giovedì 19 aprile 2012

Capitalismo: una storia di fantasmi




Arundhati Roy 
Tradotto da  Curzio Bettio




Rockefeller per Mandela, Vedanta per Anna Hazare .... Per quanto tempo i Cardinali del vangelo delle multinazionali e della finanza faranno proprie le nostre proteste?

Le Organizzazioni Non Governative, finanziate dalle corporation o dalle fondazioni, sono gli strumenti della finanza globale per impadronirsi dei movimenti di resistenza, per tentare di controllarli dall’interno, esattamente come quegli azionisti che si accaparrano le quote di maggioranza alla partecipazione delle società. Si insediano come punti nodali sul sistema nervoso centrale, sui percorsi lungo i quali scorre la finanza globale.

Che cos’è questo, una dimora o un contenitore? Un tempio alla nuova India, o un deposito per i suoi fantasmi? Da quando è arrivato “Antilla” sulla Altamont Road a Mumbai, trasudando mistero e una nascosta minaccia, le cose non sono state più le stesse. “Eccoci arrivati”, l’amico che mi ha portato qui mi ha detto: “rendiamo omaggio al nostro nuovo Sovrano”.

“Antilla” appartiene all’uomo più ricco dell’India, Mukesh Ambani. Avevo già letto di questo residence, il più costoso mai costruito, di ventisette piani, tre piazzole di eliporto, nove ascensori, giardini pensili, sale da ballo, stanze climatizzate, palestre, sei piani di parcheggio, e seicento persone di servizio. Non ero preparata per vedere il prato in verticale, un tappeto erboso che si impenna per 27 piani vincolato ad una larga griglia metallica. L’erba era in parte secca; ne erano caduti dei netti rettangoli. Chiaramente, il Trickledown non aveva funzionato. (1)

 
Ma sicuramente era stato applicato il Gush-Up (l’irrorazione dal basso verso l’alto, N.d.T).
Ecco perché in una nazione di 1,2 miliardi di individui, in India, le 100 persone più ricche possiedono patrimoni pari a un quarto del PIL.
Girano, o almeno giravano voci (anche sul New York Times), che dopo tutto questo impegno e… il giardinaggio, gli Ambani non vivono in Antilla. Nessuno lo sa per certo. La gente ancora sussurra di “fantasmi e di sfortuna”, di Vaastu e Feng Shui. (2)
Forse è tutta colpa di Karl Marx. (è lui che lancia la maledizione!).
“Il capitalismo”, ha ribadito Marx, “ha evocato mezzi di produzione e di scambio talmente giganteschi, come un mago che non è più in grado di controllare le potenze degli inferi, che lui stesso ha fatto comparire con i suoi incantesimi!”.
In India, i 300 milioni di noi che appartengono alla nuova classe media, post-“riforme” del Fondo Monetario Internazionale, del “mercato”, vivono fianco a fianco con gli spiriti infernali, con le presenze occulte dei fiumi morti, dei pozzi asciutti, delle montagne nude di alberi e delle foreste defogliate; con i fantasmi di 250.000 contadini oppressi dai debiti che si sono suicidati, e degli 800 milioni che sono stati impoveriti ed espropriati, a tutto nostro vantaggio. E che sopravvivono con meno di venti rupie al giorno!
Mukesh Ambani ha un patrimonio personale di 20 miliardi di dollari. Detiene una quota di maggioranza che controlla la Reliance Industries Limited (RIL), una compagnia con una capitalizzazione in borsa di 47 miliardi dollari e con interessi di impresa nel mondo e nelle Zone Economiche Speciali, che includono prodotti petrolchimici, petrolio, gas naturale, fibre poliestere,
la vendita al dettaglio di cibo fresco, scuole superiori, ricerca nel campo delle scienze della vita e servizi di conservazione delle cellule staminali.
RIL recentemente ha acquistato il 95 per cento delle quote azionarie di Infotel, un consorzio televisivo che controlla 27 canali di informazione e di intrattenimento, tra cui CNN-IBN, IBN Live, CNBC, IBN Lokmat ed ETV, in quasi ogni idioma regionale. Infotel possiede l’unica licenza a livello nazionale per la banda larga 4G, un “canale di informazione” ad alta velocità che, se la tecnologia funziona, potrebbe rappresentare il futuro nello scambio di informazioni.
Mr. Ambani possiede perfino una squadra di cricket.
RIL fa parte di quel ristretto gruppo di corporation che operano in India. Alcune di queste sono Tata, Jindal, Vedanta, Mittal e Infosys, Essar e l’altra Reliance (ADAG), di proprietà di Anil Ambani, fratello di Mukesh. La loro corsa per la crescita si è estesa in tutta Europa, in Asia centrale, Africa e America Latina. Le loro attività imprenditoriali si sono ampiamente allargate, sono visibili e invisibili, alla luce del sole e sotterranee.
La Tata, per esempio, gestisce  più di 100 imprese in 80 paesi. Si tratta di una delle compagnie private indiane più grandi e di vecchia data nel settore dell’energia. Possiede miniere, campi di gas naturale, impianti siderurgici, imprese di telefonia, reti televisive via cavo e a banda larga, e amministra interi settori cittadini. Produce auto e camion, possiede la catena alberghiera Taj, la Jaguar, Land Rover, Daewoo, Tetley Tea, una casa editrice, una catena di librerie, un grande marchio di sale iodato e il gigante dei cosmetici Lakme.
Il loro slogan pubblicitario potrebbe sicuramente essere: “Non si può vivere senza di noi!”
Secondo le regole del Vangelo “Gush-Up” (gli strati bassi della società devono essere sfruttati a favore dei pochi appartenenti alle classi più elevate, N.d.T): “Più hai, più si può avere.”
L’era della “Privatizzazione di Ogni Cosa” ha reso l’economia indiana una delle economie più in rapida crescita al mondo.
Tuttavia, come ogni colonia di buona vecchia memoria, i principali prodotti di esportazione dell’India sono i suoi minerali.
Le nuove mega-società indiane - Tata, Jindal, Essar, Reliance, Sterlite - sono quelle che sono riuscite a conquistare a forza la sorgente del rubinetto che sta vomitando soldi estratti dalle profondità della terra. Per gli uomini d’affari, essere in grado di vendere ciò che non c’è bisogno di comprare, è un sogno che diventa realtà.
L’altra fonte principale della ricchezza delle corporation deriva dalle loro banche fondiarie.
In tutto il mondo, governi locali, deboli, corrotti hanno aiutato gli agenti di Wall Street, le multinazionali del settore agro-industriale e i miliardari cinesi ad accumulare enormi distese di terra.(Naturalmente, questo comporta la requisizione forzata di tanta acqua.)
In India, la terra di milioni di persone è stata acquisita e ceduta a società private per “interesse pubblico”, per le Zone Economiche Speciali, per progetti di infrastrutture, dighe, autostrade, per fabbriche di auto, per l’industria chimica e per piste di Formula Uno.(La santità della proprietà privata non si applica mai ai poveri!)
Come sempre, alle popolazioni locali veniva promesso che lo spostamento dalle loro terre, e l’espropriazione di tutto ciò che avevano, in realtà era parte della creazione di occupazione.
Ma ormai sappiamo che il collegamento tra crescita del PIL e occupazione è un mito.
Dopo 20 anni di “crescita”, in India il 60 per cento della forza lavoro è costituita da lavoratori autonomi, il 90 per cento lavora nei settori non organizzati, privo di rappresentanza sindacale.
Dal periodo post-Indipendenza, fino agli anni ‘80, movimenti popolari, che vanno dai Naxaliti al Sampoorna Kranti (Rivoluzione Totale) di Jayaprakash Narayan, hanno lottato per le riforme fondiarie, per la redistribuzione delle terre dai latifondisti feudali ai contadini senza terra. (3)
Oggi, qualsiasi discorso di redistribuzione delle terre o della ricchezza potrebbe essere considerato non solo antidemocratico, ma frutto di pazzia. Anche i movimenti più militanti sono stati ridotti a lottare per conservare quella poca terra che le persone ancora detengono. Milioni di persone senza terra, la maggior parte di questi Dalit (paria, oppressi) e Adivasi (indigeni tribali), cacciati dai loro villaggi, che vivono in slum e in baraccopoli nelle piccole città e nelle megalopoli, non figurano nemmeno nel discorso radicale.
Come il “Gush-Up” concentra la ricchezza sulla capocchia di uno spillo splendente su cui piroettano i nostri miliardari, onde di una marea di denaro si abbattono sulle istituzioni della democrazia, sui tribunali, sul Parlamento, così pure sui media, compromettendo gravemente la capacità di funzionare di questi organismi nei modi cui sono destinati.
Più schiamazzante risulta il carnevale intorno alle elezioni, meno sicuri siamo che la democrazia esista davvero. In India, ogni nuovo scandalo di corruzione che emerge fa sembrare l’ultimo del tutto banale.
Nell’estate del 2011, è scoppiato lo scandalo “2G spectrum”. (4)
Abbiamo appreso che le compagnie hanno fatto sparire 40 miliardi di dollari di denaro pubblico, insediando al potere un’anima amichevole come il ministro delle telecomunicazioni che ha grossolanamente sottovalutato le licenze per lo “2G telecom spectrum” e illegalmente le ha spartite  fra i suoi amici del cuore. Le conversazioni telefoniche registrate, fatte trapelare alla stampa, hanno rivelato come una rete di industriali, e loro società di copertura, ministri, autorevoli giornalisti ed una rete TV sono stati coinvolti nell’agevolare questa rapina alla luce del sole. I nastri con le registrazioni sono stati solo la risonanza magnetica che ha confermato una diagnosi che la gente aveva realizzato da molto tempo.
La privatizzazione e la vendita illegale delle frequenze per telecomunicazioni non prevedono la guerra, lo spostamento di popolazioni e la devastazione ecologica. È la privatizzazione delle montagne, dei fiumi e delle foreste a comportare tutto questo.
Forse perché non ha la chiarezza priva di complicazioni di un semplice e perfetto scandalo finanziario, o forse perché tutto viene fatto in nome del “progresso” dell’India, queste privatizzazioni ambientali non hanno la stessa risonanza presso le classi medie.
Nel 2005, i governi statali di Chhattisgarh, Orissa e Jharkhand hanno firmato centinaia di protocolli d’intesa (Memorandum of Understanding - MoU) con un numero di compagnie private per un giro di affari di trilioni di dollari di bauxite, minerale di ferro e altri minerali, in cambio di elemosine, di un nonnulla, sfidando perfino la logica corrotta del libero mercato. (I canoni di concessione governativi variavano tra lo 0,5 e il 7 per cento.)
Pochi giorni dopo che il governo di Chhattisgarh aveva firmato un protocollo d’intesa con Tata Steel per la costruzione di un impianto siderurgico integrato a Bastar, veniva assunta una milizia di vigilanti, il Salwa Judum. (5)
Il governo dichiarava che la milizia era il risultato di un moto spontaneo di rivolta della popolazione locale che era stufa della “repressione” da parte dei guerriglieri maoisti nella foresta.
Si è scoperto essere invece una operazione di “pulizia del territorio”, finanziata e armata dal governo e sovvenzionata dalle società minerarie. Negli altri Stati, sono state create milizie simili, con altri nomi.
Il primo ministro ha annunciato che i Maoisti costituivano la “più grande sfida alla sicurezza in India”. Era una dichiarazione di guerra.
Il 2 gennaio 2006, in Kalinganagar, nel vicino stato di Orissa, forse per lanciare un segnale sulla serietà delle intenzioni del governo, dieci plotoni di polizia sono arrivati sul luogo di un altro impianto Tata Steel e hanno aperto il fuoco sui contadini che si erano radunati lì per protestare contro quello che reputavano essere una compensazione inadeguata per la loro terra. Tredici persone, tra cui un poliziotto, sono stati uccise e 37 ferite. Sei anni sono passati, e anche se i villaggi restano sotto assedio da parte di poliziotti armati, la protesta non è morta.
Nel frattempo, nel Chhattisgarh, il Salwa Judum bruciava, violentava e uccideva, scorazzando attraverso centinaia di villaggi della foresta, sgomberando 600 villaggi, costringendo 50.000 persone a venire rinchiuse nei campi di polizia e 350.000 persone a fuggire.
Il primo ministro dichiarava ufficialmente che coloro che non uscivano dalle foreste sarebbero stati considerati come “terroristi maoisti”. In questo modo, in alcune parti dell’India moderna, arare i campi e spargere sementi sono azioni definite alla stregua di attività terroristiche.
Alla fine, le atrocità del Salwa Judum sono solo riuscite a rafforzare la resistenza e ad ingrossare le fila dell’esercito della guerriglia maoista.
Nel 2009, il governo annunciava quella che definiva Operazione “Green Hunt – Caccia nel verde”. Sono state dispiegate due formazioni paramilitari di 100.000 uomini negli Stati di Chhattisgarh, Orissa, Jharkhand e nel Bengala occidentale.
Dopo tre anni di “conflitto a bassa intensità” in cui non è riuscito a “ripulire” la foresta dai ribelli, il governo centrale ha dichiarato che verrà impiegato l’esercito indiano e l’aviazione.
In India, questo non viene denominato: “guerra”. Questo conflitto viene così definito: “la creazione di un clima favorevole agli investimenti”.
Migliaia di soldati sono già entrati in azione. Sono già stati messi a disposizione comandi di brigata e basi aeree. Uno dei più grandi eserciti del mondo sta preparando le condizioni di ingaggio per “difendersi” contro la gente più povera, affamata, più malnutrita al mondo.
Ci dobbiamo solo attendere la promulgazione dell’Atto sui Poteri Speciali alle Forze Armate (AFSPA), che assegnerà all’esercito l’immunità legale e il diritto di uccidere per solo “sospetto”. Passare vicino alle decine di migliaia di tombe senza nome e alle pire di cremazione di corpi anonimi nel Kashmir, Manipur e Nagaland, dimostra che questo è un esercito in effetti molto poco raccomandabile.
Mentre sono in corso i preparativi per il dispiegamento delle forze, le giungle dell’India centrale continuano a rimanere sotto assedio, con gli abitanti dei villaggi terrorizzati  ad uscire, o ad andare al mercato per acquistare cibo o medicine.
Centinaia di persone sono state incarcerate, accusate di essere maoiste, secondo leggi draconiane, antidemocratiche. Le prigioni sono affollate di Adivasi, indigeni tribali, molti dei quali non hanno idea di quale sia il loro crimine.
Recentemente, Soni Sori, una maestra di scuola per Adivasi di Bastar, è stata arrestata e torturata mentre si trovava in custodia della polizia. Sono state introdotte pietre nella sua vagina per farle “confessare” di essere un corriere maoista. Le pietre sono state rimosse dal suo corpo in un ospedale di Calcutta, dove, dopo una protesta pubblica, era stata ricoverata per un controllo medico. In una recente udienza della Corte Suprema, gli attivisti hanno presentato ai giudici le pietre in un sacchetto di plastica. L’unico risultato dei loro sforzi è stato che Soni Sori rimane in carcere, mentre ad Ankit Garg, il sovrintendente di polizia che ha condotto l’interrogatorio, nel giorno della Festa della Repubblica è stata conferita la Medaglia presidenziale della polizia per atti di coraggio.
Sentiamo parlare di ricostruzione e di riprogettazione ecologica e sociale dell’India centrale solo a causa delle insurrezioni di massa e della guerra. Il governo non emette alcuna informazione. I protocolli d’intesa sono tutti segreti. Alcune sezioni dei media hanno fatto tutto il possibile per portare l’attenzione pubblica su quanto sta accadendo nell’India centrale. Tuttavia, la maggior parte dei mass media indiani sono resi vulnerabili dal fatto che la quota maggiore dei loro ricavi proviene dalla pubblicità delle grandi compagnie.
Se questo non è già abbastanza grave, ora la commistione tra i media e le grandi società affaristiche ha iniziato a creare pericolosa confusione ed offuscamenti. Come abbiamo visto, la Reliance Industries Limited (RIL) possiede effettivamente 27 canali televisivi. Ma è vero anche il contrario. Alcune compagnie di mezzi di comunicazione hanno direttamente affari e interessi nelle società affaristiche.
Per esempio, uno dei principali quotidiani della regione, il “Dainik Bhaskar” (ed è solo un esempio), ha 17,5 milioni di lettori in quattro lingue, tra cui inglese e hindi, in 13 Stati. Questo giornale possiede anche 69 compagnie con interessi nel settore minerario, nella produzione di energia, nel settore immobiliare e tessile.
Una recente istanza depositata presso l’Alta Corte del Chhattisgarh accusa la Dainik Bhaskar DB Power Ltd (una delle società del gruppo) di assumere “deliberatamente ed illegalmente posizioni manipolative” attraverso giornali di proprietà della società, per  influenzare l’esito di un dibattito pubblico su una miniera a cielo aperto di carbone per ghisa.
Che la DB abbia o meno cercato di influenzare il risultato dell’udienza non è questione pertinente. Il punto è che le società dei media sono in grado di farlo. Hanno il potere di farlo. Le leggi del paese consentono loro di essere in una posizione che attribuisce loro un serio conflitto di interessi.
Ci sono altre parti del paese da cui non provengono notizie. Nello Stato nord-orientale dell’Arunachal Pradesh, scarsamente popolato ma militarizzato, sono in costruzione 168 grandi dighe, molte delle quali di proprietà privata. Dighe alte che sommergeranno interi distretti stanno per essere costruite nel Manipur e nel Kashmir, entrambi Stati altamente militarizzati, in cui le persone possono venire uccise solo per protestare contro le riduzioni e i tagli della corrente elettrica. (Questo è accaduto poche settimane fa nel Kashmir.) Allora, come possono queste persone bloccare la costruzione di una diga?
Il progetto di diga più delirante di tutti è a Kalpasar in Gujarat. Viene concepito per una diga di 34 km attraverso il Golfo di Khambhat con un’autostrada a 10 corsie e una linea ferroviaria che corrono su di essa. Mantenendo l’acqua di mare all’esterno, l’idea è di creare un serbatoio d’acqua dolce dei fiumi del Gujarat. (Non importa che questi fiumi siano stati già ridotti a fiumiciattoli e avvelenati con le sostanze chimiche degli effluenti.)
La diga di Kalpasar, che andrebbe a sollevare il livello del mare e ad alterare il sistema ecologico di centinaia di chilometri di costa, era stata liquidata come una cattiva idea già 10 anni fa. D’improvviso è ricomparsa, al fine di approvvigionare d’acqua la Regione per gli Investimenti Speciali (SIR) Dholera, in una delle zone a maggior sofferenza per stress idrico non solo in India, ma nel mondo.
SIR è un altro nome per indicare una SEZ, una Zona Economica Speciale, una distopia di imprese a governo autonomo, di “parchi, aree e megalopoli industriali”.
La SIR Dholera sta per essere collegata alle altre città del Gujarat da una rete di autostrade a 10 corsie. Da dove arriveranno i soldi per tutto questo?
Nel gennaio 2011, nel Mahatma (Gandhi) Mandir (santuario), il primo ministro del Gujarat Narendra Modi ha presieduto una riunione di 10.000 uomini d’affari internazionali, provenienti da 100 paesi. Secondo i media, costoro si sono impegnati ad investire 450 miliardi di dollari in Gujarat.
L’incontro era stato programmato per l’inizio dell’anno, 10 ° anniversario del massacro di 2.000 musulmani avvenuto nel febbraio-marzo 2002.
Modi è sotto accusa non solo per condonare, ma per avere attivamente favorito il massacro. Persone che hanno visto i loro cari violentati, eviscerati e bruciati vivi, le decine di migliaia di persone che sono state cacciate dalle loro case, ancora attendono un atto di giustizia. Ma Modi ha scambiato la sua sciarpa di seta zafferano e il segno vermiglio sulla fronte con un elegante completo da uomo d’affari, e spera che un investimento di 450 miliardi di dollari funzionerà come il prezzo del sangue, e farà quadrare i bilanci. Forse lo farà. Il “Grande Capitale” lo sta sostenendo con entusiasmo. L’algebra della giustizia infinita opera secondo sentieri misteriosi.
La SIR Dholera è solo una delle più piccole bambole “matryoshka”, una interno all’altra, nella distopia che è stata progettata. Sarà collegata al Corridoio Industriale Delhi-Mumbai (DMIC), un corridoio industriale di 1.500 km di lunghezza e largo 300 km, con nove zone mega-industriali, una linea ad alta velocità per il trasporto delle merci, tre porti marittimi e sei aeroporti, una superstrada a sei corsie priva di incroci, e una centrale elettrica da 4.000 megawatt.
Il Corridoio DMIC è frutto di una collaborazione tra i governi di India e Giappone, e fra i loro rispettivi partners d’impresa, ed è stato proposto dal McKinsey Global Institute.
Il sito web del DMIC afferma che circa 180 milioni di persone saranno “interessati” dal progetto. Esattamente come, non lo dice. Esso prevede la costruzione di numerose nuove città e valuta che la popolazione nella regione crescerà dagli attuali 231 milioni a 314 milioni, entro il 2019. Questo, nel giro di sette anni!
Quando è stata l’ultima volta che uno Stato, un despota o un dittatore hanno messo in atto un trasferimento di popolazioni di milioni di persone? Questo può forse avvenire con un processo pacifico?
L’esercito indiano potrebbe aver bisogno di innescare una campagna di reclutamento, in modo da non essere preso alla sprovvista quando gli verrà ordinato di dispiegarsi su tutta l’India.
In preparazione del suo impiego nell’India centrale, l’esercito ha fatto conoscere pubblicamente la sua dottrina aggiornata sulle Operazioni Psicologiche Militari, che delinea “un processo pianificato di trasmissione di un messaggio ad un auditorio target selezionato, per promuovere temi particolari che si traducano in atteggiamenti e comportamenti desiderati, che incidano sul raggiungimento di obiettivi politici e militari del Paese”. Questo processo di “gestione della percezione” verrebbe condotto “con l’ausilio dei media a disposizione dei servizi”.
L’esercito ha sufficiente esperienza per sapere che la forza coercitiva da sola non può realizzare o gestire un’ingegneria sociale delle dimensioni previste dai pianificatori dell’India. La guerra contro i poveri è una cosa. Ma per il resto di noi tutti, il ceto medio, i colletti bianchi, gli intellettuali, gli “opinion-maker”, c’è bisogno della “gestione della percezione”!
E per questo dobbiamo rivolgere la nostra attenzione alle arti mirabili della Filantropia d’Impresa.
Di recente, le principali compagnie minerarie consociate hanno abbracciato la Arts-film, installazioni artistiche, e le febbrili attività dei festival letterari che hanno sostituito l’ossessione per i concorsi di bellezza degli anni ’90.
La compagnia Vedanta, che attualmente sta scavando per estrarre bauxite nel centro dei territori dell’antica tribù Dongria Kondh, sta sponsorizzando un concorso cinematografico “Creare Felicità” per i giovani studenti registi, ai quali è stato commissionato un film sullo sviluppo sostenibile. L’agenda della Vedanta porta il titolo “Estrarre Felicità”!
Il Gruppo Jindal pubblica una rivista di arte contemporanea e supporta alcuni degli artisti più importanti dell’India (che naturalmente lavorano con l’acciaio inox!).
La Essar (compagnia siderurgica indiana, N.d.T.) è stata lo sponsor principale della manifestazione “Newsweek Tehelka Think Fest” che prometteva discussioni esplosive, “dibattiti ad alto numero di ottano”, da parte dei pensatori più importanti di tutto il mondo, fra cui autorevoli scrittori, attivisti e persino l’architetto Frank Gehry. (Tutto questo a Goa, dove attivisti e giornalisti stavano scoprendo enormi scandali su estrazioni minerarie illegali, e quando stava emergendo il ruolo della Essar nella guerra in atto in Bastar).
Le società Tata Steel e Rio Tinto (che ha una sua personale sordida storia) sono state tra i principali sponsor del Festival Letterario di Jaipur (il Darshan Singh Construction Jaipur Literary Festival) che viene pubblicizzato dai conoscitori come “Il più grande palcoscenico letterario mondiale”.  Counselage, l’“amministratore strategico del marchio” della Tata, ha gestito il padiglione stampa del festival. Molti degli scrittori migliori e più brillanti del mondo si sono riuniti a Jaipur per discutere di amore, letteratura, politica e poesia Sufi.
Alcuni hanno cercato di difendere il diritto di Salman Rushdie alla libertà di parola, leggendo dal suo libro messo al bando, “I Versetti Satanici”. In ogni schermata televisiva e nelle foto di giornali, il logo di Tata Steel (e il suo slogan – “Valori più resistenti dell’acciaio”), un anfitrione benigno, dall’accoglienza benevola, si profilava sullo sfondo.
I nemici della “Libertà di Parola” erano presumibilmente le folle sediziose di Musulmani assassini, che, gli organizzatori del festival ci hanno dichiarato, avrebbero potuto persino nuocere agli studenti lì convenuti. (Siamo testimoni di quanto impotenti ed indifferenti il governo indiano e la polizia possono dimostrarsi quando si tratta di Musulmani.)
Sì, il seminario integralista islamico “Darul-Uloom Deobandi” ha protestato per l’invito a Rushdie di partecipare al festival. Sì, alcuni Islamisti si sono riuniti presso la sede del festival per protestare, e sì, scandalosamente, il governo dello Stato non ha fatto nulla per proteggere il luogo del convegno. Questo, perché l’intero episodio ha avuto tanto a che fare con la democrazia, con gli schieramenti elettorali e le elezioni nell’Uttar Pradesh, quanto ha avuto a che fare con il fondamentalismo islamico.
Ma la battaglia per la “Libertà di Parola” contro il fondamentalismo islamico è arrivata sui giornali di tutto il mondo. È importante che sia avvenuto questo!
Ma praticamente non si sono visti articoli sul ruolo degli sponsor del festival relativamente alla guerra all’interno delle foreste, i corpi accatastati, le carceri che si riempiono.
E nulla sulla Legge per la Prevenzione delle Attività Illegali e sulla Legge Speciale sulla Pubblica Sicurezza del Chhattisgarh, che rendono un reato perseguibile il solo manifestare un pensiero anti-governativo.
O nulla sul fatto che l’udienza pubblica ingiuntiva sull’impianto della Tata Steel a Lohandiguda, per cui la popolazione locale si lamentava, ha dovuto effettivamente aver luogo a centinaia di chilometri di distanza, a Jagdalpur, nell’ufficio del funzionario amministrativo distrettuale, con un auditorio prezzolato di una cinquantina di persone, sotto scorta armata.
Allora, dove si trovava la “Libertà di Parola”?
Nessuno ha ricordato Kalinganagar (sede di proteste contro la Tata Steel dove le forze di polizia hanno sparato contro i manifestanti, uccidendo; N.d.T.). Nessuno ha menzionato che ai giornalisti, ai docenti e ai registi cinematografici che lavorano su temi impopolari per il governo indiano - come la parte occulta che il governo ha svolto nel genocidio dei Tamil nella guerra in Sri Lanka o le fosse comuni scoperte di recente nel Kashmir - vengono negati i visti d’ingresso nel paese o che costoro vengono espulsi direttamente dall’aeroporto.
Ma chi di noi peccatori ci stava a scagliare la prima pietra? Non io, non chi vive di diritti di autore dalle società di case editrici. Noi tutti guardiamo Tata Sky, navighiamo in rete con Tata Photon, ci spostiamo con Tata taxi, soggiorniamo in Tata Hotel, sorseggiamo il nostro tè Tata in tazze di porcellana Tata e lo mescoliamo con cucchiaini prodotti da Tata Steel. Compriamo libri Tata nelle librerie Tata. Canticchiamo “Tata ka Namak khate Hain”. Siamo sotto assedio!
Se il maglio della purezza morale deve essere il criterio per il lancio della prima pietra, allora le uniche persone qualificate sono quelle che sono già state messe a tacere. Coloro che vivono fuori del sistema; i fuorilegge nelle foreste o quelli le cui proteste non sono mai degnate di attenzione dalla stampa, o gli espropriati non violenti che vanno di tribunale in tribunale a riferire, a portare la loro testimonianza.
Ma il Litfest, il Festival Letterario ci ha dato il nostro momento esaltante. È arrivata Oprah (Oprah Winfrey, famosa conduttrice televisiva statunitense, N.d.T). Ha detto che amava l’India, che sarebbe venuta ancora e ancora.
E questo ci ha reso orgogliosi. Semplicemente, questa è la fine farsesca dell’Arte Mirabile!
Anche se i Tata sono stati coinvolti nella filantropia delle imprese per quasi un centinaio di anni, conferendo borse di studio e amministrando alcuni istituti educativi e ospedali di eccellenza, le imprese indiane solo di recente sono state invitate nella Star Chamber, la “Camera Stellata”, il mondo abbagliante di luci del governo mondiale delle imprese, mortale per i suoi avversari, ma altrimenti così astuto, che a malapena sappiamo della sua esistenza.
Quello che segue in questo saggio potrebbe apparire ad alcuni come una critica forse feroce. D’altra parte, nella tradizione del portare onore ai propri avversari, potrebbe essere letto come un riconoscimento della visione, della flessibilità, della raffinatezza e della convinta determinazione di coloro che hanno dedicato la loro vita per conservare nel mondo la sicurezza per il capitalismo.
La loro storia affascinante, che è svanita dalla memoria contemporanea, ha avuto inizio negli Stati Uniti ai primi del 20.esimo secolo, quando, attrezzatasi legalmente nella forma di Fondazioni sussidiate, la Filantropia delle Imprese ha cominciato a sostituire l’attività missionaria come porta di ingresso del Capitalismo (e dell’Imperialismo) e ad agire come pattuglia al servizio del sistema. 
Tra le prime Fondazioni ad essere istituite negli Stati Uniti sono state la Carnegie Corporation, finanziata nel 1911 con gli utili derivanti dalla Carnegie Steel Company (impresa siderurgica fondata da A. Carnegie), e la Fondazione Rockefeller, sovvenzionata nel 1914 da J.D. Rockefeller, fondatore della Standard Oil Company (compagnia petrolifera). I Tata e gli Ambani del loro tempo.
Alcune delle istituzioni finanziate, dotate del capitale iniziale o sostenute dalla Fondazione Rockefeller, sono le Nazioni Unite, la CIA, il Council on Foreign Relations – Consiglio per le Relazioni con l’Estero (CFR), il più favoloso Museo di Arte Moderna (il MOMA) di New York, e, naturalmente, il Centro Rockefeller di New York (dove il murale di Diego Rivera doveva essere rimosso dalla parete perché maliziosamente descriveva i capitalisti come dissoluti e Lenin come un valoroso. “Libertà di Parola” si era presa il giorno libero!)
J.D. Rockefeller è stato il primo miliardario americano e l’uomo più ricco del mondo. Era un abolizionista della schiavitù, un sostenitore di Abraham Lincoln e un astemio. Credeva che il suo denaro gli fosse concesso da Dio, il che doveva essere per lui una gran bella cosa.
Ecco un brano scelto da una delle prime poesie di Pablo Neruda dedicato alla Standard Oil Company:
I loro obesi imperatori di New York
sono assassini dal sorriso soave
che comprano seta, nylon, sigari,
tiranni e dittatori insignificanti e meschini.
Loro comprano paesi, popoli, mari, polizia, consigli municipali,
regioni distanti dove i poveri ammassano il loro grano
come gli avari il loro oro:
la Standard Oil apre loro gli occhi,
li riveste in uniformi, designa
quale fratello è il nemico.
Il Paraguaiano combatte le sue guerre,
e il Boliviano si logora sempre più
nella giungla con il suo mitra.
Un Presidente assassinato per una goccia di petrolio,
un’ipoteca su un milione di acri,
una rapida esecuzione in un mattino mortale di luce, pietrificato,
un nuovo campo di prigionia per sovversivi,
in Patagonia, un tradimento, colpi sparati a casaccio
sotto una luna petrolifera,
un ingannevole cambio di ministri
nella capitale, un mormorio
come una marea di petrolio,
e zap!, d’incanto vedrete
risplendere le lettere della Standard Oil sopra le nuvole,
sopra i mari, nella vostra casa,
illuminando i loro imperi.
Quando le Fondazioni sovvenzionate dalle imprese fecero la loro prima apparizione negli Stati Uniti, ci fu un aspro dibattito circa la loro origine, la legalità e l’insufficienza di responsabilità. La gente asseriva che se le compagnie avevano così tanti soldi in eccesso, avrebbero dovuto aumentare i salari dei loro lavoratori. (La gente ha fatto queste proposte …esorbitanti anche in questi giorni, persino in America.)
La concezione intima a queste Fondazioni, così comune ancor oggi, corrispondeva in realtà ad un balzo di immaginazione e di ingegno da parte del mondo delle imprese.
Soggetti giuridici esenti da tassazione, con risorse enormi e impegnative quasi illimitate - del tutto inspiegabili, non del tutto trasparenti - , quale modo migliore per mettere a profitto ricchezza economica in capitale politico, sociale e culturale, per trasformare il denaro in potere? Quale modo migliore per gli usurai di sfruttare una percentuale minuscola dei loro profitti per gestire il mondo? In quale altro modo Bill Gates, che conosce certamente una cosa o due sui computer, si ritroverebbe a progettare le politiche dell’istruzione, della sanità e dell’agricoltura, non solo per il governo degli Stati Uniti, ma per i governi di tutto il mondo?
Nel corso degli anni, mentre la gente ha potuto constatare che le Fondazioni hanno fatto sì qualcosa di sinceramente buono (gestendo biblioteche pubbliche, estirpando le malattie), il collegamento diretto tra le imprese e le Fondazioni da loro sovvenzionate ha cominciato a farsi indistinto. Alla fine, non è esistita più alcuna distinzione. Ora, anche coloro che si considerano di sinistra non esitano più ad accettare la loro generosità.
A partire dagli anni ‘20, il capitalismo degli Stati Uniti aveva cominciato a guardare all’esterno, per le materie prime e i mercati d’oltremare. Le Fondazioni cominciarono a formulare l’idea di un governo mondiale delle imprese.
Nel 1924, le Fondazioni Rockefeller e Carnegie congiuntamente hanno creato quello che è oggi il più potente gruppo di pressione politica estera nel mondo: il Council on Foreign Relations (CFR), che più tardi è arrivato ad essere finanziato anche dalla Fondazione Ford.
Nel 1947, la CIA di nuova creazione veniva sovvenzionata dal CFR, con cui operava a stretto  contatto. Nel corso degli anni, 22 segretari di Stato USA sono stati membri del Consiglio. Sono stati cinque membri del CFR che nel 1943 hanno dato gli indirizzi alla Commissione per la progettazione dell’ONU, e una sovvenzione di 8,5 milioni dollari da J.D. Rockefeller è servita per acquistare il terreno a New York su cui si trova il quartier generale delle Nazioni Unite.
Tutti gli undici presidenti della Banca Mondiale dal 1946, uomini che si sono presentati come missionari dei poveri, sono stati membri del CFR. (L’eccezione è stato George Woods. Comunque, Woods era un fiduciario della Fondazione Rockefeller e vice-presidente della Chase Manhattan Bank.)
A Bretton Woods, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale decidevano che il dollaro doveva diventare la valuta di riserva del mondo, e che al fine di migliorare la penetrazione del capitale globale, il dollaro sarebbe servito per universalizzare e standardizzare le pratiche affaristiche in un mercato aperto. È a questo fine che hanno speso una grande quantità di denaro per promuovere il Buon Governo (fintanto che sono loro a manovrare dietro le quinte), il concetto di Stato di Diritto (a condizione che siano loro ad avere voce in capitolo nel formulare le leggi), e centinaia di programmi anti-corruzione (per ottimizzare il sistema che loro hanno messo in atto). Due delle più opache, inesplicabili, organizzazioni nel mondo vanno in giro a pretendere trasparenza e responsabilità ai governi dei paesi più poveri.
Dato che la Banca Mondiale ha più o meno diretto le politiche economiche del Terzo Mondo, forzando e costringendo un paese dopo l’altro ad aprire i mercati alla finanza globale, si potrebbe dire che la filantropia delle compagnie si è rivelata essere l’affare più lungimirante di tutti i tempi .
Le Fondazioni, che ricevono contributi dalle imprese, amministrano, barattano e canalizzano il loro potere e posizionano le loro pedine sulla scacchiera, attraverso un sistema di circoli esclusivi e di centri studi, i cui membri si sovrappongono e si muovono dentro e fuori attraverso un sistema di porte girevoli. Contrariamente alle varie teorie del complotto in circolazione, in particolare tra i gruppi di sinistra, non esiste nulla di segreto, satanico, o (fra)massonico, in questa disposizione.
Non è molto diverso dal modo in cui le imprese e le corporation utilizzano società di comodo e conti all’estero, in “paradisi fiscali” (off-shore), per trasferire e gestire i loro soldi, salvo che la moneta è potere, non denaro.
L’equivalente transnazionale del Council on Foreign Relations (CFR) è la Commissione Trilaterale, istituita nel 1973 da David Rockefeller, dall’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti Zbigniew Brzezinski (membro fondatore dei Mujaheddin afghani, i progenitori dei Talebani), dalla Chase Manhattan Bank, e da qualche altra eminenza privata.
L’obiettivo della “Trilateral” era quello di creare un legame duraturo di amicizia e cooperazione tra le élite del Nord America, Europa e Giappone. Ora si è convertita in una Commissione “Penta-lateral”, perché include membri provenienti da Cina e India. (Tarun Das della CII, la Confindustria dell’India; N.R. Narayanamurthy, ex-direttore generale della Infosys; Jamsheyd N. Godrej, amministratore delegato della Godrej; J. Jamshed Irani, direttore della Tata Sons; e Gautam Thapar, direttore generale della Avantha Group).
L’Aspen Institute è un club internazionale di élite locali, imprenditori, alti burocrati, politici, con affiliati in diversi paesi. Gautam Thapar ne è il presidente. Presidente della sezione indiana dell’Aspen Institute è Tarun Das. Diversi alti funzionari del McKinsey Global Institute (che ha proposto il Corridoio Industriale Delhi-Mumbai) sono membri del CFR, della Trilateral Commission e dell’Aspen Institute.
La Fondazione Ford (istituzione “liberal” rispetto alla più conservatrice Fondazione Rockefeller, sebbene le due organizzazioni operino insieme costantemente) è stata istituita nel 1936. Anche se spesso sottovalutata, la Fondazione Ford possiede una ideologia molto chiara, ben definita, e lavora a stretto contatto con il Dipartimento di Stato USA. Il suo progetto di democrazia più radicata e di “buon governo” fa parte integrante del sistema di Bretton Woods, di uniformare le pratiche commerciali e promuovere l’efficienza del libero mercato.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando i comunisti hanno sostituito i fascisti come “nemico numero uno” del governo degli Stati Uniti, sono divenute necessarie nuovi tipi di istituzioni per affrontare la Guerra Fredda.
Ford finanziava la RAND (Research and Development Corporation – Centro Ricerca e Sviluppo), un centro studi militari che ha visto al suo inizio la ricerca sugli armamenti per conto dei servizi di difesa degli Stati Uniti.
Nel 1952, per contrastare “lo sforzo persistente comunista di penetrare e distruggere le nazioni libere”, viene istituito il Fondo per la Repubblica, poi trasformato in Centro per lo Studio delle Istituzioni Democratiche, il cui intento era quello di condurre la guerra fredda in modo razionale, senza gli eccessi del maccartismo. (6)
È attraverso questa lente che abbiamo bisogno di analizzare il lavoro che la Fondazione Ford sta portando avanti, con i milioni di dollari che ha investito in India, con il suo finanziamento di artisti, registi cinematografici e attivisti, con le sue generose sovvenzioni per corsi universitari e borse di studio.
Gli “obiettivi per il futuro dell’umanità” dichiarati dalla Fondazione Ford includono interventi nell’ambito dei movimenti politici popolari, a livello locale e internazionale. Negli Stati Uniti, ha fornito milioni in sovvenzioni e prestiti per sostenere il Movimento “Credit Union”, a cui aveva fatto da pioniere il proprietario di grandi magazzini, Edward Filene, nel 1919.
Filene aveva fiducia nella creazione di una società dei consumi di massa di beni di consumo, accordando ai lavoratori facilitazioni di accesso al credito, a quel tempo un’idea radicale. In realtà, un’idea radicale solo a mezzo, perché l’altra metà su cui Filene confidava era una più equa distribuzione del reddito nazionale. I capitalisti fecero propria solo la prima metà dell’ispirazione di Filene, ed erogando prestiti “abbordabili” di decine di milioni di dollari alla gente che lavorava, trasformarono la classe operaia degli Stati Uniti in masse di persone permanentemente in debito, per raggiungere un certo stile e tenore di vita. 
 
Molti anni dopo, questa idea si è incuneata ad impoverire le campagne del Bangladesh, quando Mohammed Yunus e la Grameen Bank hanno portato il microcredito ai contadini, riducendoli alla fame con conseguenze disastrose. Società di microfinanza in India sono responsabili di centinaia di suicidi, 200 persone nell’Andhra Pradesh nel solo 2010.
Un quotidiano nazionale ha recentemente pubblicato una breve nota rilasciata da una ragazza diciottenne suicida, perché costretta a consegnare le sue ultime 150 rupie, le tasse di iscrizione scolastiche, a dipendenti prepotenti di una società di microfinanza. La nota raccomandava: “Lavorate duro e guadagnate denaro. Non prendete soldi a prestito!”
C’è da guadagnare un sacco di soldi con la povertà, e perfino… qualche Premio Nobel.
A partire dagli anni ‘50, le Fondazioni Rockefeller e Ford, finanziando diverse Organizzazioni Non Governative (ONG) e istituzioni educative internazionali, hanno cominciato a lavorare come “longa manus” del governo degli Stati Uniti, che al tempo si riprometteva di rovesciare governi democraticamente eletti in America Latina, Iran ed Indonesia.
(Questo è stato anche il tempo in cui queste organizzazioni hanno fatto il loro ingresso in India, allora paese fra i non-allineati, ma chiaramente con inclinazioni verso l’Unione Sovietica.)
La Fondazione Ford istituiva un corso di economia secondo lo stile statunitense presso l’Università indonesiana. Studenti della élite indonesiana, addestrati nelle tecniche contro-insurrezionali da parte di ufficiali dell’esercito degli Stati Uniti, hanno rivestito un ruolo determinante durante il colpo di stato in Indonesia del 1965, con la CIA dietro le quinte, che ha portato al potere il generale Suharto. Il generale Suharto ha ripagato i suoi mentori con la macellazione di centinaia di migliaia di ribelli comunisti.
Otto anni più tardi, giovani studenti cileni, meglio conosciuti in seguito come “Chicago Boys”, sono stati portati negli Stati Uniti per essere addestrati nel sistema economico neoliberista da Milton Friedman dell’Università di Chicago (finanziata da J.D. Rockefeller), in preparazione del golpe del 1973, sempre appoggiato dalla CIA, con l’assassinio di Salvador Allende, che portava al potere il generale Pinochet e instaurava un regno degli squadroni della morte, con sparizioni e terrore che sono durati per diciassette anni.
(Il crimine di Allende era di essere un socialista democraticamente eletto, che voleva imporre la nazionalizzazione delle miniere del Cile.)
Nel 1957, la Fondazione Rockefeller ha istituito il Premio “Ramon Magsaysay” per i leader delle organizzazioni sociali in Asia. È stato chiamato così in onore di Ramon Magsaysay, presidente delle Filippine, un alleato determinante nella campagna usamericana contro il comunismo nel Sud-est asiatico.
Nel 2000, la Fondazione Ford ha dedicato il Premio “Ramon Magsaysay” alla Leadership Emergente. Il Premio Magsaysay è considerato un prestigioso premio tra gli artisti, attivisti e operatori di comunità in India. Lo hanno vinto M.S. Subbulakshmi e Satyajit Ray (una cantante di musica classica indiana e un regista cinematografico, N.d.T.), così come Jayaprakash Narayan (attivista politico, riformatore, giornalista; N.d.T.), e uno dei migliori giornalisti indiani, P. Sainath.
Ma costoro hanno fatto di più per il premio Magsaysay di quanto questo abbia fatto per loro.
In generale, il Premio è diventato un arbitro garbato su che tipo di attivismo sia “accettabile”, e quale no.
È interessante notare che il movimento contro la corruzione di Anna Hazare l’estate scorsa è stato guidato da tre vincitori del Magsaysay Award - Anna Hazare, Arvind Kejriwal e Kiran Bedi.
Una delle numerose ONG di Arvind Kejriwal è generosamente finanziata dalla Fondazione Ford. La ONG di Kiran Bedi riceve sovvenzioni dalla Coca Cola e dalla Lehman Brothers.
Anche se Anna Hazare si definisce un gandhiano, la legge che ha sollecitato – il progetto di legge “Jan Lokpal” - è non-gandhiana, élitaria e pericolosa. (7)
Una campagna a tamburo battente promossa dai media collegati alle imprese lo ha proclamato essere la voce del “popolo”.
A differenza del movimento “Occupy Wall Street” negli Stati Uniti, il movimento “Hazare” non spiaccica parola contro le privatizzazioni, il potere delle compagnie o le cosiddette “riforme” economiche. Al contrario, i principali mezzi di comunicazione suoi sostenitori hanno deviato con successo i riflettori lontano dagli enormi scandali di corruzione affaristica (che hanno coinvolto anche giornalisti di alto profilo) e hanno usato il potere di percussione dei politici per richiedere l’ulteriore ritiro di poteri discrezionali da parte del governo, per maggiori riforme, per più privatizzazioni.
Nel 2008, Anna Hazare ha ricevuto un premio della Banca Mondiale per lo straordinario servizio pubblico. La Banca Mondiale rilasciava una dichiarazione da Washington dicendo che il movimento “combaciava perfettamente” con la sua politica.
Come tutti i buoni imperialisti, i Filantropoidi si sono assunti il ​​compito di creare e addestrare un organico internazionale che ritenga che il capitalismo, e per estensione l’egemonia degli Stati Uniti, operino nel loro stesso interesse. E questo organico potrebbe quindi aiutare ad amministrare il Governo Mondiale delle Imprese con le stesse modalità con cui le élite indigene hanno sempre servito il colonialismo.
Così è iniziata l’incursione delle Fondazioni nel sistema educativo e nel settore delle arti, che sarebbero diventati la loro terza sfera di influenza, dopo la politica economica interna ed estera. Le Fondazioni hanno speso (e continuano a spendere) milioni di dollari in istituzioni accademiche e pedagogiche.
Joan Roelofs, nel suo libro meraviglioso “Fondazioni e Politica pubblica: la Maschera del Pluralismo”, descrive come le Fondazioni abbiano rimodellato le antiche idee su come insegnare la scienza politica, e abbiano dato forma alle discipline di studi “internazionali” e di “area”. Ciò ha provvisto ai servizi di intelligence e di sicurezza degli Stati Uniti la possibilità di reclutare un cartello di specialisti nel campo delle lingue e delle culture straniere.
La CIA e il Dipartimento di Stato USA continuano a lavorare con studenti e professori nelle università degli Stati Uniti, sollevando seri interrogativi circa l’etica di questo modo di far cultura.
La raccolta di informazioni per controllare le persone che vengono governate è fondamentale per qualsiasi potere.
Come la resistenza all’acquisizione di terre e contro le nuove politiche economiche si diffonde in tutta l’India, all’ombra della guerra vera e propria nell’India centrale, come tecnica di contenimento, il governo ha avviato un imponente programma di biometria, forse uno dei più ambiziosi e costosi progetti di raccolta di informazioni in tutto il mondo, il Numero Unico di Identificazione (UID).
La gente non ha acqua potabile o servizi igienici, o cibo o denaro, ma avrà schede elettorali e numeri UID.
È una coincidenza che il progetto dell’UID, gestito da Nandan Nilekani, ex amministratore delegato di Infosys, apparentemente destinato a “erogare servizi ai poveri”, servirà invece ad iniettare massicce quantità di denaro in un’industria informatica lievemente in difficoltà?
(Una stima prudente del bilancio per il progetto UID supera la spesa annuale pubblica preventivata dal governo indiano in materia di istruzione).
“Digitalizzare” un paese con così tanta popolazione in gran parte illegittima e “illeggibile” -  persone che sono per la maggior parte abitanti di baraccopoli, venditori ambulanti, Adivasi senza certificati di proprietà della terra - le criminalizzerà, trasformandole da illegittime ad illegali.
L’idea è quella di mettere a segno una versione digitale della Recinzione delle Terre Demaniali (un processo di appropriazione privata delle terre comuni) e consegnare enormi poteri nelle mani di uno Stato di polizia sempre più duramente repressivo.
L’ossessione tecnocratica di Nilekani con il suo progetto di raccolta di dati è coerente con l’ossessione di Bill Gates per gli archivi di dati informatici “database”, “obiettivi numerici”, “schede valutative di progresso”.
Come se la mancanza di informazioni fosse la causa della fame nel mondo, e non il colonialismo, il debito e le distorte politiche delle grandi società e imprese, tutte orientate al profitto!
Le Fondazioni sovvenzionate dalle corporation sono le principali finanziatrici delle scienze sociali e delle arti, dotando di sussidi i corsi e borse di studio per ricercatori su “studi dello sviluppo”, “studi sulla società”, “studi culturali”, “scienze del comportamento” e sui “diritti umani”.
Come le università usamericane hanno aperto le loro porte agli studenti internazionali, centinaia di migliaia di studenti, figli delle élite del Terzo Mondo, accorrono a frotte. A quelli che non potevano permettersi le tasse sono state assegnate borse di studio. Oggi in paesi come India e Pakistan non esiste quasi una famiglia tra le classi medio-alte che non abbia un giovane che abbia studiato negli Stati Uniti. Dalle loro fila sono venuti buoni studiosi e accademici, ma anche primi ministri, ministri delle finanze, economisti, avvocati delle imprese, banchieri e burocrati che hanno contribuito ad aprire le economie dei loro paesi alle società multinazionali.
Gli studiosi di scienze economiche e politiche che seguono impostazioni gradite alle Fondazioni sono stati premiati con borse di studio, fondi di ricerca, sovvenzioni, donazioni e posti di lavoro. Quelli con punti di vista non graditi alle Fondazioni si sono trovati privi di finanziamenti, emarginati e ghettizzati, i loro corsi interrotti.
A poco a poco, ha cominciato a dominare il discorso pubblico un particolare immaginifico – una fragile, superficiale, finzione di tolleranza e di multiculturalismo (che comunque, su due piedi, si trasforma in razzismo, in nazionalismo fanatico, nello sciovinismo etnico o in islamofobia guerrafondaia), sotto la volta di un’unica, onnicomprensiva e decisamente non plurale ideologia economica. Lo ha fatto a tal punto che ha cessato del tutto di essere percepito come una ideologia. È diventata la posizione implicita, il modo naturale di essere. Si è infiltrata nella normalità, ha colonizzato l’ordinarietà, e lo sfidarla è cominciato a sembrare tanto assurdo o stranito come mettere in discussione la stessa realtà. Da qui, il passaggio a “Non esiste alternativa” è stato rapido e facile.
 È solo ora, grazie al Movimento “Occupy”, che è apparso un altro tipo di linguaggio sulle strade e sui campus degli Stati Uniti. Vedere studenti con striscioni che dicono “Guerra di Classe” o “Non ci importa che tu sia ricco, ma ci preoccupa che tu stia comprando il nostro governo” è, in ogni caso, quasi una rivoluzione in sé.
Un secolo dopo il suo inizio, la filantropia delle imprese fa parte integrante della nostra vita, come la Coca Cola. Ora, esistono milioni di organizzazioni non-profit, molte delle quali collegate attraverso un labirinto bizantino finanziario alle Fondazioni più grandi. Complessivamente, questo settore “indipendente” ha un patrimonio per un valore circa di 450 miliardi di dollari. La più grande fra queste Fondazioni è quella di Bill Gates (21 miliardi di dollari), seguita dal Lilly Endowment (16 miliardi di dollari) e dalla Fondazione Ford (15 miliardi di dollari).
Come il FMI ha imposto l’“Aggiustamento Strutturale”, e ha sottoposto a torsioni i governi, costringendoli a tagli della spesa pubblica per sanità, istruzione, assistenza all’infanzia, sviluppo, le ONG sono entrate in azione.
La “Privatizzazione del Tutto” ha comportato anche l’“ONGanizzazione del Tutto”.
Alla scomparsa dei posti di lavoro e dei mezzi di sussistenza, le ONG sono diventate una fonte importante di occupazione, anche per coloro che sono consapevoli di ciò che in realtà rappresentano. E certamente, non tutte le ONG sono cattive.
Fra i milioni di ONG, alcune conducono un lavoro notevole, radicale e sarebbe un travisamento addossare a tutte le ONG gli stessi difetti.
Tuttavia, le ONG finanziate dalle imprese o dalle Fondazioni costituiscono il mezzo con cui la finanza mondiale coopta i movimenti di resistenza, letteralmente come gli azionisti acquisiscono quote delle compagnie, per cercare di assumerne il controllo dall’interno. Si innestano come nodi sul sistema nervoso centrale, i percorsi lungo i quali scorre la finanza globale.
Le ONG funzionano come trasmettitori, ricevitori, ammortizzatori, mettono sull’avviso ad ogni impulso sociale, attente a non infastidire i governi dei paesi che le ospitano. (La Fondazione Ford richiede alle organizzazioni che finanzia di firmare un impegno in tal senso). Inavvertitamente (e talvolta avvertitamene, di proposito), servono da postazioni di ascolto, con le loro relazioni e i loro convegni e con le altre attività missionarie, che alimentano di informazioni un sistema sempre più aggressivo di sorveglianza di Stati sempre più repressivi. Più agitata è una zona, maggiore è il numero di ONG in essa presenti.
Maliziosamente, quando il governo o settori della Stampa delle Corporation desiderano condurre una campagna diffamatoria contro un autentico movimento popolare, come il Narmada Bachao Andolan (movimento che resiste alla costruzione della diga di Narmada e che inoltre lavora per l’ambiente e i diritti umani, N.d.T.), o contro il movimento di protesta contro il reattore nucleare di Koodankulam, questi movimenti vengono accusati di essere ONG che ricevono “finanziamenti dall’esterno”.
Il governo e la stampa sanno molto bene che il mandato della maggior parte delle ONG, in particolare di quelle ben finanziate, è quello di promuovere il progetto della globalizzazione delle multinazionali, non quello di contrastarlo.
Armate con i loro miliardi, queste ONG hanno esondato nel mondo, trasformando rivoluzionari potenziali in attivisti stipendiati, in artisti, intellettuali e registi foraggiati di soldi, gradualmente attirandoli lontano dal confronto radicale, avviandoli nella direzione del multi-culturalismo, dello sviluppo sociale e di genere – della narrazione retorica espressa nel linguaggio delle politiche identitarie e dei diritti umani.
La trasformazione dell’idea di giustizia nell’industria dei diritti umani è stato un “golpe” concettuale in cui le ONG e le Fondazioni hanno svolto un ruolo cruciale. Il focus attentivo sui diritti umani consente un’analisi tutta concentrata sulle atrocità, in cui viene impedita la visione di un panorama più vasto e le considerazioni su tutte le parti in conflitto, per esempio, sui Maoisti e il governo indiano, o sull’esercito israeliano e Hamas, ed entrambi i contendenti possono essere stigmatizzati come “Violatori dei Diritti Umani”.
Gli espropri di terre da parte delle società minerarie, o la storia dell’annessione della terra dei Palestinesi da parte dello Stato di Israele, diventano allora solo note a piè di pagina con ben poca evidenza nella narrazione in merito.
Questo non vuol dire che i diritti umani non abbiano importanza. Sono importanti, ma non sono un prisma abbastanza idoneo attraverso il quale visualizzare o lontanamente capire le grandi ingiustizie del mondo in cui viviamo.
Un altro colpo concettuale ha a che fare con il coinvolgimento delle Fondazioni con il movimento femminista.
Perché la maggior parte delle organizzazioni “ufficiali” femministe e delle donne in India mantengono una distanza di sicurezza tra loro ed organizzazioni come ad esempio la Krantikari Adivasi Mahila Sangathan (Associazione Rivoluzionaria delle Donne Adivasi) che conta 90.000 associate che lottano contro il patriarcato nelle proprie comunità e contro le espulsioni dalla foresta Dandakaranya da parte delle società minerarie?
Perché l’esproprio e l’allontanamento di milioni di donne dalla terra di cui erano proprietarie e che lavoravano non è visto come un problema femminista?
La scissione del movimento femminista “liberal” dai movimenti popolari delle zone rurali anti-imperialisti e anti-capitalisti non è cominciato con i perversi disegni delle Fondazioni. Ha avuto inizio con l’incapacità di questi movimenti di adattarsi e di accogliere la rapida radicalizzazione delle donne avvenuta negli anni ‘60 e ‘70.
Le Fondazioni hanno dimostrato genialità nel riconoscere, e nel correre a sostenere e finanziare, la crescente insofferenza delle donne contro la violenza e il patriarcato nelle loro società tradizionali, e perfino tra i leader supposti progressisti dei movimenti di “sinistra”.
In un paese come l’India, lo scisma è anche avvenuto lungo la linea di demarcazione “ruralità – urbanizzazione”. I movimenti più radicali, anti-capitalisti si trovavano nelle campagne dove, per la maggior parte, il patriarcato continuava a governare la vita della maggior parte delle donne.
Le donne attiviste delle città che hanno aderito a questi movimenti (come il movimento naxalita) sono state influenzate e ispirate dal movimento femminista occidentale e i loro percorsi verso la liberazione erano spesso in contrasto con ciò che i loro leader maschi ritenevano essere loro dovere: inserirsi ed adattarsi alle “masse”.
Molte attiviste donne non erano disposte ad attendere più a lungo la “rivoluzione” per porre fine all’oppressione quotidiana e alle discriminazioni nella loro esistenza, anche da parte dei loro stessi compagni. Esigevano che la parità di genere fosse una parte assoluta, urgente e non negoziabile del processo rivoluzionario e non solo una promessa post-rivoluzionaria. Le donne consapevoli, arrabbiate e disilluse hanno cominciato ad allontanarsi e a cercare altri mezzi di supporto e sostentamento.
Come risultato, dalla fine degli anni ‘80, nel periodo della grande apertura dei mercati indiani, il movimento femminista “liberal” in un paese come l’India è diventato straordinariamente ONGanizzato.
Molte di queste ONG hanno svolto un lavoro di grosso rilievio sui diritti degli omosessuali, sulla violenza domestica, l’AIDS e i diritti delle lavoratrici del sesso. Ma, in modo significativo, i movimenti femministi “liberal” non sono stati in prima linea nello sfidare le nuove politiche economiche, anche se le donne sono state le più penalizzate.
Manipolando l’erogazione dei sussidi, le Fondazioni sono in gran parte riuscite a circoscrivere l’ambito di ciò che dovrebbe essere attivismo “politico”. Le istruzioni sui finanziamenti impartite alle ONG oggi prescrivono ciò che deve essere annoverato come “questione” femminile, e cosa non lo deve essere.
L’ONGanizzazione del movimento delle donne ha anche reso il femminismo “liberal” occidentale (in virtù del suo essere il marchio più finanziato) il portabandiera di ciò che costituisce il femminismo.
Le battaglie, come al solito, sono state combattute sul corpo delle donne, con l’estrusione da un lato del Botox (tossina botulinica contro le rughe delle donne, N.d.T.) e dall’altro del burqa. (E poi ci sono quelle che patiscono per il doppio smacco, il Botox e il Burqa.)
Quando, come accaduto di recente in Francia, viene effettuato il tentativo di costringere le donne ad abbandonare il burqa, piuttosto che creare la situazione in cui una donna possa scegliere ciò che desidera fare, questo non comporta la liberazione della donna, ma solo svestirla. Questo diventa un atto di umiliazione e di imperialismo culturale. Non si tratta del burqa. Si tratta solo di coercizione. Costringere una donna ad abbandonare il burqa è male come costringerla ad indossarlo.
Considerare il genere in questo modo, enucleandolo dal contesto sociale, politico ed economico, crea una questione di identità, una battaglia di accessori e abbigliamento.
È questo che ha permesso al governo degli Stati Uniti di utilizzare i gruppi femministi occidentali come copertura morale, quando ha invaso l’Afghanistan nel 2001. Le donne afgane erano (e lo sono ancora) in una situazione terribile sotto i Talebani. Ma far cadere su di loro bombe a frammentazione (daisy-cutters) non comporta la risoluzione dei loro problemi.
Nell’universo delle ONG, che hanno sviluppato uno strano linguaggio anodino proprio, tutto è diventato un “soggetto”, un problema separato, professionalizzato, di interesse speciale, particolare.. Sviluppo delle comunità, sviluppo della leadership, diritti umani, sanità, istruzione, diritti alla riproduzione, AIDS, orfani affetti da AIDS - tutti problemi saldati ermeticamente nei loro silos, con il loro proprio, elaborato e preciso, protocollo di finanziamenti.
I finanziamenti hanno frantumato la solidarietà in un modo che la repressione non avrebbe mai potuto fare. Perfino la povertà, come il femminismo, viene spesso inquadrata come un problema identitario. Come se i poveri non fossero stati creati dalle ingiustizie, ma siano una tribù dannata, che succede esista ancora, e potrà essere recuperata a breve termine da un sistema che indennizzi i torti (sistema amministrato dalle ONG, e che viene applicato su basi individuali, persona per persona), e che a lungo termine vedrà la resurrezione arrivare dal Buon Governo. Sotto il regime del Capitalismo Globale dell’Impresa, va da sé.
La povertà indiana, dopo un breve periodo in cui non è stata più presa in considerazione, mentre l’India “risplendeva”, ha visto un suo ritorno alla moda come identità esotica nelle Belle Lettere e nelle Arti, con al primo posto film come “Slumdog Millionaire – The Millionaire (2008)”.
Queste storie di poveri, il loro spirito e la loro capacità di ripresa sorprendenti, non presentano canaglie, tranne i personaggi meno importanti, che forniscono tensione narrativa e colore locale.
Nel mondo contemporaneo, gli autori di queste opere sono equivalenti ai primi antropologi, lodati e onorati per lavorare sul “terreno”, per le loro coraggiose incursioni verso l’ignoto. Raramente si vedono i ricchi sottoposti ad esame in questa maniera.
Dopo aver risolto il modo di gestire i governi, i partiti politici, le elezioni, i tribunali, i media e l’opinione “liberal”, per le classi al potere neo-liberiste esisteva una ulteriore sfida da affrontare:  come affrontare i crescenti fermenti sociali, la minaccia del “potere al popolo”. Come si fa ad addomesticare tutto questo? Come si fa a trasformare i contestatori in animali domestici? Come si fa ad assorbire la furia della gente per reindirizzarla in vicoli ciechi?
Anche in questo caso, le Fondazioni e le loro organizzazioni alleate hanno una storia lunga e illustre.
Un esempio rivelatore è il loro ruolo nel disinnescare e deradicalizzare il movimento per i diritti civili dei Neri negli Stati Uniti negli anni ’60, e la riuscita trasformazione del Black Power (Potere Nero) in Black Capitalism (Capitalismo Nero).
La Fondazione Rockefeller, in linea con gli ideali di J.D.Rockefeller, aveva lavorato a stretto contatto con Martin Luther King senior (il padre di Martin Luther King junior). Ma la sua influenza si era indebolita con l’ascesa di organizzazioni più militanti – il Comitato di Coordinamento Non-violento degli Studenti (SNCC) e le Pantere Nere.
Le Fondazioni Ford e Rockefeller sono entrate in gioco e nel 1970 hanno donato 15 milioni di dollari ad organizzazioni nere “moderate”, concedendo sovvenzioni, cattedre universitarie e borse di studio, programmi di formazione al lavoro per emarginati, e capitali destinati a neri per intraprendere attività di impresa.
Repressione, conflittualità interne e la trappola mielosa dei finanziamenti hanno portato alla progressiva atrofizzazione delle organizzazioni radicali nere.
Martin Luther King junior formulava collegamenti proibiti tra Capitalismo, Imperialismo, Razzismo e la Guerra del Vietnam. Come risultato, dopo essere stato assassinato, anche la sua memoria si è rivelata una minaccia tossica per l’ordine pubblico. Fondazioni e Imprese hanno lavorato duramente per rimodellare la sua eredità, a conciliarla con un prospetto compatibile con il mercato.
Il Centro “Martin Luther King junior per il Cambiamento Sociale Non-Violento”, con una sovvenzione operativa di 2 milioni di dollari, è stato istituito, tra gli altri, da Ford Motor Company, General Motors, Mobil, Western Electric, Procter & Gamble, US Steel e Monsanto.
Il Centro sostiene economicamente la Biblioteca e l’Archivio del Movimento per i diritti civili dedicati a King. Tra i vari programmi che il Centro King gestisce, ci sono stati progetti in “collaborazione stretta con il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, con il Consiglio dei Cappellani delle Forze Armate e con altri”.
Ha co-sponsorizzato la serie di conferenze “Martin Luther King Jr. Lecture Series” dal titolo: “Il Sistema della Libera Impresa: un agente per un cambiamento sociale non-violento”. Amen!
Un “golpe” simile è avvenuto durante la lotta contro l’apartheid nel Sud Africa.
Nel 1978, la Fondazione Rockefeller organizzava una Commissione di studio sulla politica statunitense nei confronti del Sud Africa. Il rapporto metteva in guardia sulla crescente influenza dell’Unione Sovietica nei confronti dell’African National Congress (8) e affermava che gli interessi strategici degli USA e delle grandi imprese (vale a dire, l’accesso ai minerali del Sud Africa), sarebbero stati meglio garantiti se ci fosse stata un’autentica condivisione del potere politico da parte di tutte le razze.
Le Fondazioni cominciarono a sostenere l’ANC. L’ANC prese le distanze presto dalle organizzazioni più radicali, come il movimento della “Black Consciousness – Consapevolezza Nera” di Steve Biko, che più o meno vennero eliminati.
Quando Nelson Mandela ha assunto il potere come primo presidente nero del Sud Africa, è stato canonizzato come un santo vivente, non solo perché era un combattente per la libertà che aveva trascorso 27 anni in prigione, ma anche perché faveva riferimento completamente sul “Consensus” di Washington.
Il socialismo scomparve dall’agenda programmatica dell’ANC. La grande “transizione pacifica” del Sud Africa, tanto decantata e lodata, non significava riforme agrarie, né richieste di risarcimenti, nemmeno la nazionalizzazione delle miniere del Sud Africa. Invece, sono arrivati “Privatizzazioni e Aggiustamenti Strutturali”.
Mandela ha concesso la più alta onorificenza civile del Sud-Africa, l’Ordine di Buona Speranza, al suo vecchio sostenitore e amico, generale Suharto, l’assassino dei comunisti in Indonesia.
Oggi, in Sud Africa, una grinfia di ex radicali e sindacalisti, che guidano Mercedes, governa il paese. Ma questo è più che sufficiente a perpetuare l’illusione della Black Liberation, della Liberazione dei Neri.
L’ascesa del Black Power negli Stati Uniti è stata un momento di ispirazione per la nascita di un movimento radicale, progressista, Dalit (degli oppressi), in India, con organizzazioni come le “Dalit Panthers” che rispecchiavano la politica militante delle Pantere Nere.
Ma anche il “Potere Dalit”, non esattamente nello stesso modo ma con gli stessi metodi, è stato frammentato e disinnescato e, tramite sovvenzioni in grande abbondanza da parte di organizzazioni di destra indù e dalla Fondazione Ford, è ben incamminato per trasformarsi in “Capitalismo Dalit”.
“La Dalit Inc.(società per azioni) è pronta a dimostrare che gli affari possono battere le caste!”, così riportava l’Indian Express nel dicembre dell’anno scorso. Continuava, citando un mentore della Camera Dalit Indiana del Commercio e dell’Industria (DICCI). Costui affermava: “Per la nostra società, ottenere la presenza del primo ministro ad una riunione Dalit non è difficile. Tuttavia, per gli imprenditori Dalit, farsi fotografare con Tata e Godrei (capitalisti indiani) durante un pranzo o ad un tè è un’aspirazione, e la prova che sono arrivati .”
Data la situazione nella moderna India, sarebbe di casta e reazionario affermare che gli imprenditori Dalit non dovrebbero occupare un posto alla tavola alta. Ma se questa dovesse essere l’aspirazione, il quadro ideologico della politica Dalit, questo sarebbe un gran peccato. E sarebbe improbabile per aiutare il milione di Dalit, che continuano a guadagnarsi la vita rovistando manualmente tra i rifiuti alla ricerca di materiale riutilizzabile, trasportando sulle loro spalle il peso della merda umana.
I giovani studiosi Dalit che accettano contributi da parte della Fondazione Ford non possono essere giudicati troppo duramente. Chi altro sta offrendo loro l’opportunità di uscire dal pozzo nero del sistema indiano delle caste?
La vergogna, così come una larga parte della colpa di questa svolta nello stato delle cose, va anche al movimento comunista dell’India, il cui dirigenti continuano ad essere prevalentemente appartenenti alle caste superiori. Per anni hanno cercato di inserire a forza l’idea di casta nell’analisi di classe marxista. Hanno fallito miseramente, nella teoria, come nella pratica.
La spaccatura tra la comunità Dalit e la sinistra è iniziata con un dissidio tra il poco realistico leader Dalit dottor Bhimrao Ambedkar e Shripat Amrit Dange, sindacalista e membro fondatore del Partito Comunista dell’India.
La disillusione del dottor Ambedkar nei confronti del Partito Comunista ebbe inizio con lo sciopero dei lavoratori tessili di Mumbai nel 1928, quando egli si rese conto che, nonostante tutta la retorica sulla solidarietà alle classi lavoratrici, il Partito non riteneva biasimevole che gli “intoccabili” fossero tenuti fuori del reparto di tessitura (e fossero solo qualificati per il reparto di filatura a paghe più basse), perché il lavoro comportava l’utilizzo di saliva sui fili, che altre caste consideravano “inquinante”.
Ambedkar si rendeva conto che in una società dove le scritture Indù istituzionalizzavano l’intoccabilità e le disuguaglianze, la battaglia in favore degli “intoccabili” per i diritti sociali e civili era troppo urgente per attendere la promessa rivoluzione comunista.
La spaccatura tra i seguaci di Ambedkar e la sinistra si concluse a caro prezzo per entrambe le parti in causa.
Essa ha fatto sì che la maggioranza della popolazione Dalit, la spina dorsale della classe lavoratrice indiana, ha riposto le speranze per la sua liberazione e dignità sul costituzionalismo, sul capitalismo e su partiti politici, come il BSP, che praticano un importante, ma nel lungo termine stagnante, certamente non rivoluzionario, paradigma di politiche identitarie. (9)
Negli Stati Uniti, come abbiamo visto, le Fondazioni sovvenzionate dalle imprese hanno generato la cultura delle ONG.
In India, la filantropia imprenditoriale mirata ha preso avvio negli anni ‘90, l’era della Nuova Politica Economica. L’iscrizione alla Camera Stellata non è certo a buon mercato.
Il Gruppo Tata ha donato 50 milioni di dollari ad una certa istituzione di …bisognosi, la Scuola di Economia e Commercio di Harvard, e altri 50 milioni di dollari alla Cornell University.
Nandan Nilekani di Infosys e sua moglie Rohini hanno donato 5 milioni di dollari come dotazione di partenza per l’istituto “Iniziativa India” a Yale.
Il Centro “Harvard Humanities” è ora Centro “Mahindra Humanities”, dopo aver ricevuto la più grande donazione di sempre, pari a 10 milioni di dollari, da Anand Mahindra del Gruppo Mahindra.
In patria, il Gruppo Jindal, con una partecipazione importante nel settore minerario, dei metalli e dell’energia, gestisce la Scuola di diritto internazionale Jindal, e presto aprirà la Scuola Jindal per le scienze politiche pubbliche e di governo. (La Fondazione Ford gestisce una scuola di diritto nel Congo.)
La Fondazione Nuova India finanziata da Nandan Nilekani, i cui proventi derivano da Infosys, conferisce premi e borse di studio per gli studiosi di scienze sociali.
La Fondazione Sitaram Jindal sovvenzionata da Jindal Aluminium ha annunciato cinque premi in denaro di 10 milioni di rupie ciascuno da assegnarsi a coloro che operano nei settori dello sviluppo rurale, della lotta alla povertà, dell’educazione ambientale e dell’elevazione morale.
La Fondazione “Observer Research” del gruppo Reliance (ORF), attualmente finanziata da Mukesh Ambani, è forgiata sullo stampo della Fondazione Rockefeller. Dispone di agenti dei servizi segreti in pensione, di analisti strategici, di politici (che fingono di scagliarsi uno contro l’altro in Parlamento), di giornalisti e di opinionisti della politica come propri “associati” e consulenti ricercatori.
Gli obiettivi della ORF sembrano abbastanza semplici e chiari: “Aiutare a sviluppare il consenso a favore delle riforme economiche”. E plasmare e influenzare l’opinione pubblica, creando “opzioni politiche alternative, profittevoli, in settori tanto diversi, quali la creazione di occupazione in zone arretrate e strategie in tempo reale per contrastare minacce nucleari, biologiche e chimiche”.
Inizialmente ero rimasta sconcertata dalla preoccupazione per la “guerra nucleare, biologica e chimica” presente negli obiettivi dichiarati dalla ORF. Ma molto meno quando, nella lunga lista dei suoi “partner istituzionali”, ho trovato i nomi di Raytheon e Lockheed Martin, due dei principali produttori mondiali di armi.
Nel 2007, la Raytheon ha annunciato che stava rivolgendo la propria attenzione verso l’India. Potrebbe darsi che almeno una parte del bilancio della difesa dell’India pari a 32 miliardi dollari verrà spesa in armamenti, missili guidati, aerei, navi da guerra e apparecchiature di sorveglianza di produzione Raytheon e Lockheed Martin?
Abbiamo bisogno di armi per combattere le guerre, oppure abbiamo bisogno di guerre per creare un mercato per le armi? Dopo tutto, le economie di Europa, Stati Uniti e Israele dipendono enormemente dalla loro industria delle armi. È l’unica cosa che non hanno delocalizzato in Cina!
Nella nuova Guerra Fredda tra Stati Uniti e Cina, l’India viene preparata a svolgere il ruolo che il Pakistan recitava come alleato degli Stati Uniti nella guerra fredda con la Russia. (E guardate cosa è successo al Pakistan!)
Molti di questi editorialisti e “analisti strategici” che stanno evidenziando le ostilità tra India e Cina, vedrete, possono essere messi in relazione direttamente o indirettamente a Fondazioni e Centri studi indo-usamericani.
Essere un “partner strategico” degli Stati Uniti non significa che i rispettivi Capi di Stato si scambiano di tanto in tanto telefonate amichevoli tra di loro.
Significa collaborazione (interferenza) a tutti i livelli.
Significa ospitare Forze Speciali statunitensi sul suolo indiano (un comandante del Pentagono ha recentemente confermato questo alla BBC).
Significa condividere informazioni di intelligence, modificare politiche agricole e energetiche, aprire settori della sanità e dell’istruzione agli investimenti globali. Significa liberalizzare il commercio al dettaglio.
Significa una partnership diseguale in cui l’India viene stretta in un abbraccio forzato e fatta ballare il valzer intorno alla pista da un partner che la incenerirà nel momento in cui rifiutasse di ballare.
Nella lista dei “partner istituzionali” della ORF, troverete anche la RAND Corporation, la Fondazione Ford, la Banca Mondiale, la Brookings Institution (la cui missione dichiarata è di fornire “raccomandazioni innovative e pratiche che promuovano tre grandi obiettivi: rafforzare la democrazia degli Stati Uniti, favorire lo sviluppo economico e il benessere sociale, la sicurezza e le opportunità di tutti gli Statunitensi, e dare sicurezza ad un sistema internazionale più aperto, più protetto, prospero e di cooperazione).
Fra questi partner potrete troverete anche la Fondazione Rosa Luxemburg della Germania. (Povera Rosa, morta per la causa del comunismo, vede il suo nome su un elenco come questo!)
Anche se il capitalismo si intende essere fondato sulla concorrenza e la competizione, quelli al vertice della… catena alimentare si sono dimostrati anche capaci di inclusione e solidarietà. I grandi Capitalisti Occidentali hanno fatto affari con fascisti, socialisti, despoti e dittatori militari. Possono adattarsi e rinnovarsi costantemente. Sono in grado di esercitare rapidità di decisione e immensa astuzia tattica.
Ma, malgrado abbiano potenziato con successo le riforme economiche, malgrado abbiano scatenato guerre e occupato militarmente paesi al fine di insediare “democrazie” di libero mercato, i Capitalisti stanno attraversando una crisi la cui gravità non si è ancora rivelata del tutto.
Marx affermava: “Dunque, ciò che la borghesia genera, soprattutto, sono coloro che le scaveranno la fossa. La sua caduta e la vittoria del proletariato sono allo stesso modo inevitabili.”
Il proletariato, come Marx aveva ben osservato, è stato sempre sotto continui attacchi. Le fabbriche hanno chiuso, i lavori sono scomparsi, i sindacati sono stati sciolti.
I proletari, nel corso degli anni, si sono contrapposti gli uni contro gli altri in ogni modo possibile. In India, sono stati gli Indù contro i Musulmani, gli Indù contro i Cristiani, i Dalit contro gli Adivasi, casta contro casta, regione contro regione.
Eppure, in tutto il mondo, si sta reagendo con le lotte. In Cina, non si contano più gli scioperi e le sommosse. In India, le persone più povere del mondo si sono contrapposte  per fermare alcune delle più ricche compagnie e società nel loro percorso.
Il Capitalismo è in crisi. La teoria della “ricaduta dall’alto” (Trickledown) è fallita. Ora è in difficoltà anche la teoria dei “flussi dal basso verso l’alto” (Gush-Up). La catastrofe finanziaria internazionale è prossima. Il tasso di crescita dell’India è crollato al 6,9 per cento. Gli investimenti esteri si stanno ritirando. Le principali società internazionali stanno sedute su mucchi enormi di soldi, sono incerte su dove investire, non sono sicure su come la crisi finanziaria si svilupperà. Questa è la grande spaccatura strutturale nel colosso del capitalismo mondiale.
Gli effettivi “becchini” del Capitalismo alla fine possono risultare i suoi Cardinali deliranti, che hanno trasformato l’ideologia in una fede. Nonostante la loro brillantezza strategica, sembrano avere difficoltà a cogliere un dato di fatto semplice: il Capitalismo sta distruggendo il pianeta. I due vecchi trucchi che lo hanno sottratto alle crisi del passato – la Guerra e i Consumi - semplicemente non funzioneranno più.
Sono rimasta per lungo tempo all’esterno di Antilla a guardare il sole tramontare. Ho immaginato che la torre fosse tanto profonda quanto era alta. Che fosse conficcata nel terreno per 27 piani, con radici serpeggianti sotto terra, succhiando avidamente il suo sostentamento dalla terra, trasformandolo in nero fumo e oro.
Perché gli Ambani hanno scelto di chiamare il loro edificio “Antilla”?
“Antilla” è il nome di una serie di mitiche isole la cui storia risale ad una leggenda iberica dell’Ottavo secolo. Quando i Musulmani conquistarono la Spagna, sei vescovi cristiani visigoti e i loro parrocchiani si imbarcarono e fuggirono sulle navi. Dopo giorni, o forse dopo settimane, in mare, arrivarono ​​alle isole di Antilla, dove decidevano di stabilirsi e di dare inizio ad una nuova civiltà. Bruciarono le loro navi per recidere in modo definitivo i legami con la loro terra dominata dai “barbari”.
Chiamando “Antilla” la loro torre, gli Ambani sperano di recidere i loro legami con la povertà e lo squallore della loro terra e dare inizio ad una nuova civiltà? È questo l’atto finale del movimento separatista di maggior successo in India? La secessione e l’esodo delle classi medie e alte verso lo spazio siderale?
Mentre la notte scendeva su Mumbai, fuori dai cancelli che vietano l’accesso ad “Antilla” sono apparse guardie in camicie di fresco lino munite di walkie-talkie crepitanti. Le luci divampavano, forse per scacciare via i fantasmi.
I vicini si lamentano che luci sfavillanti di “Antilla” hanno rubato la notte. Forse, è giunto il tempo per noi di conquistare la restituzione della notte!
 N.d.T.:
(1) Gioco di parole: “Trickle down” significa “gocciolamento”. In economia esprime la teoria secondo la quale, con una politica favorevole ai  detentori di grandi  ricchezze, si ottiene anche, appunto “per gocciolamento”, l'arricchimento di tutti, e quindi anche dei meno abbienti.
(2) Il Feng Shui e il Vastu sono lo Yoga dell’abitare, quindi un insieme di pratiche di lettura e interpretazioni del paesaggio, dell’architettura e degli spazi interni che evita gli influssi negativi grazie al rispetto delle due forze cosmiche opposte e complementari Yin e Yang. Quando una delle energie Yin e Yang predomina sull’altra si ha uno squilibrio che può causare malessere. Compito del Feng Shui e del Vastu è quello di ripristinare, attraverso opportune correzioni, questo equilibrio dinamico.
(3) In India, vengono chiamati “Naxaliti” i ribelli maoisti. Il termine deriva dal villaggio di Naxalbari, nello Stato del Bengala Occidentale, dove nel maggio del 1967 è scoppiata una rivolta di contadini poverissimi contro i latifondisti locali.
Il Sampurna Kranti (la Rivoluzione Totale), un programma di radicale trasformazione della società, è stato ideato da Jayaprakash Narayan, un vecchio discepolo di Gandhi.
(4) Nel 2010, l’United progressive alliance (Upa), la coalizione di governo di cui il Congresso è il partito più importante,  è rimasta impantanata nel più grosso scandalo di tangenti nella storia dell’India post-coloniale. L’inchiesta si è concentrata sulla svendita di concessioni governative per l’installazione di una rete wireless di seconda generazione (second generation → 2g). Il dossier investigativo, “2g spectrum scam”, ha chiamato in causa le tre più importanti compagnie telefoniche del sub continente: Swan Telecom, Unitech Wireless e Releiance Telecom. A conti fatti, si è giunti a far luce su una perdita del Tesoro federale di 39 miliardi di dollari. Il ministro delle telecomunicazioni, Andimuthu Raja, è stato costretto a rassegnare le dimissioni. Successivamente, pur avendo ribadito sempre la propria innocenza, Raja è stato arrestato.
(5) Il Salwa Judum (“Cacciatori della Purificazione”) è una milizia del Chhattisgarh, creata per opporsi ai guerriglieri Naxaliti che si ispirano al maoismo. La milizia consiste di giovani delle tribù locali addestrati dal governo dello stato del Chhattisgarh. Il 12 luglio 2011, la Corte Suprema dell’India ha dichiarato la milizia incostituzionale, già criticata in passato per le sue violazioni dei diritti umani e l’impiego di bambini soldato.
(6) Il maccartismo fu un periodo della storia degli Stati Uniti caratterizzato dall'intenso sospetto anticomunista e da crescenti paure di "influenze comuniste" sulle istituzioni statunitensi, durato dai tardi anni ‘40 fino a circa la metà del decennio successivo. Prende il nome da Joseph McCarthy, senatore repubblicano del Wisconsin attivo in politica in quegli anni e ferocemente anticomunista.
(7) Da “Internazionale”, 29 agosto 2011: I metodi di Anna Hazare saranno anche gandhiani, ma le sue rivendicazioni proprio no. Contrariamente alle idee di Gandhi sul decentramento del potere, il progetto di legge “jan lokpal” è un provvedimento draconiano, il quale prevede tra l’altro che una commissione attentamente selezionata amministri una burocrazia gigantesca, con migliaia di dipendenti e con il potere di sorvegliare tutti, dal primo ministro ai membri del potere giudiziario e del parlamento e a tutta l’amministrazione, giù fino al più oscuro funzionario governativo. La “jan lokpal” avrà il potere di indagare, sorvegliare e perseguire. Salvo per il fatto che non avrà carceri proprie, sarà un’amministrazione indipendente volta a contrastare l’amministrazione elefantiaca, irresponsabile e corrotta che già abbiamo. Due oligarchie al posto di una, insomma.
(8) L’ANC, il più importante partito politico sudafricano, fondato nell’epoca della lotta all’apartheid è rimasto ininterrottamente al governo del paese dalla caduta di tale regime, nel 1994, a oggi.
(9) Il Partito della Società Maggioritaria (Bahujan Samaj Party; BSP) è un partito politico dell’India di ispirazione socialista, influenzato dalle teorie di Bhimrao Ramji Ambedkar, principale estensore della Costituzione indiana, fondatore del Movimento Buddhista Dalit e sostenitore dell’emancipazione della casta Dalit, gli “intoccabili”. L’espressione “Bahujan Samaj” è utilizzata, infatti, per rappresentare la parte maggioritaria della società indiana privata spesso dei più elementari diritti umani. 



Tlaxcala
Fonte: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=29917
Data dell'articolo originale: 20/03/2012
URL dell'articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=7138 

martedì 17 aprile 2012

GIOCHI DI GUERRA SULLA PELLE DEI SARDI


Sardegna, unità nucleari Usa.

di Gianni Lannes
Sulla grande isola ad ovest dello Stivale che scruta la penisola iberica nel bel mezzo del Mar Tirreno, ormai da decenni la primavera viene annichilita dall’impronta bellica. Altro che cartolina vacanziera. Anche quest’anno in mare lo scenario infernale non muta. «Esercitazioni a fuoco: lanci di missili e razzi nel mese di marzo, aprile, maggio e giugno 2012». Le ordinanze 41, 43, 48 e 51 dalla Capitaneria di porto diCagliari - a firma del capitano di vascello Vincenzo Di Marco su ordini superiori della Difesa imposte con procedura d’urgenza - ordinano l’interdizione alla navigazione, all’approdo, alla pesca ed ai mestieri affini, entro le acque territoriali comprese nella giurisdizione del circondario marittimo cagliaritano.

Al miglior offerente - In affitto. Il 29 novembre 2006 l’allora Capo di Stato Maggiore dell’aeronautica, Vincenzo Camporini dichiarava in un’audizione alla Camera: «Le elevate potenzialità delle strutture militari della Sardegna, per l’addestramento operativo di forze aeree sono diventate oggetto di interesse di vari Paesi alleati e amici. In particolare di francesi e tedeschi. La Francia è infatti disposta a integrare le strutture già presenti in Corsica. Mentre la Germania è orientata a ottimizzare gli oltre 13 milioni di euro che versa ogni anno all’Italia per l’utilizzo di un’altra base sarda, quella di Decimomannu». Capo Frasca, Capo Teulada e Salto di Quirra sono gli scenari più evidenti di occupazione militare. Solo a Capo Frasca ci sono a disposizione 1.416 ettari. A gestire il poligono è proprio l’aeronautica. E a Capo Frasca insistono un eliporto, impianti radar e basi di sussistenza. “La Difesa ci ridia la baia”: l’amministrazione comunale di Terteniachiede al Poligono di Quirra la restituzione agli usi civili dei quattro ettari in riva al mare dove alloggia la postazione militare di Punta Is Ebbas. La richiesta è stata inoltrata invano, ben 5 anni fa dal sindaco Pisu al ministero della Difesa.

USA.


Terra promessa - Gli ultimi a sbarcare sono stati i militari israeliani, con la stella di Davide in evidenza, per testare armi e munizioni proibite da usare contro ipalestinesi, bambini, pacifisti e giornalisti compresi. Ma in questo feudo dello Stato Maggiore Difesa hanno sperimentato in tanti. Un vergognoso esempio? Lo Stato italiano, segretamente, dopo aver siglato il Trattato internazionale di non proliferazione nucleare, ha seguitato a provare il missile atomico Polaris, in collaborazione con Fiat, Ansaldo e Marina Militare tricolore. Insomma, siamo sbarcati in un centro d’eccellenza dove si sondano nuovi armamenti. I clienti non latitano. Sul poligono piovono nel 2007 soldi aerospaziali: un milione di euro. Dalla ricerca aerospaziale arriva sull’Ogliastra una pioggia di denaro. Un milione e duecentomila euro per tre anni con la possibilità di rinnovare l’accordo per ulteriori dieci anni: questa la somma che il Centro italiano di ricerche aerospaziali (Cira) verserà al ministero della Difesa per l’utilizzo del Poligono Sperimentale Interforze del Salto di Quirra. Lo ha detto, qualche tempo fa, il sottosegretario alla Difesa,Emidio Casula, secondo cui «si tratta di un primo concreto esempio di impiego per scopi civili delle professionalità e delle attrezzature del Pisq che dimostra concretamente di essere una risorsa preziosa per i programmi di sviluppo aerospaziale nazionale».  A Quirra si sprofonda attraverso una strada che solca un inferno in terra. Un pugno di case e nessuna industria. Le persone giungono qui a raccogliere i funghi e a fare qualche bagno nel mare proibito. Ci sono agrumeti: arance e limoni che i sardi ti regalano con sguardo fiero. 

C’erano, una volta, le pecore al pascolo libero. Ora è difficile intravederle: i pastori versano lacrime di sangue, molti agnelli sono nati deformi. A un tiro di schioppo dal centro abitato si staglia una lunga cesoia di filo spinato e un check point: tredicimila ettari di poligono per eserciti che giocano alla guerra, incuranti delle ferite sanitarie inferte alle persone natie e dei danni ambientali al luogo. Piombano in mimetica, ma anche in giacca e cravatta. Dal microcosmo dei civili si avvertono solo esplosioni e si paga con il proprio sangue; nulla più in omaggio dallo Stato alla gente del luogo. «Quirra si è accorta di essere malata quando è venuta a sapere del primo militare sardo ucciso dall’uranio impoverito», racconta Mariella  Cao, antica combattente civile del “Comitato gettiamo le basi”. Corre il 1999 e l’Italia sta combattendo una guerra in ex Jugoslavia. Si inizia a balbettare di Sindrome dei Balcani. In Sardegna, invece, va in scena la morte di Quirra. Sotto accusa i proiettili all’uranio impoverito, arma potente e a basso costo capace di trasformare le corazze in burro. «Se nei teatri di guerra usavano quel tipo di proiettili da qualche parte dovevano pur testarli» continua Cao.

Servitù infinita - «La Sardegna dal mare alla terraferma è occupata dalla più estesa servitù militare d’Europa» rivela l’ammiraglio Falco Accame, ex presidente della Commissione parlamentare Difesa. In quest’isola è concentrato l’80 per cento dei centri di sperimentazione bellica in Italia. Nell’isola il demanio militare permanentemente impegnato ammonta a 36 mila ettari; in tutta la penisola italiana raggiunge i 16.000 ettari. Questa cifra integra i 12 mila ettari gravati da servitù militare. Gli spazi aerei e marittimi sottoposti a schiavitù militare sono di fatto incommensurabili, solo uno degli immensi tratti di mare annessi al poligono Salto di Quirra con i suoi 2.840.000 ettari supera la superficie dell’intera isola (kmq 23.821). Tradotto: durante le esercitazioni viene interdetto alla navigazione, alla pesca e alla sosta marittima un braccio di mare immenso: quasi 30 mila chilometri quadrati attorno all’isola. Tutto segreto. Oltre agli accordi Nato, sono vigenti i patti bilaterali Italia-Usa per installare in Sardegna avamposti militari gestiti direttamente ed esclusivamente dai militari nordamericani: questi atti sono stati assunti dai governi italiani (responsabilità particolare di Giulio Andreotti) calpestando la Costituzione e senza informare il Parlamento.

«Sa die de sa vardiania»: il giorno della sorveglianza, recita un cartello in lingua sarda. A Quirra, minuscola frazione di Villaputzu in provincia di Cagliari, la popolazione seguita a morire. Decine di persone uccise dalla leucemia in un paese di 150 abitanti e 14 bambini nati con gravi malformazioni. Numeri da scenario di guerra in un belpaese in letargo. Abbonda l’uranio artificiale a Quirra: qui aleggiano -secondo gli accertamenti ufficiali- valori di radioattività cinque volte superiori alla norma. Lo hanno scoperto il 26 febbraio 2011 gli esperti inviati dalla Procura della Repubblica di Lanusei per un’ispezione nel poligono. «Lo hanno trovato all’interno di cinque cassette, sistemate in un deposito di materiali speciali, compreso il munizionamento rimasto inesploso dopo le esercitazioni e in attesa di una futura distruzione. Magazzino senza nessuna misura di protezione o di sicurezza, senza nessun cartello di pericolo, dove l’accesso era libero per chiunque lavori all’interno della base» mi spiega la Cao.


Accertamenti - Il deposito si trova a Capo San Lorenzo, ad un soffio dalla spiaggia e dalla zona dove, secondo i veterinari delle Asl di Lanusei e Cagliari, si sono ammalati di cancro nel sangue gran parte dei pastori. È una solida conferma nell’inchiesta del procuratore Domenico Fiordalisi. Il deposito di Quirra è stato sequestrato e sigillato, le cinque cassette metalliche altamente radioattive sono state consegnate al professor Paolo Randaccio, fisico nucleare dell’Università di Cagliari. 

Nel poligono di Salto di Quirra - secondo la Relazione conclusiva della Commissione tecnica - «le indagini hanno mostrato la sussistenza di reali impatti negativi sulle aree ad alta densità militare e zone adiacenti accanto ad ampie porzioni di territorio che non sembrerebbero interessate da significative contaminazioni».  Anche in altri poligoni, come sostiene il parlamentare Scanu in una  recente mozione, «si sono verificate situazioni inaccettabili di grave degrado ambientale, come ad esempio nel poligono Delta presso il poligono di Capo Teulada, interdetto anche al personale della base e giudicato non bonificabile dalle autorità militari».

L’ispezione è scaturita dalle denunce presentate alla Squadra mobile di Nuoro. Gli inquirenti hanno potuto appurare che in quei magazzini diversi soldati che lavoravano come magazzinieri si erano ammalati tutti della stessa patologia:linfoma di Hodgkin. Uno dei tumori più aggressivi. La Procura di Lanusei indaga per «omicidio plurimo, danni ambientali e omissione di controllo». Il poligono di tiro della Difesa viene utilizzato anche da altri eserciti e da multinazionali degli armamenti che testano armi di ogni tipo, coperti dal segreto di Stato, dagli omissis della Nato e delle industrie di morte. Gli inquirenti hanno scovato nell’ordine: un missile con 100 chili di esplosivo impigliato nelle reti di un peschereccio, una discarica sottomarina fatta di vecchie bombe e rottami di radar e un sito abusivo pieno di bersagli.

Numeri da incubo - Nel 2006 interviene la Regione Sardegna: si esamina un campione di 26.130 abitanti su un territorio di 10 comuni. Il periodo di riferimento va dal 1981 al 2001. Risultato? Si rileva una crescita di tumori del sistema linfoemopoietico. Significa mielosi e leucemie. Trentasei morti. Sopra la media, ma non abbastanza da non rappresentare una prova diretta e inequivocabile. In effetti, per verificare se in quel territorio ci sono troppi tumori basta fare una banale operazione aritmetica. Bisogna incrociare i dati dell’indagine della Regione con le cifre fornite dall’Asl 8 sui casi a Villaputzu tra il 1998 e il 2001 e su quelli a Muravera-San Vito nell’anno 2000. Risultato? Il 75 per cento dei morti - 27 su 36 - sono concentrati in un piccolo pezzo di terra tra Villaputzu, Muravera e San Vito. Un’area, nemmeno troppo popolata, che non ha nulla attorno, se non il poligono militare. E, per la cronaca, i 14 morti di Villaputzu sono quasi tutti nella frazione di Quirra, che conta 150 abitanti. Nel gennaio del 2011 arriva un’ulteriore conferma. Due veterinari dell’Asl di Cagliari e Lanusei, insospettiti dall’eccessivo numero di pecore malformate, iniziano a contare quanti uomini e quanti animali si ammalano. Risultato? Dieci pastori su 18 che lavorano entro un raggio di 2,7 chilometri dalla base hanno la leucemia.

Vittime insabbiate - Un lancio dell’agenzia Agi (2 aprile 2007) avvertiva: «Capo Frasca: Accame, “avieri sgombra-bossoli morti o ammalati”. Nel poligono militare di Capo Frasca, in Sardegna, giovani avieri erano impiegati nella raccolta a mani nude degli ordigni sganciati dagli aerei durante le esercitazioni militari. Lo denuncia il presidente dell’Anavafaf, l’Associazione nazionale assistenza vittime arruolate nelle forze armate e famiglie dei caduti, in riferimento ai casi di Ugo Pisani, Gianni Fredda e Maurizio Serra, che prestarono servizio come Vam, addetti alla vigilanza dell’aeroporto, nel poligono sardo». L’assassino è conosciuto con la sigla U 238: uranio impoverito che ha tolto la vita a Gianni Faedda e Maurizio Serra due Vam del poligono di Capo Frasca costretti a sgomberare a mani nude e senza nessuna protezione dalle polveri di uranio impoverito i proiettili sganciati dagli aerei nella base addestrativa. Nel 2006 il padre di uno dei due avieri morti, Antonio Serra, aveva incaricato l’avvocato di avviare la battaglia legale per il risarcimento dal ministero della Difesa ai sensi della legge 308/81, che prevede elargizioni speciali per infortunio o decesso in servizio. Ma undici mesi più tardi il Ministero ha negato l’indennizzo.

Bombe a Capo Teulada - Gli ordigni sono adagiati sul fondo del mare. Basta allungare lo sguardo, oltre il manto trasparente dell’acqua, per distinguere i letali cilindri metallici. “Bombe sono”, dice Antonio Loru, volto marchiato dal sole come quello degli altri pescatori di Teulada e Sant’Anna Arresi. I quali, appese reti e nasse al recinto del Poligono militare di Capo Teulada, sono scesi in sciopero. E’ dal dicembre 2003 che protestano pubblicamente, ma le istituzioni statali non ascoltano. Quando le condizioni meteomarine lo consentono, escono sui loro pescherecci a sfidare i giochi di guerra, rallentando una macchina bellica che non ammette soste forzate. Stazionano giornate intere nelle acque su cui il transito è permanentemente vietato. E rischiano anche di prendersi qualche cannonata, scendendo in mare a manovre iniziate. Infatti, proprio come i civili che nell’isola portoricana di Vieques, hanno costretto gli americani a abbandonare la base, i pescatori occupano le zone di tiro durante le esercitazioni. Qui hanno gettato le reti per decenni nei giorni in cui non si sparava. Adesso non possono più farlo. Da qualche tempo fioccano le multe: due tre, cinquemila euro. E i settanta pescatori invisibili all’opinione pubblica nazionale si sono ribellati. Chiedono a gran voce la bonifica di almeno qualche miglio lungo la costa. Hanno barche piccole, nasse e tramagli devono essere calati su fondali non tropo alti. Fondali che pullulano di bombe. Questa zona che va all’incirca da Porto Pino all’Isola Rossa, è permanentemente interdetta al transito dei mezzi e delle persone per la presenza di residuati esplosivi «di cui non è possibile o conveniente la bonifica», asserisce lo Stato maggiore dell’Esercito italiano. L’operazione di ripulitura comporterebbe dieci, quindici anni di lavoro e una spesa che, si ipotizza, potrebbe oscillare intorno a qualche centinaio di miliardi di vecchie lire. I pescatori chiedono di svolgere la loro attività nell’immensa zona a mare interdetta, l’unica accessibile alle loro piccole imbarcazioni, ed “esigono” che l’area, come impongono leggi e regolamenti delle Forze Armate italiane, sia bonificata, ripulita dall’accumulo di ordigni bellici esplosi e inesplosi. Per poter ripulire il tratto di mare sottoposto da 50 anni a schiavitù militare e mai bonificato, a detta di alcuni militari, bisognerebbe sospendere tutte le attività del poligono per circa 15 anni.

Uraniopoli - Un ammiraglio ha valutato “a occhio” i costi dell’operazione e ha affermato (rifiutando che fosse messo a verbale) che “per la Difesa sarebbe economicamente più conveniente regalare una villetta in Tunisia a tutti i teuladini accollandosi anche le spese di trasferimento”. Quante sono le bombe? Un numero indefinito, gli stessi militari non sanno dire. Sono un omaggio per quasi mezzo secolo di attività del Poligono militare di Capo Teulada. Alcune forse inattive, altre solo inesplose. Ma chi potrebbe distinguerle? “Io combatto da 65 anni. C’era la guerra quando sono nato e non è ancora finita”, commenta ancora Loru. “Da 33 anni mi sveglio alle 4 del mattino per pendere il mare, ma sono a casa mia”. Aveva 12 anni quando la sua e altre 250 famiglie furono costrette a svendere la casa per quattro lire per consentire la costruzione del Poligono.

E’ un conflitto lungo, estenuante, complicato, perché le forze militari internazionali pagano salato, per martoriare con ordigni d’ogni genere (compreso l’uranio impoverito, come documentano le relazioni di servizio della Nato) questi 7.200 ettari di terra - e uno specchio di mare largo all’incirca un quinto dell’isola - acquistati dalle famiglie che abitavano lì. Ma il peso contrattuale di questo nugolo di pescatori cresce: maggiore è l’esercitazione che disturbano, maggiore il danno. Nel frattempo, la popolazione del comune di Teulada, dimezzatasi dacché esiste il Poligono, registra ufficialmente il notevole incremento di svariate forme tumorali e già nel 2000, prima che fosse di dominio pubblico la questione dell’uranio impoverito, sui muri del paese si leggeva: «Benvenuti a Uraniopoli». Il colonnello Mongiorgi, comandante del Poligono, nega con fermezza che vengano utilizzate armi all’uranio e dice: “Controlliamo le munizioni di tutti quelli che vengono qui a sparare”. Anche quelle delle navi straniere? Risposta: “No comment”.

Le esercitazioni navali - come quelle della Seconda flotta Usa, che viene a sparare qui soprattutto da quando è stata cacciata dall’isola di Vieques, segnata dall’alto grado di tumori e malattie polmonari, cardiache, cardiovascolari, da diabete e alta mortalità infantile - si effettuano con cannonate che dal mare puntano verso terra e comportano l’interdizione di un tratto di acqua molto ampio. Un esempio illuminante quanto alla considerazione militare per l’incolumità della popolazione civile proviene addirittura dagli States. Dal 1977 ogni tre mesi la US Navy svolge esercitazioni a pochi chilometri dalla costa statunitense, sparando proiettili all’uranio impoverito che vengono così disseminati in mare, in aree che sono al tempo stesso dedite alla pesca. E’ il nome del cannone prodotto dalla Raytheon e installato su quasi tutte le navi da combattimento statunitensi; spara fino a 4500 proiettili da 20 millimetri al minuto, contenenti un penetratore di uranio impoverito da 15 millimetri. Noncurante dei gravi rischi ambientali, la US Navy ha da sempre optato per l’economico ma letale uranio impoverito, e, continua ad utilizzarlo nonostante tempo fa avesse annunciato l’intenzione di passare al tungsteno. Solo di recente Glen Milner del gruppo pacifista Ground Zero è venuto in possesso di un documento che dimostra come la marina militare continui ad utilizzare per queste esercitazioni proiettili all’uranio impoverito, e le svolga in aree vicino alla costa di Washington e Seattle. Ciò ha suscitato notevoli preoccupazioni tra i pescatori e nella popolazione locale, anche perchè sono note le conseguenze dell’uso di queste armi nell’ambiente durante le guerre in Iraq, Jugoslavia e Afghanistan. La US Navy non ha fornito informazioni ulteriori su come si svolgono queste esercitazioni, ma i cittadini delle zone coinvolte sono comunque determinati a fare chiarezza e in caso a denunciare la marina militare statunitense.

E’ comunque difficile per gli autoctoni, che di incidenti ne hanno visti e subiti parecchi, credere che sia tutto sotto controllo. Sanno bene, infatti, che le bombe inesplose nei fondali vengono trascinate dalle correnti anche miglia e miglia oltre le zone interdette. Spesso le cannonate sparate dal Poligono piovono sulla zona libera di Porto Pino, sorvolando le teste dei residenti e degli occasionali visitatori. E succede anche che i carristi finiscano sempre per errore con i loro cingolati in qualche centro abitato. Le maggiori preoccupazioni, tuttavia, riguardano i rischi per la salute. L’incidenza di leucemie, tumori e malformazioni alla nascita nelle zone intorno alle basi militari è una coincidenza che spalanca squarci inquietanti e imbarazzanti. Un sempre maggiore numero di cittadini sardi -sostenuti dal Comitato Gettiamo le Basi- chiede che i poligoni e la basi dell’isola siano sottoposti a indagine super partes, a controlli permanenti e scientificamente qualificati: da Teulada a Quirra, da Perdasdefogu a Decimomannu, fino a Capo Frasca e alla base Usa di sommergibili a propulsione ed armamento nucleare di Santo Stefano (arcipelago La Maddalena), sloggiata nel 2008.

Verità e giustizia - «Per gli uccisi da veleni di guerra e di poligono» esigono alcune associazioni locali: “Comitato Sardo gettiamo le basi”, Famiglie militari uccisi da tumore”, “Comitato Su Santidu”, “Comitato Amparu”. Si chiede di fermare la strage di Stati. «Dal 15 luglio 2011 il rappresentante del Governo ci offre molte parole di umana comprensione, il Governo permane in silenzio tombale» ripetono i responsabili delle associazioni in pacifica mobilitazione. La Procura della Repubblica di Lanusei con prove inoppugnabili ha risolto il mistero - che da 11 anni si vuole tale - del disastro ambientale e sanitario causato dal poligono Quirra-Perdasdefogu. Ha trovato alcune delle “armi del delitto”: lo smaltimento della spazzatura bellica Italia-Nato, sia in discariche fuorilegge, sia con i brillamenti fuorilegge, e conseguente contaminazione di aria, suolo, acque; le emissioni radar; il torio radioattivo sparso dai missili, accumulato e conservato nelle povere ossa degli uccisi. Ha messo sotto accusa: alcuni degli intoccabili in divisa, otto generali, un maggiore, due colonnelli, il tenente ex sindaco di Perdasdefogu; alcuni complici di alcuni dei depistaggi, i sei responsabili di due indagini “scientifiche” truffa approntate dal ministero della Difesa; due esponenti della vasta “zona grigia” dedita all’ostinata rimozione dell’evidenza. Il sindaco di Perdasdefogu e l’epidemiologo  medico competente del poligono sono indagati per ostacolo aggravato alla difesa da un disastro e favoreggiamento aggravato. Nulla toglie alla dimostrazione oggettiva del nesso causale tra le attività militari e la strage l’ipotesi, purtroppo realistica,  che “gli intoccabili” evitino l’accusa di omicidio plurimo volontario. I meandri e i mille rivoli della catena di comando, la distribuzione di responsabilità in un groviglio inestricabile di livelli (dal soldato che ha eseguito l’ordine al Capo Supremo delle Forze Armate Italiane, ai vertici Nato) garantiscono l’anonimato, rendono improbabile individuare gli assassini con nome e cognome. 


Il Governo Monti ha l’obbligo impellente di sospendere subito le attività dei poligoni che devastano la Sardegna, non solo in base al principio di precauzione, ma anche in osservanza degli atti parlamentari d’indirizzo per l’Esecutivo, datati  23 febbraio 2011, che hanno impartito la direttiva di chiudere i poligoni “ove emergessero oggettive situazioni di rischio” o “qualora risultasse un collegamento con l’alta incidenza dei tumori registrata”. Le due mozioni complementari del centrodestra e del centrosinistra, approvate dal Senato all’unanimità, sono un punto fermo. L’indagine della Procura, con la forza dell’evidenza sostenuta da prove inconfutabili, ha fatto cadere “ogni ragionevole dubbio” sul nesso causa-effetto. Non esistono più scappatoie. Ricordiamo le parole pronunciate in aula il l’anno scorso dal firmatario della mozione della maggioranza Pdl a sostegno della chiusura dei poligoni in Sardegna: «C’è un dato ormai acclarato. In quei territori abbiamo un’incidenza particolarmente alta di tumori (…) vi sono anomalie nella nascita degli animali allevati. Insomma il nesso esiste ed ormai non possiamo procrastinare una decisione». Si esige dalla Regione Sardegna «l’apertura di una vertenza forte con lo Stato e faccia valere in tutte le sedi e con tutti gli strumenti di sua competenza: la cessazione dei “giochi di morte” del ministero della Difesa e delle Forze Armate; il diritto alla salute e all’ambiente salubre; il diritto all’equa distribuzione dei gravami militari; l’obbligo di chi ha inquinato a disinquinare e farsi pieno carico dei danni». Dal Governo Monti, invece, si pretende «la sospensione delle attività dei poligoni dove si sono registrate le patologie di guerra; l’evacuazione dei militari esposti alla contaminazione dei poligoni di Teulada, Decimomannu-Capo Frasca, Quirra; il ripristino ambientale, bonifica seria e credibile delle aree contaminate a terra e a mare; il Risarcimento ai malati e alle famiglie degli uccisi, ed il risarcimento al popolo sardo del danno inferto all’isola». 

Cagliari 31 - 16mar2012
Cagliari 35 - 16mar2012
Ordinanza 41 – 2012
Ordinanza 51 – 2012

Jaap de Hoop Scheffer.

Neonato malformato.

Guerra.

lunedì 16 aprile 2012

Il principe “Sardus Pater”, l'emiro si vedrà



carta sardegna
Da mezzo secolo il racconto sulla Costa Smeralda si replica sull'onda della prima compiaciuta versione dei fatti: il principe venuto per caso dal mare, che si innamora della Sardegna e via dicendo, la favola che inorgoglisce i sardi ai quali il cuore batte forte se il continentale gli dice che l'isola è bella e ospitale. Di più se dichiara passione, vera o complimentosa, per la pecora bollita.
E' resistente il patto per non rompere l'incantesimo. Basta conservare intatta l'astuta risorsa narrativa. Sorvolando sugli aspetti che possono guastare l' aura aristocratica, già messa a dura prova da mediocri billionaire. Meglio non fare troppo caso alla prosa dei bilanci: anche se Costa Smeralda come tutte le imprese si basa sui conti, che o tornano o non tornano. E che scompaiono sovrastati dal mito avvincente della vacanza (com'è in molta letteratura tra Otto e Novecento che ha come scenario i luoghi di villeggiatura).
I conti sono da sempre dettagli trascurabili nelle rappresentazioni di Costa Smeralda. E i passaggi di mano - da Aga Khan a ITT, Starwood, a Colony Capital di Tom Barrack - sono abilmente presentati come normali avvicendamenti tra ricchi-ricchi adeguati a curare l'amministrazione della leggenda: i debiti ereditati sono il giusto fardello per chi assume il prestigioso compito. Non importa se chi lascia si dimentica di spiegare in modo circostanziato gli scricchiolii del bilancio.
E' antipatico – lo so – chi ricorda che Karim Aga Khan è stato costretto ad abdicare per un buco notevole nei conti, come hanno scritto i giornali all'epoca. Se ha perso il controllo di Costa Smeralda è perché Ciga Immobiliare era gravata da uno scoperto di molte centinaia di miliardi di lire, per cui il patrimonio è passato in maggioranza a ITT Sheraton con l'assistenza di Mediobanca. Nello sfondo la protesta dei soci Fimpar contro la gestione dell'impresa, culminata nella infuocata assemblea di Milano del febbraio 1994.
Parlarne non toglie nulla ai meriti del principe e ai bei ricordi anni Sessanta, e l'appello accorato “ torni l'Aga Khan o almeno la principessa”, rilanciato ciclicamente, è immemore – occorre dirlo – e per molti versi incomprensibile. Come il titolo “Sardus Pater” che la Regione gli ha consegnato l'anno scorso in una cornice surreale.
Ecco la sintesi più recente di questo pensiero-vassallo su “La Nuova Sardegna” di qualche giorno fa. «Siamo soddisfatti dell’arrivo del Qatar in Sardegna, dice Luigi Crisponi, assessore regionale al Turismo, ma qui non si sta parlando di una squadra di calcio ma della Costa Smeralda, un territorio verso il quale la sensibilità e l’attenzione devono essere altissime. Proprio come aveva fatto l’Aga Khan. E se fosse vero che dietro l’operazione ci possa essere anche lui, o sua figlia, ne saremmo felicissimi». Una roba d'altri tempi: quando si facevano celebrare messe per chiedere la grazia di un erede al trono più buono e più indulgente del re.
Tom Barrack esce di scena con oltre 200 milioni di euro di debiti. Nessuno gli chiede di restare o di lasciare qualcuno dei familiari a proseguire la sua missione in terra sarda. Non è stato amato il libanese figlio di un fruttivendolo che compra e vende debiti, cacciatore di business malgestiti; una filosofia - “il debito è il nuovo capitale” - spiegata a “Panorama” nel 2010. E che chiarisce in qualche modo il suo rapporto con Costa Smeralda. «Certo comprare i debiti a sconto è sempre un ottimo affare, ristrutturare è sempre un business, la leva finanziaria resta fondamentale». Non sono piaciuti i toni da guascone di Barrack, che dopo il passivo di Karim ha comprato molti altri debiti ( tra cui il ranch di Michael Jackson indebitato), e ha perso al casinò un miliardo di dollari. Conosceva, da buon giocatore, il rischio quando è arrivato in Sardegna: Costa Smeralda è un'impresa turistica che ha più di un occhio volto all'intrapresa immobiliare, una ambiguità che riguarda il turismo in Sardegna.
L'emiro del Qatar Al Thani subentra, e soddisfa - pare - l'attesa di continuità almeno sul piano simbolico. A un principe succede un emiro, una guida monarchica nel suo Paese, dopo la parentesi che è già acqua passata. Nuovo giro senza un chiarimento però, non un piano industriale, per dirla con il linguaggio sindacale, ma neppure una lettera d'intenti, per ora. Alle istituzioni locali basta sapere che il nuovo padrone è uno degli uomini più ricchi del pianeta, confermando la tradizione; mentre c'è chi ricorda che il presidente della Regione Cappellacci è stato in Qatar con l'ex ministro degli Esteri nel novembre 2010 ( e ci è tornato alla fine del 2011, pare).
L'incitamento di Frattini del febbraio 2011 rivela di un piano che riguarda l'isola e che oggi è molto eloquente (http://www.aise.it/esteri/diplomazia/69460-frattini-ambasciate.html).
«Nelle Missioni in Cina, Kuwait, Qatar - dichiara Frattini- ho incontrato i capi dei Fondi Sovrani di quei Paesi. Gli abbiamo presentato le opportunità per creare joint venture e promuovere investimenti infrastrutturali sui sistemi portuali, nel settore impianti turistici. A dicembre, al primo ministro del Qatar, che è anche il capo del Fondo, abbiamo presentato un piano di sviluppo con centri turistici, commerciali e congressuali della Sardegna che vale un miliardo di dollari. Mi auguro che il governatore sardo Ugo Cappellacci voglia rapidamente seguire la presentazione di questo progetto agli interlocutori qatarini che sono sembrati estremamente interessati». Aspettiamo con curiosità.
La cifra versata non è poca cosa, nonostante la solidità dell'emiro che difficilmente compra Costa Smeralda per amore, specie se si considera che il valore stimato del patrimonio è circa tre volte il debito accumulato. Una valutazione che si capirà col tempo: se e in che misura hanno influito gli ottimi indicatori sul ricavo medio per camera venduta e le voci sulle destinazioni urbanistiche che interpretano annunci spavaldi, sentenze, impugnative del governo.
Sarebbe insomma interessante sapere se e come è stato rassicurato l'emiro che si impegna a ricapitalizzare. E da chi. E se per caso sia entrata nella trattativa la solita ipotesi di riavviare il ciclo edilizio nei 23mila ettari di proprietà. Se si disponesse di un' analisi del bilancio previsionale dell'impresa, svolta da specialisti, potremmo capire il senso del nuovo corso, che immaginiamo stia, grosso modo, tra buone intenzioni di potenziamento della ricettività e confuse promesse di modifiche del Ppr; quindi con il solito rischio che si chieda al paesaggio sardo di sacrificarsi per aiutare l'investimento del Qatar.

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