giovedì 14 marzo 2013

PALABANDA: CONGIURA O RIVOLTA RIVOLUZIONARIA?

PALABANDA: CONGIURA O RIVOLTA RIVOLUZIONARIA?






di Francesco Casula



Di congiure è zeppa la storia. Da sempre. Da Giulio Cesare a John Fitzgerald  Kennedy. Particolarmente popolato e affollato di congiure è il periodo rinascimentale italiano, nonostante gli avvertimenti di Machiavelli secondo cui “le coniurazioni fallite rafforzano lo principe e mandano nella ruina li coniurati”. Ed anche il “Risorgimento”. Esemplare la congiura di Ciro Menotti nel gennaio del 1831 ordita attraverso intrighi con Francesco IV d’Austria d’Este, dal quale sarà poi tradito e mandato al patibolo.

Congiurà che però sarà ribattezzata “rivolta”, “Moto rivoluzionario”. Solo una questione lessicale? No:semplicemente ideologica. Quella congiura, perché di questo si tratta,  viene “recuperata” e inserita come momento di quel processo rivoluzionario, foriero – secondo la versione italico-patriottarda e unitarista –   delle magnifiche e progressive sorti del cosiddetto risorgimento italiano. Così, una “congiura” o complotto che dir si voglia diventa un tassello di un processo rivoluzionario, esclusivamente perché vittorioso. Mentre invece – per venire alla quaestio che ci interessa – la Rivolta di Palabanda viene ridotta e immiserita a “Congiura”. E con essa diventano “Congiure”, ovvero cospirazioni di manipoli di avventurieri che con alleanze  e relazioni oblique con pezzi del potere tramano contro il potere stesso. Questa categoria storiografica, che riduce le sommosse e gli atti rivoluzionari che costelleranno più di un ventennio di rivolte: popolari, antifeudali e nazionali a fine Settecento in Sardegna a semplici congiure è utilizzata non solo da storici reazionari, conservatori e filosavoia come il Manno o l’Angius.

Ad iniziare dalla cacciata dei Piemontesi da Cagliari il 28 aprile 1794: considerata “robetta” e comunque alla stregua di una semplice congiura ordita da un manipolo di borghesi giacobini, illuminati e illuministi, per cacciare qualche centinaio di piemontesi. A questa tesi, ha risposto, con dovizia di dati, documenti e argomentazioni, Girolamo Sotgiu. Il prestigioso storico sardo, gran conoscitore e studioso della Sardegna sabauda e non sospettabile di simpatie sardiste e nazionalitarie, polemizza garbatamente ma decisamente proprio con l’interpretazione data da storici filosavoia come Giuseppe Manno o Vittorio Angius (l’autore dell’Inno Cunservet Deus su re) che avevano considerato la cacciata dei Piemontesi, appunto alla stregua di una congiura.

Simile interpretazione offusca   - a parere di Sotgiu - le componenti politiche e sociali e, bisogna aggiungere senza temere di usare questa parola «nazionali». Insistere sulla congiura - cito sempre lo storico sardo - potrebbe alimentare l’opinione sbagliata che l’insurrezione sia stato il risultato di un intrigo ordito da un gruppo di ambiziosi, i quali stimolati dagli errori del governo e dalle sollecitazioni che venivano dalla Francia, cercò di trascinare il popolo su un terreno che non era suo naturale, di fedeltà al re e alle istituzioni” 1.

Secondo Sotgiu questo modo di concepire una vicenda complessa e ricca di suggestioni, non consente di cogliere il reale sviluppo dello scontro sociale e politico né di comprendere la carica rivoluzionaria che animava larghi strati della popolazione di Cagliari e dell’Isola nel momento in cui insorge contro coloro che avevano dominato da oltre 70 anni.

Ma veniamo a Palabanda. Si parla di rivalità a corte  fra il re Vittorio Emanuele I sostenuto da don Giacomo Pes di Villamarina, comandante generale delle armi del Regno e il principe Carlo Felice sostenuto invece dall’amico e consigliere Stefano Manca di Villahermosa, che aveva un ruolo di rilievo nella vita di corte.

Ebbene è stata avanzata l’ipotesi che a guidare la cospirazione fossero stati uomini di corte molto vicini a Carlo Felice allo scopo di eliminare definitivamente i cortigiani piemontesi e di destituire il re Vittorio Emanuele I affidando al Principe la corona con un passaggio dei poteri militari dal Villamarina ad altro ufficiale, forse il capitano di reggimento sardo Giuseppe Asquer. Chi poteva incoraggiare e proteggere l’azione in tal senso era Stefano Manca di Villahermosa, per l’ascendenza di cui godeva sia presso il popolo che presso Carlo Felice.

E’ questa l’ipotesi di Giovanni Siotto Pintor che scrive: ”La corte poi di Carlo Felice accresceva il fuoco contro quella di Vittorio Emanuele: fra ambedue era grande rivalità, l’una per sistema discreditava l’altra. Villahermosa era avverso a Roburent, e tanto più dispettoso, che gli stava fitta in cuore la spina di essergli stato anteposto Villamarina nella carica di capitano delle guardie del corpo del re. Destava invero maraviglia che i cortigiani e gli aderenti a Carlo Felice osassero rimproverare i loro rivali degli stessi errori, intrighi ed arbitrij degli ultimi tempi viceragli. Pure i loro biasimi trovavano favore nelle illuse moltitudini, che giunsero a desiderare il passaggio della corona di Vittorio Emanuele a Carlo Felice, e la nuova esaltazione dei cortigiani sardi, poco prima abborriti” 2

Pressoché identica è l’ipotesi di un altro storico sardo, Pietro Martini che scrive: ”Poiché era rivalità tra le corti del re e del principe, signoreggiata l’ultima dal marchese di Villahermosa, l’altra dal conte di Roburent il quale aveva fatto nominare capitano della guardia il Villamarina, di tale discordia si giovassero per intronizzare Carlo Felice” 3 .

Si tratta di ipotesi poco plausibili. Ora occorre infatti ricordare  in primo luogo che il Villahermosa, era anche legato al re tanto che il 7 novembre 1812, pochi giorni dopo i fatti di Palabanda, gli affidò l’attuazione del piano di riforma militare.

In secondo luogo non possiamo dimenticare che Carlo Felice, ottuso crudele e famelico, sia da principe e vice re che da re, era lungi dall’essere  “favorevole ai Sardi” come scrive Natale Sanna che poi però aggiunge era all’oscuro di tutto 4 Ricorda infatti Francesco Cesare Casula 5.

che Carlo felice sarà il più crudele persecutore dei Sardi, che letteralmente odiava e contro cui si scagliò con tribunali speciali, procedure sommarie e misure di polizia, naturalmente con il pretesto di assicurare all’Isola “l’ordine pubblico” e il rispetto dell’Autorità. E comunque non poteva essere l’uomo scelto dai rivoluzionari  persecutore com’era soprattutto dei democratici e dei giacobini.

In terzo luogo che bisogno c’era di una congiura per intronizzare Carlo Felice? In ogni caso a lui la corona sarebbe giunta prima o poi di diritto poiché il re non lasciava eredi maschi ed egli era l’unico fratello vivente. Quando la Quadruplice Alleanza aveva conferito il regno di Sardegna a Vittorio Amedeo II, una clausola prevedeva che il regno sarebbe ritornato alla Spagna nel caso che il re e tutta la Casa Savoia rimanesse senza successione maschile.

Scrive Lorenzo Del Piano a proposito delle ipotesi di legami e rapporti fra “i congiurati” di Palabanda con ambienti di corte e addirittura con l’Inghilterra e con la Francia: “Se dopo un secolo di indagini non è venuto fuori nulla ciò può essere dovuto, oltre che a una insanabile carenza di documentazione, al fatto che non c’era nulla da portare alla luce e che quello della ricerca di legami segreti è un problema inesistente e che comunque perde molto della sua eventuale importanza se invece che a romanzesche manovre di palazzo o a intrighi internazionali si rivolge prevalente attenzione alle forze sociali in gioco e alle persone che le incarnavano e cioè agli esponenti della borghesia cittadina che era riuscita indubbiamente mortificata dalle vicende di fine settecento e che un anno di gravissima crisi economica e sociale quale fu il 1812, può aver cercato di conquistare, sia pure in modo avventuroso e inadeguato il potere politico esercitato nel 1793-96” 6 .

Non di congiura dunque si è trattato ma di ben altro: dell’ultima sfortunata rivolta, che conclude un lungo ciclo di moti e di ribellioni, che assume tratti insieme antifeudali, popolari e nazionali.
Segnatamente la rivolta di Palabanda, per essere compresa, abbisogna di essere situata nella gravissima crisi economica e finanziaria che la Sardegna vive sulla propria pelle: conseguenza di una politica e di un’amministrazione forsennata da parte dei Savoia oltre che delle calamità naturali e delle pestilenze di quegli anni: già nel 1811 forte siccità e un rigido inverno causarono nell‘Isola una sensibile contrazione della produzione di grano, ma è soprattutto nella primavera del 1812 che la carestia e dunque la crisi alimentare si manifestò in tutta la sua drammaticità.
Cosa è stato il dramma de su famini de s’annu dox, sono storici come Pietro Martini, a descriverlo con dovizia di particolari: ”L’animo mi rifugge ora pensando alla desolazione di quell’anno di paurosa ricordanza, il dodicesimo del secolo in cui mancati al tutto i frumenti, con scarsi o niuni mezzi di comunicazione, l’isola fu a tale condotta che peggio non poteva”.

Ricorda quindi che la “strage di fanciulli pel vaiuolo, scarsità d’acqua da bere (ché niente era piovuto), difficoltà di provvisioni per la guerra marittima aggrandivano il male già di per se stesso miserando” 7.

Mentre Giovanni Siotto Pintor scrive: ”Durarono lungamente le tracce dell’orribile carestia; crebbe il debito pubblico dello stato; ruinarono le amministrazioni frumentarie dei municipj e specialmente di Cagliari; cadde nell’inopia gran novero di agricoltori; in pochi si concentrarono sterminate proprietà; alcuni villaggi meschini soggiacquero alla padronanza d’uno o più notabili; i piccoli proprietari notevolmente scemarono; si assottigliarono i monti granatici; e perciò decadde l’agricoltura. Ed a tacer d’altro, il sistema tributario vieppiù viziossi, trapassati essendo i beni dalla classi inferiori a preti e a nobili esenti da molti pesi pubblici” 8.

E ancora il Martini descrive in modo particolareggiato chi si arricchisce e chi si impoverisce in quella particolare temperie di crisi economica, di pestilenze e di calamità naturali: ”Oltreché v’erano i baroni e i doviziosi proprietari i quali s’erano del sangue de’ poveri ingrassati e grande parte della ricchezza territoriale avevano in sé concentrato. I quali anziché venire in aiuto delle classi piccole, rincararono la merce e con pochi ettolitri di frumento quello che rimaneva a’ miseri incalzati dalla fame s’appropriavano. Così venne uno spostamento di sostanze rincrescevole: i negozianti fortunati straricchivano, i mediocri proprietari scesero all’ultimo gradino, gli altri d’inedia e di stenti morivano” 9.

Giovanni Siotto Pintor inoltre per spiegare le cagioni del tentativo di rivolgimento politico chemeditavasi a Cagliari, allarga la sua analisi rispetto al Martini e scrive che “La Sardegna sia stata la terra delle disavventure negli anni che vi stanziarono i Reali di Savoia. 
Non mai la natura le fu avara dei suoi doni come nel tempo corso dal 1799 al 1812. 

Intrecciatisi gli scarsi ai cattivi o pessimi raccolti,impoverì grandemente il popolo ed il tesoro dello stato. A questi disastri, sommi per un paese agricola, si aggiunsero la lunga guerra marittima che fece ristagnare lo scarso commercio; le invasioni dei Barbareschi, produttrici di ingenti spese per lo riscatto degli schiavi e pel mantenimento del navile; le fazioni e i misfatti del capo settentrionale dell’isola, rovinosi per le troncate vite e le proprietà devastate e per le necessità derivatane di una imponente forza pubblica, e quindi di enormi stipendj straordinari, di nuove gravezze, e quindi dell’impiego a favore della truppa dei denari, consacrati agli stipendi dei pubblici officiali…
In questa infelicità di tempi declamavano gli impiegati: i maggiori perché ambivano le poche cariche tenute dagli oltremarini; i minori perché sospesi gli stipendj, difettavano di mezzi d’onesto vivere…i commercianti maledivano il governo e gli inglesi, ai quali più che ai tempi attribuivano il ristagno del traffico… Ondechè, scadutu dall’antica agiatezza antica, schiamazzavano, calunniavano, maledivano… Superfluo è il discorrere della plebe… Questa popolare irritazione pigliava speciale alimento dalla presenza degli oltremarini primeggianti nella corte e negli impieghi, e che apertamente o in segreto reggevano le cose dello stato sotto re Vittorio Emanuele. Doleva il vederli nelle alte cariche, ad onta della carta reale del 1799, che ammetteva in esse l’elemento oltremarino, purché il sardo contemporaneamente s’introducesse negli stati continentali. Doleva che il re, limitato alla signoria dell’isola, non di regnicoli ma di uomini di quegli stati si giovasse precipuamente nel pubblico reggimento, come se quelli infidi fossero verso di lui, e non capaci di bene consigliarlo. Soprattutto inacerbiva gli animi quel loro fare altero e oltrecotato, quel mostrarsi incresciosi e malcontenti del paese ove tenevano ospizio e donde molto protraevano, indettati con certi Sardi che turpemente gli adulavano, quel loro contegno insomma da padroni” 10.

E a tutto questo occorre aggiungere le spese esorbitanti della Corte, anzi di due Corti (quella del re e quella del vice re) ambedue fameliche, che, giunte letteralmente in camicia, portarono il deficit di bilancio alla cifra esorbitante di 3 milioni, quasi tre volte l’importo delle entrate ordinarie. Mentre il Re impingua il suo tesoro personale mediante sottrazione di denaro pubblico che investirà nelle banche londinesi.

Di qui il peso delle nuove imposizioni fiscali, che colpivano non soltanto le masse contadine ma anche gli strati intermedi delle città. A tal punto – scrive  Girolamo Sotgiu –  che “i villaggi dovevano pagare più del clero e dei feudatari: ben 87.500 lire sarde (75 mila il clero e appena 62 mila i feudatari) mentre sui proprietari delle città, sui creditori di censi, sui titolari d’impieghi civili gravava un onere di ben 125.000 lire sarde e sui commercianti di 37 mila” 11.

 Così succedeva che “Spesso gli impiegati rimanevano senza stipendio, i soldati senza il soldo, mentre ai padroni di casa veniva imposto il blocco degli affitti e ai commercianti veniva fatto pagare il diritto di tratta più di una volta” 12 .

Questi i corposi motivi, economici, sociali, politici, insieme popolari, antifeudali e nazionali alla base della Rivolta di  Palabanda. Che in qualche modo univano, in quel momento di generale malessere intellettuali, borghesia e popolo, segnatamente la borghesia più aperta alle idee liberali e giacobine, rappresentate esemplarmente dall’esempio di Giovanni Maria Angioy. Borghesia composta da commercianti e piccoli imprenditori che si lamentavano perché “gli incassi erano pochi, la merce non arrivava regolarmente o stava ferma in porto per mesi. Intanto dovevano pagare le tasse e lo spillatico alla regina” 13.

Per non parlare della miseria del popolo: nei quartieri delle città e nei villaggi delle campagne, dove la vita era diventata ancora più dura dopo che la siccità aveva reso i campi secchi, con “contadini e pastori che fuggivano dai loro paesi e si dirigevano verso le città come verso la terra promessa” 14 .

E così “cresceva l’odio popolare contro il governo e si riponeva fiducia in coloro che animavano la speranza di un rinnovamento” 15 .

Di qui la rivolta: che non a caso vedrà come organizzatori e protagonisti avvocati (in primis Salvatore Cadeddu, il capo della rivolta. Insieme a lui Efisio, un figlio, Francesco Garau e Antonio Massa Murroni); docenti universitari (come Giuseppe Zedda, professore alla Facoltà di Giurisprudenza di Cagliari); sacerdoti (come Gavino Murroni, fratello di Francesco, il parroco di Semestene, coinvolto nei moti angioyani); ma anche artigiani, operai, e piccoli imprenditori (come il fornaciaio Giacomo Floris, il conciatore Raimondo Sorgia, l’orefice Pasquale Fanni, il sarto Giovanni Putzolo, il pescatore Ignazio Fanni).

Insieme a borghesi e popolani alla rivolta è confermata la partecipazione di molti  studenti e militari : “Tutto il battaglione detto di «Real Marina», formato di poco di gran numero di soldati esteri…dipartita colli suddetti insurressori per aver dedicato il loro spirito” 16.

Bene: ridurre questo variegato movimento a una semplice congiura e  a intrighi di corte mi pare una sciocchezza sesquipedale. Una negazione della storia.



Note bibliografiche
1. Girolamo Sotgiu, L’Insurrezione a Cagliari del 28 Aprile 1794, AM&D Cagliari, 1995.
2. Giovanni Siotto Pintor, Storia civile de’ popoli sardi dal 1799 al 1848, Libreria F. Casanova, Torino 1887, pagine 233-234.
3. Pietro Martini, Compendio della storia di Sardegna, Ed. A. Timon, Cagliari 1885, pagina 70.
4. Natale Sanna, Il cammino dei Sardi, volume III, Editrice Sardegna, Cagliari 1986, pagina 413.
5.Francesco Cesare Casula, Il Dizionario storico sardo, Carlo Delfino editore,Sassari, 2003 pagina 330.
6. Vittoria Del Piano (a cura di), Giacobini moderati e reazionari in Sardegna, saggio di un dizionario biografico 1973-1812 , Edizioni Castello, Cagliari, 1996, pagina 30.
7. Pietro Martini,Compendio della Storia di Sardegna, op. cit. pagine 60-61
8. Giovanni Siotto Pintor, Storia civile de’ popoli sardi dal 1799 al 1848, Libreria F. Casanova, Torino 1887, op. cit. pagina 222.
9. Pietro Martini, Compendio della Storia di Sardegna, op. cit. pagina 61.
10. Giovanni Siotto Pintor, Storia civile de’ popoli sardi dal 1799 al 1848, Libreria F. Casanova, Torino 1887, pagine 229-230.
11.Girolamo Sotgiu, Storia della Sardegna sabauda (1720-1847), Edizioni Laterza, Roma-Bari, 1984, pagina 252. 
12, Ibidem, pagine 252-253.
13. Ibidem, pagina 253.
14. Maria Pes, La rivolta tradita,  CUEC,Cagliari 1994, pagina119
15. Ibidem, pagina 120.
16. Ibidem, pagina 151.
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martedì 12 marzo 2013

VELENI DI QUIRRA – ARRIVA IL PRIMO AUTOTRENO DI SABBIA IN FASE DI UDIENZA PRELIMINARE

VELENI DI QUIRRA – ARRIVA IL PRIMO AUTOTRENO DI SABBIA IN FASE DI UDIENZA PRELIMINARE

SARDIGNA NATZIONE SI COSTITUIRA’ PARTE CIVILE TRAMITE L’AVV. CHICCO PAOLINI



E’ iniziato l’insabiamento dell’uso indebito del poligono di Quirra che ha comportato accumulo sul territorio, e non solo, di imponenti quantitativi di rifiuti speciali di ogni tipo, l’accertata presenza di sostanze tossiche, di polveri generate dalle combustioni eseguite all’interno del Poligono, tali da ricondurre il fatto all’ipotesi delittuosa del “disastro”.

Una super perizia per bloccare un magistrato anomalo. Dando per scontata l’onesta del superperito Mario Mariani, ingegnere nucleare, di fatto tutto l’impianto accusatorio del pm D. Fiordalisi rischia di essere sommerso da un mare di carte sulla valutazione delle perizie precedenti e sui campionamenti e analisi di tracce che ormai sarà impossibile trovare. Il tutto servirà per nascondere che l’impianto accusatorio si basa principalmente sulla constatazione dei danni reali e devastanti causati dalla presenza del poligono su persone e territorio.

Vogliono cancellare il nesso tra causa ed effetto. Non potendo nascondere il “disastro”, perchè evidente e misurabile, vogliono arrivare al non luogo a procedere costruendo l’incertezza del nesso tra il disastro e l’uso indebito del poligono.

Lo stato da dalla parte degli imputati di disastro e non dalla parte dei cittadini danneggiati. Siamo all’assurdo, lo stato non solo non si costituisce parte civile ma usa i soldi dei contribuenti danneggiati per pagare i migliori avocati in difesa di coloro che hanno causato il danno e costringe i danneggiati ad ulteriori spese processuali e peritali.

SAREMO PARTE CIVILE. Se si andrà a processo, purtroppo ne abbiamo forti dubbi, i sardi di Sardigna Natzione Indipendentzia, che come prevede lo statuto, è da sempre impegnata nella difesa della gente e del territorio della Sardegna, non solo dall’uso coloniale che ne fa lo stato italiano ma anche da ogni tipo di aggressione che possa comprometterne la salute dell’ambiente de dei cittadini, in sede processuale, come ha già fatto in udienza preliminare, contro i 20 indagati per i veleni di Quirra, tramite l’avvocato Chicco Paolini, si costituiranno parte civile. I sardi di SNI si costituiranno parte civile in quanto, le polveri, contenenti anche uranio impoverito ed altri metalli pesanti, generate dalle esplosioni di proiettili a frammentazione e sublimazione sono talmente sottili, nano particelle, che trasportate facilmente dal vento per molti chilometri e filtrate negli alimenti prodotti nella zona e nelle acque, possono essere state respirate o ingerite da qualunque sardo.

NUGORO 12-03-2013 annu 151° Dominatzione Italiana 


BUSTIANU CUMPOSTU

COORDINADORE NATZIONALE

lunedì 11 marzo 2013

Quirra, slitta decisione sui 20 indagati Il gup ha ammesso una nuova perizia; Lanusei, 11 marzo ore 11, processo sul poligono della morte Salto di Quirra.

Manifestazione indipendentista contro le basi militari in Sardinya

Quirra, slitta decisione sui 20 indagati
Il gup ha ammesso una nuova perizia

E' slittata la decisione del gup sul rinvio a giudizio dei venti indagati per il disastro ambientale provocato dalle attività svolte nel poligono militare di Perdasdefogu.
Il gup di Lanusei Nicola Clivio non ha deciso sul rinvio a giudizio dei 20 indagati dal procuratore Domenico Fiordalisi. Ha infatti ammesso un'istanza di incidente probatorio che prevede l'affidamento di una perizia a un esperto che arriva dalla Penisola. Egli dovrà verificare se la presenza militare sia stata "disastrosa" così come sostenuto dalla Procura della Repubblica di Lanusei, e se vi sia stato un danno all'ambiente tale da avere portato eventuali danni anche a persone al di fuori dal Poligono. Potrà inoltre essere valutata la correttezza delle analisi effettuate da Sgs e Università di Siena. In particolare l'avvocato Giovanni Dallera, che difende due tecnici dell'Sgs, Gilberto Nobile e Gabriella Fasciani, indagati per "falsità ideologica in atto pubblico", ha sottolineato che "finalmente potremo dimostrare che Sgs ha sempre lavorato alla luce del sole. Si sgombra il campo da pregiudizi e leggende metropolitane e si fa una cosa sensata in questo procedimento: una verifica scientifica delle analisi svolte dai tecnici".

Solo dopo l'incidente probatorio il magistrato potrà quindi valutare se disporre il processo per quanti sono stati individuati come variamente responsabili dei reati di omissione dolosa aggravata di cautele contro infortuni e disastri, falso ideologico, omissione di atti d'ufficio e favoreggiamento aggravato. Le accuse sono state contestate ai militari che erano al vertice della base, a quelli che avevano fatto parte della commissione ministeriale, ai chimici e agli esperti che avevano ricevuto incarico dalla Difesa di svolgere test e verifiche. Davanti al gup anch l'ex sindaco di Perdasdefogu e il medico del Poligono.

Veduta aerea della Base militare di PERDASDEFOGU



Comitato sardo Gettiamo le Basi

Tribunale di Lanusei, 11 marzo ore 11, processo sul poligono della morte Salto di Quirra. L’udienza dovrebbe concludersi con la decisione del giudice di accogliere o affossare l'indagine della Procura sul disastro ambientale e sanitario prodotto dal poligono Salto di Quirra, di rinviare a processo i venti incriminati o invece proscioglierli da ogni sospetto. Si saprà se il poligono della morte sarà salvato e riassumerà lo status di buco nero della legalità oppure se la Magistratura proseguirà l’azione di accertamento delle responsabilità penali e civili . La Procura ha confermato quanto Gettiamo le Basi denuncia e documenta dal lontano 2001 ed è andata ben oltre producendo numerose e solide prove dei crimini contro l'ambiente e la vita umana, della violazione sistematica delle leggi e della stessa Costituzione. L’accuratezza e serietà del lavoro della Procura non basta a tranquillizzarci. Conosciamo bene la forza del business, la potenza dell'impero militare-industriale, i mille modi subdoli della tentacolare "zona grigia" per assoldare i servizievoli ascari sardi, per narcotizzare e manipolare popolazione e istituzioni. La nostra inquietudine trova riscontro nei tentativi sempre più espliciti di isolare e delegittimare la Procura “scomoda” che ha osato toccare gli intoccabili, nell’agghiacciante silenzio delle forze politiche nella campagna elettorale appena conclusa, nell’iperattivismo rumoroso o silente di alcuni settori sociali e istituzionali per minimizzare il disastro e, in contrapposizione, nell’afasia del popolo No Gherra No Basis e del popolo sardo nel suo insieme. Anche il clima che avvolge l’Italia mandasegnali preoccupanti: le reazioni rabbiose e scomposte per assicurare lunga vita all’Ilva; la recente sentenza del processo d’Appello ThyssenKrupp che ha derubricato il reato più grave, ridotto significativamente le pene per gli imputati e concesso anche il dissequestro degli impianti.



Quirra è la nostra Ilva, la nostra ThyssenKrupp.
La decisione del gup di Lanusei non si ripercuote solo su un remoto angolo di Sarrabus-Ogliastra, coinvolge tutta la Sardegna e il suo futuro: ripristinare la legalità o, al contrario, avvallare la schiavitù militare che ci è stata inflitta e il conseguente lento genocidio; revocare o, all'opposto, continuare ad accordare immunità e impunità ai signori della guerra e delle armi; disgregare o, invece, consolidare il ruolo della nostra isola di campo di battaglia  permanente dove tutto è permesso; calare nel reale o, invece, relegare nel libro dei sogni la Costituzione della Repubblica che pone l’ambiente salubre come bene primario, sancisce il diritto alla salute e il ripudio della guerra, puro miraggio se non si accompagna al ripudio delle basi della guerra, dei suoi poligoni, dei suoi arsenali.
Non intendiamo né accollare né delegare alla Magistratura la scelta, eminentemente politica, della soluzione del disastro provocato dalle attività militari. Vogliamo semplicemente che porti avanti il lavoro intrapreso con la necessaria  serenità e determinazione.
Continuiamo a puntare sul fatto che i sardi, almeno kentu concas e kentu berittas, si riapproprino della parola, della volontà di decidere e intervenire in prima persona, della capacità di incidere per contribuire, ciascuno nel suo piccolo, anche nel suo territorio più sperduto e più lontano, a mettere fine alla schiavitù militare e al genocidio di Stato. Bastano non cento ma solo due o tre sassolini per scatenare una valanga..

 Comitato sardo Gettiamo le Basi
Tel 3467059885--070823498




  . . .anche se voi vi credete assolti                         
 siete per sempre coinvolti   .   

GRAZIE a chi non vede non sente, non parla                                                                                                                                                             
                         
                                                                                                                                                                       
 S   Sospensione delle attività dei poligoni dove si verificano le patologie di          guerra                     
 E    Evacuazione dei militari esposti alla contaminazione di Decimo, Capo Frasca,
                                Teulada, Salto di Quirra ormai noto come il poligono della morte
  R    Ripristino ambientale, bonifica seria e credibile di terra e mare avvelenati
R    Risarcimento alle famiglie degli uccisi, ai malati, a tutti gli esposti.                   .
             Risarcimento al popolo sardo del danno inferto all’isola
    A    Annichilimento, ripudio della guerra e delle sue basi concentrate in Sardegna 
    I       Impiego delle risorse a fini di pace
.    .

         SERRAI              SERRAI                                                                                                                      ..                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      ..                                                                    SERRAI                                                                                                                                                GRAZIE  ai tanti e in particolare ai politicanti sardi                                                                                                                                                        
                     serrAI                                                                                                    –dai ministri ai senatori ai sindaci – impegnati a:     
                                                                   SERRAI                     *ostacolare i tentativi della Procura di sfrattarmi  dal mio poligono
                                                                                                                   Salto di Quirra  
                                           SERRAI                                                 * nascondere la mia presenza operosa
                                                                                                                                               * spacciare la droga “scienza di Stato” per sedare  la popolazione
                   Comitato sardo Gettiamo le Basi (tel 3467059885)                                           * potenziare il mio poligono e incrementarne  le attività di guerra

.                .                                                   .                              .                                              .                        .

  . . .anche se voi vi credete assolti                     GRAZIE a chi non vede, non sente, non parla                                                                                                                                       .                       siete per sempre coinvolt1   .  

S   Sospensione delle attività dei poligoni dove si verificano le patologie di guerra                     
   E    Evacuazione dei militari esposti alla contaminazione di Decimo, Capo Frasca,
                                Teulada, Salto di Quirra ormai noto come il poligono della morte
           R     Ripristino ambientale, bonifica seria e credibile di terra e mare infetti
  R    Risarcimento alle famiglie degli uccisi, ai malati, a tutti gli esposti.                   .
                 Risarcimento al popolo sardo del danno inferto all’isola
      A    Annichilimento, ripudio della guerra e delle sue basi concentrate in Sardegna 
      I       Impiego delle risorse a fini di pace



         .        SERRAI                                                                                                                                                                                                                       .                        SERRAI                                      GRAZIE  ai tanti e in particolare ai politicanti sardi                                                     
      serrai                                              –dai ministri, ai parlamentai ai sindaci – impegnati a:
                                                                  SERRAI                      *ostacolare i tentativi della Procura di sfrattarmi  dal mio poligono                                                                                                                                                                     .                                                                                                                              Salto di Quirra                                           
               SERRAI                             * nascondere la mia presenza operosa
                                                                                                                                               * spacciare la droga “scienza di Stato” per sedare  la popolazione
                   Comitato sardo Gettiamo le Basi (tel 3467059885)                                          * potenziare il mio poligono e incrementarne  le attività di guerra

domenica 10 marzo 2013

ZONA FRANCA INTEGRALE: E’ GIUSTO FARE UN PO’ DÌ CHIAREZZA

ZONA FRANCA INTEGRALE: E’ GIUSTO FARE UN 

PO’ DÌ CHIAREZZA 

(questo è quanto e successo dal 29.01.13 ad oggi)!!


Giuseppe Marini


Il Diritto sancito con il D lgs 75 del 1998, proclama la Regione Sardegna come Territorio Extradoganale Europeo.


Questo diritto i Sardi rischiavano di vederlo perso nel momento in cui si fosse messo in atto il Nuovo Regolamento Doganale Europeo nella data del 24 giugno 2013. Era infatti necessario ed indispensabile entro questa data, avere l’ATTIVAZIONE” fatta (adesione al diritto ad operare in regime di Zona Franca Integrale), per non rischiare di perderlo per sempre (chi è dentro ci resta e chi resta fuori non è detto che ci possa entrare.


Nel frattempo la Regione Sardegna seguiva un’altra strada, che avrebbe dato alla Sardegna la possibilità di operare in regime di vantaggio fiscale in alcune aree della Sardegna, con le cosidette “Zone Franche Territoriali o Urbane (aiuti di stato per aree disagiate).
Da circa un’anno e mezzo, un grande lavoro è stato svolto da diverse Associazioni Prò Zona Franca, con l’appoggio della Dott.ssa e dell’Avv. Scifo, che hanno portato il messaggio in giro per i comuni della Sardegna, arrivando all’ottenimento di oltre 280 Delibere di Consiglio Comunale a favore dell’ATTIVAZIONE del diritto a poter operare in tutta l’Isola in Regime di Zona Franca Integrale.


La Regione pur sapendo quanto era importante per i Sardi avere attivato questo diritto, preferiva invece seguire la sola strada delle Zone Franche Territoriali (aiuti di Stato sulla fiscalità). 


Vennero addirittura presentate delle diffide e denuncie al tribunale di Cagliari contro il Presidente Cappellacci, a firma dei Movimenti e della Dott.ssa Randaccio e dell’Avv.to Scifo, che avrebbero avuto Udienza Legale il 20 febbraio scorso.


Ma per i Sardi non era importante andare a vincere una causa in Tribunale, ma ottenere invece un diritto che ci spetta da 1948 e che ci è stato poi riconfermato dalla CEE nel 1998.
Per questo il 29 gennaio scorso, presentammo nell’Ufficio della Presidenza della Regione, una richiesta in cui si faceva presente al Presidente Cappellacci, quanto fosse urgente ed importante, mettersi sin da subito al lavoro per la procedura di ATTIVAZIONE del Diritto di operare in regime di Zona Franca Integrale. Chiedemmo anche un’incontro al Presidente che però ci venne negato.
Decidemmo quindi di non andare via dall’Ufficio della Presidenza e di proclamarne lo stato di occupazione, sino all’ottenimento di un tavolo tecnico.


Il Presidente mi ricevette la sera stessa a Villa Devoto. Ci accordammo per mollare il presidio in Regione e per l’apertura di un primo tavolo tecnico per l’indomani mattina. In quell’occasione il Presidente diede mandato con Delega alla Zona Franca all’Ass.re Alessandra Zedda.
Il 30 gennaio scorso, si ebbe quindi un primo tavolo tecnico alla presenza dell’Ass.re Zedda, della Dott.ssa Randaccio, dell’Avv. Scifo e di numerosi rappresentanti dei movimenti spontanei. Ne seguì poi un altro a distanza di circa una settimana e si trovò l’accordo per accettare di mandare avanti le pratiche necessarie per l’attivazione della Zona Franca Integrale.
Dopo alcuni giorni, ci venne comunicato che avremo potuto partecipare ad una conferenza stampa a Villa Devoto, per dare dimostrazione al Popolo Sardo della reale volontà della Regione a voler operare in regime di Zona Franca.


Alla conferenza vi parteciparono oltre al Presidente Cappellacci, anche altri esponenti di alcuni partiti politici e il Presidente dell’Autorità Portuale di Cagliari. Mentre invece a nessuno di noi e neppure alla Dott.ssa Randaccio e all’Avv. Scifo, non venne data alcuna possibilità di essere presenti. Restammo quindi nei pressi dell’ingresso di Villa Devoto. All’arrivo della polizia in tenuta anti-sommossa, andammo via, trasferendoci nella sede di Videolina e dell’Unione Sarda per mostrare la nostra preoccupazione per ciò che “forse” stava accadendo a Villa Devoto e per dire esattamente come stavano le cose.


La nostra preoccupazione, trovò reale giustificazione, nel momento in cui al TG di Videolina e nella Stampa poi, il Presidente mostra, firmava e spiegavo ciò che era stato fatto il giorno a Villa Devoto. Non si era ne parlato ne tantomeno fatto nulla per la messa in atto dell’ATTIVAZIONE per poter operare in Regime di Zona Franca INTEGRALE (prima della data del 24.06.13)!!


Preoccupati per questo disinteresse da parte della Regione, ci siamo recati dopo alcuni giorni nell’Ufficio dell’Assessore Zedda, con cui siamo riusciti a parlare e a capire, che non avevano ancora messo in atto nessuna procedura in tal senso. Decidemmo pertanto di occupare gli ufici dell’assessore, fino a quando quanto da noi richiesto e da loro promesso, non fosse stato veramente fatto come doveva.


E fu così che finalmente il giorno 12 FEBBRAIO 2013 (data storica per la Sardegna) il Presidente Cappellacci sottoscrisse ed inviò quanto necessario per comunicare a chi di dovere che la Regione Sardegna si era ATTIVATA per poter operare in Regime di Zona Franca Integrale.
Fatta l’ATTIVAZIONE, mancava solo la spedizione di tutta la documentazione necessaria per l’operatività del Regime di Zona Franca Integrale. 


Dopo alcuni incontri fra l’Ass.re Zedda, un consulente della Regione, la Dott.ssa Randaccio e l’Avv. Scifo, le carte risultavano essere sufficientemente complete per essere inviate alla CEE, al Ministero di competenza, alle Dogane e alle società di Energie e Petrolifere.
Il Presidente chiese di poter inviare il tutto dopo le elezioni del 24 e 25 febraio 2013, per evitare di essere strumentalizzato per questioni elettorali e che subito dopo avrebbe provveduto così come promesso. 


Incominciamo a sollecitare l’invio dei documenti dal 26 febbraio scorso, con ripetute telefonate ed incontri con l’assessore Zedda.
Ci venne promessa la data del giovedì 28.02.13 o del venerdì 01.03.13 per la definizione di tutto. Passò il giovedì 28 senza nulla di fatto e ci ritrovammo (rappresentanti dei vari movimenti con la dott.ssa Randaccio e l’Avv. Scifo davanti all’ingresso del Palazzo di viale Trento, per chiedere di essere ricevuti per poter testimoniare che il tutto sarebbe stato firmato dal Presidente ed inviato agli Organi Competenti. Salirono la Randaccio e Scifo nell’Ufficio dell’Ass.re Zedda, per un’ultimo incontro che sarebbe dovuto servire a chiudere la partita e fugare qualsiasi dubbio in merito.


Alle ore 19.00 di quel giorno, eravamo in tanti ad attendere che scendessero Scifo e la Randaccio, con copia di quanto si sarebbe dovuto spedire. Uscirono dalla porta principale e ci vennero incontro, con una faccia a dir poco triste e molto preoccupata e rivolgendosi a noi dissero: I documenti sono tutti apposto! Anche a detta dei loro consulenti il tutto è pronto per essere firmato e spedito a chi di dovere….. ma….. il Presidente ha detto che per ora non firma e non spedisce nulla…. non ci ha detto ne il motivo ne cosa intende fare.


La rabbia dei presenti era tanta e la delusione dei nostri amici consulenti la si leggeva in faccia. Decidemmo in quello stesso momento di andare nuovamente ad occupare la sede di Videolina e dell’Unione Sarda, per strappare un comunicato stampa per l’indomani. Riuscimmo quindi ad avere l’attenzione dei Media e a dare l’informazione sull’accaduto, mostrando tuta la nostra grande preoccupazione. Più tardi verso le 22.00 e fino alle 23.00, riuscimmo ad avere nuovamente l’attenzione e l’interessamento dell’Ass.re e del Presidente Cappellacci, che ci rassicuravano e garantivano di aver provveduto alla sottoscrizione e alla spedizione di quanto in precedenza promesso. Di questo ne prendevamo le prove, vedendo in rete i comunicati del Presidente Cappellacci che confermavano che tutto era stato fatto come stabilito.


A questo punto iniziava un’altra settimana, in cui avremo dovuto solo avere la certezza di avere copia dei documenti inviati in mano, ma passavano i giorni senza che questo accadesse.
Succedeva invece che il giorno lunedì 4 marzo il comune di Tortolì, stava andando a fare una delibera di Giunta, in cui su richiesta dell’Assessore Zedda avrebbero dovuto perimetrale un’area vicino al Porto di Arbatax, da destinare alle attività extradoganali. In poche parole si stava continuando a mandare avanti la procedura della Zona Franca “NON INTEGRALE”!!
Mentre a Tortolì ci si preparava per fare una manifestazione per dissentire da questa decisione della Regione, io mi sentivo con l’Assessore Zedda e la invitavo a comunicare al Sindaco di Tortolì, che la riunione di Giunta Comunale non si sarebbe dovuta fare. Dopo circa mezzora l’Assessore mi telefonò, dandomi conferma dell’avvenuto accordo con il Sindaco per stoppare la cosa.
Questo fatto, ci portò ancora una volta a dubitare, della buona volontà della Regione a voler proseguire con la Zona Franca Integrale, anche perché non ci avevano fornito alcuna prova della reale trasmissione dei documenti che dicevano di aver inviato.
Il giorno mercoledì 06 marzo scorso, ci recammo presso gli Uffici delle Dogane di Cagliari, per avere conferma dell’avvenuta ricezione da parte loro dei documenti inviati dalla Regione. Ci rispose uno dei responsabili (Dott. Pani), dicendoci di non aver mai ricevuto nulla in merito. Decidemmo quindi di recarci personalmente alla sede della SARAS SpA per sentire se almeno a loro fosse giunto qualcosa. Ma dopo aver parlato con una responsabile, capimmo che pure li non era arrivato nulla. Decidemmo pertanto di non andare via dalla SARAS SpA, fino a quando, la Regione non ci avesse fornito le prove necessarie per dimostrare che aveva veramente fatto il suo dovere. Infatti la responsabile della SARAS SpA ci disse (e lo comunicò pure alla stampa), che appena gli fosse arrivato il documento necessario da parte del Presidente della Regione (NUOVO QUADRO NORMATIVO), lei avrebbe immediatamente cambiato (dopo la mezzanotte dello stesso giorno) i prezzi dei carburanti in uscita dalla raffineria con quelli nuovi esenti da dazi doganali, da accise e da IVA.


Come esempio da utilizzare per il Nuovo Quadro Normativo, avremmo potuto utilizzare quello della Regione Val d’Aosta o di Livigno (che sfioravano di poco il prezzo di un’euro al litro di Super e Diesel).
Mollammo immediatamente il presidio in SARAS e ci avviamo tutti verso il Palazzo della Regione in viale Trento per incontrare immediatamente l’Assessore Zedda, che ci aveva rassicurato di aver sentito il Presidente Cappellacci e che avrebbero immediatamente fatto quanto occorreva per essere spedito alla SARAS, prima dell’azzeramento della Giunta Regionale (rimpasto di Giunta in atto).
Ho dato comunicazione di quanto era in atto in rete e per telefono, in modo da farci trovare sotto il palazzo della Regione in quanti più possibile per essere ancor più convincenti. Di questo passaggio ne misi a conoscenza anche la Dott.ssa Randaccio che ci avrebbe raggiunti in viale Trento.


Nel frattempo ci giungeva notizia da più parti, in cui diverse persone appartenenti a diversi movimenti, davano ordine ai loro uomini di non raggiungerci e di tornare pure alle loro case.
All’arrivo in Viale Trento, ci presentammo all’ingresso e ci venne detto che l’Assessore non c’era. Ricevetti una telefonata da parte della Dott.ssa Randaccio che aveva appena sentito l’Assessore Zedda e che si erano dati appuntamento nel Palazzo per le ore 16.30.


Verso le 14.00 mi telefonò l’Assessore Zedda e mi confermò l’appuntamento delle 16.30 nel suo Assessorato alla presenza di Dott. Mariani, Scifo e Randaccio (considerandomi fra i presenti). Purtroppo il vero motivo della sua telefonata era dovuto a tutt’altro rispetto a quanto noi pensavamo di fare. Mi fece sapere che in realtà la settimana precedente (venerdì 01 notte) il Presidente non aveva ne firmato ne spedito nulla ne alla CEE, ne all’Ufficio delle Dogane, ne al Ministero Competente ma solo alle associazioni di categoria delle Società petrolifere ed energetiche. E come giustificazione per questa “balla Istituzionale” disse in maniera abbastanza imbarazzata, che l’avevano detta per prendere tempo (senza dire a che prò). Non era pertanto possibile inviare nulla alla SARAS per la richiesta di ribasso dei costi sui carburanti finche non fossero stati fatti prima gli altri adempimenti di dovere.


Alle 16.30 arrivarono la Randaccio e Scifo e restammo tutti in attesa dell’arrivo dell’Assessore Zedda per dare inizio all’incontro in programma. L’assessore dopo aver sentito la mia personale rabbia nei loro confronti in riferimento a quanto mi disse poco prima al telefono, mi vietò di partecipare all’incontro e non volle che nessun’altro al di fuori di Scifo e della Randaccio potesse parteciparvi.


Restammo quindi in attesa che i loro lavori terminassero e dopo circa 2 ore l’Avv. Scifo e la Dott.ssa Randaccio uscirono dal palazzo e ci informarono degli ultimi sviluppi (di cui abbiamo pubblicato il video in rete). In sintesi, la Regione si sarebbe presa l’impegno di inviare immediatamente quanto necessario a chi di dovere (con un’arricchimento giuridico concordato con Randaccio e Scifo). La tempistica per avere le carte in regola e poter così comunicare alla SARAS SpA di ribassare i prezzi dei carburanti, non potrà avvenire prima di una risposta positiva da parte della CEE o allo scadere dei 180 giorni dall’avvenuta spedizione e ricezione.
A questo punto ci resta solo da sapere con certezza se e quando il tutto è stato o sarà inviato a chi di dovere.

Con questa relazione, penso di aver dato una panoramica abbastanza completa, per far capire come siano esattamente andate le cose. Mi chiedo pure se senza tutte queste prese di posizione con riunioni, incontri ed occupazioni, sammo riusciti ad arrivare ugualmente a questo punto?
Ciò che alla fine conta è che i Sardi siano riusciti a vedere riconosciuto (e con l’ATTIVAZIONE del 12.02.2013 c’è l’hanno) un diritto che rischiava di essere perso per sempre, con cui si potranno mettere le basi per un futuro glorioso per tutto il nostro popolo.
E’ vero, che molte delle suddette azioni/decisioni sono state prese in pochi e in tempi molto brevi, ma pur sempre immediatamente comunicate a tutti (non sempre si riesce ad organizzare incontri per poter poi agire di conseguenza e ci si trova pertanto a dover decidere in quello stesso momento, ma sempre per il bene di una causa che no n appartiene ad un solo movimento o associazione, ma a ciascun cittadino Sardo che ha a cuore il bene della Sardegna.
Penso quindi che sia ora giunto il momento di fare un grande confronto fra tutti coloro che hanno seguito la vicenda Zona Franca, per cercare di programmare insieme il metodo con cui si dovranno mettere le basi organizzative, per fare in modo che siano i Sardi i veri protagonisti di questa nuova pagina di storia.

Il Movimento TERRA LIBERA è un movimento politico/imprenditoriale, composto da rappresentanti dell’imprenditoria Sarda, che sono molto attenti alle attuali problematiche e che intendono dare alle Istituzioni quella spinta necessaria per velocizzare il processo di salvezza di una terra che sta morendo giorno dopo giorno.


 TERRA LIBERA esiste da circa 8 mesi e cresce giorno dopo giorno, occupandosi di temi e sponsorizzando progetti che possano dare risposte ai tanti Sardi che oggi si trovano con un grande vuoto davanti e con poche possibilità di ripresa. La Zona Franca Integrale è il perno principale del grande programma del Movimento TERRA LIBERA, senza il quale non ci sarebbe altra speranza di rilancio per l’economia Sarda.

Sarà in occasione dell’appuntamento del 15 marzo 2013 ad Arborea, a cui parteciperanno anche gli altri Movimenti, i Comitati e le Associazioni, che TERRA LIBERA si presenterà per una proposta unitaria di tutte le forze, che finora hanno lavorato per il bene dei Sardi e per la salvaguardia dei loro diritti fino ad oggi non riconosciuti.


Giuseppe Marini (Movimento TERRA LIBERA) Cagliari - sabato 09 marzo 2013

venerdì 8 marzo 2013

Hugo Chávez, la leggenda del Liberatore del XXI secolo


Hugo Chávez, la leggenda del Liberatore del XXI secolo

Gennaro Carotenuto 



gennarocarotenuto.it/

Hugo Chávez non è stato un dirigente come tanti nella storia della sinistra. È stato uno di quei dirigenti politici che segnano un’intera epoca storica per il suo paese, il Venezuela, e per la patria grande latinoamericana. Soprattutto, però, ha incarnato l’ora del riscatto per la sinistra dopo decenni di sconfitte, l’ora delle ragioni della causa popolare dopo la lunga notte neoliberale.



L’America nella quale il giovane Hugo iniziò la sua opera era solo apparentemente pacificata dalla cosiddetta “fine della storia”. Questa, in America latina, non era stata il trionfo della libertà come nell’Europa dove cadeva il muro di Berlino. Era stata invece imposta nelle camere di tortura, con i desaparecidos del Piano Condor e con la carestia indotta dal Fondo Monetario Internazionale.

Il migliore dei mondi possibili lasciava all’America latina un ruolo subalterno e ai latinoamericani la negazione di diritti umani e civili essenziali. Carlos Andrés Pérez, da vicepresidente dell’Internazionale socialista in carica, massacrava nell’89 migliaia di cittadini inermi di Caracas per ottemperare ai voleri dell’FMI.

L’America che oggi lascia Hugo Chávez, ad appena 58 anni, è un continente completamente diverso. È un continente in corso di affrancamento da molte delle sue dipendenze storiche e rinfrancato da una crescita costante che, per la prima volta, è stata sistematicamente diretta a ridurre disuguaglianze e garantire diritti.

Non voglio tediare il lettore e citerò solo un paio di dati indispensabili. Nella Venezuela “saudita”, quella considerata una gran democrazia e un modello per l’FMI, ma dove i proventi del petrolio restavano nelle tasche di pochi, i poveri e gli indigenti erano il 70% (49 e 21%) della popolazione.

Nel Venezuela bolivariano del “dittatore populista” Chávez ne restano meno della metà (27 e 7%). A questo dato affianco la moltiplicazione del 2.300% degli investimenti in ricerca scientifica e il ricordo che, con l’aiuto decisivo di oltre 20.000 medici cubani, è stato costruito da zero un sistema sanitario pubblico in grado di dare risposte ai bisogni di tutti.

Oggi che il demonio Chávez è morto, è sotto gli occhi di chiunque abbia l’onestà intellettuale di ammetterlo cosa hanno rappresentato tre lustri di chavismo: pane, tetto e diritti. Gli osservatori onesti, a partire dall’ex-presidente statunitense Jimmy Carter, che gli ha rivolto un toccante messaggio di addio, riconoscono in Chávez il sincero democratico e il militante che si è dedicato fino all’ultimo istante «all’impegno per il miglioramento della vita dei suoi compatrioti». No, Jimmy Carter non è… chavista. Semplicemente è intellettualmente onesto ed è andato a vedere. Tutto il resto, la demonizzazione, la calunnia sfacciata, la rappresentazione caricaturale, è solo squallida disinformazione.

Chávez entra oggi nella storia ed è già leggenda perché ha mantenuto i patti e fatto quello che è l’essenza dell’idea di sinistra: lottare con ogni mezzo per la giustizia sociale, dare voce a chi non ha voce, diritti a chi non ha diritti, raggiungendo straordinari risultati concreti. In questi anni ha cento volte errato perché cento volte ha fatto in un paese terribilmente difficile come il Venezuela. Ha chiamato il suo cammino “socialismo”, proprio per sfidare il pensiero unico che quel termine demonizzava.

Chávez diventa così leggenda perché, in pace e democrazia, ha realizzato quello che è il dovere di qualunque dirigente socialista: prendere la ricchezza dov’è, nel caso del Venezuela nel petrolio, e investirla in beneficio delle classi popolari. Lo ha fatto al di là della retorica rivoluzionaria, propria di anni caldissimi di lotta politica, da formichina riformista.

Utilizzo il termine “riformista” sapendo che a molti, sia apologeti che critici, non piace pensare che Chávez non sia stato altro che un riformista, ma radicale, in grado di raggiungere risultati considerati impossibili sulla base di defaticanti trattative e su politiche basate sulla ricerca del consenso e sulla partecipazione.

Chávez è già leggenda perché ha piegato al gioco democratico un’opposizione indotta, in particolare da George Bush e José María Aznar (molto meno da Obama), all’eversione, esplicitatasi nel fallito golpe dell’11 aprile 2002 quando un popolo intero lo riportò a Miraflores e nella susseguente serrata golpista di PDVSA, la compagnia petrolifera nazionalizzata. È il controllo di quest’ultima ad aver garantito la cassaforte di politiche sociali generose.

È questo che la sinistra da operetta europea non ha mai perdonato a Chávez. Per la sinistra europea l’America latina è un remoto ricordo di gioventù, non un continente parte della nostra stessa storia. È troppo facile archiviare la presunta anomalia chavista, che è quella di un Continente, l’America latina dove destra e sinistra hanno più senso che mai, ed è necessario schierarsi, come un’utopia da chitarrate estive, Intillimani e hasta siempre comandante.

È troppo scomodo riconoscerne la prassi politica nelle due battaglie storiche che Hugo Chávez ha incarnato: la lotta di classe, che portò Chávez, il ragazzo di umili origini che per studiare poteva fare solo il militare o il prete, a scegliere di stare dalla parte degli umili, e quella anticoloniale che ha preso forma nel processo d’integrazione del Continente.

Il consenso, la partecipazione al progetto chavista, si misura proprio nella vigenza, nelle classi medie e popolari venezuelane, di un pensiero contro-egemonico rispetto a quello liberale dell’imperio dell’economia sulla politica.

I latinoamericani hanno maturato nei decenni scorsi solidi anticorpi in merito. Chávez ha catalizzato tali anticorpi riportando in auge il ruolo della lotta di classe nella Storia, la continuità della lotta anticoloniale, perché i “dannati della terra” continuano ad esistere e a risiedere nel Sud del mondo e non bastano 10 o 15 anni di governo popolare per sanare i guasti di 500 anni. Lo accusano di aver usato a fini di consenso la polemica contro gli Stati Uniti.

C’è del vero, ma non è stato Chávez a tentare sistematicamente di rovesciare il presidente degli Stati Uniti e non è il dito di Chávez ad oscurare la luna di rapporti diseguali e ingiusti tra Nord e Sud del mondo.

Si conceda a chi scrive il ricordo dell’intervista quasi visionaria che Chávez mi concesse a fine 2004 proprio sul tema della Patria grande latinoamericana. Sento ancora la forza del suo abbraccio al momento di salutarci. Con lui c’erano Lula e Néstor Kirchner, anch’egli scomparso neanche sessantenne nel momento di massima lucidità politica, dopo aver liberato l’Argentina dalla morsa dell’FMI e restaurato lo Stato di diritto in grado di processare i violatori di diritti umani.

Poi vennero Evo Morales e tutti gli altri dirigenti protagonisti della primavera latinoamericana. A Mar del Plata nel 2005 tutti insieme sconfissero il progetto criminale di George Bush che con l’ALCA voleva trasformare l’intera America latina in una maquiladora al servizio della competizione globale degli USA contro la Cina. Dire “no” agli USA: qualcosa d’impensabile!

Adesso, seppellita la pietra dello scandalo Chávez, tutti sono certi che l’anomalia rientrerà, che Nicolás Maduro non sarà all’altezza, che il partito socialista esploderà per rivalità personali e che la storia riprenderà il proprio corso come se Hugo non fosse mai esistito. Chissà; ma cento volte nell’ultimo decennio i venezuelani e i latinoamericani hanno dimostrato di ragionare con la loro testa.

Hanno dimostrato di non voler tornare al modello che hanno vissuto per decenni e che oggi sta divorando il sud dell’Europa. La forza del Brasile di Dilma come potenza regionale ha superato con successo vari esami di legittimazione.

Il processo d’integrazione appare un fatto irreversibile che fa da pilastro all’impedire il ritorno del «Washington consensus». No, una semplice restaurazione non è all’ordine del giorno anche se dovesse cambiare il segno politico del governo venezuelano, cosa improbabile sul breve termine, anche per l’enorme emotività causata dalla scomparsa di un leader così popolare.

Da oggi qualunque governo venezuelano e latinoamericano si dovrà misurare con la leggenda di Chávez, il presidente invitto, quattro volte rieletto dal suo popolo, in grado di sopravvivere a golpe e complotti, che aveva tutti i media contro e che solo il cancro ha sconfitto. Di dirigenti come lui o Néstor Kirchner non ne nascono tanti e il futuro non è segnato. Ma il suo lascito è enorme ed è un patrimonio che resta nelle mani del popolo.

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