martedì 22 settembre 2009
NUCLEARE «Territori scavalcati» Nessuno vuole l'atomo
http://www.facebook.com/event.php?eid=167043420128&ref=mf
Sono cinque le Regioni contrarie
Guglielmo Ragozzino
ilmanifesto.it
Una corsa contro il tempo. La legge 99 del 23 luglio 2009, su «Sviluppo, internazionalizzazione delle imprese ed energia», pubblicata il 31 luglio, poteva essere impugnata dalle Regioni entro due mesi. Trascorso il periodo, il governo avrebbe deciso in totale autonomia dove collocare le sue otto/dieci centrali nucleari, i famosi siti, oggetto di preoccupazioni dei cittadini. Non finirà così. Cinque Regioni: Calabria, Toscana, Liguria, Piemonte, Emilia Romagna hanno impugnato la legge e nelle prossime ore altre lo faranno.
Nella dichiarazione di Vasco Errani, governatore dell'Emilia Romagna che si è unito per ultimo alla lista dei ricorrenti compare il concetto di «intesa forte» che si deve stabilire tra Stato e Regione, nel rispetto del ruolo e della funzione di entrambi, in via preliminare a ogni autorizzazione. «Non è possibile che l'eventuale contrarietà di una Regione ad accogliere un impianto possa essere considerata alla stregua di un semplice parere non vincolante. Per questo abbiamo deciso il ricorso alla Corte». Iinsomma, in tema specifico nucleare l'Emilia Romagna non dice né sì né no. Gli ambientalisti avranno il loro da fare per orientare e convincere tutti.
Il governo ha fatto un errore di faciloneria. Si è fidato troppo della disattenzione delle ferie. Non ha tenuto conto della presenza delle associazioni ambientaliste, Wwf, Legambiente, Greenpeace che l'11 settembre hanno inviato una lettera di 12 righe ai presidenti delle Regioni e agli assessori all'Energia e all'Ambiente per ricordare loro che la legge avrebbe escluso i territori da loro amministrati dalla scelta dei siti; e che avrebbero anche dovuto sopportare l'affidamento a imprese private senza avere voce in capitolo, tranne un parere non vincolante in sede di Conferenza unificata Stato Regioni.
Il Governo aveva anche pensato di sondare il terreno con una serie di indiscrezioni sulle aree da utilizzare per le centrali e per la discarica finale delle scorie nucleari, facendo seguire a ogni indiscrezione una smentita. Pensava di causare sufficiente sconcerto, evitando contrasti da parte delle Regioni: seminare il dubbio e irridere alle preoccupazioni «immotivate», mettendo tutti contro tutti.
La sollecitazione degli ambientalisti conteneva due punti chiave: per legge, l'iter avrebbe scavalcato il «territorio», ridotta la possibilità d'informazione dei cittadini, rischiato di militarizzare gli impianti la cui localizzazione sarebbe stata decisa, prevedibilmente, nei fatti, da operatori privati. Con il secondo punto si richiamavano le Regioni a decidere rapidamente, perché i termini di un possibile ricorso da parte loro alla Corte costituzionale erano in scadenza. Comunque la pensassero, in ordine alle centrali nucleari, toccava a esse Regioni il compito di tutelare la democrazia del paese e la trasparenza della procedura.
La decisione della Corte nel conflitto sollevato dalle Regioni non sarà presa in un lasso di tempo breve. Non, con tutta probabilità, prima delle elezioni regionali di primavera. Al momento del voto vi saranno candidati contrari al nucleare in Regione e altri favorevoli, oppure accusati - e questo sarà ancora peggio - di non avere aperto bocca, di non avere difeso il territorio con abbastanza coraggio. Ma si pensi al caso della Sardegna, dove si è già votato per le elezioni regionali. Nell'isola circolano le voci più feroci, riportate per esempio da La nuova Sardegna del 9 settembre. Partendo dal presupposto che la Sardegna è l'area più stabile dal punto di vista sismico, le si attribuiscono tre se non quattro centrali nucleari, tutte «quelle che il governo intende costruire, anche se poi bisognerebbe risolvere il problema del trasferimento dell'energia». ma come è ovvio la Sardegna, a partire dalla sua amministrazione regionale di destra, non accetta il ruolo di sfogo nucleare ed elettrico per tutta l'Italia continentale.
venerdì 4 settembre 2009
NO NUKE! ALLA GUERRA NUCLEARE SI RISPONDE CON LA NOSTRA RISATA SARDONICA !
.. Voglio ringraziare tutti/e voi che con il cuore vorreste eeserci ma con il corpo non potete .. grazie di cuore per il vostro pensiero.
grazie a chi si sta attivando,per esserci ed a chi forse parteciperà, ma anche un grazie di cuore anche a tutti ...coloro che purtroppo hanno scelto di non esserci..
Mi auguro che gli eventi che si stanno costruendo in ogni dove contro la più grande ingiustizia che si sta per adempiere sul nostro popolo non accada, e che la risposta si forte e chiara , NO ala NUCLEARE
.. non possiamo permettere che venga ipotecata la vita dei futuri popoli della nostra terra , i nostri pro pro nipoti che a motivo di un manipolo di pazzi che ragionano con il cazzo ed il viagra stanno portandoci al baratro...
Forza e determinazione sono le cose più care in questo momento di grave carestia di spirito della nostra amata Gaia..
LOTTARE per non MORIRE
OPPORSI PER NON IPOTECARE LA VITA FUTURA... CREDERE NELLA VITTORIA DELLA NOSTRA LOTTA PER VEDERE IL FUTURO REALIZZATO...
Su facebook ci trovate attivi come sempre e potete visitarci e sostenerci con inizaitiva e partecipazione:
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La questione nucleare non ha solo ricadute negative di tipo ambientale e salutare ma anche di tipo economico, intorno si coagula una forte lobby dei costruttori edili e politicanti collusi, inoltre il braccio delle mafie dei subappalti, il giro di soldi come sappiamo è vertiginoso, e la speculazione oltre che finanziaria è sopratutto artefattamente ideologica, di convenienza per la società conoscendo i risvolti delle scorie eccetera, in effetti non ce ne sono punti, perciò alla loro ideologia modernistà e ssfruttatrice alla "prendi tutto e scappa" dobbiamo contraporre l'idea della salvaguardia delle generazioni future e di Madre Terra...
Per rimpiazzare la chiusura delle centrali attive, molte delle quali hanno più di 40 anni e vanno smantellate, bisognerebbe mettere in opera 290 centrali nuove da qui al 2025: una ogni mese e mezzo fino al 2015, una ogni 18 giorni negli anni seguenti.
Questo ritmo incredibile fu in realtà tenuto, negli anni '80.
Ma oggi non più.
L'industria specializzata non riuscirebbe a rispondere ad una tale concentrata domanda.
Esiste una sola acciaieria al mondo capace di forgiare un pezzo essenziale del cuore del reattore, e sta in Giappone.
Collo di bottiglia ancora più grave: non esistono abbastanza tecnici e ingegneri del livello necessario non solo per costruire, ma per far funzionare e controllare tante nuove centrali.
Dopo decenni di abbandono di questo settore, le competenze non sono state formate.
Entro il 2015, ben il 40% dei tecnici che operano nelle centrali francesi saranno andati in pensione. Solo l'8% dei dipendenti del settore atomico ha meno di 32 anni.
Ed ecco adesso un altro problema: chi finanzia queste grandi opere?
A causa della liberalizzazione del mercato dell'elettricità, gli investitori-speculatori privati considerano questi investimenti a rischio.
Troppo costosi (un reattore ultimo tipo, EPR, costa 3 miliardi di dollari), un investimento a troppo lungo termine e con sorprese lungo il percorso (certificazioni, permessi di costruzione, referendum anti-nucleari come dopo Chernobyl, che imposero chiusure da panico con perdite rilevanti).
mercoledì 1 luglio 2009
venerdì 12 giugno 2009
Nei Quaderni la profezia di Gramsci Il vecchio mondo muore e il nuovo non può nascere
giovedì 11 giugno 2009
L’astensionismo antidemocratico de Alain de Benoist
In Francia, alla vigilia del voto, s’attendeva un’ondata d’astensioni senza precedenti: fino al 50 per cento. Tenuto conto dell’eliminazione delle listarelle che non avranno il 5 per cento dei suffragi, sebbene fra tutte rappresentino circa il 20 per cento dell’elettorato, gli eletti al Parlamento di Strasburgo rappresenterebbero un quarto della popolazione. Brutto segno per la democrazia. Ma per quale democrazia? Democrazia d’opinione, televisiva, di mercato? Studiate nella dimensione della crisi o valutate nella dinamica postmoderna, le patologie delle democrazie contemporanee attraggono vieppiù l’attenzione degli osservatori. È opinione generale che esse non ineriscano alla democrazia come tale, ma derivino dalla corruzione dei suoi principi. Gli osservatori più superficiali l’attribuiscono a fattori e fenomeni esterni (rituali le denunce del fondamentalismo, del populismo, del comunitarismo, della globalizzazione, ecc.), che riguardano solo evoluzione dei costumi e mutamenti sociali. Spesso, insomma, si scambia la causa per l’effetto, mentre gli osservatori più seri vanno oltre le osservazioni immediate e s’interrogano sull’evoluzione della democrazia, parlando allora di distacco più o meno netto fra ciò che la democrazia è e ciò che dovrebbe essere secondo i suoi principi fondatori.
Certuni parlano già di “post-democrazia”, non per dire che la democrazia è al termine, ma per suggerire che ha spontanemente adottato forme post-democratiche, da definire e classificare. Altri suggeriscono che siamo in una situazione paragonabile a quella di pochi anni prima della rivoluzione francese. I toni più comuni sono inquieti e disillusi. Per le democrazie europee la crisi attuale non è la prima. In materia Marcel Gauchet pubblica La révolution moderne e La crise du libéralisme, 1880-1914 (entrambi Gallimard), primi due - di quattro - volumi su L’avènement de la démocratie. La prima crisi della democrazia si profila in Francia dal 1880, s’afferma con lo «choc 1900», ma esplode solo dopo la Grande guerra, culminando negli anni Trenta. A quell’epoca - scrive Gauchet - «il regime parlamentare si rivela tanto ingannatore quanto impotente; minato dalla divisione del lavoro e dall’antagonismo fra classi, la società pare crollare; generalizzandosi, il cambiamento storico accelera, cresce, sfugge ai controlli». Si entra nell’era delle masse e la società è lacerata dalla lotta di classe. Inoltre cadono le solidarietà organiche e si svuotano le campagne. Conseguenza diretta di tale crisi è innanzitutto l’ascesa delle prime ideologie (pianismo, tecnocrazia) che vogliono dare il potere politico a «esperti», poi, e soprattutto, lo scatenarsi dei regimi totalitari, che tenteranno - come hanno dimostrato Louis Dumont e, in misura minore, Claude Lefort - di compensare gli effetti dissolventi dell’individualismo e la destrutturazione culturale della società con un olismo tanto artificioso quanto brutale, legato alla mobilitazione delle masse e all’instaurazione d’un regime da caserma nella società globale, su un fondo d’appelli a concetti prepolitici come la «comunità razziale». In realtà, per Gauchet, «tornano o tentano di tornare, in un linguaggio laico, alla società religiosa, alla sua coerenza e alla convergenza delle sue parti».
Da questo punto di vista, i totalitarismi del XX secolo sono incontestabilmente figli (illegittimi) del liberalismo. La fine della II guerra mondiale segna il grande ritorno della democrazia liberale. In un primo tempo, però, per evitare la ricaduta negli errori prebellici, la democrazia liberale si veste da Stato-Provvidenza. Nel contesto del fordismo trionfante, in realtà si forma un regime misto, che al classico Stato di diritto associa elementi d’essenza più democratica, ma dove la democrazia è vista innanzitutto come «democrazia sociale». Per Gauchet le caratteristiche di questa «sintesi liberal-democratica» sono: rivalutazione del potere esecutivo in seno al sistema rappresentativo, adozione - dove ancora mancavano - di assicurazioni sociali contro la malattia, la disoccupazione, la vecchiaia e l’indigenza, infine costituzione di un apparato che rimedi all’anarchia derivante dal libero sviluppo degli scambi sui mercati. Più o meno normalmente il sistema funzionò fino a metà degli anni Settanta. Dal 1975-80 nuove tendenze portano a una crisi diversa. Ideata come società d’assicurazioni e come organizzazione benefica, la democrazia sociale comincia ad ansimare e il liberalismo puro torna a prevalere. Privilegiata senza ritegno, la società civile diventa il motore di una nuova fase dell’organizzazione autonoma della vita sociale. È il grande ritorno del liberalismo economico, mentre a poco a poco il capitalismo si libera degli ostacoli, processo culminante nella globalizzazione seguita alla disgregazione del sistema sovietico. A lungo relegata nel ruolo simbolico e decorativo delle venerabili astrazioni d’epoca, l’ideologia dei diritti dell’uomo diventa la religione dei tempi nuovi e, insieme, la cultura dei buoni sentimenti, l’unica capace di realizzare il consenso sulle rovine delle ideologie precedenti.
Nello stesso tempo lo Stato-nazione si rivela sempre più impotente contro le sfide del momento, perdendo progressivamente tutti i «valori di maestà», mentre si assiste, ovunque, al massiccio rilancio del processo d’individualizzazione, che si traduce nella scomparsa, in pratica, dei grandi progetti collettivi fondatori d’un «noi». Mentre in passato «era questione solo di masse e classi, perché l’individuo era considerato per il suo gruppo, la società di massa è stata sovvertita dall’interno dall’individualismo di massa, che sottrae l’individuo al suo appartenere». È anche l’epoca della quasi scomparsa delle società rurali occidentali, rivoluzione silenziosa i cui effetti profondi saranno più o meno inavvertiti, e dalla generalizzazione delle società multietniche, nate dall’immigrazione di massa. Per capire quest’evoluzione va colta la distinzione fra democrazia antica e moderna. La prima, già insita nell’idea di un’autocostituzione delle comunità umane, può definirsi come la formazione politica dei mezzi dell’autonomia grazie alla partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica. La democrazia moderna è intrinseca alla modernità, ma solo attraverso un legame col liberalismo che tende a snaturarla. La causa profonda della crisi è l’alliage contronatura della democrazia col liberalismo, che Gauchet ha potuto presentare come «la dottrina stessa del mondo moderno». L’espressione «democrazia liberale» associa come complementari termini contraddittori. Oggi, rivelandosi del tutto, il liberalismo minaccia le basi della democrazia.
Giustamente Chantal Mouffe (The Democratic Paradox, Verso) osserva: «Da una parte c’è la tradizione liberale costituita dal regno della legge, dalla difesa dei diritti dell’uomo e dal rispetto della libertà individuale; dall’altra la tradizione democratica, con idee principali come eguaglianza, identità fra governo e governati, sovranità popolare. Fra queste due diverse tradizioni non c’è una relazione necessaria, ma solo un’articolazione storica contingente». Senza cogliere questa distinzione non si capisce la crisi attuale della democrazia, crisi di sistema di questa «articolazione storica contingente». Democrazia e liberalismo non sono sinonimi. Su punti importanti sono perfino concetti opposti. Ci possono essere democrazie non liberali (democrazie e basta) e liberali non democratici. Per Carl Schmitt, più una democrazia è liberale, meno è democratica.
Traduzione di Maurizio Cabona
www.ariannaeditrice.it
fonte:
Les Amis d’Alain de Benoist
«L'ecologia unisce e vince»
Anna Maria Merlo
ilmanifesto.it
PARIGI
Il successo della lista Europa ecologia alle elezioni europee in Francia, che manda a Strasburgo lo stesso numero di eurodeputati del Ps (14), sta trasformando il panorama politico. A partire dall'analisi del voto e delle ragioni del successo della lista ecologista, guidata da personalità che, a prima vista, sembravano lontane: Daniel Cohn-Bendit, Dany il rosso del lontano '68, da anni impegnato sul fronte europeo ed europeista, nel 2005 grande sostenitore del «sì» al referendum francese sul Trattato costituzionale; José Bové, leader contadino e altermondialista, che nel 2005 si era schierato per il «no» e nel '99 aveva manifestato a Seattle contro la Wto portando una forma di formaggio roquefort; Eva Joly, giudice anti-corruzione, che ha lavorato in Francia, ma anche in altri paesi. E poi tanti altri, provenienti da orizzonti diversi, da Jean-Paul Besset, vicino a Nicolas Hulot, tra i primi ad aver portato la sensibilità ecologica in tv, alla giovane Karima Delli, 28 anni, membro del collettivo Salviamo i ricchi, che organizza happening dal significato politico (l'ultimo è stato un'irruzione al Bristol, uno degli alberghi più chic di Parigi, muniti di pane e salame, per far vedere agli abbienti seduti ai tavoli di un ristorante carissimo che ci si può nutrire anche con pochi soldi).
Abbiamo chiesto a José Bové, neo-deputato a Strasburgo, di analizzare la situazione.
Come avete fatto a mettervi assieme, visto che altrove la divisione ha avuto la meglio e ha portato a risultati drammatici?
La prima idea importante per poter avanzare e trasformare l'avvenire è stato il rassemblement, il raggruppamento. Questa unità, che non era possibile alla sinistra della sinistra, è stata realizzata da noi perché c'era una visione globale sulla questione ecologica. La questione sociale, la sua mutazione in corso da un lato, e la questione ecologica dall'altro hanno la stessa importanza. Ma occuparsi del solo problema sociale, secondo me, non permette di arrivare a una risposta nuova. Invece le problematiche del cambiamento climatico, delle questioni ecologiche, della limitazione delle risorse e del loro saccheggio sistematico permettono di dar corpo a una dottrina comune. E dal momento che c'era un accordo complessivo sull'analisi, il fatto che le persone coinvolte provenissero da percorsi differenti non ha rappresentato un problema insormontabile. Ognuno di questi percorsi ha legittimità, ognuno segue il suo binario diverso: Daniel Cohn-Bendit, impegnato a lungo a Bruxelles, Eva Joly coinvolta come giudice nella lotta anti-corruzione, molto importante in Francia e a livello internazionale; io altermondialista che si batte contro gli organismi geneticamente modificati. Ognuno, al proprio livello, porta la sua specificità.
Europa Ecologia ha ottenuto un ottimo risultato, ma in Francia l'astensione ha sfiorato il 60% e a non essere andate a votare sono soprattutto le classi popolari. Come peserà tutto ciò sul futuro della vostra alleanza?
Le classi popolari si sono sentite finora escluse dall'Europa e, per di più, da sempre vengono maggiormente valorizzate le elezioni nazionali. Le istituzioni europee, per come funzionano oggi, non traducono la posta politica che è in gioco per molti. Tanta gente ha difficoltà a capire se, votando per questo o quel partito, qualcosa cambierà, verrà trasformato. C'è bisogno di fare informazione pedagogica sull'Europa, sul ruolo del parlamento europeo. Uno dei primi compiti sarà, infatti, trasformare la realtà istituzionale europea.
Chi ha votato per voi?
Quello che è chiaro è che abbiamo avuto il voto dei giovani. Siamo stati il primo partito votato da chi ha meno di 40 anni. Per quanto riguarda il voto popolare, l'astensione è stata forte perché riguarda gli esclusi i quali non capiscono che interesse hanno ad andare a votare. Su questo fronte vedremo le dinamiche future, in particolare quella che si manifesterà alle prossime elezioni locali in Francia, sempre tenendo presente che la questione sociale e quella ecologica hanno eguale importanza e sono legate.
Quali saranno le vostre prime mosse?
Intanto, vogliamo subito creare una coalizione anti-Barroso a Strasburgo, per evitare che l'attuale presidente della Commissione venga rieletto. Abbiamo poi un calendario molto fitto, da luglio all'autunno, per costruire un accordo con altre forze.
Daniel Cohn-Bendit, da parte sua, ha precisato di «credere in una forza politica moderna», che «deve declinarsi a livello europeo. La crisi della socialdemocrazia potremo risolverla solo formulando, contro le alternative nazionali, alternative europee. E' qui che ha fallito il Partito socialista». Secondo Cohn-Bendit «in Olanda, in Germania, in Francia sono stati penalizzati tutti coloro che dopo la crisi continuavano a dire le stesse cose che dicevano prima», conservando «lo stesso software. Credo sia questa la grande difficoltà della socialdemocrazia». BNP Con questa percentuale di voti il nazista British National Party è riuscito ad ottenere per la prima volta due seggi all'Europarlamento. Ora è in caccia di alleanze e soldi Ue.
mercoledì 10 giugno 2009
Il Tribunale internazionale della coscienza dei popoli per il sostegno alle vittime vietnamite dell’Agente Orange apre i suoi lavori.
Khai Hoan e Huy Thang - Corrispondenti in Francia del Nhan Dan - Traduzione dall'inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
Il tribunale è seguito con interesse da molte persone straniere che sostengono attivamente la lotta per la giustizia delle vittime vietnamite >L'Associazione internazionale dei giuristi democratici (International Association of Democratic Lawyers - IADL) il 15 maggio a Parigi ha indetto una sessione di lavoro di due giorni del Tribunale internazionale della coscienza dei popoli per il sostegno alle vittime vietnamite dell’Agente Orange. All’apertura dei lavori, il presidente del Tribunale, Jitendra Sharma, ha dichiarato: "La guerra chimica condotta dagli Stati Uniti contro il Vietnam attraverso l'uso dell’Agente Orange e di altre sostanze legate alla diossina dal 1961 al 1971 ha causato gravi, pesanti e prolungate conseguenze per l’ambiente, l’ecosistema e la salute del popolo del Vietnam". Da quel momento fino ad oggi nessun governo degli Stati Uniti ha riconosciuto le proprie responsabilità per le conseguenze dell'uso di queste sostanze chimiche. Gli Stati Uniti, nella causa legale intentata dall’Associazione delle vittime dell’Agente Orange del Vietnam (Vietnam Association for the Victims of Agent Orange - VAVA), hanno preso posizione contro l’assunzione di responsabilità da parte delle imprese che hanno prodotto l’Agente Orange. A nome della coscienza e dell’opinione pubblica internazionali, del Tribunale internazionale della coscienza dei popoli per il sostegno alle vittime vietnamite dell’Agente Orange, su iniziativa della Associazione internazionale dei giuristi democratici (IADL), verranno prese in considerazione e tratte le relative conclusioni in merito alle seguenti questioni: 1) I fatti dimostrano le conseguenze per l'ambiente e l'ecosistema del Vietnam e per la salute del popolo vietnamita prodotte dall'uso dell’Agente Orange da parte delle forze militari degli Stati Uniti dal 1961 al 1971. 2) La responsabilità delle amministrazioni degli Stati Uniti nel periodo 1961-1971 per aver condotto una guerra chimica in Vietnam sotto il Diritto internazionale consuetudinario. 3) La responsabilità degli Stati Uniti e delle imprese fornitrici per il riversamento dell’Agente Orange sul Vietnam, per il risanamento delle conseguenze ambientali e dell’ecosistema del Vietnam e per la salute del popolo vietnamita. A nome dell’Associazione delle vittime dell’Agente Orange/diossina del Vietnam (VAVA), il presidente Nguyen Van Rinh ha sottolineato che l'eredità della guerra degli Stati Uniti in Vietnam negli anni 1960-1970 ha causato enormi danni all’ecosistema ed esposto a sostanze tossiche più di 4,8 milioni di persone. Su un totale di circa 3 milioni di persone colpite, molti sono morti, molti altri sono sopravvissuti in agonia per causa di strane e gravi malattie e disabilità, molti bambini sono nati con orribili deformità. Dopo quasi 40 anni, tali effetti ancora non mostrano segni di regresso. Hanno invece mostrato segni ancor più devastanti e duraturi di quanto si potesse prevedere. Nel frattempo gli Stati Uniti, che direttamente hanno provocato questa tragedia, finora hanno cercato di sottrarsi alla loro responsabilità morale e giuridica. Di conseguenza, le vittime vietnamite hanno deciso di intentare causa al Tribunale Distrettuale degli Stati Uniti di Brooklyn, New York, il 30 gennaio 2004. Le vittime hanno trascorso cinque anni perseguendo la causa nei tribunali statunitensi, ma questa è stata rigettata in tutti e tre i gradi di giudizio dei tribunali federali, nonostante che il governo degli Stati Uniti avesse speso miliardi di dollari per risarcire i propri soldati veterani rimasti vittime dell’Agente Orange usato durante la guerra chimica in Vietnam. I tribunali statunitensi hanno respinto le istanze delle vittime vietnamite per il solo motivo che l’Agente Orange/diossina poteva essere qualificato soltanto come erbicida, in ogni caso non come sostanza tossica e che le sue conseguenze dannose sono state involontarie. Questa affermazione assurda da parte dei giudici statunitensi deve essere studiata e presentata all'opinione pubblica mondiale. Il signor Rinh ha sottolineato che: "Il dolore sofferto dalle vittime vietnamite è il dolore di tutta l'umanità. La loro lotta per la giustizia non è solo nel loro interesse, ma anche in quello delle altre vittime negli Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda, Corea del Sud e Canada; non solo per le vittime dell’Agente Orange/diossina, ma anche per le vittime di tutte le altre armi crudeli o di distruzione di massa; non solo per l’attuale generazione, ma anche per le generazioni future. Le vittime vietnamiti dell’Agente Orange sono quotidianamente private dei loro sacri diritti fondamentali di giustizia e dei diritti umani, cioè il diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità". Egli ha colto l'occasione per invitare tutte le persone amanti della pace e della giustizia di tutto il mondo a volgere i loro pensieri a questo Tribunale e marciare, fianco a fianco, con tutti i partecipanti a questa assise, per dare un seguito alla comune ricerca di giustizia. Successivamente, i presenti si sono commossi nell’ascoltare le storie di tre vittime vietnamite sulle loro sofferenze causate dall’Agente Orange. Pham The Minh, nato il 16 dicembre 1975, della città di Haiphong nel distretto di Duong, ha raccontato di come i suoi genitori sono stati contaminati dalle sostanze chimiche dell’Agente Orange quando erano in servizio nel campo di battaglia della provincia di Quang Tri, a sud della zona demilitarizzata (DMZ) dove questa sostanza è stata versata nella maniera più intensiva. "Sia io che mia sorella più giovane siamo nati dopo la guerra. Sono venuto al mondo con deformazioni congenite agli arti inferiori e in pessime condizioni di salute. Mia sorella esteriormente appare normale ma è nata prematuramente, molti mesi prima della data prevista, con patologie cardiache e polmonari congenite. La mia esposizione alla diossina, causa delle mie deformità, è in realtà nota attraverso le storie raccontate dai miei genitori sulla loro esposizione diretta all’Agente Orange e a seguito dei controlli medici ospedalieri nel corso del trattamento delle mie diverse malattie. Il caso della mia famiglia è stato riconosciuto ed è stato anche corrisposto un sostegno economico mensile da parte del governo vietnamita. A causa dell’esposizione all’Agente Orange, mia sorella, mia madre, mio padre, tutti noi, non siamo stati in grado di vivere normalmente come le altre persone. Non siamo in grado di lavorare a lungo e dobbiamo spendere molto denaro per la costante cura delle malattie. Mio padre è in questo modo deceduto nel 2005. Non posso in un così breve tempo descrivere tutte le sofferenze che la mia famiglia ed io dobbiamo patire, né le tragiche pene delle altre vittime dell’Agente Orange/diossina in Vietnam". Il signor Ho Ngoc Chu, nato nel 1937 e che ora vive nella città di Quang Ngai, si unì alle forze rivoluzionarie del Vietnam del Sud, attive nelle vaste aree della regione montuosa delle province di Quang Ngai e Quang Nam in cui gli americani usarono in modo regolare ed intensivo queste sostanze tossiche. Egli ricorda che: "Quando gli aerei americani arrivavano per spargere le sostanze chimiche, come le altre persone, avevo sentito dire che erano semplicemente erbicidi. Non avevo sufficienti conoscenze scientifiche per sapere che erano tossiche per gli esseri umani. Anche avendo saputo della loro tossicità non sarebbe stato comunque possibile per me e per tutti gli altri sfuggire alla contaminazione perché dovevamo combattere e coltivare i prodotti alimentari, come patate dolci, mais, riso, verdure e ogni tipo di commestibile solo per la nostra mera sopravvivenza. Abbiamo dovuto bere l'acqua presa da ruscelli o dai crateri causati dalle bombe. Mi ricordo di essere stato oggetto di almeno 4 o 5 irrorazioni dirette. La maggior parte delle volte ero in tenda, ma una volta, quando ero di ritorno dalla raccolta del riso, arrivarono gli aerei e sparsero queste sostanze. Tutto il mio corpo era completamente impregnato di sostanze chimiche. Anche il sacco del riso che avevo con me era inzuppato. Potevo osservare che di solito, un paio di giorni dopo essere stati irrorati, piante rigogliose come la casava, la papaja, il jack-tree... morivano subito. Questi grandi alberi nella giungla presto defoliavano. Anche la casava, nostro alimento abituale, era stata uccisa. Più tardi abbiamo saputo che questo era dovuto alle sostanze chimiche dell’Agente Orange, ma eravamo costretti a mangiare le sue radici e a bere l'acqua contaminata dei ruscelli. Ho presto accusato vari disturbi. I miei occhi erano deboli, i miei denti sono caduti in anticipo rispetto alla norma, avvertivo i sintomi di problemi interni legati alla prostata, all’intestino e all’attività vestibolare, problemi legati alla pelle, in particolare su schiena e gambe con eruzioni cutanee irritanti, acne e pustole, le ossa della colonna vertebrale e delle gambe iniziarono a degenerare quando avevo 35 anni. Sono stato sottoposto a trattamento medico ad Hanoi e Ho Chi Minh City, ma senza risultati efficaci. In aggiunta a questi problemi, anche il mio unico figlio è vittima dell’Agente Orange. Il mio matrimonio si è celebrato nel marzo 1977 e a metà novembre è nato prematuro ed estremamente debole tanto da dover essere curato nell’incubatrice per diverse volte. Era in grado di fare pochi passi e di pronunciare poche parole fino all’età di 4 anni. E’ cresciuto in modo anormale. Il suo apprendimento è stato molto lento ed i medici hanno detto che soffriva di deficit mentale. Inoltre, a volte veniva colpito da gravi convulsioni. Ora ha 37 anni, ma ancora non è autosufficiente. In un primo momento, non sapevamo cosa non funzionasse in lui. Lo portammo in ospedale più volte e visto che mia moglie aveva avuto aborti i medici conclusero che ero stato contaminato dall’Agente Orange e questo è anche il motivo della malattia di mio figlio. Nel mio paese si possono riscontrare anche peggiori disfunzioni e vedere le immagini di bambini deformi a causa dell’esposizione all’Agente Orange". Quindi, il signor Mai Giang Vu, nato nel 1937, ha detto che i suoi due figli nati nel 1974 e nel 1975 erano sani e avevano frequentato normalmente le scuole. Ma nel 1980, il maggiore ha cominciato a mostrare sintomi insoliti. In seguito entrambi, uno di seguito all’altro, raggiunti i 10 anni, hanno cominciato a mostrare gli stessi segni. In un primo momento non erano più in grado di camminare e di fare le cose come al solito, dopo di che hanno dovuto abbandonare la scuola e i loro arti si sono avvizziti e arricciati gradualmente. Infine, tutti e due sono stati costretti a camminare a carponi e poi a rimanere a letto fino a 18 anni. I suoi figli sono morti a 23 e 25 anni. Per un lungo periodo di tempo, ha ignorato il motivo alla base di questo disastro fino a quando i medici effettuarono dei controlli. Egli fatto presente ai presenti al dibattimento che in Vietnam ci sono state tante famiglie che hanno patito una simile tragedia e che necessitano di tanto aiuto da ogni parte possibile. Le vittime vietnamite hanno levato la loro voce chiedendo che il governo degli Stati Uniti e le imprese del settore chimico riconoscano la loro responsabilità nel contribuire, insieme con il Vietnam, a prestare aiuto per il trattamento delle persone intossicate, al risanamento delle aree contaminate, avendo cura dei casi gravi e fornendo mezzi di trasporto e altre necessità di base. Più tardi, testimoni dagli Stati Uniti, Repubblica di Corea e Francia hanno riferito di quanto hanno dovuto soffrire per le terribili conseguenze dell’Agente Orange e mostrato le immagini delle vittime in Vietnam. Hanno affermato che tutte le terribili conseguenze dell’Agente Orange potrebbero essere misurate soltanto dai testimoni diretti di quel dolore. Il Tribunale internazionale della coscienza dei popoli in sostegno delle vittime vietnamite dell’Agente Orange opera su iniziativa della Associazione internazionale dei giuristi democratici (IADL), a nome dell' opinione pubblica e della coscienza internazionali. Questo tribunale procurerà una documentazione a tutti coloro che sostengono questa causa per promuoverla nei loro paesi e in tutto il mondo. Originale: http://www.nhandan.com.vn/english/news/160509/domestic_i.htm |
martedì 9 giugno 2009
Nucleare, Tesoro boccia il ddl "Manca copertura finanziaria"
Allo stato attuale, l'intero provvedimento sul nucleare è "in contrasto con l'articolo 81 della Costituzione". Ricadute anche per i consumatori. Bocciata anche la rottamazione delle auto
Per il Tesoro - si legge nella lettera indirizzata alla commissione Bilancio della Camera - le misure potrebbero determinare "incrementi delle tariffe a carico dei consumatori risultando pregiudizievoli a carico degli utenti finali".
La lista dei rilievi del ministero dell'economia è articolata. Sono tre le norme del provvedimento (collegato alla finanziaria e in terza lettura alla camera) imputate di possibili ricadute negative sui consumatori. Il comma 3 dell'articolo 26 sul nucleare, che prevede di reperire 100 milioni dalla componente tariffaria a2 sul prezzo dell'energia elettrica, secondo via xx settembre è "in contrasto con l'orientamento del governo in tema di contenimento delle tariffe, in funzione anticrisi" e determina "oneri privi di adeguata copertura finanziaria". Anche l'articolo 32, comma 6, prevedendo una possibile trasposizione di costi di terna sui clienti energivori, prefigura "un aumento di costi delle bollette" sul quale il ministero "esprime la propria contrarietà soprattutto alla luce dell'attuale contesto economico-finanziario". "Non è in linea con l'attuale orientamento governativo" nemmeno il comma 4 dell'articolo 36 comma che autorizza lo sviluppo economico a utilizzare consulenti esterni.
Quanto alla 'tenuta dei conti', si inizia dall'articolo 1 sulle reti d'imprese: si contesta la titolarità al solo ministero dello sviluppo economico e non anche a via XX settembre dell'autorizzazione per le misure su ricerca e sviluppo già stabilite per i distretti. Sempre per motivi di onerosità si chiede la soppressione degli articoli 4 (attuazione di un regolamento Ue sull'accreditamento e vigilanza del mercato per la commercializzazione dei prodotti), 5 (delega per il riassetto normativo delle prescrizioni e degli adempimenti procedurali per le imprese), 31 (semplificazione di procedure) e 56 (contributi all'editoria coperti dall'incremento della robin tax). In particolare, l'articolo 31, alleggerendo la certificazione energetica degli edifici, può avere "effetti elusivi", e l'articolo 56, incrementando l'aliquota della Robin tax, ha "copertura del tutto inadeguata, in quanto altera equilibri di operatori nei cui confronti le aliquote in esame non possono essere eccessivamente aggressive, posto che si producono effetti contrari".
Bocciata anche la modifica alla rottamazione delle auto: estendere l'agevolazione prevista per il gpl "determina maggiori oneri" e allargare "la platea dei destinatari in modo talmente eccessivo rischia di vanificare del tutto l'efficacia di una disposizione diretta ad assicurare il rilancio dell'economia nazionale del settore automobilistico riducendone la portata positiva finora conseguita".
(9 giugno 2009)
Link: http://www.repubblica.it/2
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