venerdì 6 dicembre 2013

OGM, additivi, contaminanti e pesticidi. L'EFSA Europea quali interessi serve nella "sicurezza alimentare"?

Articolo di notevole importanza informativa, mettiamo a disposizione dei nostri lettori la traduzione che abbiamo fatto e la  pubblichiamo;

vista l'importanza che riveste l'essere attenti osservatori  dei comportamenti dell'agenzia europea di controllo sulla salute degli alimenti e le bevande EFSA;

una denuncia fatta da esperti nel campo giornalistico scientifico,  deve essere un albo notorio per far chiudere comportamenti promiscui di influenza delle lobby plurimiliardarie (Monsanto) agro-indiustriali legate alle multinazionali  sull'EFSA ; 

multinazionali che producono sia  OGM che agenti chimici teratogeni , mutageni oltre che cancerogeni, ed a molti altri surrogati che entrano nel ciclo alimentare.

Informare per non cadere nella trappola delle lobby è di importanza vitale per tutti NOI e le future generazioni, prepararsi con la conoscenza dovuta per contrastare gli avvelenatori significa lottare per non morire.

Sa Defenza


di Colin Todhunter
globalresearch.ca

tradusiu de Sa defenza


Il nostro cibo nelle loro mani: Quali interessi

 serve  l'Autorità europea per la sicurezza 

alimentare ?

Secondo il sito web dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA)la valutazione dei rischi in materia di alimenti e mangimi è la chiave di volta dell'Unione europea (UE) . Il sito afferma che l'EFSA fornisce consulenza scientifica indipendente nonché una comunicazione chiara sui rischi esistenti ed emergenti e che si tratta di un'agenzia europea indipendente finanziata dal bilancio dell'UE. L'autorità opera separatamente dalla Commissione europea, dal Parlamento europeo e dagli Stati membri dell'UE.
Parole dal suono dolce,  più della metà dei 209 scienziati dirigenti nei  vari settori dell'agenzia hanno legami diretti o indiretti con le industrie che hanno lo scopo di regolamentare. Infatti, secondo una recente analisi indipendente effettuata da Corporate Europe Observatory (CEO) il giornalista freelance Stéphane Horel, osserva che  quasi il 60% degli esperti, i vari quadri esperti scientifici dell'EFSA hanno legami diretti o indiretti con le  industrie che dovrebbero poi regolamentare con l'agenzia.
Il rapporto "Unhappy Meal". Pone il problema dell'indipendenza dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare e individua le principali lacune nella politica di indipendenza dell'EFSA e trova che le nuove regole dell'EFSA per la valutazione dei propri esperti, attuate nel 2012, dopo diversi scandali e conflitti di interesse , non sono riusciti a migliorare la situazione.
Gli autori avvertono che questa situazione getta un grave dubbio sulla credibilità scientifica del fattore fondamentale nella sicurezza alimentare  dell'Unione Europea,  l'agenzia che rilascia valutazioni sui rischi in materia di salute pubblica cruciali come gli additivi alimentari, imballaggi, OGM , contaminanti e i pesticidi.
Secondo il rapporto, le nuove regole di valutazione dell'EFSA permette ai  suoi esperti  di avere molteplici interessi commerciali (contratti di consulenza, di finanziamento della ricerca, ecc), ciò nonostante, alla maggioranza di quadri e vice -dirigenti può essere concessa la piena adesione ai protocolli dell'EFSA.
Stéphane Horel giornalista controinformatore ha detto:
"Siamo rimasti scioccati dai risultati. Anche senza controllare  gli interessi non dichiarati, il numero di conflitti di interesse in questa agenzia è molto preoccupante. Esperti con conflitti di interesse dominano tutti i settori. Abbiamo scoperto che la maggior parte dei conflitti sono dovuti  da finanziamento della ricerca e contratti di consulenza privati, alcune istituzioni determinanti per gli scienziati (società scientifiche, riviste) sono anche bersaglio delle lobby del settore, e l'EFSA sembra ignorare tutto questo ".
 La relazione indica inoltre che l'EFSA ha omesso di attuare adeguatamente la propria nuova normativa in diversi casi  che non vi è alcuna differenza visibile tra i protocolli raccolti nel quadro della nuova politica e di quelli composti utilizzando la vecchia politica.
Martin Pigeon, ricercatore e attivista di CEO, ha dichiarato:
"Ci sono casi specifici, l'agenzia è stata avvertita anni fa, che c'erano problemi ... Ci auguriamo che questa relazione apra gli occhi sulla necessità di difendere l'integrità della ricerca pubblica dalle minacce poste sulla salute pubblica dalla influenza delle industrie".
Ulteriori preoccupazioni
Sulla scia di tale relazione ora arriva la notizia che la salute dei consumatori è a rischio (SANCO) la Commissione europea ha la possibilità di eleggere  tra i candidati come direttore del consiglio di amministrazione dell'EFSA il dirigente  della più grande industria alimentare UE Food Drink Europe  (2).
La signora Beate Kettlitz lavora in una posizione di leader nel gruppo di pressione, e rappresenta tutte le grandi aziende alimentari e di bevande europee. Inoltre, è il secondo anno di fila che la Commissione ha cercato di nominare rappresentanti di Food Drink Europe come membri del consiglio di amministrazione dell'EFSA.
Un anno fa, la Commissione europea ha nominato direttore esecutivo Mella Frewen di Food Drink Europe (ex lobbista Monsanto). La sua nomina è stata respinta dal Parlamento europeo e dagli Stati membri.
Il Consiglio di amministrazione dell'EFSA è fondamentale: è l'organo di governo dell'agenzia per il cibo. Ognuno che mangia cibo in Europa è influenzato dalle sue decisioni.
Martin Pigeon del CEO:
"Il fatto che la Commissione europea preseleziona un lobbista dell'industria alimentare, ancora una volta, per il consiglio di amministrazione dell'EFSA è un segnale incomprensibile per tutti gli interessati circa la protezione dei consumatori e dell'ambiente. Tale professionista a bordo dell'EFSA sarebbe, per definizione, una minaccia permanente per l'indipendenza della agenzia per la sicurezza alimentare dell'UE "
Sette seggi in consiglio di amministrazione dell'EFSA del rinnovo nel mese di giugno 2014. La Commissione europea ha pubblicato un elenco di 23 nomi, per lo più da agenzie per la sicurezza alimentare nazionali, istituti di ricerca e università all'esame del Parlamento UE e la decisione 'degli Stati membri. Ma quattro persone tra quelle in lizza hanno anche interessi nel settore alimentare:
  •  Jan Mousing,  in lizza per la posizione, è l'amministratore delegato della Knowledge Centre danese per l'agricoltura, una società privata si descrive come "il principale fornitore di conoscenze professionali per le professioni agricole" in  Danimarca ;
  • Piet Vanthemsche, che è anche lui in corsa per la posizione, detiene una posizione di leader in campo industriale agricolo nell'unione COPA e detiene la maggioranza di MRBB, un fondo di investimento agricolo che ha anche partecipazioni in aziende che vendono gli OGM.
  • Alan Reilly, Direttore esecutivo dell'Autorità per la sicurezza alimentare irlandese (amministrazione della sicurezza alimentare pubblica dell'Irlanda), è anche membro del Comitato Scientifico della European Food Information Council (EUFIC), una lobby alimentare con sede a Bruxelles, finanziata da alcuni degli il più grande cibo e bevande aziende private in Europa.
  • Milan Kovac, dal Ministero dell'Agricoltura slovacco, era un membro del consiglio di ILSI Europa fino al 2011. ILSI Europa, è un istituto di ricerca industriale supportata da tutte le più grandi multinazionali agroalimentari, è un attore centrale di influenza scientifica del settore agroalimentare su dell'EFSA.
La Commissione giustifica  queste nomine con una interpretazione ideale  l'industria del regolamento istitutivo dell'EFSA, in cui si afferma che quattro dei 14 membri del consiglio "deve avere una esperienza in associazioni che rappresentano i consumatori e altri interessi nella catena alimentare".
Nel loro recente comunicato stampa congiunto, CEO e  Testbiotech notano che in nessun luogo si è detto che l'industria alimentare dovrebbe essere coinvolta, infatti, è tutto il contrario: il punto 2.011 nelle regole di indipendenza dell'EFSA stabiliscono che "le persone impiegate dall'industria non sono autorizzate a diventare membri dell'EFSA nel Comitato scientifico, gruppi di esperti scientifici e gruppi di lavoro. "
Queste tendenze sono preoccupanti a dir poco. Lo scrittore e ricercatore William F Engdahl ha già accennato ad un 'cancro della corruzione' tra il settore biotech e dall'EFSA (3). 

E quest'anno, Friends della Earth Europe (FoE) e GM Freeze ha pubblicato il proprio rapporto di ricerca che ha espresso gravi preoccupazioni relative alla salute rispetto all'uso eccessivo e senza controllo di glifosato (diserbante) in Europa (4). Preoccupazioni molto solide, considerando recenti ricerche relative agli effetti sulla salute (5). 
Nel 2011, la Hearth of Open Source ha detto che l'approvazione ufficiale del glifosato era stato avventato, problematico e profondamente sbagliata. Una rassegna completa dei dati esistenti rilasciato nel giugno 2011 da Hearth Open Source ha denunciato che le autorità di regolamentazione del settore in Europa conoscevano bene da anni i danni che procura  il glifosato, causa difetti genetici nei nascituri e negli embrioni di animali da laboratorio. Le domande che sono state quindi sollevate sul ruolo del potente agro-industria dei dati relativi alla sicurezza del prodotto e la influenza indebita, sulle autorità di regolamentazione, effettuate (6).

L'obiettivo delle potenti imprese private è quello di fare soldi, per massimizzare il profitto per gli azionisti. Eventuali requisiti di sicurezza sono preoccupazioni secondarie, o non sono neppure considerate preoccupazioni. Pertanto, ci aspettiamo che organismi come l'EFSA  occupino  queste preoccupazioni per conto  nostro e  resistano alle lobby alimentare e agro-alimentare nei loro tentativi di tradurre il loro massiccio peso finanziario in influenza politica, non da ultimo immettere proprio nel consiglio di amministrazione i loro quadri esperti » a questo siamo molto interessati che non avvenga, per il bene dei consumatori.
Sul suo sito web, l'EFSA afferma:
"Il cibo è essenziale per la vita. Siamo impegnati a garantire la sicurezza alimentare in Europa. "

Ci auguriamo che non sia solo uno slogan ma una pratica di vita vera e costante.    Sa Defenza
Mettersi in gioco, essere informati e resistere alla corruzione e l'acquisizione societaria d'Europa: Visita  http://corporateeurope.org/get-involved #
 Note

NELSON MANDELA NO NC'EST PRUS GHERRADORI MANNU DDE SA CAUSA AFRICANA AT BINTU SA TZERACHIA BIANCA!

OMINI MANNU DE IDEALIS E GHERRADORI PO SA LIBERTAT DE SU POPULU SUU CUNTRA IS MERIS BIANCUS, AT SEGAU SA TZERACHIA CHI PORTANT IN PITZUS DE SA SCHINA DE UNA CENTINAIAS DE ANNUS.
W MANDELA 
W SA GHERRA DE LIBERATZIONI DA IS OMINIS DE SA TZERACHIA!

SA DEFENZA



sabato 30 novembre 2013

Yahweh e Asherah coppia divina.

Asherah moglie di Dio

Yahweh è una divinità antica e potente, l'origine di tutto, oltre che il fulcro delle tre grandi religioni abramitiche. Chiamatelo pure Yahweh, Dio o Allah, ma è con il primo nome che era noto secoli e secoli prima che il Cristianesimo e l' Islam diventassero ciò che sono ora.

Nel corso dei millenni, Yahweh ha oscurato un'altra divinità che, nei tempi antichi, veniva messa alla pari del CreatoreAsherah, una divinità femminile della fertilità che in principio godeva delle stesse attenzioni riservate all' Unico Dio .

Francesca Stavrakopoulou, ricercatrice del dipartimento di Teologia e Religione all'università di Exeter, ha indagato la connessione tra Yahweh e Asherah, cercando di svelare i motivi per cui la divinità femminile sia scomparsa quasi completamente dalla narrazione biblica.

"Forse lo conoscete come Yahweh, Allah o Dio. Ma su un solo punto concordano ebrei, musulmani e cristiani, i popoli delle tre grandi religioni abramitiche: c'è un solo Dio" dice Stavrakopoulou. "E' una figura solitaria, unica, creatore universale, non un Dio tra tanti...o forse è quello che ci piace credere. Dopo anni di ricerca specializzata nella storia e nella religione di Israele, sono giunta alla conclusione, che alcuni potrebbero giudicare scomoda, che Dio avesse una moglie".

Stavrakopoulou basa la sua teoria su testi antichi, amuleti e statuette scoperte prevalentemente nella città costiera di Ugarit, elementi che mostrerebbero che il culto di Asherah sia stato parecchio diffuso tra le popolazioni israelite del tempo.

La teoria di una divinità femminile adorata parallelamente a Yahweh non è nuova: già nel 1967 Raphael Patai, orientalista e antropologo propose l'idea di un "doppio culto" di Yahweh e Asherah. Secondo Patai, ricercatore di fama internazionale che ha lavorato per le Nazioni Unite come direttore di progetti di ricerca antropologica in Siria, Libano e Giordania, Asherah sarebbe stata la "regina dei cieli", come viene chiamata nel Libro di Geremia.

L'ipotesi che Dio potesse avere una moglie fu avanzata in passato da Patai e da altri ricercatori sulla base di un'iscrizione risalente all' VIII° secolo a.C., e di riferimenti all'interno della Bibbia stessa. "L'iscrizione era una richiesta di benedizione" dice Stavrakopoulou. "L'iscrizione chiede una benedizione da 'Yahweh e Asherah'. Era la prova che presentava Yahweh e Asherah come una coppia divina. E ora è stata ritrovata una manciata di altre iscrizioni, e tutte ci aiutano a rafforzare l'idea che il Dio della Bibbia avesse una moglie".

La Bibbia sembrerebbe confermare il culto di Ashera nel Libro dei Re, in cui si cita una statua di Asherah nel Tempio di Yahweh a Gerusalemme. A questa statua venivano offerti oggetti di tessuto prodotti dal personale femminile del Tempio. Il testo usa anche il termine "asherah" in due sensi, per riferirsi ad un oggetto religioso, o per definire il nome della divinità. "Molte traduzioni in inglese preferiscono tradurre 'Asherah' con 'Albero Consacrato'" dice Wright. "Questo sembra essere parzialmente dovuto ad un desiderio moderno, ispirato chiaramente dalla narrativa biblica, di nascondere Asherah dietro ad un velo ancora una volta".

"Asherah non è stata completamente cancellata dalla Bibbia dai suoi editori maschili" dice J. Edward Wright, presidente del The Arizona Center for Judaic Studies e del The Albright Institute for Archaeological Research. "Alcune sue tracce rimangono, e basandosi su queste tracce, sulle prove archeologiche e sui riferimenti a questa dea nei testi provenienti dai territori confinanti con Israele e il Regno di Giuda, possiamo ricostruire il suo ruolo nelle religioni del Levante meridionale".

Asherah non è una divinità che appartiene alle sole religioni abramitiche: nota anche come Ishtar e Astarte, era una divinità potente e celebrata in molte culture, dai Fenici ai Babilonesi, e le cui origini risalirebbero a ben oltre un millennio prima di Cristo. Le sue tracce si possono trovare in testi ugaritici risalenti a un periodo precedente al 1200 a.C., testi che la definiscono con il suo nome completo "Colei che cammina sul mare". Ricorda qualcosa, non vi pare?

"I riferimenti alla dea Asherah nel Vecchio Testamento sono rari, e sono stati pesantemente modificati dagli antichi autori che hanno unificato i testi sacri" aggiunge Aaron Brody, direttore del Bade Museum e professore associato alla Pacific School of Religion.

Brody è convinto del fatto che gli antichi israeliti fossero politeisti, "con solo una piccola minoranza che venerava solo Yahweh prima degli eventi storici del 586 a.C.". Anno in cui venne distrutto il Tempio di Gerusalemme, cosa che secondo Brody "portò ad una visione più universale del monoteismo: un solo dio non solo per il Regno di Giuda, ma anche per le altre nazioni d'Israele".

lunedì 25 novembre 2013

IL "CAPITALISMO PER CASO" DELLA NSA

IL "CAPITALISMO PER CASO" DELLA NSA
Di comidad 

Mentre in Italia il governo Letta annuncia una nuova ondata di privatizzazioni, il "capitalismo" statunitense continua tranquillamente a fondarsi sulle partecipazioni statali. I ministeri delle partecipazioni statali di marca USA sono addirittura due: il Pentagono e la National Security Agency.
I media oggi ci narrano dei colossi dell'informatica che si mettono in posa da accusatori contro gli eccessi spionistici della NSA, ma rimane il fatto che le fortune di Silicon Valley dipendono a tutt'oggi dai contratti delle agenzie governative, e della NSA in particolare. 

Le ricadute civili delle tecnologie sviluppate in ambito militare e spionistico generano un business che viene fatto gestire ad appositi prestanome, come i Steve Jobs o i Mark Zuckerberg, attorno ai quali sono costruite le fiabe dei "miliardari per caso", che avrebbero spiccato il volo da umili garage. I "miliardari per caso" sono personaggi della più generale fiaba del "capitalismo per caso", come appunto il modello "anarchico" di Silicon Valley. Di fatto la spesa annuale della NSA per Silicon Valley viene valutata ad un minimo di otto o dieci miliardi di dollari l'anno. C'è poi da considerare il fenomeno delle "revolving doors", per il quale i funzionari delle agenzie governative lasciano il loro posto statale per andare a percepire stipendi milionari nei colossi privati dell'high-tech. 

Ma c'è anche il percorso inverso, come dimostra il caso di Max Kelly, il massimo dirigente per la sicurezza di Facebook, che nel giugno scorso è andato a lavorare proprio per la NSA. La vicenda ha fatto sorgere il legittimo sospetto che Kelly fosse già un agente NSA anche nelle vesti di dirigente di Facebook, e che oggi egli sia tornato alla casa madre per porsi sotto la protezione legale del governo e del segreto di Stato in caso di controversie legali. Ovviamente la notizia su Kelly non è stata ritenuta di tale importanza da essere ripresa dai media italiani, ed è stata sottovalutata dagli stessi media anglosassoni; eppure la vicenda di Kelly pone dubbi più che fondati sulla stessa genesi e funzione di Facebook. 

C'è chi ritiene che Facebook non possa interessare agenzie come la NSA o la CIA, data la scarsa qualità delle informazioni che vi circolano, cioè per lo più pettegolezzi. In realtà Facebook è in grado di ovviare a quello che per le agenzie spionistiche costituisce un difetto radicale di internet, cioè il trovarsi di fronte a miliardi di informazioni, senza però alcuna possibilità di classificazione e di individuazione dei target di ricerca. Al contrario, Facebook consente una mappatura a catena delle relazioni umane, e quindi di sapere su quale rete di persone concentrare di volta in volta lo spionaggio.

Quando si parla dello spionaggio della NSA, lo si considera unicamente dal punto di vista della violazione della privacy, senza coglierne le evidenti implicazioni per ciò che riguarda il mega-business dello spionaggio industriale all'ombra del pretesto dell'antiterrorismo. Vi sono oggi prove che lo spionaggio industriale della NSA abbia colpito una delle principali aziende brasiliane, la Petrobras; ma è difficile credere che si tratti di un caso isolato.

Sempre bravissimi ad interpretare la parte delle vittime, gli USA si danno da fare per elaborare legislazioni ad hoc per difendersi dallo spionaggio industriale, in particolare contro la minaccia dei cattivissimi Cinesi. Ovviamente queste leggi anti-spionaggio industriale potranno costituire un ulteriore pretesto ed un avallo legale per aumentare le attività spionistiche ai danni degli altri. 


Se davvero qualcuno avesse sviluppato nuove tecnologie nei garage, avrebbe avuto ben poche possibilità di non vedersi trafugate le sue invenzioni da parte della NSA. Forse è per l'impossibilità di soffermarsi su questi insignificanti dettagli che la trasposizione delle fiabe capitalistiche dei "miliardari per caso" in narrazioni cinematografiche ha prodotto storie prive di senso. 
I film sull'argomento non hanno soddisfatto del tutto la critica, e neppure le torme dei pur creduli fans; quelli convinti che a qualunque sfigato basti smanettare sul computer indossando felpa e t-shirt per partecipare alle opportunità di accesso all'olimpo capitalistico. Così è accaduto che abbia deluso quasi tutti il film biografico sul più mitico dei presunti maghi dell'high-tech, il defunto Steve Jobs. 

Nel caso di Zuckerberg neanche il diretto interessato si è dichiarato entusiasta del film che lo riguardava. Ma era inevitabile, poiché, quando la narrazione scende nel dettaglio, vengono alla luce crepe logiche insormontabili, che si cerca di reincollare con forzature sempre più grossolane, da cui diventa urgente prendere le distanze per non alimentare ulteriori scetticismi. 

Non è un caso che anche i film e le serie televisive sul terrorismo abbiano sofferto dei medesimi problemi, in quanto è nei dettagli narrativi che alla fine si scopre l'assunto fiabesco. La narrazione del capitalismo ha quindi assoluto bisogno di vaghezza, perciò è sempre bene che rimanga confinata nel limbo dei talk-show. In quanto ad auto-narrazione, il capitalismo non riesce mai a diventare adulto, perciò ha assoluto bisogno di infantilizzare anche il proprio pubblico.

domenica 24 novembre 2013

DONNA MARIA ROSARIA RANDACCIO PRESIDENTE!

DONNA MARIA RANDACCIO PRESIDENTE!
Vàturu Erriu Onnis Sayli 

Donna M. R. Randaccio

Le condizioni climatiche in Sardinya sono turbolente, le alluvioni dei giorni scorsi hanno deturpato il territorio , ed evidenziato le anomalie idrogeologiche, ma non solo, abbiamo visto anche le anomalie politiche che si sono susseguite in questa affranta terra di Sardinya. 

La storia che arriva da lontano, memore dei conflitti e delle imposizioni a partire dagli antichi romani, ove si dichiarano le nostre sconfitte... 
"Alla fine dei due anni di guerra –  furono uccisi 12 mila (sardi) nel 177 e 15 mila nel 176- nel tempio della Dea Mater Matuta a Roma fu posta dai vincitori questa lapide celebrativa, riportata da Livio: “Sotto il comando e gli auspici del console Tiberio Sempronio Gracco la legione e l’esercito del popolo romano sottomisero la Sardegna. In questa Provincia furono uccisi o catturati più di 80.000 nemici......... 
La storia dovrebbe insegnare alle classe dirigente politica sarda, le strade da percorrere per come amministrare e dare sviluppo economico al territorio senza essere servi di servi sempre proni e ben disposti a dare i servigi ai colonizzatori o padroni del tempo, oggi necessitiamo di tempo nuovo , tempus benidori, pro sa vittoria. 

La premessa iper-veloce sui fumi accecanti, da lacrime e sangue sulla storia sarda, sono citati per dire che abbiamo bisogno di una NUOVA classe dirigente che rispetti l'identità , la tradizione,  l'autonomia quella sprecata in questi ultimi sessant'anni, abbiamo bisogno di indipendenza politica economica e sociale.

I tempi dei politicanti sardo-italioti  sempre pronti a cogliere l'attimo degli eventi per essere servi "consoli romani" è giunto al capolinea, perciò scendete dal treno che finora vi ha cullato ed accomodatevi sulla panchina dell'oblio dell'inettitudine.

Il cambiamento per questa natzione senza stato è alla portata di mano, a primavera ci saranno le elezioni in Sardinya, le truppe cammellate dei partiti italioti già si apprestano a elargire il solito verbo sacramentale dei trenta denari per la ricostruzione, l'accapparrazione dei voti per la loro perpetuazione in questo tempo di potere temporale. 

Eppur si muove........

Pare che questi conti stiano per essere travolti nell'immaginario collettivo sardo, impegnato a trovare la via d'uscita da questa narcosi decennale imposta dai servi sardo-italioti, fino ad ora.

Il fermento generale in tutti i territori  o "contades" è evidente, i movimenti vivi che rivendicano la ZF  Zona Franca , denuncia il bisogno della nostra terra di risorgere dalla tribolazione che ci è stata imposta finora dalle parti avverse alla nostra autodeterminazione; 

Nell'aria si sente un forte profumo di cambiamento nei sardi, che,  stanchi di aspettare il momento della riappropriazione del loro diritto ad amministrarsi senza dovere nulla a nessuno se non che al nostro popolo, finalmente si "atobiant" incontrano per costruire il loro futuro.

Donna Maria Rosaria, bella presenza di donna matura, ha le idee chiare,  ha conoscenza profonda delle leggi dello stato,  intendenza di finanza, sulla ZF ed extradoganalità, traccia la strada  di  attraversamento del deserto espiatorio,  purificazione di tutti i movimenti politici sardi, che vogliono assieme cambiare la storia passata; 

E' necessario, è dovuto alla nostra terra, che ogni uomo donna e giovine dio Sardinya, si impegni per la riuscita della tracciatura della nostra libertà e si prodighi per essa.

Intendiamo dire che tutti i movimenti oggi in essere in questa terra trovino l'accordo politico affinché alle prossime elezioni della RAS si dia la svolta necessaria al rilancio ed alla rinascita di questa martoriata e sfruttata terra.

Guardiamoci intorno e vediamo, cosa si muove ora per raggiungere questo intento?

A settembre si è svolta l'assemblea per la costituzione del Fronte Unitario Indipendentista, in campo già prima abbiamo il soggetto politico sostenuto dalla Murgia e da ProgReS, Sardegna Possibile, mancano altri soggetti, dove sono gli altri movimenti?

Vediamo se ci siamo, MERIS, gli Artigiani e le Partite Iva, i Zona Franca, Unidos, Soberania, 5° Moro, Fortza Paris, vari movimenti sociali locali, Movimento Pastori Sardi(?), SNI(?), laboratorio gallura, indipendentistas sardus, movimenti identitari, Sis.ma(?)... stanno lavorando per la costituzione di questo nuovo soggetto politico identitario?

Se si, crediamo che la situazione ponga le basi di partenza ad una nuova situazione  abbastanza larga, magari al suo interno ci si vedrebbero bene anche quei movimenti che pur attivi nella nostra terra, si sono posti ai margini e attendono il tempo per aggregarsi ad una situazione larga e seria  pronta a portare in Consiglio RAS i nostri rappresentanti che cambieranno il futuro della nostra natzione, ove si potrà intravedere la costituzione della nuova statualità sarda.

La questione sarda sta in termini contradditori; 
da una parte, movimenti, che come abbiamo appena detto si stanno incontrando per dare vita ad un nuovo soggetto politico in grado di poter competere con queste regole dure poste in campo dai servi italioti che non vogliono opposizioni in campo; 
essi, sperano che con la legge elettorale a sbarramento del 10% raggiungono il loro intento di fare  piazza pulita di qualsiasi intruso fuori dal sistema.

Restano fuori diversi soggetti che si definiscono indipendentisti, natzionalitari , sovranisti e federalisti; 

Certo, di bene alla nostra terra, visto la legge che è stata messa in campo per ostacolare una rinascita delle forze autoctone, non fa.

Però siamo curiosi di sapere cosa vogliono fare forze come iRS, Partito dei Sardi (Maninchedda e Sedda), Rosso Mori, Sardegna Libera, PSdAz...

Dai commenti sui vari giornali sardi e dalle cose che si intravedono su FB o internet pare che questi soggetti che si definiscono indipendentisti , sovranisti, e federalisti si stiano prostrando per essere accetti nel PD della Barracciu, un bel dire d'essere così o pomì per riverlarsi poi di essere solo alla rincorsa delle poltrone?  

NOI ci auguriamo che queste forze politiche storiche  abbiano un forte senso di responsabilità e ci pensino bene prima di affiancarsi o accodarsi a questo partito che ha fatto sempre l'interesse dell'Italia e non del nostro paese, ricordatevi dell'errore che fece Emilio Lussu padre del PsdAz, e della natzione sarda,  che si  fece , fagocitare dal PCI, non fate lo stesso errore VOI oggi.

Chiediamoci , dove si crede di andare, se prima si predica l'indipendenza per poi razzolare nel pollaio del PD?

Forte è colui che fa conto delle proprie forze e prova con altri della stessa idea ad osare.

Ecco perché vediamo  nella possibile candidatura di Donna Maria Rosaria Randaccio una vera alternativa, forte ed auspicabile per il governo della nostra terra!

Visto i termini della questione e gli ostacoli posti dal nostro avversario italiota, per non sottostare agli invasori e colonialisti  di antica memoria storica che abbiamo rammentato all'inizio, lanciamo un appello a tutti i movimenti sardi che si stanno già incontrando unitariamente di fare una  proposta di unità aperta a tutti da: Progetto Sardegna, al Fronte Unidu Indipendentista,  ed ai movimenti che ancora stanno navigando senza porto in cui attraccare , di unirsi e mettere da parte le differenze ideologiche , perché la nostra terra ha bisogno di VOI tutti, portare i nostri candidati dentro il Consiglio Regionale è oggi possibile solo se siamo uniti, perché la vittoria della nostra causa, sia alla portata di tutti i sardi liberi e della nostra amata terra!

PRO SU BENI DE SA SARDINYA DONNA MARIA ROSARIA RANDACCIO PRESIDENTI EST POSSIBILI!



ITALY BASI AMERICANE: Il "lavoro italiano" del Pentagono


Il "lavoro italiano" del Pentagono
David Vine 
Tradotto da  Alba Canelli
tomdispatc

Il Pentagono ha trascorso gli ultimi due decenni pagando centinaia di milioni di dollari di tasse per basi militari in Italia, rendendo il paese un centro sempre più importante per il potere militare statunitense. Soprattutto dall'inizio della Guerra Globale al Terrorismo, nel 2001, l'esercito ha spostato il suo centro di gravità, dalla Germania, dov'erano la maggior parte delle forze americane nella regione dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, al sud Europa. Nel processo, il Pentagono ha trasformato la penisola italiana in un trampolino di lancio per le future guerre in Africa, Medio Oriente ed oltre. Nelle basi a Napoli, Aviano, Sicilia, Pisa e Vicenza, tra gli altri, i militari hanno speso più di 2.000 milioni di dollari solo dopo la fine della guerra fredda e la cifra non comprende gli altri miliardi in progetti di costruzione, esercizio e le spese del personale. Mentre il numero delle truppe in Germania è stato ridotto da 250.000 a circa 50.000, ci sono 13.000 soldati americani (e 16.000 famiglie) nelle basi in Italia, numeri che corrispondono a quelli del suo picco durante la Guerra Fredda. Ciò significa che, a sua volta, la percentuale delle forze Usa in Europa, con sede in Italia, è triplicato dal 1991, dal 5% al ​​15% [tra tutte quelle di stanza in Europa]. 

Il mese scorso, ho avuto l'opportunità di visitare la nuova base Usa in Italia, che si trova a Vicenza, vicino Venezia. Ha tre mesi di funzionamento ed è sede di una forza di reazione rapida, la Squadra di Combattimento 173° Brigata di Fanteria (Airborne), e la componente militare del Comando Africa degli Stati Uniti (AFRICOM). La base si estende per un chilometro da nord a sud, e supera tutto il resto nella piccola città. In effetti, nei più di 145 ettari, la base è quasi esattamente la dimensione del National Mall di Washington, o l'equivalente di circa 110 campi di calcio. Il costo della base è di oltre 600 milioni dollari a partire dall'anno fiscale 2007.
Ci sono ancora altre basi, e quindi più spesa militare degli Stati Uniti in Germania che in qualsiasi altro paese straniero (tranne, fino a poco tempo fa, in Afghanistan). Tuttavia, l'Italia è diventata sempre più importante per il Pentagono per modificare la composizione globale delle sue 800 basi o più, all'estero. Il nuovo approccio è già verso sud invece che verso l'est dell'Europa.L'esperto Alexander Cooley spiega: 
"I funzionari della Difesa degli Stati Uniti riconoscono che il posizionamento strategico dell'Italia nel Mediterraneo e vicino al Nord Africa, la dottrina antiterrorismo dell'esercito italiano, così come la politica favorevole del paese verso le forze degli Stati Uniti sono fattori importanti per la decisione del Pentagono di mantenere un'ampia base e la presenza di truppe lì. Gli unici che hanno prestato attenzione a questa accumulazione sono i movimenti italiani di opposizione locale a Vicenza, che sono preoccupati perché la loro città potrebbe diventare una piattaforma per future guerre degli Stati Uniti".

La maggior parte dei turisti pensano all'Italia come al paese dell'arte rinascimentale, antichità romane, ottima pizza, pasta e vino. Pochi pensano ad essa come ad una terra di basi americane. Ma ci sono in Italia 59 "siti di base" identificati dal Pentagono, ciò fa si che questo paese è superato solo dalla Germania (179), Giappone (103), Afghanistan (100 e in calo) e Corea del Sud (89).

Pubblicamente, i funzionari americani dicono che non ci sono basi militari americane in Italia. Essi insistono sul fatto che i nostri presidi, con tutte le infrastrutture, le attrezzature e le armi, sono semplicemente ospiti di quelle che sono ufficialmente basi italiane destinate all'uso della NATO. Naturalmente, tutti sanno che questo è in gran parte una sottigliezza giuridica.

Nessuno che visiti la nuova base di Vicenza potrebbe dubitare del fatto che è un'installazione degli Stati Uniti dall'inizio alla fine. La guarnigione è in una ex base della forza aerea italiana chiamata Dal Molin. (Alla fine del 2011, le autorità italiane la ribattezzarono "Caserma Del Din", ovviamente, per cercare di scacciare i ricordi della massiccia opposizione alla base). Dall'esterno, potrebbe sembrare un gigantesco complesso ospedaliero o campus universitario. 31 edifici color pesca e crema con tetti rossi, dominano l'orizzonte con solo la pedemontana ai piedi delle Alpi del Sud come sfondo. Una rete metallica sormontata da filo spinato lungo il perimetro, con schermate verdi che nascondono alcuni punti della base.


Se si riesce ad entrare, tuttavia, si trovano due caserme con 600 soldati ciascuna. (Al di fuori della base, l'Esercito sta affittando circa 240 nuovi alloggi nelle comunità circostanti). Si vedranno anche due garage a sei piani, che possono ospitare 850 veicoli, e una serie di grandi complessi di uffici e alcune piccole aree di addestramento, tra cui un poligono di tiro al coperto ancora in costruzione, oltre ad un centro fitness con una piscina riscaldata, un' "area di intrattenimento per il guerriero" una caffetteria in stile italiano e una sala da pranzo. Questi servizi sono in realtà molto modesti per una grande base statunitense. La maggior parte degli alloggi nuovi o ristrutturati, scuole, strutture sanitarie, negozi e altri servizi per i soldati e le loro famiglie si trovano nella città di Viale della Pace nella base Caserma Ederle e nelle vicinanze del Villaggio della Pace.

Oltre a Vicenza, l'esercito ha speso moltissimo per aggiornare le sue basi italiane. Fin dall'inizio del 1990, la base aerea americana di Aviano, a nord est di Vicenza, era un piccolo luogo conosciuto come "Sleepy Hollow". Dal trasferimento degli F-16 in Spagna nel 1992, l'Air Force è diventata un'importante area di stazionamento per tutte le operazioni in tempo di guerra dalla prima guerra del Golfo. Nel processo, sono stati spesi almeno 610 milioni dollari in più di 300 progetti di costruzioni (Washington ha convinto la NATO a fornire più della metà di questi fondi, e l'Italia ha dato 210 ettari di terreni a titolo gratuito).
Per non essere da meno, la Marina ha investito più di 300 milioni dal 1996 per la costruzione di una nuova base presso l'aeroporto di Napoli. Nelle vicinanze, ha un contratto di locazione per 30 anni su un "sito di supporto" stimato in 400 milioni di dollari, ovvero, un grande centro commerciale, circondato da ampi giardini, ben tenuto. (La base si trova nel cuore della Mafia napoletana ed è stata costruita da una società che era legata alla Camorra). Nel 2005, la Marina ha trasferito la propria sede europea da Londra a Napoli, spostando la sua attenzione dal Nord Atlantico verso l'Africa, il Medio Oriente e il Mar Nero. Con la creazione di AFRICOM, il cui quartier generale rimarrà in Germania, Napoli è ora sede di un misto tra la US Naval Forces Europe e US Naval Forces Africa. E' significativo che il suo sito web evidenzia l'ora a Napoli, Gibuti, Liberia e Bulgaria.
Nel frattempo, la Sicilia è diventata sempre più importante per l'Era della Guerra Globale al Terrorismo, dato che il Pentagono ha trasformato l'isola in un importante nodo per le operazioni militari degli Stati Uniti in Africa, dal momento che si trova a meno di 100 km di distanza in tutto il Mediterraneo. Dall'anno fiscale 2001, il Pentagono ha speso più nella costruzione della Stazione Navale Aerea di Sigonella - 300 milioni di dollari - che in qualsiasi altra base italiana oltre a Vicenza. Ora è la seconda stazione navale degli Stati Uniti in Europa, la prima volta è stata utilizzata nel 2002 per l'utilizzo di aerei di sorveglianza, senza pilota Global Hawk. Nel 2008 gli Stati Uniti e l'Italia hanno firmato un accordo segreto che permette ufficialmente la creazione di una base di droni lì. Da allora, il Pentagono ha tirato fuori almeno 31 milioni dollari per costruire un complesso di operazioni e manutenzione dei Global Hawk. La base di droni, formalmente della NATO, ha una capacità di sorveglianza fino a 10.000 miglia.

Da questa base, e dal 2003, vengono utilizzati velivoli P-3 sorveglianza per monitorare i gruppi ribelli nell'Africa del nord-occidentale. E dal 2011, l'AFRICOM ha schierato un team di circa 180 marines e due aerei per fornire addestramento antiterrorismo ai militari africani in Botswana, Liberia, Gibuti, Burundi, Uganda, Tanzania, Kenya, Tunisia e Senegal. Sigonella ospita anche uno dei tre servizi globali di trasmissione delle comunicazioni via satellite e presto ospiterà una base di intervento congiunto e analisi dei dati, nonché un centro di formazione della NATO. Nel mese di giugno, la sottocommissione del Senato degli Stati Uniti ha raccomandato di spostare le forze e le operazioni speciali CV-22 Ospreys dalla Gran Bretagna alla Sicilia, come dichiarato "Sigonella è diventato un trampolino di lancio fondamentale per le missioni relative alla Libia, data l'attuale turbolenza in quella nazione, così come la nascita di attività di addestramento per terroristi in Nord Africa". Nella vicina Niscemi, la Marina spera di costruire un impianto per un satellite di comunicazione ad altissima frequenza, nonostante la crescente opposizione dei siciliani ed altri italiani preoccupati per gli effetti della stazione e le sue radiazioni elettromagnetiche sugli esseri umani e sulla riserva naturale circostante. E' vero che nel bel mezzo di questo accumulo, il Pentagono ha chiuso alcune basi in Italia, come Comiso, Brindisi e La Maddalena. Anche se l'esercito ha tagliato il personale a Camp Darby, un deposito sotterraneo di armi e attrezzature lungo la costa toscana, la base rimane un'importante logistica e un pre-posizionamento centrale che permette il dispiegamento globale di truppe, armi e rifornimenti dall'Italia via mare. Dall'anno fiscale 2005, sono stati investiti quasi 60 milioni di dollari in nuove costruzioni.
E che cosa fanno tutte queste basi in Italia?  Ecco il modo in cui un funzionario militare degli Stati Uniti in Italia (che ha chiesto di restare anonimo) ha spiegato la questione: "Mi dispiace, Italia, ma questa non è la guerra fredda. Non siamo qui per difendere da un attacco [sovietico] a Vicenza. Siamo qui perché abbiamo deciso che dobbiamo essere qui a fare altre cose, sia in Medio Oriente che nei dei Balcani o in Africa". Le basi in Italia hanno svolto un ruolo sempre più importante nella strategia globale del Pentagono, in gran parte dovuto alla posizione del paese sulla mappa. Durante la Guerra Fredda, la Germania dell'Ovest era il cuore dell'America e della NATO in Europa, grazie alla sua posizione sulle vie più probabili di un attacco sovietico all'Europa occidentale. Una volta terminata la guerra fredda, l'importanza geografica della Germania è stata notevolmente ridotta. Infatti, le basi e le truppe statunitensi nel cuore dell'Europa erano sempre più immerse nella geografia, dal momento che l'Air Force ogni volta ha bisogno di ottenere il permesso di sorvolo dai vicini. Le truppe con sede in Italia hanno accesso diretto alle acque internazionali e allo spazio aereo del Mediterraneo. Questo permette loro di dispiegarsi rapidamente via mare o per via aerea. Keith Eastin, Assistente Segretario dell'esercito al Congresso nel 2006, posizionando la 173° Brigata Aviotrasportata a Dal Molin, ha detto: 
"è strategicamente posizionata a sud delle Alpi, con facile accesso allo spazio aereo internazionale per il rapido dispiegamento e per le operazioni di allerta precoce".
Abbiamo visto che il Pentagono ha approfittato della posizione dell'Italia dal 1990, quando la base aerea di Aviano ha svolto un ruolo importante nella prima guerra del Golfo e negli interventi degli Stati Uniti e della NATO nei Balcani (un breve salto attraverso il mare Adriatico dall'Italia).L'amministrazione Bush, a sua volta, fece delle basi in Italia alcuni dei suoi avamposti "durevoli" in Europa. Negli anni di Obama, il crescente coinvolgimento militare in Africa ha reso l'Italia ancora più attraente.
Al di là della posizione, i funzionari americani amano l'Italia, perché, come lo stesso funzionario militare mi ha detto, "è un paese che offre sufficiente flessibilità operativa". In altre parole, fornisce la libertà di fare quello che vuoi con restrizioni minime e senza intoppi.
Oltre ad offrire i costi operativi più bassi, è paese il più sensibile alle pressioni politiche ed economiche di Washington. E' più permissiva rispetto alle norme ambientali e di lavoro e dà al Pentagono più libertà di avviare un'azione militare unilaterale dopo una consultazione minima con i paesi ospitanti.
Mentre difficilmente è una delle nazioni più deboli del mondo, l'Italia è il secondo paese più indebitato d'Europa, il suo potere economico e politico impallidisce in confronto a quello della Germania. Non c'è da stupirsi, quindi, come il funzionario del Pentagono in Italia mi ha fatto notare, che la situazione delle forze secondo l'accordo con la Germania è lungo e dettagliato, mentre l'accordo con l'Italia rimane quello del 1954 (e ancora classificato). I tedeschi tendono ad essere più esigenti per quanto riguarda le regole, mentre gli italiani sono "più interpretativi".

La libertà con cui l'esercito americano ha utilizzato le sue basi italiane nella guerra in Iraq è un esempio calzante. Per cominciare, il governo italiano ha permesso alle forze statunitensi il loro uso per una guerra che era al di fuori del contesto della NATO e che violava i termini delll'accordo del 1954. Un cavo rilasciato da Wikileaks, nel 2003, inviato dall'ambasciatore in Italia Melvin Sembler, ha rivelato che il governo del primo ministro Silvio Berlusconi diede al Pentagono "praticamente tutto" ciò che voleva. "Abbiamo ottenuto quello che abbiamo chiesto", scrisse Sembler, "accesso, basi, di transito e sorvolo, assicurando che le forze possano fluire facilmente attraverso l'Italia per arrivare a combattere".

Da parte sua, l'Italia sembra aver beneficiato direttamente di questa cooperazione. (Alcuni dicono che il cambio di basi dalla Germania verso l'Italia è stato concepito anche come un modo per punire la Germania per la sua mancanza di supporto nella guerra in Iraq). Secondo un rapporto del 2010 del settimanale sicurezza Jane, il ruolo dell'Italia nella guerra in Iraq, fornendo 3.000 soldati allo sforzo alleato, ha aperto contratti per la ricostruzione dell'Iraq alle imprese italiane, così come il consolidamento dei rapporti tra i due alleati. Il suo ruolo nella guerra in Afghanistan certamente offre vantaggi simili. Queste opportunità sono arrivate nel mezzo dell'approfondimento dei problemi economici, e in un momento in cui il governo italiano stava trasformando la produzione di armi in un aspetto importante per rilanciare la sua economia. Secondo Jane, i produttori di armi italiane come Finmeccanica hanno cercato di entrareaggressivamente negli Stati Uniti e in altri mercati. Nel 2009, le esportazioni di armi italiane sono aumentate di oltre il 60%.
Nell'ottobre del 2008 i due paesi hanno rinnovato un Memorandum di Appalti della Difesa Reciproca (un accordo di "nazione più favorita" per le vendite militari). E' stato ipotizzato che il governo italiano possa aver ceduto la base Dal Molin agli Stati Uniti gratuitamente, in parte per garantirsi un ruolo nella produzione dell' "arma più costosa mai costruita", l'aereo da combattimento F-35, tra gli altri accordi militari. Un altro cavo incandescente del 2009 diElizabeth Dibble, incaricata d'affari presso l'ambasciata a Roma, chiama la cooperazione militare dei paesi "una partnership duratura". Menzionava come Finmeccanica (che è per il 30% di proprietà dello Stato) "ha venduto 2,3 miliardi di dollari in equipaggiamenti per la difesa negli Stati Uniti nel 2008 [ed] ha una forte partecipazione nella solidità del rapporto USA-Italia".
Naturalmente, vi è un altro fattore importante in tutto questo incremento del Pentagono in Italia. Per le stesse ragioni che i turisti americani affollano il paese, le truppe americane hanno goduto della dolce vita lì. Oltre alla vita comoda nelle basi, circa 40.000 visitatori all'anno provenienti da tutta Europa oltre a quelli che arrivano al complesso militare di Camp Darby, la "spiaggia americana" della Riviera italiana.
L'Italia non è in procinto di prendere il posto della Germania come base della potenza militare degli Stati Uniti in Europa. La Germania è da tempo integrata nel sistema militare statunitense e gli  strateghi militari hanno progettato tutto affinché restasse così. Infatti, ricorda come il Pentagono ha convinto il Congresso a consegnare più di 600 milioni di dollari per la costruzione di una nuova base a Vicenza? Il Pentagono ha giustificato il trasferimento di truppe a Vicenza come un modo per rafforzare la 173° Brigata in un unico luogo.
E poi, nel marzo scorso, una settimana dopo aver ottenuto l'accesso al primo edificio completato al Dal Molin e con la costruzione quasi finita, l'esercito ha annunciato che dopo tutto, non sarebbe stata consolidata la 173° Brigata. Una terza parte della Brigata sarebbe rimasta in Germania. In un momento di tagli di bilancio, disoccupazione, e stagnazione economica per tutti, con enormi necessità insoddisfatte nelle comunità in tutti gli Stati Uniti, per il nostro investimento di $ 600 milioni, solo 1.000 soldati si sposteranno a Vicenza. 
Tuttavia l'Italia sta rapidamente diventando uno dei principali punti di articolazione degli Stati Uniti per la guerra a livello globale. Mentre molta attenzione è focalizzata sul "perno dell'Asia" di cui parla Obama, il Pentagono sta concentrando le forze in una serie di basi come Gibuti nel Corno d'Africa, Diego Garcia nell'Oceano Indiano, Bahrain e Qatar nel Golfo Persico, Bulgaria e della Romania nell'Europa dell'Est, in Australia, Guam e Hawaii nel Pacifico, e l'Honduras in America Centrale. Le nostre basi in Italia rendono più facile intervenire militarmente in conflitti di cui si sa poco, dall'Africa al Medio Oriente. Invece di chiedersi perché abbiamo ancora basi in Italia e in decine di paesi in tutto il mondo, un numero crescente di politici, giornalisti ed altri stanno dicendo che queste basi ci aiuteranno, nel nome della "sicurezza" degli Stati Uniti, a preservare un percorso di violenza perpetua nel quadro di un'insicurezza perpetua.

venerdì 22 novembre 2013

Parlare in limba come festa della parola, di Bachisio Bandinu.

Parlare in limba come festa della parola, di Bachisio Bandinu.

Bachisio  Bandinu

Sa limba: è possibile porre fine alla lingua dei litiganti? Contatto, confronto, adesione: fondamentali atteggiamenti della politica linguistica. La proposta che la Fondazione Sardinia consegna  al dibattito pubblico. La lingua come rapporto fraterno.


All’occorrenza, a ondate tempestose, si ripresenta la questione de sa limba, sempre nella polemica, nel teatro dei litiganti. In cinquant’anni di dibattito non c’è stato un cammino di elaborazione attraverso studi di filosofia, antropologia, sociologia, psicologia del linguaggio sardo. Gli studi hanno coltivato il campo della glottologica e della filologia, certamente importanti ma poco incisivi sulla questione concreta del sardo nelle scuole, nella famiglia, nella società, nei mass media, nel rapporto anche linguistico tra locale e globale. In verità la società è andata avanti nell’esperienza positiva a livello scolastico, teatrale, filmico, letterario, musicale, artigiano, purtroppo a livello di ricerca intellettuale è rimasto a una sorda contrapposizione di limba sì, limba no. Una sorta di tifoseria calcistica. Al riguardo poco è servita la legge regionale 26/97 che attribuisce pari dignità a lingua e cultura sarda rispetto all’italiano, non ha prodotto molti frutti la legge 492 che riconosce il sardo come lingua di minoranza, non ha neppure convinto la ricerca condotta dall’Università di Sassari e di Cagliari sulla competenza attiva o passiva del sardo nell’isola. Viene il sospetto che le polemiche dei litiganti siano di origine passionale, umorale, motivate da vissuti personali, da processi di rimozione, di resistenza, anche se si ammantano di spiegazioni storiche, sociologiche, ideologiche.
È così sentiamo, nel ritorno ossessivo di 50 anni, le stesse domande: esiste davvero una lingua sarda? quale sardo insegnare? E ancora si ripropongono le solite affermazioni: la lingua sarda appartiene al passato, non può parlare la complessità del mondo contemporaneo, la lingua sarda è destinata a scomparire ed è inutile tenerla in vita con le leggi. Immediatamente scatta la reazione: ciascuna lingua può parlare il proprio tempo se le viene data la libertà concreta di parità con le altre lingue, la lingua sarda non è solo il deposito conosciuto del vocabolario, ha invece capacità infinita di creare nuove espressioni, nuove parole e inedite combinazioni sintattiche. Muoiono metafore vecchie, ma la lingua ha un’infinita capacità di creare metafore nuove e perciò è capace di parlare il proprio tempo. Tra le due posizioni in conflitto non c’è dialettica perché non c’è elaborazione: il tempo della polemica è fermo e si irrigidisce confermando le proprie convinzioni.
A rinforzare il bisticcio arriva la domanda: a che serve la lingua sarda? Domanda retorica che ha già inclusa la risposta: non serve, meglio l’inglese. Insegnare il sardo è tempo perso, rubato alle altre lingue, oltre a comportare spese, risorse finanziarie che sarebbe meglio indirizzare verso il cinese, l’arabo e il russo. Non manca persino l’accusa: c’è chi ci mangia sul piatto della lingua sarda. Le risposte non si fanno attendere: la lingua sarda è lingua dell’identità, senza una propria lingua un popolo non esiste, è parlato dalla lingua degli altri e dunque colonizzato anche nell’atto di parola.
È possibile porre fine alla lingua dei litiganti? Abbandonare la logica del risentimento che anima le fazioni contrapposte? Da una parte il risentimento di chi difende la lingua proprio perché negata, tagliata, esclusa, dall’altro lato il risentimento di chi la combatte perché inattuale, rozza, incapace di dare risposte alla forma del nostro tempo. Si tratta di procedere dalla torre di Babele, (dalla confusione e dalla lotta tra le lingue) verso la Pentecoste: intendersi in ciascuna lingua senza annullare le differenze- Parlare in limba come festa della parola, senza narcisismo e senza vergogna, senza ritardo e senza anticipo, senza primogeniture e senza diseredamenti. La prova più convincente viene da un’esperienza scolastica. In una scuola dell’infanzia risuonano tre parole: casu, formaggio, cheese. Sono voci che danzano con la loro musica e persino con la loro mimica. Annunciano la loro identità e danno persino la sensazione di una diversa corporeità della parola. Nonostante rimandino a uno stesso oggetto, un prodotto del latte, creano associazioni con diverse sfumature di significato. Casu, formaggio, cheese fanno ballo tondo tenendosi per mano: nessun conflitto, nessun risentimento. I bambini procedono nel cammino emotivo e cognitivo di una esperienza trilingue. Quando verrà il cinese e l’arabo la festa sarà a cinque e dunque più ricca. Questa esperienza vale più di tutti dibattiti degli intellettuali.
La festa della parola la viviamo nell’ascolto del canto e della musica in limba, nella ricchezza delle espressioni teatrali, nella produzione filmica, nella poesia estemporanea, nel canto religioso. Ciò che fa festa è il suono, il ritmo e l’intonazione: intervengono variazioni melodiche e ristrutturazione ritmiche. Sotto la parola c’è una voce, il senso è mescolato al suono, così la parola comunica perché mostra il suo corpo pulsionale, la sua materia linguistica, infatti la parola è vitale se è corporea. Il tratto fondamentale di una lingua è dato dal significante più che dal significato: è fondamentale cioè l’immagine acustica della parola che si forma ben prima del significato, in ciò consiste la singolarità della lingua e la differenza da un’altra lingua.
Suono e senso della parola costruiscono il linguaggio, la comunicazione sociale e investono immediatamente l’abitare un territorio, la modalità e le scelte di vita. Domo, casa, house dicono di un particolare modo di abitare un territorio. Parlare anche in sardo la crescita della Sardegna vuol dire acquisire coscienza di soggettività: l’atto di parola è simultaneamente azione, indirizzo, progetto. Parlare anche in sardo lo sviluppo economico, le trasformazioni sociali, le mediazioni culturali. Sa limba è capace di fare le traduzioni che servono per comunicare con il mondo, per parlare in proprio, non per essere parlati. Nel processo di globalizzazione il dominio si esercita anche nell’imposizione dei linguaggi, nella produzione linguistica delle merci, nei codici linguistici della comunicazione tecnologica imponendo così un sistema di significazione che si realizza nell’esperienza relazionale di ogni giorno. Oggi il potere consiste in una produzione di senso come produzione materiale, un macchinario politico, economico, sociale e culturale. La lingua sarda può essere un dispositivo di accettazione e di rifiuto, di filtro, di traduzione e di relazione. Linguaggio parlato da sardi nel tempo attuale, quello vissuto rispetto alle cose da fare e da dire, rispetto all’economia e alle finanze, all’artigianato e al turismo, alle risorse locali e alla loro valorizzazione. Fare politica in lingua sarda.

Riconosciuta l’importanza de sa limba nella politica, nell’economia, nella cultura, è legittimo porre la questione dei modi e dei tempi di una politica linguistica. Su questo tema è importante il contributo degli studiosi ma anche di tutti cittadini perché riguarda proprio un indirizzo politico. La recente polemica ha investito l’Assessorato della Pubblica Istruzione, specificatamente nella figura di Peppe Corongiu, direttore del servizio della “Lingua sarda”.
Gli indirizzi della politica linguistica dell’assessorato sono diretti ad una decisa valorizzazione della Lingua sarda comune, la LSC, attraverso gli uffici linguistici provinciali e comunali, attraverso pubblicazioni e relazioni in congressi ufficiali, attraverso dibattiti e traduzioni. Nata come necessità burocratica per rispondere in un unico codice comunicativo alle diverse istanze espresse nelle molteplici parlate locali, a opera di Renato Soru, la Lingua sarda comune viene promossa a lingua ufficiale delle espressioni pubbliche promosse o sostenute dall’Assessorato. Si tratta dunque di una decisione politica e come tale dovrebbe estendersi anche all’insegnamento scolastico, alla comunicazione radiofonica e televisiva e porsi anche come discriminante in eventuali concorsi pubblici. L’obiettivo è quello di una istituzione della lingua nazionale sarda. Questa scelta è legittima ed è mossa da buoni propositi. Nella storia d’Europa ogni lingua nazionale è stata in qualche modo imposta, proprio per ragioni politiche e per unificare la nazione attraverso un idioma comune, d’altro canto non è pensabile che si arrivi spontaneamente ad una unificazione linguistica per consenso gratuito. Nel caso specifico l’obiettivo della politica linguistica voluta dall’Assessorato è valido e anzi meritevole. Discutibili, nel senso che meritano discussioni approfondite e allargate, sono i modi e i tempi del progetto che si vuole realizzare, infatti laceranti risultano le modalità di attuazione. Di fatto non preoccupa tanto la polemica tra i fautori della “lingua sì, lingua no”, quanto la conflittualità esasperata tra coloro che sono convinti fautori del sardo, sino a porre uno spartiacque discriminante fra Lingua sarda comune e le varietà isolane. Chi non condivide l’uso per così dire istituzionale della LSC si sente discriminato, si sente escluso dalle organizzazioni degli uffici della lingua, che comunque stanno diventando fonte di occupazione, e da altre presenzialità nei convegni e nei dibattiti pubblici, e addirittura larvatamente minacciato di rappresaglia e di futura esclusione. E’ una situazione assolutamente insostenibile, foriera di lacerazioni profonde a danno di una comune battaglia per la valorizzazione del sardo. È necessario dunque una politica linguistica che si fondi sulla mediazione di atteggiamenti differenti, anche perché ne va di mezzo il raggiungimento dell’obiettivo finale che è quello di una lingua nazionale sarda.

Facciamo un esempio significativo. Istituendo l’uso della lingua sarda nelle scuole, è opportuno insegnare la LSC o la variante locale? Secondo un discorso strettamente “ politico” e mirato all’obiettivo di una più sollecita unificazione linguistica, anche a costo di una imposizione, è consigliabile la LSC trattandosi di una occasione unica per impostare dalla base una lingua nazionale. Certo ci saranno opposizioni, risentimenti e conflittualità, ma gradualmente verranno meno ed intanto si ha avviato un processo fondamentale di parlata e di scrittura comune sarda. La mia preoccupazione è che proprio questa scelta possa compromettere i risultati desiderati. La lingua materna struttura l’inconscio dei singoli abitanti e per così dire della comunità, ciò vuol dire che la parlata locale ha un fortissimo carattere identitario che è principalmente fondato sull’immagine acustica della parola. La parlata della comunità ha una propria identità fonetica, una specifica qualità sensoriale. Conferma un riconoscimento e una appartenenza,  sicurezza e protezione. Ogni variazione minima è stigmatizzata. Fillu e fizu misurano una distanza netta a livello del profondo nei rispettivi parlanti, non per motivi superficiali o campanilistici. Un bambino può uscire dal coma se la madre sussurra delle parole o canta una ninnananna nella lingua nativa del bambino, se lo fa in una lingua acquisita, il messaggio è senza efficacia. Se la mamma logudorese, invece di dire fizu meu, dice fillu miu, il bambino non reagisce allo stimolo.
La logica conseguenza di questo discorso affermerebbe l’impossibilità di una lingua nazionale sarda che non fosse imposta dal potere politico. Non è così. La proposta elaborata negli anni ‘90 nei seminari della Fondazione Sardinia mi sembra più che mai valida. La scuola di un singolo paese pone come lingua base la parlata della comunità e in adiacenza propone la lingua unificata spiegando che è una ricchezza e che allarga il campo verso una cittadinanza linguistica sarda che ha la forza di una coesione politica e di una identità nazionale. La lingua standard come coscienza di popolo. Sarà l’insegnante a creare mediazione e alternanza simbiotica tra parlata locale e koinè, risolvendo quel senso di straniamento che il passaggio comporta. Contatto, confronto, adesione. Il meccanismo fondamentale è quello del trasferimento di suono e di emozione della parola paesana in quella standard. È un vero e proprio transfert dell’immagine acustica da un significante ad un altro significante, da una parola ad un’altra parola, peraltro assai simili. Si ha così una confidenza di suoni e una familiarità affettiva attraverso un gioco di scambio e di avvicendamento fino ad una compresenza accettata e condivisa. È un processo di integrazione senza espropriazione. La parlata paesana non viene repressa e neppure sminuita, si pone invece in adiacenza con quella koinè che vuole diventare lingua della nazione sarda.
È una proposta fra le possibili altre da elaborare e da consegnare al dibattito pubblico. Ogni fondamentalismo è negativo e finisce per creare “noi e gli altri, gli amici e i nemici, i sapienti e tonti”: chi in definitiva ne paga i costi è proprio la valorizzazione della lingua sarda, obiettivo che vale ben più delle ragioni personalistiche e di gruppo, del sadismo del masochismo conflittuale.
Bachisio  Bandinu, 19 novembre 2013

mercoledì 20 novembre 2013

CI MANCAVANO LE CANNONIERE VOLANTI

CI MANCAVANO LE CANNONIERE VOLANTI

A. Boassa



Credo che sia sommamente ingiusto contestare un governo che diretto dall'uomo dalle grandi palle sta reinserendo l'Italia tra le più grandi potenze militari così come era successo tanti anni fa durante il grande ventennio mussoliniano .


L'uomo dalle grandi palle ha già rassicurato il"Grande Alleato" che l'esercito italiano non abbandonerà l'Afghanistan e nel 2014 saprà dare grande prova di potenza e di coraggio . Per la Somalia del Mediterraneo (leggi ex Libia) si potrebbero sgominare le milizie pagate dagli alleati che però non obbediscono agli alleati senza far correre rischi ai nostri soldati . Abbiamo i Tornado, abbiamo gli Eurofighter ed ora finalmente le cannoniere volanti un pò più piccole di quelle del "grande Alleato" ma non meno micidiali (sulla loro potenza di fuoco leggete Manlio Dinucci sul Manifesto) .


L'uomo dalle grandi palle ha voluto rassicurare anche l'Europa(leggi oligarchie finanziarie e militari) che conscia delle guerre venture prossime che porteranno morte e distruzione in Medioriente e in Africa ha una paura boia di essere invasa da enormi masse illegali . Lui e il pacifista Mario Mauro triplicheranno la presenza navale nel Mediterraneo . Naturalmente navi da guerra che si sa sono le più indicate per la protezione dei migranti .


la portaerei italiana Cavour 


C'è un'altra preoccupazione . Il filo di perle . Che cos'è il filo di perle ? E' il nodo scorsoio che il"Grande Alleato" sta accuratamente ponendo sul collo della Nuova Cartagine , la Cina . La nostra base militare a Gibuti (che certo ci è costata un occhio) può dare un contributo decisivo per presidiare lo stretto e il transito delle petroliere .


Insomma siamo pienamente coinvolti nelle strategie di guerra fredda che significano in concreto difesa e conquista di posizioni , cioè guerra vera contro governanti o popolazioni che non si allineano (vedi Jugoslavia , Iraq , Afghanistan , Libia ,Siria) . In preparazione naturalmente della grande guerra che verrà ,quella "calda".


Fare dei commenti accidiosi su quanto ci sono costati gli F-35 , le cannoniere volanti , la base di Gibuti ... significa non avere un grande pensiero politico , significa pensare in piccolo e meschinamente . Queste sono spese ,sono impegni che sconfiggeranno il Nemico , i Nemici e assicureranno all'Italia un futuro di rapina e di saccheggio , radioso e di prosperità .


Se chiudiamo l'Ansaldo e la Breda lo facciamo perchè il civile è senza prospettiva . La Finmeccanica deve concentrarsi sul militare, esclusivamente sul militare , non solo per i grandi profitti che comporta il commercio da guerra ma anche e sopratutto per rifornirci delle tecnologie belliche più avanzate .

Altro che Ansaldo e Breda .

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