martedì 23 luglio 2013

L'ORO ALLA PATRIA ... L'ORO CHE GARANTIVA LA MONETA CIRCOLANTE ... L'ORO AMMASSATO IN USA, UK E SVIZZERA PER SALVARLO DAI COMUNISTI ... L'ORO PER LE ASTRONAVI ! MA SOPRATTUTTO L'ORO ITALIANO DOV'E' ? QUANT'E,' DI CHI E' ?

MA SOPRATTUTTO L'ORO ITALIANO DOV'E' ? QUANT'E' ? DI CHI E' ? 

DI GLAUCO BENIGNI 
glaucobenigni.blogspot.it 
According to the World Gold Council, bullion banks are investment banks that function as wholesale suppliers dealing in large quantities of gold. All bullion banks are members of the London Bullion Market


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Recentemente l'Oro è tornato ad essere un tema rilevante e strategico nel dibattito mondiale. “La notizia che la Germania vuole rimpatriare parte delle sue riserve auree dagli Usa e dalla Francia – scrive Robert Lenzner, ex banchiere e oggi analista di Forbes – fa molto preoccupare, perché è il primo grande segnale che la fiducia tra le Banche Centrali del mondo si sta deteriorando”. E quando la fiducia si incrina non si sa mai come va a finire. 

L'episodio non è isolato. Sono tanti i Paesi che negli ultimi 50 anni hanno ricoverato il loro oro nei grandi caveau americani e inglesi, ma ora lo rivorrebbero indietro. Tra questi Paesi ovviamente non poteva mancare l'Italia. “Sembra però” che ci siano dei problemi. 

Dopo aver trascorso 50 anni in casa straniera oggi l'Oro della Germania vorrebbe tornare in patria: per lo meno il 50% . Lo ha deciso recentemente la Bundesbank, la seconda grande proprietaria di riserve auree nel mondo. Perché e perché ora ? Ci sono diverse ragioni. In parte perché una lobby di economisti, legali e uomini d'affari tedeschi sta esercitando pressioni, ma non solo. La storia ha inizio lo scorso ottobre quando la Corte dei Conti tedesca ha richiesto un'ispezione presso i forzieri delle Banche Centrali che custodiscono il loro oro all'estero. Non era mai successo prima e ciò ha da subito innescato un'atmosfera da thriller internazionale. Inoltre c'erano precedenti ambigui. Secondo il magazine Der Spiegel : “nel 2007, dopo numerose richieste, alcuni ispettori della Bundesbank erano stati autorizzati ad entrare nel caveau della FED americana , ma … solo nell'anticamera ! Quattro anni dopo, in maggio 2011 gli ispettori fecero una seconda visita e stavolta ebbero modo di entrare in uno dei 9 compartimenti dove si trovava l'oro tedesco. Qualche lingotto venne pesato, ma l'esito di tali verifiche fu, su richiesta della FED, posto sotto segreto. Ahi, ahi, ahi!

Da quel momento si comincia ad elaborare un piano settennale di restituzione che avrebbe avuto inizio nel 2013 e si sarebbe dovuto concludere nel 2020. Oggetto: il trasferimento di 54.000 lingotti dai caveau di New York a quelli di Francoforte. Un'operazione (apparentemente) senza effetti collaterali sul mercato. In realtà tale da innescare un effetto domino.

Gli olandesi, che hanno solo il 10% del loro oro in casa e il resto nei caveau di New York, Ottawa e Londra, si sono agitati e hanno chiesto anche loro ispezioni e resoconti. Altri paesi si stanno disponendo a fare altrettanto. Ovviamente in tale scena gioca un ruolo anche la crisi dell'Euro. Secondo Peter Krauth, analista di Money Morning, “la Germania si sta preparando in caso di dissoluzione dell'area Euro e vuole il suo oro, eventualmente per sostenere un nuovo Deutsche Mark”. Questa ipotesi, che riporterebbe le lancette della storia monetaria indietro di 40 anni, è sostenuta anche da altri analisti e Autorità Monetarie. A questo punto si pone un dubbio? Ma l'Oro è ancora lì dove dovrebbe essere? Se così fosse perché ci vogliono 7 anni per farlo rimpatriare? Steve Scacalossi, vicepresidente della TD Security, dice che l'Oro “is allocated outside”, cioè la FED lo ha “prestato” o “dato in leasing” a qualcun'altro, quindi non si può restituire in tempi brevi perché ciò influirebbe negativamente sugli interessi che la FED percepisce da chi lo sta usando.

Keith Barron però, un geologo responsabile di imponenti ricerche minerarie, va giù più duro: “Credo che la maggior parte delle riserve auree del mondo occidentale, che dovrebbero essere nei caveau delle Banche Centrali Custodi, sia in realtà in mano di privati in India e ciò che rimane continua ad essere inoltrato verso l'Asia. Pertanto la maggior parte dell'oro occidentale “è sparito” (has been vanished) dai caveau ed è ora solo una voce di registro. Queste Banche Centrali e le Bullion banks (una bullion bank è una banca d'affari che funziona come trader all'ingosso di grandi quantità d'oro, ndr.) semplicemente “rollano” i contratti di locazione e l'oro non torna mai nelle nazioni d'origine.”
A conferma delle affermazioni di Barron c'è un tragico precedente.
Nel 1990 Drexel Burnham Lambert, una delle maggiori Banche d'Affari del tempo, andò in bancarotta coinvolta nello scandalo dei famosi junk bonds di Michael Milken. Pochi sanno che la Banca del Portogallo le aveva “prestato” 17 tonnellate d'oro. Oro che semplicemente evaporò. A quel tempo l'oro quotava 380 dollari per oncia. Qualche mese fa l'oro volava verso i 2000 dollari l'oncia … e questo valore fa la differenza. In questa nuova scena parlare di 7 mesi per la restituzione sarebbe anche pensabile, ma 7 anni no! Un tale periodo genera sospetti inevitabili. Sarebbe questo un tempo utile a “buy back” l'oro dato in prestito? E come si fa a “ricomprare” a 2000 dollari l'oncia un bene che in passato valeva molto, molto meno? Le Banche Custodi che incautamente hanno fatto circolare “fuori casa” l'oro che era stato loro affidato, oggi dovrebbero dissanguarsi per riottenerlo e restituirlo. E dovrebbero anche cancellarlo dai loro libri contabili.
Fra l'altro, se la Germania insiste e si tira dietro altre nazioni, il mercato dell'oro fisico potrebbe reagire in modi impensabili. Le Banche Centrali di molte nazioni emergenti (come vedremo) stanno acquistando come mai in passato. Il prezzo potrebbe andare alle stelle. In ogni caso la parola d'ordine che sta circolando è “ridateci il nostro oro fisico”.
Non ostante il dialogo tra i vari gestori dei Forzieri sia da sempre piuttosto “riservato” oggi cominciano a trapelare informazioni alimentate da un sospetto: “Vuoi vedere che c'è meno oro nelle casse delle Banche Centrali Custodi di quanto viene riportato ufficialmente ?”.
Cerchiamo di ricostruire un po' di questa storia misteriosa. Una storia che vede protagonista un metallo tanto nobile quanto losco. Un metallo che ha reso schiavi milioni di uomini nelle miniere, che ha provocato guerre e distruzioni, che ha creato ricchezze oscene...

Negli ultimi 4 decenni lo svuotamento dei caveau sarebbe avvenuto in 2 modi: attraverso aste e operazioni segrete.
Le aste erano il modo più semplice e ufficiale. Un primo dato comparve nel 1975, quando venne rivelato che le riserve auree totali di tutte le nazioni e organizzazioni internazionali del mondo ammontavano a 36.700 tonnellate. Il Global Finance Power decise di mandarle all'asta e di “ottimizzare” le procedure di cessione, scambio, leasing. Il processo, su grande scala, era stato innescato dall'abolizione del gold standard dollar, effettuata da Nixon nel 1970-71. Dopo secoli, l'Oro perdeva il suo ruolo di massimo garante del valore della carta moneta circolante, mantenendo peraltro quello di metallo per gioiellieri, dentisti e costruttori di raffinati marchingegni tecnologici, anche aerospaziali. A questo punto era una materia prima come un'altra. “Vendete !” tuonò il Dio mercato. “Rollate questo immenso valore ovunque sia possibile.”

Tutte le aste d'oro delle riserve ufficiali possono essere suddivise in tre categorie:
1) Le prime aste: dalla seconda metà degli anni 1970 fino all'inizio degli anni 1980, organizzate dal Ministero del Tesoro USA e dal Fondo Monetario Internazionale;
2) Le Aste da parte delle Banche Centrali, nell'ambito del cosiddetto “Washington Gold Agreement” siglato nell'autunno del 1999, e 3) Aste isolate da parte di singole Banche Centrali e organizzazioni internazionali in anni diversi.

Negli anni 70, gli USA hanno “ceduto” a diversi soggetti 530 tonnellate e il FMI ha “ceduto” 732 tonnellate - per un totale di 1.262 tonnellate. Negli 80, l'attività è continuata in sordina. Negli anni 90, le vendite nette di oro dei paesi economicamente sviluppati raggiungono la considerevole somma di 2.900 tonnellate. Alla fine del 2000, le riserve auree ufficiali del mondo contenevano 3.600 tonnellate in meno di oro rispetto al 1975.

Come accennato, nel settembre 1999 era stato firmato il 1° WGA – Washington Gold Agreement, tra 17 Banche Centrali, compresa la Banca Centrale Europea. Regolava le vendite di oro nel corso dei successivi cinque anni e ufficialmente mirava a non far cadere il mercato. “In realtà - secondo Valentin Katasonov, analista di Global Research- il suo obiettivo era il contrario: obbligare le Banche Centrali a vendere le riserve per mantenere bassi i prezzi dell'oro.” Anche Marco Saba, Direttore della Ricerca del Centro Studi Monetari, conferma: “C'è tra le Banche Centrali una continua manipolazione attiva. Fanno operazioni in perdita sui futures”. Vennero stabilite delle «Quote» per i singoli paesi per un totale complessivo di 2.000 tonnellate. Nel settembre 2004, l'accordo è stato aggiornato con nuove regole. (WGA-2). Infine, nel settembre 2009, venne siglato il « 3° accordo di Washington» (WGA-3) .
Dal 2001 al 2009 i maggiori venditori sono stati: Svizzera (1.300 tonnellate), Francia, Gran Bretagna e Paesi Bassi. Seguiti da Spagna e Portogallo. Il volume medio annuo delle vendite delle Banche Centrali è stato pari a 385 tonnellate. Nel 2009, tuttavia, al culmine della crisi finanziaria, c'è stata una inversione di rotta nelle politiche delle Banche Centrali, specialmente quelle asiatiche. Perché ? Può essere considerata anche un manifesto segno di sfiducia nel Dollaro Usa ? “Anche di più della semplice sfiducia – afferma Saba – potrebbe essere il primo passo di un progetto antagonista per creare nuove valute garantite dall'oro”


In ogni caso: complessivamente, nei 40 anni successivi all'abolizione del gold standard, un totale di 6.500 tonnellate di oro sono state vendute, prestate, “allocate”. Secondo i dati ufficiali, le riserve auree sono ora solo poco più di 30.000 tonnellate.
Stranamente un' analisi dettagliata di molte delle operazioni di vendita di oro da parte delle Banche Centrali Custodi mostra che le cessioni sono state eseguite quando erano più vantaggiose per il compratore e non per il venditore. Un esempio classico di “privatizzazione”. Ecco un paio di casi .

Tra il 1999 e il 2002, quando il mercato dell'oro mondiale era al suo punto più basso rispetto ai precedenti 20 anni, la Banca d'Inghilterra ha venduto nel corso di 17 aste, 400 tonnellate d'oro, più della metà delle proprie riserve auree. La decisione di vendere fu presa dal Ministro delle Finanze, Gordon Brown. Prima delle aste c'erano 715 tonnellate di oro britannico nei caveau, alla fine, ne rimasero poco più di 300 tonnellate. I proventi delle vendite di oro vennero convertiti in dollari, euro e yen. Valute che oggi si trovano tutte in sofferenza.
Anche qui, come riporta il sito Disinformazione.it, c'è da annotare un episodio interessante “tra il 2000 e il 2001, la Bundesbank avrebbe ridotto le sue detenzioni d’oro a Londra da 1440 tonnellate a 500 tonnellate, ufficialmente «perché i costi di stoccaggio erano troppo alti». A quel punto, il metallo fu trasportato per via aerea a Francoforte. ...Perché questa mossa? Semplice, per evitare che l’oro andasse in giro e non tornasse più”.
Nella primavera 2010 Londra chiese un'indagine : il prezzo dell'oro si era moltiplicato più di quattro volte rispetto al prezzo di vendita di 10 anni prima (1.250 dollari per oncia troy contro 256-296 dollari). Si scoprì che le “perdite” derivanti da quella incauta vendita ammontavano a 7 miliardi di sterline. E' interessante notare che tra il 1999 e il 2001, il Segretario del Tesoro degli Stati Uniti era Larry Summers, che era in stretto contatto con Gordon Brown e che aveva esercitato pressioni per decidere le cessioni d'oro.
L'altro esempio è la Svizzera. Nel 1999, le riserve auree ufficiali della Svizzera erano pari a 2.590 tonnellate (era il secondo posto dopo gli USA). Tra il 2000 e il 2005, la Banca Nazionale Svizzera ha venduto un totale di 1.300 tonnellate di oro. Il prezzo medio dell'oro a quel tempo era 350 dollari per oncia troy (oscillava tra 250 e 450 dollari). Nell'autunno del 2012, il prezzo dell'oro sui mercati mondiali si stava avvicinando al valore di 1.800 dollari, quindi più di cinque volte superiore al prezzo medio del periodo 2000-2005. Si calcolò pertanto che le perdite di questa operazione ammontavano a 60 miliardi di dollari. Circa 9 volte le perdite derivanti dalla vendita delle riserve auree inglesi. Una vera stranezza.
Questi esempi dimostrano che le aste d'oro non sono andate a favore delle autorità monetarie o dei popoli della Gran Bretagna e Svizzera, ma a favore degli acquirenti, che ovviamente preferiscono restare anonimi. Se poi ci si chiede come mai quei “volponi” degli Inglesi e degli Svizzeri abbiano commesso un tale errore. La risposta, ancora secondo Marco Saba è: “Chi ha facoltà di stampare moneta se ne frega del prezzo dell'oro”


Il 1990: operazioni segrete per rimuovere oro dai caveau delle banche centrali

Nel 1990 le Banche Centrali hanno iniziato attivamente a fornire oro in leasing. Secondo Katasonov “Queste operazioni sono state tenute nascoste al pubblico, ai legislatori e ai governi. Uno degli obiettivi principali di queste pratiche segrete era abbassare il prezzo dell'oro, che indirettamente continuava a rivaleggiare con il dollaro USA. A quel tempo, l'oligarchia finanziaria aveva bisogno di un dollaro forte per attività di buy-up in tutto il mondo”. Molti analisti rivelarono i piani segreti della finanza globale, che aveva asservito la maggior parte delle Banche Centrali di tutto il mondo ai propri interessi. Venne istituito il GATA (Gold Anti-Trust Action) con l'obiettivo di scoprire le operazioni segrete del «Cartello dell'oro», un'associazione di fatto costituita da: Federal Reserve Bank, Banca d'Inghilterra, Banche di Wall Street (in primo luogo Goldman Sachs), e una serie di altre banche e società finanziarie, anche europee, tra cui la Bundesbank e la Banca Nazionale Svizzera. Nel “cartello” figuravano anche le aziende di estrazione dell'oro. Una di loro, la Gold Fields Mineral Services (GFMS), ha riconosciuto che all'inizio del 21° secolo “quasi 5.000 tonnellate di oro, elencate nei bilanci delle banche centrali, si trova “fuori dai caveau”.

Secondo James Turk, analista finanziario autore di “The collapse of dollar”: “se si studiano le statistiche doganali di Gran Bretagna e Stati Uniti si può concludere che solo in questi due paesi, la fuoriuscita segreta di oro dalle riserve ufficiali, tra il 1991 e il 2002, ammonta a 7.287 tonnellate” .

Le stime di Frank Veneroso, che ha pubblicato un rapporto eccezionale sul mercato dell'oro dal titolo «Il 1998 Gold Book Annual», sono ancora più drammatiche. Nel suo rapporto, Veneroso giunge alla conclusione “che la vendita di oro da parte delle Banche Centrali (4.000 tonnellate annue ) ha artificialmente soppresso il volume totale della domanda di oro (circa 1.600 tonnellate l'anno).” Secondo i calcoli di Veneroso “invece di 33.000 tonnellate le Banche Centrali avevano ufficialmente nel 1998, solo 18.000 tonnellate”. Al di fuori delle Banche Centrali, circolavano dunque 15.000 tonnellate di oro consegnate a organizzazioni esterne per mezzo di operazioni di aste, leasing e credito. In linea di principio, le stime di Veneroso non contraddicono quelle di James Turk. Sono più grandi, in quanto tengono conto non solo della rimozione di oro ufficiale da Gran Bretagna e Stati Uniti, ma anche della maggior parte delle altre principali Banche Centrali. 

I trucchi contabili delle banche centrali custodi 
Al centro della storia delle Riserve Auree c'è una questione “grossa e pelosa”: ma di Chi sono i lingotti che erano/sono ammassati nelle Banche Centrali e che poi sono stati dati in gran parte in leasing alle Bullion Banks?” Dipende dalla proprietà delle Banche Centrali stesse. In ogni caso che siano esse “private” sin dall'origine o che siano esse state “privatizzate” in più riprese, la proprietà delle riserve auree non è mai stata chiara. Specialmente nel secondo caso. Cioè se una Banca Centrale Nazionale, posseduta da Banche Pubbliche, viene privatizzata, siamo sicuri che nel passaggio di proprietà si sia calcolato per bene il valore delle riserve auree trasferite ? Da qui deriva una certa fumosa cautela che, per esempio in Italia, come vedremo, sconfina con una aspra riservatezza.
Secondo un documento della BCE sul trattamento delle riserve internazionali dell'Eurosistema, le linee guida di rendicontazione non richiedono di differenziare tra l'Oro nelle casseforti e l'Oro locato o scambiato con un'altra parte. Il documento afferma che, "le operazioni reversibili in oro non hanno alcun effetto sulla quantità di Oro monetario, indipendentemente dal tipo di transazione (ad esempio swap su oro, pronti contro termine, depositi o prestiti), in linea con le raccomandazioni contenute nelle linee guida del FMI». Quindi, le Banche Centrali hanno il permesso di continuare a annotare l'Oro fisico nel loro bilancio, anche se lo hanno scambiato o allocato all'esterno.

Pochissime Banche Centrali chiariscono, nelle loro relazioni, esattamente qual è la percentuale delle loro riserve auree ufficiali memorizzate come metallo fisico e quale percentuale invece è stato ceduto in prestito o scambiato, e così via. Sarebbe difficile sostenere la reputazione di una Banca Centrale, se ammettesse di aver affittato le proprie riserve d'oro ad una bullion bankintermediaria che lo rivendeva, per esempio alla Cina o alla Russia, anche negli anni della Guerra Fredda.


Tuttavia, le cifre fanno supporre, ancora secondo l'analista Valentin Katasonov “che questo è esattamente ciò che è accaduto. E' più che probabile che l'Oro delle Banche Centrali sia scomparso e che le bullion bank che l'hanno venduto non hanno alcuna reale possibilità di ricomprarlo”. Il traffico di oro da parte delle banche centrali continua

L'ipotesi è sostenuta anche da Erik Sprott, miliardario e noto investitore con 35 anni di esperienza nei mercati finanziari, nonché grande conoscitore dei meandri del commercio dell'oro. Sprott ritiene “che i dati ufficiali non tengono pienamente conto della domanda effettiva di oro sul mercato mondiale (stimata dal World Gold Council tra 4.000 e 4.500 tonnellate all'anno)”. Secondo i suoi calcoli “la domanda effettiva sarebbe stata superiore di 2.300 tonnellate negli ultimi dieci anni e l'offerta ufficiale, attraverso nuove operazioni di estrazione e di rottami d'oro, non sarebbe sufficiente a soddisfare la domanda d'oro reale del mondo”.
Esisterebbe pertanto una fonte segreta di oro che copre un fabbisogno non contabilizzato di circa 2.300 tonnellate l'anno. Ancora secondo Sprott: “i volumi di oro offerti ufficialmente sul mercato dai Forzieri delle Banche Centrali non sono sufficienti.” Dall'inizio del 21° secolo, forniture supplementari sono state dunque fornite in segreto dalle Banche Centrali Custodi e dal Fondo Monetario Internazionale.


Se l'affermazione di Sprott è corretta le riserve auree delle banche centrali dei paesi economicamente sviluppati sono state disponibili per soddisfare la domanda aggiuntiva non contabilizzata. Quindi, già da un paio d'anni, i caveau delle banche centrali di quei paesi sarebbero molto meno pieni di quanto affermano. Inoltre, vale la pena ricordare che questi forzieri erano già mezzi vuoti nel '98, secondo le stime di Veneroso “Già nel 1998, quasi la metà delle riserve auree ufficiali di tutte le banche centrali erano fuori dai caveau”.

In questa ipotesi non solo alcuni Banchieri Centrali avrebbero ceduto il “proprio oro”, ma anche quello che custodivano per conto di altre nazioni. Ricordiamo che le Banche Centrali di alcuni paesi non solo utilizzano i loro depositi per elencare l'oro nei loro bilanci, ma anche oro appartenente a paesi stranieri che per motivi “politici” sono stati invitati ad affidarglielo. Come ad esempio l'Italia che ha, in passato, affidato un terzo delle proprie riserve alla FED per metterlo al riparo dalla minaccia comunista.
In connessione con la richiesta inevasa della Germania per rimpatriare il suo oro, si scopre dunque che del totale tedesco, pari a circa 3.400 tonnellate, più di due terzi, 1.536 tonnellate, si trova nelle casse della Federal Reserve Bank di New York; 374 tonnellate sono nei sotterranei della Banca di Francia e 450 tonnellate nel caveau della Banca d'Inghilterra. Ma quei lingotti ci stanno ancora o sono stati tramutati in altro?

Vediamo la questione dall'osservatorio di quei paesi che giocano il ruolo di magazzinieri. I grandi custodi dell'oro del mondo sono: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Svizzera detti anche “the Golden Billion Group”. Inoltre, in Svizzera, il ruolo di custode non è solo giocato dalla Banca Nazionale, dal momento che la Svizzera è anche la sede della Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI).


Secondo dati rilasciati a ottobre del 2012 : l'oro di proprietà Usa ammonterebbe a 8.133 tonnellate e quello custodito in Usa a 6.200 tonnellate; mentre l'oro di proprietà inglese ammonterebbe a sole 310 tonnellate, una quantità irrisoria rispetto a quello custodito in UK che sarebbe pari a 5.067 tonnellate.
Nei sotterranei della Federal Reserve Bank di New York e della Banca d'Inghilterra dovrebbero esserci dunque più di 11.000 tonnellate di oro estero. Da notare che solo in Gran Bretagna la quantità di oro estero è 16 volte superiore a quella di oro britannico. Mentre negli Stati Uniti, l'oro straniero costituisce solo il 76% delle riserve Usa.
La Banca d'Inghilterra “custodisce” l'oro dei vari paesi del Commonwealth (Australia, Canada, India, ecc.) e oggi svolge un ruolo importante anche per i paesi dell'Europa continentale. L'Austria, per esempio, le ha affidato l'80% delle sue riserve auree, l'Olanda il 18% e la Germania 13%. Ci sono anche “clienti” di altri paesi. La Banca Centrale del Messico, per esempio, affida agli inglesi il 95 per cento del suo oro. 
Oggi però l'intero castello traballa a causa di alcune impreviste accelerazioni della Storia
1) Secondo una recente ricerca dell'OMFIF - Official Monetary and Financial Institutions Forum, “la domanda di oro crescerà sospinta dal bisogno di creare un nuovo sistema di riserva multimonetaria, in cui la valuta cinese tenterà di giocare un ruolo importante, tale da equilibrare l'instabilità del dollaro e dell'euro”.
2) La domanda cinese di oro è dunque in rapida ascesa. Il tasso di crescita delle importazioni di oro in Cina è senza precedenti. L'importazione di oro, attraverso Hong Kong, è stata pari a 45 tonnellate nel 2009, a 431 tonnellate nel 2011 e nel 2012 ha superato 834 tonnellate. La Cina intende continuare i propri acquisti sui mercati mondiali per soddisfare le crescenti esigenze del settore orafo, la crescente domanda di investimenti e per costituire una propria riserva aurea statale.
3) Dopo la prima ondata della crisi finanziaria un certo numero di Banche Centrali ha iniziato attivamente a comprare oro sul mercato mondiale.
4) All'inizio del 2013 il processo è stato definito la “febbre gialla”. La corsa all'oro è il segnale che misura la paura. Un gesto che accomuna piccoli risparmiatori, bottegai improvvisati che esibiscono grandi cartelli “Compro Oro” e Autorità monetarie. L'Oro ridiventa un rifugio.
5) Nei primi 11 mesi del 2012 le Banche Centrali di diversi paesi emergenti hanno messo in cassaforte 350 tonnellate d'oro (dato World Gold Council). Al primo posto tra i compratori la Turchia con quasi 80 tonnellate, dietro la Russia con 55 tonnellate che vanno ad aumentare una riserva già ben nutrita di 900 tonnellate, al terzo posto le Filippine con 35 tonnellate seguite di un soffio dal Brasile. Le sorprese arrivano da Kazakhstan e Iraq che si piazzano al quinto e sesto posto con una trentina di tonnellate ognuno. Messico, Corea del Sud, Paraguay e Ukraina chiudono la classifica.
6) E' stata dimezzata la fornitura di oro sotto forma di rottami metallici. In media, nel corso del primo decennio del 21° secolo, le dimensioni di questo tipo di alimentazione era pari a 1.700 tonnellate. Oggi è pari a 850 tonnellate.
7) Un certo numero di paesi in tutto il mondo vuole “rimpatriare” le riserve ufficiali di oro dall'estero. Oltre alla Germania, Paesi Bassi, Ecuador e Azerbaigian hanno iniziato i preparativi per il rientro del loro oro. Tutto ciò potrebbe tradursi in un grande panico se, come certe fonti affermano, non c'è più oro nei caveau dei paesi “guardiani” .
Secondo Valentin Katasonov analista di Global Research “L'oro potrebbe esaurirsi da un momento all'altro. Forse è già finito. Uno dei segnali sono gli scandali sempre più frequenti che continuano a divampare sul «tungsteno oro»”. Il tungsteno oro sarebbero le barre di tungsteno con le quali sarebbero state sostituite le barre d'oro all'interno di Fort Knox. Al riguardo sono in corso diverse inchieste da parte di membri del Congresso Usa, tra cui brilla l'iniziativa di Ron Paul, Presidente della Commissione Affari Monetari. Rod Kirby nel suo sito “The market Oracle” così si esprime: “Circa 15 ani fa – durante l'amministrazione Clinton – tra 1.300.000 e 1.500.000 barre di tungsteno da 400 once furono prodotte in USA. Successivamente 640.000 di queste barre sono state ricoperte d'oro e inviate a Fort Knox dove sono tutt'ora.” E' superfluo sottolineare che se ciò fosse vero ci si troverebbe di fronte alla truffa più grossa della Storia.

E in Italia ?

A questo punto sarebbe interessante capire qual'è la situazione in Italia, visto che ufficialmente la nostra nazione possiede una quantità d'oro che ci colloca al Quarto posto nella classifica mondiale, dopo USA, Germania e FMI.
(Tralasciamo in questa sede di affrontare quella parte di dibattito che si interessa al come utilizzare le riserve auree per diminuire il debito pubblico perchè ci si imbatte in una giungla di affermazioni contrapposte nella quale districarsi, senza una vera bussola politica (che non c'è), è impossibile). E cerchiamo qualche dato.
Il valore delle riserve auree italiane sarebbe “Centodieci miliardi di Euro, pari a 2.451 tonnellate di lingotti d'oro, di cui circa un terzo custodite nei sotterranei della Federal Reserve, a New York; ulteriori piccole quote sono vincolate alla nostra partecipazione alla Banca dei Regolamenti Internazionali e alla BCE. La parte residua, cioè poco meno di due terzi, è conservata a Roma, nei sotterranei della Banca d'Italia”.
Questi dati sono forniti a febbraio 2013 da Giorgio Vitangeli, direttore di “La finanza sul web”. Agoravox parlava di 2.697 tonnellate a ottobre 2009. In un delizioso e ossequioso “Passaggio a Nord Ovest, Alberto Angela in visita a Palazzo Koch fornisce, nell'ottobre 2010, un dato estroso “nel 2005 – ci dice – il valore delle riserve auree ammontava a ben 20 miliardi di euro”. Poi una voce fuori campo fa sapere che 8.000 lingotti pari a 100 tonnellate sono finiti a Francoforte nei caveau della BCE.
Secondo Wikipedia la quantità totale sarebbe invece, a dicembre 2011, 2700 tonnellate. Il sito “NO Censura” a marzo 2012 riporta un controvalore di 98,123 miliardi di Euro. Eugenio Benetazzo, economista indipendente, conferma il dato delle 2.452 tonnellate ma dice che valgono 109 miliardi di Euro e chiarisce che: “60 tonnellate sono nella disponibilità della BCE”. Altre fonti “girano” attorno alle 2400 tonnellate. Cercando i dati si scopre inoltre che il 19.1.2012 , due parlamentari del PDL, Fabio Rampello e Marco Marsilio, inoltrarono a Mario Monti un'interrogazione con risposta scritta nella quale chiedevano (candidi !), di far chiarezza sulle riserve auree italiane. La risposta non c'è mai stata.
Allora ho inoltrato via email alla Divisione Stampa e Relazioni esterne di Palazzo Koch una serie di domande: E' vero che : 1) il valore delle riserve auree era pari nel 1999 a 22 MLD di Euro e oggi si avvia a superare i 110 MLD di Euro ? 2) I lingotti d'oro sono 2.451,1 tonnellate e circa un terzo sarebbe custodito dalla Federal Reserve in Usa ? 4) Una quota ( quale ?) sarebbe vincolata alla nostra partecipazione alla Banca dei Regolamenti Internazionali e alla BCE ? 5) Non esiste risposta certa alla domanda "A Chi appartengono le riserve auree custodite da Banca d'Italia"" ?
(Nel 2009 l'allora Ministro dell'Economia Giulio Tremonti pensò di tassare una tantum le plusvalenze sulle riserve auree. La BCE obiettò e nell'occasione … )
6) Jean Claude Trichet disse "Siamo sicuri che l'oro sia della Banca d'Italia e non del popolo italiano? (nella stessa occasione) 7) L'ex Governatore Mario Draghi affermò "Le riserve auree appartengono agli italiani e non a via Nazionale"? 8) (Se è vero) Come si devono interpretare queste affermazioni ? 9) E' stata richiesta alla FED la restituzione delle Riserve auree italiane e tale richiesta non ha ottenuto un seguito adeguato ?
Ho ottenuto una sola risposta: “In riferimento alla domanda 1 si informa che al 30.6.2013 il valore delle Riserve Ufficiali in Oro della Banca d'Italia era pari a Euro 71,838 miliardi”. Miracolo ! E dove sono finiti gli altri 30-40 miliardi stimati nei diversi anni dalle varie fonti ? Chissà ? Forse ci vorrebbe, almeno, un'altra interrogazione parlamentare.

I trucchi contabili delle banche centrali custodi

Al centro della storia delle Riserve Auree c'è una questione “grossa e pelosa” : ma di Chi sono i lingotti che erano/sono ammassati nelle Banche Centrali e che poi sono state date in gran parte in leasing alle Bullion Banks ?” Dipende dalla proprietà delle Banche Centrali stesse . In ogni caso che siano esse “private” sin dall'origine o che siano esse state “privatizzate” in più riprese, la proprietà delle riserve auree non è mai stata chiara. Specialmente nel secondo caso. Cioè se una Banca Centrale Nazionale, posseduta da Banche Pubbliche, viene privatizzata, siamo sicuri che nel passaggio di proprietà si sia calcolato per bene il valore delle riserve auree trasferite ? Da qui deriva una certa fumosa cautela che, per esempio in Italia, come vedremo, sconfina con una aspra riservatezza.
Secondo un documento della BCE sul trattamento delle riserve internazionali dell'Eurosistema, le linee guida di rendicontazione non richiedono di differenziare tra l'Oro nelle casseforti e l'Oro locato o scambiato con un'altra parte. Il documento afferma che, "le operazioni reversibili in oro non hanno alcun effetto sulla quantità di Oro monetario, indipendentemente dal tipo di transazione (ad esempio swap su oro, pronti contro termine, depositi o prestiti), in linea con le raccomandazioni contenute nelle linee guida del FMI» . Quindi, le Banche Centrali hanno il permesso di continuare a annotare l'Oro fisico nel loro bilancio, anche se lo hanno scambiato o allocato all'esterno.

Pochissime Banche Centrali chiariscono, nelle loro relazioni, esattamente qual è la percentuale delle loro riserve auree ufficiali memorizzate come metallo fisico e quale percentuale invece è stato ceduto in prestito o scambiato, e così via. Sarebbe difficile sostenere la reputazione di una Banca Centrale, se ammettese di aver affittato le proprie riserve d'oro ad una bullion bank intermediaria che lo rivendeva, per esempio alla Cina o alla Russia, anche negli anni della Guerra Fredda.

Tuttavia, le cifre fanno supporre, ancora secondo l'analista Valentin Katasonov “che questo è esattamente ciò che è accaduto. E' più che probabile che l'Oro delle Banche Centrali sia scomparso e che le bullion bank che l'hanno venduto non hanno alcuna reale possibilità di ricomprarlo”. Il traffico di oro da parte delle banche centrali continua

L'ipotesi è sostenuta anche da Erik Sprott, miliardario e noto investitore con 35 anni di esperienza nei mercati finanziari, nonché grande conoscitore dei meandri del commercio dell'oro. Sprott ritiene “che i dati ufficiali non tengono pienamente conto della domanda effettiva di oro sul mercato mondiale (stimata dal World Gold Council tra 4.000 e 4.500 tonnellate all'anno)”. Secondo i suoi calcoli “la domanda effettiva sarebbe stata superiore di 2.300 tonnellate negli ultimi dieci anni e l'offerta ufficiale, attraverso nuove operazioni di estrazione e di rottami d'oro, non sarebbe sufficiente a soddisfare la domanda d'oro reale del mondo”.
Esisterebbe pertanto una fonte segreta di oro che copre un fabbisogno non contabilizzato di circa 2.300 tonnellate l'anno. Ancora secondo Sprott :” i volumi di oro offerti ufficialmente sul mercato dai Forzieri delle Banche Centrali non sono sufficienti.” Dall'inizio del 21 ° secolo, forniture supplementari sono state dunque fornite in segreto dalle Banche Centrali Custodi e dal Fondo Monetario Internazionale.

Se l'affermazione di Sprott è corretta le riserve auree delle banche centrali dei paesi economicamente sviluppati sono stati disponibili per soddisfare la domanda aggiuntiva non contabilizzata. Quindi, già da un paio d'anni, i caveau delle banche centrali di quei paesi sarebbero molto meno pieni di quanto affermano. Inoltre, vale la pena ricordare che questi forzieri erano già mezzi vuoti nel '98, secondo le stime di Veneroso “Già nel 1998, quasi la metà delle riserve auree ufficiali di tutte le banche centrali erano fuori dai caveau”
In questa ipotesi non solo alcuni Banchieri Centrali avrebbero ceduto il “proprio oro”, ma anche quello che custodivano per conto di altre nazioni . Ricordiamo che le Banche Centrali di alcuni paesi non solo utilizzano i loro depositi per elencare l'oro nei loro bilanci, ma anche oro appartenente a paesi stranieri che per motivi “politici” sono stati invitati ad affidarglielo. Come ad esempio l'Italia che ha, in passato, affidato un terzo delle proprie riserve alla FED per metterlo al riparo dalla minaccia comunista.
In connessione con la richiesta inevasa della Germania per rimpatriare il suo oro, si scopre dunque che del totale tedesco, pari a circa 3.400 tonnellate, più di due terzi, 1.536 tonnellate, si trova nelle casse della Federal Reserve Bank di New York ; 374 tonnellate sono nei sotterranei della Banca di Francia e 450 tonnellate nel caveau della Banca d'Inghilterra. Ma quei lingotti ci stanno ancora o sono stati tramutati in altro ?

Vediamo la questione dall'osservatorio di quei paesi che giocano il ruolo di magazzinieri. I grandi custodi dell'oro del mondo sono : Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Svizzera detti anche “the Golden Billion Group”. Inoltre, in Svizzera , il ruolo di custode non è solo giocato dalla Banca Nazionale, dal momento che la Svizzera è anche la sede della Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI).
Secondo dati rilasciati a ottobre del 2012 : l'oro di proprietà Usa ammonterebbe a 8.133 tonnellate e quello custodito in Usa a 6.200 tonnellate; mentre l'oro di proprietà inglese ammonterebbe a sole 310 tonnellate, una quantità irrisoria rispetto a quello custodito in UK che sarebbe pari a 5.067. tonnellate 
Nei sotterranei della Federal Reserve Bank di New York e della Banca d'Inghilterra dovrebbero esserci dunque più di 11.000 tonnellate di oro estero. Da notare che solo in Gran Bretagna la quantità di oro estero è 16 volte superiore a quella di oro britannico. Mentre negli Stati Uniti, l'oro straniero costituisce solo il 76% delle riserve Usa.
La Banca d'Inghilterra “custodisce” l'oro dei vari paesi del Commonwealth (Australia, Canada, India, ecc.) e oggi svolge un ruolo importante anche per i paesi dell'Europa continentale. L'Austria, per esempio, le ha affidato l'80% delle sue riserve auree, l'Olanda il 18% e la Germania 13%. Ci sono anche “clienti” di altri paesi. La Banca Centrale del Messico, per esempio, affida agli inglesi il 95 per cento del suo oro.

Oggi però l'intero castello traballa a causa di alcune impreviste accelerazioni della Storia
1) Secondo una recente ricerca dell'OMFIF - Official Monetary and Financial Institutions Forum, “la domanda di oro crescerà sospinta dal bisogno di creare un nuovo sistema di riserva multimonetaria, in cui la valuta cinese tenterà di giocare un ruolo importante, tale da equilibrare l'instabilità del dollaro e dell'euro” .
2) La domanda cinese di oro è dunque in rapida ascesa. Il tasso di crescita delle importazioni di oro in Cina è senza precedenti. L'importazione di oro, attraverso Hong Kong, è stata pari a 45 tonnellate nel 2009, a 431 tonnellate nel 2011 e nel 2012 ha superato 834 tonnellate. La Cina intende continuare i propri acquisti sui mercati mondiali per soddisfare le crescenti esigenze del settore orafo, la crescente domanda di investimenti e per costituire una propria riserva aurea statale.
3) Dopo la prima ondata della crisi finanziaria un certo numero di Banche Centrali ha iniziato attivamente a comprare oro sul mercato mondiale.
4) All'inizio del 2013 il processo è stato definito la “febbre gialla”. La corsa all'oro è il segnale che misura la paura. Un gesto che accomuna piccoli risparmiatori, bottegai improvvisati che esibiscono grandi cartelli “Compro Oro” e Autorità monetarie. L'Oro ridiventa un rifugio.
5) Nei primi 11 mesi del 2012 le Banche Centrali di diversi paesi emergenti hanno messo in cassaforte 350 tonnellate d'oro (dato World Gold Council) . Al primo posto tra i compratori la Turchia con quasi 80 tonnellate, dietro la Russia con 55 tonnellate che vanno ad aumentare una riserva già ben nutrita di 900 tonnellate, al terzo posto le Filippine con 35 tonnellate seguite di un soffio dal Brasile. Le sorprese arrivano da Kazakhstan e Iraq che si piazzano al quinto e sesto posto con una trentina di tonnellate ognuno . Messico, Corea del Sud, Paraguay e Ukraina chiudono la classifica.
6) E' stata dimezzata la fornitura di oro sotto forma di rottami metallici. In media, nel corso del primo decennio del 21 ° secolo, le dimensioni di questo tipo di alimentazione era pari a 1.700 tonnellate. Oggi è pari a 850 tonnellate.
7) Un certo numero di paesi in tutto il mondo vuole “rimpatriare” le riserve ufficiali di oro dall'estero. Oltre alla Germania , Paesi Bassi, Ecuador e Azerbaigian hanno iniziato i preparativi per il rientro del loro oro. Tutto ciò potrebbe tradursi in un grande panico se , come certe fonti affermano, non c'è più oro nei caveau dei paesi “guardiani” .
Secondo Valentin Katasonov analista di Global Research “ L'oro potrebbe esaurirsi da un momento all'altro. Forse è già finito. Uno dei segnali sono gli scandali sempre più frequenti che continuano a divampare sul «tungsteno oro»”. Il tungsteno oro sarebbero le barre di tungsteno con le quali sarebbero state sostituite le barre d'oro all'interno di Fort Knox. Al riguardo sono in corso diverse inchieste da parte di membri del Congresso Usa,tra cui brilla l'iniziativa di Ron Paul , Presidente della Commissione Affari Monetari. Rod Kirby nel suo sito “The market Oracle” così si esprime : “ Circa 15 ani fa – durante l'amministrazione Clinton – tra 1.300.000 e 1.500.000 barre di tungsteno da 400 once furono prodotte in USA. Successivamente 640.000 di queste barre sono state ricoperte d'oro e inviate a Fort Knox dove sono tutt'ora.” E' superfluo sottolineare che se ciò fosse vero ci si troverebbe di fronte alla truffa più grossa della Storia.
E in Italia ?
A questo punto sarebbe interessante capire qual'è la situazione in Italia, visto che ufficialmente la nostra nazione possiede una quantità d'oro che ci colloca al Quarto posto nella classifica mondiale, dopo USA, Germania e FMI.
(Tralasciamo in questa sede di affrontare quella parte di dibattito che si interessa al come utilizzare le riserve auree per diminuire il debito pubblico perchè ci si imbatte in una giungla di affermazioni contrapposte nella quale districarsi, senza una vera bussola politica (che non c'è), è impossibile). E cerchiamo qualche dato .
Il valore delle riserve auree italiane sarebbe “Centodieci miliardi di Euro, pari a 2.451 tonnellate di lingotti d'oro, di cui circa un terzo custodite nei sotterranei della Federal Reserve, a New York; ulteriori piccole quote sono vincolate alla nostra partecipazione alla Banca dei Regolamenti Internazionali e alla BCE. La parte residua, cioè poco meno di due terzi, è conservata a Roma , nei sotterranei della Banca d'Italia”.
Questi dati sono forniti a febbraio 2013 da Giorgio Vitangeli , direttore di “La finanza sul web”. Agoravox parlava di 2.697 tonnellate a ottobre 2009. In un delizioso e ossequioso “Passaggio a Nord Ovest, Alberto Angela in visita a Palazzo Koch fornisce, nell'ottobre 2010, un dato estroso “ nel 2005 – ci dice – il valore delle riserve auree ammontava a ben 20 miliardi di euro”. Poi una voce fuori campo fa sapere che 8.000 lingotti pari a 100 tonnellate sono finiti a Francoforte nei caveau della BCE.
Secondo Wikipedia la quantità totale sarebbe invece, a dicembre 2011, 2700 tonnellate. Il sito “NO Censura” a marzo 2012 riporta un controvalore di 98,123 miliardi di Euro. Eugenio Benetazzo, economista indipendente, conferma il dato delle 2.452 tonnellate ma dice che valgono 109 miliardi di Euro e chiarisce che : “60 tonnellate sono nella disponibilità della BCE “. Altre fonti “girano” attorno alle 2400 tonnellate. Cercando i dati si scopre inoltre che il 19.1.2012 , due parlamentari del PDL, Fabio Rampello e Marco Marsilio, inoltrarono a Mario Monti un'interrogazione con risposta scritta nella quale chiedevano (candidi !), di far chiarezza sulle riserve auree italiane. La risposta non c'è mai stata.
Allora ho inoltrato via email alla Divisione Stampa e Relazioni esterne di Palazzo Koch una serie di domande : E' vero che : 1) il valore delle riserve auree era pari nel 1999 a 22 MLD di Euro e oggi si avvia a superare i 110 MLD di Euro ? 2) I lingotti d'oro sono 2.451,1 tonnellate e circa un terzo sarebbe custodito dalla Federal Riserve in Usa ? 4) Una quota ( quale ?) sarebbe vincolata alla nostra partecipazione alla Banca dei Regolamenti Internazionali e alla BCE ? 5) Non esiste risposta certa alla domanda  "A Chi appartengono le riserve auree custodite da Banca d'Italia"" ?
(Nel 2009 l'allora Ministro dell'Economia Giulio Tremonti pensò di tassare una tantum le plusvalenze sulle riserve auree. La BCE obiettò e nell'occasione … )
6) Jean Claude Trichet disse " Siamo sicuri che l'oro sia della Banca d'Italia e non del popolo italiano ? (nella stessa occasione) 7) L'ex Governatore Mario Draghi affermò " Le riserve auree appartengono agli italiani e non a via Nazionale"? 8) (Se è vero) Come si devono interpretare queste affermazioni ?  9) E' stata richiesta alla FED la restituzione delle Riserve auree italiane e tale richiesta non ha ottenuto un seguito adeguato ?
Ho ottenuto una sola risposta : “In riferimento alla domanda 1 si informa che al 30.6.2013 il valore delle Riserve Ufficiali in Oro della Banca d'Italia era pari a Euro 71,838 miliardi”. Miracolo ! E dove sono finiti gli altri 30-40 miliardi stimati nei diversi anni dalle varie fonti ? Chissà ? Forse ci vorrebbe, almeno, un'altra interrogazione parlamentare.

Fonte: http://glaucobenigni.blogspot.it
Link: http://glaucobenigni.blogspot.it/2013/07/loro-alla-patria-loro-che-garantiva-la.html

lunedì 22 luglio 2013

DE LAVANDERAS EL CAUDAL


DE LAVANDERAS EL CAUDAL

Con su ropa en la cabeza
juntitas se van al río
racimo de lavanderas
damas de bello trapío.

Tan hermoso mocerío
lo digo con circunstancia
mujeres en abundancia
sueltan la lengua con brío.

En amorosas verbenas
tallando y tallando duro
trabajan sin desfiguro
lavando ropas ajenas.

Y enjabonando sus penas
se pasan así la vida
con la esperanza debida
las penas con pan son buenas.

Pajaritas ebrias de agua
con su bella lozanía
procuran con alegría
recogerse sus enaguas.

Un hombre que va de paso
las mira con estupor
ellas sedientas de amor
y él de amores tan escaso.

Sus caderas voluptuosas
sus piernas son un encanto
él las mira sin quebranto
¡ay doncellas tan hermosas!

Y el hombre que va de paso
las mira con embeleso
anhelando sólo un beso
mas ninguna le hace caso.

Ellas están habituadas
a hombres de esa calaña
del pasado y del mañana
no se sienten extenuadas.

Lavanderas de mi tierra
apostadas en el río
son un bello desafío
en el llano y en la sierra.

Y al final de la jornada
cada quien se va a su chante
así el caballero andante
y las damas en parvada.

Racimo de lavanderas
mañana será otro día
contando el chisme del día
enjuagando nuevas penas.

Y a pesar de tanto apuro
aunque el hambre las impulse
las reinas del agua dulce
¡son felices se los juro!
***
(La foto fue extraída de internet, no tenía autor, pero sí decía "Mentidero", seguro ha de ser el Mentidero, San Rafael, Veracruz).

domenica 21 luglio 2013

IRAP – STATO CONTRO REGIONE STATO PATRIGNO – NO STATO OPPRESSORE IL SOVRANISMO E’ UN NIKNAME DELL’AUTONOMISMO

Arriceus e pubricaus su comunicau de SNI
nci parit chi siat una arrespusta a su atobiu dde sabudu a Losa de su Partito dei Sardi de Franciscu Sedda e Paolo Maninchedda, d'iat giai nau calincuna cosa fintzas Doddore Meloni de MERIS ariseru meria fiat narendi ca est sonada sa campana a motu,  poita su atobiu de Losa no at nau nudh'e nou e no funt nudha poita no rapresentant nisciunus in SARDINYA...
 SA DEBATA EST OBERTA
sa defenza

BUSTIANU CUMPOSTU COORDINADORE NATZ DE SNI


IRAP – STATO CONTRO REGIONE 
STATO PATRIGNO – NO STATO OPPRESSORE
IL SOVRANISMO E’ UN NIKNAME DELL’AUTONOMISMO

Le processioni a Roma dei parrocchiani di Cappellaci, come già quelle dei parrocchiani sindacali, hanno sbagliato santuario, non solo non si è ottenuto il miracolo della Zona Franca Integrale ma  a stretto giro di oratorio i sardi hanno ricevuto la decisa bastonata didattica dell’IRAP per non avere ancora appreso bene il fondamentale concetto sulla differenza che intercorre tra sovranità e sudditanza.  Lo stato, italiano, non concede alla colonia speciale, Sardegna, ciò che è valido nel suo territorio normale. Le regioni ordinarie, grazie alla  legge 5 maggio 2009, n. 42 in materia di federalismo fiscale, all’articolo 7 possono variare  l’aliquota IRAP nei limiti dei massimi di legge ed esercitare sovranità sui propri tributi e la Sardegna, che vanta poteri legislativi costituzionali, non può perché lo statuto, come se fosse un trattato di resa, all’art 10 limita questa possibilità solo per le imprese di nuova istituzione.

La vera risorsa dei sardi sono i sardi stessi,  che invece di snocciolare  rosari romani devono DECIDERE DI DECIDERE, istituire  applicare unilateralmente e immediatamente l’art. 9 dello statuto e conseguire la sovranità fiscale istituendo s’Agentzia Sarda de sas Intradas, ribaltare i rapporti del dare e del chiedere con lo stato e rendere il sistema economico sardo RILEVANTE ai fini delle leggi europee in matteria. ci sono altre possibilità. 

La ZONA FRANCA INTEGRALE E ARTICOLATA è alla nostra portata, senza  aiuti di stato possiamo, DECIDENDO, avere una fiscalità di vantaggio a misura di Sardegna e fare in modo che sia moltiplicativa di PIL rendendo più chiuso il sistema economico sardo intervenendo con decisione sull’agroalimentare, sul turismo e sui trasporti.

Solo sconfitte e umiliazioni se si rimane all’interno della CULTURA POLITICA ITALIANA, e non diamo la possibilità alla CULTURA POLITICA SARDA di emettere propri impulsi di autodecisione, per uscire dalla sudditanza del dare risposte invece che attenderle. 
 autodecidere chiameranno i sardi a schierarsi in diverse trincee e li costringeranno a beccarsi tra loro come i polli di Renzo per non capire di essere destinati tutti alla pentola del disastro italiano.

 Nessuna novità verrà dal Sovranismo è un rispondere mediato del “sardismo”,  privo di cultura politica autonoma, agli impulsi emessi dal sistema “italianista”

Il sovranismo è un nickname dell’autonomismo che come in una realtà virtuale si muove nella “rete” politica modernizzando ed informatizzando l’inganno per continuare la sua opera di neutralizzazione del nazionalismo sardo e arginarne  l’attesa di SOVRANITA’ VERA, di INDIPENDENZA.

BITZI  20/07/2013  anno 152° Dominazione Italiana    IL COORDINATORE NAZIONALE


                                  Bustianu Cumpostu

sabato 20 luglio 2013

Dopo l'indebitamento che ha favorito le elite private ora pensano alla svendita delle Società pubbliche

Il rapporto Pil Indebitamento creato dai politicanti italioti di destra e sinistra negli ultimi 15 anni...


Annuncio di Saccomanni che poi ci ripensa..... 

Dopo l'indebitamento che ha favorito le elite private ora pensano alla svendita delle Società pubbliche 


Vàturu Erriu Onnis Sayli 

Debito: Saccomanni, dice: mai ipotizzato vendità società pubbliche...
Ma è veramente come dice il ministro italiota? Oppure dietro questa  rinuncia vi si intravede una evidente retromarcia da cui si desume un errore nei tempi  e modi della messa in svendita del patrimonio pubblico italiota; poiché è sentore che coglie impreparati i partiti sostenitori del neo-liberismo governativo sostenuto da PD PdL guidati da Letta, figlioccio della TRILATERAL  di BILDEBERG e delle  elite private,  i quali partiti non  consigliati per bene e a dovere sulla cosa da Scelta (in)Civica, il deposto bildeberghiano-merkeliano Monti,  come far inghiottire quest'ulteriore furto ai danni del popolo italiota.
Le imprese a rischio privatizzazione e svendita totale sono aziende sane che rendono alla stato svariati miliardi di euro, ma come si sa non si può lasciare al pubblico una così ghiotta fetta di mercato senza che i soliti noti poteri privati non vogliano mangiarsela in un sol boccone, appoggiati da soliti partiti finti democratici e asserviti completamente assieme ai sindacati collusi  al sistema dei capitali privati.
Il portafoglio dello stato italiano consiste in partecipazioni cospicue in aziende prima totalmente pubbliche , oggi partecipate : Enel spa al 31,24%; ENI spa 30,1%; Finmeccanica 30,2%; Cassa Depositi e Prestiti 80.1%; Expo 2015 spa 40%; RAI Radio Televione Italiana spa 99,56%; e le ancora pubbliche al 100% ANAS spa, Poste Italiane spa, Ferrovie dello Stato spa, ENAV spa, Coni Servizi spa, GSEspa, Ist. Poligrafico e Zecca, Rete Autostrade Mediterranee, SOGEI spa, Sogin spa, Consip spa;
Il valore economico di  svendita di queste e molte altre aziende del comparto pubblico italiota si può paragonare alla  sconfitta subita in guerra., per quantità di valore economico pari o oltre alla disfatta di Napoleone a Waterloo




 Rimandiamo anche alla lettura del report di BankItalia 2012 
"Dati di confronto internazionale che forniscano un quadro complessivo e affidabile sulla diffusione e sul peso delle imprese pubbliche nelle varie economie sono difficili da ottenere. Tra i principali ostacoli che si incontrano nella comparazione figurano l’individuazione del perimetro di attività d’impresa, la reperibilità di dati relativi alla proprietà dei governi locali, la distinzione tra investimenti finanziari e partecipazioni stabili da parte dell’operatore pubblico. Secondo un recente studio dell’OCSE, l’Italia figura tra i paesi in cui la dimensione del settore è maggiore (OECD, 2011a). Nel 2009 il valore complessivo delle imprese controllate dal governo centrale (imprese quotate e non quotate in cui lo Stato detiene la maggioranza del capitale) era pari per l’Italia a 105 miliardi di dollari; solo Corea, Francia e Norvegia presentavano valori più elevati (rispettivamente 178, 158, 131 miliardi di dollari). Considerando le società quotate in cui lo Stato detiene almeno il 10 per cento, l’Italia risulta il secondo paese dietro la Francia per valore delle partecipazioni. Va inoltre considerato che tali dati non tengono conto del valore effettivo delle partecipazioni che, pur essendo minoritarie, consentono l’esercizio del controllo." (bancaditalia)


Cosa pensano altri giornali... 
 "Specifiche ipotesi di vendita riportate da organi di informazione non sono state formulate dal ministro". Lo precisa il Tesoro in merito alle parole del ministro Saccomanni, che ha parlato "di strategia di riduzione del debito, formulando diverse ipotesi di valorizzazione del patrimonio pubblico, senza mai citare specifiche società".Non e' escluso che il Tesoro decida di cedere quote di societa' pubbliche - incluse Eni, Enel e Finmeccanica per ridurre il debito. E' quanto ha affermato il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni in un'intervista a Bloomberg Tv a Mosca, secondo quanto riporta l'agenzia Bloomberg.C'e anche l'ipotesi, ha spiegato Saccomanni nell'intervista televisiva a margine dei lavori del G20 di Mosca, di usare gli asset di queste aziende come collaterali. ''Stiamo considerando questo - ha detto il ministro in un'intervista a Bloomberg - queste compagnie sono profittevoli e danno dividendi al Tesoro, cosi' dobbiamo considerare anche la possibilita' di usarle come collaterali per la riduzione del debito''. ''Ci sono un po' di idee che dobbiamo prendere in considerazione'', ha proseguito Saccomanni. In particolare il ministro ha detto: ''spero che prima della fine dell'anno possiamo avere chiara quale sia la nostra visione per una strategia compressiva per uno schema che consenta l'accelerazione della riduzione del debito''."Il governo intende valorizzare i propri asset e quindi non esclude in futuro un piano di valorizzazioni che include le partecipazioni delle quale è in possesso". Lo precisa alla stampa italiana il portavoce del ministro dell'Economia, Roberto Basso a margine del G20."Ipotesi questa che andrebbe valutata con molta cautela perché si tratta di società quotate, profittevoli, che forniscono dividendi", ha proseguito il portavoce del Ministero del Tesoro, precisando alle agenzie italiane il senso dell'intervista concessa dal ministro Saccomanni a Bloomberg Tv, nella quale non si escludeva l'ipotesi di cessione di quote delle partecipazioni del Tesoro in Eni, Enel e Finmeccanica. "Tra le idee da valutare in futuro anche l'ipotesi di utilizzare le partecipazioni come collaterale per operazioni finanziarie", ha aggiunto. "Tra le ipotesi note anche la cessione di immobili del Demanio", ha proseguito. L'obiettivo è "contribuire alla riduzione dello stock del debito", ha concluso.Debiti p.a:Saccomanni,già a disposizione oltre 10 mld  - Ammonta già ad oltre 10 miliardi di euro la somma messa a disposizione per pagare i debiti accumulati dalla pubblica amministrazione. Saccomanni ha precisato che l'intera somma, pari a 40 mld da erogare entro il primo semestre '14, vale il 2,5% di pil.Ripresa tra II e III trimestre - "La ripresa? Ci sono indicatori che si materializzerà tra il secondo e il terzo trimestre di quest'anno": è la previsione del ministro dell'economia. "Anche Bankitalia prevede che il quarto trimestre sarà positivo", ha aggiunto.Si tratta di segnali deboli che convivono con la coda della crisi, ha lasciato intendere il ministro: "é tipico delle fasi di inversione di ciclo il fatto che ci siano incertezze ovunque", ha risposto ad una domanda sui rischi ancora esistenti. Saccomanni ha osservato però che "mentre in passato la politica economica era tutta improntata sulle restrizioni e ci si affidava solo alla domanda esterna, ora il quadro sta cambiando: ora c'é anche un supporto interno certo", ha sottolineato, citando ad esempio i rimborsi per i debiti della pubblica amministrazione. (http://www.ansa.it/)

Il governo studia la possibile cessione di quote nelle aziende pubbliche, in testa Eni, Enel e Finmeccanica. Ad aprire su questa ipotesi è il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni, in un'intervista a margine del G20 in Russia. Parole che però scatenano un coro di “no” dai sindacati e dalla politica, con Grillo che ne approfitta per attaccare il ministro. E il Tesoro a distanza di qualche ora è costretto a frenare: dal ministro nessuna specifica ipotesi di vendita. Eppure ai microfoni di Bloomberg tv Saccomanni è chiaro: «Abbiamo annunciato di accelerare lo schema di privatizzazioni che riguarda gli immobili, ma stiamo anche considerando la possibilità di ridurre la nostra partecipazione nelle società controllate dallo Stato». E ai giornalisti che chiedono esplicitamente di Eni, Enel e Finmeccanica risponde: «Sì, stiamo considerando questo. C'è un numero di questioni da affrontare, perché queste società sono redditizie e danno dividendi al Tesoro, così dobbiamo considerare anche la possibilità di usarle come collaterali per la riduzione del debito. Spero che prima della fine dell'anno avremo chiaro quale sarà la nostra visione per una strategia complessiva per un piano di riduzione del debito».A correggere il tiro interviene il Tesoro, prima per precisare che «il governo intende valorizzare i propri asset e quindi non esclude in futuro un piano di valorizzazioni che include le partecipazioni delle quali è in possesso» e poi per puntualizzare che «specifiche ipotesi di vendita riportate da organi di informazione non sono state formulate dal ministro», che non ha mai fatto il nome di specifiche società. (UnioneSarda


"Oggi Letta sta pensando di inserire (da qualche parte) un emendamento che permetta la vendita di un bene alla volta. In ballo ci sono cifre grosse: l’intero patrimonio immobiliare dello Stato vale 500 miliardi di euro.
Ma la privatizzazione più imponente è quella che potrebbe interessare i beni “di famiglia”, ossia le aziende a partecipazione statale che erogano servizi fondamentali alla comunità.

Privatizzazione Ferrovie dello Stato – Pur essendo già spacchettata in Trenitalia e Rfi, è una partecipata dello Stato ancora al 100%. Qui c’è molto da vendere e molto da guadagnare. Si tratta, anche, di garantire un livello competitivo tale da incrinare la formidabile ascesa di Italo, che è invece totalmente privata.
Privatizzazione Poste Italiane – La “statlità” dei servizi postali è da sempre un pilastro della vita del Paese (anche qui siamo di fronte a una partecipata dello Stato al 100%). Letta però è incoraggiato, in questa opera di privatizzazione, dalla vendita della Royal Mail organizzata dal Regno Unito, altra realtà generalmente legata al concetto di servizio pubblico.
Privatizzazione Fincantieri – 100% partecipata statale anch’essa, è considerata un po’ come la patata bollente da passare in mano altrui. La società armatrice è infatti in crisi, dunque perché non appoggiarsi a qualche realtà privata? Prodi ci provò nel 2007 – nell’operazione c’era anche Enrico Letta – ma si scontrò con il parere sfavorevole dei sindacati. Oggi la situazione è diversa, siamo in uno stato emergenziale e questo potrebbe ammorbidire le posizioni della Cgil." (Investireoggi)

Saccomanni non è altro che  lo strumento della longa manus delle élite private  in seno al governo italiota  che  spinge verso il sostegno degli interessi privati della lobby  rappresentata .. 

venerdì 19 luglio 2013

F35, la rotta di collisione Partiti divisi sull'acquisto dei 90 caccia dell'americana Lockheed Si ipotizza una spesa di 14 miliardi. Il voto di Camera e Senato


F35, la rotta di collisione Partiti divisi sull'acquisto dei 90 caccia dell'americana Lockheed Si ipotizza una spesa di 14 miliardi. Il voto di Camera e Senato

di Augusto Ditel
www.unionesarda.it

Una lettera: F. Due numeri: 35. Trilogia di guerra, scenari d'attacco a potenze straniere secondo input americani. Eppoi, soldi, tantissimi soldi per acquistare questi cacciabombardieri di quinta generazione a tecnologia avanzatissima, costruti dalla Lockheed. F35 Lightening II è il nome di un programma militare conosciuto anche come Joint strike fighter , lanciato dagli Stati Uniti insieme con altri otto Paesi alleati, tra cui l'Italia, all'inizio degli anni '90. I soldi in ballo sono talmente tanti che tutti danno i numeri, ma nessuno sa quantificare con esattezza l'impegno finanziario del nostro Paese. 

TIPO A E B 

Comunque, non si tratta di bruscolini. L'F35 di tipo A (quello a decollo tradizionale) costa poco meno di 100 milioni di euro; per l'altro (tipo B), a decollo rapido simile a quello di un elicottero per intenderci, occorrono sui 107 milioni per macchina. Secondo calcoli approssimati per difetto, dopo la riduzione del numero dei velivoli (da 131 a 90) decisa dall'allora ministro del governo guidato da Mario Monti, Giampaolo Di Paola, le risorse da impiegare sfiorano i 14 miliardi. Ma per esempio il Movimento 5 Stelle ritiene che, alla fine l'Italia, se non si darà una mossa, ne spenderà 50, di miliardi.

LE POLEMICHE 

Il dibattito sull'opportunità di alimentare la corsa agli armamenti, con cifre colossali, in un momento come questo, è assai articolato. Montano le polemiche perché si ha l'impressione che la stragrande maggioranza dell'opinione pubblica non comprenda né tantomeno giustifichi la spesa, e le stesse forze politiche si sono lacerate su due mozioni, votate a maggioranza da Camera e Senato. Tra i partiti che sostengono il governo, il Pd è quello più attraversato da correnti contrarie. 

LA CAMERA 

Hanno cominciato i deputati, lo scorso 26 giugno (381 sì, 149 no), col dire sì a una mozione della maggioranza che non blocca per nulla (si potrebbe dire che congela) l'acquisto degli F35, e rimanda ogni decisione al voto del Parlamento.
A Montecitorio la mozione presentata da Sel e Movimento 5 Stelle prevedeva l'annullamento dell'acquisto, ma è stata respinta (136 a favore, 378 contrari). Un no secco, questo, che ha prodotto una diaspora tra i Democratici, molti dei quali invitano i compagni a non confondere le esigenze di Difesa, da quelle del welfare. La stessa Valentina Sanna, ieri, nel dimettersi da presidente dell'assemblea regionale del Pd ha fatto riferimento alla vicenda degli F35.
Giusto per restare in Sardegna, se da un lato il capogruppo del Pd in Commissione Difesa, Gian Piero Scanu, ha detto sì alla mozione di maggioranza, dall'altro Mauro Pili, del Pdl, è stato l'unico parlamentare sardo di una forza politica che sostiene il Governo di Enrico Letta a schierarsi con le opposizioni.


IL SENATO 

Il voto del Senato è di martedì scorso: 202 sì, 55 no, 15 astenuti. Simile il contenuto della mozione di maggioranza: rinvio di ogni determinazione su quanti aerei comprare, secondo il volere del Parlamento, come prescrive l'articolo 4 della legge 244 del 2012. Contrari, anche a Palazzo Madama, Sel e M5S. In quest'ultimo gruppo il no più covinto agli F35 è arrivato dal senatore cagliaritano Roberto Cotti, autore di una clamorosa protesta: in aula ha indossato una giacca tricolore e la bandiera della Pace, poi se l'è tolta su invito del presidente Piero Grasso. Molto più marcato, al Senato, il malessere (!) nel Pd. L'alfiere della contestazione è l'ex magistrato Felice Casson, in dissenso con l'indicazione di partito e dunque d'accordo con Sel e M5S. Come lui la pensano Laura Puppato e il giornalista Corradino Mineo.

Per una nuova indipendenza, le sfide del Partito dei Sardi


Per una nuova indipendenza, le sfide del Partito dei Sardi

di GIORGIO PISANO
www.unionesarda.it


Franciscu Sedda
Gli stati generali del nuovo indipendentismo sono convocati domani (sabato 20 luglio 13) a Losa per assistere al battesimo quasi ufficiale d'una ultimissima creatura politica: il Partito dei Sardi. Obiettivo: correre (e possibilmente vincere) alle prossime elezioni regionali. Dietro si muove Franciscu Sedda, semiologo all'università di Tor Vergata, transfuga dall'Irs di Gavino Sale e da Progres di cui era padre legittimo. Con lui c'è Paolo Maninchedda, prof universitario a Cagliari, plurischierato, nel senso che ha attraversato l'universo dal pianeta Dc al centrosinistra per transitare poi in area sardista e riproporsi adesso in veste inedita.
Trentasette anni, sposato a una militante (Ornella), una figlia (Soliana), un bel manifesto politico alle spalle ( I sardi sono capaci d'amare ), Sedda si lancia in questa avventura «con l'entusiasmo dell'evoluzione».

Che vuol dire?«Significa che mi sono liberato da un'idea vecchia e folcloristica di indipendentismo, dalla logica dei duri e puri che però non contano niente. Ai sardi dico che dobbiamo liberare la parte migliore di noi e diventare sovrani in casa nostra, come accade a Malta, in Scozia o in Catalogna».

Che significa sovrani?«Recuperare, per esempio, quei diritti sanciti dallo Statuto eppure ignorati. In questa logica si spiega la battaglia per creare un'Agenzia sarda delle Entrate. Dopo la raccolta di firme, aspettiamo che il Consiglio regionale la faccia diventare legge».

Andate soli alle elezioni?«Noi confidiamo di far parte del cartello di centrosinistra. Non credo ci siano problemi anche perché il nostro programma di governo ha molti punti in comune con quell'area».

Candidato presidente?«Quasi certamente Paolo Maninchedda».

Strana alleanza la vostra, no?«No. Maninchedda ed io siamo profondamente diversi ma il Partito dei Sardi non deve far le pulci a nessuno. È già una vittoria saper guardare oltre, verso il futuro. In fondo, chiediamo di liberare la parte migliore di noi stessi. Eppoi, Maninchedda è l'unico consigliere regionale che ha presentato una mozione sull'indipendentismo».

I compagni di ieri che ne dicono?«Ci siamo confrontati ma non c'è stato nulla da fare. Avremmo voluto unirli, fare fronte comune, ma ha prevalso la divisione: ognuno per conto proprio, ciascuno con certezze sacrali, inviolabili».

Cosa manca ai sardi per acquisire coscienza nazionale?«La capacità di guardare al presente e alla storia di questa terra. Già nel dodicesimo secolo Barisone parlava di sovranità dei sardi, sovranità di un popolo che decide il destino comune. Da allora non siamo cresciuti granché».

Però restiamo liberi di lamentarci.«Appunto. Non siamo riusciti a svezzarci da vizi antichi come quello del vittimismo. Non ci ha aiutato, negli anni, la classe politica: è rimasta inerte e passiva di fronte al governo di Roma anche nel caso, come succede per le entrate fiscali, di diritti sacrosanti».

E i sardisti, che dire dei fratelli coltelli?«Il Psd'Az ha fatto da tempo una scelta di centrodestra che noi non condividiamo. Ne prendiamo atto: il partito di Giacomo Sanna è una delle tante sfaccettature di un malinteso senso dell'indipendentismo. Non è un caso che Maninchedda sia separato in casa nel gruppo consiliare per evidente incompatibilità».

Piccoli e fragili: come pensate di superare lo sbarramento?«Faremo parte di una coalizione piuttosto ampia e questo ci metterà al riparo dal rischio di restare a bocca asciutta, fuori dal prossimo Consiglio regionale».

L'incognita 5 Stelle vi preoccupa?«Non più di tanto. Si tratta di un movimento che ha dato un forte segnale di rottura ma ha finito poi per perdersi in questioni di nessun valore. Ho la sensazione che dopo il boom elettorale alle Politiche, i grillini siano adesso in fase calante. La novità siamo noi».

Ugo Cappellacci vi ha deluso?«Ha governato il vuoto per quattro anni mentre negli ultimi dodici mesi ha riscoperto un attivismo sorprendente impadronendosi, tra l'altro, di battaglie che non gli appartengono. Sto parlando, giusto per capirci, di sovranità fiscale. Dovessi fare un bilancio direi che la giunta Cappellacci ha sprecato il suo tempo e, purtroppo, quello di tutti noi».

L'opposizione ha funzionato?«Poteva certamente fare di più. Si è trovata spesso in panne, divisa e polemica al suo interno. La mia impressione è che abbia svolto il suo ruolo per senso del dovere piuttosto che per convinzione. È mancata la grinta necessaria, la consapevolezza di quella che noi chiamiamo costante esistenziale».

Che sarebbe?«A differenza di quella resistenziale di cui parlava il professor Lilliu, la costante esistenziale è la conquista d'una consapevolezza: capire chi siamo, quali siano i nostri diritti, dove dovremmo puntare. Per questo vogliamo creare un Partito dei Sardi in Europa».

La variabile Michela Murgia?«È una libera cittadina, siamo in democrazia e dunque può fare quello che crede».

Non la sentite affatto vicina. Eppure è indipendentista.«Quando abbiamo avviato il nostro progetto, Paolo Maninchedda ed io abbiamo scommesso sull'unità, sul raggruppamento delle varie anime indipendentiste. Che però hanno scelto altre strade».

Lei, ad esempio, perché ha abbandonato Progres?«Perché non mi piace un indipendentismo che si parla addosso, che si chiude nel fortino della purezza ideologica per guardarsi allo specchio. Preferisco scendere in piazza per conquistarmi la fiducia di quelli che ancora indipendentisti non sono; preferisco parlare ai sardi, a tutti i sardi, senza fare le pagelle dei buoni e cattivi o la selezione sulle aree di provenienza».

Insomma, siete la differenza.«Non abbiamo questa pretesa. Più semplicemente usciamo da una logica che ci sembra superata. La sovranità che rivendichiamo non è diversa da quella scozzese che a settembre del 2014 vota un referendum per presentarsi in Europa come Stato membro».


E questo ha un senso?«Eccome. Vorrei che i sardi si rendessero conto delle condizioni in cui ci fanno vivere: penso a mia figlia e mi chiedo quale sarà il livello delle scuole che l'aspettano, quale sanità, perfino su quali strade dovrà camminare. Noi vogliamo costruire uno Stato, non vogliamo continuare a subire l'arbitrio della centralità romana su questioni per noi fondamentali. Eppoi, credo d'aver già vinto».

Già vinto?«Beh, molte tematiche di quindici anni fa oggi sono all'ordine del giorno. Quello che allora non avevamo capito è il rapporto con gli altri: non basta la qualità delle proposte, bisogna conquistare il consenso e, col consenso, il diritto a governare. Finora siamo rimasti trincerati su posizioni che avevano invece bisogno di una verifica popolare».

Per questo ha rinnegato i sacri padri, cioè Bellieni e Lussu?«Ci hanno fatto credere che l'autonomia fosse il massimo dei risultati possibili. Ed è sbagliato. Aveva ragione chi, come Antonio Gramsci, diceva che non si deve dissertare di politica ma viverla pragmaticamente. Uscire allo scoperto, insomma».

È questo che vi separa dagli altri?«Ci dividiamo su fatti concreti. La situazione muterebbe radicalmente se avessimo un'Agenzia che incassa i tributi pagati dai sardi e, una volta detratta la parte che spetta alla regione, versa il resto allo Stato. Oppure, visto che i soldi in cassa li abbiamo noi, riapre qualche contenzioso rimasto impiccato. Ci ritroveremmo il coltello dalla parte del manico. E questa è già una rivoluzione».
pisano@unionesarda.it

martedì 16 luglio 2013

PRO DARE SA PARAULA A SA NATZIONE E DARE IDENTIDADE A SA CULTURA POLITICA NATZIONALE

PRO DARE SA PARAULA A SA NATZIONE E DARE IDENTIDADE A SA
CULTURA POLITICA NATZIONALE


Bustianu Cumpostu

COORDINADORI NATZIONALE
 DE SARDIGNA NATZIONE INDIPENDENTZIA

ANDALAS  PRO ASSENDERE A SOS STATI GENERALI DELLA NAZIONE SARDA
PRENDERE ATTO DEL DISASTRO
  • Il disastro, economico, politico, culturale, ambientale, energetico, di rappresentatività, psicologico, di autostima e di auto-fiducia, causato alla Sardegna ed ai Sardi è evidente e ormai difficilmente riparabile.
  • Le cause di tale disastro sono altrettanto evidenti e ricadono sul sistema che ha imposto, modelli, e tempi, che  ha elevato ad obiettivi il fallimento ed il disastro, ha perpetuato la dipendenza e impedito iniziative economiche o politiche fuori sistema.  
  • Un sistema complesso quello del disastro sardo, nel quale vere e proprie agenzie della dipendenza, create dal sistema politico e sindacale italiano hanno imposto la loro cultura politica, la hanno resa totalizzante ed hanno ridotto a suoi sottoinsiemi gran parte delle espressioni politiche di genesi e motivazione organiche alla nazione sarda.

INSUFFICIENZA DELLE ESPRESSIONI POLITICHE SARDE
  • Bisogna prendere atto che le espressioni politiche che la nazione sarda ha generato perché fungessero da anticorpi contro il sistema del disastro, non solo non sono state all’altezza di contrastare l’avanzamento del male ma in parte si sono trovate, non volendolo, coinvolte ed integrate nel sistema linfatico che lo alimenta.
  • Non serve a niente distribuire quote di responsabilità tra le espressioni politiche sarde, dobbiamo solo prendere atto della loro insufficienza   e della necessità di restituire le deleghe alla natzione sarda, aprire le gabbie e chiamare, insieme, la gente sarda a dare corpo collettivo e cervello collettivo alla nazione per avere un ruolo nel decidere e contrastare il sistema del disastro con una propria cultura politica, intesa in senso lato, anche in compartecipazione con la cultura politica italianista ma da essa disgiunta e con essa in concorrenza.

STATI GENERALI DELLA NATZIONE SARDA
  • Quando si è in emergenza si chiama a raccolta tutta la famiglia ed ogni componente ha la sua quota di responsabilità ed ha il dovere di contribuire al superamento dell’emergenza, ma più di tutti hanno responsabilità le espressioni politiche e culturali che la famiglia ha generato in base ai propri bisogni, interessi ed aspettative. Spetta a loro, sintesi organizzate della nazione, leggere l’emergenza, valutarne la gravità e proporre occasioni e modi per collettivizzare responsabilità e soluzioni.
  • Le sintesi organizzate della nazione, devono chiamare a consulto gli STATI GENERALI DELLA NAZIONE SARDA, formare un gruppo di serietà nazionale e creare le condizioni perché LA CULTURA POLITICA SARDA entri nello scenario, batta i propri tempi, determini azioni e proposte proprie, viva, pur in compartecipazione, di vita propria e non di supporto o contrasto alla cultura politica italiana.
  • Le sintesi “sardiste” hanno il dovere di creare spazio vitale alla cultura politica sarda e di creare spazio e motivazione politici di esistenza anche per se stesse, che altrimenti non avranno capitale politico autonomo ma solo all’interno del contesto “italianista”.
  • NON DEVE ESSERE UN EVENTO INTERNO ALLA CONTINGENZA ELETTORALE E FINALIZZATO AD ESSA, ma deve entrare dentro il contesto ricettivo indotto da tale evento, polarizzare l’attenzione aprendo un sipario più serio e in alternativa a quello presentato dalle comparse sarde negli scontri di potere che vanno in scena nel teatro italiano.
  • Ogni sintesi “sardista” deve essere lasciata libera di continuare le sue trattative elettorali, tale argomento non deve essere motivo di scontro ma  non può neanche essere usato per nascondere, alla nazione, i propri intenti, omettere proposte e rifiutare condivisioni.
  • Se le condivisioni si riscontreranno nelle parole, si creeranno le condizioni perché si concretizzino nei fatti,  chi non sarà coerente verrà valutato dalla gente sarda, dagli stati generali della natzione sarda.
  • Non ci dovranno essere schemi o pregiudiziali, ne graduatorie di sardismo o di indipendentismo e l’ambito di riferimento sarà quello del nazionalismo, di coloro, sardi, che pensano che la famiglia di riferimento sia la nazione e non lo stato e che credono che le libertà collettive nascano dal rispetto e dalla tutela delle particolarità nazionali e non dagli interessi degli stati.


No isco si so resessidu in sa punda, ma ispero de aere abertu un’andala.

Cun istima manna
Bustianu Cumpostu


domenica 14 luglio 2013

SU SARDU EST LIMBA. IN SU 2001 A SU PROTZESSU CONTRAS S'ENEL IS INDIPENDETISTAS CHISTIONANT IN LIMBA

SU SARDU EST LIMBA. IN SU 2001 A SU PROTZESSU CONTRAS S'ENEL IS INDIPENDETISTAS CHISTIONANT IN LIMBA


Juanne Zoseppe Bandinu


In limba contro l’Enel davanti al giudice. Primo processo col traduttore per gli indipendentisti sardi che occuparono la sala comandi della centrale: «per denunciare le maxibollette applicate nell’Isola».


L'Unione Sarda | 11 dicembre 2001

Sassari. “Porte aperte alla centrale”, era un vecchio slogan dell’Enel. E loro, indipendentisti doc, lo hanno preso alla lettera e sono entrati dritti dritti prima nella sala comando della termocentrale di Fiumesanto e poi nell’aula di un tribunale che ha battezzato il primo processo in limba.

Accusati di minacce, resistenza a pubblico ufficiale eccetera eccetera, gli otto del commando Amsicora, col dovuto rispetto per il giudice “straniero”, la loro battaglia l’hanno già vinta: portare a conoscenza di tutti il grande salasso energetico inflitto ai sardi. Una bolletta che nell’Isola pesa oltre il quaranta per cento in più rispetto agli utenti del resto d’Italia. Cavallo di razza cavalcato, dopo l’incursione,un po’ da tutti i partiti politici.


Ieri finalmente si è aperto il processo, con tanto di traduttore ufficiale per la prima volta nella storia. Il professor Michele Pinna, docente universitario di Lingua e letteratura sarda alla facoltà di lettere e filosofia, ha accompagnato con la versione in italiano le dichiarazioni spontanee di Giovanni Pietro Marras, meglio noto come “Zampa” e Gavino Sale, leader di Sardigna Natzione (attualmente coordinatore di IRS, ndr) all’epoca responsabile della Commissione politiche energetiche del partito.


Il giudice Guido Vecchione ha fatto capire subito che aria tirava, allontanando l’ex interprete, arrivata in aula con bavaglio alla bocca e cartelloni appesi al collo, a denunciare l’ennesima ingiustizia. L’avevano esclusa perché la sua domanda di iscrizione all’albo dei traduttori ufficiali era stata redatta soltanto in lingua sarda, senza traduzione in italiano. «Niente sceneggiate, prego», e dopo la decisione del giudice l’interprete si lascia accompagnare fuori.


Poi l’aula si riempie, “Zampa” Marras, sotto l’inseparabile berritta, prova a raccontare i suoi natali. «Si attenga ai fatti». Quello che accade il diciannove ottobre di quattro anni fa non è casuale, dice Zampa. È stato pensato due mesi prima, vista l’inutilità di convegni e volantini e la scarsa incisività di sporadiche apparizioni sul giornale. Stavolta sulla carta stampata vogliono apparire ben bene, caratteri in neretto, per un’azione clamorosa quanto pacifica.


A “Porte aperte” loro ci sono, otto patrioti del commando: «due donne coraggiose e sei uomini arditi». Ma, sottolineano al giudice, sempre nel pieno rispetto della legalità: «decisi a denunciare l’Enel, che dal 1962 ha estorto alle famiglie e alle industrie sarde all’incirca ottomila miliardi di lire».


Mai nessun accenno alle armi? chiede il giudice Vecchione. «Mai, per me tutte le armi del mondo depen esser fattas a chijina», devono essere ridotte in cenere, chiarisce l’interprete. Per Gavino Sale non ci sono dubbi. Ma quali armi, l’unica arma era il suo Tritolo, compagno di commando così chiamato per le sue esplosioni di allegria, così contagiose. Soltanto un equivoco. «Non ci siamo mai qualificati come gruppo armato, mai abbiamo avuto l’intenzione di abbassare quella leva e spegnere la centrale elettrica, privando della luce i fratelli sardi. Questo era piuttosto l’intendimento dell’ingegner Signoriello, il metodo più veloce per far intervenire i carabinieri. Noi lo abbiamo dissuaso». Le domande dell’avvocato Teresa Pes sono filtrate senza traduttore, per risparmiare sui tempi altrimenti infiniti del processo. Che si concluderà soltanto il sette febbraio ma per un problema tutto avvocatizio.


Tutto a posto quindi, il traduttore c’era, il processo si è tenuto regolarmente, il sardo è entrato ufficialmente in un’aula giudiziaria, accompagnato da telecamere e macchine fotografiche.

Articolo di Patrizia Canu.

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