venerdì 29 maggio 2009
«Soldati a difendere le centrali» Sul nucleare il premier tira dritto La prova di forza di Berlusconi: altro che dialogo con le Regioni
de Marco Murgia
altravoce.net
La infila lì, tra Noemi e l'ennesimo attacco alla magistratura e alla stampa. Come se niente fosse, anche se così non è, ecco l'annuncio: il Governo è pronto a utilizzare i soldati per presidiare i siti su cui dovranno sorgere le centrali nucleari. Silvio Berlusconi non dice dove sorgeranno, promette ovunque si trovi che non saranno costruite lì, garantisce sulla sicurezza degli impianti. Ma mostra i muscoli, con italica determinazione: «Non c'è tempo da perdere: una volta deciso, se necessario useremo ancora l'esercito», come era già successo in Campania per la gestione dell'emergenza rifiuti. Per addolcire la pillola, comunque, serve il chiarimento: «Prenderemo decisioni assennate, suffragate da organismi democratici».
Quegli organismi dovrebbero essere Regioni e Comuni di destinazione, ma sono già superati dal decreto su sviluppo ed energia approvato in Senato due settimane fa. Dove si dice che il Governo potrà localizzare i siti anche senza il consenso delle istituzioni locali: esattamente il contrario di quanto il premier e il ministro Scajola avevano detto e ribadito in Sardegna durante la campagna elettorale di febbraio. Tutto dimenticato: palazzo Chigi potrà agire d'imperio e se necessario con la forza. Sarà necessario, visti gli ultimi sondaggi secondo i quali la maggioranza degli italiani boccia la scelta di tornare all'atomo.
In un colpo solo, il Cavaliere mette le mani avanti. Assicura che «le centrali di quarta generazione che saranno costruite sono assolutamente sicure». Ma mente sapendo di mentire: non sulla sicurezza degli impianti quanto sul fatto che la quarta generazione ancora non esiste. La replica arriva dal comitato scientifico di Legambiente Italia: «Il premier dovrebbe informarsi meglio sullo sviluppo di una tecnologia che a quanto pare non conosce», dice Stefano Ciafani, «visto che omette sempre di parlare dei costi esorbitanti di costruzione e gestione insieme al problema della produzione e dello smaltimento delle scorie. Problemi irrisolti a cui Berlusconi non fa mai cenno nei suoi spot sull'atomo. La quarta generazione, poi, è in costruzione solo nel paese delle meraviglie immaginato dal presidente del Consiglio, visto che quella è una tecnologia attualmente non disponibile perché ancora nella fase della ricerca».
Non solo: Berlusconi mette avanti anche i soldati. E qui la questione è tutta politica, sfiora i confini della democrazia. Le repliche, infatti, non tardano ad arrivare. Tanto in Sardegna quanto nel resto del Paese. Non è un mistero che l'isola sia al centro dei ragionamenti dei tecnici del governo per le sue caratteristiche: rischio sismico praticamente pari allo zero, scarsa densità abitativa, acqua in abbondanza soprattutto nelle zone costiere, una amministrazione regionale che difficilmente potrebbe opporsi visto l'appoggio durante la campagna elettorale. Il Cavaliere tutto questo lo sa bene: anche se continua a promettere, l'ultima volta nell'intervista a domicilio di Videolina, che non arriveranno centrali.
A spaventare è soprattutto il metodo: «Le parole di Berlusconi sul fatto che il governo costruirà le centrali nucleari manu miliari sono gravissime e inaccettabili in uno stato democratico». È il senatore del Pd Gian Piero Scanu, capogruppo nella commissione Difesa, a ricordare che «nel corso dell'esame al Senato del disegno di legge che contiene la delega al governo per il nucleare, maggioranza ed esecutivo hanno più volte assicurato che nessuna centrale nucleare sarebbe mai stata costruita senza il consenso delle comunità locali interessate. Ora con questa dichiarazione il presidente del Consiglio afferma invece che il governo costruirà le centrali manu militari, con una coercizione di tipo fascista invece che con la costruzione del consenso e nel rispetto delle regole democratiche. Abbiamo più volte detto che il nucleare per l'Italia e' una scelta sbagliata, costosa e improduttiva, ma il fatto di imporre le centrali alle Regioni con la forza costituisce un aggravante che non accetteremo nella maniera più assoluta. Secondo indiscrezioni, tra l'altro, pare che Berlusconi abbia a cuore la Sardegna per la costruzione non di una ma di più centrali: sono questi i regali che il premier riserva a una delle regioni più belle d'Italia».
Preoccupazione anche da Mario Bruno, capogruppo del Partito democratico in Consiglio regionale: «Le decisioni di un governo democratico si sostengono con il consenso dei cittadini e con il rispetto delle Regioni e degli enti locali. Non con l'intervento dell'esercito. Le dichiarazioni odierne del presidente del Consiglio Berlusconi sul nucleare ci preoccupano non poco, nonostante le rassicurazioni verbali di qualche giorno fa sull'esclusione della Sardegna dai siti interessati alla costruzione dei nuovi reattori». C'è la notizia sui militari da schierare, ma non solo: «Ci preoccupano soprattutto in un periodo come questo, nel quale - al di là di promesse che in altre occasioni non sono state rispettate - vediamo l'Autonomia regionale sistematicamente calpestata nel silenzio di chi dovrebbe rappresentare la Regione e i suoi cittadini. Dobbiamo continuare a vigilare attentamente, perché le scelte devono ancora essere fatte: per la nostra isola il nucleare sarebbe il tramonto di qualsiasi ipotesi di sviluppo».
Non è solo questione sarda: sul nucleare «è tragica l'assoluta disattenzione verso le popolazioni locali, per il tramite del rispetto di un relazione istituzionale con le autonomie locali e le Regioni, ma questo è un tratto tipico del governo Berlusconi». Parole di Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd: «Come tutto questo possa essere tollerato me lo chiedo francamente, tanto più che contemporaneamente dalla Sardegna alla Puglia e in poi, ovunque Berlusconi vada dice “qua non faremo la centrale nucleari”: è un altro dei modi con il quale caratteristicamente il presidente del Consiglio si rivolge agli italiani. Cioè pigliandoli per fessi».
Allora «il governo dica la verità su dove vuole fare le centrali nucleari, invece di annunciare che farà presidiare il territorio nazionale dalla forze armate», dice l'ex ministro degli Esteri Massimo D'Alema: «Questo è un modo di governare indecente sotto il profilo del rispetto delle regole democratiche e sotto il profilo dell'efficacia di governo. Si fa fatica a prendere sul serio Berlusconi». Lui invece lo fa, e tira dritto per la sua strada. Era stato Nichi Vendola a mandargli il messaggio: se vorranno costruire qui una centrale, aveva detto il governatore della Puglia subito dopo l'approvazione in Senato del decreto-delega, «dovranno mandare i soldati». Accontentato.
soldato shardana , scenderemo in difesa del nostro territorio così attrezzati contro i colonialisti italioti e berlusCANI
STRONZATE DA MINISTRO....
sabato 16 maggio 2009
SIT-IN de S.N.I. in BRUSSELLES Cara a su PARLAMENTU EUROPEU Chenabura 22 maju a sas 10
SIT-IN de S.N.I. in BRUSSELLES
Cara a su PARLAMENTU EUROPEU
Chenabura 22 maju a sas 10
Sa Sardigna est Europa, ma s’Italia la cantzellat
-Sa Sardigna est una natzione sena istadu, ca cussu italianu li negat s’indipendèntzia e non podet, comente faghet Malta (400.000 abitantes) e àteros pòpulos prus minores de su sardu (1.670.000 abitantes), elègere eurodeputados natzionales pròprios.
- Sa lege eletorale de s’istadu italianu imponet a sa Sardigna unu cullègiu eletorale europeu, Sardigna-Sitzìlia, in ue pro more de sa disparidade de populatzione benint eletos 7 sitzilianos e mancu unu sardu.
Semus seguros chi solu cun s’indipèndentzia sa Sardigna at a àere una bera rapresentàntzia in Europa, ma s’Itàlia non solu brivat a sos sardos s’indipendèntzia ma lis negat puru sa paridade de possibilidades eletivas e de fatu nche los cantzellat dae s’Europa.
Mira primària de custa manifestada est sa chirriadura de su collègiu eletorale europeu, Sardigna-Sitzìlia e nàschida de su collègiu Sardigna a sa sola.
La Sardaigne est Europe mais l'Italie l'efface
- La Sardaigne est une nation sans état, parce que l’état italien lui nie l'indépendance et elle ne peut pas élire ses eurodéputés nationaux comme par exemple Malte ( 400.000 habitants) et d’autres peuples moins nombreux de celui Sarde (1.670.000 habitants).
- La loi électorale de l’Etat italien impose à la Sardaigne un circonscription électorale européenne, celle Sardaigne-Sicile où, à cause de la disparité démographique 7 Siciliens sont élus et aucun Sarde.
Nous sommes sûrs que seulement l'indépendance donnera à la Sardaigne une vraie représentation en Europe mais l'Italie empêche aux Sardes pas seulement l'indépendance mais aussi les mêmes opportunités électives et il l’ efface, en effet, de l'Europe.
L’objectif immédiat de notre manifestation est la scission de la circonscription Sardaigne-Sicile et l'institution de la circonscription électorale Sardaigne.
Sardinia is Europe but Italy erase it
- Sardinia is a stateless nation, because the Italian state denies his independence and is not able as for example Malta (400.000 inhabitants) (and other smaller people of that Sardinian) (1.670.000 inhabitants) to elect proper European parliamentary national.
- The electoral law of (the) Italian state, imposes an European constituency to Sardinia, Sardinia-Sicily, where because of the demografic disparity 7 Sicilians and any Sardinian are elected.
We are certain that only with the independence Sardinia will not only have a true representation in Europe but Italy it prevents the Sardinians the independence but it also denies them the equal elective opportunities and it cancels them, of fact, from Europe.
Objective immediate of our demonstration is the division of the college Sardinia-Sicily and the institution of the constituency Sardinia.
Sardinien ist Europa aber Italien löscht uns aus
Sardinien ist eine Nation ohne Staat, mit einer Bevölkerung von 1.6 Millionen werden wir nicht als Staat angesehen. Der italienische Staat und ihre Regierungen, leugnen und verweigern uns Sarden unsere existents als Unabhängige Nation. In dieser Situation ist es uns Sarden und der gesamten Bevölkerung Sardiniens untersagt, eine eigene Vertretung und Präsentation im europäischen Parlament wählen zu können / zu dürfen.
Mitgliedsstaaten wie Malta mit einer Bevölkerung von 400 000 Einwohnern oder andere Nationen, kleiner noch als Sardinien haben Vertretungen hier im europäischen Parlament. Die italienische Gesetzgebung, ist so aufgebaut das die zwei Mittelmeerinseln Sizilien und Sardinien. In einen einzigen “Topf“ geworfen wurden und die Vertretung dieser Inseln ausschließlich von Sizilianische Politikern realisiert wird, da Sizilien einen 41/2 mal größeren Wahlpotenzial hat als Sardinien.
Daher hat Sardinien nur eine wirkliche und ehrliche Existentsmöglichkeit, in einer Unabhängigen Staatenkodex und fern von Italien weg.
Die italienische Regierung verweigert unsere Gleichberechtigung und Freiheit, schließt uns Sarden aus Europa aus. Das Ziel unserer Demonstration ist, die Abscheidung dieser ungerechten Zweisamkeit Sizilien – Sardinien zu löschen. Und uns Sarden einen konstitutionellen Platz in Europa zu geben.
Cerdeña es Europa pero Italia la borra
- Cerdeña es una nación sin estado, porque el estado italiano le niega la independencia y no puede, como por ejemplo Malta (400.000 habitantes) y otros pueblos más pequeños que el sardo (1.670.000 habitantes), elegir propios europarlamentarios nacionales.
- La ley electoral del estado italiano, impone a Cerdeña un distrito electoral europeo, Cerdeña-Sicilia, dónde a causa de la disparidad demográfica 7 sicilianos y ningún sardo son elegidos.
Estamos seguros que sólo con la independencia Cerdeña tendrá no sólo una verdadera representación en Europa pero Italia les impide a los sardos la independencia y también les niega las mismas oportunidades electivas y los borra, de hecho, de Europa.
Objetivo inmediato de nuestra manifestación es la separación del colegio Cerdeña-Sicilia y la institución del distrito electoral de Cerdeña.
La Sardegna è Europa ma l’Italia la cancella
Omissis …
MANCA IL TESTO IN ITALIANO PERCHE’ L’ITALIA NON ASCOLTA I SARDI
MANCAT SU TESTU IN ITALIANU CA TANTU S’ITALIA A CUSSA URIGRA NON B’INTENDET
IL MANQUE LE TEXTE EN ITALIEN PARCE QUE' L'ITALIA N'ÉCOUTE PAS LES SARDES
IT MISSES THE TEXT IN ITALIAN BECAUSE' THE ITALY DOESN'T LISTEN TO THE SARDINIANS
ES FEHLT DAS ICH TESTE IN ITALIENISCH, WEIL' DER ITALIA DIE SARDINIER NICHT HÖRT
FALTA EL TEXTO EN ITALIANO PORQUE' EL ITALIA NO ESCUCHA A LOS SARDOS
Sardigna Natzione Indipendentzia de UNIDADE INDIPENDENTISTA
venerdì 8 maggio 2009
PRESIDENTE SORU Dentro la parola ‘crisi’ vi è la decrescita felice... basta approfittarne!
Crisi d’identità, crisi economica, crisi finanziaria, … crisi di coppia, rapporti in crisi … crisi demografica, crisi creativa, crisi esistenziale. Crisi come momento di difficoltà, o presunto tale. Individuale o collettiva, fisica o emotiva; naturalmente un aspetto influenza l’altro. “Sono in crisi”: espressione comunissima che può derivare anche da piccole difficoltà della vita quotidiana. In essa c’è qualcosa che non va, che ci fa sentire a disagio: da una crisi si vuole uscire, e al più presto.
Gli universi, le società, gli individui sono complessi, e i costituenti di questa complessità non sono coordinati tra loro, cosicché c’è sempre qualche parte dell’uno o dell’altro che è in crisi: una supernova in una galassia, una rivoluzione in una società, un individuo con 40 di febbre.
Localmente considerate le crisi sono quindi situazioni transitorie, dalle quali spesso si esce, in un modo o nell’altro. Se le consideriamo invece nella totalità delle cose, sono probabilmente continue; anche se sono assenti da un luogo , stanno capitando in altri.
Oggi parlando di crisi, è quasi inevitabile un sussulto, una sensazione di angosciante unicità. Ma sfogliando un qualsiasi giornale o libro di storia, la parola ‘crisi’ la troviamo dappertutto: crisi dell’Ancien Régime, crisi della borghesia, delle ideologie, del commercio mondiale, dell’industria tessile in Brianza, del dollaro, dell’acqua …
Ma che vuol dire ‘crisi’ ?
Dal latino crisis, indica un punto di svolta, un cambiamento di rotta in un processo fino a quel punto unidirezionale. Esempio: in una crescita economica ritenuta inarrestabile, un improvviso arresto seguito da inversione. Il lettore avrà capito che l’esempio non è stato scelto a caso.
Sembrerebbe che qualcosa vada in crisi quando non è più come prima: “stavo con Gigi, ora Gigi mi ha lasciato, sono in crisi”. Implicita nel sentirsi in crisi c’è quindi una valutazione positiva dello stato precedente. Nella crisi ci siamo cascati all’improvviso -tante volte ci sono dei segnali, ma non li vogliamo proprio ascoltare. Stiamo male! Vorremmo tornare a com’era prima, o se non è proprio possibile comunque a qualcosa di meglio!
Se avviene un mutamento incontrollato il malessere è inteso come perdita di ciò a cui siamo abituati, e che vorremmo rimanesse uguale. I punti fermi stanno venendo meno, viviamo una situazione di difficoltà, non riusciamo a formulare nuove ipotesi, a riaggiornarci, e rimaniamo legati alla nostra idea che però non trova riscontro nella realtà. “Crisi” sembra legata all’incertezza: una situazione di grande difficoltà ma nel contempo a noi molto chiara, ben definita nell’analisi e nei possibili sviluppi, difficilmente la descriveremmo come crisi.
Nel caso della ‘nostra’ crisi attuale la situazione pare chiara, le voci si levano numerose: così non si può andare avanti, colpa di una finanza scellerata, del liberismo, colpa dei cinesi, delle banche… Soluzioni: ci vogliono più ammortizzatori sociali, incentivi al consumo, bisogna alzare i salari, fare più figli per rimpolpare il sistema previdenziale, creare occupazione, investire sulle infrastrutture per rilanciare il sistema-Paese. Da molte parti si levano soluzioni definitive per uscire dalla crisi. Finalmente. Funzionerà?
Bisogna dare nuova linfa al sistema così come lo conosciamo? Forse stiamo ancora pensando a Gigi!?
Anche l’Europa degli anni ‘30 del secolo scorso entrò in crisi e sappiamo come ne uscì: buttiamo due bombe e ricostruiamo. Oggi il mondo intero è in crisi, l’avvertiamo nel nostro stesso modo di pensare, nel nostro vivere quotidiano, e un’uscita analoga a quella di ieri potrebbe non essere auspicabile (ammesso che ieri lo sia stato). E’ difficile, dopo due guerre mondiali come le abbiamo sperimentate a casa nostra e osservate altrove, non essere catastrofisti. Ma la via attraverso la catastrofe non è una strada obbligata. Durante una crisi, un momento di difficoltà, possono esserci atteggiamenti differenti. Ci si omogeneizza, unendosi e coalizzandosi. Si amplifica l’egoismo e si esasperano le differenze tra le diverse parti, essa infatti può anche imbarbarire: “mi hanno privato di qualcosa, adesso che posso averla la ingurgito senza limiti, morte tua vita mia”.
C’è chi dà un’interpretazione positiva, ottimistica al concetto di crisi. Essa produrrebbe una sana sofferenza che fortifica, tempra il carattere, rafforza la determinazione sociale o individuale. In questa visione sarebbe la sofferenza di per sé a migliorare le cose. Allora viva la sofferenza?!
Per quanto ci riguarda essa può avere una componente formativa, ma non di per sé: necessita un momento di riflessione. Non vi è dubbio che una crisi metta alle strette, con le spalle contro al muro, costringendoci a rivedere alcuni punti fermi. Forse solo in queste situazioni riusciamo a mettere in discussione, riesaminare, relativizzare principi e abitudini fino a quel momento indiscutibili.
Il video che segue non è di ottima qualità ma è una risposta alla domanda fatta da sa defenza a Soru, e i video di Serge Latouche sono un insegnamento per tutti Noi, Soru compreso.
SA DEFENZA SOTZIALI SEMPER DE SA PARTI DE IS URTIMUS!
sabato 2 maggio 2009
Celebrazioni de "Sa Die de Sa Sardigna"
SA DEFENZA SOTZIALI
Semper dae sa parti dae is urtimus!
A foras is culunialistas dae sa Sardinya.
Sardinya et libertade!
CAGLIARI, 28 APRILE 2009 - "Con lo spirito, le convinzioni e gli intenti che penso abbiano ispirato i legislatori che proposero il 14 settembre del 1993 la legge che istituisce la festa del Popolo sardo, e non senza emozione, prendo la parola nel celebrare Sa Die de Sa Sardigna. Parlo a voi, rappresentanti eletti del Popolo sardo, nella nostra Assemblea legislativa, continuatrice della antica tradizione di autogoverno dei sardi. Contemporaneamente mi rivolgo a tutti i sardi e agli amici della Sardegna per manifestare il mio rispetto per questa Assemblea e per riconfermarne la centralità nel mio modo di concepire l'Autonomia e l'equilibrato rapporto fra potere legislativo ed esecutivo.
Tutta la nostra storia, e in particolare quella autonomistica, che si voglia far coincidere con le vicende delle assemblee dei maggiorenti nuragici piuttosto che con quelle giudicali o del Regno di Sardegna, ci mostra la lotta dei sardi per l'autogoverno attraverso strutture che rappresentino tutto il popolo contro le forze centralistiche esterne, dominatrici, negatrici dei nostri diritti all'autodecisione, che hanno cercato di depotenziare, limitare, distorcere ed anche eliminare le nostre istituzioni parlamentari.
Anche oggi, pur sconfitte, esistono tendenze tese a limitare i poteri legislativi e di controllo del nostro Consiglio regionale rispetto ad una visione centralistica dell'Esecutivo regionale, a detrimento delle Autonomie locali e del corpo sociale organizzato.
Noi tutti, all'inizio di questa legislatura, in un momento internazionale difficile per ognuno e più ancora per la nostra Isola, ci rendiamo conto che la crisi, oltre alle difficoltà, ci consente delle opportunità straordinarie di riforma e miglioramento delle nostre istituzioni autonomistiche centrali e periferiche.
Una di queste opportunità, oltre che essere una necessità e un obbligo, consiste nel buon governare secondo i programmi sottoscritti con gli elettori e contemporaneamente provvedere alla riforma delle Istituzioni autonomistiche, dotando la Sardegna di un Nuovo Statuto di Autonomia speciale nel rispetto dei ruoli e delle necessità dei sardi di autogoverno e federalismo in un mondo in rapidissima trasformazione.
Si tratta di applicare il principio di autodeterminazione e di autogoverno, secondo la nostra esperienza politica, le nostre tradizioni, la nostra storia ed aspirazioni, la nostra identità di popolo e nazione.
Diverse occasioni come questa che annualmente celebriamo come Festa nazionale dei sardi, costituiscono un momento solenne e collettivo di riflessione per meglio operare e disegnare il nostro futuro.
Ma Sa Die de Sa Sardigna costituisce un'occasione particolarmente importante per i contenuti dei fatti che vi vengono ricordati e che sintetizzano i principali valori e obiettivi autonomistici utili per analizzare il presente e costruire il nostro futuro e che brevemente rievocherò.
Concepita come Festa Nazionale dei sardi, essa rievoca l'insurrezione del popolo cagliaritano del 28 Aprile 1794 che espulse dall'Isola il Vicerè Balbiano, i funzionari e militari piemontesi e le loro truppe mercenarie.
La sollevazione caratterizzò il triennio rivoluzionario sardo iniziato il 21 Dicembre 1792 quando una grande flotta francese comparve davanti a Cagliari.
Il Vicerè Balbiano, intimorito dalla superiorità numerica del francesi, non dirisse la resistenza ed era disponibile alla resa.
Accadde che, dopo tanti anni di sottomissione, i sardi di ogni ceto sociale, nobili, militari, ecclesiastici o popolani, presero nelle loro mani la responsabilità della resistenza a un'invasione e del mantenimento della libertà.
Le milizie sarde di fanteria e cavalleria, composte da migliaia di cittadini occasionalmente armati e non da militari di professione resistettero ai francesi, contrattaccarono e li sconfissero.
La coscienza di essere stati gli unici autori della vittoria contro i francesi, fece sì che rifiorisse lo spirito d'autodeterminazione dei sardi e la loro volontà di esercitare antichi diritti d'autogoverno, negati dai piemontesi ma sempre presenti durante i secoli nelle aspirazioni popolari malgrado covassero sotto la cenere della sconfitta dei Giudici d'Arborea.
Nel clima euforico della vittoria, una delegazione di sei rappresentanti degli Stamenti sardi e confidando nel successo come riconoscimento del loro valore e per aver salvato la monarchia, chiese invano a Vittorio Amedeo III:
- di riunire nuovamente i Parlamenti
- di riconfermare gli antichi privilegi
- di riservare ai Sardi tutti gli impieghi civili e militari
- di creare a Torino un ministero speciale per gli affari dell’Isola.
- d'istituire a Cagliari un Consiglio di Stato.
A Torino la delegazione degli Stamenti non fu presa in nessuna considerazione e il rifiuto del sovrano provocò, il 28 Aprile 1794, un moto di ribellione a Cagliari con la conseguente cacciata dall’Isola di tutti i funzionari piemontesi, savoiardi e nizzardi.
Il governo venne assunto dai membri sardi della Reale Udienza ed inizio un ciclo di drammatici ma anche esaltanti episodi della vita politica sarda.
La repressione piemontese ben oltre l'esilio di Giommaria Angioy fu terribile e crudelissima. Un'intera generazione fu arrestata, torturata e giustiziata.
Con la "fusione perfetta" con gli stati di terraferma del 1848, si concluse la perdita delle antiche autonomie politiche ed economiche della Sardegna.
Da allora lo spirito autonomistico si è espresso con coerenza e continuità nel tempo attraverso l'opera dei suoi uomini migliori ed il protagonismo dei sardi.
Determinante dopo il dibattito autonomista ottocentesco e dei primi anni del secolo scorso nei quali si elaborò un'idea iniziale di Autonomia politica della Sardegna, è stata il contributo d'idee e la matura richiesta di un'autonomia politica ed economica originato dalla esperienza della Brigata Sassari nella prima guerra mondiale e dal movimento sardista del quale il PsdAz ne è stato l'alfiere.
I padri dell'Autonomia capirono molto prima di altri che la libertà dei sardi dovesse passare attraverso l'autogoverno di nostre istituzioni legislative,.
Attraverso un Parlamento dei sardi col massimo d'Autonomia compatibile con un sistema federalista che comprendesse l'Italia, l'Europa ed il Mediterraneo.
Parole d'ordine che potevano apparire all'inizio del secolo scorso e durante il suo tragico trascorrere con guerre europee e mondiali, quali autonomia, indipendenza, federalismo, Stati uniti d'Europa, Confederazione euro mediterranea, sono oggi prossime alla loro realizzazione.
La nascita dell'Unione Europea, lo svilupparsi al suo interno di un processo federalista vede la trasformazione degli Stati Nazionali in entità statali dotate di un loro federalismo interno e l'emergere della nazioni senza stato..
E' presente e attivo con un'immagine vincente il protagonismo di nazioni senza Stato come la Catalogna, l'Euskadi, la Scozia, o la Repubblica d'Irlanda alle quali i sardi, anche per le loro politiche identitarie e di fiscalità di vantaggio, guardano con attenzione nel progettare la loro evoluzione autonomistica all'interno del processo federalista italiano, ormai inarrestabile.
La condizione particolare della Sardegna, l'isola con la più grande estensione costiera e la più isolata del Mediterraneo, pone a tutti noi la questione della valorizzazione della nostra insularità, del compiuto riconoscimento e della sua costituzionalizzazione come fattore caratteristico della nostra Autonomia e del nostro protagonismo mediterraneo.
Già dal prossimo anno il Mediterraneo sarà trasformato in un'area di libero scambio nella quale la Sardegna dovrà trovare la sua collocazione come cerniera fra l'Europa continentale e i paesi della riva sud di questo mare.
Diviene quindi insopprimibile la necessità di un adeguamento della nostra Autonomia con la riscrittura dello Statuto speciale, riconfermando ed attualizzandone la specialità, che tenga conto di tutti questi fattori e delle sfide che la modernità pone ai sardi.
Non dobbiamo permettere all'interno della riforma federale dello Stato, che la nostra nuova Autonomia sia frutto di elaborazioni esterne e di una concessione o imposizione da parte di poteri centrali siano essi statali o comunitari.
Se il federalismo deve essere foedus, ovvero libero patto fra pari, occorre elaborare la proposta sarda, basata sulle nostra storia e sulle nostre esigenze nel solco della nostra tradizione autonomistica.
A queste sfide credo d'aver risposto con un'attenzione particolare nel mio programma che ha un valore strategico anche se orientato a risolvere nel contempo problemi urgenti e contingenti dell'oggi e del domani prossimo che interessano la vita di ogni giorno della nazione sarda, dei singoli cittadini e delle loro famiglie.
Il mio programma prevede un nuovo percorso basato su tre momenti, ordinati in senso logico e temporale, che segnino una netta discontinuità con la trascorsa esperienza di governo:
- il momento identitario
- il nuovo piano di sviluppo
- la riscrittura delle regole con la riforma dello Statuto speciale e la riorganizzazione della Regione.
Questi momenti sono stati previsti come contemporanei ma il momento identitario, come riflessione sul comune sentire del Popolo sardo e come riflessione su se stessi, costituisce la fonte dalla quale far derivare l'economico e l'istituzionale. Il tema dell'identità è vasto e complesso, ancora di più se riferito ad una comunità etnica e nazionale caratteristica come quella sarda.
Per emergere ha dovuto affrontare l'azione, perdente in definitiva, di una componente culturale presente nella nostra società, contraria all'Autonomia sino a teorizzare l'adeguamento del nostro Statuto agli Statuti ordinari e la fine della specialità.
Ha prevalso invece il "movimento dell' ''Identità" , trasversale e suscitato dalla critica all'Autonomia realizzata e che individuava nell'assenza dell'analisi identitaria e della conseguente non costituzionalizzazione di elementi quali la lingua sarda e l'eredità storica e culturale peculiare del popolo sardo, il fattore di depotenzionamento dello Statuto e il prevalere di un impianto economicista che favoriva la dipendenza ed il sottosvilupo della Sardegna.
A distanza di tanti anni e con una realtà politica ed economica a livello europeo, mediterraneo e mondiale modificata in senso globalizzante e caratterizzata dall'emergere e valorizzazione delle identità locali, questi temi sono diventati in gran parte comuni e diffusi in maniera trasversale nella società sarda.
Oggi la lingua sarda è riconosciuta e valorizzata da una legge dello Stato in applicazione della Costituzione e i sardi sono , anche se in maniera ulteriormente perfettibile, parte delle minoranze linguistiche italiane.
Il Sardo, seconda lingua della Repubblica come numero di parlanti, dopo quella italiana, assieme al Tabarchino, Gallurese, Sassarese e Catalano d'Alghero, è anche tutelata da una legge regionale, anch'essa ulteriormente migliorabile.
Questo fatto politico innovativo rispetto alla depotenziata realizzazione statutaria vigente originata dal progetto dei Padri dell'Autonomia, che comunque non prevedevano la componente identitaria, ha conseguentemente reso comune e diffusa la identificazione del Popolo sardo con la Nazione Sarda.
In questo senso abbiamo programmaticamente privilegiato i temi della lingua, cultura ed eredità culturale dei sardi come "fattori di distintività" in quanto conferiscono un'importanza decisiva alle tematiche per il radicamento del senso d'appartenenza.
Esso si sviluppa nell'obiettivo generale della tutela, valorizzazione e sviluppo, accessibilità e messa in rete del patrimonio linguistico, artistico e storico e delle attività culturali e letterarie dei sardi e base per ogni progetto di progresso economico ed istituzionale.
Di conseguenza e come asse innovativo e portante del mio progetto di governo ho chiaramente affermato con forza e convinzione che la Sardegna è una "Nazione" con proprio territorio, propria storia, identità ed aspirazioni distinte da quelle che compongono la Nazione italiana, ed assomma in sé tutte le culture e le civiltà che si sono succedute nell'Isola dal prenuragico ad oggi.
Questa decisa e non ambigua affermazione programmatica di riferimento è stata determinante per realizzare una ampia, pluralista, nazionalitaria e vincente coalizione che ha ricevuto il consenso della maggioranza dei sardi e che ora governa la Sardegna.
Oggi festeggiamo Sa Die de Sa sardigna, la festa nazionale dei sardi, che simboleggia lo spirito d'unità del nostro popolo , il suo insopprimibile desiderio di libertà e d'autodeterminazione.
Questa festa è anche occasione per una riflessione sulla incompiuta risposta delle sue istituzioni alle richieste, alle aspirazioni, alle necessità dei sardi.
Questo giorno deve ricordarci i valori della solidarietà, del sentirsi componenti di una realtà e di un corpo sociale comune e di come su determinate questioni non bisogna dividersi per egoistiche e miopi scelte di parte.
Oggi non è solo il giorno della memoria dei nostri valori storici, politici e culturali, ma un giorno di lavoro da considerare come offerto sopratutto ai nostri giovani perché con la conoscenza storica rafforzino la loro identità di sardi e la speranza in un futuro migliore.
MY NATION BENTESOI
Oggi è un giorno di ottimismo volto al passato ma proiettato verso il futuro, composto di analisi ed elaborazioni, ma anche di festa, di gioia, d'incontro sorridente della gente nella nostra amata Sardegna.
Oggi, nel nostro Parlamento, in Sa Die de Sa Sardigna, rinnoviamo durante la nostra festa nazionale un patto con i sardi, dai contenuti trasmessici dai nostri padri e dalle nostre madri come dai loro antenati nei secoli, il cui contenuto fondamentale consiste nell'impegno a non rinunciare mai ai nostri diritti naturali, storici, culturali, economici ed istituzionali di Nazione e di lottare sempre per la nostra libertà e l'autogoverno".
giovedì 9 aprile 2009
IL CODEX ALIMENTARIUS: UN INQUIETANTE PROGETTO IN CAMPO ALIMENTARE
Il Codex Alimnetarius entrerà in vigore il 31 dicembre del 2009 e potrebbe essere il più grande disastro per la salute umana: determinerà gli standard di sicurezza alimentare e le regole in più di 160 paesi del mondo, cioè per il 97% della popolazione mondiale.
La Commessione di Commercio Codex Alimentarius (che nel 1994 dichiarò le tossine come nutrienti) è attualmente finanziata e condotta dall’OMS (che appartiene all’ONU) e dalla FAO.
Un insieme di standard internazionali aventi come scopo la protezione della “salute” dei consumatori, attraverso pratiche nel commercio per: preparati alimentari, semipreparati, crudi, l’igiene degli alimenti, gli additivi, i pesticidi, i fattori di contaminazione, l’etichettatura, i metodi di analisi. Lo scopo recondito è di mettere fuori legge ogni metodo alternativo nel campo della salute, come le terapie naturiste, l’uso di integratori alimentari, di vitamine e di tutto ciò che potrebbe essere un potenziale concorrente per l’industria chimico-farmaceutica.
La lobby della chimica farmaceutica è nata da un’associazione condotta da Rockfeller e dall’IGFarben della Germania nazista. L’IGFarben fin dal 1932 fornì ad Hitler un finanziamento di 400.000 marchi senza il quale il secondo conflitto mondiale non avrebbe potuto avere luogo e nel 1941 costruì ad Auschwitz la più grande industria chimica del mondo approfittando della mano d’opera dei campi di concentramento. Nel processo di Noriberga i responsabili della IGFarben furono dichiarati colpevoli di genocidio, di schiavitù ed altri crimini. Però un anno dopo la condanna, nel 1952, tutti i responsabili furono liberati con l’aiuto di Nelsen Rockfeller (che a quei tempi era ministro degli affari esteri in USA) e s’infiltrarono nell’economia tedesca.
Fino dagli anni 70 il consiglio direttivo della società BASF, BAYER e HOECHST era costituito da membri del partito nazista che, a partire dal 1959, finanziavano il giovane Helmut Kohl. In pratica l’organizzazione nazista associata a Rockfeller ha costituito il mercato farmaceutico del pianeta. L'alleanza della IGFarben si è poi tramandata sotto un altro nome: “Associazione per l’industria chimica” che nel 1955 è stata raggruppata nel CODEX ALIMENTARIUS il cui spirito è la soppressione delle innovazioni scientifiche indipendenti degli ultimi 50 anni usando ogni mezzo per mantenere il suo posto sul mercato in riferimento al cancro, all’AIDS, alle malattie cardiovascolari ecc.
Un gran numero di partiti politici europei, di sinistra e di destra, sono stati finanziati da questa industria per assicurarsi una legislazione favorevole all’industria farmaceutica. Per influenzare i legislatori, condizionare gli organismi di controllo, manipolare le ricerche in campo medico ed educativo, solo nel 1961 le industrie farmaceutiche hanno fatto donazioni alle grandi università degli USA: 8 milioni di dollari ad Harvard, 8 milioni di dollari a Yale, 10 milioni di dollari a Jonh Hopkins, 1 milione di dollari a Standford, 1,7 milioni di dollari a Columbia di New York. L’informazione dei medici è interamente finanziata dalle compagnie, che nascondono con attenzione un gran numero di effetti secondari pericolosi e perfino mortali dei farmaci. Vale la pena ricordare che ogni anno solo nel Nord America muoiono 800.000 persone a causa delle medicine allopatiche. Il 13 marzo 2002 gli europarlamentari adottarono leggi a favore dell’industria farmaceutica secondo le disposizioni fissate del Codex Alimentarius, finalizzate ad elaborare una documentazione coercitiva per tutte le terapie naturiste e gli integratori alimentari. Ma nonostante 438 milioni di petizioni inviate al Parlamento Europeo le direttive del Codex sono state adottate.
Il dr. Rath Matthias, uno specialista tedesco per l’uso di trattamenti naturisti, nel 2003 ha consegnato alla Corte Internazionale di Giustizia un atto di accusa per crimini contro l’umanità. Matthias afferma: “Il vero scopo dell’industria farmaceutica mondiale è di guadagnare soldi grazie alle malattie croniche e di non preoccuparsi di prevenire o sradicare queste malattie. L’industria farmaceutica ha un interesse finanziario finalizzato alla diffusione di queste malattie, per assicurarsi il mantenimento o addirittura l’aumento dei prezzi dei medicinali. Per questo motivo i farmaci sono fatti per eliminare i sintomi e non per trattare le vere cause delle malattie… le compagnie farmaceutiche sono responsabili di un genocidio permanente e diffuso, in quanto uccidono in questo modo milioni di persone”.
A partire dal 2005 le direttive applicate mirano a: - eliminare ogni supplemento alimentare naturale che sarà sostituito con 28 prodotti di sintesi disponibili solo in farmacia: tutto ciò che non è nella lista del Codex è considerato illegale;
- le medicine naturiste, come l’agopuntura la medicina energetica, ayurvedica, tibetana ecc. saranno progressivamente vietate;
- l’agricoltura e l’allevamento di animali saranno regolate dall’industria chimico-farmaceutica che vieta per principio l’agricoltura biologica. Questo significa che ogni mucca da latte sarà trattata con l’ormone bovino della crescita (ricombinato geneticamente) prodotto dalla Monsanto. Inoltre. Ogni animale del pianeta usato a fini nutrizionali dovrà essere trattato con antibiotici ed ormoni della crescita. Le regole del Codex permettono che gli alimenti contenti OGM non debbano più essere etichettati come tali. Non solo. Nel 2001 il Codex Alimentaris reintegra 7 delle 12 sostanze chimiche (note per essere causa di cancro) vietate unanimemente da 176 nazioni.
- l’alimentazione umana dovrà essere irradiata con Cobalto i cui livelli saranno maggiori di quelli permessi in precedenza.
Franco Libero Manco (francolibero.manco@fastwebnet.it)
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=5762
mercoledì 18 marzo 2009
NO AL NUCLEARE
Sa defenza sotziali ribadisce il NO forte duro e deciso al nucleare.
Invitiamo tutti i cittadini Sardi a prendere una decisa presa di posizione contro il progetto nucleare di questo stato padrone e colonizzatore con istinto assassino che come un rullo compressore schiaccia i diritti dei popoli alla loro autodeterminazione e le scelte politiche economiche sociali alternative.
Questo stato italiota che dimostra che l'unica ragione a cui son soggetti a piegarsi è quella del rapporto di forza, avremo NOI l'ardire di contarci su queste basi?
Proprio per questo motivo dobbiamo affrancarci gli uni con gli altri ed essere pronti e determinati a respingere un attacco che non avveniva ormai da molto tempo.
E' evidente che non bisogna assopirsi lasciando che questi soggetti prendano campo con queste idee aberranti, diceva il buon Gesù, poichè "il ladro arriva nell'ora meno attesa" manteniamoci desti ed organizzati a respingere con determinata consapevolezza l'intento di questo nuovo attacco contro la nostra natzione e il futuro dei figli dei nostri figli.
A foras sos colonialistas a foras sas bases militares et nuclearis!
Aderiamo al Coordinamento Antinucleare “salute-ambiente-energia” costruendo anche qui un comitato per affrontare decisamente la mobilitazione dei nuclearisti e modernisti antisociali dello stato italiano.
Il sistema capitalistico cerca di uscire indenne dal crack provocato dal suo modello di produzione e consumi, scaricandone i costi e i danni sui lavoratori e i ceti popolari,sulla salute e l’ambiente.
La crisi generalizzata già pesa sui meno abbienti in termine di disoccupazione e perdita di diritti, di precarizzazione e impoverimento dell’esistenza, mentre il governo continua a regalare soldi pubblici ai banchieri,padroni e speculatori che l’hanno prodotta.
Invece di cambiare sistema sostenendo l’energia solare e le rinnovabili, il riassetto idrogeologico,i beni comuni e le infrastrutture sociali,l’alimentazione biologica a filiera corta, si continuano a finanziare progetti e opere devastanti come la TAV,il Ponte sullo Stretto,i rigassificatori,gli inceneritori e la riproposizione del nucleare in nome di una falsa autonomia energetica, ovvero le lobbies che lucrano e vivono di appalti pubblici e sovvenzioni statali.
Seveso-Bhopal , Acna-Farmoplant , Marghera-Priolo , Garigliano-Cernobyl - i rifiuti tossici sotterrati in particolare nell’agro campano o scaricati in mare - con il loro carico di inquinamento irreversibile,di malattie mortali,di innumerevoli lutti, dovrebbero far riflettere sui disastri sanitari e ambientali già procurati.
Invece si continua peggio di prima, attraverso ulteriori strumenti coercitivi e autoritari, quali la militarizzazione dei siti e l’esautoramento dei poteri di intervento dei cittadini e degli enti locali :le scorie radioattive ammassate nella discarica di Pitelli, i depositi nucleari di Saluggia e Rotondella-Trisaia , sono li a testimoniarlo !
A 22 anni dal referendum vincente che mise al bando le centrali nucleari , il governo Berlusconi si prepara a reintrodurre l’atomo nel nostro paese. Lo fa con un protocollo siglato il 24 febbraio 2009 a Roma con il presidente Sarkosy e sottoscritto da Enel e Edf , ponendo le basi per la costruzione di 4 centrali di terza generazione, per la prevedibile entrata in produzione a partire dal 2020 !
NON C’E’ TEMPO DA PERDERE !
Nonostante il nucleare sia anacronistico,dispendioso,ultrainquinante e che dispone in se una visione di società gerarchica e aggressiva. Stante la crisi , la scelta nucleare è oltremodo fuorviante e deprime le risorse da destinare alle emergenze sociali , alle innovazioni, al risanamento ambientale.
Abbiamo a che fare con una lobby trasversale al centrodestra e centrosinistra. Con questi boss non ci sono ragioni , riconoscono solo i rapporti di forza !
E’ L’ORA DI TORNARE A LOTTARE CONTRO IL NUCLEARE E L’ENERGIA PADRONA.
Dopo le assemblee e gli incontri tenuti in più regioni , che già vedono la nascita di comitati territoriali con l’adesione di scienziati – tecnici – lavoratori del settore e la condivisione di molteplici vertenze/resistenze ambientali e sociali , si è dato vita ad un organismo semplice,aperto,agile, il Coordinamento Antinucleare “salute-ambiente-energia”, in grado di affrontare immediatamente la battaglia comunicativa e di contribuire con iniziative via via più incisive alla rinascita di un movimento antinucleare , capace di fronteggiare e vincere questa altra sfida dell’energia padrona .
Coordinamento Antinucleare “salute-ambiente-energia”
sabato 14 marzo 2009
La sovranità alimentare: dichiarazione di guerra al neoliberismo
AUTORI: Reinhard KORADI
Tradutzioni dae Ada De Micheli
Rapporto sull’agricoltura mondiale, pubblicato nell’agosto 2008, smaschera la menzogna neoliberale e dimostra che bisogna agire subito. Rivela le lacune scandalose del sistema economico mondiale che rende enormi profitti a una piccola minoranza di gente senza scrupoli. Gli autori del Rapporto chiedono un cambiamento sostanziale della politica e delle economie agricole e mettono in primo piano la sovranità alimentare per tutti i popoli e tutte le nazioni.
Sa defenza Sotziali che ha a cuore la difesa del territorio sardo dai predoni: Le multinazionali .E' per la libertà autoctona e contro la sudditanza del nostro popolo dalle multinazionali dello sfruttamento delle nostre risorse. Proponiamo per questo l'articolo che segue dopo l'esposizione di Patel sul libro i I padroni del cibo......
Raj Patel è l'autore di I padroni del cibo (Feltrinelli, 2008, €16,00). Nel primo capitolo introduttivo del libro, Patel mostra con un grafico quale sia l'area economica che sta sulla linea di distribuzione che unisce i campi alla tavola e nella quale si concentra l'oligopolio più ristretto (e quindi maggiore) dell'economia alimentare.
Se disegnassimo un paio di grafici che evidenzino i punti in cui è concentrato il potere laddove il cibo viene coltivato e venduto, il risultato sarebbe la figura ...
Il grafico mostra i dati relativi a Olanda, Germania, Francia, Regno Unito, Austria e Belgio.
Per quanto riguarda il potere, il dato chiave è il collo di bottiglia. Non si sa come, eppure siamo finiti in un mondo con pochi venditori e acquirenti aziendali.
La procedura di spedizione, lavorazione e consegna a lunga distanza richiede enormi capitali, insomma devi essere ricco se vuoi entrare in ballo. E' anche un gioco di economie di scala, ovvero più grande è un'azienda e più muove trasporti e logistica, meno costoso le risulterà rimanere sul mercato.
Del resto, non esistono distributori internazionali a conduzione familiare. I pesci piccoli saranno divorati dai colossi della distribuzione.
Quando il numero di aziende che controllano i passaggi dal produttore al consumatore è ridotto, le imprese hanno un potere di mercato sia sulle persone che coltivano e allevano il cibo, sia sulle persone che lo mangiano.
Quello alimentare non è il solo settore dell'economia in cui un oligopolio sia riuscito a creare un collo di bottiglia, cioè abbia fatto cartello in violazione di un principio cardine del liberismo mercantile: la concorrenza commerciale.
La concorrenza dovrebbe tendere al miglioramento della qualità del prodotto, diminuendone al contempo il prezzo.
Questa è la pietra d'inciampo della teoria liberista, perché laddove non vi sia un potere statale che intervenga ad impedire concentrazioni oligopolistiche (o monopolistiche) la logica del profitto determinerà inevitabilmente tali concentrazioni di potere economico, che si riverberano poi su tutta la filiera, anche senza un monopolio diretto ed esplicito.
La globalizzazione selvaggia del capitalismo mercantile occidentale ha comportato la deregolamentazione dei mercati inter- e sovra-nazionali, nonché il neocolonialismo delle multinazionali in grado di corrompere le autorità dei paesi più deboli.
Solidarietà e responsabilità individuale
per ammortizzare i colpi
Da secoli, i Paesi ricchi avanzano economicamente sfruttando i Paesi «meno sviluppati». Da un lato la sovrabbondanza, dall’altro la povertà. Facciamo penare gli altri, li lasciamo soffrire di fame e cadere nella miseria per creare le nostre oasi di benessere, i nostri paradisi di divertimenti e la nostra società di servizi e d’informazione priva di valori. E’ drammatico che in molti Paesi industrializzati molte persone non si rendano conto che un giorno si troveranno anche loro dalla parte dei perdenti di un nuovo ordine sociale, a meno che i cittadini non comincino ad opporsi all’ingiustizia. Per il momento, noi ci troviamo in una «buona posizione», benché già nella fase in cui sta venendo meno la nostra sicurezza esistenziale. Lottiamo individualmente per salvare ciò che può essere salvato, nonostante già da molto tempo si renda indispensabile unire le nostre forze per combattere l’ingiustizia, la contrazione delle risorse messa in atto da un élite rapace e avida di potere. Se da un lato proviamo pena nell’accettare che coloro che vivono nel sud del mondo soffrano in gran parte di povertà e fame, dall’altro accettiamo che, nei Paesi industrializzati dell’Occidente, vengano meno i principi di protezione sociale.
Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale (FMI). Si tratta di far capire a tutti che le negoziazioni e le discussioni in materia economica non conformi all’ideologia del mercato devono essere vietate. Il «consenso di Washington» rilancia la strategia della restrizione delle democrazie. Ne fa parte prima di tutto l’eliminazione della rivendicazione liberale di sovranità, il più grande ostacolo nella crociata a favore di un sistema economico globale neoliberale conforme alla Scuola di Chicago.
Su questo argomento, le richieste avanzate nel Vertice di Berlino convocato dal cancelliere tedesco Angela Merkel in vista della preparazione del G20, che si terrà il 2 aprile prossimo a Londra, sono particolarmente allarmanti. Grazie ad una nuova «architettura dei mercati finanziari», gli Stati sovrani dovranno sottoporsi ad un organo di controllo globale e il FMI, la Banca mondiale e l’OMC devono essere abilitati a punire, attraverso delle sanzioni, gli Stati «recalcitranti» ad una regolamentazione globale. La democrazia – intesa come partecipazione dei cittadini responsabili alle decisioni, il riparo più efficace contro il dilagare del mercato liberalizzato – va definitivamente distrutta. Mai più niente deve ostacolare la sete di potere e di profitto dell’alta finanza, così come la mercificazione distruttrice dei valori e la destabilizzazione di tutte le economie.
Dobbiamo contrastare questa strategia di potentati globali attraverso un’associazione solidale per la difesa della nostra libertà. D’accordo con il motto «Uno per tutti, tutti per uno», dobbiamo impedire che la sicurezza del lavoro, le istituzioni sociali, i sistemi sanitari ed educativi efficienti, le infrastrutture dei trasporti e di approvvigionamento finiscano in modo definitivo nel caos prodotto dagli sbandamenti neoliberali.
L’esplosione delle bolle
annienta le economie nazionali
Le bolle del sistema finanziario ed economico globale liberale sono scoppiate, o meglio, sono state fatte scoppiare. Il divario tra l’economia reale e quella finanziaria ha determinato un crollo colossale che trascina nell’abisso le economie mondiali già traballanti. Le ricchezze nazionali accumulate nel corso di generazioni devono ora essere sacrificate ai «vitelli d’oro» neoliberali. Miliardi e miliardi di dollari, euro e franchi vengono immessi in un sistema malato senza salvare un solo posto di lavoro. Ma c’è di peggio: le imprese sostenute dagli aiuti statali presentano dei «piani di risanamento» che faranno perdere migliaia di posti di lavoro. L’Europa prevede un tasso di disoccupazione di almeno un 10%, ma questo dovrebbe essere un pronostico «ottimista». Aiutando finanziariamente le industrie e le banche in difficoltà, i Paesi europei rischiano la bancarotta. Certamente, uno Stato non potrà mai fallire; tuttavia, le finanze pubbliche spogliate e le perdite colossali degli istituti sociali e di previdenza, dovute alla speculazione, costituiscono un’ottima ragione per obbligare la popolazione a rinunciare «volontariamente» ai propri diritti, ai propri risparmi e alla previdenza sociale. Il punto fondamentale è di sapere in che misura la situazione disastrosa dovuta alla perdita di occupazione, all’affondamento dei sistemi economici e finanziari e ai Paesi insolventi, sia stata indotta per risolvere il problema del blocco delle riforme.
Non c’è bisogno di osare tanto. Invece di rimanere passivi, angosciati dalle minacce che pesano sulle nostre basi esistenziali, dobbiamo superare lo choc e organizzare la resistenza. E questo concentrandoci sull’essenziale, assumendoci le nostre responsabilità e, fedeli alle tradizioni democratiche, unendoci nell’azione. Il sostegno all’autonomia è un altro elemento della democrazia autentica e dell’autodeterminazione.
La solidarietà, congiuntamente al fatto di considerare la sicurezza dei mezzi di sussistenza e di sforzarsi nell’individuare questi stessi mezzi, rappresenta la forza determinante che rende possibile l’indipendenza, necessaria per proteggere la comunità internazionale e noi stessi dalla potenza distruttrice della dottrina neoliberale del libero scambio.
Annientare la dittatura economica globale attraverso la sovranità alimentare
Per i popoli, la possibilità di poter decidere essi stessi cosa coltivare, raccogliere, stoccare per poi giungere sulle tavole delle famiglie, rappresenta il mezzo diretto attraverso cui affrancarsi dalla dominazione dell’economia globale. Una volta che i popoli avranno riconquistato la sovranità nel settore dell’alimentazione e quindi della politica agricola e del commercio di prodotti alimentari, anche altri settori riusciranno a sfuggire al sistema economico globale. La priorità è tuttavia quella di riuscire ad assicurare i mezzi di sussistenza grazie ad alimenti quantitativamente sufficienti e di ottima qualità. Questa priorità sarà raggiunta nel momento in cui le famiglie, le comunità di villaggi, le regioni e gli Stati disporranno di risorse alimentari in grado di garantire che nessuno soffrirà la fame, che nessuno si ammalerà o morirà per aver ingerito alimenti o bevande avariati. Per fare questo, è necessario rispettare la diversità delle condizioni climatiche, geografiche, culturali ed economiche e permettere soluzioni rispondenti ai bisogni della popolazione.
Riconquistiamo la sovranità alimentare. Questo concetto è stato creato da La Via campesina, un gruppo mondiale che riunisce varie organizzazioni di piccoli contadini e braccianti agricoli. È nata in seguito all’insoddisfazione crescente dei contadini nei confronti della globalizzazione che ha raggiunto anche il settore agricolo. La Via campesina sostiene che un’economia agricola di tipo globale serve unicamente gli interessi delle grandi nazioni industrializzate esportatrici e l’agrobusiness mondiale. Teme invece che gli interessi delle popolazioni rurali e la sicurezza alimentare vengano schiacciate dal rullo compressore dell’OMC. Vorrebbe evitare che l’agricoltura venisse sacrificata e che venisse meno la sovranità dell’approvvigionamento. L’associazione è impegnata sul fronte del miglioramento delle condizioni di lavoro dei piccoli contadini e dei braccianti agricoli attraverso un commercio equo-solidale, una maggiore giustizia sociale e la creazione di un’economia durevole in tutto il mondo. Già all’epoca del Vertice mondiale dell’alimentazione tenutosi nel 1996, La Via campesina chiedeva la sovranità alimentare di tutti i popoli. Da allora, questa rivendicazione è stata sostenuta in modo inequivoco da un numero sempre crescente di associazioni contadine e di ONG, ed ora anche dagli autori del Rapporto sull’agricoltura mondiale.
Gli uomini devono imparare a vivere dei prodotti offerti dal loro territorio. Bisogna creare un equilibrio tra uomo e natura su un territorio limitato, un ciclo naturale di produzione e di consumo in uno spazio ristretto, senza spreco né distruzione delle condizioni di produzione e di vita naturali. Attraverso questo equilibrio, ci affrancheremo dalle dipendenze e riprenderemo in mano, poco a poco, la questione alimentare.
Metodi per realizzare la sovranità alimentare
Un elemento deve essere chiaro. Oggi, la sovranità alimentare non è una missione ad esclusivo appannaggio dei Paesi poveri ma anche di quelli ricchi, Svizzera inclusa. Ogni Paese è chiamato a risolvere il problema a modo suo, nell’interesse della lotta mondiale contro la fame. Si tratta di un atto di solidarietà che non ha niente a che vedere con il protezionismo. Benché i guru del commercio mondiale avranno un bel da fare a protestare e i governi a mantenere ostinatamente il loro punto di vista, la popolazione ha il diritto di esigere la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare.
Il diritto di decidere circa la produzione, la trasformazione, lo stoccaggio e la distribuzione dei prodotti alimentari, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo ed ecologico, dipende da numerosi parametri essenziali. Ciascun Paese deve essere attento a:
- risparmiare accuratamente le risorse naturali e sfruttare in modo da assicurarsi il più alto livello possibile di autosufficienza nel lungo termine, ossia per le generazioni future;
- rispettare il patrimonio culturale e i valori contadini, al di là del folclore;
- assicurare agli agricoltori, indipendentemente dalla dimensione della terra coltivata, il libero accesso alle terre agricole, alle sementi, all’acqua, al sapere e ad eventuali misure protezionistiche;
- dare la priorità, nell’ambito della promozione statale, alla produzione di alimenti sani e di ottima qualità che si adattino alle specificità climatiche, culturali ed economiche;
- orientare la produzione soprattutto verso i bisogni locali e il mercato nazionale e fornire alla popolazione alimenti naturali e sani in quantità sufficienti;
- fare in modo che le strutture di produzione, trasformazione e logistica, parallelamente all’aspetto che concerne i pascoli e la misura delle coltivazioni, offrano condizioni iniziali ottimali per l’approvvigionamento locale della popolazione e garantiscano, anche in periodi di crisi, la più grande sicurezza di approvvigionamento possibile grazie alla flessibilità e alla condivisione dei rischi;
- integrare le strutture situate a monte e a valle nell’approvvigionamento alimentare concepito su piccole unità;
- pagare ai contadini prezzi adeguati permettendo loro di vivere dignitosamente;
- preparare e applicare, a seconda delle situazioni, delle misure adeguate per impedire produzioni eccedenti;
- dare la possibilità di applicare delle misure protezionistiche nei confronti dell’importazione dei cosiddetti «prodotti a basso costo» e sostenere in modo efficace la produzione di alimenti base (per es. con prezzi più alti);
- vietare nel modo più assoluto gli aiuti all’esportazione e le misure interne di sostegno all’esportazione a prezzi inferiori ai costi di produzione.
Originale: La souveraineté alimentaire: déclaration de guerre au néolibéralisme
URL di questo articolo su Tlaxcala: http://www.tlaxcala.es/pp.asp?reference=7215&lg=it
lunedì 9 marzo 2009
Arrestati in Tibet 100 monaci. Fermati per 3 ore due reporter italiani
Piu' di 100 monaci del monastero di An Tuo sono stati arrestati dopo una
manifestazione per il Capodanno tibetano. Lo hanno affermato oggi alcuni monaci, parlando con il corrispondente dell'ANSA e quello di Sky Tg24, che subito dopo sono stati fermati dalla polizia per tre ore. Gli arresti sono stati 109.
Stanno bene e sono in costante contatto con l'ambasciata italiana di Pechino, i due giornalisti italiani fermati dalla polizia cinese e interrogati per circa 3 ore prima di essere rilasciati a Xining, capoluogo della provincia cinese di Qinghai, limitrofa al Tibet. Lo riferiscono fonti della Farnesina.
Il corrispondente dell'Ansa a Pechino, Beniamino Natale, e quello di SkyTg24 Gabriele Barbati erano andati in un monastero per alcune interviste quando, all'uscita, sono stati fermati dalle forze dell'ordine per essere interrogati. Le fonti del ministero degli Esteri fanno sapere che i reporter hanno gia' raggiu nto i loro alberghi e che "controlli di questo tipo stanno aumentando" alla vigilia del 50esimo anniversario della fallita rivolta dei tibetani contro Pechino.
Truppe aggiuntive sono state schierate alle frontiere, lungo le arterie principali, a Lhasa e nelle altre citta' piu' importanti del Tibet. A Dharamsala, la citta' indiana dove ha sede il governo tibetano in esilio, per domani e' in programma una manifestazione di 10mila attivisti pro-Tibet nonostante gli appelli alla moderazione del Dalai Lama che ha invitato a pregare e placare i toni.
In questo periodo ci sono altre due date che rivestono un'importanza particolare per i tibetani. Il 14 marzo e' il primo anniversario dei moti di Lhasa nel corso dei quali, per la prima volta, giovani tibetani attaccarono gli immigrati cinesi. Il 28 marzo e' invece il giorno in cui il governo di Pechino ha istituito una festa per celebrare la "liberazione (del Tibet) dalla schiavitu'", cioe' la formalizzazione dell'annessione della regione alla Repubblica Popolare.
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