martedì 15 febbraio 2011
SARDEGNA SUD ORIENTALE QUIRRA
Vincenzo Pillai
Ore 9
Davanti a noi i cancelli d’ingresso di una delle più importanti basi militari d’Europa.
Un grande trapezio che si estende dalle colline della Barbagia fino al mare e sul Tirreno disegna un altro trapezio di interdizione attivato, a piacere, dai comandi militari.
Siamo la regione-nazione più militarizzata e devastata d’Italia.
Davanti ai nostri occhi un modesto gruppo di carabinieri e, tutt’intorno, le verdi colline di Sardegna e guglie di granito, potrebbero essere un paradiso, sono disseminate di schegge di proiettili di cui è anche difficile sapere il nome perché questa non è una base come le altre, come quella di Teulada dove scorazzano carri armati e marines si allenano a lasciare i mezzi anfibi per guadagnare la battigia; qui si fa altro.
Qui gli eserciti della Nato sperimentano nuove armi e, principalmente, nuovi sistemi d’ arma.
Qui i venditori di morte di tutto il mondo trattano i loro affari dopo aver dimostrato l’efficienza di loro prodotti.
Qui si è un passo avanti rispetto a tutte le esercitazioni che calpestano il suolo sardo.
E qui si uccide , non solo e non tanto per una manovra sbagliata o un proiettile vagante;
qui si uccide accumulando sul terreno visibili e invisibili fattori di morte futura ma sicura.
Ore 10
Sono arrivati a gruppi di auto da tutta la Sardegna:sono militanti dei partiti della sinistra anticapitalista , dei movimenti indipendentisti dei collettivi che mettono insieme esperienze e pratiche di anni lontani e recenti e che sono ancora troppo pochi per costruire una rete a maglie larghe e nodi forti, in grado di liberare tutti da pratiche scorrette, facendo vincere le buone pratiche del fare oggi guardando agli effetti sul domani.
Il cancello sbarra il passo ; la base mette in mostra tutta la sua potenza con la rete di tre metri di ferro che la protegge dal mondo. Viene da gridare : chi uccide a Quirra ? e vorremmo appendere alla rete i nostri striscioni, e vorremmo che il vento li gonfiasse fino a sradicare tutto quel ferro che ferisce la nostra terra.
Ore 12
Il piccolo uomo di bronzo è ora a cinquanta metri dal cancello e dai carabinieri che lo difendono e vicino a lui un altro bronzetto, la madre dell’ucciso con il suo fardello di dolore; due bronzetti arrivati dalla notte dei tempi fin qui, davanti a questo forziere che custodisce la morte del futuro. Qui, per fare VARDIANIA, che non è semplice guardia e neppure semplice presa di possesso di un territorio devastato; è riprendere per accudire amorevolmente, è impossessarsi per liberare dal possesso innaturale dell’homo economicus, è una carezza sul sottile manto di terra che copre la dura roccia per restituirgli la salute che i milites hanno violentato, è SALVAGUARDIA, gestita collettivamente e pacificamente dal popolo, da un pericolo incombente per noi e i nostri figli.
La manifestazione è quindi pacifica e i portavoce del comitato contro il nucleare e il sindaco di La coni illustrano ai giornalisti la volontà e i pensieri che stanno nella testa e nel cuore dei manifestanti ; adesso sono mille con le bandiere di tutte le organizzazioni della sinistra anticapitalista e indipendentista; mancano quelle del Pd.
Ore 13
La giornata della VARDIANIA vuole essere affermazione di un valore fondamentale in un clima di festa popolare; così ci trasferiamo tutti con un lungo corteo di auto e pullman nella grande piazza di Villaputzu per prendere un aperitivo preparato dal comitato locale che da anni raccoglie dati sui problemi sanitari che la presenza della base provoca alla popolazione. La carovana si trasferisce poi a San Vito ( altro paese che si domanda quale prezzo stiano pagando gli abitanti di oggi e di domani per i pochi posti di lavoro che la base fornisce) In piazza è allestito il pranzo sociale : su un tavolo di cinquanta metri sono posate le carni preparate dal comitato e torte e dolci che molti gruppi di partecipanti hanno portato per condividerle con tutti. Ceste di carciofi e di arance prodotte in questa bella valle con un microclima eccezionale in cui si potrebbero ottenere anche frutti tropicali. In piedi nella piazza, sotto uno splendido sole primaverile, si mangia e si balla.
Ore 17
Nella sala del centro culturale, stracolma di gente che resterà anche in piedi fino alla fine, si svolge il dibattito con la partecipazione di esperti di una commissione ufficiale incaricata di ricercare i dati utili a chiarire ulteriormente quello di cui tutti i partecipanti sono ormai pienamente convinti : le esercitazioni che si svolgono nella base sono causa di gravi malattie per uomini e animali del territorio. Sebbene tutto questo sia per noi chiaro, gli esperti sono ascoltati con attenzione , non abbiamo timore delle loro ricerche e dell’incontro che ,nei prossimi giorni devono fare con la commissione senatoriale che ha il compito di definire ulteriormente l’ambito della ricerche. Però in molti interventi si sottolinea come davanti a quanto è già accaduto ( malformazioni di animali, aumento spropositato delle leucemie ) si dovrebbe prima di tutto fermare l’attività della base, altrimenti le commissioni governative di indagine possono divenire un alibi per andare avanti comunque.
Nei 19 interventi dei rappresentanti di partiti e comitati viene messa in luce la relazione fra la lotta per la chiusura della base e la lotta per impedire la costruzione di una centrale nucleare in Sardegna dove sole ,vento e acqua possono darci tutta l’energia che ci occorre per un nuovo modello di sviluppo basato sulla valorizzazione delle risorse locali. La Sardegna non è una terra povera ; sono poveri molti sardi perché vittime di uno sviluppo capitalistico che ha fatto e fa dello sfruttamento coloniale il suo strumento di dominio. Non è certo con i miseri salari forniti dalle basi militari che si favorisce lo sviluppo dei paesi che le ospitano; viene quindi sottolineata l’assenza dalla manifestazione dei sindaci dei territori in cui si estende la base e come sia miope la loro politica di buon vicinato quando è a rischio la salute dei loro stessi figli.
Ore 20
Salutando con un applauso la riuscita della manifestazione delle donne nelle città , i partecipanti si danno appuntamento alle prossime scadenze del Comitato, già fissate in molti paesi della Sardegna: ciascuno diventi soggetto promotore di nuove iniziative perché a maggio si voterà in Sardegna il referendum consultivo sul nucleare e siamo tutti consapevoli che la vittoria contro il nucleare in Sardegna tirerà la volata al referendum di giugno contro il nucleare in tutt’Italia.
intervista a Carlo Roggero, amministratore unico di Ets, spa specializzata nelle energie ecostenibili, con il teleriscaldamento
Da quanti anni siete nel settore delle energie rinnovabili e come mai questa scelta? La società Ecotermica, oggi Ecotermica Servizi spa, è nata nel 1994 . Ero di ritorno dal Venezuela dove ho avuto un'esperienza nella costruzione di una segheria industriale. Per poter esportare il legname in Europa bisognava essiccarlo e la centrale che alimentava l'essicatoio era alimentata dagli scarti della segheria. Mi son detto, ma se funziona a fini industriali può funzionare anche a fini civili. Di qui l'idea (che nel frattempo iniziava ad essere realizzata in Alto Adige) di produrre energia termica per i comuni, con caldaie che bruciassero scarti di segherie situate nelle vicinanze del progetto. Dapprima piccole caldaie a legna e poi, nel 2000, il primo progetto di teleriscaldamento alimentato a biomasse a Verzuolo. Affinché le cose funzionino è necessario garantire un bilancio ambientale positivo. Il combustibile biomassa ha un basso potere calorifico e quindi va reperito nelle vicinanze della centrale.. Dopo la realizzazione di 3 impianti di teleriscaldamento a biomasse (Verzuolo,Castellamonte e Leinì) siamo passati alla cogenerazione a gas (efficienza energetica) anche causa la carenza di biomasse reperibili localmente. Le centrali cogenerative a gas che abbiamo progettato e poi o costruito direttamente o cedute a terzi e che oggi alimentano impianti di teleriscaldamento sono state : Saluzzo, Savigliano, Chieri, Costigliole Saluzzo , Banchette ed Ivrea. Tutte in Piemonte per un’ investimento di circa 100 M di euro quasi totalmente realizzate da imprese locali.
Potrebbe spiegarmi meglio cos'è il teleriscaldamento? E’ vero che è stato il primo in Italia?
Verzuolo è stato il primo in Piemonte , ma in Italia credo che il primo impianto sia stato il teleriscaldamento di Dobbiaco (Alto Adige). Il teleriscaldamento è come un acquedotto che trasporta acqua calda. La centrale viene costruita in un’area comunale ritenuta idonea naturalmente in accordo con l'Amministrazione Comunale . Affinché il progetto abbia una valenza sotto il profilo del bilancio ambientale , la potenza della centrale a biomassa DEVE ESSERE la somma della potenza delle caldaie (dei vari condomini) che potranno essere allacciate e quindi sostituite . Teleriscaldamento vuol dire portare nei tubi (l'acquedotto caldo) l'energia termica prodotta a distanza dalla centrale. I tubi entrano nel condominio, baypassano la caldaia esistente, che viene mantenuta inattiva e non viene smantellata al fine di una eventuale emergenza. Da quel momento il condominio si scalda con l'energia termica (acqua calda) prodotta dalla centrale a biomassa.
Come ovviate ai problemi di dispersione termica e a quanta distanza può arrivare un impianto di teleriscaldamento?
Bella domanda, la dispersione energetica è il punto debole del teleriscaldamento. Ci sarà sempre una dispersione termica ; non è possibile evitala completamente, ma può essere contenuta utilizzando speciali tubazioni preisolate ed interrando le tubazioni a circa 1.5 metri. In questo caso perdiamo circa 1-2 gradi su una distanza di 10 KM. Attenzione anche se è vero che 1-2 gradi sembrano pochi, moltiplicati per i litri di acqua che trasportiamo, alla fine, su base annua, si disperde mediamente circa il 10% dell'energia prodotta. Tecnicamente quindi non ci sono problemi dovuti alla distanza ma ne esistono molti sotto l’aspetto di poter realizzare un progetto energeticamente migliorativo. Non tutti i progetti possono essere realizzati con successo. Dipende dalla cittadina ospite, dai gradi giorno della zona, da quanti e che tipo di utenze si possono allacciare, dalla distanza che le tubazioni percorrono, dalla tecnologia adottata etc .La generazione a distanza deve essere il più possibile distribuita localmente. Smarcate le variabili di cui ho accennato prima, personalmente, propendo per la realizzazione di piccole centrali che alimentano piccole cittadine o quartieri di grandi città. Il piccolo teleriscaldamento ha innumerevoli vantaggi ambientali : se fatta con tutti i crismi, una centrale di piccole dimensioni inquina meno di un insieme di caldaie condominiali. Le caldaie che il teleriscaldamento sostituisce molto spesso risultano essere mal mantenute, vecchie ed insicure. Vi sono vantaggi economici dovuti all’economia di scala. Dal punto di vista ambientale, una centrale di teleriscaldamento deve essere autorizzata dai competenti enti provinciali e i valori di emissioni autorizzati sono bassissimi. Sempre grazie all'economia di scala la centrale può permettersi apparecchiature per catturare sia il particolato i che gli inquinanti emessi con i fumi. Inoltre un impianto di questo tipo può essere dall’A.R.P.A. (l’Agenzia Regionale per l’Ambiente) monitorato in continuo da punto remoto, tipo internet e in qualsiasi momento, quindi ,verificare che i dati di emissione rispettino le prescrizioni autorizzative . Tutte cose che una caldaia condominiale non può permettersi. infine se fatto nel rispetto di tutti i parametri , energetici ed economici, il teleriscaldamento è in grado di garantire sia l’allacciamento gratuito che una diminuzione dei costi in bolletta all’utente garantendo quindi vantaggi economici sia alla società che lo realizza che per i cittadini che si allacciano. Per farti un esempio, i nostri progetti sono stati tutti interamente finanziati dalla nostra società o dalle società che le hanno realizzate e dalle banche e, sino ad oggi, abbiamo sempre allacciato gratuitamente tutte le utenze che in più, hanno avuto una riduzione del costo in bolletta di circa il 10/15 %.Molte di queste utenze sono oggi riscaldate con un combustibile rinnovabile, prodotto localmente che ha totalmente sostituito un combustibile di origine fossile importato.
Cosa ne pensa dell’utilizzo dell’energia nucleare e del suo utilizzo in Italia come energia alternativa, lo può essere?
Penso che sia un controsenso perché non è una soluzione ne’ sotto il profilo energetico ne’ sotto l'aspetto economico...naturalmente poi è anche potenzialmente molto pericolosa … ma andiamo per ordine.
Va bene spiegami più nel dettaglio e per ordine.
L’energia nucleare non risolve il nostro problema energetico. In Italia, il problema energetico è di dipendenza estera per l’approvvigionamento del combustibile fossile , non abbiamo ne petrolio ne gas e dobbiamo importarlo. L’energia nucleare viene prodotta utilizzando l’uranio come combustibile. In italia l’uranio non esiste quindi, l’energia nucleare non solo non ci svincola da una dipendenza estera , ma addirittura la appesantisce in quanto, l’uranio, deve anche essere arricchito e non abbiamo la tecnologia per farlo. Oggi dipendiamo da gas e petrolio. Domani dovremmo dipendere da uranio e da chi sa arricchirlo. Inoltre, il prezzo dell'uranio sul mercato mondiale ha subìto una forte impennata, passando dai 7 $/lb del 2001 al picco di 135 $/lb del 2007. Nel 2001 il prezzo del dell'uranio incideva per circa il 5-7% sul totale dei costi riguardanti la generazione energetica da fonte nucleare. Secondo dati della WNA, a gennaio 2010, con uranio a 115$/kg, incide già per circa il 40% . Non è più conveniente. Viene anche detto che il nucleare serve all’Italia in quanto è necessario aumentare la capacità di produzione di energia elettrica. Non è vero, i consumi stanno scendendo causa la crisi e fortunatamente anche grazie a politiche mirate all’efficienza e al risparmio energetico. Dal punto di vista della capacità produttiva l’Italia è autonoma anche rispetto alle previsioni che il Gestore del Mercato Elettrico ha fatto in proiezione per l’anno 2020. Se proprio si vuole intervenire sulla capacità produttiva allora è più conveniente aumentare le fonti energetiche alternative e rinnovabili e proseguire sulla conversione delle grandi centrali in impianti a gas e con tecnologie che, a ciclo combinato, oggi possono raggiungere un’efficienza di circa il 60 %. Le soluzioni per il problema energetico ? Utilizzo di combustibili fossili meno inquinanti, riqualificazione delle centrali energetiche esistenti per aumentarne l’efficienza (oggi l’efficienza media del parco termoelettrico è pari a circa 40%) , promuovere lo sviluppo delle fonti rinnovabili ma soprattutto, promuovere lo sviluppo di tecnologie mirate al risparmio energetico. Ad esempio la tecnologia con lampade a led consuma circa 1/10 delle vecchie lampade ad incandescenza. Queste a mio parere sono le soluzioni e non, dover realizzare centrali nucleari che oltretutto non si possono spegnere e che necessiteranno per contro di aumentare i consumi elettrici come ad esempio fa la Francia che di giorno non soddisfa il proprio fabbisogno energetico e di notte non sa che farne.
Ma si dice che l’energia Nucleare è più economica ed aiuterà le imprese ad avere energia ad un costo più basso, è vero ?
Non è vero. L’energia nucleare non conviene neanche dal punto di vista economico. L’energia prodotta da fonte nucleare già oggi costa di più di una altro sistema con cui possiamo produrre energia, Non a caso gli USA, lo hanno abbandonato. L'uranio a basso costo non esiste più e il piano economico non sta in piedi. Nessuna compagnia privata oggi investe sul nucleare. Non conviene a meno che i maggiori costi siano pagati dallo Stato. Ma allora, per assurdo, lo Stato farebbe meglio a destinare le risorse del nucleare ad abbassare il valore delle tasse energetiche che costituiscono in gran parte la tariffa che va a pagare l’utente finale. In parole povere, è già oggi più costosa e lo sarà ancor di più in futuro. Il costo del kWh prodotto con fonte nucleare è oggi già più caro del costo necessario a produrre energia con le fonti alternative . Naturalmente nel costo dell’energia devono essere considerati in modo corretto tutti i costi : quelli di capitale, interessi passivi, esercizio, manutenzione, combustibile, trattamento rifiuti e il futuro decommissioning della centrale. Una centrale nucleare ha una vita media di circa 50/60 anni. Per costruirla si impiegano circa 10 anni , lavorerà circa 50 anni e poi si impiegheranno circa 150 anni per smantellarla e “metterla in sicurezza “ non le pare un controsenso ? Ho virgolettato il metterla in sicurezza perché è un recente studio del M.I.T. a dirlo : ad oggi nessuno sa ancora come poterlo fare. Le scorie ad alta radioattività durano sino a 500.000 anni ! ovunque saranno stoccate prima o poi il cemento si sgretolerà, l’acciaio si corroderà e le montagne potranno franare. In conclusione , 50 anni di energia nucleare ad un costo maggiore e 500.000 anni di problemi alle generazioni attuali e a quelle future, ecco perché è un controsenso.A conferma di quanto dico il 25 maggio 2010, J. Wayne Leonard, amministratore delegato di Entergy Corp. la seconda compagnia americana di impianti atomici, ha affermato: “Nonostante le licenze per costruire 2 nuovi reattori abbiamo per il momento abbandonato i progetti, i numeri non tornano . Se diamo un costo appropriato ai rischi siamo semplicemente fuori mercato (“When we price the risk appropriately … the numbers just don’t work”) perlomeno finché il costo dell’energia che vendiamo da una parte e del carbone dall’altra non raddoppieranno. (While a few U.S. companies are moving ahead to develop new reactors, Leonard said that to make the economics of nuclear work for Energy, he would need to see "double-digit natural gas prices and carbon blow-out prices" starting at $25 per ton and escalating toward $50.)
Quindi pare dicano delle vere e proprie menzogne, inoltre bisogna aggiungere il fatto che l’Italia sia un paese ad alta densità di popolazione e che sia in gran parte sismica, e questi due fattori aumentano considerevolmente i rischi. In sintesi possiamo dire non è detto che una tecnologia se innovativa sia utile, se è così rischiosa e costosa, qualche volta tornare indietro è la cosa più intelligente da fare?A volte si , sempre che indietro non significhi dire ritornare al nucleare che peraltro ricordo essere stato oggetto di una chiara espressione referendaria da parte dei cittadini. Nessuno può garantirci che le centrali siano sicure al 100%, difatti ,nessuna compagnia assicurativa al mondo, stipula polizze per le centrali nucleari. Gli Stati sono obbligati a creare ingenti fondi a riserva per eventuali disastri ambientali , per la messa in sicurezza ed il futuro decommisioning delle centrali,che durano sino a 3 volte la vita utile dell'impianto! La comunità Europea ha di recente aumentato le richieste di garanzia e da quanto mi risulta, molti paesi tra cui l’Italia, non hanno destinato fondi sufficienti.
Potrebbe farmi un esempio più chiaro, perché viene richiesto di aumentare i fondi a garanzia della salute pubblica ? Un recente studio epidemiologico fatto a Vercelli (in zona è presente l’impianto nucleare di Trino) richiede approfondimenti e l´istituzione di un registro per capire la reale portata delle anomalie riscontrate. Tra le donne l´insorgenza di leucemie è due volte rispetto al resto del Piemonte. Raddoppiata la mortalità per il cancro al sistema nervoso . Il disastro di Chernobyl continuerà a produrre effetti in futuro anche se non conosceremo mai la portata complessiva dei danni arrecati alle persone e all'ambiente l’ A.R.P.A Piemonte lo evidenzia in uno studio del 2003. La Comunità Europea sta rivedendo al rialzo le garanzie da richiedere agli stati che intendono dotarsi di nucleare, proprio perché è in linea con le tendenze delle macroeconomie attuali. A vent'anni dall'esplosione del reattore nucleare n. 4 della centrale nucleare di Chernobyl, l'opinione pubblica è ancora sorprendentemente ignara delle drammatiche conseguenze del disastro: l'Organizzazione mondiale della sanità, (OMS)m ha calcolato che Chernobyl ha prodotto un livello di radioattività 200 volte superiore a quello dell'effetto combinato delle bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki; circa 350.000 persone sono state evacuate dalle zone più contaminate; tuttavia, nelle aree in cui è stato decretato l'obbligo di evacuazione continuano a vivere 9.500 cittadini; circa 7 milioni di persone hanno diritto a speciali indennità , pensioni e prestazioni sanitarie poiché rientrano nella categoria degli individui colpiti dal disastro di Chernobyl. Si stima che il danno economico complessivo subito dalla sola Ucraina supererà i 165 miliardi di euro entro il 2015, e fino al 2005 sono stati diagnosticati circa 4.000 casi di carcinoma alla tiroide in Bielorussia, Ucraina, e Russia tra coloro che all'epoca dell'incidente avevano meno di 18 anni; le stime ufficiali prevedono che vi saranno 9.000 casi di tumori incurabili; secondo i calcoli di scienziati indipendenti, il cancro causato dal disastro di Chernobyl causerà fra 30.000 e 60.000 vittime. Il numero di persone colpite da invalidità permanente a seguito dell'incidente nucleare, figli compresi, è passato da 200 nel 1991 a 64.500 nel 1997 e ha superato la soglia delle 91.000 unità nel 2001. Nel Regno Unito, ad oltre 2 500 km di distanza dal luogo del disastro, 374 allevamenti ovini con 200.000 pecore sono ancora soggetti a restrizioni a causa della contaminazione prodotta dall'incidente nel reattore ucraino; i campi contaminati nel Regno Unito si estendono su una superficie di oltre 750 km.; in alcune regioni di Germania, Austria, Italia, Svezia, Finlandia, Lituania e Polonia si registra ancora un livello di contaminazione da cesio 137 pari a diverse migliaia di becquerel per chilogrammo nella selvaggina,compresi cinghiali e cervi, nei funghi selvatici, nelle bacche e nei pesci ittiofagi di lago. La Commissione Europea non prevede un miglioramento della situazione nel prossimo futuro ed afferma pertanto che le restrizioni su determinati alimenti provenienti da taluni Stati membri dovranno essere mantenute ancora per molti anni.Oggi la tecnologia che produce energia da fonte nucleare è INUTILE e POTENZIALMENTE MOLTO PERICOLOSA.
Giulia Salfigiovedì 10 febbraio 2011
Risultati del monitoraggio/caratterizzazione del Pisq consegnati in data 1/2/011
La componente civile della Commissione Tecnica Mista di Esperti coordinata da dr. Antonio Onnis sostiene la proposta avanzata da Gettiamo le Basi. Concorda con l’esigenza di una pluralità di letture “tecnico-scientifiche” dei risultati del Piano ed evidenzia la mancanza di figure professionali pluridisciplinari nella CTME . Ricordo che CTME è formata da 4 persone “senza oneri per la Difesa”, una commissione ridotta al lumicino per volontà esplicita dei militari e per la compiacenza o disinteresse delle Autorità locali del CIPT, Comitato d’Indirizzo Politico Territoriale. Il contributo dell’Arpas appare più realista del re, finora ha puntato le critiche sulla rilevazione delle nano particelle a Baunei svolta da A Gatti. E' umanamente comprensibile, i funzionari sono gli stessi che hanno fatto la scoperta “scientifica” del millennio sul nesso arsenico-tumori emolinfatici e non vogliono certo farsela portare via dalle nano particelle.
E’ doveroso che le istituzioni si facciano carico di contribuire alla pluralità di letture del monitoraggio/caratterizzazione da parte di esperti scientifici di fiducia e di provata indipendenza.
Il dovere delle Autorità locali presenti nel CIPT è particolarmente cogente tenuto conto che lo scarso interesse denotato e la saltuaria partecipazione ai lavori si è tradotta in silenzi e assenze che di fatto hanno avvallato il controllo truffaldino gestito dai controllati (in primis Provincia Cagliari e Assessorato regionale Sanità, Dirindin-Liori).
E’ nell’interesse delle istituzioni e Autorità locali un intervento fattivo tenuto conto dell’inchiesta della Procura di Lanusei non solo per omicidio plurimo doloso ma anche “per omissioni di atti d’ufficio”.
Sarebbe opportuno tentare di coinvolgere i sindaci estromessi dal CIPT e le POCHE personalità istituzionali che hanno denotato una certa apertura.
Gettiamo le Basi può contare da subito su professionalità di buon livello e provata indipendenza per la lettura dei lavori del lotto 3 “Analisi degli elementi chimici in matrici ambientali e biologiche” (il lotto in cui con la tecnica gutta scavat lapidem è stata introdotta l’indagine non prevista dei veterinari). Per la lettura dei lotti 1 e 2 va riannodata la rete di professionalità di fiducia e i tempi si fanno più lunghi.
La ricerca sulle matrici biologiche è stata seguita dal 2002 da Mauro Cristaldi, docente alla Sapienza di biologia umana e animale comparata, consulente scientifico della prima Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul DU, coordinatore del Comitato scienziate/i contro la guerra, estensore su richiesta di Gettiamo le Basi di un Piano di controllo del Pisq (consegnato nel 2004 ad alcuni consiglieri regionali di area soriana e rimasto sepolto nei cassetti).
Dal 2008 Cristaldi ha dovuto interrompere l’impegno su Quirra per gravissimi motivi di salute. Dopo l’ultimo intervento chirurgico (2 settimane fa) pare stia meglio e sostiene di essere perfettamente in grado di coordinare il suo team di laureandi, ricercatori,collaboratori. Il problema per Gettiamo le Basi è che Mauro Cristaldi ha sempre lavorato gratis e con spese viaggio a suo carico mentre nessuno del suo team può fare altrettanto (sono ricercatori precari!).
VOLANTINO IN DISTRIBUZIONE DOMENICA 13 FEBBRAIO 2011
COMITADU PRO SU “SI”
IN SU REFERENDUM CONSULTIVU SUBRA SU NUCLEARE IN SARDIGNA
Email comitato.si.nonucle@tiscali.it – Rif. Provisòriu Tel/fax - 0784/415249 - 348/7815084
Domenica 13 febbraio dalle ore 10
Sa Die de sa Vardianìa – E’ un giorno di condivisione collettiva organizzata come una festa paesana che chiama la gente a condividere la necessità di rendere più esplicita la volontà di essere sensibili alla tutela del proprio territorio, della propria salute e di quella delle generazioni future.
Una condivisione esplicita che non si chiude nelle comunità del territorio interessato ma si allarga e coinvolge tutto il popolo sardo facendolo partecipe attivo di VARDIANÌA , salvaguardia, dell’Habitat sardo da fonti di pericolo, presenti o incombenti.
Si vuole affidare la VARDIANÌA alla festa popolare, perché è nella festa che il sentidu condiviso trova le tracce più profonde dell’interesse comune, sfrondate delle sfere personali, e dà individualità al collettivo.
CHI UCCIDE A QUIRRA ?
Qual è il pericolo presente o incombente?
Nel territorio di Quirra ci sono state malformazioni e malattie gravi, su animali e persone che non rientrano nella “normalità”, addebitabili dunque ad un pericolo presente, non individuato con certezza, ma presente.
Quando la morte di un individuo non è “normale” è una uccisione, qualcosa sta uccidendo le persone nel territorio di Quirra, è necessaria la VARDIANÌA collettiva.
E’ necessario individuare il pericolo, quello che uccide, non quello dei cerimoniali della politica, eliminarne la causa con determinazione e pretendere dai responsabili il risarcimento dei danni fatti e futuri.
SPETTA AI NOI SARDI SA VARDIANÌA
Sos Sinnos de sa Vardianìa
UN SEGNO DI SALVAGUARDIA – Un bronzetto nuragico, Capo Tribù, sarà il simbolo di Vardianìa sarà il segno di un popolo che è passato leggero sul suo territorio ed il monito che a nessuno sarà consentito di passarvi pesante. Sotto il bronzetto ci sarà una targa in ceramica con la scritta “ A Vardnìa de Quirra e de sa Sardigna totu”
UN SEGNO DI LUTTO PER I MORTI DI QUIRRA – Sarà il bronzetto nuragico, Madre dell’Ucciso, a segnare il cordoglio collettivo del popolo sardo per i figli di Sardegna uccisi a Quirra. Non possiamo nascondere quegli uccisi, nel chiuso del lutto familiare, tutto il popolo sardo ha il dovere di fagher lutu, è il loro sacrificio, il loro essere caduti, che ci ha reso palese il pericolo che uccide. Sarà segno del nostro lutto ma sarà anche segno della nostra determinazione a fermare il pericolo che uccide e a chiedere conto a chi del pericolo è stato causa. Sotto il bronzetto ci sarà una targa in ceramica con la scritta “ Bos fagimus lutu Mortos de Quirra” .
Zente de Sardigna Faghimus festa, cumbidamunos, faghimus populu,
SEMUS POPULU – TOCAT A NOIS
Il comitato.si.nonucle invita tutti al pranzo con pane, casu, sarditza, vinu e amistade meda.
HYPERLINK "mailto: Comitato.si.nonucle@tiscali.it" Comitato.si.nonucle@tiscali.it – tel. 3487815084
martedì 8 febbraio 2011
Nucleare CONNECTION
ilmanifesto
Dal traffico illecito di rifiuti alla morte di Ilaria Alpi. Le carte della Procura di Bolzano riaprono le piste investigative che conducono a Giorgio Comerio. L'uomo, già attenzionato dalla Procura di Reggio Calabria, è stato condannato a 4 anni per tentata estorsione. Ma nessuno lo ha mai cercato
Andrea Palladino
BOLZANO
C'è una domanda che dovrà porsi la commissione bicamerale d'inchiesta sui rifiuti. Una domanda chiave, che servirà a iniziare a fare luce sui rapporti tra la rete internazionale del traffico di armi e rifiuti - anche radioattivi - con pezzi dello stato: come è stato possibile che un personaggio del calibro di Giorgio Comerio sia uscito indenne da una condanna a quattro anni di reclusione? E come è possibile che, nonostante un ordine di arresto emesso dalla Procura della Repubblica di Bolzano, nell'ottobre del 2002, l'imprenditore che stringeva accordi con Ali Mahdi, il signore della guerra somalo, per smaltire rifiuti nucleari davanti alle coste somale possa essere entrato in Italia indenne? Tre anni, undici mesi e diciotto giorni. Questa è la pena residua che Giorgio Comerio, originario di Busto Arsizio, dovrebbe scontare, dopo una condanna definitiva per tentata estorsione. Una pena che - anche calcolando l'eventuale sconto di tre anni per l'indulto del 2006 - prevede l'arresto. Nei giorni scorsi il presidente della commissione rifiuti Gaetano Pecorella ha ricordato l'importanza che ha Giorgio Comerio per definire - almeno in parte - molti dei punti oscuri che circondano la vicenda delle navi dei veleni e della morte di Ilaria Alpi. «Per capire la relazione tra questi due argomenti - ha spiegato Pecorella - dobbiamo trovare ed ascoltare Comerio».
La procura di Reggio Calabria fin dai primi mesi del 1995 aveva iniziato a monitorare questo curioso imprenditore, da anni residente nelle isole vergini britanniche. Ufficialmente si occupava di «georadar», apparati che servivano a scansionare i terreni. Nel 1993 Comerio aveva creato una vera e propria holding, che partiva nelle isole vergini britanniche e si diramava con sedi più o meno operative in Italia, in Svizzera, in Francia e negli Usa. Con l'Odm aveva ripreso un progetto accantonato dall'agenzia nucleare dell'Ocse nel 1988: smaltire i rifiuti nucleari sparandoli in siluri chiamati penetratori sotto i fondali marini. «Era tutto legale», ha sempre sostenuto, anche quando venne interrogato dalla procura di Reggio Calabria, nel luglio del 1995. L'ipotesi investigativa - fino ad oggi mai dimostrata - era che dietro l'Odm si potesse nascondere un vero e proprio traffico internazionale di scorie radioattive, che partendo dall'Europa e dagli Usa sarebbero finite nelle acque dei paesi africani. Un'inchiesta complessa e difficile, che ha avuto non pochi ostacoli. Quando il 12 maggio 1995 il corpo forestale di Brescia e i carabinieri di Reggio Calabria entrarono nella casa di Giorgio Comerio a Garlasco, in provincia di Pavia, rimasero interdetti di fronte all'immenso archivio di documenti, mappe, accordi internazionali. Tra i faldoni spuntò anche un intero dossier sulla Somalia, paese da anni dilaniato da una guerra civile. Leggendo i vari dossier si scoprì che tra il giugno e l'ottobre del 1994 - pochi mesi dopo la morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin a Mogadiscio - Giorgio Comerio e la sua società Odm avevano avuto stretti rapporti con Ali Mahdi, primo presidente ad interim della Somalia dopo la caduta di Siad Barre. L'obiettivo era chiaro, scritto nero su bianco: trovare un sito nel mare somalo dove lanciare i penetratori carichi di scorie radioattive. Non c'era, però, solo la Somalia tra i contatti che Comerio aveva sviluppato in quegli anni per rendere operativo il progetto di dumping dei rifiuti nucleari sotto il fondo degli oceani. Ordinate e numerate nella sua casa-studio di Garlasco vi era la documentazione che comprovava i contatti con Capo Verde, il Congo, il Sudafrica e la Guinea Bissau. «Alla fine non se ne face nulla - spiegò Comerio ai magistrati - e non ho mai smaltito le scorie radioattive».
Le nuove carte di Bolzano
Fino ad oggi le diverse commissioni parlamentari che si sono occupate di Comerio hanno sempre basato le diverse ipotesi solo sull'inchiesta di Reggio Calabria, che terminò, come è noto, in una archiviazione. I possibili legami tra l'attività di Comerio, il traffico di scorie radioattive e la morte di Ilaria Alpi si sono sempre poggiati su alcuni elementi ritenuti labili. Alcuni fatti sono, però, incontrovertibili: sicuramente Giorgio Comerio aveva avviato stretti contatti con la fazione di Ali Mahdi pochi mesi dopo la morte della giornalista italiana. Non solo. Il pm Francesco Neri - che conduceva le indagini insieme al suo collega Nicola Maria Pace di Matera - continua ancora oggi a giurare di aver visto il certificato della morte di Ilaria Alpi tra le carte sequestrate a Comerio nel 1995. Circa un mese fa è stato poi aggiunto un tassello, ritenuto molto importante dalla commissione rifiuti: il maresciallo Domenico Scimone, che faceva parte del gruppo di investigatori coordinati dalla procura di Reggio Calabria, ha raccontato di aver visto anche una copia del primo lancio di agenzia sulla morte di Alpi e Hrovatin. Anche in questo caso questo documento, come il certificato di morte, è sparito dalle carte dell'inchiesta. C'è una parte, però, della lunga storia di Giorgio Comerio che non è stata fino ad oggi approfondita. Nell'ottobre del 1996 - quando l'inchiesta sui traffici radioattivi e sulle navi dei veleni era passata alla Dda - venne arrestato dalla Procura di Bolzano, per una storia di tangenti chieste come perito ed esperto della tecnologia Georadar ad un imprenditore del nord, finita con una condanna a quattro anni per tentata estorsione. Negli atti di quel processo - che il manifesto ha potuto visionare - appaiono altri piccoli tasselli utili oggi per capire gli interessi di quello che il ministro Giovanardi definì «noto trafficante».
«Odio tutti i procuratori»
Non sospettava neanche di essere ascoltato Giorgio Comerio quando stringeva un accordo con l'imprenditore Guido Agostini. Si era presentato proponendo di sistemare una perizia sulla tratta ferroviaria Verona-Brennero e chiedeva in cambio 30 milioni di euro. E come spesso accade in questi casi, i due si incontrarono a pranzo, lontani da occhi indiscreti, per concludere l'affare. Agostini, però, aveva deciso di collaborare con la Guardia di Finanza e portava con se un microfono nascosto. «Io li odio tutti questi Procuratori - spiegava Comerio prima di una zuppa d'orzo - sono degli idioti». Tra una portata e l'altra parlava dei suoi affari, del suo passato di imprenditore internazionale - «da trentanni sono residente all'estero, e non ho problemi», spiegava del periodo passato in Argentina. «Desaparecidos?», gli chiede Agostini. «No, affari immobiliari», spiegava Comerio. Poi l'argomento cade su quell'inchiesta di Reggio Calabria: «Guardi, quando ci sono queste indagini, mi incazzo come una iena - diceva -. Le dico, sono in mezzo ad una situazione con cinque miliardi per le mani a Reggio Calabria...». Una cifra enorme per l'epoca. Cosa si nascondeva dietro quei cinque miliardi? Sarà una delle risposte che Comerio dovrà dare alla commissione rifiuti, quando finalmente verrà trovato.
I contratti con l'Ucraina
Su una cosa non c'è dubbio: per Comerio il nucleare aveva un fascino particolare. La sua agenda del 1995 - sequestrata dalla Procura di Bolzano - è piena di riferimenti, anche istituzionali, all'industria nucleare. Ci sono tracce di account per i database dell'Aiea, l'organizzazione internazionale dell'energia atomica; ci sono indirizzi e numeri di telefono di funzionari europei, sotto la chiara dicitura «gestione e stoccaggio di rifiuti radioattivi»; e, infine, sono segnate in evidenza le date di incontri internazionali sempre della Aiea sul tema. Ma c'è di più. Durante la perquisizione della sua abitazione disposta dai magistrati di Bolzano venne trovato anche un contratto firmato con la società ucraina Joint-Stock Venture Prometey. La prima parte dell'accordo prevede l'inabissamento dell'amianto; subito dopo, però, Giorgio Comerio specifica: «se volete estendere la licenza ai rifiuti radioattivi, l'Odm pagherà il doppio». Un accordo firmato il 22 gennaio del 1996, quando il gruppo di investigatori che seguiva Comerio da un anno e mezzo si era ormai sfaldato, dopo la morte del capitano di corvetta Natale De Grazia.
La Northwest Compact aveva già deciso di fare appello contro la sentenza del giudice federale che di recente ha in pratica autorizzato lo stoccaggio dei rifiuti nucleari italiani nel deposito di Clive, nel deserto dello Utah. La Northwest Compact vuole portare il caso alla 10th U.S. Circuit Court of Appeals di Denver. La compagnia che ha ricevuto il permesso allo scarico è la EnergySolutions Inc., con sede a Salt Lake City. La compagnia vuole importare 20.000 tonnellate di scorie a basso livello di radioattività dall’Italia. Dopo un periodo di lavorazione a Tennessee circa 1.600 tonnellate dovrebbero essere scaricate nello Utah.
SCORIE NUCLEARI: scorie nucleari italiane Neppure lo Utah le vuole
Continua la polemica sulle scorie italiane da importare negli Stati Uniti. Anche lo Stato dell’Utah si unirà agli stati della Northwest Compact on Low-Level Radioactive Waste, l’organismo incaricato di gestire lo stoccaggio di materiali radioattivi. Per bloccare i piani della EnergySolutions Inc, la compagnia che ha ricevuto l’autorizzazione per importare scorie radioattive, tra cui quelle italiane, nel deposito di Tooele County, nello Utah.
martedì 1 febbraio 2011
PRO S’INDIPENDENTZIA
ma cun s’ànima ‘e niaxis...″
(Siamo isola. Isola sola/ ma con l’anima di moltitudini...)
- P. Alcioni -
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IL DIBATTITO SCALDA IL CUORE E GLI ANIMI DI TUTTI NOI SARDI.
ABBIAMO NECESSITA' DI AVERE UN CONFRONTO UTILE SULLE NOSTRE IDEE, SULL'INDIPENDENZA DELLA SARDEGNA, SUPPORTATO DALLA NOSTRA CONSAPEVOLEZZA NEL RISPETTO DI TUTTE LE SOGGETTIVITA' ESISTENTI DENTRO E FUORI LA NOSTRA TERRA.
LA MOLTITUDINE NAZIONALE, RISPETTA CON COSCIENZA E RISPETTO LA DETERMINAZIONE APERTA A L'INCONOSCIUTO SISTEMA DI IDEE NUOVE PRO S'INDIPENDENTZIA, IDEE DETTATE DA ETICA POLITICA, DA UMANA DISPONIBILITA', DA CAPACITA' DURATURA DELL'ESISTENZIALE ESSERE NAZIONE .
LE BASI DE S'INDIPENDENTZIA, SONO NOSTRA NECESSITA', PER AVERE MOTIVO DI LIBERTA', MOTIVO DI LIBERA ESPRESSIONE, DI SCELTA SUL FUTURO E SUL PRESENTE DELLA NOSTRA TERRA E NAZIONE SARDA.
PER QUESTO MOTIVO, VOGLIAMO PORTARE ALL'ATTENZIONE DI TUTTA LA MOLTITUDINE, I VALORI , GLI ASPETTI DI DIBATTITO, CHE PERMEA LA NOSTRA CAPACITA' DI PENSARE E DI REALIZZARE INDIPENDENZA.
SAYLI VATURU.
METTIAMO A DISPOSIZIONE UN CAPITOLO DEL LAVORO DI BACHISIO BANDINU, CHE NOI, REPUTIAMO OPERA OMNIA NELLE NOSTRE IDEE FORZA PER LA LIBERTA'.
PRO S'INDIPENDENTZIA
Pro s’indipendentzia indica l’itinerario in cui mettersi in cammino. annuncia un tempo nuovo: dice che il popolo sardo assume su di sé la piena responsabilità di governarsi, afferma che ciascun sardo è chiamato all’impresa della politica. Si interroga su qualcosa di straordinario e di decisivo: che cosa vogliamo fare di noi stessi? Bi semus o no bi semus? Noi sardi vogliamo esserci: desiderio e volontà di farci artefici del nostro destino politico. Dinanzi a noi si apre un nuovo orizzonte di partecipazione e responsabilità: ci sono tante cose da fare e le vogliamo indirizzare secondo i nostri intendimenti, le vogliamo compiere secondo il nostro programma.
Ci siamo consumati nel tempo del risentimento e della rivendicazione, ora basta, non vogliamo, anche per gli anni a venire, continuare a lamentarci che le cose procedano in un modo che non ci piace, che ci esclude e ci umilia. Siamo chiamati a vivere intensamente, non a sopravvivere. Siamo chiamati all’invenzione, non alla resistenza. Non pretendiamo risarcimenti , intendiamo fare investimenti a nostro profitto, per la nostra crescita.
Pro s’indipendentzia non è un ideale, è invece un’operazione pragmatica: si pensa, si dice, si fa, si ama. Le cose non avvengono secondo l’idealità, le cose avvengono secondo l’operare: il ruolo di ciascuno, qualunque esso sia, è del tutto essenziale per la riuscita dell’impresa.
Pro s’indipendentzia non va riferita ad un futuro indeterminato. Appartiene all’urgenza e alla responsabilità del presente. Chi dice che i tempi non sono maturi crede che il tempo debba maturare per conto suo, come frutto di stagione. E’ una concezione passiva che chiude la frontiera del tempo e nega la sua apertura. In verità il tempo non è mai in ritardo e non è mai in anticipo: la sua attualità dipende dalle nostre scelte, prende la forma del nostro operare e la misura del nostro passo. Chi dice di attendere il tempo giusto subisce il tempo governato da altri e continua a servire il padrone del tempo.
Chi afferma che non siamo all’altezza per conquistare la piena sovranità ha il complesso del nano. All’altezza di chi? Di chi è più alto di noi? Si, dunque c’è qualcuno che ci sovrasta: lui sì che è all’altezza! E infatti ci domina dall’alto. In verità si è sempre all’altezza delle proprie aspettative, se c’è speranza progettuale, se c’è fede nel realizzare i propri desideri e nell’attuare i propri programmi.
Non è convincente la tesi che prima bisogna raggiungere l’indipendenza economica e fiscale e poi quella politica come se esistessero compartimenti stagni. E’ proprio l’indipendenza politico-istituzionale che mette in moto una nuova economia e un nuovo modello fiscale. Lo spirito e le ragioni che caratterizzano l’indipendentismo sardo non coincidono con il modello padano che difende la propria ricchezza sperperata da Roma ladrona, la Sardegna invece vuole riscattare la propria debole economia governandosi da sé, liberandosi dai condizionamenti che ne impediscono lo sviluppo.
Si sente spesso dire che la Sardegna ha grandi potenzialità. Pare un’affermazione gratificante e piena di non so bene quali promesse, in realtà è un modo di rimandare l’azione a tempo indeterminato. Non ci interessa il potenziale, che poi non sappiamo bene cosa sia, ci interessa invece l’atto, la decisione, la realizzazione dei nostri progetti.
S’indipendentzia non è un’utopia, qualcosa di meraviglioso ma di irranggiungibile, è invece un processo in atto e ciascuno vi concorre secondo la propria passione, secondo la propria volontà e intelligenza, secondo l’amore delle cose e degli eventi. Il poeta nuorese ha scritto: “Se l’aurora arderà su’ tuoi graniti/Tu lo dovrai, Sardegna, ai tuoi figli”. I nuovi figli non appartengono al futuro, operano nel presente: allora il futuro non è più il fantasma dell’utopia, è più semplicemente l’avvenire, cioè le cose che a mano amano avvengono e si compiono percorrendo la strada voluta.
S’indipendentzia non è un concetto che se ne sta in in una nicchia arcana, al contrario esiste e si fa nella concreta esperienza del percorso: essere in cammino significa già sperimentare la sua qualità. Non si pone come punto d’arrivo, quasi fosse una meta da raggiungere una volta per tutte, è un cammino di libertà che si conquista continuamente. E’ un’impresa: progetto, programma, investimenti, invenzione e profitto. Profitto vuol dire qualità della vita della gente sarda, presenza attiva del cittadino a farsi della politica. Ciascuna impresa chiama a un fare e a un dire che rifiuta il luogo comune, il già masticato, il sapere già dato e conformato. l’impresa chiede stima di sé e fede nel proprio operare. La fede è anche una virtù laica e senza le opere è morta. Non è credenza che prima o poi le cose avverranno, è fiducia nella cose che si fanno, che avvengono e divengono secondo obbiettivi.
Dove ci condurrà l’indipendenza? E’ una domanda che viene posta con sospetto e spesso a giustificazione di una rinuncia. C’è chi pretende cdi conoscere in anticipo l’esito del viaggio, già prima di mettersi in cammino, secondo la psicologia del colpo sicuro: la pretesa di un sapere prima dell’esperienza. Si presume di valutare le cose prima di farle. E invece è proprio nel procedere che si decidono gli indirizzi e si aprono prospettive. Il viaggio è invenzione, è un’opera aperta, ricca di sorprese e di novità. Chi pretende la garanzia del tempo avvenire e vuole avere già in tasca la cambiale sicura del suo profitto non è uomo di impresa. Il suo ragionamento è: “Non so come l’impresa vada a finire, per ciò non mi ci metto neppure”. L’indipendenza ci conduce verso traguardi sempre nuovi che noi vogliamo e che siamo capaci di raggiungere, traguardi di libertà e di forte coscienza politica.
Pro s’indipendentzia parte dalla realtà del proprio presente,qualunque esso sia,per osservare dove siamo e dove dobbiamo andare. Spesso interviene una visione pessimistica che si ammanta di buon senso e di saggezza: s’indipendentzia sarebbe anche una bella cosa, ma occorre essere realisti e la realtà ci dice che si tratta di un obiettivo irrealizzabile. Nella storia della Sardegna c’è sempre stata una realtà che ha impedito un cammino di libertà, è stato costante il richiamo a un realismo che ci ha fatto percorrere strade imposte dai dominatori . Questo invito a essere realisti esprime il realismo dell’impotenza, conferma l’accettazione della dipendenza, senza prospettiva di cambiamento.
Chi suggerisce di non fare il passo più lungo della gamba, non ha ne gamba ne passo. E quando si dice che la politica è l’arte del possibile, ci si deve chiedere chi stabilisca la misura del possibile. Non è una misura che può essere determinata dai politici della subalternità o dagli intellettuali assimilati. La politica come arte del possibile appartiene e risponde alle esigenze economiche e sociali del popolo sardo, al suo desiderio di un cambiamento radicale, capace di conquistare una vera soggettività. Dietro la giustificazione del realismo si nasconde una convinzione e una motivazione precisa: l’indipendenza non ce la concedono e dunque è inutile chiederla. E’ l’autocertificazione della sconfitta.
Il fatto è che l’indipendenza è qualcosa che viene concessa né è qualcosa che si chiede timidamente. L’indipendenza si conquista democraticamente, secondo proprio diritto, secondo un proprio dovere.
Come ricorre, nel discorso sardo, la parola indipendentzia e quale significato le si attribuisce?
Certamente è una parola che per molti fa problema, in qualche modo crea persino allarme, E’ una parola perturbante e procura inquietudine, eppure etimologicamente è un termine bellissimo: indica un’apertura di liberazione e soprattutto un’apertura di libertà. E invece è come se la parola si fosse incrostata di materiale pericoloso, per così dire radioattivo.
Se chiedete ai cittadini sardi:” Siete favorevoli alla piena sovranità della Sardegna?”, tutti vi diranno di si. Se chiedete: “Volete l’autodeterminazione, del popolo sardo?” , avrete una risposta unanimemente affermativa. E quando precisate che cosa si intenda pe sovranità e autodeterminazione, la risposta è inequivocabile:”Vogliamo che i sardi si governino da sé, nella nella piena responsabilità delle proprie scelte”. Insomma la gente non fa sottili distinzioni giuridiche fra indipendenza , sovranità, autodeterminazione: sono termini che in concreto vengono ricondotti a un medesimo significato.
Eppure se alle stesse persone chiedete: “Siete favorevoli all’indipendenza della Sardegna?”, la domanda fa problema, qualcosa si mette di traverso. Le risposte diventano ambigue e cominciano a porre dei distinguo, con precisazioni e con attenuazioni. Evidentemente la parola indipendentzia crea allarme. sospetto, innesca associazioni mentali negative o comunque destabilizzanti. Ma perché piena sovranità e autodeterminazione non fanno problema e vengono benevolmente accettate? E dunque, perché indipendentzia da parola di speranza si trasforma in parola di paura, da parola di libertà diventa disordine e persino terrorismo? Eppure indipendentzia vuol dire liberazione
da uno stato di dipendenza. In senso specificamente politico è l’atto che sancisce, con una propria costituzione, l’autogoverno, senza ingerenze esterne. Popolo sardo sovrano, nazione sarda, sovrana. Ma allora perché piena sovranità è liberante, augurante e invece indipendentzia è allarmante, inquietante?
Ci sono almeno due spiegazioni . La prima è questa: indipendentzia viene associata a separatismo: un fantasma lacerante che indica la separazione di una parte dall’intero. Rimarca un distacco, uno strappo violento, psicologicamente rimanda a una perdita ce alimenta il fantasma dell’abbandono, della solitudine e della insicurezza. Uno sgomento che si manifesta nelle espressioni : ce la faremo da soli? Si tratta di un fantasma molto potente perché pone una domanda estrema, esistenziale: come faremo a sopravvivere?
Il fatto è che una lunga dipendenza ha creato la psicologia della sudditanza che, seppure sofferta e osteggiata, continua a offrire una certa garanzia di sopravvivenza e che però ci impedisce di camminare con le nostre gambe.
In verità indipendentzia non è separatismo, al contrario instaura una nuova relazione paritaria. Non c’è violenza, c’è un nuovo contratto, senza sudditanza ed egemonia, nel rispetto reciproco e con pari dignità. Non c’è la metafora corporea di uno strappo che sanguina: pacificamente la Sardegna decide la sua sovranità creando un nuovo rapporto tra due Stati sovrani, all’interno di una comune appartenenza all’Europa.
Il secondo aspetto negativo sarebbe il carattere violento della lotta, tipico dei movimenti indipendentisti e non solo di Europa. Così nasce la paura degli attentati e delle bombe, l’insicurezza e la conflittualità permanente e persino i costi umani di vittime innocenti. Nulla di tutto ciò.
Pro s’indipendentzia è costitutivamente pacifica sia come scelta etica di pratica di vita, sia come radicamento e conferma di principi democratici: il rispetto della maggioranza cha ha diritto di governare. Se gi indipendentisti sono minoranza, non possono e non devono imporre, in nessun modo, la volontà su una maggioranza che è legittimamente contraria. Si tratta di far valere la bontà delle loro tesi e mostrare alla gente la qualità dei loro programmi, ma se il popolo sardo, nella sua maggioranza , non vuole l’indipendenza, è giusto che non ci sia l’indipendenza.Chi impone con le armi, con le intimidazioni, le proprie idee crede nel separatismo armato che è proprio il contrario dell’indipendenza.
Ma bisogna fare ancora una passo avanti. Nell’orizzonte dell’indipendenza della Sardegna deve scomparire persino il concetto di nemico, finisce quella logica contestativa del periodo autonomistico ce ci ha logorato in battaglie sempre frustranti e che ci ha abituato al bisogno di avere sempre un avversario di fronte.
Occorre dunque restituire alla parola indipendentzia il suo preciso significato politico ed etico, per liberarla di tutte le incrostazioni e attribuirle i valori di libertà, di democrazia, in modo che entri nel dibattito politico pubblico per quello che è effettivamente. E cioè: da una parte dichiarazione del popolo sardo a esercitare la sua piena sovranità e a specificarla nella forma di una piena costituzione, dall’altra parte attuazione di un nuovo patto con i cittadini nella forma di una democrazia partecipata, con dispositivi di controllo, nuovi rapporti con le autonomie locali che costituiscono la base democratica della partecipazione popolare, con forte accentuazione di comunità politica a gestione responsabile.
La parola indipendentzia non è ideologia né disciplinare né confessionale. Nessuno la possiede, nessuno l’amministra. Non appartiene ad un codice corporativo; ciascuna persona parlando e ascoltando ne intende il valore di libertà nella sua pratica attuazione.
Oggi in Sardegna c’è un parlare disperso, fatto di sfiducia e risentimento: un rimuginare in privato, un chiacchiericcio di gruppi che non diventa opinione pubblica come consapevolezza di propositi e decisioni collettive.
Si vive in un tempo di depressione e di scetticismo. Una esperienza di crisi vissuta dentro la famiglia e la comunità, dentro la fabbrica e dentro la scuola, nella bottega artigiane e nella piccola impresa, nei campi della pastorizia e dell’agricoltura. C’è la consapevolezza di essere frenati, condizionati, impediti, per cui non riusciamo a valorizzare pienamente le nostre risorse materiali e umane. Per chi crede nell’indipendenza, la coscienza della crisi non è motivo di scoraggiamento, anzi è un dispositivo per avviare il cammino del rinnovamento. Ciascuno di noi, nell’operare comune, ha risorse per cambiare le cose. La Sardegna è attanagliata da gravi problemi ma ha capacità di risolverli perché ha importanti decisioni da prendere: le scelte sono quelle fatte insieme.
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mercoledì 19 gennaio 2011
Diossina: la regina della morte chimica passa nel pranzo delle moltitudini
Le Diossine sono cancerogene e mutagene.
E' indispensabile partire dalla rivendicazione di messa al bando della produzione delle diossine, inoltre tali sostanze chimiche, sono nate con specifici obiettivi militari (Agente Arancione , VietNam) , ma vengono usate sopratutto in agricoltura come diserbanti.
Le diossine si accumulano nei vegetali e negli animali, ed entrano a far parte del ciclo alimentare umano essendo presenti nelle derrate alimentari, si parte dalle verdure fino alle carni, e le uova tramite mangimi contaminati, arrivando come cibo sulle nostre tavole, contaminando i corpi di uomini donne e bimbi ignari.
Per avere più sicurezza dobbiamo iniziare una politica di gruppi di aquisto diffusi, entrando nella logica della filiera corta e dei controlli presso i contadini dei concimi e pesticidi usati, per evitare questo bisogna volgerci alla coltivazione biologica e biodinamica ... invitiamo i contadini a rivolgersi per l'acquisto di sementi biologichje e biodinamiche ad aziende verdi specializzate come Arcoiris
agricoltura biologica e biodinamica
DOBBIAMO GRIDARE FORTE LA NOSTRA DISAPPROVAZIONE E OPPOSIZIONE ALL'USO DI DISERBANTI, SIA IN AGRICOLTURA CHE NELLA PULIZIA DEI MARGINI DELLE STRADE TRA CUI QUELLE FERRATE.
LE DIOSSINE OLTRE AD INQUINARE L'AMBIENTE CIRCOSTANTE, CON IL TEMPO , ESSENDO LE SUE MOLECOLE PESANTI, CALANO FINO ALLE FALDE ACQUIFERE, COSI' LA BEVIAMO SENZA SAPERE DI BERE VELENO COME FANNO IN ITALIA DALL'INCIDENTE ALL'ICMESA, IN BRIANZA NELLA ZONA DI SEVESO.
MOVIMENTARSI PER NON SUBIRE
AGIRE PER NON MORIRE
SA DEFENZA
Contaminazioni ambientali
Germania - BASF 1953
Vietnam - 1961-1975
Italia - Seveso 1976
Stati Uniti, Love Canal - 1978
Stati Uniti, Times Beach, Missouri 1971 - 1983
Italia - Taranto, Il caso Ilva
Le diossine, nel loro insieme sono molecole molto varie a cui appartengono composti cancerogeni. Ad esse vengono ascritti composti estremamente tossici per l'uomo e gli animali, arrivando a livelli di tossicità valutabili in ng/kg, sono tra i più potenti veleni conosciuti.
Viene classificata come sicuramente cancerogena e inserita nel gruppo 1, Cancerogeni per l'uomo dalla IARC, dal 1997 la TCDD.
Anche secondo le norme giuridiche di molti paesi molte diossine sono ormai agenti cancerogeni riconosciuti.
Sono poco volatili per via del loro elevato peso molecolare, poco o nulla solubili in acqua (circa 10−4 ppm), ma sono più solubili nei grassi (circa 500 ppm), dove tendono ad accumularsi. Proprio per la loro tendenza ad accumularsi nei tessuti viventi, anche un'esposizione prolungata a livelli minimi può recare danni. Le diossine causano una forma persistente di acne, nota come cloracne; sugli animali hanno effetti cancerogeni ed interferiscono con il normale sviluppo fisico.
È stato inoltre dimostrato che l'esposizione alla diossina può provocare l'endometriosi.(L'endometriosi è una malattia cronica e complessa, originata dalla presenza anomala del tessuto che riveste la parete interna dell’utero, endometrio, in altri organi quali ovaie, tube, peritoneo, vagina, intestino, provocando sanguinamenti interni, infiammazioni croniche e tessuto cicatriziale, aderenze ed infertilità.)
Mediamente il 90% dell'esposizione umana alla diossina, eccettuate situazioni di esposizione a fonti puntuali (impianti industriali, inceneritori ecc.), avviene attraverso gli alimenti (in particolare dal grasso di animali a loro volta esposti a diossina) e non direttamente per via aerea: il fenomeno del bioaccumulo fa sì che la diossina risalga la catena alimentare umana concentrandosi sempre più, a partire dai vegetali, passando agli animali erbivori, ai carnivori ed infine all'uomo. L'emivita della TCDD nell'uomo varia da 5,8 a 11,3 anni (Olson 1994) principalmente in funzione di livello metabolico e percentuale di massa grassa; varia tra 10 e 30 giorni nei roditori (dati IARC [8]). La tossicità, espressa come LD50 è sensibilmente specie specifica (esempio LD50 somministrazione per via orale nella cavia è di 500.0 ng/kg nel caso di TCDD).
Contaminazioni delle derrate
Belgio: i polli alla diossina - 1999
Mangimi animali di produzione tedesca - 2003
Polli e suini: Olanda, Belgio, Germania - 2006
Addensanti in yogurt e altri alimenti: Svizzera ed Unione Europea - 2007
Italia - Campania 2007
Irlanda 2008
Germania 2010
Diossina di Germania
http://www.altrenotizie.orgdi Emanuela Pessina
BERLINO. Cresce ulteriormente lo scandalo diossina in Germania e, nel frattempo, Berlino cerca colpevoli da decapitare: un’azione politica, tuttavia, che non basta a ridare fiducia ai consumatori tedeschi. Perché, secondo un’indagine presentata dal settimanale Der Spiegel, il controllo della qualità dei prodotti alimentari in Germania è sistematicamente inaffidabile e ora, più che il sacrificio politico di qualsiasi capro espiatorio, dal Governo ci si aspetterebbe una riforma concreta delle procedure di garanzia.
Tutto è cominciato la settimana scorsa, quando l’azienda produttrice di mangimi per animali Harles und Jentzsch (che si trova in Schleswig-Holstein, Germania del Nord, ma che risulta registrata nella Bassa Sassonia, a Nord-Ovest) è stata indagata per la produzione di foraggi inquinati dalla diossina. Secondo le ultime indagini, Harles und Jentzsch non avrebbe fornito alle autorità una lista completa dei propri clienti: la scoperta di un nuovo rivenditore ha condotto alla chiusura di altri 934 allevamenti. L’informazione, tuttavia, è giunta a Berlino con estremo ritardo.
Non si sono fatte attendere le reazioni da parte del Governo. Il ministro per la Tutela dei consumatori, Ilse Aigner (CSU), da parte sua ha chiesto che i responsabili paghino in prima persona. In particolare, Aigner ha sollecitato le dimissioni del ministro dell’Ambiente della Bassa Sassonia, Hans-Heinrich Sander (FDP) e del suo sottosegretario, responsabili di non averla informata tempestivamente. Aigner ha inoltre invitato il presidente del Land in questione, David McAllister (CDU), a prendere provvedimenti. Tante parole, tuttavia, che potrebbero non bastare a risolvere il problema.
In Germania la sicurezza alimentare viene garantita ai cittadini attraverso il sistema del Qualitaetssiegel (QS), un marchio di qualità rilasciato da alcuni istituti privati dopo regolari analisi di laboratorio di campioni di produzione. Il contrassegno QS è sinonimo di qualità sia per i consumatori che per lo Stato: supermercati e negozi accettano soltanto merce con il suddetto bollino e le autorità tedesche tralasciano volentieri di controllare ufficialmente le aziende già certificate QS.
In realtà, il sistema QS non è all’altezza della fiducia che gli si accorda quotidianamente, poiché le analisi dei campioni alimentari avvengono secondo una procedura a dir poco bislacca: basti pensare che, dal 2003, anche Harles und Jentzsch era regolarmente certificata QS. Gli istituti di controllo (privati) autorizzati concedono piena autonomia alle aziende: sono i produttori stessi - contadini e macellai, così come industrie di mangime - a scegliere quando e come sottoporsi agli accertamenti; sono le aziende stesse a prelevare i campioni dalla propria produzione e a inviarli ai laboratori che più li aggradano tra quelli approvati dallo Stato. In pratica, non esistono controlli a sorpresa. Un po’ troppa emancipazione, a quanto pare, anche per l’irreprensibile Germania.
Il sistema QS è stato introdotto nel 2001 in seguito allo scandalo dell’encefalopatia spongiforme bovina (BSE), di cui si sono trovati alcuni casi anche in Germania. Oltre alle dimissioni del ministro dell’Agricoltura e di quello della Salute, la crisi della mucca pazza ha palesato la necessità di un controllo più attento della catena alimentare. Con il polverone mediatico, tuttavia, è scomparsa anche l’urgenza e la politica si è accontentata dei buoni propositi dei protagonisti dell’industria alimentare, che hanno appunto promosso il sistema QS. Un metodo, tuttavia, che lascia la sicurezza dei consumatori tedeschi nelle mani dei produttori stessi.
In sostanza, più che una certificazione effettiva di qualità, il bollino QS sembra essere un doping da commercio, un fattore indispensabile ai produttori per mantenere un certo tenore di prezzi. Perché, senza QS, i prodotti sono pagati meno. In occasione dello scandalo diossina, il ministro per la Tutela del consumatore Aigner ha presentato un mini-programma di riforma in dieci punti, che non va comunque a migliorare il sistema là dove ce n’è bisogno. Aigner, inoltre, ha sollecitato l’intervento dell’Unione Europea, accordando nel frattempo ancora piena fiducia all’economia.
Negli ultimi anni, tra l’altro, si è diffusa un’insana concorrenza tra i produttori, determinata dall’aumento sproporzionato della produzione di carne e dal conseguente calo dei prezzi (si parla della nostra società, chiaramente, una società che consuma più del necessario e si arroga il diritto di buttare il surplus). Se si considerano questi fattori, forse, lo scandalo della diossina può anche non sorprendere più di tanto.
Quanto più cresce la competizione, tanto più aumenta il rischio di azioni criminali nell’ambito dell’industria alimentare che assicurino un tenore di vendite altrimenti impensabile. A farne le spese, chiaramente, la qualità: così si arriva all’alto tasso di diossina nelle uova, che indica la presenza di combustibile vecchio e rifiuti industriali nel foraggio dei polli, o alla presenza di ormoni e antibiotici nella carne di maiale, dovuta allo smaltimento di medicinali nel rispettivo mangime.
Tanto rumore per nulla, quindi: fino a che punto ci si aspettare qualità in condizioni di sopravvivenza economica e con un sistema di controllo della qualità tanto tollerante? Come si può lasciare tanta autonomia a produttori che devono fare i conti, a fine mese, con un bilancio aziendale e non con la nostra salute?
a cui appartengono cancerogeni riconosciuti
per l'uomo, ed alcuni dei più potenti
composti tossici conosciuti.
wikipedia
Le diossine, dal punto di vista della nomenclatura chimica, sono una classe di composti organici eterociclici la cui struttura base consta di un anello con quattro atomi di carbonio e due di ossigeno.
Si ripartiscono in due categorie, entrambe derivate da composti di formula bruta C4H4O2.
Tra le circa 200 diossine stabili conosciute, le più note sono le dibenzodiossine policlorurate, composti aromatici la cui struttura consiste di due anelli benzenici legati da due atomi di ossigeno e con legati uno o più atomi di cloro. Gli anelli benzenici stabilizzano la struttura della molecola.
Gli isomeri che hanno il cloro nella posizione 2, 3, 7 e/o 8 sono quelli più tossici.
Le diossine alogenate si bioaccumulano con emivita variabile a seconda delle molecole degli organismi e delle condizioni degli stessi[1].
La più nota e pericolosa di esse, per contaminazioni ambientali e alimentari, è la 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina, spesso indicata con l'abbreviazione TCDD.
Come si legge la tracciatura delle uova, diventata obbligatoria dal primo gennaio 2004?
Sul guscio dell'uovo trova
- La prima cifra identifica il metodo dell'allevamento: 0 allevamento biologico, 1 allevamento all'aperto (cioè in uno spazio di almeno 4 mq con vegetazione in cui le galline possono razzolare almeno due ore al
IT - Lo stato dove l'uovo è stato prodotto. 123 - Il codice Istat del comune sede dell'allevamento. PV - La provincia dove ha sede l'allevamento. 034 - Numero di identificazione dell'allevamento. A volte tale numero è seguito da una lettera che identifica il gruppo di galline ovaiole all'interno dell'allevamento. Se l'uovo è prodotto al di fuori dei paesi dell'Unione europea la dicitura sugli imballaggi è "sistema di allevamento indeterminato".
Sull'etichetta della confezione deve essere riportata la data di scadenza, per legge 28 giorni dopo la deposizione. Si deve notare che le uova devono essere ritirate dagli scaffali del supermercato una settimana prima della scadenza, per evitare che al consumatore distratto resti poco tempo per il consumo.
Altre informazioni presenti per legge sull'etichetta sono: la data di consumo preferibile, la categoria di qualità e di peso, il numero di uova confezionate, il nome e la ragione sociale o il marchio del centro di imballaggio, le modalità di conservazione. Informazioni facoltative sono: data di deposizione, data di imballaggio, tipo di alimentazione fornita alle galline.
In Italia la maggior parte di uova appartiene al metodo di allevamento 3, ben il 96% del totale. Un po' meglio la situazione europea, dove l'allevamento in gabbia copre "solo" l'87% del prodotto globale.
lunedì 17 gennaio 2011
La fine della recessione? Chi inganna chi?
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Immanuel Wallerstein | ||
Tradotto da Alba Canelli |
I media ci dicono che la "crisi" economica è finita, e che l'economia-mondo è tornata alla sua modalità normale di crescita e di profitto. Il 30 dicembre, Le Monde riassume questa sensazione in uno dei suoi soliti e brillanti titoli di sempre: "Gli Stati Uniti vogliono credere in una ripresa economica". Esatto, loro "vogliono credere," e non solo la gente degli Stati Uniti. Ma è così?
Prima di tutto, come ho detto più volte, non siamo in una recessione, ma una depressione. La maggior parte degli economisti tendono ad avere definizioni formali di questi termini, basate principalmente sull' aumento dei prezzi nei mercati azionari. Utilizzano questi criteri per dimostrare la crescita e il profitto. E i politici al potere sono felici di sfruttare questa assurdità. Ma né la crescita né il guadagno sono le misure appropriate.
Ci sono sempre alcune persone che ottengono guadagni, anche nel peggiore dei tempi. La questione è quante persone, e quali persone. In tempi "buoni," la maggior parte della gente gode di miglioramenti in situazioni materiali, anche se vi sono notevoli differenze tra quelli che sono in cima e quelli in fondo alla scala economica. Una marea crescente solleva tutte le barche, come si suol dire, o almeno la maggior parte delle barche. Ma quando l'economia-mondo ristagna, come è stato per l'economia-mondo fin dal 1970, accadono diverse cose. La quantità di persone che sono abituate a guadagnare e quindi ricevere un reddito minimo adeguato, diminuisce notevolmente. E per questo, i paesi cercano di esportare la loro disoccupazione a vicenda. Inoltre, i politici cercano di negare l'accesso agli anziani pensionati e giovani che non sono ancora in età lavorativa, con lo scopo di placare gli elettori che rientrano in categorie comuni dell' età lavorativa.
Se valutiamo la situazione paese per paese, è per questo che ci sono sempre un certo numero di questi, dove la situazione è meglio di molti altri. Ma quali paesi sembrano essere in una situazione migliore è una cosa che varia con una certa rapidità, come è avvenuto negli ultimi 40 anni. Inoltre, mentre la situazione di stallo continua, il quadro negativo si sviluppa e cresce, motivo per cui i media cominciarono a parlare di "crisi" e i politici a cercare pronti rimedi. Hanno chiesto l' "austerità," che significa ridurre ulteriormente le pensioni, l'istruzione e l'attenzione all'infanzia. Sgonfiano la loro moneta, se questo gli è possibile, al fine di ridurre temporaneamente il loro tasso di disoccupazione a scapito dei tassi di disoccupazione di un altro paese.
Consideriamo il problema delle pensioni statali. Nel 2009, uaa piccolo cittàin Alabama ha esaurito il suo fondo pensione. Si dichiarò in bancarotta e smise di pagare le sue pensioni, violando la legge statale gli imponeva di farlo. Come precisò il New York Times, "non sono solo i pensionati quelli che soffrono quando un fondo pensione si prosciuga". "Se una città cerca di rispettare la legge e pagare un pensionato con denaro della sua finanziaria, probabilmente dovrà adottare notevoli aumenti di tasse o realizzare massicci tagli nel settore dei servizi, per raccogliere il denaro." "Gli attuali lavoratori urbani potrebbero pagare un piano pensionistico che non sarà lì per il loro pensionamento".
Ma questo è un problema che si profila in ogni stato degli USA che, per legge, deve avere bilanci in pareggio, il che significa che non possono ricorrere a prestiti per soddisfare le proprie esigenze di bilancio. E c'è un problema parallelo in ogni nazione che è nella zona euro che non può sgonfiare le sue valute per soddisfare le sue esigenze di bilancio, che ha fatto sì che la sua capacità di ottenere prestiti comporti costi insostenibili ed esorbitanti.
Ma che cosa, si può chiedere a quei paesi in cui si dice che l'economia "fiorisce", come la Germania, e più in particolare della Germania, in Baviera, chiamato da alcuni "il mondo dei felici." Perché succede allora che gli abitanti della Baviera "sentono un malessere" e sembrano "sopraffatti ed incerti della loro salute economica?" Il New York Times osserva che "(in Baviera) c'è un' opinione diffusa che la buona fortuna della Germania ..." "è arrivata a spese dei lavoratori, che negli ultimi 10 anni hanno sacrificato stipendi e benefici per rendere i loro datori di lavoro più competitivi..."
"Infatti, parte della prosperità proviene dal fatto che le persone non ottengano la protezione sociale che dovrebbero avere".
Bene, allora, almeno c'è il buon esempio delle "economie emergenti" che hanno mostrato una crescita sostenuta nel corso di pochi anni, soprattutto nei cosiddetti paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina). Guardiamo meglio. Il governo cinese è molto preoccupato per le disinvolte pratiche di concessione di prestiti della banche cinesi, che sembrano essere una bolla, e che conducono alla minaccia di inflazione. Un risultato è il forte aumento dei licenziamenti in un paese dove la rete di sicurezza per i disoccupati sembra essere scomparsa. Nel frattempo, il nuovo presidente del Brasile, Dilma Rousseff, ha detto preoccupata che la "sopravvalutazione" della valuta brasiliana si unisce a quello che lei percepisce come deflazione della moneta americana e della Cina che minacciano la competitività delle esportazioni brasiliane. E i governi di Russia, India e Sud Africa, tutti mostrano i primi segni di insoddisfazione da ampi segmenti della loro popolazione che non sembra aver ricevuto i benefici della presunta crescita economica.
Infine, non da meno, vi sono notevoli aumenti dei prezzi dell'energia, cibo e acqua. Questo è il risultato della combinazione di una popolazione mondiale in crescita e l'aumento della percentuale di persone che chiedono di averci accesso. Ciò implica una lotta per raggiungere questi beni di prima necessità, una lotta che potrebbe rivelarsi mortale. Ci sono due possibili esiti. Uno è che un gran numero di persone a riducano il livello di domanda che è il più improbabile. Un altro è che la mortalità della lotta termini riducendo la popolazione mondiale e quindi meno carenza -una soluzione malthusiana delle più spiacevoli.
Entrando in questo secondo decennio del XXI secolo, sembra improbabile che verso il 2020 guardiamo indietro a questo decennio come quello in cui la "crisi" è stata relegata alla memoria storica. Non aiuta molto "voler credere" in una prospettiva che sembra remota. Non aiuta per cercare di capire che quello dobbiamo fare al riguardo.
Per concessione di Tlaxcala
Fonte: http://www.iwallerstein.com/end-of-the-recession-whos-kidding-whom/
giovedì 13 gennaio 2011
La rivolta dei giovani magrebini
Christophe Ayad e Vittorio de Filippis,
Libération
Ma alla base c’è la rabbia verso governi corrotti e incompetenti
La rivolta e il suicidio sono diventati il modo più diffuso per esprimere il disagio nel Maghreb. Da quasi un mese in Tunisia è in corso una forte agitazione cominciata con il gesto di rabbia e di disperazione di un giovane laureato disoccupato, che si è dato fuoco a Sidi Bouzid. Le proteste si estendono ormai all’intero paese. Sono coinvolti diversi settori della società tunisina, compresi gli avvocati e gli studenti liceali, che il 7 gennaio hanno manifestato violentemente a Tala e a Regueb.
In Algeria è stato il brusco aumento dei prezzi di diversi generi alimentari (23 per cento i dolci, 13 per cento i semi oleosi, 58 per cento le sardine) a spingere dall’inizio dell’anno molti ragazzi a scendere in piazza. Dopo una pausa la mattina del 7 gennaio, i disordini sono ricominciati nel pomeriggio ad Algeri, a Orano e ad Annaba, obbligando il governo a riunirsi per decidere nuove misure contro l’inflazione. Le élite magrebine erano state destabilizzate già negli anni ottanta (nel 1983 in Tunisia e nel 1988 in Algeria) con le rivolte del pane. In Tunisia le proteste portarono nel 1987 al colpo di stato di Zine el Abidine Ben Ali contro Habib Bourguiba.
In Algeria il risultato fu una democratizzazione messa in crisi dal successo degli islamisti del Fronte islamico di salvezza (Fis) e dalla successiva guerra civile. Questi due paesi hanno aspetti geograici, storici ed economici diversi, ma anche due punti in comune importanti: un sistema politico autoritario e sclerotizzato e una gioventù numerosa e senza speranze. È il caso anche del Marocco e dell’Egitto, dove analoghi scontri sociali non sono improbabili. L’Europa e la Francia
sono rimaste in silenzio dall’inizio della crisi. Solo gli Stati Uniti hanno convocato l’ambasciatore tunisino per comunicargli la loro “preoccupazione” e chiedergli che venga rispettata la “libertà di riunione”.
Le ragioni della collera In Tunisia le proteste sono scoppiate il 17 dicembre, quando Mohamed Bouazizi, un laureato di 26 anni con la famiglia sofocata dai debiti, si è dato fuoco davanti alla prefettura di Sidi Bouzid, perché le autorità gli avevano coniscato le merci che vendeva come ambulante. Bouazizi è morto il 4 gennaio. Disoccupazione, mancanza di prospettive, disprezzo delle autorità: il caso di Bouazizi ha commosso gli abitanti di Sidi Bouzid e il resto del paese. E la violenza della repressione non ha fatto che accrescere la rabbia dei giovani. Il 24 dicembre la polizia ha ucciso due persone a Menzel Bouzaiane. Una manifestazione di solidarietà degli avvocati è stata repressa duramente il 28 dicembre, spingendo la categoria a convocare uno sciopero generale per il 30 dicembre. Da giorni, inoltre, partecipano alla protesta anche gli studenti liceali.
Heurts entre manifestants et forces de l'ordre, le 10 janvier 2011 à Regueb, près de Sidi Bouzid, en Tunisie (© AFP photo AFP)
Chi protesta Nel Maghreb i contestatori sono soprattutto i cosiddetti “laureati disoccupati”. In Tunisia il tasso di disoccupazione dei giovani laureati è uicialmente del 23,4 per cento, ma in realtà si aggira intorno al 35 per cento. In Algeria è senza lavoro almeno il 20 per cento dei giovani laureati, un tasso molto superiore al 10 per cento indicato dalle autorità. In Marocco, dove il movimento dei laureati è istituzionalizzato da più di un decennio, sei giovani hanno cercato di darsi fuoco davanti al ministero del lavoro a Rabat. L’effetto emulazione è ampliicato da Al Jazeera, la rete televisiva araba che ormai nel Maghreb ha sostituito le tv francesi.
Dai liceali tunisini diventati il motore della mobilitazione ai ragazzi poveri di Algeri che assaltano una gioielleria nel quartiere chic di El Biar, è in fermento la gioventù nel suo insieme. Questo fatto non deve stupire, visto che nei paesi magrebini i ragazzi sotto i vent’anni rappresentano quasi il 50 per cento della popolazione, ma sono ancora governati da persone (a eccezione del Marocco) nate tra le due guerre mondiali. Una particolarità della rivolta tunisina è il coinvolgimento di altri strati della popolazione, come gli avvocati, in nome della difesa dei diritti civili. Del resto la Tunisia è il paese dell’area dove la libertà d’espressione viene repressa con più durezza, generando un sentimento di oppressione nell’intera società.
Regimi autoritari e corrotti Negli ultimi dieci anni il pil algerino è triplicato, tanto che nel 2005 l’Algeria ha raggiunto la Tunisia in termini di pil pro capite e ha superato addirittura il Marocco. Ma il successo economico deriva da un solo elemento: gli idrocarburi. E spesso quando un paese vende petrolio e gas, non sempre è interessato a sviluppare il tessuto industriale. “È proprio quello che è successo in Algeria”, spiega un professore universitario algerino che preferisce restare anonimo. “I disordini si possono spiegare con l’aumento dei prezzi degli alimenti, ma il disagio della nostra società ha radici più profonde”.
Per sradicarel’islamismo, tra il 1992 e il 1999 il governo algerino ha condotto una “sporca guerra” in cui sono morte tra le 100 e le 200mila persone. Ma la ine del conlitto non è stata seguita da un’apertura politica. Al contrario, le elezioni continuano a essere truccate, la popolazione ha poca voce in capitolo e gli islamisti, che boicottano la vita politica, sono ancora molto presenti nella società. Nel frattempo il potere e la ricchezza restano nelle mani di un ristretto clan politico-militare, come ha rivelato lo scandalo di corruzione della Sonatrach, l’azienda energetica di stato, che ha costretto alle dimissioni il ministro del petrolio.
In Tunisia l’avidità della famiglia della moglie di Ben Ali è descritta nei dispacci statunitensi difusi da Wikileaks. Ma queste rivelazioni non divertono molto i tunisini, che tutti i giorni devono fare i conti con i limiti di quel “miracolo” tanto decantato dai mezzi d’informazione ufficiali. In Tunisia la stampa indipendente non esiste più, e i partiti d’opposizione sono stati ridotti a circoli privati che passano il tempo cercando di riunirsi. Ormai l’unico spazio di libertà è internet. La protesta dei liceali è partita da Facebook, ed è sempre sulla rete che una ciberguerriglia condotta da un gruppo chia- mato Anonymous ha attaccato i siti governativi. Molti blogger, tra cui Slim Amamou ed El Aziz Amami, sono stati arrestati. Anche in Marocco, il paese del Maghreb dove c’è più libertà, la democrazia traballa e la politica è gestita da un’élite che controlla gran parte del settore privato.
Poteri senza progetti In Algeria l’economia è ancora legata ai petrodollari. Temendo un’inluenza eccessiva degli investitori stranieri, l’anno scorso Algeri ha approvato una legge che vieta agli stranieri di possedere più del 49 per cento di un’impresa locale. La Tunisia, invece, sofre di un eccesso di manodopera qualiicata, che chiede solo un lavoro in linea con la sua formazione.
Senza dubbio il paese è riuscito a sviluppare alcuni settori, come il turismo o il tessile, ma oggi questa strategia avviata negli anni settanta è in un vicolo cieco e rivela fino a che punto la Tunisia non sia stata in grado di fare il salto di qualità, rompendo la dipendenza dall’Europa.
foto: www.nena-news.com
*In Tunisia le proteste scoppiate il 17
dicembre 2010 si sono estese dall’interno
del paese ino alla capitale, Tunisi, dove il 12
gennaio il governo ha schierato l’esercito.
Finora gli scontri hanno provocato 21 morti
secondo le autorità, cinquanta secondo una
fonte sindacale. Il 10 gennaio il presidente
Zine el Abidine Ben Ali, nel tentativo di
calmare le proteste, ha annunciato un
progetto per la creazione di 300mila posti di
lavoro in due anni. Il 12 gennaio Ben Ali ha
chiesto il rilascio degli esponenti
dell’opposizione arrestati in questi giorni.
Lo stesso giorno si è dimesso il ministro
dell’interno Raik Belhaj Kacem.
u In Algeria gli scontri hanno provocato
cinque morti e 800 feriti. La polizia, inoltre,
ha arrestato più di mille persone. Afp
Tunisia, il presidente lascia il Paese
L'aereo di Ben Ali atterra a Cagliari
Dopo le nuove le manifestazioni e gli scontri, il presidente tunisino è stato costretto a lasciare il Paese. L’aereo, secondo, alcune fonti ben informate, era diretto verso la Francia e avrebbe fatto scalo a Cagliari. Le autorità italiane avrebbero imposto di programmare un nuovo piano di volo e lasciare immediatamente lo scalo di Elmas. Ben Alì, secondo altre fonti, avrebbe chiesto di scendere a Cagliari. L’aereo è circondato dalla polizia.
L'aeroporto di Elmas
Dopo settimane di proteste contro il carovita e decine di morti, il presidente tunisino Zine el Abidine Ben Ali ha lasciato il Paese. Il primo ministro Mohammed Ghannouchi ha assunto la presidenza ad interim e il potere è stato affidato a un direttorio composto da sei persone. Dopo notizie discordanti, che lo volevano già a Parigi o in volo verso Malta o verso un Paese del Golfo, Ben Ali è atterrato all'aeroporto di Cagliari.
GIALLO SULL'ATTERRAGGIO DI BEN ALI A CAGLIARI - Intorno alle 22 un Falcon ha chiesto l'autorizzazione per uno scalo tecnico, per fare rifornimento di carburante. Il piano di volo era per Parigi, ma il no di Parigi, che ha negato l'accoglienza a Ben Ali., avrebbe costretto il Falcon ad atterrare all'aeroporto di Elmas. Due le possibilità: che cambi il piano di volo, per un altro Paese, oppure - che resti in Italia. Al momento l'aereo dove si troverebbe Ben Alì è circondato dalla polizia.
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