo che tutte le categorie dei lavoratori subordinati , autonomi  , artigiani e commercianti e tutte le classi esistenti in terra italica e sarda , si cimentino in una nuova proposta costituente ove le leggi siamo diretta espressione delle istanze del popolo per le diverse appartenenze categoriali e delle varie classi sociali, e che si ribalti la conformazione del potere centrale non più per delega ma assunzione orizzontale  popolare, assembleare di democrazia diretta e partecipativa; 

Pensiamo che la soluzione che può risolvere tutte le problematiche delle categorie e classi sociali attuali , sia  solo il superamento dell'attuale visone neoliberista, con una sterzata a 180 gradi che può cambiare il paradigma a favore dei molti e non dei pochi com'è l'attuale sistema di potere politico ed economico.

Perciò solidarietà con i PASTORI  ma al contempo prepariamoci al cambiamento pacifico radicale della visione statuaria con una nuova COSTITUENTE DELLO STATO dalla parte delle genti , senza più dare delega a personaggio corrompibili , con la democrazia diretta e partecipativa che serva le istanze popolari e non privatistiche, fuori dal globalismo imposto dalle multinazionali per meri interessi di parte, si alla partecipazione del locale con adeguate dogane in difesa e per proteggere il nostro lavoro e famiglie. 

Apriamo il dibattito ed esponiamo le nostre idee per la salvaguardia dei nostri interessi di categoria e di classe, riuniamo attorno tutti assieme  e collaboriamo tutti come i Gilet Gialli.


A proposito di latte sardo è interessante sapere chi sono i concorrenti che stanno mettendo in ginocchio i pastori:

Nel 1991 nasce la SIMEST: azienda controllata dal Ministero dello Sviluppo economico che, attualmente per un 76%, appartiene alla Cassa Depositi e Prestiti, quindi di fatto un’azienda di Stato.
SIMEST affianca le imprese per tutto il loro ciclo di sviluppo internazionale, dalla prima valutazione di apertura ad un nuovo mercato, fino all'espansione attraverso la partecipazione al capitale di società estere o italiane. Opera attraverso Finanziamenti agevolati per l’internazionalizzazione, il Credito alle esportazioni, e la Partecipazione al capitale di rischio. Tutto ciò alla fine si è trasformato in un’incentivo statale alla delocalizzazione. 


Significa che noi spendiamo i nostri soldi per favorire privati ad aprire stabilimenti all’estero che guadagnano maggiormente per effetto del minor costo della manodopera è al contempo tolgono lavoro agli italiani. Bei furbi che siamo !!!. Ma questa faccenda non finisce qui. 


SIMEST è azionaria per un 29,5%, quindi in pratica mette soldi pubblici in un’azienda privata ma non ha alcun potere decisionale, della LACTITALIA


LACTITALIA è un’azienda che ha sede a Timisoara, Romania, e, per il rimanente 70,5 %, è di proprietà di una famiglia sarda, la famiglia Pinna. Lo Stato italiano è quindi, in parte, proprietario di una industria che in Romania, con latte romeno e ungherese, produce formaggi di pecora che vengono spacciati come Made in Italy sui mercati europeo e statunitense.

In sostanza ha favorito un’azienda italiana a delocalizzare e a fare concorrenza sleale ai produttori italiani di pecorino, e tutto questo in modo che non si sappia.



È opinione diffusa tra i sardi che l'unico modo di superare questa impasse si deve puntare alla legge 75/98 su zona franca integrale,  così da levare tutte le tasse e accise un male che  riducono la Sardegna  a zona depressa, de-industrializzata de-popolata e non competitiva, a motivo della insularità e dei costi di trasporto e dell'energia troppo alti...


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