venerdì 8 aprile 2011
domenica 3 aprile 2011
Attacco nucleare Americano programmato sulla Libia
Global Research Articles
by Michel Chossudovsky
La guerra in Libia è stata progettata sul tavolo del Pentagono da più di 20 anni.
Il 14 aprile 1986, Ronald Reagan ordinò una serie di bombardamenti diretti contro la Libia sotto la voce "Operation El Dorado Canyon", in rappresaglia per un presunto attentato terroristico sponsorizzato dalla Libia in una discoteca di Berlino. Il pretesto è stato fabbricato. Durante questi raid aerei, che sono stati condannati da Francia e Italia, la residenza di Gheddafi è stata bombardata uccidendo la figlia minore.
A malapena riconosciuto dai media occidentali, un attacco pianificato sulla Libia con armi nucleari, è stato previsto dall'amministrazione Clinton nel 1997, al culmine dello scandalo Monica Lewinsky.
"I funzionari militari e leader di armi nucleari dei laboratori Americani [hanno] ha esortato gli Stati Uniti a sviluppare una nuova generazione di armi di precisione a basso potenziale nucleare ... che potrebbero essere utilizzate in conflitti convenzionali con paesi del terzo mondo". (Federation of American Scientists, 2001)
La B61-11 arma terra-penetrante con una testata nucleare non era stato testato. Faceva parte della serie B61, accoppiato con una cosiddetta testata nucleare "low yield" (bassa resa) . Secondo fonti militari americane: "Se usato in Corea del Nord, il fallout radioattivo [della B61-11] potrebbe portare la deriva su paesi vicini, come il Giappone". (B61-11 Earth-Penetrating Weapon, Globalsecurity.org). La B61-11 terra-penetrante versione del B61 è stata configurata inizialmente di avere una resa "low" (basso) di 10 kilotoni , il 66,6 per cento della bomba di Hiroshima, per la post-Guerra Fredda operazioni militari in Medio Oriente e Asia Centrale.
Il piano Nukleare del Pentagono per la Libia
La B61-11, arma nucleare tattica, era previsto dal Pentagono di essere utilizzata nel 1997 contro il "regime di Gheddafi":
"Alti funzionari del Pentagono hanno aperto ufficialmente una polemica lo scorso aprile [1997], suggerendo che l'arma [nucleare] terra-penetrante sarebbe presto disponibile per l'uso possibile contro una fabbrica chimica sospetta in costruzione da parte della Libia nella città di Tarhunah. Questa minaccia malcelata è avvenuta appena undici giorni dopo che gli Stati Uniti hanno firmato il trattato africano sulle armi nucleari sulle Free Zone (African Nuclear Weapons Free Zone Treaty), accordo volto a vietare ai firmatari di usare o minacciare di usare armi nucleari contro qualsiasi altro firmatario, compresa la Libia ". (David Muller, Penetrator N-Bombs, International Action Center, 1997)
La città di Tarbunah ha una popolazione di oltre 200.000 persone, uomini, donne e bambini. E' sita a circa 60 km a est di Tripoli. Se questa "bomba umanitaria" (con una "resa" o di capacità esplosiva di due terzi della bomba di Hiroshima) fosse stata lanciata su questo impianto "sospetto" WMD, avrebbe provocato decine di migliaia di morti, per non parlare del fallout nucleare...
L'uomo dietro a questo progetto diabolico di usare bombe nucleari contro la Libia è l'Assistente Segretario alla Difesa Harold Palmer Smith Junior. "Anche prima che la B61 entrasse in funzione, la Libia è stata identificata come un potenziale obiettivo ( identified as a potential target)". (Bulletin of the Atomic Scientists - September/ October 1997, p. 27)
Harold Palmer Smith era stato nominato dal presidente Bill Clinton per sorvegliare il nucleare, la chimica e dei programmi di difesa biologica con particolare attenzione "alla riduzione e manutenzione dell'arsenale di armi nucleari degli Stati Uniti". (In relatà) Fin dall'inizio, il suo vero mandato, non era "ridurre", ma di "incrementare" l'arsenale nucleare, promuovendo lo sviluppo di una nuova generazione di mini "innocue"-bombe per l'uso nel teatro di guerra mediorientale.
"Test" la bomba nucleare B611-11 su un effettivo paese
Il Dipartimento della Difesa ha come obiettivo, sotto consiglio Harold Smith quello di FastTrack il "testing" (il test) della bomba B61-11 nucleare su un paese vero e proprio:
Cinque mesi dopo [Assistant Defense Secretary] Harold Smith ha chiesto un'accelerazione del piano di produzione del B61-11 , è divenuta pubblico dominio l'affermazione che l'Air Force avrebbe usato la B61-11 [armi nucleari] contro un presunto impianto chimico sotterraneo di armi a Tarhunah in Libia se il presidente decidesse che l'impianto doveva essere distrutto. "Non abbiamo potuto prendere [Tarhunah] per l'imposizione della commissione a utilizzare rigorosamente armi convenzionali," ha detto Smith alla Associated Press. La B61-11 "sarebbe stata l'arma nucleare scelta", ha detto Jane's Defence Weekly.
Smith ha dato comunicazione nel corso di un'intervista ai giornalisti dopo la colazione con il segretario alla Difesa William Perry che in precedenza aveva detto a un'audizione della commissione per le Relazioni Estere del Senato sulle armi chimiche o biologiche, che gli Stati Uniti hanno mantenuto la possibilità di usare armi nucleari contro i paesi dotati di armi chimiche e biologiche. (http://www.nukestrat.com/us/afn/B61-11.htm)
Mentre il Pentagono ha poi negato la sua intenzione di bombardare l'impianto Tarhunah della Libia, e comunque ha confermato che "Washington non esclude uso di armi nucleari [contro la Libia]". (Ibid.) .
Nukes e mini-atomiche: Iraq e Afghanistan
The US military contend that "mini-nukes" are "humanitarian bombs" which minimize "collateral damage". I militari americani sostengono che "mini-bombe nucleari" sono "bombe umanitarie" che minimizzano i "danni collaterali". Accordi presi da una opinione scientifica sotto contratto del Pentagono, dice che le mini bombe -nuclaeari sono "innocue per la popolazione civile circostante perché l'esplosione è sommersa",
La B61-11 è una bomba termonucleare di buona fede , un'arma di distruzione di massa (WMD- Weapon of Mass Destruction), nel vero senso della parola.
Documenti militari distinguono tra la Nuclear Earth Penetrator (NEP) e le "mini-atomiche", che sono armi nucleari con una potenza inferiore a 10 chilotoni (due terzi della bomba di Hiroshima). La NEP può avere una potenza di fino a 1000 chilotoni, cioè settanta volte la bomba di Hiroshima.
Questa distinzione tra mini-atomiche e NEP è per molti aspetti fuorviante. In pratica non c'è linea di demarcazione. Visto che si tratta con lo stesso tipo di armamenti: la B61-11 ha parecchie "available yields"(potenza disponibile), da "low yields" (bassa resa) di meno di un chilotone, di fascia media, fino alla bomba 1.000 chilotoni.
In tutti i casi, il fallout radioattivo è devastante. Inoltre, la serie di armi termonucleari B61 comprende diversi modelli con caratteristiche ben distinte: la B61-11, la B61-3, B61-4, B61-7 e B61-10. Ognuna di queste bombe ha parecchie "available yields" (varie potenze usabili).
Che cosa è prevista per l'attuale teatro di guerra? E' il "low yield" (la bassa resa) bomba da 10 kt ,ovvero, due terzi della bomba di Hiroshima.
Nell'opzione di guerra denominata: "The Libya 1997 "Nuclear Option" " avevano fissato la norma da applicare al caso...
Né Bush né l'amministrazione di Obama hanno escluso di usare ordigni termonucleari distruggi-bunker nel teatro di guerra mediorientale. Queste armi sono state specificamente sviluppate per l'utilizzo nel post Guerra Fredda nei "conflitti convenzionali con paesi del terzo mondo". Essi sono stati approvati per l'uso nel teatro di guerra convenzionale da parte del Senato degli Stati Uniti nel 2002, in seguito all'adozione del Nuclear Posture Review del 2001.
Nel mese di ottobre 2001, sulla scia degli attentati delle torri gemelle del 11 Sept. , il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld auspicò l'uso delle B61-11 in Afghanistan. Gli obiettivi indicati sono stati i bunker di Al Qaeda nelle caverne delle montagne di Tora Bora.
Rumsfeld affermò allora che, nonostante le bombe "convenzionali" le " bunker buster bombs"' sono in grado di fare il lavoro' infatti... lui non ha escluso l'eventuale utilizzo delle armi nucleari." (Citato dallo Houston Chronicle del 20 ottobre 2001).
A questo proposito, la B61-11 è stato descritto come "a precise, earth-penetrating low-yield nuclear weapon against high-value underground targets" ovvero una precisaarma nucleare, terra-penetrante a basso potenziale contro obiettivi di alto valore underground", che includeva i bunker sotterranei di Saddam Hussein :
"Se Saddam è stato il bersaglio di più probabile valore aggiunto in Iraq, potremmo definire il fatto dell'utilizzo di un'arma nucleare come la B61-11 a buon fine, infatti essa promuove la sua morte del Rais e si assicura la decapitazione del regime." (Defense News, December 8, 2003)
"Tutte le opzioni sono sul tavolo" ... Pura follia. Nucleare per attuare un "cambio di regime" ... Ciò che Rumsfeld aveva proposto, come parte di un "mandato umanitario", è stato l'uso di una bomba nucleare per "take out" (estrarre) il presidente di un paese straniero. (Nota dell'autore: non esiste prova documentale che la B61-11 è stato utilizzato contro l'Iraq).
E un attacco nucleare alla Libia è ancora progetto del disegno del Pentagono?
"La Coalizione dei volenterosi" sotto mandato USA-NATO è attualmente impegnata in una "guerra umanitaria" alla Libia per "proteggere la vita dei civili innocenti".
L'uso di una bomba nucleare è esclusa nella dottirina teorica "R2P Responsibility to Protect Doctrine"?
L'amministrazione Bush nel 2001 nella dottrina nucleare contenuta nelle specifiche "linee guida" in materia di "preventivi" attacchi nucleari contro paesi diversi più vasti della regione del Medio Oriente, dell'Asia centrale, e non esplicitamente inclusa la Libia.
As revealed by William Arkin in early 2002, "L'amministrazione Bush, in una revisione della politica segreta ... [aveva] ordinato al Pentagono di progettare dei piani di emergenza per l'uso di armi nucleari [La Nuclear Posture Review 2001 approvata dal Senato a fine 2002] contro almeno sette paesi, denominando non solo la Russia e l '"asse del male" - Iraq, Iran e Corea del Nord. - ma anche la Cina, Libia e Siria (Cfr. William Arkin, "pensare l'impensabile", Los Angeles Times, 9 marzo 2002)
Inoltre, Inoltre al Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti è stato detto di prepararsi alla possibilità che l'uso delle armi nucleari possono essere richieste in futuro nella crisi arabo-israeliana. Ed è intenzione a sviluppare piani per l'utilizzo di armi nucleari per rappresaglia contro gli attacchi chimici o biologici, così come "sorprendenti sviluppi militari" di natura non specificata. Questi e una serie di altre direttive, incluse le chiamate per lo sviluppo di anti-bunker con mini-nukes (bombe nucleari) le armi nucleari che riducono i danni collaterali, sono contenute in un documento ancora classificato e chiamato Nuclear Posture Review (NPR), che è stato consegnato al Congresso il Gen . 8. (ibid) (Ibid.)
La dottrina nucleare preventiva (DJNO) - approvato dall'amministrazione Obama - consente l'uso preventivo di armi termonucleari in teatri di guerra convenzionali nei confronti di "stati canaglia". Mentre le "linee guida" non escludono altre (molto più devastanti) categorie di armi nucleari arsenale nucleare degli Stati Uniti / NATO , "scenari" del Pentagono in Medio Oriente e Nord Africa, sono attualmente limitati all'uso di armi nucleari tattiche, compresa la B61-11 bunker buster bomba.
Il fatto che la Libia era stata individuata dal Pentagono per un possibile 1997 mini-nuke "trial run" (di prova) è stato un elemento significativo nella formulazione della Nuclear Posture Review (NPR) del 2001.
Vale la pena notare che le bombe tattiche B61 sono armi nucleari a cui sono state apportate dai partner della America e della NATO : cinque europei "stati non-nucleari", tra cui Belgio, Olanda e Italia, che partecipano direttamente alla campagna di bombardamento della Libia, hanno le B61 le mini-bombe nucleari stoccater e distribuite sotto il comando nazionale nelle loro rispettive basi militari. (Michel Chossudovsky, Europe's Five "Undeclared Nuclear Weapons States", February 10, 2010)
Queste mini-bombe nucleari stoccate in Europa sono destinate a obiettivi in Medio Oriente. Mentre la Libia non è menzionata, secondo gli accordi del "piano d'attacco NATO", il termonucleare europeo basato su B61 bombe "bunker buster" potrebbero essere lanciate "contro obiettivi in Russia o nei paesi del Medio Oriente come la Siria e l'Iran" (citazione tratta da National Resources Defense Council , le armi nucleari in Europa, febbraio 2005).
Nel contesto della guerra in corso contro la Libia, "tutte le opzioni sono sul tavolo", compresa l'opzione nucleare preventiva, come parte di un "mandato umanitario" per proteggere la vita di civili innocenti.
Nel 2007, nel piano segreto 2.003 STRATCOM è stato rivelato l'oggetto del contesto, ha confermato che Washington per risolvere preventivamente la guerra dispone attacchi nucleari contro l'Iran, la Siria e la Libia. Mentre i concetti e le ipotesi di questo documento sono stati ricavati dalla NPR del 2001, il Piano Strategico formulato dal quartier generale di comando (USSTRATCOM) si è concentrato concretamente sulle questioni di implementazione e attuazione.
L'uso di armi nucleari, compresa la B61-11 contro la Libia nel corso della attuale campagna militare, così come formulata nel NPR 2001 non può, pertanto, essere esclusa.
venerdì 1 aprile 2011
Da Cernobyl a Fukushima
New Scientist
Le emissioni radioattive di Fukushima si avvicinano ai livelli di Cernobyl. Ma l’incidente giapponese è ancora in corso e la catastrofe potrebbe essere anche peggiore
Tecnici al lavoro nella centrale nucleare di Fukushima
La centrale di Fukushima sta emettendo livelli di iodio e cesio radioattivi che si avvicinano a quelli raggiunti dopo l’incidente di Cernobyl del 1986. Lo rivela l’organismo istituito per verificare l’applicazione del Trattato sul bando totale degli esperimenti nucleari (Ctbt) che ha una rete mondiale di rilevatori per controllare l’aria e tracciare l’origine di una decina di radionuclidi, le sostanze. radioattive rilasciate dalle esplosioni e dagli incidenti nucleari. Unite alle osservazioni del vento, queste misurazioni possono rintracciare la provenienza e la quantità dei radionuclidi. Il livello di radionuclidi rilasciati da Fukushima I non è accertato, ma i campionatori d’aria del Ctbt fanno un po’ di chiarezza, spiega Gerhard Wotawa dell’Istituto centrale austriaco di meteorologia e geodinamica. Nei primi due giorni dopo l’incidente il vento ha soiato da Fukushima a est verso le stazioni di monitoraggio della costa occidentale degli Stati Uniti, mentre il terzo giorno ha soffiato verso sudovest sulla stazione di monitoraggio giapponese di Takasaki per poi girare di nuovo a est. Ogni giorno la lettura dello iodio-131 a Sacramento, in California, e a Takasaki coincideva: la centrale di Fukushima rilasciava tra 1,2 e 1,3 × 1017 becquerel al giorno.
La sintonia tra le due stazioni “ci fa pensare che la lettura sia accurata”, spiega,come anche quelle simili delle stazioni del Ctbt in Alaska, alle Hawaii e a Montréal.
La differenza tra l’incidente giapponese e quello di Cernobyl è che allora ci fu un imponente incendio che sprigionò nel fumo grandi quantità di sostanze radioattive, tra cui le particelle di combustibile. Dall’impianto di Fukushima I, invece, sono uscite soprattutto quelle volatili come lo iodio e il cesio. Durante i dieci giorni dell’incendio, a Cernobyl sono stati emessi 1,76 × 1018 becquerel di iodio-131, il 50 per cento in più al giorno di quanto è stato calcolato, per ora, per Fukushima. E non si sa ancora quanto dureranno le emissioni in Giappone. Anche le emissioni di cesio-137, dice Wotawa, sono simili a quelle di Cernobyl. Le letture di Sacramento indicano che in Giappone sono stati emessi 5 × 1015 becquerel al giorno, mentre Cernobyl ne ha emessi 8,5 × 1016 in totale, circa il 70 per cento in più al giorno.
I rischi per la salute
L’incidente di Cernobyl ha liberato molta più radioattività e una gamma più vasta di sostanze radioattive rispetto a quanto abbia fatto finora Fukushima I, ma sono stati lo iodio e il cesio a causare la maggior parte dei problemi sanitari, spiega Malcolm Crick, segretario di un organismo dell’Onu che ha esaminato gli effetti sulla salute dell’incidente di Cernobyl. A differenza di altre sostanze, spiega, quelle furono trasportate lontano dal vento. Il corpo umano, inoltre, assorbe rapidamente sia lo iodio sia il cesio. Lo iodio-131, che ha un’emivita di otto giorni, viene assorbito in fretta dalla tiroide e l’abbandona solo quando la sua radioattività si deteriora. Il cesio-137, la cui emivita è di trent’anni, viene assorbito dai muscoli, dove rimane finché il corpo non lo espelle. per eliminarne la metà della quantità ingerita ci vogliono tra i dieci e i cento giorni. All’interno del corpo le emissioni radioattive di questi elementi possono causare gravi danni soprattutto al dna. I bambini che ingeriscono lo iodio-131 possono ammalarsi di cancro alla tiroide fino a dieci anni dopo e più, mentre gli adulti sembrano relativamente resistenti. Uno studio pubblicato la settimana scorsa negli Stati Uniti sostiene che lo iodio-131 di Cernobyl continua a provocare nuovi casi di cancro alla tiroide nelle regioni più colpite di Ucraina, Bielorussia e russia.
Da sapere
La Tepco, l’azienda che gestisce la centrale di Fukushima I, ha ammesso che c’è stata una perdita d’acqua altamente radioattiva, che ha inondato alcuni tunnel sotto i reattori e che avrebbe raggiunto il mare, dove i livelli di iodio radioattivo sono 3.355 volte superiori alla norma. è stata inoltre rilevata la presenza di plutonio nel terreno dell’impianto. Due fatti che confermerebbero la parziale fusione del nocciolo del reattore numero 2. Il governo è in “stato di massima allerta”.
I silenzi della Tepco su Fukushima
Mesmer e Pons
Le Monde
Oltre al pericolo delle radiazioni, i giapponesi hanno scoperto la realtà che ruota
intorno al disastro della centrale atomica: la potenza della lobby nucleare.
Poco informati dalle autorità,sempre più consapevoli del rischio di una catastrofe di cui sono incapaci di valutare la gravità,i giapponesi sono preoccupati. Anche perché attraverso le rivelazioni della stampa e le testimonianze di esperti trasmesse in tv o sui blog hanno scoperto il terribile mondo che gravita intorno a questa tragedia: la potenza della cosiddetta “lobby nucleare”.
Una cerchia ricca e potente, che ruota intorno al ministero dell’economia, del commercio e dell’industria (Meti), ha il controllo della politica nucleare. Le sue ramificazioni comprendono la Federazione delle aziende energetiche (Fepc), l’Agenzia per la sicurezza industriale e nucleare (Nisa), i gruppi industriali che costruiscono le centrali – Toshiba e Hitachi in testa – e i loro fornitori. Questa lobby, che vede spesso ex alti funzionari dei ministeri e delle agenzie statali legate al nucleare diventare collaboratori delle aziende energetiche, è una consumata maestra nell’arte di manipolare l’informazione, e finanzia importanti campagne pubblicitarie sulla sicurezza del nucleare.
L’arrivo al potere nel 2009 dei democratici per la prima volta da dopo la guerra non ha modiicato la situazione, dato che il principale sostenitore del Partito democratico è la potente confederazione sindacale Rengo, che in una delle sue componente principali raggruppa i lavoratori del settore dell’energia. Questa collusione su vasta scala tra alti funzionari, agenzie di controllo, costruttori e gestori delle centrali non solo mette a tacere le opposizioni, ma impedisce qualunque discussione sul nucleare. E non mancano certo le prove di negligenze, omissioni e falsificazioni.
Nel 2002 queste attività avevano portato all’inchiesta nei confronti di dieci società energetiche, colpevoli di aver nascosto alcuni incidenti negli anni settanta, cioè all’inizio dell’era nucleare nell’arcipelago. La Tokyo Electric Power Company (Tepco), proprietaria e gestore delle centrali di Fukushima, era in cima alla lista.
A questi fatti si aggiungono oggi delle testimonianze – ancora tutte da verificare – di ex lavoratori della Tepco. Per ora le loro rivelazioni fanno venire i brividi. A quanto pare gli operatori (la Tepco ma anche gli altri) hanno dato la precedenza ai profitti rispetto agli imperativi di sicurezza o, nel migliore dei casi, non hanno tenuto conto in modo adeguato dei rischi naturali di un paese come il Giappone, caratterizzato da una forte attività sismica e a rischio di tsunami.
Gli impianti di Fukushima sono stati concepiti per resistere a un’onda di cinque metri e mezzo. I reattori hanno resistito al terremoto e si sono fermati automaticamente, ma il sistema di raffreddamento, non abbastanza protetto, è andato fuori uso. Due ingegneri della Toshiba che hanno partecipato alla concezione della centrale, citati dal quotidiano Tokyo Shimbun,ritengono che nel progetto sia stato calcolato un rischio troppo basso. Implicitamente il ministro dell’economia ha riconosciuto che “quando la situazione di crisi sarà sotto controllo, dovremo riesaminare la gestione della Tepco”. Ma nel frattempo quante vittime conterà il paese?
Una reazione tardiva
Un ex ingegnere della Toshiba, che preferisce restare anonimo, è più esplicito: “Il Giappone non deve fare i conti con una catastrofe naturale, ma con una catastrofe provocata dall’uomo”. Un lungo articolo del Wall Street Journal riprende i dati presentati da Hidekatsu Yoshi, deputato comunista ed ex ingegnere nucleare, che ha dimostrato in un libro pubblicato nel 2010 e basato su documenti della Nisa, che la centrale di Fukushima è quella che in Giappone ha avuto il maggior numero di incidenti (di cui una quindicina fra il 2005 e il 2009), e che i suoi dipendenti sono stati i più esposti alle radiazioni nel decennio scorso. Yoshi critica anche il ricorso a delle imprese subappaltatrici spesso prive di esperienza per il mantenimento delle centrali.
La Tepco ha avuto inoltre una reazione tardiva. “L’azienda ha impiegato molto tempo a realizzare la portata del pericolo”, ha dichiarato un alto funzionario. Nei due giorni successivi al sisma e allo tsunami, la preoccupazione di proteggere i macchinari sembra aver avuto la precedenza sui rischi per la popolazione.
Gli otto dipendenti di Areva, azienda francese leader mondiale del nucleare, che erano presenti sul posto al momento del terremoto, hanno capito subito la portata del pericolo e sono stati i primi ad andare via. Eppure Areva non aveva mai espresso alcun timore sui rischi potenziali delle centrali del suo cliente Tepco.
*Il 30 marzo la Tepco, che gestisce la centrale di Fukushima, ha fatto sapere che 4 dei 6 reattori dell’impianto saranno messi fuori uso e coperti con una protezione speciale per limitare la fuga di radiazioni nell’aria.
* Il governo ha reso noto che sta prendendo in considerazione l’idea di usare delle cisterne per raccogliere l’acqua contaminata. Secondo Greenpeace il governo sta fornendo dati attendibili sulla radioattività.
* Il bilancio delle vittime accertate del terremoto e dello tsunami, aggiornato al 30 marzo, è salito a 1.258. I dispersi sono 16.344.
mercoledì 30 marzo 2011
NO ALLA ULTERIORE SERVITU' MILITARE: NO RADAR IN SARDINIA
Durante la riunione del comitato No all'istallazione del radar a Capo sperone , il sindaco di Sant Antioco ha affermato che è a conoscenza del progetto che riguarda la costruzione di altri 4 radar nella costa occidentale della Sardegna , tra i luoghi prescelti oltre Sant Antioco vi sono Arbus , Capo Frasca e l'isola dell'Asinara (dalla bacheca di Fabio Dongu)
I Radar emettono onde elettromagnetiche molto potenti , esse, con il tempo sterilizzano le persone che subiscono passivamente i suoi raggi, aumentando sia gli aborti che le leucemie le onde radar sono teratogene nelle donne gravide (che può causare alterazioni mostruose nello sviluppo di un embrione: malattia teratogena;) ecco un'altra lotta anticoloniale e anti militarista da fare per non farci sterminare.
Il popolo sardo non ha altra scelta che autodeterminarsi se vuole sopravvivere a questo ulteriore attacco contro la sua terra e le sue future generazioni!!
Prepararsi a manifestare con forza e determinazione la nostra contrarietà a questa ulteriore servitù militare italiota!!
Danni provocati dalle onde elettromagnetiche
Autore:orsettabella - Liceo scientifico di Milano
Gli effetti che tali radiazioni possono provocare sugli organismi si distinguono in: 1) effetti termici o a breve termine 2) effetti non termici o cronici.
Per effetto termico si intende il riscaldamento del corpo o di sue parti esposte alle radiazioni. La gravità di questo tipo di effetto, va ricercata nel fatto che questo riscaldamento avviene internamente al corpo e non viene percepito dagli organi sensoriali: per l’organismo non è così possibile attivare meccanismi di compensazione. Gli organi con scarsa circolazione sanguigna (che favorisce la dispersione del calore prodotto) e bassa conducibilità termica (fattore negativo ai fini di una efficace dispersione del calore) sono i più colpiti (testicoli, cornea, ecc.).
Che le radiazioni elettromagnetiche influenzino i nostri ritmi fisiologici lo dimostra la ghiandola pineale, situata nella parte posteriore del cervello. Questa minuscola ghiandola a forma di pigna (da cui il nome) secerne melatonina, un ormone che regola, oltre l’umore, il sistema endocrino e riproduttivo. La produzione di melatonina è massima durante la notte e scende al minimo durante il giorno, poiché la luce inibisce il funzionamento della ghiandola. La melatonina, secondo gli studi fatti, sembra essere in grado di proteggere l’organismo da alcune forme di tumore. La sua riduzione in soggetti esposti in modo prolungato spiegherebbe, oltre la promozione di tumori, i vari disturbi riproduttivi e neurologici segnalati da alcune ricerche epidemiologiche. Negli ultimi anni l’attenzione dei biologi di base si è andata via via spostando dalle mutazioni genetiche ad altri possibili meccanismi responsabili della crescita tumorale.
Il prof. Ross Adey, biofisico, che fa ricerca sui campi elettromagnetici sin dalla fine degli anni ’50 ed ha avuto la possibilità di studiare gli effetti di radar e microonde sui militari, afferma: "Gli studi di laboratorio hanno identificato nelle membrane cellulari la parte dei tessuti che, con tutta probabilità, per prima subisce le interazioni con i campi elettromagnetici a bassa frequenza e i campi modulati a radiofrequenza/micronde.
Studi epidemiologici hanno attirato l’attenzione verso i Campi elettromagnetici e i campi modulati a radiofrequenza come possibili fattori di rischio per leucemie, linfomi, tumori al seno, melanomi epiteliali, tumori al cervello". Nel mondo anglosassone si stanno adottando misure cautelative per i bambini, a fronte di una evidenza scientifica riferita a rischi per la salute derivati da esposizione continuata e inconsapevole a microonde, anche a bassa intensità.
Misure cautelative e restrittive, con specifico riferimento alle strutture scolastiche o comunque destinate a bambini e ragazzi, sono attuate in Nuova Zelanda, in Svezia, in Canada, in Australia e negli Stati Uniti. In molti paesi, si moltiplicano le proteste da parte di gruppi di cittadini e associazioni, movimenti ambientalisti e gruppi di tecnici (medici, fisici, biofisici, oncologi.).
Conferme sugli effetti tumorali dei campi magnetici provengono dall’autorevole Karolinska Institut di Stoccolma (centro di riferimento dell’OMS e del premio Nobel) e da altre istituzioni scandinave: i risultati dei loro studi epidemiologici indicano un aumento del rischio per esposizioni prolungate a campi magnetici con intensità superiori a 0,2 microTesla. In Italia, ricercatori come il dott. Franco Merlo (Istituto Nazionale per la ricerca sul cancro), il Prof. Giuseppe Masera (coordinatore di numerose ricerche internazionali sui tumori infantili) e il Prof. Cesare Maltoni (Fondazione europea di oncologia e scienze ambientali, presidente onorario della Società italiana tumori e segretario generale del Collegium Ramazzini) hanno evidenziato da anni il nesso tra l’esposizione a campi elettromagnetici (CEM) a bassa frequenza (a cui nessuno di noi sfugge) e l’insorgenza di leucemie in popolazioni di età pediatrica (0-14 anni): bambini a lungo esposti a valori di CEM 50-60 Hz superiori a 0,2 microTesla – come quelli prodotti dagli elettrodotti ad alta tensione – hanno una probabilità doppia di sviluppare una leucemia rispetto a bambini esposti a livelli inferiori. I dati scientifici disponibili, giustificano seri sospetti sulla possibilità che i CEM determinino danni biologici, favorendo la carcinogenesi. I motivi di preoccupazione sono tanto più fondati se riferiti ad un organismo in fase di crescita. Per tali motivi è doveroso cercare di limitare il più possibile l’esposizione dei bambini e in ogni caso, va chiarito che le conoscenze oncologiche indicano che non esistono livelli di salvaguardia assoluta, cioè dosi, anche se basse, tali da essere ritenute assolutamente innocue.
Effetti termici o a breve termine per densità di potenza elettromagnetica irradiata maggiore di 10 milliwatt/cm2: * variazioni della permeabilità cellulare * variazione del metabolismo * variazioni delle funzioni ghiandolari, del sistema immunitario, del sistema nervoso centrale e del comportamento. per densità di potenza elettromagnetica irradiata maggiore di 50 milliwatt/cm2: * possibili lesioni cerebrali * influenza sulla crescita cellulare * malformazioni fetali * ustioni interne * cataratta * morte per infarto.
Effetti non termici o cronici per intensità inferiore a quella che determina gli effetti termici * variazione del numero dei linfociti e granulociti (esperimenti su cellule) * variazioni del livello di anticorpi e delle attività dei macrofagi (esperimenti su animali) * tachicardia * dolore agli occhi * vertigini * depressione * limitazione della capacità di apprendimento * perdita di memoria * caduta di capelli nei paesi dell’Est europeo studi hanno evidenziato anche: * sterilità * aumento aborti * abbassamento della fertilità
Secondo l’Agenzia per l’Ambiente degli USA (EPA), su otto studi epidemiologici cinque hanno evidenziato rischi statisticamente significativi associati a: * neoplasie linfatiche ed emopoietiche * cancri totali in abitanti (Hawai) in stretta prossimità a torri a radiofrequenze (RF) * cancro del sistema emopoietico (leucemia, linfoma e linfosarcoma, melanoma e esposizione a radiazione RF) in ufficiali e militari polacchi
Le leggi ed i controlli L’inadeguata normativa in vigore per gli elettrodotti (D.P.C.M. del 23.4. e D.P.C.M. 28.9.95) indica dei limiti massimi di esposizione in 100 microTesla e distanze da rispettare per i campi elettromagnetici a bassa frequenza di 28, 18 e 10 metri dal filo rispettivamente per elettrodotti da 380, 220 e 132 KV. Questi limiti fanno riferimento a esposizioni di breve durata (effetti a breve termine) e non ad esposizioni prolungate (effetti a lungo termine). Per i campi elettromagnetici generati da alte frequenze (cellulari) il decreto del Ministero dell’Ambiente n. 381/98 indica i limiti per le radiofrequenze da 100 kHz a 300 GHz.
L’antenna dei telefoni sul tetto solo se tutti i condomini sono d’accordo * Monza (Milano) 9 marzo 1999 -L’installazione di una antenna sul tetto per la ricezione del segnale dei telefoni cellulari, può avvenire solo se tutti i condomini sono d’accordo. Questo è quanto ha stabilito il giudice del Tribunale civile di Monza, Piero Calabrò, nella causa intentata da due inquilini contro il loro condominio in Via Tevere, 31 a Sesto S. Giovanni.
lunedì 28 marzo 2011
L'isola cuore segreto delle strategie Nato
di Piero Mannironi
Una foto storica:
tre sommergibili Usa nella base di Santo Stefano
La presa di coscienza è stato un processo lungo e difficile. Deformato spesso dalla visione dei fatti attraverso occhiali ideologici oppure, più semplicemente, sdrammatizzato perché molte realtà scomode, per quasi mezzo secolo, sono state negate e occultate. Si parla del ruolo strategico della Sardegna nel complesso scacchiere della geopolitica e, conseguentemente, della reale consapevolezza dei sardi di essere stati protagonisti inconsapevoli in una storia nascosta, decisa lontano.
La ferita politica e istituzionale, quella cioé della militarizzazione dell'isola mortificando il ruolo del Parlamento, non è ancora sanata. E questo nonostante sia stata chiusa quattro anni fa la base appoggio per sommergibili nucleari della Us Navy nell'arcipelago della Maddalena. Un po' il simbolo di questa politica che ha condannato la Sardegna a un ruolo strategico di primo piano negli anni della Guerra Fredda.
Sarebbe comunque un errore credere che lo smantellamento della base di Santo Stefano sia stato un punto d'arrivo, l'esaurimento di una politica atlantica che vedeva la Sardegna in una prima linea virtuale. Non punto di partenza, dunque, di un processo di normalizzazione, ma molto più semplicemente simbolo di un cambiamento di ruolo. Perché ora la potenziale area di conflitto è il Mediterraneo.
Per arrivare a capire il perché la Sardegna abbia avuto un'importanza strategica di primo piano dopo la Seconda guerra mondiale, è importante andare a rileggere alcuni documenti del Pentagono, desecretati negli ultimi anni. Si ha la prova così che, per quasi mezzo secolo, l'isola è stata un perno strategico nel fronte virtuale di una guerra mai dichiarata. Senza saperlo, infatti, la Sardegna era considerata dal Pentagono, fin dal lontano aprile del 1954, «a pivotal geographic location».
Ovvero il cuore, il punto critico, del sistema politico-militare, creato dall'alleanza atlantica nello scenario europeo. Di più: l'accordo di reciproco impegno, firmato il 26 novembre del 1956, tra il Sifar (l'allora servizio segreto militare italiano) e la Cia era basato «da parte statunitense, sul presupposto che i piani dello Stato maggiore della Difesa italiano prevedessero «l'attuazione di tutti gli sforzi per mantenere l'isola di Sardegna». Il grande interesse di Washington è poi confermato anche da una nota della Cia del 7 ottobre del 1957, nella quale si legge: «La Sardegna è considerata nei piani di guerra degli Usa».
Ecco così che, proprio in quegli anni, nascono i poligoni di Teulada, del Salto di Quirra e di Capo Frasca. Aree militari con scopo addestrativo, ma anche pronte a trasformarsi in prezioso supporto logistico e operativo. E sempre in questa logica rientra la centralità della Sardegna nella struttura supersegreta Gladio. Se la testa di questa organizzazione era nascosta a Forte Braschi il cuore era infatti nella base di Poglina a pochi chilometri da Alghero.
Gli americani tenevano molto a una rapida attuazione dei loro piani. Tanto che, fin dal 1956, inviarono al capo del Sifar (il servizio segreto militare) De Lorenzo una nota con la quale gli "ordinavano" di rispettare il piano Demagnetize (smagnetizzare). Di cosa si trattava? Secondo un documento dello stato maggiore Usa declassificato negli anni '90, il piano consisteva in una serie di «operazioni politiche, paramilitari e psicologiche, finalizzate a ridurre la presenza del Partito comunista in Italia».
Nel 1972, poi, la creazione della base americana nell'arcipelago della Maddalena come supporto ai sommergibili della Us Navy a propulsione nucleare e capaci di montare sulle loro rampe di lancio anche i famigerati Cruise con testata atomica. Fu quello, forse, il momento in cui la Sardegna svelò il suo ruolo fondamentale nelle strategie degli Usa e della Nato.
Tutto questo è avvenuto in una riduzione di sovranità del nostro Parlamento e di umiliazione dei valori dell'autonomia per la Sardegna.
L'ultimo "segreto" svelato è quello di Capo Frasca. Con la declassificazione di alcuni documenti riservatissimi del Pentagono e della Nato si è infatti scoperto che in Italia esiste un arsenale di armi nucleari americane. Novanta, per l'esattezza. E la Sardegna, pur non ospitando bombe atomiche, fa parte di un triangolo strategico, nel quale gli altri due vertici sono le basi di Aviano e di Ghedi Torre, vicino a Brescia (nome in codice Stone Ax). In questa struttura operativa ultrasegreta, creata negli anni '50 il poligono di Capo Frasca viene utilizzato per l'addestramento di piloti della Nato - anche italiani quindi - alla guerra atomica.
domenica 27 marzo 2011
Castedhu i niaxis sardus cuntra su nucreari calant in pratza
Castedhu i niaxis sardus cuntra su nucreari calant in pratza
Cagliari l'orda dei cinquemila antinuke scendono in piazza a rivendicare la nazione sarda libera dal nucleare.
Il significato di questa manifestazione è di grande risonanza internazionale, in quanto dalla nostra terra la Sardinia , terra colonizzata dagli italioti e resa serva e becera sotto molti aspetti della nostra vita quotidiana, a motivo della logica coloniale: le basi militari che invadono enormi fette della nostra terra dei nostri mari e cieli, lo sfruttamento del suolo e del turismo con la logica italiota del: vieni consuma sporca e fuggi.
Ecco perchè siamo quì oggi a dover lottare, contro tale logica e l'installazione delle cinque centrali nucleari proposte dal governo italiano, nella nostra piccola ma bella nazione, la risposta un referendum consultivo regionale il 15 maggio a cui seguirà quello italiano il 12 giugno 2011.
La Sardinia estesa su per valli monti e pianure , boschi e laghi con un mare stupendo un territorio di soli 24mila kmq, da quì prende corpo , finalmente, la riscossa di un popolo, di una moltitudine desiderosa di libertà, asserragliata nella difesa primaria del diritto fondamentale di ogni uomo: la difesa della propria vita...
Davanti lo striscione del comitato Si.NoNucle che si sta impegnando da mesi in tutta l'isola con continue manifestazioni di città e paesi per spiegare la pericolosità del nucleare, decine di tecnici uomini e donne sono impegnati giornalmente a parlare e spiegare cosa significa avere una centrale nucleare sul nostro territorio.
Sardigna natzione indipendentzia ed il comitato No nuke una risata sardonica vi seppellirà, sono impegnati da due anni per raggiungere il risultato referendario, prima nella raccolta firme poi con la festa antinuke del 8 dicembre 2009 in piazza del Carmine a Cagliari hanno dato il via all'input antinucleare in Sardinia, oggi a distanza di quindici mesi da allora il comitato Si.NONucle ha tenuto centinaia di convegni ed oggi ha portato in piazza migliaia di sardi a sostengno del referendum consultivo del 15 maggio in Sardinia e del 12 giugno in Italia.
I movimenti in piazza oltre al comitato organizzatore SI NOnucle, erano molti tra cui Sardigna Natzione, iRS, CSS, Cagliari Social Forum, Gettiamo le Basi, Federazione della Sinistra, USB, ProgReS, Par.I.S Malu Entu, A Manca Pro S'Indipendentzia, Sinistra Critica, Cobas, A Foras, No Radar, Italia dei Valori, Verdi, molte associazioni di cittadini, e molti uomini e donne liberi/e.
giovedì 24 marzo 2011
L’illusione dell’atomo sicuro
Die Zeit,
Germania
Il nucleare senza rischi non esiste. L’ha dimostrato una volta per tutte l’incidente nella centrale giapponese di Fukushima. L’unica soluzione è spegnere i reattori, scrive la Zeit
Rischio residuo. Per molto tempo questa espressione è stata sinonimo di qualcosa di imponderabile. Il termine tedesco, restrisiko, è anche il titolo di un teleilm del filone catastroico trasmesso in Germania due mesi fa. Finora il rischio residuo è stato solo fantascienza, intrattenimento. Ma dalle 15.36 di sabato 12 marzo tutti sanno che cosa signiicano davvero queste parole. Dopo il devastante tsunami che ha travolto il Giappone, si è bloccato il sistema di raffreddamento d’emergenza del primo reattore del complesso nucleare di Fukushima I, facendo temere una catastrofe atomica senza precedenti.
A prescindere dalla direzione in cui il vento spingerà le eventuali nubi radioattive, era ora che si aprisse un dibattito serio sulla sicurezza della produzione energetica. Il punto decisivo è capire quali sofferenze si possono accettare in nome del nucleare. Rispondere a questo interrogativo è inevitabile anche per l’industria dell’atomo.
La catastrofe giapponese segna la fine del sogno atomico, che già da tempo si è trasformato in un incubo. Nel mondo non esistono depositi di stoccaggio sicuri per le scorie radioattive o reattori nucleari che possano resistere a sabotaggi o attentati. E quasi nessuna centrale atomica è in grado di tollerare le conseguenze di un incidente aereo. Una cosa deve essere chiara anche ai sostenitori del nucleare: questa tecnologia è incontrollabile. È disumana. E per questo non dovremmo utilizzarla.
D’ora in poi lobbisti, economisti e politici non potranno più parlare di energia atomica come se non fosse successo niente.
Nessuno potrà più sostenere che esistono reattori del tutto sicuri. Le centrali nucleari non sono mai state sicure e non lo saranno mai. L’umanità deve fare marcia indietro e rinunciare il prima possibile all’energia atomica, anche se la riconversione sarà molto difficile. L’industria nucleare, che gestisce nel mondo 442 centrali quasi tutte concentrate in una decina di paesi ricchi, è sempre stata al centro di critiche e polemiche. Tuttavia il disastro di Cernobyl, nell’aprile del 1986, ha danneggiato questo settore solo in modo supericiale. I manager e i leader politici occidentali hanno sempre sostenuto che la tragedia ucraina è stata il risultato dei ritardi della tecnologia sovietica, e che le centrali europee e statunitensi sono sicure. Più sbiadiva il ricordo di Cernobyl, più rumorosi sono diventati i loro appelli per il rilancio del nucleare.
Fino al 12 marzo 2011 le centrali nucleari giapponesi sono state considerate affidabili come quelle statunitensi, francesi o tedesche. Il Giappone è un paese altamente tecnologico, con una fiorente esportazione di auto ecologiche e una serie di centrali atomiche antisismiche. È la patria di Hitachi e Toshiba. Il primo reattore della centrale Fukushima I era stato costruito dalla società statunitense General Electric. Ma l’incidente ha dimostrato con chiarezza l’inconsistenza del mito della sicurezza nucleare, inventato per sofocare sul nascere ogni domanda scomoda. Anche se in altre zone della Terra il rischio sismico non è elevato come in Giappone, non si può escludere che negli impianti nucleari possano verificarsi eventi catastroici di tipo diverso. La storia dell’energia atomica è una sequenza ininterrotta di brutte sorprese.
Dopo Cernobyl
La sicurezza tecnologica è già di per sé un mito. Nel gennaio del 2007 dal tetto della stazione centrale di Berlino, appena inaugurata, si è staccata una trave d’acciaio di due tonnellate che è precipitata a terra da quaranta metri d’altezza. Nel marzo del 2009 l’archivio di stato di Colonia è crollato a causa dei lavori in corso per la costruzione della metropolitana. Nell’aprile del 2010 da un treno ad alta velocità delle ferrovie tedesche si è staccata una porta lungo la tratta che collega Montabaur a Limburg.
In seguito a questi incidenti, però, nessuno ha chiesto di sospendere la costruzione di stazioni ferroviarie, treni veloci e metropolitane. E a ragione, perché anche nel peggiore degli scenari i danni sarebbero stati comunque contenuti. Ma un grave incidente nucleare è un evento di tutt’altro tipo, in grado di trasformarsi in una disgrazia non solo per interi stati, ma anche per tutto un continente. Sotto questo aspetto, il nucleare si distingue da tutte le altre tecnologie. E proprio per questo è rischioso evocare una sicurezza che è già stata smentita dai fatti.
Il termine “sicurezza” non si riferisce a una condizione “oggettiva”, si legge in uno studio dell’Ufficio per la sicurezza dell’atomo di Bonn, ma alla “valutazione di un rischio”. Quando si dichiara che un reattore è sicuro si aferma solo di essere disposti ad accettare un certo livello di rischio. Ma di che rischio si tratta? Considerato che la possibilità di fusione del nocciolo è di 1 a centomila per ciascun impianto, la probabilità che nell’arco di sessant’anni in una delle diciassette centrali atomiche tedesche si veriichi la fusione del nucleo del reattore (meltdown) è dell’1 per cento. Una simile percentuale si può definire sicura? È una scommessa. Una roulette russa.
Nell’autunno del 1986, pochi mesi dopo l’incidente di Cernobyl, il governo tedesco aveva promesso che “la sicurezza delle centrali nucleari del paese sarebbe stata sottoposta a nuove verifiche”. Qual è stato il verdetto? Che gli impianti erano sicuri. E oggi? A poche ore dalla catastrofe giapponese, la cancelliera Angela Merkel ha chiesto una nuova verifica dei parametri di sicurezza, perché “la tutela della vita umana è un imperativo categorico”.
Se queste parole fossero sincere, le 17 centrali tedesche dovrebbero essere spente immediatamente. E i tentativi di costruire nuovi impianti dovrebbero già essere tutti falliti. Otto anni dopo Cernobyl, nel 1994, il governo di Helmuth Kohl ha modificato la legge sull’energia nucleare. Grazie a quel provvedimento, la licenza per la costruzione di nuove centrali è legata alla garanzia che gli efetti di una fusione del nocciolo rimangano circoscritti all’area del complesso e che, perino in caso di meltdown totale, non ci siano danni oltre i confini dell’impianto. Questa condizione, definita “sicurezza implicita”, non era altro che un eufemismo politico alimentato da un’illusione. Sul pianeta non esiste nessun reattore che possa garantire questi livelli di sicurezza. Se i progetti delle centrali atomiche avessero mai dovuto soddisfare questi criteri, sulla Terra non ci sarebbe un solo reattore.
È necessario, quindi, assumersi simili rischi per assicurare l’approvvigionamento energetico agli abitanti del pianeta? Il nucleare contribuisce alla produzione globale di energia appena per il 6 per cento: meno della metà delle energie rinnovabili. I paesi dove le centrali atomiche hanno un peso rilevante sono pochi: Francia, Slovacchia e Svezia. Gli Stati Uniti e la Germania ricavano circa un quinto della loro elettricità dall’atomo. Se però si considera la produzione di elettricità, l’apporto del nucleare sale al 15 per cento. Bisogna ammetterlo: è una quantità considerevole, che ammonta al consumo annuo della Cina. Certo, il fabbisogno elettrico potrebbe essere coperto anche dall’energia prodotta dal carbone, ma questo comporterebbe enormi emissioni di CO2, il gas responsabile del riscaldamento globale. Se quindi il mondo rinunciasse all’energia atomica, la conseguenza sarebbe il collasso climatico? I promotori del nucleare vorrebbero farcelo credere, ma tendono a trascurare la domanda chiave: spegnere i reattori, sostenibili ma pericolosi, servirà a contenere davvero l’aumento della temperatura entro livelli tollerabili?
Se vogliamo che il riscaldamento globale rimanga entro i due gradi, nei prossimi quarant’anni le emissioni di CO2 dovranno ridursi di oltre il 50 per cento: un obiettivo raggiungibile solo risparmiando energia e attingendo alle fonti rinnovabili. Se nel frattempo i reattori nucleari saranno smantellati, occorrerà risparmiare ancora di più, e produrre ancora più energia pulita. Non è un compito impossibile. I piani per una svolta energetica esistono: per esempio quello di Greenpeace, elaborato con il supporto dall’agenzia spaziale tedesca, o quello del Wwf, dai quali si desume che il clima può essere tutelato anche senza ricorrere all’energia atomica.
L’efficienza energetica è il punto fondamentale di tutti questi progetti. Oggi viene sprecata molta energia. Sappiamo che il deserto assorbe nell’arco di sei ore più energia solare di quanta ne usa il genere umano in un anno. E le tecnologie per lo sfruttamento delle rinnovabili sono molto avanzate. Eppure le fonti sostenibili coprono solo una piccola parte della produzione di energia globale. Le pompe e i motori, per esempio, possono funzionare anche con una frazione infinitesimale della corrente che impiegano oggi: basta dotarli di dispositivi di controllo. E l’illuminazione si può ottenere anche con sistemi che consentono un grande risparmio di energia. Ma usare lampadine più efficienti non risolverà il problema. Anche gli stili di vita devono cambiare, e questo rende tutto più complicato.
C’è bisogno di coraggio, da parte dei leader politici ma anche dei cittadini. Un gruppo di ricerca internazionale ha pubblicato di recente sulla rivista The Energy Journal uno studio sulle fonti energetiche da usare per fermare il riscaldamento globale. Uno dei possibili scenari prevede l’eliminazione delle centrali nucleari. Questa soluzione costerebbe all’umanità lo 0,7 per cento della sua ricchezza. Si può imporre al mondo un simile sforzo? Un costo simile è quasi insignificante rispetto a quello provocato dalla catastrofe che si è verificata in Giappone e che potrebbe ripetersi altrove in qualsiasi momento. D’ora in poi chi vuole tenersi strette le centrali nucleari sarà costretto ad affidarsi ad argomentazioni deboli. I buoni motivi sono tutti scomparsi a Fukushima.
mercoledì 23 marzo 2011
Moratoria «bluff» sul nucleare
ilmanifesto
Il governo annuncia lo slittamento di un anno del piano per l'energia atomica
L'opposizione: mossa truffaldina. Sì del Senato al decreto sui siti
Eleonora Martini
ROMA
Davanti all'impasse, sul nucleare il governo Italiota tenta la mossa del cavallo. E con un discreto effetto mediatico, per bocca del ministro dello sviluppo economico Paolo Romani annuncia una «moratoria di un anno sull'attuazione e la ricerca di siti e sull'installazione di centrali». Nessun atto giuridico, spiegano fonti ministeriali, solo un impegno politico che il Consiglio dei ministri formalizzerà oggi stesso.
La legge 133 del 2008, quella che reintroduce l'opzione energetica nucleare in Italia e che è oggetto del quesito referendario abrogativo, non dovrebbe subire - assicura Palazzo Chigi - alcun tentativo di modifica. Dunque il referendum si farà anche se, spera assai la maggioranza, a questo punto altamente "depotenziato". «Mi aspetto che non si decida sull'onda dell'emotività ma sull'onda di un ragionamento e delle certezze che dobbiamo dare come governo e come Unione europea», incalza Romani che assicura: «La decisione è stata presa alla luce di quanto discusso lunedì in sede europea sulle procedure standard di sicurezza da stabilire per tutti i paesi comunitari».
Ma sotto il vestito, almeno fino a ieri sera, non sembra esserci davvero molto: perfino il decreto legislativo correttivo sulla localizzazione delle centrali nucleari e dei siti di stoccaggio non è stato ritirato, come sembrava ipotizzare la maggioranza e in molti speravano, e ha proseguito invece il suo iter parlamentare. Ieri sera la commissione Industria del Senato italiano ha dato (con il voto contrario di Pd e Idv) l'ultimo parere favorevole necessario al governo per mettere a punto entro oggi, giorno di scadenza della delega parlamentare, il testo definitivo. «Fino all'ultimo - racconta il senatore Filippo Bubbico, membro della commissione - abbiamo sperato che il governo ritirasse il decreto, ma non lo ha fatto».
Ermete Realacci, responsabile della green economy del Pd, parla di «lingua biforcuta» e di «bluff atomico». In realtà, secondo quanto annunciato dal ministro italiano Romani, la moratoria di un anno non dovrebbe comprendere la localizzazione dei siti di stoccaggio dei rifiuti nucleari, visti i ripetuti richiami all'Italia da parte dell'Unione europea proprio per la mancanza di un «idoneo deposito nazionale» di rifiuti radioattivi derivanti dalle vecchie centrali dismesse ma anche dalle attività ospedaliere. «La nostra volontà - ha spiegato il titolare dello Sviluppo economico - è di portare al Consiglio dei ministri quella parte del decreto legge correttivo che riguarda il deposito nazionale per lo stoccaggio delle scorie perché si tratta di un grande tema per la sicurezza».
«Cosa significa la moratoria di un anno sul nucleare, se la maggioranza al tempo stesso approva la norma che consente di costruire centrali nucleari e impianti di stoccaggio di scorie anche in caso di parere contrario di Regioni e Comuni?», protesta Realacci riferendosi alle norme contenute nel decreto. Un problema che si ripresenta anche solo per i siti di stoccaggio. Come faranno a scegliere l'area senza il consenso della regione "prescelta"? Niente paura, spiegano da Palazzo Piacentini: l'iter di individuazione è lungo e complesso, e ancora di più lo è la successiva «fase di concertazione».
Dal leader di Fli, Gianfranco Fini, alla Cgil passando per l'Anci (comuni) e per il presidente della conferenza stato-regioni Vasco Errani, sono in molti a tirare un sospiro di sollievo o a complimentarsi per la moratoria, definita da alcuni un felice anche se non esaustivo «primo passo». Ma dal Pd all'Idv, dai Verdi al comitato "Vota sì per fermare il nucleare" costituito da oltre 60 associazioni, l'opposizione compatta grida invece alla «truffa» e al «sabotaggio». «Una mossa furba e truffaldina per far credere agli italiani che non c'è alcun bisogno di andare a votare al referendum», attacca Massimo Donadi, presidente dei deputati Idv. Per il partito di Antonio Di Pietro, come anche per i Verdi di Angelo Bonelli, non è del tutto infondato il timore che il governo possa «preparare un decreto legge per modificare la norma oggetto del quesito referendario», in modo da sabotare non solo politicamente il referendum che dovrebbe tenersi il 12 e il 13 giugno prossimi.
«Non possono farlo», reagisce il Radicale Marco Cappato che anche ieri mattina, da Milano in conferenza stampa con Emma Bonino, aveva chiesto di nuovo lo stop del piano nucleare e una decisa virata verso il risparmio energetico e le rinnovabili, colpite invece quasi a morte con l'ultimo decreto legislativo. «Non si può modificare una legge oggetto di referendum - spiega Cappato - ma nel Paese della distruzione della Costituzione, è lecito sospettare perfino una manovra del genere. Tanto più da parte di un governo che ha messo in piedi un piano nucleare costoso, insensato, e che ci rende subalterni a Sarkozy».
22.03.2011
il manifesto
Europa no nuke, la sinistra ci prova
Alberto D'Argenzio
BRUXELLES
Giappone, è allarme per il cibo
Non un referendum vero e proprio, ma un'iniziativa legislativa popolare per segnare il cammino di uscita dal nucleare in tutta la Ue. Questa è l'idea lanciata ieri dal presidente della Spd, ex ministro dell'ambiente nella grande coalizione, Sigmar Gabriel e dal cancelliere austriaco Werner Faymann. «Devono essere i popoli europei - ha affermato Gabriel in un'intervista alla Bild - a decidere e non i lobbisti dei gruppi economici e i governi».
Lo strumento indicato dai due per fermare l'atomo è una delle maggiori novità previste dal Trattato di Lisbona: «C'è un nuovo diritto in Europa, quello di un'iniziativa popolare a livello europeo», indica Gabriel. Lui, che a suo tempo firmò la legge per la fuoriuscita tedesca dall'atomo (poi ritardata dalla Merkel), pensa all'Europa anche perché in Germania il referendum non è possibile. Invece, con un milione di firme raccolte in un terzo degli Stati membri, i cittadini comunitari possono chiedere alla Commissione Ue di presentare una proposta legislativa.
Qui iniziano però i problemi, legati alle prerogative dell'esecutivo comunitario. «Il Trattato di Lisbona - replica Marlene Holzner, portavoce del commissario all'energie Guenther Oettinger - dice chiaro e tondo che il mix energetico è di competenza degli Stati membri». Bruxelles avrebbe la scappatoia pronta, ma basta un articolo del Trattato per non porsi il problema?
«La Commissione non ha competenze ed è vero - l'analisi di Monica Frassoni, presidente dei verdi europei - ma se Bruxelles si dovesse trovare di fronte a 10 milioni di firme, allora avrebbe davanti una chiara richiesta politica non facile da evadere, anche perché esistono altri sistemi per agire». «Ci sono dei margini di azione - spiega sempre Frassoni - legati alla fissazione degli obiettivi per le rinnovabili e agli strumenti per combattere il riscaldamento globale». Insomma, non contro l'atomo, ma a favore delle sue alternative, le rinnovabili.
Il tutto partendo da due considerazioni. La prima di carattere economico, secondo cui se si investe sul nucleare, non lo si fa sulle rinnovabili, come dimostra la politica energetica italiana. E viceversa, come dimostrano invece Spagna e Germania. La seconda riguarda invece l'introduzione o meno del nucleare nel novero delle energie 'verdi', di quelle buone per combattere le emissioni di CO2, una battaglia lanciata anni fa da Sarkozy e sempre sostenuta dalla lobby dell'atomo. L'incidente giapponese dimostra che il nucleare non è poi tanto verde, nel senso che non emetterà CO2, ma può fare anche di peggio. «Se rinunciamo all'idea malsana del nucleare come elemento della low carbon economy - insiste Frassoni - fissiamo obiettivi più ambiziosi per le rinnovabili e target vincolanti l'efficienza energetica, il cammino di uscita dall'atomo è segnato».
La tragedia in Giappone ha rilanciato il dibattito e fermato lo sdoganamento dell'atomo, facendo traballare i piani energetici europei. Tanto che Oettinger molto probabilmente rivedrà la Energy road map per l'Europa, inizialmente prevista per disegnare il panorama energetico comunitario del 2050. Lo scenario verrà anticipato al 2030, per «dare risposte più concrete». Per quelle date il commissario immagina un futuro non in crescita per l'atomo: «Adesso abbiamo il 30% di energia elettrica dal nucleare, paesi come Francia e Regno unito puntano su questa fonte di energia e non parlano di abbandonarla, ma in futuro prevedo che il nucleare non sarà così importante come adesso: non arriveremo allo 0%, ma l'importante è che il nucleare non aumenti». L'Italia, con i suoi massicci investimenti, va esattamente contromano.
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