Sapir: I tabù della sinistra radicale
vocidallestero
Jacques Sapir prende spunto da un libro di recente pubblicazione per parlare dei tabù che imprigionano la sinistra radicale, impedendole di replicare il successo di partiti di destra come il Front National. Tra questi, l’impossibilità di riconoscere il valore della sovranità e di giudicare obiettivamente un europeismo basato sulla denigrazione della propria Nazione e sulle ideologie neo-liberiste.
Jacques Sapir prende spunto da un libro di recente pubblicazione per parlare dei tabù che imprigionano la sinistra radicale, impedendole di replicare il successo di partiti di destra come il Front National. Tra questi, l’impossibilità di riconoscere il valore della sovranità e di giudicare obiettivamente un europeismo basato sulla denigrazione della propria Nazione e sulle ideologie neo-liberiste.
Il libro che Aurélien Bernier ha appena pubblicato per le edizioni Seuil, “La sinistra radicale e i suoi tabù”, occupa un posto importante nel dibattito che accompagnerà le elezioni europee di questa primavera 2014. Questo libro peraltro si inserisce sia in una corrente di idee, espresse dalla "sinistra della sinistra", che si appella a un'idea di Nazione, e anche in un percorso personale. Aurélien Bernier ha già pubblicato nel 2012 “Come la globalizzazione ha ucciso l'ecologia”, testo importante per l’analisi dell'interazione tra 'globale' e 'nazionale' o 'locale', e soprattutto “Disobbedire all'Unione europea” (edizioni Mille et Une Nuits). Quest’ultimo libro è considerato una sorta di breviario degli attivisti del Front de Gauche. Egli ha anche pubblicato nel 2008 “Il clima, ostaggio della finanza - o come il mercato specula con i "diritti ad inquinare"" sempre edito da Mille et Une Nuits. Il suo nuovo libro si inserisce quindi in questo doppio filone e solleva questioni che saranno fondamentali durante le elezioni europee.
Una questione decisiva
La prima questione, quella che domina tutte le altre, si può riassumere così: perché in Francia il Front National (movimento decisamente di destra, ndt) esplode a livello elettorale, mentre il Front de Gauche (partito di sinistra, ndt) ristagna? Egli rileva, inoltre, che questo fenomeno non si manifesta solo in Francia, ma si ripete in un certo numero di paesi europei. La crisi, che avrebbe dovuto fornire un terreno fertile allo sviluppo di forze realmente di sinistra, visto che non è più possibile definire di sinistra il "Partito Socialista" (anche se gli attivisti di sinistra ancora possono illudersi), favorisce invece i partiti di destra o populisti (pensiamo al M5S di Beppe Grillo in Italia).
Tra le risposte fornite nel libro, due mi sembrano essere fondamentalmente corrette: la visione di un 'antifascismo' che confonde i generi e le epoche e impedisce di ragionare e, soprattutto, la negazione del sentimento nazionale. L’ho detto pubblicamente a un giornalista di Le Monde parecchi anni fa, parafrasando Lenin: l'odio per la propria nazione è l'internazionalismo degli imbecilli. In un certo senso, questo dice tutto. L’ossessione di 'rivivere gli anni trenta' porta alcuni sconsiderati a rifiutarsi di dire pubblicamente le cose che pensano, per timore di essere assimilati al Front National, che essi equiparano - molto scorrettamente - al NSDAP (partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori, ndt).
Ciò li conduce, in fasi successive, a respingere l'idea di Nazione con il pretesto che essa potrebbe dar luogo al nazionalismo. Ci chiediamo allora perché queste persone coraggiose ancora prendono il treno (il treno era uno degli elementi cruciali del genocidio commesso dai nazisti) o l'aereo, che è stato usato per lanciare le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. In breve, si può rimanere sorpresi di fronte a questa prevenzione verso ciò che è, nonostante tutto, una realtà, come lo sono i treni e gli aerei. A meno che il comfort personale non abbia la priorità, naturalmente, sulla coerenza e la logica del ragionamento... Non dovremmo confondere i periodi storici! Il ragionamento di Aurélien Bernier qui è chiaro e perfettamente convincente.
Il libro è organizzato in un'introduzione, davvero appassionante e che pone appunto le questioni principali, e in due parti che si occupano, una della storia del successo elettorale del Front National (1984-2012) e della crisi della sinistra radicale, e l’altra di quello che l'autore chiama i "tre tabù" della sinistra: il tabù protezionista, il tabù europeo e il tabù della sovranità nazionale e popolare. C'è una progressione dallo strumento (il protezionismo) verso una nozione fondamentale (la Nazione). Egli conclude quindi parlando delle nuove tendenze politiche, ciò che chiama il 'neo-riformismo' e i 'neo-rivoluzionari' e fa della questione delle istituzioni europee (la UE), come uno dei punti chiave di queste nuove tendenze.
Il libro si conclude con due appendici, una dedicata alla "cronaca di una rinuncia", che porta a un'analisi delle posizioni del Partito Comunista Francese dal 1997 al 1999, e l'altra dedicata all'analisi dei risultati elettorali comparati del Front National e della sinistra radicale (oramai la sola vera sinistra rimasta in Francia). La seconda appendice è di gran lunga la più interessante, perché mostra l'evoluzione di questi risultati, e come il voto per il Front National stia perdendo la sua dimensione di pura protesta e diventando gradualmente un voto di adesione. Ma mancano dei dati per completare questa dimostrazione, perché il punto veramente sorprendente nell'evoluzione dei risultati elettorali del Front National è la loro evoluzione geografica.
E bisogna anche fare un confronto con le regioni devastate dalla disoccupazione [1]. Anche la prima appendice è interessante, ma troppo descrittiva. In realtà manca il punto: come il Partito Comunista Francese, un partito che non ha mai compiuto un’analisi sostanziale dello stalinismo e del sovietismo, si sia allineato all’europeismo. Aurélien Bernier suggerisce che questo allineamento sia stato in gran parte opportunistico, ma non è affatto certo. Il legame consustanziale del PCF con un'ideologia totalizzante ha favorito questo riallineamento con un'altra ideologia totalizzante, poiché l’europeismo, va detto chiaro e forte, è un'ideologia totalizzante che può dar luogo a delle pratiche totalitarie.
Da questo punto di vista, alcune analisi fatte dagli autori del libro curato da Cédric Durand, “En finir avec l’Europe”, libro che abbiamo presentato su questo sito [2], sono sicuramente più illuminanti. Pensare che ci fosse un PCF 'buono' prima del 1997 e uno 'cattivo' dopo il 1999 è profondamente fuorviante. Significa dimenticare l'effetto repressivo esercitato dal PCF sotto la direzione di Georges Marchais su gran parte della sinistra, spingendola tra le braccia di un socialismo dubbio. Significa dimenticare che la chiusura ideologica, la sterilità del dibattito intellettuale, hanno in gran parte preparato il terreno al passaggio ideologico dallo stalinismo verso l’europeismo. L’incapacità e, bisogna anche dire, l’ostinato rifiuto del PCF ad una analisi reale del sovietismo e dello stalinismo dagli anni '80 e anche degli anni '70, ha significato la sua fine come partito di massa.
Tra le risposte fornite nel libro, due mi sembrano essere fondamentalmente corrette: la visione di un 'antifascismo' che confonde i generi e le epoche e impedisce di ragionare e, soprattutto, la negazione del sentimento nazionale. L’ho detto pubblicamente a un giornalista di Le Monde parecchi anni fa, parafrasando Lenin: l'odio per la propria nazione è l'internazionalismo degli imbecilli. In un certo senso, questo dice tutto. L’ossessione di 'rivivere gli anni trenta' porta alcuni sconsiderati a rifiutarsi di dire pubblicamente le cose che pensano, per timore di essere assimilati al Front National, che essi equiparano - molto scorrettamente - al NSDAP (partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori, ndt).
Ciò li conduce, in fasi successive, a respingere l'idea di Nazione con il pretesto che essa potrebbe dar luogo al nazionalismo. Ci chiediamo allora perché queste persone coraggiose ancora prendono il treno (il treno era uno degli elementi cruciali del genocidio commesso dai nazisti) o l'aereo, che è stato usato per lanciare le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. In breve, si può rimanere sorpresi di fronte a questa prevenzione verso ciò che è, nonostante tutto, una realtà, come lo sono i treni e gli aerei. A meno che il comfort personale non abbia la priorità, naturalmente, sulla coerenza e la logica del ragionamento... Non dovremmo confondere i periodi storici! Il ragionamento di Aurélien Bernier qui è chiaro e perfettamente convincente.
Il libro è organizzato in un'introduzione, davvero appassionante e che pone appunto le questioni principali, e in due parti che si occupano, una della storia del successo elettorale del Front National (1984-2012) e della crisi della sinistra radicale, e l’altra di quello che l'autore chiama i "tre tabù" della sinistra: il tabù protezionista, il tabù europeo e il tabù della sovranità nazionale e popolare. C'è una progressione dallo strumento (il protezionismo) verso una nozione fondamentale (la Nazione). Egli conclude quindi parlando delle nuove tendenze politiche, ciò che chiama il 'neo-riformismo' e i 'neo-rivoluzionari' e fa della questione delle istituzioni europee (la UE), come uno dei punti chiave di queste nuove tendenze.
Il libro si conclude con due appendici, una dedicata alla "cronaca di una rinuncia", che porta a un'analisi delle posizioni del Partito Comunista Francese dal 1997 al 1999, e l'altra dedicata all'analisi dei risultati elettorali comparati del Front National e della sinistra radicale (oramai la sola vera sinistra rimasta in Francia). La seconda appendice è di gran lunga la più interessante, perché mostra l'evoluzione di questi risultati, e come il voto per il Front National stia perdendo la sua dimensione di pura protesta e diventando gradualmente un voto di adesione. Ma mancano dei dati per completare questa dimostrazione, perché il punto veramente sorprendente nell'evoluzione dei risultati elettorali del Front National è la loro evoluzione geografica.
E bisogna anche fare un confronto con le regioni devastate dalla disoccupazione [1]. Anche la prima appendice è interessante, ma troppo descrittiva. In realtà manca il punto: come il Partito Comunista Francese, un partito che non ha mai compiuto un’analisi sostanziale dello stalinismo e del sovietismo, si sia allineato all’europeismo. Aurélien Bernier suggerisce che questo allineamento sia stato in gran parte opportunistico, ma non è affatto certo. Il legame consustanziale del PCF con un'ideologia totalizzante ha favorito questo riallineamento con un'altra ideologia totalizzante, poiché l’europeismo, va detto chiaro e forte, è un'ideologia totalizzante che può dar luogo a delle pratiche totalitarie.
Da questo punto di vista, alcune analisi fatte dagli autori del libro curato da Cédric Durand, “En finir avec l’Europe”, libro che abbiamo presentato su questo sito [2], sono sicuramente più illuminanti. Pensare che ci fosse un PCF 'buono' prima del 1997 e uno 'cattivo' dopo il 1999 è profondamente fuorviante. Significa dimenticare l'effetto repressivo esercitato dal PCF sotto la direzione di Georges Marchais su gran parte della sinistra, spingendola tra le braccia di un socialismo dubbio. Significa dimenticare che la chiusura ideologica, la sterilità del dibattito intellettuale, hanno in gran parte preparato il terreno al passaggio ideologico dallo stalinismo verso l’europeismo. L’incapacità e, bisogna anche dire, l’ostinato rifiuto del PCF ad una analisi reale del sovietismo e dello stalinismo dagli anni '80 e anche degli anni '70, ha significato la sua fine come partito di massa.
Le origini del neo-liberismo
Questo ci porta agli errori ed omissioni che si possono trovare in questo libro. I meno importanti sono quelli dovuti a una scarsa conoscenza di alcuni punti. L'immagine di un Hayek "ispiratore" dell'Unione europea è totalmente falsa. Troviamo anche molti seguaci di Hayek tra gli oppositori sia dell’UE sia dell’Europa. Analogamente, il "neo-liberismo", non è d’ispirazione hayekiana, ma un'evoluzione del pensiero neoclassico dopo la svolta delle aspettative razionali, sotto l'influenza di tre autori: Lucas [3], Fama[4] e Sargent [5]. Infatti, l'UE è ben più neoliberista (in particolare in campo finanziario e monetario) di quanto sia in continuità con Hayek [6]. È molto giusto insistere quindi sulla natura profondamente neoliberista dell’UE, una natura che non si lascerà modificare in profondità senza forti rotture istituzionali. Da questo punto di vista, condividiamo pienamente l'analisi svolta da Aurélien Bernier nella sua opera.
Analogamente, nel capitolo sul “tabù del protezionismo", possiamo sorprenderci del fatto che il dibattito al di fuori del Front de Gauche, o del movimento Trotskista, sia appena accennato. Con l'11% dei voti alle ultime elezioni presidenziali, il Front de Gauche è tutt'altro che rappresentativo della società francese. Il ruolo di Arnaud Montebourg in questo dibattito non è nemmeno menzionato. Non posso ignorare, a seguito delle polemiche sollevate dal mio libro La Démondialisation [7] all'interno dell'estrema sinistra, che quest'ultima può essere ottusa e di una malafede più unica che rara. Ma ho sempre considerato le sue critiche come marginali e sono molto più attento alla diffusione delle idee protezionistiche nella società francese nel suo insieme. Su questo punto, il lettore avrebbe trovato utile una riflessione sui vari livelli e categorie del capitalismo francese, a seconda della loro dipendenza più o meno importante dal mercato interno o dal mercato estero.
Questo ci porta agli errori ed omissioni che si possono trovare in questo libro. I meno importanti sono quelli dovuti a una scarsa conoscenza di alcuni punti. L'immagine di un Hayek "ispiratore" dell'Unione europea è totalmente falsa. Troviamo anche molti seguaci di Hayek tra gli oppositori sia dell’UE sia dell’Europa. Analogamente, il "neo-liberismo", non è d’ispirazione hayekiana, ma un'evoluzione del pensiero neoclassico dopo la svolta delle aspettative razionali, sotto l'influenza di tre autori: Lucas [3], Fama[4] e Sargent [5]. Infatti, l'UE è ben più neoliberista (in particolare in campo finanziario e monetario) di quanto sia in continuità con Hayek [6]. È molto giusto insistere quindi sulla natura profondamente neoliberista dell’UE, una natura che non si lascerà modificare in profondità senza forti rotture istituzionali. Da questo punto di vista, condividiamo pienamente l'analisi svolta da Aurélien Bernier nella sua opera.
Analogamente, nel capitolo sul “tabù del protezionismo", possiamo sorprenderci del fatto che il dibattito al di fuori del Front de Gauche, o del movimento Trotskista, sia appena accennato. Con l'11% dei voti alle ultime elezioni presidenziali, il Front de Gauche è tutt'altro che rappresentativo della società francese. Il ruolo di Arnaud Montebourg in questo dibattito non è nemmeno menzionato. Non posso ignorare, a seguito delle polemiche sollevate dal mio libro La Démondialisation [7] all'interno dell'estrema sinistra, che quest'ultima può essere ottusa e di una malafede più unica che rara. Ma ho sempre considerato le sue critiche come marginali e sono molto più attento alla diffusione delle idee protezionistiche nella società francese nel suo insieme. Su questo punto, il lettore avrebbe trovato utile una riflessione sui vari livelli e categorie del capitalismo francese, a seconda della loro dipendenza più o meno importante dal mercato interno o dal mercato estero.
L’analisi mancante sulla natura del Front National
Queste critiche e commenti sono di poco peso. Esse non tolgono nulla all'interesse e all'importanza del libro. D'altra parte, c'è una mancanza nel libro che lo squilibra e lo priva della forza di convinzione che potrebbe avere: è un'analisi dell'evoluzione del Front National. Quella che manca non è un'analisi dei risultati elettorali. Quella è presente, come abbiamo avuto l'opportunità di mostrare qui sopra. Ma una vera analisi della natura sociale e ideologica del Front National, analisi che – insieme a quella dei tabù della sinistra reale - è l’unica in grado di fornire una risposta alla domanda con cui si apre il libro. Ripetutamente Aurélien Bernier utilizza il termine "Nazionalsocialista" per riferirsi alla nuova linea del Front National [8].
Lo dico molto chiaramente, questa reductio ad Hitlerum di Marine Le Pen è inutile, disarma la critica autentica, ed è davvero stupida dal punto di vista adottato da Aurélien Bernier nel suo libro, che è quello di una critica a coloro che si atteggiano da antifascisti. Questo introduce anche una formidabile incoerenza nel libro. La dialettica sulla natura sociale del Front National, la sua ideologia e i suoi argomenti, dovrebbe quindi essere studiata.
Un partito che sta prendendo piede nella classe operaia (dove è ormai il primo partito), negli strati più popolari, è portato a produrre nuovi argomenti. Questo va a cozzare con le rappresentazioni comuni di una parte dell'apparato di partito. A questo riguardo sarà interessante analizzare quale sarà l'ideologia spontanea dei giovani quadri del partito, reclutati dal 2010/2011, che il Front National intende promuovere. Le tensioni che ne possono risultare possono affondare il Front National, conducendolo a una scissione, oppure farlo evolvere in qualcosa di completamente nuovo. E' proprio perché non siamo nel 1930, e su questo concordiamo interamente con Aurélien Bernier, che non possiamo sapere cosa diventerà il Front National. Ma quel che è sicuro, è che non è nel passato che troveremo la risposta a questa domanda.
Queste critiche e commenti sono di poco peso. Esse non tolgono nulla all'interesse e all'importanza del libro. D'altra parte, c'è una mancanza nel libro che lo squilibra e lo priva della forza di convinzione che potrebbe avere: è un'analisi dell'evoluzione del Front National. Quella che manca non è un'analisi dei risultati elettorali. Quella è presente, come abbiamo avuto l'opportunità di mostrare qui sopra. Ma una vera analisi della natura sociale e ideologica del Front National, analisi che – insieme a quella dei tabù della sinistra reale - è l’unica in grado di fornire una risposta alla domanda con cui si apre il libro. Ripetutamente Aurélien Bernier utilizza il termine "Nazionalsocialista" per riferirsi alla nuova linea del Front National [8].
Lo dico molto chiaramente, questa reductio ad Hitlerum di Marine Le Pen è inutile, disarma la critica autentica, ed è davvero stupida dal punto di vista adottato da Aurélien Bernier nel suo libro, che è quello di una critica a coloro che si atteggiano da antifascisti. Questo introduce anche una formidabile incoerenza nel libro. La dialettica sulla natura sociale del Front National, la sua ideologia e i suoi argomenti, dovrebbe quindi essere studiata.
Un partito che sta prendendo piede nella classe operaia (dove è ormai il primo partito), negli strati più popolari, è portato a produrre nuovi argomenti. Questo va a cozzare con le rappresentazioni comuni di una parte dell'apparato di partito. A questo riguardo sarà interessante analizzare quale sarà l'ideologia spontanea dei giovani quadri del partito, reclutati dal 2010/2011, che il Front National intende promuovere. Le tensioni che ne possono risultare possono affondare il Front National, conducendolo a una scissione, oppure farlo evolvere in qualcosa di completamente nuovo. E' proprio perché non siamo nel 1930, e su questo concordiamo interamente con Aurélien Bernier, che non possiamo sapere cosa diventerà il Front National. Ma quel che è sicuro, è che non è nel passato che troveremo la risposta a questa domanda.
Il problema della sovranità
Rimane un problema aperto: il ruolo della sovranità nazionale. Aurélien Bernier tende, su questo punto, a non vedere in questo concetto nient'altro che il prodotto della rivoluzione del 1789 [9]. Questo dipende dal fatto che non ha nessuna teoria sull'origine delle istituzioni. Non a caso il capitolo che dedica a questo problema è quello che meno mantiene le sue promesse. Ci aspettavamo una riflessione sull'origine delle prevenzioni di una parte della sinistra verso il concetto di sovranità nazionale. Invece troviamo solo un'analisi delle più piatte di argomenti strumentali. Tuttavia, questo problema è fondamentale. Perché senza sovranità non c'è alcuna legittimità e la legittimità precede la legalità (questo è un punto importante nelle nostre relazioni con l'Unione Europea). E’ sulla sovranità che, in situazioni di emergenza, si fonda il diritto, e non viceversa. E poi, perché la creazione di un quadro nazionale, non tanto geografico, quanto politico, è ben precedente al 1789. D'altronde su questo punto ho avuto un acceso dibattito anche con Alexis Corbières del Front de Gauche.
Non possiamo comprendere la doppia minaccia costantemente in atto contro la Nazione, all'esterno e all'interno, se dimentichiamo che al momento della sua formazione lo Stato-Nazione si è affermato sia nei confronti dei micro-stati (le signorie), sia nei confronti del potere trans-nazionale, quello del Papato. Da questo punto di vista, i cinquant’anni che precedono la "Guerra dei 100 anni" costituiscono l’ingresso nella modernità della Nazione francese. Analogamente, il compromesso cui si arriva alla fine delle guerre di religione, compromesso la cui reale natura è espressa nell'opera postuma di Jean Bodin, l'Heptaplomeres, è il fondamento dei nostri attuali principi di democrazia laica. A questo proposito, l'attacco alla sovranità di Jean-Pierre Chevènement [10] (un termine che d'altra parte quest'ultimo rifiuta) non è solo assurdo ma, anche qui, intellettualmente e politicamente stupido. La sovranità è la base della democrazia.
Rimane un problema aperto: il ruolo della sovranità nazionale. Aurélien Bernier tende, su questo punto, a non vedere in questo concetto nient'altro che il prodotto della rivoluzione del 1789 [9]. Questo dipende dal fatto che non ha nessuna teoria sull'origine delle istituzioni. Non a caso il capitolo che dedica a questo problema è quello che meno mantiene le sue promesse. Ci aspettavamo una riflessione sull'origine delle prevenzioni di una parte della sinistra verso il concetto di sovranità nazionale. Invece troviamo solo un'analisi delle più piatte di argomenti strumentali. Tuttavia, questo problema è fondamentale. Perché senza sovranità non c'è alcuna legittimità e la legittimità precede la legalità (questo è un punto importante nelle nostre relazioni con l'Unione Europea). E’ sulla sovranità che, in situazioni di emergenza, si fonda il diritto, e non viceversa. E poi, perché la creazione di un quadro nazionale, non tanto geografico, quanto politico, è ben precedente al 1789. D'altronde su questo punto ho avuto un acceso dibattito anche con Alexis Corbières del Front de Gauche.
Non possiamo comprendere la doppia minaccia costantemente in atto contro la Nazione, all'esterno e all'interno, se dimentichiamo che al momento della sua formazione lo Stato-Nazione si è affermato sia nei confronti dei micro-stati (le signorie), sia nei confronti del potere trans-nazionale, quello del Papato. Da questo punto di vista, i cinquant’anni che precedono la "Guerra dei 100 anni" costituiscono l’ingresso nella modernità della Nazione francese. Analogamente, il compromesso cui si arriva alla fine delle guerre di religione, compromesso la cui reale natura è espressa nell'opera postuma di Jean Bodin, l'Heptaplomeres, è il fondamento dei nostri attuali principi di democrazia laica. A questo proposito, l'attacco alla sovranità di Jean-Pierre Chevènement [10] (un termine che d'altra parte quest'ultimo rifiuta) non è solo assurdo ma, anche qui, intellettualmente e politicamente stupido. La sovranità è la base della democrazia.
È un peccato che questi errori e queste lacune tolgano forza a un'opera importante in questa battaglia, che ormai si preannuncia capitale, quella delle elezioni europee della primavera 2014. Perché questo libro pone delle questioni chiave, e quindi si dovrà aprire un dibattito.
[1] Vedere per esempio « Deux Cartes », post pubblicato su RussEurope, 30 dicembre 2013,http://russeurope.hypotheses.org/1880
[2] Vedere, « Europe : un livre, un sondage », post pubblicato su RussEurope, 16 Maggio 2013,http://russeurope.hypotheses.org/1237
[3] Lucas, R.E., Studies in Business-Cycle Theory, Cambridge (Mass.): MIT Press, 1981. Idem, con Sargent T.J, Rational Expectations and Econometric Practice, vol.1, 1981, 5th printing, Minneapolis: University of Minnesota Press.
[4] Fama, E., Eugène Fama, « The behavior of stock Market Prices », Journal of Business, Vol. 38, n°1, pp. 34-105, 1965. Fama, Eugene F. (September/October 1965). “Random Walks In Stock Market Prices”. Financial Analysts Journal Vol. 21 (N°5), pp. 55–59.
[5] Sargent, T.J., « Estimation of dynamic labor demand schedules under rational expectations », Journal of Political Economy, 86, p. 1009-1044, 1978.
[6] Sapir J., Les Trous Noirs de la science Économique, Albin Michel, Paris, 2000.
[7] Sapir, J., La Démondialisation, Paris, Le Seuil, 2011.
[8] Bernier A., La Gauche radicale et ses tabous, Le Seuil, Paris, 2014, p. 16.
[9] Bernier A., Op.cit, p. 18.
[10] Bernier A., Op.cit., p. 130.
[2] Vedere, « Europe : un livre, un sondage », post pubblicato su RussEurope, 16 Maggio 2013,http://russeurope.hypotheses.org/1237
[3] Lucas, R.E., Studies in Business-Cycle Theory, Cambridge (Mass.): MIT Press, 1981. Idem, con Sargent T.J, Rational Expectations and Econometric Practice, vol.1, 1981, 5th printing, Minneapolis: University of Minnesota Press.
[4] Fama, E., Eugène Fama, « The behavior of stock Market Prices », Journal of Business, Vol. 38, n°1, pp. 34-105, 1965. Fama, Eugene F. (September/October 1965). “Random Walks In Stock Market Prices”. Financial Analysts Journal Vol. 21 (N°5), pp. 55–59.
[5] Sargent, T.J., « Estimation of dynamic labor demand schedules under rational expectations », Journal of Political Economy, 86, p. 1009-1044, 1978.
[6] Sapir J., Les Trous Noirs de la science Économique, Albin Michel, Paris, 2000.
[7] Sapir, J., La Démondialisation, Paris, Le Seuil, 2011.
[8] Bernier A., La Gauche radicale et ses tabous, Le Seuil, Paris, 2014, p. 16.
[9] Bernier A., Op.cit, p. 18.
[10] Bernier A., Op.cit., p. 130.