sabato 10 agosto 2013

INTERVISTA AL PROF. ANTONIO MARIA RINALDI* SU EURO, EUROPA, UNIONE EUROPEA, CRISI ECONOMICA

INTERVISTA AL PROF. ANTONIO MARIA RINALDI* SU EURO, EUROPA, UNIONE EUROPEA, CRISI ECONOMICA

Rinaldi 300x300 Rinaldi: LEuro? Un fallimento.
Innanzitutto grazie per la cortese intervista che concede a Corretta Informazione. Recentemente è uscito il suo libro “Europa Kaputt“, preceduto da “Il fallimento dell’Euro“. La prima domanda, dunque è: perché l’euro è fallito? Ed è stato un fallimento voluto? Eventualmente, da chi?
La mia prima esperienza “letteraria” è avvenuta due anni fa con “Il fallimento dell’euro” in cui ho voluto esternare tutto il mio disappunto nei confronti della costruzione monetaria europea perché, ormai, si stavano iniziando a intravedere gli enormi disagi che quest’aggregazione aveva comportato, non solo in Italia, ma nella gran parte delle economie dei paesi euro-dotati. Questo proprio perché l’origine stessa della moneta comune è stata l’origine di una scelta politica e non tecnica. Sappiamo benissimo che siamo giunti a una convergenza monetaria essenzialmente per decisione della Francia e della Germania dopo la caduta del Muro di Berlino per dare un nuovo assetto economico e per riallineare gli equilibri che si erano modificati dopo la caduta del Muro: cioè la parte dell’est Europa. Si è voluto procedere con una scelta politica un po’ affrettata e si è, soprattutto, affidato a un meccanismo (i famosi meccanismi di convergenza previsti dal Trattato di Maastricht e i successivi) quest’aggregazione monetaria non tenendo conto, nella maniera più assoluta, di alcune caratteristiche insite dei vari Paesi, tra i quali anche l’Italia. Anzi, l’Italia è stato il paese che si è più svantaggiato da questa unione, proprio perché  i parametri a supporto della costituzione della nuova moneta e del suo mantenimento erano dei presupposti che andavano contro le sue “logiche economiche“. Sappiamo benissimo che, storicamente, noi abbiamo sempre avuto un debito pubblico elevato e uno dei parametri è proprio il rapporto deficit/Pil. Inutile entrare nelle polemiche, ma pensiamo, ad esempio, al famoso 3% del deficit che non ha nessun fondamento scientifico se pensiamo che fu scelto da Mitterand quando era Primo Ministro in Francia  per tenere buoni e a bada i suoi ministri, e tirò fuori questo 3% perché gli ricordava la Trinità. Basta andare a vedere su Google e ci sono dichiarazioni di alti dirigenti del Ministero che, purtroppo, confermano questo fatto. L’Unione Europea, evidentemente, ha ritenuto che, avendo Mitterand escogitato questo 3%, ci fosse dietro chissà quale considerazione economica. Invece era solo un escamotage per non farsi assillare dai propri ministri a sforare i bilanci. Già capiamo, dunque, che siamo partiti con il piede sbagliato. Sicuramente l’Italia ha molte colpe, moltissime, ma ci stiamo accorgendo che questo disagio è anche degli altri Paesi, a partire dalla Francia.
In un’intervista rilasciata a Rischio Calcolato, Lei ha affermato che, così come il Professor Paolo Savona, crede che l’Italia abbia un PIANO B. In cosa consisterebbe, secondo lei, questo Piano B?
Paolo Savona è stato mio professore sin dai tempi dell’Università a metà degli anni ‘70, è un mio onore, e per questo so benissimo che è stato sempre profondamente critico nei confronti dell’aggregazione monetaria europea, soprattutto con i mezzi e i metodi che sono stati adoperati. Scherzando dico sempre che il Prof. Savona è critico nei confronti dell’euro da quando ancora si chiamava ECU, il famoso acronimo unità di conto europeo. Ebbene, è chiaro che una classe politica consapevole dovrebbe avere nel cassetto un Piano B per un’uscita ordinata dall’euro. Anche perché ci siamo resi conto che gran parte delle problematiche che hanno investito la sopravvivenza dell’euro sono problematiche che provengono dall’esterno: abbiamo visto l’influenza della crisi americana com’è stata devastante nei confronti dei Paesi dell’area monetaria europea. Lo vediamo proprio nel caso dell’Italia, per quanto possa essere stata brava a fare i propri “compiti“, e lo è certamente stata dato che sono due o tre anni che abbiamo un avanzo primario fra i migliori in assoluto in Europa, mentre la stessa cosa non la può dire, ad esempio, la Francia. Chiaramente, però, poi dopo non riusciamo a essere “virtuosi” perché abbiamo un costo per il sostentamento del debito che ci assorbe circa 2.5/2.7 punti annui del Pil e, quindi, la “virtuosità” che abbiamo nei confronti del deficit del disavanzo, vengono immediatamente annullati dal costo del debito. Altrimenti saremmo più che “virtuosi“. Il problema è che siamo soggetti agli tsunami che provengono dall’estero e, quindi, se dovesse verificarsi qualche problema a livello finanziario – non voglio evocare la Lehman Brothers, ma qualcosa di analogo – noi saremmo aggrediti oltremodo da parte dei mercati finanziari, con una pressione incredibile sui nostri titoli e, a quel punto, noi dovremmo entrare nell’ordine di idee di attuare un Piano B. D’altronde il Piano B esiste, esiste eccome!, e ci sono dei segnali inequivocabili che lo fanno capire. Innanzitutto c’è il Trattato di Lisbona perché l’articolo 50 dice che un paese dell’Unione può recedere dall’Unione Europea: quindi fa trasparire, in maniera più che ovvia, che sono previsti dei “patti segreti” per poter uscire anche dall’euro. Perché, altrimenti, come sarebbe conciliabile il fatto di poter uscire dall’Unione Europea, ma dover conservare la moneta unica? È chiaro, dunque, che, sin dai tempi del Trattato di Maastricht, è prevista la possibilità di poter uscire dall’unione monetaria. D’altronde nel dicembre 2011 il Prof. Savona mise al corrente l’aula della telefonata che ebbe con l’allora Ministro dell’Economia Tremonti che gli confermava dell’esistenza di un Piano B, dopo che Savona aveva scritto diversi articoli sui giornali nazionali sull’argomento. Tremonti lo confermò. Ma è ovvio, è normale, fa parte della strategia di sicurezza nazionale, così come esistono dei piani militari contro invasioni generiche. Anzi, sarei preoccupato se questo non ci fosse. D’altronde, la stessa esperienza del Prof. Savona al Centro Studi della Banca d’Italia con Guido Carli negli anni ’60 e nei primi anni ’70 fa ritenere che la stessa Banca d’Italia abbia sicuramente predisposto un credibile e serio Piano B per un’uscita ordinata dall’europerché non possiamo affidarci all’improvvisazione se dovesse succedere qualcosa di irreparabile. È normale, è auspicabile che esista un Piano B come, d’altronde, lo hanno tutti i Paesi dell’area euro. Ci mancherebbe!
Se Lei dovesse spiegare con poche parole cos’è l’euro a un normale cittadino, che parole userebbe?
Premetto che ho un’enorme fiducia nei confronti dei cittadini anche perché sono sì un economista, ma un economista dell’economia reale e, per questo, mi confronto quotidianamente con le persone e mi sono reso conto che il cittadino comune, l’uomo della strada, è molto più preparato di tanti che si dicono economisti o che ritengono di dover dire la loro opinione sui fatti economici. I cittadini hanno capito perfettamente qual è la situazione. Gli italiani sono certamente rimasti affascinati dall’idea di appartenenza all’Unione Europea e la stessa moneta unica rappresenta un traguardo più che nobile, solo che purtroppo da un punto di vista tecnico è stato utilizzato il peggiore dei modi possibile e si è trasformata in una specie di gabbia dove, purtroppo, abbiamo potuto constatare che c’è un solo Paese, la Germania, che se ne sta avvantaggiando oltremodo. Io sono un grandissimo estimatore della Germania e del suo popolo, io contesto solo il fatto che essa abbia imposto un modello economico che non è replicabile ed esportabile agli altri Paesi. Va bene per la Germania, ma non può andare bene per Paesi come l’Italia o la Spagna, per non parlare degli altri Paesi ancora più periferici del nostro. Noi, infatti, siamo ancora la seconda impresa manifatturiera, dopo la Germania, dei 27 (tra poco 28) Paesi dell’Unione Europea e aver affidato la nostra economia a questo modello economico ci consuma come una candela. Noi abbiamo, invece, bisogno di rifarci a dei modelli economici diversi. D’altronde, molti hanno interpretato male l’Unione Europea pensando, la gran parte ingenuamente, che significasse la trasformazione del concetto di concorrente in partner. Così facendo, però, noi abbiamo fornito delle armi formidabili nelle mani dei nostri concorrenti. Faccio un esempio che vale per tutti: oggi se non ci fosse la moneta comune euro, ma avessimo tutti quanti in dotazione le nostre valute nazionali, la Germania rapporterebbe il marco nei confronti del dollaro a non meno di 1.75/1.80 contro gli 1.32 dell’euro. Cosa vuol dire? Vuol dire che, rispetto ai fondamentali economici dell’economia tedesca, la valuta euro è una valuta estremamente sottovalutata, mentre invece gli altri Paesi, a iniziare dal nostro che, ripeto, siamo la seconda impresa manifatturiera e, quindi, esportatori per propensione, avere questo tipo di euro significa esserci dotati di una valuta estremamente sopravvalutata. Questo, naturalmente, fa soffrire la nostra economia, perché se avessimo ancora la Lira noi non ci rapporteremmo a questi livelli nei confronti del dollaro, che non è soltanto la principale valuta del mondo, ma è anche la valuta con cui noi compriamo le nostre materie prime. Certamente se avessimo la Lira compreremmo le materie prime a un prezzo più elevato, è vero, ma proprio perché l’Italia è un grandissimo Paese di “trasformazione” dove diamo spesso un valore aggiunto enorme alle materie prime stesse, è un prezzo marginale nella formazione del costo finale, poiché abbiamo la capacità di incrementare il valore in maniera molto significativa e, quindi, il valore della materia prima ha un significato molto marginale nella formazione finale del prezzo.
Se la situazione politica, economica e sociale dovesse rimanere quella che è attualmente, come vede il futuro per un giovane universitario o per un giovane lavoratore? E quale consiglio si sentirebbe di dargli?
Io sono costantemente a diretto contatto con i giovani perché insegno in due università, la Gabriele D’annunzio di Chieti-Pescara e la Link Campus di Roma, e dico sinceramente che ci sono moltissimi ragazzi preparati e mi piange il cuore, dopo che hanno studiato e fatto il loro percorso formativo universitario, vedere che tornano da me dicendomi: “Professore, ma cosa devo fare? Io ho studiato tanto, lei lo ha visto, mi ha dato bei voti. Ho fatto sacrifici, ma adesso però non riesco ad avere nessun tipo di accesso“. Leggo negli occhi di questi ragazzi la loro delusione. Io li aiuterei volentieri tutti ma, purtroppo, sono solo un modesto docente universitario e non ho questa possibilità, ma gli dico di tenere duro perché, prima o poi, qualcosa dovrà succedere e mi dispiace che la loro massima aspirazione sia quella di andare all’estero per potere avere uno straccio di lavoro che sia, almeno, attinente alla loro preparazione. Questa è l’amarezza con cui, purtroppo, mi confronto sempre. Io dico che la classe politica dirigente non ha capito una cosa: non ha capito che deve, nella maniera più assoluta, ribadire gli interessi dell’Italia e degli italiani, esattamente come fanno gli altri Paesi. Noi abbiamo avuto un concetto di Europa troppo idealistico, non rendendoci conto che invece gli altri hanno comunque continuato a fare i propri interessi, e farli anche molto bene. C’è un caso che mi piace ricordare: la decisione, cioè, della Corte costituzionale tedesca in merito alla decisione di aderire, da parte della Germania, ai programmi di sostegno ai titoli dei debiti sovrani dell’area euro. Ebbene, al di là della tecnicità, la Corte ha ribadito un concetto fondamentale, cioè che la Germania subordina l’ordinamento dell’Unione europea a quello nazionale, prima c’è l’ordinamento e gli interessi nazionali e poi il diritto europeo. In questo modo ha certificato, di fatto, quello che avevamo capito da tanto, cioè che la Germania considera l’Unione Europea, non con spirito di aggregazione, ma con un semplicissimo criterio contabile: se ci conviene lo facciamo, altrimenti no. Ed è esattamente l’inverso di quello che stanno facendo altri Paesi, a iniziare dal nostro, e mi piace ricordare l’articolo 11 della Costituzione italiana che ribadisce il concetto che l’Italia è disponibile a cedere porzioni di sovranità, ma a pari condizioni. Noi, invece, abbiamo sempre ceduto in maniera unilaterale e non abbiamo mai verificato se queste cessioni erano supportate da pari vantaggi. Sarebbe il caso che i politici, di qualsiasi colore, se ne rendessero conto e facessero qualcosa: non bisogna avere paura di sbattere i pugni a Bruxelles, anche perché gli altri lo fanno e ci riescono e, in particolare, la Germania e la Francia. Noi, invece, non abbiamo ancora capito e siamo ancora nel sogno europeo, ma sappiamo benissimo che si sogna solo quando si dorme e, quando si dorme, come dice il detto, non si prendono pesci.
Lei, così come tanti economisti, italiani e non, dichiara che l’Euro ormai è fallito. Siamo, però, di assistere a una “calma apparente estiva“, rotta soltanto dalla condanna di Silvio Berlusconi. Questa situazione, però, ritiene che possa essere interpretata come una “calma prima della tempesta” e foriera di disordini sociali?
Questo è un pericolo che, purtroppo, condivido pienamente perché abbiamo visto come la situazione si stia depauperando giorno dopo giorno. Abbiamo visto, fra l’altro, che c’è una situazione di estremo disagio a qualsiasi livello. Vediamo e sentiamo ogni mese che, purtroppo, i dati macroeconomici dell’Italia sono sempre in declino. Vediamo che la disoccupazione aumenta, per non parlare di quella giovanile che ormai si avvicina al 40% e in alcune aree italiane, inutile dirlo, siamo ormai all’80% (gli economisti fanno sempre riferimento alla famosa poesia di TrilussaLa Statistica, quella che dice che ogni italiano mangia un pollo l’anno, ma poi, nella pratica, sappiamo che qualcuno ne mangia diversi e qualcuno, invece, non ne sente neanche l’odore). Questo è ciò che avviene in Italia, anche se i media ci bombardano quasi quotidianamente dicendoci che ci sarebbe la ripresa. Io la chiamo la ripresa del trimestre successivo. Ormai sono anni che ce lo stanno dicendo, ma una cosa è certa: i consumi diminuiscono, ed è notizia di questi giorni che il gettito IVA è diminuito del 6%. Ce ne rendiamo perfettamente conto perché siamo cittadini che vivono la realtà quotidiana, vediamo che purtroppo la situazione in Italia peggiora. Peggiora perché nessuno è in grado di spezzare in maniera forte questo giogo a cui ci siamo affidati. Nessuno ha la capacità, la forza e la lungimiranza di dire: “Cari signori, abbiamo tutti lo spirito europeo e siamo tutti per il bene del continente, ma abbiamo completamente sbagliato il sistema di aggregazione“. Dovremmo entrare nell’ordine di idee, senza rinunciare alla mission europea che può essere perseguita per altre strade, di ritornare ognuno alla propria valuta, perché questo darebbe la possibilità di poter gestire, com’è avvenuto in passato, autonomamente la propria economia in maniera ottimale. Anche perché abbiamo visto che la gestione comune purtroppo non è possibile perché, e l’abbiamo visto soprattutto negli ultimi anni, ci sono aree che diventano sempre più ricche e aree che diventano sempre più povere. Queste cose non le dico io ma sono note, tutta la letteratura economica in merito alle Aree Valutarie Ottimali (le AVO) lo dice da sempre: non si è mai verificato nella storia che un’area valutaria con le caratteristiche simili a quella dell’Unione Europea abbia avuto successo. Purtroppo è così. La postfazione di Alberto Bagnai al mio ultimo libro, “Europa Kaputt“, lo dice in maniera magnifica. Riconoscere i propri errori è un atteggiamento adulto. Non significa una sconfitta, significa riconoscere che si sono fatti degli errori e questo significa essere adulti, essere maturi. Dire: c’abbiamo provato, era una via obbligata, forse, all’inizio, per trovare nuovi equilibri dopo la caduta del Muro di Berlino ma, purtroppo, quegli ideali e quegli obiettivi non sono stati raggiunti. Vogliamo continuare e ostinarci? Questi sono gli effetti. Noi non siamo disponibili. Noi vogliamo rivedere il nostro Paese nel suo giusto ruolo e, siccome siamo perfettamente convinti che l’Italia e gli italiani siano un grandissimo Paese e un grandissimo popolo che hanno delle potenzialità enormi se ben gestite e ben indirizzate, pensiamo che esistano vie diverse per poterle raggiungere. Non è certo questa. D’altronde, quello che mi dispiace e rattrista è che tutti quanti i presidenti del Consiglio, appena ottenuta la fiducia da parte del Parlamento, compiano tutti quanti all’unisono lo stesso rito: vanno alla Corte di Berlino a ribadire la fedeltà, facendo due errori enormi: primo, riconoscono sempre più la leadership tedesca e, soprattutto, certificano in questo modo la bontà della politica economica da loro imposta che, invece, non va bene. La stabilità dei prezzi e il contenimento dell’inflazione, che è il loro chiodo fisso, non si sposa con i modelli economici degli altri Paesi. Un esempio per tutti: cosa ce ne facciamo noi di un’inflazione che è ormai al 1.1% se poi, per poterla perseguire, ci ritroviamo con una disoccupazione ai massimi? Noi ai tempi dell’inflazione a due cifre avevamo, però, la disoccupazione ai minimi, perché il nostro modello prevedeva questo effetto. Purtroppo ci siamo affidati al modello tedesco, sapendo benissimo che da noi non erano replicabili tutte le riforme e tutta la disciplina che, invece, era stata compiuta preventivamente in Germania. Ma questo non significa dannarsi, è un esperimento che purtroppo è andato male, abbiamo ancora uno spazio di sovranità che ci consente di tornare indietro, utilizziamolo! L’ostinazione, invece, di rimanere in questa condizione ci ucciderà ulteriormente.
Ritiene che attualmente esista una forza politica in grado di canalizzare una battaglia contro l’euro? E come valuta le recenti posizioni di Beppe Grillo e del suo movimento?
Innanzitutto tengo a precisare che sono indipendente: non ho fatto parte e non faccio parte di nessun tipo di coalizione politica. Ho notato, chiaramente, che ultimamente ci sono stati diversi partiti politici, a cominciare dal Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo, ma anche il Pdl (o Forza Italia?) diBerlusconi e la stessa Lega che si sono espressi in maniera estremamente critica nei confronti dell’euro. Però, con la stessa sincerità, debbo dire che sono tutti interventi “spot“, non sono finalizzati in maniera precisa. Si leggono dei comunicati, poi per 15 giorni non si sente nulla e, magari, dopo si ritorna sull’argomento. Per poter, invece, affrontare seriamente quest’argomento è necessario avere delle idee estremamente chiare e perseguirle. Attualmente, dico la verità, questo disegno preciso ancora mi sfugge.
L’Europa corre, secondo Lei, un reale pericolo democratico dato che, attualmente, la maggior parte delle forze politiche anti-euro e anti-UE si rifanno, nella maggior parte dei casi, a ideologie di estrema destra, dal Front National francese ad Alba Dorata in Grecia?
nazismo 300x209 Rinaldi: LEuro? Un fallimento. Questo è un problema molto serio e si rifà ai concetti espressi precedentemente. Quando ho detto che questo modello economico imposto dalla Germania non va bene per gli altri Paesi, è perché il modello prevede il contenimento dei prezzi, cioè dell’inflazione. Perché? Perché i tedeschi, proveniendo dall’esperienza della Repubblica di Weimar che fu dilaniata dall’iper-inflazione, pensano che essa abbia spianato la strada all’ascesa del Nazismo. L’errore, però, è proprio qui: non è stata l’inflazione a favorire l’avvento del Nazismo, ma sono state le politiche deflazionistiche per contenere l’inflazione. E le politiche deflazionistiche, ricordo, sono: il taglio della spesa pubblica in maniera lineare, licenziamentitaglio del welfare e del sociale. Cioè le stesse politiche proposte attualmente dai vari governi dell’area euro e vediamo che, laddove sono state proposte con maggiore forza, come ad esempio in Grecia, hanno prodotto la nascita di partiti estremistici, che è esattamente ciò che è avvenuto negli anni ’30 in Germania dopo la Repubblica di WeimarHitler andò al potere proprio per la protesta nei confronti delle politiche deflazionistiche. La storia si ripete sempre e io dico: attenzione, perché chi non conosce la storia è condannato a riviverla. Ne vale la pena? Stiamo attenti, siamo nel 2013, ma anche questo è un enorme pericolo che dobbiamo valutare. D’altronde, anche dall’altra parte non è che la democrazia è esaltata: vediamo, infatti, che l’Europa è in mano a un’oligarchia autoreferenziale composta da personaggi non eletti direttamente dai cittadini, ma da accordi sottobanco fra Stati e di scarsissimo profilo. Tutta la Commissione Europea, purtroppo, è infatti governata da persone che non è che abbiano avuto nei rispettivi Paesi delle grandi storie alle proprie spalle, né politiche né tantomeno tecniche e professionali, ma ce li ritroviamo però a gestire delle situazioni estremamente complesse e ne vediamo, poi, i risultati.
Se molti economisti, e non solo, concordano sul fallimento dell’euro, diverse sono però le proposte per il suo superamento. Quali sono le sue proposte in merito?
La storia ci insegna che qualsiasi trattato, qualsiasi accordo a livello internazionale, può essere rivisto, annullato, ripudiato, riscritto. Chi dice, dunque, che ormai abbiamo firmato dei trattati, non dice delle cose corrette. Per poter uscire dall’euro, naturalmente, ci sono vari sistemi: io vorrei evitare, perché sarebbe la cosa più tragica, che ciò avvenga in maniera scomposta, cioè a causa di eventi finanziari esterni che inducano qualche Paese a prendere questa decisione. Uscire dall’euro deve essere, invece, qualcosa di programmato, anche perché in questo modo si potrebbero cogliere le migliori opportunità per la nazione che decida di uscire. Tra l’altro, sappiamo bene da molti rapporti di banche d’affari internazionali che l’Italia, dopo un periodo certamente di aggiustamento, sarebbe il Paese ad averne i maggiori vantaggi. Allora, la domanda che faccio io è questa: ci conviene permanere nell’euro in questa situazione dove c’è un depauperamento costante o prendere la decisione di uscita dall’euro prendendo, magari, all’inizio, sicuramente uno “schiaffone“, ma poi risorgiamo alla grande? Questa è una valutazione da fare, anche perché ci stiamo rendendo conto che questo tipo di impostazione delle regole europee ci ha fatto diventare, di fatto, una colonia tedesca e, per questo, sarebbe il caso di valutare l’opportunità di ritornare ad autodeterminarci riprendendoci la sovranità monetaria. Quando diciamo, infatti, di ritornare alla Lira, questo non vuol dire solo riavere in tasca le nuove lire, che comunque sarebbe una moneta completamente diversa dalla vecchia Lira che abbiamo ormai abbandonato il 31 dicembre 1998 con la determinazione dei cambi fissi, perché l’area euro significa un’unione di cambi fissi e, ricordo, che ad esempio nei confronti del marco noi abbiamo il cambio fisso da 14 anni a 989,999. Per questo ci troviamo in questa situazione. Ma, tornando al discorso di prima, sarebbe il caso di autodeterminarci, perché è molto meglio sbagliare con la propria testa che fare errori molto molto più grossi con la testa degli altri. Questo è ciò che pensiamo e professiamo nel campo dell’università. Abbiamo vicino molte persone che la pensano allo stesso modo: per ora ci esprimiamo con interviste, convegni e non di più. Speriamo che qualcuno ci dia voce, perché pensiamo che non sia un’idea da scartare, anzi tutt’altro da valutare, il fatto di ritornare all’autodeterminazione e alla sovranità monetaria che, ripeto, non significa soltanto ritornare alla moneta di provenienza, ma di poter compiere una politica economica esattamente tarata alle esigenze del Paese e con l‘euro, purtroppo, noi non stiamo facendo nel modo più assoluto gli interessi del nostro Paese e della nostra industria.
Lei ritiene che l’uscita dall’euro necessiti anche l’uscita dall’Unione Europea e dal mercato unico dei beni e dei capitali, cioè dal Liberoscambismo? E come valuta le proposte di alcuni di un ritorno ad alcune forme di protezionismo?
Bisogna valutare le diverse opzioni e, d’altronde, noi abbiamo visto che nell’ambito dell’Unione Europeaci sono 28 Paesi che ne fanno parte, ma soltanto 17 adottano l’euro. Il caso classico è la Polonia, il Paese più vicino da un punto di vista industriale all’Italia, che continua, e in maniera anche piuttosto orgogliosa, a mantenere la propria valuta, lo Zloty, che, fra l’altro, negli ultimi anni si è svalutato del30% nei confronti dell’euro. Questo gli ha dato la forza per poter essere competitivo e, nonostante lacrisi a livello globale, riesce ancora ad avere dei livelli di crescita del proprio Pil rispetto al declino dei paesi della zona euro, a cominciare dall’Italia. D’altra parte, però, continua a far parte dell’Unione Europea prendendosi i vantaggi da questa unione. È chiaro che l’appartenenza all’Unione Europea significherebbe anche una rivisitazione delle regole del mercato comune che, in questo momento, vanno sempre più verso una convergenza nei confronti della moneta unica. Bisognerebbe rivedere, quindi, anche il concetto di partecipazione al mercato comune, che è una cosa diversa dall’Unione Europea. Il mercato comune, infatti, è una cosa e l’Unione Europea è un’altra.
globalizzazione 300x152 Rinaldi: LEuro? Un fallimento. Alcuni critici della moneta unica e della politica europea associano la fine dell’euro e dell’Unione Europea a politiche di Deglobalizzazione. Qual è la sua opinione su tale concetto?
È un concetto molto importante. Si invoca tanto la Globalizzazione, ma per l’Italia cosa ha significato la Globalizzazione? Per noi, purtroppo, ha significato soltanto la delocalizzazione di importanti insediamenti industriali in Italia. Le fabbriche che de-localizzavano in altri Paesi, dalla Romania alla Cina, lo facevano per poter avere un contenimento dei costi che, invece, non gli consentiva la permanenza sul territorio nazionale. Poi, questa produzione de-localizzata serviva, guarda caso, per importare in Italia questi beni a dei prezzi inferiori. Il tutto, però, con il sacrificio di numerosi posti di lavoro, visto che non era certo prevista la mobilità del personale, visto che non credo che molti lavoratori sarebbero stati disponibili a trasferirsi in Cina o in Romania per percepire degli stipendi un terzo, un quarto, un quinto di quelli percepiti in Italia. Bisogna, quindi, anche rivedere il concetto di Globalizzazione perché noi, purtroppo, l’abbiamo intesa in questo modo. Altri Paesi, invece, hanno avuto certamente dei vantaggi perché hanno visto la Globalizzazione come l’insediamento di grandi aree industriali per la conquista di altri mercati. La Volkswagen, ad esempio, ha costruito gli stabilimenti in Cina, non per importare poi i prodotti in Germania, ma per conquistare quei mercati. Il fatto, quindi, di avere quegli insediamenti significava tarare il costo del prodotto finale su quei mercati. Noi, invece, abbiamo fatto l’opposto: abbiamo de-localizzato per poter importare in Italia e avere prezzi inferiori e questo ci ha, purtroppo, messo nelle condizioni di avere un’ulteriore “decrescita” interna. Inoltre, il fatto di appartenere a un’area valutaria che non è certo ottimale come l’euro, ha indotto i Paesi a compiere delle svalutazioni interne, che passano dai salari. La Germania lo ha fatto preventivamente, con la riforma del mercato del lavoro, l’Italia no, anche perché lì esistevano certi presupposti che non sono presenti nel nostro paese. Torniamo, quindi, al discorso che il modello adottato dalla Germania e imposto non è replicabile, poiché non ha funzionato non solo nei confronti dell’Italia, ma anche in tutti gli altri Paesi dell’area europea. Va bene solo per loro, ma a discapito di tutti quanti gli altri.
Siamo arrivati all’ultima domanda. Lei ritiene questa crisi esclusivamente economica oppure, come alcuni l’hanno definita, la ritiene una crisi sistemica? E, per questo, insieme all’euro e all’Unione Europea, bisognerebbe rimettere in discussione anche il concetto, in voga negli ultimi anni, del primato dell’economia sulla politica?
È sicuramente un problema di crisi finanziaria, ma è anche un problema di leadership. In Europa ci siamo resi conto, per nostra sfortuna, che non esiste una leadership da poter contrapporre a quella tedesca. I tedeschi sono sicuramente bravi, gliene do ampiamente atto, ma si trovano in questa condizione proprio perché non c’è nessun altro che possa proporre qualcosa di alternativo. Abbiamo visto, infatti, che negli ultimi anni c’è stato un ricambio politico in tutti i Paesi dell’Unione Europea, tutti i governi hanno dovuto, cioè, cedere il passo alle opposizioni. È avvenuto ovunque tranne che in Germania. Questo significa che esiste un disagio che non è soddisfatto, purtroppo, da proposte politiche alternative e da personalità politiche di alto livello. L’Europa, del resto, è stata fatta dai grandi padri fondatori che, però, purtroppo, non sono stati sostituiti da grandi statisti che potessero contrastare questa deriva a cui stava andando incontro l’Unione Europea. Tale incapacità è dimostrata anche dal fatto che non si è voluto mai dare una regolamentazione a una finanza “virtuale” che non aveva nessun tipo di corrispondenza con l’economia reale dei vari Paesi. Mi riferisco, ad esempio, al mercato dei derivati e vediamo, inoltre, come la maggior parte dei debiti sovrani dell’area euro sono soggetti agli attacchi della finanza speculativa. Per risolvere questo problema l’Unione Europea non ha fatto assolutamente nulla e, per questo, gran parte della responsabilità è anche sua. Questo succede perché non esiste una governance politica di livello che consenta di poter mettere in atto delle regolamentazioni. Per questo l’Italia dovrebbe entrare nell’ordine di idee di avere un Piano B da porre anche come deterrente nei confronti delle pressanti istanze  da parte dell’Unione. In poche parole, dirgli: “Guardate che se non fate anche quello che diciamo noi per le nostre esigenze, noi entriamo nell’ordine di idee di valutare l’uscita perché, a queste condizioni, è per noi estremamente penalizzante“. Tutto ciò potrebbe essere fatto solo se ci fosse una classe politica veramente di alto livello e di alto profilo. Il discorso, del resto, è semplice: perché ci siamo attaccati al cosiddetto carro europeo? Perché si pensava che con una tutela di vincoli esterni, la classe politica italiana compisse quegli atti che non sarebbe mai riuscita a fare in maniera autonoma. Questo è stato il motivo vero per il quale l’Italia si è impelagata nel progetto europeo, ma poi ci siamo accorti che, invece, questi vincoli esterni ci hanno praticamente ucciso. Questa è la verità. Se, invece, avessimo una classe politica veramente in grado di poter agire in maniera autonoma, l’Italia riconquisterebbe immediatamente il suo ruolo perché, ripeto, il nostro è un grandissimo Paese e gli italiani sono un grandissimo popolo, ma purtroppo se non lo sai bene indirizzare queste potenzialità non emergono.

Antonio Maria Rinaldi ha ricoperto numerosi incarichi nel campo finanziario mobiliare, passando dai più prestigiosi istituti bancari alla CONSOB, fino a ricoprire il ruolo di Direttore Generale della Capogruppo finanziaria dell’ENI.
 Attualmente è docente presso l’università Gabriele D’Annunzio di Chieti-Pescara in Finanza aziendale e presso la Link Campus University di Roma in Corporate&Investment Banking Mercati finanziari&Commercio internazionale.
 Autore nel 2011 de “Il fallimento dell’euro” e nel 2013 di “Europa Kaputt“. Vincitore del premio giornalistico Lucio Colletti 2013.



venerdì 9 agosto 2013

Come coglionare i sardi, la co2 sottoterra caramella per chiudere le miniere del Sulcis, derubarci ed avvelenarci.

....siamo sempre, purtroppo , a inseguire i danni di questi politicanti tecnologici, insani pensatori dell'idiozia, che in una società improntata al progressismo estremo presente, ipotizza per noi un futuro sempre più greve, questo pensiero malsano passa attraverso l'interpretazione dello sfruttamento del territorio con le loro "nuove tecnologie"; 

vogliono farci credere che bene è, l'aliga "monnezza CO2", il Fracking, visione pseudo-industriale medievale ammantata da idee fumose di nuovo lavoro(?) possibile;

questa, come molte altre, è idea che in certi settori sindacali e in certi partiti "padroni dei lavoratori", accecati dalla sete di potere, sono posti di lavoro (per il becchino forse) questi illuminati con stipendi da 20000,00 € al mese, ti calano dall'alto questo verbo come fosse manna dal cielo, e, con ordini irrevocabili degni dei migliori dittatori al servizio dei poteri forti,  te lo impongono senza possibilità di poter dire NO allo scempio voluto e cercato, (vedi MUOS-Crocetta o TAV_PD-PdL); 

e , nota bene, se non basta l'ordine perentorio a far genuflettere, allora si rivolgono al solito mantra-ricatto e  con le note della bala laika per attrarre masse operaie e col piffero  incantare i riottanti e mal disposti, così ti ipotizzano la perdita di posti di lavoro inesistenti, e giocano sulla fame delle famiglie di uomini e donne in cassa integrazione o disoccupati, e poco o nulla  gliene frega se la gente ivi residente morirà di cancro o peggio, (vedi ILVA); 

a motivo delle loro "scelte-azzardo" anti-scientifiche e disumane, induce al loro misero orgoglio accecato dalle mire di potere, a scellerate scelte; 

come spiega bene l'articolo che postiamo, non è nient'altro  che nuova sofferenza e un sicuro possibile danno alla nostra terra e per i suoi abitanti. 

Come si può sintetizzare se non dicendo che la madre degli stolti è sempre gravida.

sa defenza


Come coglionare i sardi, la co2 sottoterra caramella per chiudere le miniere del Sulcis, derubarci ed avvelenarci.


Mario Carboni


ARMIAMOCI DI BUONA VOLONTÀ CONTRO LE NUOVE COLONIZZAZIONI.

Il progetto carbone pulito nel Sulcis è in verità sporco e imbroglione. Non ha come riferimento il carbone Sulcis che come problema ha l'alto contenuto di zolfo, ma il carbone d'importazione che produce co2. 


Anche il carbone Sulcis bruciato produce co2 ma avendo percentuali altissime di zolfo non può essere utilizzato. Adesso si finanzia una sperimentazione farlocca, già bocciata dall'Europa e dal mondo scientifico, di una socieà regionale la Sotacarbo che andrebbe chiusa immediatamente. 

L'obiettivo vero e successivo , imbrogliando l'opinione pubblica con messaggi che sembrerebbero sostenere il carbone, la miniera e l'occupazione del Sulcis, è quello di costruire una gigantesca centrale elettrica nel Sulcis che utilizzerà esclusivamente carbone importato. 

Non il carbone Sulcis. Una centrale rifiutata per questioni ambientali in continente, che esporterà però in continente la ricchezza prodotta e lascerà in Sardegna inquinamento e corruzione. In cambio di pochissimi posti di lavoro. 
Pompare la co2 sottoterra, mai realizzato al mondo, proprio nel nostro sottosuolo è come sotterrare la mondezza nel giardino di casa e vicino al pozzo. 

I prodotti della combustione usciranno da sottoterra come fantasmi e dai camini nell'aria avvelenandoci. Le ceneri verranno gettate in discarica o nelle miniere dismesse, ancora nel nostro giardino. Montagne di carbone chissà polacco, australiano, cinese, de su corru mannu de sa furca ma non sardo formerà montagne nei porti e nei depositi . 

Le miniere di carbone Sulcis saranno chiuse e saranno distribuite gigantesche tangenti come è successo ogni volta che si è costruita una centrale a carbone. Partiti, sindacati, mediatori sono in attesa come lupi affamati. Per questo sono d'accordo con questa infamia contro ogni evidenza contraria. 

Questa è l'ultima invenzione del colonialismo e dei suoi intermediari sardi, la servitù energetica. L'unica possibilità per il carbone Sulcis è la gassificazione per produrre metano sintetico. 

Era il progetto di Mario Melis, cancellato dai servi sciocchi del colonialismo quando tutto era pronto per la partenza. Lo stesso metodo fu dirottato con un vero complotto per gasificare le peci velenose risultanti dalla raffinazione del petrolio Saras. 

Poi hanno bloccato il gasdotto dalla Toscana ed ancora ci hanno preso in giro col gasdotto dall'Algeria GALSI, oggi defunto. 

La Sardegna è ancora senza metano.Pensate che anche le Baleari sono collegate alla Spagna con un gasdotto. E l'energia costa in Sardegna più del 30% che in Italia. 

Ciononostante in Sardegna, sfigurata dall'eolico, con le centrali più inquinanti esistenti sul mercato e fuorilegge, si produce molta più energia elettrica di quanta se ne consumi. 

Inoltre si vuole produrre gas dal sottosuolo e poi dal mare con un metodo, il fracking, che distruggerebbe il nostro ecosistema. 

La Saras ha le concessioni per perforare mezza Sardegna e per, complice la legge mineraria da far west, succhiare ricchezza e sputare veleni impunemente. Solo pompando enormi quantità di acqua e polveri ad altissima pressione nel sottosuolo per spaccare le rocce si potrebbe estrarre petrolio e gas dal sottosuolo sardo. 

L'acqua e la melma risalirebbero in superficie con i veleni di ogni tipo. a vantaggio dei sardi? Noooo. distruggendo campagne, lagune, spiagge e avvelenando sorgenti, fiumi mare ? Siiiiiii. 

Come gettare acido sul viso dei nostri figli e figlie. Questa nuova colonizzazione è peggiore delle passate colonizzazioni minero-metallurgiche e chimiche, oggi defunte e che hanno lasciato solo inquinamento, veleni e disoccupazione. È la colonizzazione energetica. 

Con un potere corruttivo enorme nella nostra società che rischia ancora una volta di essere trattata come composta da indigeni infantili e con l'anello al naso e la sveglia al collo.


^^^^^^^^^^^^^^^^_________^^^^^^^^^^^^^^^^

per approfondire il disastro di questa "tecnologia" malsana potete leggere gli effetti avuti in Canada su blogeko.iljournal.it/lanidride-carbonica 

In Canada hanno pompato nel sottosuolo anidride carbonica, il gas dell’effetto serra, per contrastare il riscaldamento globale. Un progetto pilota internazionale da 85 milioni di dollari. Ma adesso in superficie l’acqua è diventata gasata e l’anidride carbonica sta uscendo da quella che doveva essere la sua tomba.

giovedì 8 agosto 2013

Cosa dovete pensare

Cosa dovete pensare

keinpfusch.net


Ho sempre letto i giornali italiani interpretandoli come si faceva ai tempi della prima Repubblica. A quei tempi avevate  RAI1 democristiana, RAI2 Socialista, RAI3 comunista, e osservandole tutte (e poi dividendo per il partito) ottenevate, qualche volta, i fatti. Allo stesso modo e' possibile procedere coi giornali online di oggi, a patto di conoscerne le proprietà. Come avrete notato, il Corriere ha cambiato proprietà diventando una proprietà FIAT, per cui occorre capire in che modo cambierà.

Prendiamo un esempio. Quando l' URSS invase l'Afghanistan, RAI1 disse che l' URSS aveva occupato un paese per ridurlo sotto la schiavitù comunista. Un atto di imperialismo guerrafondaio che meritava di boicottare le olimpiadi di Mosca. RAI2 disse che l' URSS era "intervenuta" in Afghanistan  per fermare la guerriglia, occupandolo, e che sotto il gioco sovietico c'erano repressione e violenza e che gli USA avevano deciso per questo di boicottare le olimpiadi. RAI3 disse che l' URSS era intervenuta su richiesta del governo afgano, per aiutare gli afgani contro i guerriglieri. E che gli americani , oltre a finanziare i guerriglieri, stavano boicottando le olimpiadi.


C'era un fondo di verita' in tutte le versioni, ma come potete vedere se eravate comunisti vedevate l' URSS correre in soccorso di un governo legittimo ed alleato, contro dei guerriglieri. Se eravate democristiani vedevate gli USA intenti a salvare gli afgani da una invasione imperialista. Poiche' ognuna delle tre fazioni aggiungeva parte di verita' alla notizia, ma solo una parte, occorreva guardare tutti e tre i tg per avere piu' fatti possibili, poi occorreva scremare il resto, facendo la media pesata.


Si trattava di fatto di una specie di campo vettoriale, nel senso che si sapeva bene che bisognava moltiplicare per mille le malefatte dei sovietici e dividere per mille quelle degli USA quando si guardava RAI3,  e il contrario quando si guardava RAI1. Rai2 aveva una posizione su questioni internazionali che dipendeva dalla visione di Craxi e De MIchelis, dunque gia' piu' difficile da decifrare.



Coi giornali attuali le cose si possono leggere altrettanto bene, a patto di poter ricostruire il campo vettoriale. Occorre un analogo di "bisognava moltiplicare per mille le malefatte dei sovietici e dividere per mille quelle degli USA quando si guardava RAI3" per ogni giornale.


Chi sono oggi i russi di allora, per la proprietà del Corriere. Com'e' la geografia della nuova proprietà?


Potete leggerla sulla Stampa: sono piemontesi. E quindi un pochino di provincialismo piemontese, con la sua ossessione verso la Francia , dovete averlo. Tipo cosi' : http://estory.corriere.it/2013/07/29/colbert-delocalizzazione-made-in-france/



Ma non e' solo la Francia il punto. Il problema della famiglia di fabbricanti di lamiera e' che il malvagio maligno della situazione si chiama Germania. Ma non, come credete voi, perche' la BCE blabla o perche' L' Euro BlaBla. 

Semplicemente per DUE motivi:
  • La prima e' che agli Elkann, per compensibili motivi, il passato della Germania non va giu'.
  • Il secondo e' che a Marchionne non va giu' che l'industria dell'auto tedesca lo sbeffeggi.
Insomma, dovete aspettarvi che il Corriere diventi sempre piu' antitedesco. Come lo e' gia' la Stampa, se per esempio  osservate gli articoli di Zatterin: i partigiani belgi di Bruxelles scrivevano molto piu' delicatamente dei tedeschi nel 1943.


Quindi, da ora in poi la Germania per il corriere e' quello che era l' URSS per RAI1. Il nemico di cui parlar male. D'altro canto Marchionne viene da dove viene, e quindi dovete aspettarvi un attimo che gli USA e il Canada siano sempre un pochino il paradiso. Apprendiamo oggi che si, solo in meta' degli USA, e si, solo in alcune citta', e si', solo in UN settore, gli usa si stanno rialzando e la crisi e' finita.



Ma lo stesso si potrebbe dire anche dell' Italia. Solo in una citta', e solo in UN settore , magari la crisi non si sente. Vero per qualsiasi nazione, dal burkina faso alla Svezia. Basta restringere abbastanza il numero di citta' e il numero di settori, e possiamo dire che "i ristoranti sono sempre pieni".  Silvio Docet.



Altra ossessione di Marchionne, che il Corriere sicuramente riprendera', e' la questione dei rapporti tra industria e sindacato. La famiglia Agnelli , e relativa discendenza, ha gli stessi ideali di qualsiasi industriale OTTOCENTESCO a riguardo dei rapporti coi lavoratori. Quando si vanta di aver trattato questo e quello coi sindacati americani - come se fossero buoni - dimentica che i sindacati americani di cui parla hanno la forza, finanziaria e di riflesso nel CDA, da creargli grossi , enormi problemi. Non e' che Marchionne abbia SCELTO di trattare coi sindacati americani: se non lo avesse fatto, gli avrebbero fatto il culo a strisce.



Su quanto sia stato spettacolare il "rilancio" di Crysler per i lavoratori, basta poi osservare il recente Default di Detroit, causato da un rapidissimo spopolamento che ha fatto calare le entrate fiscali, al punto che il comune non riesce piu' a tenere in assetto interi quartieri che si sono svuotati. Per essere un posto ove l'industria e' florida e i lavoratori sono felici, sembra quasi che la florida industria non paghi tante tasse al comune, e i lavoratori siano scappati.



Tuttavia, sul Corriere vedrete , da ora in poi, parlare della bellissima vittoria di lavoratori ed azienda a Detroit. Aha. Anzi, credo che la notizia del devastante fallimento della citta' e dei problemi che ne seguono, a breve non sentirete piu' parlare: se nell' Italia di Mussolini non potevate scrivere che un tizio si era suicidato perche' "col fascismo tutti erano felici", nel Corriere di Marchionne non potete scrivere che a Detroit e' un casino di servizi che non funzionano, che gli operai sono scappati da quell' inferno, e che nonostante le industrie si dicano "salvate", l'impatto sociale , cioe' il benessere di questi salvataggi, non si e' visto neanche di striscio.


Lo stesso atteggiamento ovviamente verra' seguito verso i sindacati. Va da se' che con una visione ottocentesca dei sindacati, il Corriere abbia festeggiato l'entrata di Marchionne nella proprieta' con un bell'articolo sulla Camusso contestata da un'operaia. Ora, chiunque abbia mai avuto un padre operaio - come me - sa che i sindacalisti che parlano ricevono bulloni (nell'industria. Anzi, no: per la precisione, ricevono DADI. Il bullone e' una cosa diversa dal dado), nell'edilizia devono scansare mattoni,e  quindi si tratta di fenomeni normalissimi. 

Non che la Camusso mi stia simpatica (e' ottocentesca quanto Marchionne, sa di Rosolio ed Abbecedario) , ma un filmato della Camusso contestata e' una specie di cameo, il rumore dello Champagne che stavano stappando a Torino.
In pratica, il nuovo "Corriere" da oggi cerchera' di convincervi di una cosa:
  1. Negli USA i sindacati sono bellissimi perche' non esistono, quando esistono e sono forti sono bellissimi perche' con loro si puo' parlare , anche perche' se non lo fai ti aprono come una cozza. Quando non esistono sono ancora meglio.
  2. La Crysler e' stata salvata e tutti sono felici. Il fatto che Detroit sia deserta perche' gli operai se ne sono andati e il rilancio non ne cambia il destino e' propaganda di Stalin. Il il Default della citta' spopolata e senza entrate non vuol dire che Crysler non abbia responsabilita' sociale o non contribuisca all'economia locale di una sega , e' il destino cinico e baro.
  3. La Germania, con le sue orrende case automobilistiche, e' il MALE. Non hanno voluto vendere Opel (per non trovarsi il nemico in casa. Che malvagi) e sul mercato stanno facendo Fiat a strisce. E hanno i sindacati,e  pagano bene gli operai. E funziona.  Miseria, terrore, morte!
  4. Il Sindacato Italiano e' il male perche' si. Opprime le industrie, alla fine dei conti anche alla Thyssen non si puo' certo pretendere che si spendessero soldi per la sicurezza. Se un Santo Industriale ha bruciato vive un pochino di persone, essendo l' Industriale infallibile come il Papa in materia di lavoro, allora quelle persone andavano bruciate. E' la competitivita' , baby.  
  5. In USA va tutto bene. E se non ci credete, sapranno indicarvi quei due chilometri quadri ove il settore degli impagliatori di oloturie sono in pieno boom industriale. E' l'innovazione, baby. Le oloturie sono il nuovo nero.
  6. I nostri cugini Francesi, che sono anche un poco cugini Canadesi dal punto di vista di Marchionne, quanto sono intelligenti. E quanto invidiamo di non essere un pochino francesi anche noi di Torino, che ci sentiamo cosi' inferiori a Carla'. Contessa di Sbrausmustenhaus, rosolio per tutti! Ah, la tauromachia! Umile Bepin!
E' impressionante vedere come sia IMMEDIATAMENTE cambiata la comunicazione del corriere sin dal giorno dopo: ormai il giornalista medio deve essere una specie di prostituta esperta di GFE (GirlFriendExperience), la famosa abilita' della prostituta di comportarsi come se foste fidanzati da dieci anni. Il giornalista del corriere evidentemente e' capace di cambiare padrone con la stessa facilita' di una prostituta.


Immediatamente dopo la presa del corriere, sappiamo con certezza che se cercate di emigrare nella Ex Germania dell' Est (oppure a Berlino, se non aprite mai una carta geografica per capire dove si trovi) sarete in concorrenza con milioni di persone che sono disposte a lavorare per meno e sara' duro inserirsi. 

E c'e' bisogno di fare ben due post per dire "e' inutile andare ALL'ESTERO, perche' a Berlino e' andata male a mio cugino". Ragazzi, RAI3 almeno la sapeva mettere giu' bene.


Anche in politica non bisogna aspettarsi di meglio dal nuovo corriere. Oltre ai vecchi strali di finanzieri preoccupati, M5S ha osato dire questo, http://www.beppegrillo.it/listeciviche/liste/piemonte/2011/01/delocalizziamo-marchionne.html quindi sono dei comunisti distruttivi che non vanno da nessuna parte, e la FIAT non sta delocalizzando ma sta investendo nel mondo. Solo che vende meno auto, e ancora non annuncia nuovi modelli. Ma l'investimento di Marchionne è così: investi altrove per non fare un cazzo ovunque.



Di fatto quello che otterrete sara' una specie di Unita', solo che anziche' il malvagio occidente imperialista c'e' la Germania, e ovviamente gli USA sono il paradiso, ma in francia hanno un accento cosi' chic. E mi raccomando, Umile Bepin, non credere ai sindacalisti. 

Di per se' non c'e' nulla di male, nel senso che ai tempi di RAI3 tutti sapevano benissimo che quando si parlava di USA, URSS, Sindacati e Politica su Rai3 la verita' pendeva un pochino a sinistra: appena arrivava Bianca Berlinguer sullo schermo vi sentivate gia' un pochino piu' sovietici di prima, e gia' iniziavate a sentire un suono di Balalajka e di Matrioska. Quindi era ovvio che per arrivare dal TG3 ad un barlume di verita' dovevate sempre virare a destra di quasi 90 gradi.

Quindi non c'e' niente di strano se il Corriere decide di diventare la voce di Marchionne, col solo vincolo di saperlo. Voglio dire, nessuno vi arrestera' mai se girate coi soldi del Monopoli in tasca: quei soldi non pretendono di essere veri. Al contrario finireste in carcere girando con dei soldi falsi , perche' quelli pretendono di essere veri.

Allora, quello che bisogna fare e' semplicemente chiarire che cosa sia il corriere e dove mira ad arrivare. Perche' se leggete oggi l' Unita' sapete benissimo che cosa leggete, nonostante tutto, e quindi sapete che basta virare a destra le notizie e siete a posto. Al contrario, col Corriere non arriva nessuna mappa; la militanza non e' nota ai piu': insomma, soldi falsi che pretendono di essere veri, e non i buoni , sani, vecchi soldi del monopoli che tutti sanno essere falsi, e quindi tutti sanno come usare.

Se almeno qualcuno oggi scrivesse "Il Corriere , giornale di Marchionne" da qualche parte, almeno il dubbio verrebbe. 


Ah! La tauromachia! 


Uriel

mercoledì 7 agosto 2013

Il patto: Renzi a capo di un’Italia svenduta alla Germania

Il patto: Renzi a capo di un’Italia svenduta alla Germania

Stanno cercando di vendere l’Italia: Renzi e De Benedetti alla Germania, Prodi alla Cina. In cambio, dai futuri padroni puntano a ereditare il controllo su un paese che, grazie a loro, sarebbe ridotto a un semplice protettorato. Pur nei suoi aspetti sgradevoli e controversi, la battaglia che Napolitano ha affidato a Letta e Alfano mira a scongiurare la svendita rovinosa del paese, mantenendo un rapporto strategico con gli Usa proprio per evitare la capitolazione definitiva di fronte a Francia e Germania, interessate a “smontare” il loro competitore più scomodo: l’Italia è ancora la seconda potenza manifatturiera d’Europa. E’ la tesi del professor Giulio Sapelli, secondo cui persino il governo Monti fu un tentativo di limitare i danni. Sapelli denuncia un vero e proprio complotto contro l’Italia, organizzato da un establishment che include “Repubblica”, settori di Bankitalia e dirigenti di Confindustria che fanno capo a Luca Cordero di Montezemolo. L’uomo su cui punterebbero? E’ Matteo Renzi.
I renziani, che remano contro il governo Letta, «sono organici al gruppo di De Benedetti», dichiara Sapelli a Lorenzo Torrisi, in un’intervista pubblicata Giulio Sapellida “Il Sussidiario”. «Oltre a volere un capitalismo subalterno al sistema franco-tedesco, perseguono un altro scopo: dare una spallata definitiva alle componenti di sinistra, sia cattoliche che ex Pci, all’interno del Pd». Quando ha incontrato la Merkel a Berlino, Renzi non ha spiegato di cosa abbiano parlato. D’Alema, ricorda Sapelli, ha auspicato che Renzi avesse detto alla Merkel che la sua politica è sbagliata. Invece: «Il fatto che non abbia detto nulla mi fa venire il dubbio che abbia offerto il suo assenso alla politica della Cancelliera». Il punto centrale resta l’industria, ovvero la piccola e media impresa, cuore del sistema-Italia: «Dobbiamo chiederci come saremo dopo la crisi: saremo ancora la seconda potenza manifatturiera o no?».
Sapelli denuncia le manovre di «un piccolo establishment che si sta muovendo per ottenere un’integrazione subalterna dell’Italia al capitalismo franco-tedesco». Letta e Alfano? «Hanno avuto un atteggiamento fermo nei confronti dell’Europa, e a questi signori non piace: vogliono quindi che il governo cada». Da chi è formato questo establishment? «Sicuramente da quella parte di Confindustria che fa riferimento a Montezemolo, così come da De Benedetti: basti vedere il comportamento di “Repubblica” che arriva a chiedere apertamente le dimissioni di Alfano», dopo lo scandalo kazako. Secondo Sapelli, una parte di Confindustria «vuol vedere l’Italia subalterna a Francia e Germania perché ormai non ha più nessuna fiducia in uno sviluppo autonomo manifatturiero del nostro paese», e quindi «lavora e pensa a un’integrazione subalterna di ciò che rimane dell’industria italiana sotto Montezemolol’ombrello protettivo franco-tedesco: in sostanza crede che l’Italia non ce la possa fare, e cerca di venderla al prezzo migliore».
La grande stampa riflette la battaglia in corso dietro le quinte: se “Il Sole 24 Ore” «ha preso solo una sbandata», bocciando il governo Letta, il “Corriere della Sera” «ha una posizione oscillante», e se “La Stampa” preme sempre di più su via Solferino, al “Corriere” è in atto uno scontro che mette in evidenza le divergenze radicali all’interno del mondo bancario, co-azionista del quotidiano milanese: «La linea subalterna e rinunciataria si scontra con quella di Bazoli e Guzzetti. Questi ultimi sanno che verrebbe messo in discussione il ruolo delle banche, anche grazie all’appoggio di una parte di Bankitalia». Il ministro Saccomanni, che viene da Bankitalia, in un recente convegno sulle soluzioni al “credit crunch” «ha aperto le porte ai credit fund, cioè allo shadow banking». Di fatto, per Sapelli, si tratta di un attacco frontale a Bazoli e Intesa, banca che «cerca ancora di difendere un po’ di rapporto con l’industria italiana», come già fatto dallo stesso Passera. «Non a caso anche le banche popolari, che hanno rapporti con le imprese sul territorio, sono De Benedettistate prese a bastonate da Bankitalia».
A partire dal drammatico esperimento-Monti, secondo Sapelli, Napolitano ha perseguito «un obiettivo chiaro: un’integrazione non subalterna dell’Italia nel processo europeo, una non-distruzione della nostra industria a seguito del cambiamento che ci sarà dopo la crisi». Secondo l’economista, «a questi signori, a questo establishment, il fatto che siamo la seconda potenza manifatturiera d’Europa sembra dare fastidio». Via Monti, ecco Letta e Alfano. Ma la regia è sempre la stessa, quella di Napolitano: «Con questo esecutivo, si erano messi insieme gli unici due schieramenti contrari all’egemonia tedesca: il gruppo sociale raccolto intorno a Berlusconi e Prodiquello che finalmente, grazie alla crisi e grazie a Letta, ha capito che l’Italia non può essere subalterna».
Oltre a Francia e Germania, poi, ad avere interessi sull’Italia «c’è anche la Cina, che ha un “ambasciatore” in Prodi: in pratica si tratta di trovare le imprese da vendere a Pechino, che sta espandendo sempre di più la sua influenza in Europa». La Cina ultimamente però vacilla, è in crisi, «grazie proprio al sistema dello shadow banking che Saccomanni invoca per l’Italia». Di certo, aggiunge Sapelli, questo disegno agli americani non sta bene, «perché gli Usa non vogliono un’Italia “tedesca”: la Germania è una potenza anti-americana, quindi non vogliono che aumenti il suo peso nel nostro paese». E questo per Sapelli «è un bene, perché non credo che l’Italia – da sola, inEuropa, senza gli Stati Uniti – abbia un avvenire». Il professore pensa che l’avvenire italiano sia «organicamente legato al rapporto con gli Usa». Ultima annotazione, la Fiat: la banda Marchionne, secondo Sapelli, non fa parte del club che progetta la svendita del made in Italy. Per una sola ragione: per l’industria torinese, l’Italia non esiste già più. «La Fiat fa gli interessi degli Agnelli, che oggi vogliono diventare sempre meno italiani».

Fonte: www.libreidee.org
Link: http://www.libreidee.org/2013/08/il-patto-renzi-a-capo-di-unitalia-svenduta-alla-germania/

► Potrebbe interessare anche: