domenica 1 giugno 2014

L’analisi dei risultati delle elezioni europee in Italia

L’analisi dei risultati delle elezioni europee in Italia
Attilio Folliero

A circa una settimana dal voto per l’elezione dei deputati al parlamaento europeo riflettiamo su questi riusultati.

E’ stato detto tutto? I media di regime, la stampa e la TV ufficiale hanno esaltato la grande vittoria del PD, ora “legittimato” a continuare a ridimensionare i diritti dei cittadini e dei lavoratori, a tagliare le pensioni, ad aumentare  l’età pensionabile, a tagliare la spesa pubblica, a privatizzare o meglio svendere le imprese pubbliche rimaste in mano dello stato, a privatizzare la sanità, l’educazione, etc..

I media alternativi in línea di massima hanno imprecato contro gli italiani che hanno votato chi li 
sta affogando con la política dell’austerità, con l’incremento delle tasse, lo smantellamento dei diritti acquisiti in decenni di lotte sociali e sindacali; gli italiani non avrebbero capito che questo governo, cui hanno dato la fiducia, sta operando esattamente come tutti quelli che si sono susseguiti dalla caduta del muro di Berlino e la fine dei grandi partiti ideologici. Infatti, dopo la dissoluzione dei grandi partiti ideologici (Democrazia Cristiani, Partito Comunista, Partito Socialista, etc.), tutti i governi non hanno fatto altro che portare avanti una poltica incentrata sulla riduzione del debito pubblico, attraveso un aumento delle tasse ed un taglio alla spesa pubblica. I due governi Amato, il Governo Ciampi, i  quattro Governi Berlusconi, il Governo Dini, i due Governi Prodi, i due Governi D’Alema, il Governo Monti, il Governo Letta ed oggi il Governo Renzi hanno sempre e solo parlato di austerità, che in poche parole si traduce in un taglio algli investimenti nel campo sociale (educazione, sanità, previdenza ed asssitenza sociale) e nello smantellamento dei diritti acquisiti, duqnue minor protezione per le classi più deboli, facilità di licenziamento, sempre più precarietà e disoccupazione. Molti si sono chiesti come sia possibile che il popolo voti per il partito di governo che lo sta impoverendo.

Alcuni (Vedasi il sito Anticorpi) per spiegare l’inaspettata vittoria del PD hanno ipotizzato anche brogli elettorali, adducendo una serie di ragioni, tra cui il fatto che nessun sondaggio aveva previsto una vittoria cosi schiacciante del PD ed alcuni “Exit Poll” italiani diffusi in Gran Bretagna negli ambienti della finanza alle ore 20 della domenica, quando in Italia erano ancora in corso le votazioni; questi exitt poll annunciavano il soprpasso del M5S ai danni del PD: 30% circa contro il 29% circa. A volte, anzi spesso gli exit Poll sono stati un disatro, ma mai il voto ufficiale ha ribaltato questi sondaggi in tali proporzioni.

Personlamente non ho prove per dire che i risultati delle elezioni siano stati manipolati, ma francamente non ho nessuna fiducia nel sistema elettorale italiano, per il semplice fatto che mi sembra assurdo che le elezioni siano organizzate e gestite dal Ministero degli Interni, ossia un organo di parte, interessato e direttamente coinvolto nel risultato.

In Italia si parla spesso (senza mai apportare soluzioni) di conflitto di interesse; uno dei principali conflitti di interesse riguarda proprio l’organizzazione delle elezioni. Le elezioni dovrebbero essere organizzate e gestite da un organo imparziale. In molti paesi civili esiste un organo indipendente chiamato generalmente “Consiglio Nazionale Elettorale” dedito esclusivamente all’organizzazione di tutte le operazioni elettroali di un determinato paese. In Italia non esiste; le elezioni sono gestite dal Ministero degli Interni, un organo del Governo, sempre interessato al risultato delle elezioni. E’ come dire che una partita di calcio sia arbitrata dal presidente di una delle due squadre! Nel mondo del calcio sarebbe una assurdità, però nel caso delle elezioni italiane succede proprio questo: il rappresentante di uno dei partiti in lotta, il Ministro degli Interni, è l’arbitro, colui che organizza  e gestisce le elezioni. Per me questa situazione non garantisce imparzialità. In política si parla di divisione dei poteri, ma poi si finisce per assegnare ad una parte in competizione la gestione delle elezioni. Anche senza avere prove di possibili brogli elettorali, con questo sistema vigente non si possono escludere.

Specificato questo ed assumendo che i risultati elettroali di domencia scorsa non siano stati manipolati passiamo ad analizzarli nella sostanza.

I media di regime, i servi del regime ovviamente hanno esaltato la vittoria del PD, facendo enfasi sul fatto che il 40%, anzi il 41% del popolo italiano lo abbia votato.

Innanzitutto la vittoria del PD non è cosi stratosferica come vogliono farla apparire. Questo partito è un carrozzone nato dalla confluenza di ampi settori dei principali partiti di un tempo; infatti nel PD sono confluiti una parte consistente della DC, del PCI, del PSI, del PSDI e di altri piccoli partiti. I media di regime esaltano la percentuale del 41% di voti presi dal PD, ma dimenticano di evidenziare il numero di voti effettivi, pari a 11.203.231. Sia nelle elezioni europee del 1979 che in quelle del 1984 e del 1989 la DC da sola prendeva più voti che l’attuale PD. Non dimentichiamo che Renzi non solo storicamente appartiene ad una famiglia democristina, ma lui stesso proviene dalle file della DC e del partito Popolare successore della DC, prima di confluire nel PD.

Insomma i principali partiti confluiti nel carrozzone PD insieme sommavano 28,5 milioni di voti nel 1979, 28,4 milioni nel 1984 e 27,1 milioni nel 1989. Poi questi partiti come detto si sono sciolti e ampi settori sono successivamente confluiti nel carrozzone del PD.

E’ una grossa bugia che il popolo italiano abbia votato massivamente per il PD. Gli elettori iscritti a votare erano in totale 50.662.460; il PD avendo preso 11.203.231 di voti significa che solamente il 22% degli italiani lo ha votato, ossia solamente un italiano su 5!

I media di regime hanno nascosto, o meglio non hanno evidenziato come avrebbero dovuto fare, il dato dell’astensionismo: 21.671.202 italiani non si sono recati a votare, 579.353 hanno preferito votare scheda bianca e 959.231 hanno annullato la scheda (Voto nullo); in totale 23.209.786 di italiani sono contrari a tutti i partiti presenti in questa competizione. Ovviamente qualcuno di questi avrebbe voluto voare, ma non è potuto andare magari per una malattia; ma indubbiamente la stragrande maggioranza di questi oltre 23 milioni di italiani non è andato a votare perchè non condivide nessun partito o addirittura non condivide il sistema. Gli italiani che non hanno votato sono più del doppio di coloro che hanno votato per la “Nuova Democrazia Cristiana”, ovvero il PD. E’ un dato di fatto inconfutabile, totalmente sottaciuto dai media di regime.

Il dato dell’astensionismo in Italia è in forte aumento, se si pensa che nel 1979 gli astenuti (sommando coloro che non sono andati a votare a coloro che hanno votato scheda bianca o nulla) erano 7.160.804 (il 16.97% del totale degli elettori); sono stati 9.806.700 nel 1984 (21,82%); 11.542.644 nel 1989 (24,90%), 15.512.067 nel 1994 (32,01%), 18.215.883 nel 1999 (36,97%), 17.287.841 nel 2004 (34,71%) e 19.718.313 nel 2009 (39,17%).

Dal grafico sottostante si evince chiaramente il continuo aumento dell’astensionismo e la relativa riduzione dei voti validi.

Nota: Elaborazione Attilio Folliero su dati del Ministero degli Interni

Qualcuno sicuramente dirà che nella democrazia rappresentativa contano solo i voti espressi. Certamente un governo sarà sempre costituito sulla base dei soli voti espressi, anche se a votare fossero solo poche migliaia di persone. Ciò, però non significa che il popolo appoggi un governo uscito dalle urna.

Dove ha preso i voti il PD? Diciamo subito che anche da queste elezioni esce una Italia divisa in due: i cittadini delle regioni ricche del centro nord sono andati a votare ed hanno votato per il PD, mentre quelli delle regioni più povere del sud si sono astenuti ed al PD hanno dato meno voti.

In otto regioni (Sicilia, Sardegna, Calabria, Basilicata, Campania, Puglia, Molise e la nordica Valle d'Aosta) ha prevalso maggioritariamente l’astensione; in Sicilia l’astensionismo ha superato il 60%. Nelle otto regioni citate erano iscritti 16.694.068, dei quali 9.295.931 (il 55,68% degli aventi diritto) hanno scelto di non votare; inoltre coloro che hanno votato non hanno certo appoggiato il PD. La disoccupazione, la precarietà, il malcontento, la diffidenza verso lo stato ed il governo “ladro” hanno convinto la maggioranza dei cittadini del sud a boicottare le urna e penalizzare il principale partito di governo, il PD, che qui raccoglie il voto del 15,65% degli iscritti, ossia solamente 2.612.541 di cittadini hanno votato per il PD.

In cinque regioni (Trentino Alto Adige, Lazio, Friuli Venezia Giulia, Abruzzo e Liguria) l’astensionismo è stato superiore al 40%: su 9.048.373 di cittadini iscritti a votare ben 4.075.639 si sono astenuti, ovvero il 45,04%. Il PD ha preso 1.900.748 voti, ossia è stato preferito dal 21.01% degli iscritti di queste regioni.

Infine, ci sono sette regioni (Veneto, Marche, Piemonte, Lombardia, Toscana, Umbria ed Emilia Romagna) dove l’astensionismo è stato inferiore, pur essendo sempre abbastanza alto: 36,19%. In queste regioni, notoriamente tra le più ricche d’Italia, il PD ha raccolto 6.659.572 di voti; il 28,32% dei cittadini di queste regioni. In queste regioni si concentra di fatto il 60% di tutti i voti che ha preso il PD in Italia.

Tabella 1
Riepilogo del voto nelle venti regioni italiane
Nota: Elaborazione Attilio Folliero su dati del Ministero degli Interni. Cliccare per ingrandire

Tabella 2
Riepilogo del voto nelle diverse circoscrizioni
Nota: Elaborazione Attilio Folliero su dati del Ministero degli Interni. Cliccare per ingrandire

Tabella 3
Riepilogo del voto secondo l’astensionismo nelle regioni
Nota: Elaborazione Attilio Folliero su dati del Ministero degli Interni. Cliccare per ingrandire

Chi ha votato per il PD? Indubbiamente le classi oligarchiche e le classi ricche di questo nostro paese hanno votato il PD, il partito di governo, perchè con la sua política tutela proprio queste classi. Ovviamente in Italia non ci sono 11 milioni di oligarchi e ricchi; significa che altre classi hanno votato per il partito di governo. Ha votato per il PD la classe media alta e quella parte di italiani che dai media di regime sono ormai considerati dei “privilegiati”, ossia una parte dei 18 milioni di pensionati ed una parte dei milioni di impiegati e dipendenti pubblici. Coloro che hanno un reddito mensile sicuro derivante dal lavoro impiegatizio o dalla pensione sono ormai considerati dei privilegiati a fronte dei milioni di precari, part-time, sfuttati, disoccupati e sottoccupati che un reddito fisso stabile se lo sognano. Ovviamente noi non consideriamo un impiegato, un dipendente pubblico o un pensionato come un privilegiato. Consideriamo dei privilegiati coloro che hanno dei redditi e delle pensioni altissime, e non certo chi pur avendo uno stipendio mensile o una pensione a mala pena arriva alla fine del mese.

Non è duqnue un caso che il PD abbia preso più voti proprio nelle regioni più ricche. In sostanza ad appoggiare il PD non sono certo le classi più umili. Ad appoggiarlo sono quelle classi tutelate dal governo, quelle stesse classi che da 20 anni appoggiano il neoliberismo e che prima appoggiavano il regime democristiano e prima ancora il fascismo.

In conclusione, i media di regime hanno esaltato la vittoria del PD, quando bisognava mettere in evidenza che solamente un italiano su cinque circa lo ha votato. Il vero vincitore di questa elezione è l’astensione. Comunque, grazie alla propaganda di regime, tutti o quasi, inclusi coloro che fanno informazione alternativa sono caduti nella trappola di pensare e scrivere che il PD abbia l’appoggio di una gran parte degli italiani, quando in realtà ha l’appoggio solamente di un italiano su 5. Ed ora grazie alla legittimazione non dei risultati usciti dalle urna, ma dei media di regime il governo potrà continuare tranquillamente nella sua política tendente a ridurre i diritti di cittadini e lavoratori, potrà aumentare le tasse, potrà tagliare le pensioni, aumentare l’età pensionabile, ridurre gli investimenti nel sociale (educazione, sanità, previdenza), potrà tranquilamente continuare a svendere, a prezzi di saldi le ultime imprese pubbliche e potrà continuare a finanziare banche e banchieri. Insomma potrà continuare a togliere ai poveri per dare ai ricchi. Il tutto nel silenzio generale e soprattutto con la convinzione di tutti che sia necessario.

Di seguito, le prime pagine dei principali quotidiani italiani all'indomani delle elezioni europee. Trionfo, vittoria, valanga, boom, campioni d'Europa ... questi i principali titoloni per esaltare la vittoria di Renzi. Nessuno ha evidenziato l'enorme astensionismo, nessuno ha evidenziato che la maggioranza degli italiani non ha affatto votato per Renzi. 














Attilio Folliero, Caracas 29/05/2014

Il Mossad ha orchestrato la falsa rivolta in Ucraina... e in fondo appare Bildeberg

Il Mossad ha orchestrato la falsa rivolta in Ucraina... e in fondo appare Bildeberg

 By Mihaela Bruja
editing Sa Defenza


Secondo l'ex ufficiale dei servizi segreti ucraini , il Mossad stava giocando un ruolo di primo piano nelle proteste anti-governative nella ex repubblica sovietica.

E stata chiusa l'analisi dei documenti relativi alle proteste in Ucraina che hanno portato alla cacciata del governo di Viktor Yanukovych, orchestrate e guidate (suggeriscono i documenti) dagli USA e Israele.



Il gran numero di oligarchi ebrei che hanno finanziato ed eseguito il colpo di stato di Kiev e la loro connessione con Israele, ha dato agli analisti politici il motivo di parlare di Israele e del coinvolgimento di Mossad .

Incredibilmente , anche dopo aver denunciato il fatto che molti leader dell'opposizione ucraina erano , e avevano un'origine ebrea - americana, ammessa nelle conversazioni telefoniche trapelate, e che sono in attivi nell'opposizione , ci sono ancora alcuni che stanno a fantasticare sulla meravigliosa " Nationalist Revolution", che sta accadendo in Ucraina .

Bene , ora abbiamo un altro livello di influenza ebraica in questo stile arabo- ebraico, che ha prodotto "una primavera" ("in acquisizione") per l'ex repubblica sovietica , come fatti incontrovertibili rivelano e che l'esercito israeliano sta dirigendo gran parte della violenza .

Secondo le informazioni trapelate, un magnate israeliano ha finanziato le proteste a Maidan di Kiev , mentre il Mossad israeliano era attivo a stimolare e dirigere le violenze contro l'ex governo.

Come riportato da informazioni diffuse da un ex soldato israeliano che aveva condotto una unità combattente a Kiev,  ha intitolato ' i Caschi Blu di Maidan ' 40 uomini e donne - tra cui diversi veterani del regime sionista dell'esercito - in violenti scontri con le forze governative .

Il regime israeliano è stato dalla parte della giunta di Kiev , ma ancor oggi la maggioranza dell'opinione pubblica è ignorante su questi fatti . In altre parole , la talpa sionista vuole destabilizzare e portare avanti la falsa "rivoluzione" in Ucraina con carri armati e veicoli blindati .




Qui sotto le farneticazioni di un leader di Praviy Sektor sottotitolato in inglese , modifica la sottotitolazione in italiano, DMYTRO YAROSH, un gruppo neo-nazi impegnato nelle esecuzioni e combattimenti contro i popoli del sud-est ucraino ... LEGGILa crisi ucraina e gli ebrei: Tempo di speranza o disperazione?


sabato 31 maggio 2014

L'UE HA LA SOLUZIONE PER USCIRE DAI SETTE ANNI DI VACCHE MAGRE: METTERE NEL PIL IL VALORE DELLO SPACCIO DI DROGA DELLE VARIE MAFIE E PUSHER, E LA PROSTITUZIONE DEI PAPPONI ...

L'UE HA LA SOLUZIONE PER USCIRE DAI SETTE ANNI DI VACCHE MAGRE: METTERE NEL PIL  IL VALORE DELLO SPACCIO DI DROGA DELLE VARIE MAFIE E PUSHER, E LA PROSTITUZIONE DEI PAPONI ... VI CHIEDERETE MA NON E' ILLEGALE?  
movisol

OLLI REHN: una striscia anche a me, altrimenti m'incazzo!

Il 23/05/14- Comincia a far notizia l'imminente adozione da parte dell'ISTAT delle indicazioni europee in fatto di contabilità economica nazionale. Si tratta della geniale trovata degli esperti di Olli Rehn, votata e approvata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio Europeo, di gonfiare il PIL contando anche le attività illegali come il traffico della droga, il contrabbando e i "servizi della prostituzione".

Chi finora avesse nutrito dubbi sul nostro monito, e cioè che l'UE sta riflettendo sempre più le caratteristiche di un impero, non ha più ragione di continuare.

Né di lasciarsi ingannare dal sofisma fedelmente riportato dal Sole 24 Ore pochi giorni fa: "lo stesso concetto di attività illegale può prestarsi a diverse interpretazioni". (vedi)

Pensato principalmente per gonfiare le cifre e nascondere la bancarotta, il nuovo sistema di contabilità prevede anche una maggior considerazione per le spese per la Ricerca e Sviluppo, da considerarsi come "spese di investimento e non più componente dei costi intermedi", ma la più generale politica ecologista "20-20-20" non aiuterà certamente l'Europa a ritrovare la via della ripresa economica.

Pubblichiamo un articolo risalente al 6 febbraio 2014 dell'edizione italiana dell'EIR Strategic Alert.

L'UE dà un nuovo significato al termine "PIL drogato"

Dal prossimo ottobre l'ente statistico spagnolo INE includerà il reddito della prostituzione, dello spaccio di droga e del contrabbando nel calcolo del PIL. Secondo El Diario del 20 gennaio, ciò aumenterà il PIL di dieci miliardi, circa l'un per cento.

Ma la Spagna non è un caso isolato. Nel 2016 tutti gli stati membri dell'UE saranno chiamati a conteggiare l'economia illegale nel PIL. Eurostat ha pubblicato istruzioni tecniche su come calcolare il "valore" di tali attività criminali, che per loro stessa natura non sono registrate. Eurostat raccomanda che le cifre sulla prostituzione (da includere nei "servizi") siano calcolate dal lato dell'"offerta", e il traffico di droga dal lato della "domanda".

Sorge spontanea la domanda: quando c'è un sequestro di droga, si calcola una riduzione del PIL o del "valore aggiunto"?

Ci si chiede a quale scopo calcolare tali attività. Poiché le riforme imposte dalla Troika hanno distrutto invece che migliorare le finanze pubbliche, e l'economia non cresce, i geniacci dell'UE hanno pensato di far ricorso ad un trucco statistico per abbellire le cifre. Se il PIL aumenta grazie all'economia illegale, il livello di indebitamento pubblico sembra più basso.

Secondo eldiario.es, Eurostat raccomanda che gli stati membri si limitino a calcolare le transazioni illegali fatte sulla base del "consenso delle parti". Le rapine quindi vanno escluse. Ma uno dei più noti "economisti quantitativi" spagnoli e capo della fondazione delle casse di risparmio (Funcas), Angel Laborda Peralta, sostiene che il traffico di esseri umani vada incluso, perché comporta "una transazione economica".

Uno studio del Parlamento europeo intitolato Il mercato illecito della droga. Come misurare le droghe illegali nel quadro della contabilità nazionale. Il caso dell'Italia, pubblicato nel 2008, afferma che il sistema di contabilità europeo (ESA95) suggerisce che "tutte le attività produttive (sic) dovrebbero essere incluse nella contabilità nazionale, a prescindere dal fatto che siano legali o no". Ne segue che, secondo la malata logica monetaristica, la prostituzione e la tossicodipendenza sono "produttive".

Alain de Benoist: "sull'Europa...

sadefenzablog
Alain de Benoist
Signore e signori, amici cari,ancora un quarto di secolo fa, l’Europa appariva come la soluzione a tutti i problemi.

Oggi viene invece percepita come un problema che va ad aggiungersi agli altri. 

Per effetto della disillusione piovono critiche da ogni dove, e alla commissione europea si rimprovera di tutto e di più: di moltiplicare i contrasti, d’ingerire in questioni che non le competono, di voler punire chiunque, di paralizzare le istituzioni, di essere organizzata in maniera incomprensibile, di mancare di legittimità democratica, di annientare la sovranità dei popoli e delle nazioni, e di non essere più nient’altro che una macchina per non governare. 


Nella maggior parte dei paesi, le opinioni positive sull’Unione Europea sono in caduta libera da almeno dieci anni. La proporzione di coloro che, in Francia, ritengono che “l’appartenenza all’Unione sia un male” è perfino salita dal 25 % nel 2004 al 41 % nel 2013. Ancor più di recente, un sondaggio Ipsos rivelava che il 70 % dei francesi desidera “limitare i poteri dell’Europa”.



È un fatto assodato che oggi l’UE attraversi una crisi di legittimità senza precedenti. Ed è un ulteriore fatto che lo spettacolo da essa offerto non abbia nulla di entusiasmante. Ma come siamo arrivati a tutto questo?
La “decostruzione” dell’Europa comincia all’inizio degli anni Novanta, con i dibattiti in merito alla ratificazione del trattato di Maastricht. È a partire da quest’epoca che l’avvenire dell’Europa è apparso altamente problematico e che numerosi europei hanno iniziato a perdere la fiducia. Nel momento in cui la globalizzazione dava origine a ulteriori timori, la gente si è resa conto che “L’Europa non garantiva un miglior poter d’acquisto, un miglior regolamento di scambi commerciali nel mondo, una diminuzione delle delocalizzazioni, un regresso della criminalità, una stabilizzazione di mercati del lavoro o un controllo più efficace dell’immigrazione. Anzi al contrario”.  La costruzione europea è apparsa, dunque, non come un rimedio alla globalizzazione, quanto invece una tappa della globalizzazione stessa.
Fin dagli albori, la costruzione dell’Europa si è sviluppata a discapito del buonsenso, e sono stati commessi quattro errori: 1) Essere partiti dall’economia e dal commercio anziché partire dalla politica e dalla cultura, immaginando che per un effetto di rimbalzo, la cittadinanza economica si sarebbe automaticamente tradotta in quella politica. 2) Aver voluto creare l’Europa a partire dall’alto, anziché dal basso. 3) Aver puntato su un allargamento frettoloso a paesi poco preparati all’ingresso in Europa, preferendolo a un approfondimento delle strutture politiche già esistenti. 4) Non aver mai voluto prendere una decisione chiara in merito alle frontiere dell’Europa e alle finalità della costruzione europea.
Ossessionati dall’economia, i padri fondatori delle Comunità Europee hanno deliberatamente lasciato da parte la cultura. Il loro progetto originario mirava a fondere le nazioni in aree d’azione del tutto nuove in un’ottica funzionalista. Per Jean Monnet e i suoi amici, si trattava di pervenire a un mutuo intrecciarsi di economie nazionali, tale da rendere necessaria l’unione politica nel rivelarsi meno costosa della disunione. Non dimentichiamo d’altronde che il primo nome dell’“Europa” fu quello di “Mercato comune”. Questo iniziale economismo ha finito per favorire la deriva liberale delle istituzioni, oltre alla lettura essenzialmente economica delle politiche pubbliche che sarà effettuata a Bruxelles. Ben lungi dal preparare l’avvento di un’Europa politica, l’ipertrofia dell’economia ha rapidamente portato alla spoliticizzazione, alla consacrazione del potere degli esperti, e in ultima analisi all’applicazione di strategie tecnocratiche. 
Nel 1992 con il trattato di Maastricht si è passati dalla Comunità Europea all’Unione Europea. Questo slittamento semantico è anch’esso rivelatore, essendo naturalmente ciò che è “unito” meno forte di ciò che è “comune”. L’Europa di oggi è, dunque, prima di tutto l’Europa dell’economia e delle logiche di mercato, secondo il punto di vista delle élite liberali che la vorrebbero semplicemente come un vasto supermercato obbediente in maniera esclusiva alla logica del capitale.
Il secondo errore, come ho già detto, è stato quello di voler creare l’Europa a partire dall’alto, ovvero a partire dalle istituzioni di Bruxelles. Nelle intenzioni dei fautori del “federalismo integrale”, una sana logica avrebbe al contrario voluto che si partisse dal basso, dal quartiere e dal vicinato verso il comune, dal comune o dall’agglomerato urbano verso la regione, dalla regione verso la nazione, dalla nazione verso l’Europa. Il che avrebbe permesso in particolar modo l’applicazione rigorosa del principio di sussidiarietà. La sussidiarietà esige che l’autorità superiore intervenga nei soli casi in cui l’autorità inferiore sia incapace di farlo (è il principio di competenza sufficiente). Nell’Europa di Bruxelles, dove una burocrazia centralizzatrice tende a regolamentare ogni cosa attraverso le sue direttive, l’autorità superiore interviene ogni volta si ritiene in grado di farlo, con il risultato che la Commissione decide su tutto in quanto si giudica onnicompetente.
La denuncia di rito, da parte dei sovranisti, dell’Europa di Bruxelles quale “Europa federale” non deve quindi trarre in inganno: per via della sua tendenza ad attribuirsi autoritariamente tutte le competenze si costruisce al contrario su un modello ampiamente giacobino. Ben lungi dall’essere “federale”, è anche giacobina all’estremo, in quanto coniuga autoritarismo punitivo, centralismo e opacità.
Il terzo errore è consistito nell’allargamento sconsiderato dell’Europa, quando invece sarebbe stato necessario privilegiare l’approfondimento delle strutture già esistenti, aprendo al tempo stesso un dibattito politico in tutta Europa per tentare di stabilire una posizione consensuale in merito alle sue finalità. Tutto ciò si è visto in maniera particolare al momento dell’allargamento ai paesi dell’Europa centrale e orientale. La maggior parte di questi paesi hanno chiesto di aderire all’Unione Europea solo per beneficiare della protezione della NATO. Parlavano di Europa, ma non sognavano altro che l’America! Da tutto ciò sono risultate una diluizione e una perdita di efficacia che hanno rapidamente convinto tutto il mondo che un’Europa a venticinque o a trenta era semplicemente ingestibile, opinione ancor più rafforzata da inquietudini culturali, religiose e sociali legate alle prospettive di adesione della Turchia.
Tenuto conto della disparità dei livelli economici, delle condizioni sociali e dei sistemi fiscali, l’allargamento frettoloso dell’Unione Europea ha inoltre scatenato una spinta ricattatoria alle delocalizzazioni a svantaggio dei lavoratori. Ed è infine stato una delle cause principali della crisi dell’euro, a riprova che l’introduzione di una moneta unica, lungi dal favorire la convergenza delle economie nazionali in Europa, ha invece finito per aggravarla al punto da renderla intollerabile. 
La sovranità europea risulta ormai introvabile, mentre le sovranità nazionali non sono più altro che ricordi. In altri termini, sono state decostruite le nazioni senza costruire l’Europa. Un paradosso che si spiega quando si è compreso che l’Unione Europea non ha soltanto voluto mettere l’Europa al posto delle nazioni, ma anche sostituire alla politica l’economia, al governo degli uomini l’amministrazione delle cose. L’Unione Europea ha fatto proprio un liberalismo fondato sul primato dell’economia e della volontà di abolire la politica “spoliticizzando” la gestione governativa, vale a dire creando le condizioni in cui ogni ricorso a una decisione propriamente politica diviene inopportuno, se non impossibile.
A questo orientamento liberale va ad aggiungersi una crisi morale. Ossessionata dall’universalismo di cui è stata per molto tempo vettore, l’Europa ha introiettato un senso di colpa e di negazione di sé che ha finito per plasmare la sua visione del mondo, divenendo inoltre l’unico continente che si vuole “aperto all’apertura” senza considerare ciò che a sua volta potrebbe apportare agli altri.
È un fatto assodato che l’Europa, fin dalle sue origini, si sia industriata a concettualizzare l’universale, e che abbia voluto fare di sé nel bene e nel male una “civiltà dell’universale”. Ma “civiltà dell’universale” e “civiltà universale” non sono sinonimi. Secondo un bell’adagio spesso citato, l’universale, nel miglior senso del termine, è “il locale meno le mura”. Ma l’ideologia imperante ignora la differenza fra “civiltà universale” e “civiltà dell’universale”. Su istanza dei suoi rappresentanti, l’Europa è stata destinata all’ignoranza di sé – e alla “ripugnanza” per tutto ciò di cui è ancora autorizzata a ricordarsi -, mentre la religione dei diritti dell’uomo universalizzava l’idea della Inseità ("essere in sé"). Inoltre, un umanesimo privo di orizzonti si è posto a giudice della storia, facendo assurgere l’indistinzione quale ideale redentore, e mettendo incessantemente sotto processo l’appartenenza che rende singolari. Come ha affermato Alain Finkielkraut: «ciò significa che, per non escludere più chicchessia, l’Europa deve disfarsi di se stessa, “de-originarsi”, conservare della propria tradizione nient’altro che l’universalità dei diritti dell’uomo […] Noi non siamo nulla, è la condizione preliminare perché non siamo chiusi a niente e a nessuno». «Vacuità sostanziale, tolleranza radicale», ha potuto dire nello stesso spirito il sociologo Ulrich Beck – allorché è al contrario il senso di vuoto a rendere allergici a tutto.
Unici al mondo, i dirigenti europei rifiutano di pensare a se stessi come garanti di una storia, di una cultura, di un destino collettivo. Sotto la loro influenza, l’Europa ripete di continuo che il suo stesso passato non ha niente da dirle. Le banconote euro lo dimostrano alla perfezione: non vi si vede altro che strutture vuote, architetture astratte, mai un paesaggio, mai un volto. L’Europa vuol sfuggire alla storia in generale, e alla sua in particolare. Impedisce a se stessa di affermare ciò che è, e non vuol neanche porsi la questione della propria identità per paura di “discriminare” questo o quel suo componente. Quando essa proclama il proprio attaccamento a dei “valori”, è per sottolineare soprattutto che tali valori non le appartengono in quanto suoi, dal momento che si presume che tutti i popoli abbiano gli stessi. Questo accento posto sui “valori” anziché sugli “interessi”, gli obiettivi, o la volontà di sovranità politica è rivelatore di un’impotenza collettiva. L’Europa non sa assolutamente cosa vuol fare. E del resto non se ne pone neanche la domanda, perché a quel punto dovrebbe riconoscere che non vuole nulla. E perché non vuole nulla? Perché non sa più e non vuol più sapere cos’è.
Le conseguenze sono spaventose. Nell’ambito dell’immigrazione, l’Unione Europea si è dotata di una politica di armonizzazione alquanto generosa per i migranti che ormai nessuno Stato può più modificare. In ambito commerciale e industriale, è stato lo stesso rifiuto di ogni “santuarizzazione” a prevalere. La soppressione di ogni ostacolo al libero scambio si è tradotta nell’arrivo massiccio in Europa di beni e servizi fabbricati a basso costo nei paesi emergenti che praticano il dumping sotto ogni forma (sociale, fiscale, ambientale, ecc.), mentre il sistema produttivo europeo si delocalizza sempre più verso i paesi situati al di fuori dell’Europa, aggravando così la deindustrializzazione, la disoccupazione e i deficit commerciali.
La politica estera è il rovescio della medaglia della sovranità nazionale. Dal momento che l’Unione Europea non costituisce un corpo politico, non può ovviamente avere una politica estera comune, ma tutt’al più un’aggregazione congiunturale di diplomazie nazionali accompagnata da una politica “verso l’estero” derivata dalle competenze “comunitarie”. Che sia a proposito dell’intervento americano in Iraq, della guerra in Libia, in Mali o in Siria, che sia riguardo alla Russia o al Medio Oriente, alla Palestina, al Kosovo o più recentemente alla Crimea, gli europei sono stati sempre incapaci di adottare una posizione comune, accontentandosi di allinearsi in maggioranza sulle posizioni americane. Non percependo interessi comuni, non saprebbero neanche avere una volontà comune o una strategia comune.
E tuttavia, malgrado le delusioni suscitate fin qui dalla costruzione europea, un’Europa politicamente unita resta comunque più che mai necessaria. Perché questo? Prima di tutto per permettere a popoli europei da troppo tempo lacerati da guerre e conflitti o rivalità di ogni sorta di riprendere coscienza della loro comune appartenenza a una stessa area di cultura e civiltà e di assicurarsi un destino comune senza mai più doversi contrapporre. Ma anche per ragioni strettamente legate al momento storico che stiamo vivendo.
All’epoca del sistema di Yalta, quando il mondo era dominato dal duopolio americano-sovietico, l’emergere di una terza potenza europea era già una necessità. Questa necessità si rivela ancor più pressante dall’affondamento del sistema sovietico: in un mondo ormai frantumato, solo un’Europa unita può permettere ai popoli che la compongono di rivestire un ruolo a loro misura nel mondo. Per porre fine al dominio della superpotenza americana, occorre restituire al mondo una dimensione multipolare. Ecco un’altra ragione per fare l’Europa. 
La globalizzazione, generando un mondo senza l’altro da sé, dove lo spazio e il tempo sono virtualmente aboliti, consacra al tempo stesso l’impotenza crescente degli Stati nazione. Nell’epoca della modernità tardiva – o della postmodernità nascente – lo Stato nazione, entrato in crisi negli anni Trenta, diventa ogni giorno più obsoleto, mentre continuano a crescere i fenomeni transnazionali. Non è che lo Stato abbia perduto tutti i suoi poteri, ma non può più far fronte a imprese che oggi si estendono in scala planetaria, a partire da quelle del sistema finanziario. In un universo dominato dall’incertezza e dai rischi globali, nessun paese può sperare di venire a capo da solo dei problemi che lo riguardano. In altri termini, gli Stati nazionali non sono più le entità primarie che permettono di risolvere i problemi nazionali. Troppo grandi per rispondere alle attese quotidiane dei cittadini, sono al tempo stesso troppo piccoli per far fronte alle sfide e agli obblighi planetari. Il momento storico che stiamo vivendo è quello dell’azione locale e dei blocchi continentali.
In un simile contesto, i “sovranisti” appaiono come uomini che sviluppano spesso delle buone critiche, ma che non portano buone soluzioni. Quando denunciano (non senza ragione) il carattere burocratico e tecnocratico delle decisioni prese a Bruxelles, risulta per esempio facile risponder loro che i burocrati e i tecnocrati degli attuali Stati-nazione non sono certo migliori. Quando criticano l’atlantismo dell’Unione Europea, è altrettanto facile far loro osservare che i governi nazionali si orientano esattamente nella stessa direzione. Assistiamo oggi a un vasto movimento di omogeneizzazione planetaria, che tocca tanto la cultura quanto l’economia e la vita sociale, e  l’esistenza degli Stati-nazione non lo ostacola in alcun modo. I vettori di tale omogeneizzazione nazionale si fanno beffe delle frontiere, e sarebbe un grave errore credere che vi si possa far fronte puntandovi contro. La maggior parte delle critiche indirizzate all’Europa sarebbero dunque altrettanto giustificate in scala nazionale.
Altre critiche sono contraddittorie. Così, sono spesso gli stessi a deplorare l’impotenza politica dell’Europa (riguardo a questioni quali la guerra del Golfo, il conflitto nell’ex Iugoslavia, e così via) e che rifiutano categoricamente di concedere deleghe di poteri necessarie all’instaurazione di un autentico governo politico europeo, l’unico in grado di prendere in materia di politica estera le decisioni che s’impongono.
L’argomento della “sovranità” delle nazioni non ha miglior fortuna. Quando diciamo che l’Unione Europea implica delle rinunce alla sovranità nazionale, dimentichiamo che già da molto tempo gli Stati-nazione hanno perduto la loro capacità di decisioni politiche in tutti i campi più rilevanti. Nell’era della globalizzazione, sono detentori di una semplice sovranità nominale. L’impotenza dei governi nazionali di fronte ai movimenti dei capitali, al potere dei mercati finanziari, alla mobilità senza precedenti del capitale, è oggi evidente. Occorre prenderne atto per cercare le maniere d’instaurare una nuova sovranità al livello in cui abbia la concreta possibilità di esercitarsi, vale a dire precisamente a livello europeo. Altro, ulteriore motivo per fare l’Europa.
Una delle ragioni profonde della crisi della costruzione europea è che, a quanto pare, nessuno è in grado di rispondere alla domanda: cos’è l’Europa? Le risposte non mancano certo, ma sono perlopiù convenzionali e nessuna risulta unanime. Orbene, la risposta alla domanda: cos’è l’Europa? condiziona la risposta a un’altra domanda: cosa dev’essere?
Tutti sanno bene, infatti, che non vi è alcuna comune misura fra un’Europa che cerchi di costituirsi come potenza politica autonoma sovrana, con delle frontiere chiaramente definite e delle istituzioni politiche comuni, e un’Europa che non sarebbe altro che un vasto mercato, uno spazio di libero scambio aperto ai “grandi orizzonti”, destinato a dissolversi in uno spazio illimitato, in larga misura spoliticizzato o neutrale, funzionante soltanto attraverso meccanismi di decisione tecnocratici e intergovernativi. L’allargamento frettoloso dell’Europa e l’incertezza esistenziale che pesa oggi sulla costruzione europea hanno fin qui favorito il secondo modello, d’ispirazione “anglosassone” o “atlantica”. Ora, scegliere fra i due modelli significa anche scegliere fra la politica e l’economia, fra la potenza della Terra e la potenza del Mare. Purtroppo, coloro i quali si occupano della costruzione europea non hanno, in generale, la benché minima idea in materia geopolitica. L’antagonismo delle logiche terrestri e marittime sfugge loro completamente.
Il generale de Gaulle, nel 1964, aveva perfettamente definito il problema quando aveva dichiarato: «Secondo noi francesi occorre che l’Europa si faccia per essere europea. Un’Europa europea significa che essa esiste da sé e per sé, ovvero che al centro del mondo abbia la propria politica. Orbene, è proprio questo ciò che taluni respingono, consapevolmente o inconsapevolmente, pur sostenendo di volerne la realizzazione. In fondo, il fatto che l’Europa, non avendo una politica, resterebbe assoggettata a quella dettatale dall’altra sponda dell’Atlantico, pare loro, ancora oggi, normale e soddisfacente”.
L’Europa è un progetto di civiltà o non è niente. A tale titolo, essa implica una certa idea dell’uomo. Questa idea è ai miei occhi quella di una persona autonoma e radicata, respingendo con un sol gesto l’individualismo e il collettivismo, l’etnocentrismo e il liberalismo. L’Europa che desidero con tutto me stesso è dunque quella del federalismo integrale, il solo in grado di realizzare dialetticamente il necessario equilibrio fra autonomia e unione, fra unità e diversità. Su tali basi, è certo che l’Europa dovrebbe avere per ambizione quella di essere a un tempo potenza sovrana in grado di difendere i propri interessi specifici, polo di regolazione della globalizzazione in un mondo multipolare, e progetto originale di cultura e civiltà.
Per il momento, ce ne rendiamo ben conto, la situazione è bloccata. Vogliamo l’Europa della cultura, e abbiamo quella dei tecnocrati. Subiamo gli inconvenienti dell’introduzione di una moneta unica senza raccoglierne i vantaggi. Vediamo le sovranità nazionali scomparire senza l’affermarsi della sovranità europea di cui abbiamo bisogno. Vediamo l’Europa comportarsi da ausiliaria, e non da avversaria della globalizzazione. La vediamo legittimare delle politiche di austerità, la politica del debito e la dipendenza dai mercati finanziari. La vediamo dichiararsi solidale con l’America nella sua nuova guerra fredda con la Russia, e pronta a firmare con gli americani un accordo commerciale transatlantico che ci ridurrebbe alla loro mercé. La vediamo colpita da amnesia, dimentica di se stessa, e pertanto incapace di trarre dal suo passato dei motivi per proiettarsi verso l’avvenire. La vediamo rifiutarsi di trasmettere quanto ha ereditato, la vediamo incapace di formulare un grande progetto collettivo. La vediamo uscire dalla storia, a rischio di divenire oggetto della storia di altri.
Come uscire da questo blocco? È il segreto del futuro. Qua e là vediamo delinearsi delle alternative, tutte meritevoli di essere studiate, pur sapendo che abbiamo i tempi contati. Ho spesso citato queste parole di Nietzsche, secondo cui: «L’Europa si farà solo sull’orlo di una tomba”. Nietzsche, lo sappiamo, si appellava anche ai “buoni europei”. Ebbene, vediamo di essere dei “buoni europei”: lanciamo a nostra volta un appello affinché si manifesti finalmente lo Stato europeo, il dominio europeo, l’Europa autonoma e sovrana che vogliamo forgiare e che ci eviterà la tomba.
Viva l’Europa, amici miei! Vi ringrazio. 
Alain de Benoist
(Simposio Europa-mercato o Europa-potenza del 26 aprile 2014. Traduzione di Marco Zonetti, per concessione di Arianna Editrice)

E SE IL VERO SEGRETO DI STATO FOSSE PROPRIO RENZI?

E SE IL VERO SEGRETO DI STATO FOSSE PROPRIO RENZI?
Di comidad 

Tra le operazioni mediatiche del governo Renzi, vi è stata anche quella di togliere il segreto di Stato sulle stragi. Molti commentatori hanno rilevato il carattere meramente simbolico della decisione, dato che in questo momento non esistono ufficialmente documenti sulle stragi che non siano già venuti a conoscenza della magistratura; perciò, se un segreto rimane, riguarderebbe documenti di cui non si conosce neppure l'esistenza. 

D'altro canto, non risulta che Renzi abbia tolto invece il segreto di Stato sullavicenda del Monte dei Paschi di Siena. Il segreto fu invocato dal ministro dell'Economia del governo Letta, Fabrizio Saccomanni, e riguardava un documento della Commissione Europea che conteneva alcune intimazioni alla MPS. Nella circostanza non è neppure chiaro se il segreto di Stato sia stato apposto in via ufficiale, oppure ci si sia limitati a richiamarsi ad una generica riservatezza, ma il risultato non è cambiato. Si parla tanto di abolizione del segreto bancario, ma può arrivare in soccorso nientemeno che il segreto di Stato. 

La segretezza che circonda il caso MPS si spiega anche con le sue implicazioni internazionali, dato che vi sono coinvolte grandi multinazionali del credito, come JP Morgan, la giapponese Nomura e Deutsche Bank. Visto dall'estero, il coinvolgimento di Deutsche Bank nella vicenda MPS è apparso molto più rilevante e compromettente di quanto i media italiani abbiano lasciato percepire.
Nel decreto applicativo della Legge 124/2007 sul segreto di Stato, pubblicato dal governo Prodi sulla Gazzetta Ufficiale del 16 aprile del 2008, all'articolo 3, si fa esplicitamente riferimento alla motivazione della "integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali". 

Il termine generico "accordi" implica che non è necessario neppure il riferimento ad un Trattato formale per invocare il segreto; perciò tale genericità sembra voluta apposta per tutelare le multinazionali da inchieste giudiziarie. Del resto il testo della Legge 124/2007 ed il relativo decreto applicativo dell'anno seguente è stato redatto dall'allora ministro degli Interni, ed attuale giudice costituzionale, Giuliano Amato; il quale, come è noto, nel frattempo ha anche svolto la funzione di senior advisor a Deutsche Bank per circa tre anni. 

Non che le multinazionali abbiano molto da temere dalla magistratura. Nel marzo di quest'anno è arrivata infatti la sentenza d'Appello sulla truffa dei derivati al Comune di Milano, una sentenza che ha mandato tutte assolte le multinazionali coinvolte, tra cui Deutsche Bank. Secondo la Corte di Appello di Milano "il fatto non sussiste". Come a dire che, quando frodano, le banche fanno solo il loro mestiere. 

Una legge come la 124/2007 apre però degli scenari molto più complicati, che vanno a mettere in discussione persino la nozione di politica come è comunemente accettata. In base a quella legge è possibile infatti porre sotto segreto di Stato pressoché tutti gli aspetti della funzione istituzionale, ponendo in dubbio la stessa attendibilità di qualsiasi risultato elettorale. 

Già nella scadenza elettorale del 2006 si parlò di possibili brogli. Il primo a gridare ai brogli fu allora il Buffone di Arcore, a risultati ancora caldi; ma di lì a pochi giorni i sospetti andarono ad indirizzarsi proprio su di lui. La legge elettorale soprannominata "Porcellum" effettivamente favoriva i brogli, poiché, eliminando il voto ai singoli candidati, si toglieva qualsiasi interesse degli stessi candidati a controllare il voto con i propri galoppini. Spesso i galoppini dei candidati si facevano addirittura essi stessi promotori di micro-brogli. 

Ma comunque sino al 2006 l'esistenza di un'anagrafe elettorale poneva un grave ostacolo allo spostare impunemente milioni di voti nel calcolo finale. Oggi invece tale spostamento è possibile, grazie ad una legge come la 124/2007, varata dal centrosinistra. All'articolo 13 comma 2 della legge è prevista infatti la possibilità di accesso dei servizi segreti, sia militari che civili, a tutti i sistemi informatici delle pubbliche amministrazioni, o di organismi che abbiano in qualche modo a che fare con la pubblica utilità.

Renzi ha fatto quindi una gaffe ad evocare lo spettro del segreto di Stato, poiché tutta la sua improbabile vicenda umana e politica potrebbe essere spiegata proprio "alla luce" del segreto di Stato, ivi compresa la sua recente santificazione elettorale, sancita dalle ultime elezioni europee. A coronare il "trionfo" di Renzi è giunto il ridimensionamento del Movimento 5 Stelle, dipinto dai media come una formazione estremista, ma che di fatto convoglia un autentico desiderio di opposizione verso i labirinti dell'ambiguità (dentro o fuori dall'euro? eurobond? Sì, no, forse, chissà). 

I 5 Stelle erano risultati però utili a suo tempo per liquidare Bersani, al quale non è servito a nulla istruirsi sui bignami del Fondo Monetario Internazionale. Bersani appariva comunque colpevole agli occhi delle multinazionali di coltivare eccessivi legami col proprio territorio. Dall'anno prossimo andrà invece in vigore il TTIP (Transatlatic Trade and Investment Partnership), quella "NATO economica" in base alle cui norme potremo ritrovarci sulle tavole un Parmigiano Reggiano prodotto nel Wisconsin o nell'Idaho. 

Per una tale fase di delocalizzazione acuta, occorreva mettere al governo un fantoccio narcisista e sradicato come Renzi. Persino la presunta popolarità di Renzi potrebbe perciò dimostrarsi alla fine come qualcosa di meno di una costruzione mediatica, cioè rivelarsi una mera illusione gonfiata dai media e dalle agenzie di guerra psicologica; nel senso che si sta cercando di farci credere che egli abbia molti più fans di quanti effettivamente ne possa contare.

venerdì 30 maggio 2014

IO SONO UNA BORGHESE DI MERDA!

IO SONO UNA BORGHESE DI MERDA! 

BARBARA TAMPIERI
ilblogdilameduck.blogspot.it


"Ma tu non eri di sinistra?" mi chiedeva con preoccupazione un mio follower twittarolo stamattina. Il fatto è, caro, che prima di tutto io sono una borghese di merda, e proprio per questo a vent'anni ero comunista. Non c'è da stupirsene perché sono i borghesi che scelgono la bandiera rossa senza averne la necessità. Marx, Lenin, Trockij, Che Guevara, Fidel Castro, erano tutti borghesi, perché è la borghesia che, quando l'élite esagera, che si tratti di incipriati aristocratici e pretacci o di latifondisti, capitalisti e padroni delle ferriere, fa le rivoluzioni. Sono stata di sinistra per un lungo tempo, prima che saltassero tutte le regole su chi dovesse stare dalla parte del popolo e chi invece doveva vendersi al Capitale. Perché qualcosa è successo, darling. Più o meno attorno al Sessantotto. E' stato un processo lungo e difficile da allora, ma sta giungendo a compimento. La più grande operazione di pulizia sociale della storia. La fine della lotta di classe con la proclamazione del Capitale come vincitore. With a little help from his friends.


Ti spiego il mio percorso. Sono una borghese, dicevo, e la mia è la classe media che, ad un certo punto, nel secolo scorso, è riuscita storicamente ad inglobare emancipandola anche tanta parte della classe operaia. Merito delle lotte dei borghesi dalla coscienza infelice di cui sopra condotte assieme agli operai, certo, ma anche di un capitalismo che pensava che estendere la ricchezza a fasce più ampie della popolazione, facendo diventare i proletari classe media, significava più merci vendute, più profitti e più benessere per tutti. Il famigerato moltiplicatore. Ma già, Henry Ford era un nazifascista anche se pensava che aumentando il salario ai suoi operai questi avrebbero potuto comperare il modello T che fabbricavano.
Quello della mia gioventù sembra un mondo perduto ed estinto; una meraviglia, sai, in confronto a quello di oggi. E sono sicura che te ne ricordi, perché non sei di primo pelo neppure tu.

Uno stipendio in famiglia bastava a condurre una vita più che dignitosa dove non ti mancava nulla di veramente necessario.  Esisteva ancora il concetto di superfluo e per quello c'era il "no, non ce lo possiamo permettere". Quel no ti aiutava a crescere e a capire che, una volta grande, te lo saresti guadagnato con il tuo lavoro, perché il lavoro ci sarebbe stato, secondo quello che avevi studiato e imparato a fare.

Perfino con uno stipendio solo, con i risparmi (allora si riusciva a mettere da parte qualcosa ogni mese), la famiglia riusciva a comperarsi la casa dove viveva e, se lavoravano tutti e due i genitori, ci si comperava magari un'altra casa al mare o in campagna o in montagna. Perché allora esistevano ancora le ferie e le vacanze non duravano meno di venti giorni. Per le malattie c'era il welfare, ad una certa età arrivavano la pensione e la liquidazione con la quale ti potevi togliere qualche sfizio in più o farti la casetta di cui sopra, perché i nonni non erano costretti a mantenere nipoti disoccupati. Erano i tempi in cui l'Italia stava diventando, pur tra corruzione, mafia e caste, e sottoposta a sovranità limitata come paese sconfitto, la quinta potenza industriale del mondo.

Non erano tutte rose e fiori? Certo, c'erano come sempre i poveri e lo sfruttamento, il mondo era diviso in classi.  C'erano la crisi petrolifera, il terrorismo di stato, le bombe, le guerre imperialiste. Poi arrivò la shock economy, prima dal Sudamerica (però così lontano da noi) e poi nel mondo anglosassone, con i primi vagiti del dominio finanziario sulle nostre vite ma la speranza di un futuro migliore non mancava, nessuno pensava che, pur lavorando da rompersi la schiena, da vecchio sarebbe stato povero e abbandonato perché gli avrebbero portato via tutto. Non avevamo nulla da perdere, caso mai ci sarebbe stato ancora qualcosa da ottenere. Il muro nero della depressione, dell'assenza di un futuro o dell'angoscia data dal pensiero di che cosa sarà il nostro futuro in balia della povertà non esisteva e nessuno sarebbe stato in grado di immaginarlo, a meno che non fosse vissuto al di là di qualche Cortina di Ferro.

Soprattutto nessuno si sarebbe mai immaginato che il benessere ottenuto in base alle lotte sindacali, nato dal sangue degli operai e di quei borghesi empatici e simboleggiato in maniera sacra dalla democrazia, dato ormai per acquisito perché certificato nella Costituzione, sarebbe stato possibile toglierlo al popolo per consegnarlo ad un'élite intenzionata a redistribuire la ricchezza esistente verso l'alto, accaparrandosela tutta e creando un mondo dove l'1% ha tutto e il 99% quasi nulla, senza più democrazia. Un mondo nuovo ma tremendamente simile al Medioevo che, per essere realizzato, ormai lo sappiamo, nei trent'anni previsti per il suo compimento non potrà che finire con l'eliminazione fisica della classe media, magari sostituita da carne da macello proveniente dal terzo mondo da impiegare per la pulitura dei cessi dove andranno a sedersi i culi imperiali.

Credo che, se qualcuno allora, negli anni sessanta-settanta, avesse visto un'anteprima del futuro, ovvero dei giorni nostri, lo avrebbe considerato il peggiore incubo mai vissuto e nessuno avrebbe potuto immaginare che coloro che si sarebbero offerti spontaneamente per farlo avverare sarebbero stati i partiti di sinistra, quelli più tradizionalmente (allora) vicini al popolo. 

Eccoci, caro, al perché io non sono più comunista, non sono più di sinistra, anzi non sono niente, sono solo una borghese di merda ma molto, molto incazzata.
Sono incazzata e mi difenderò fino all'ultimo perché vogliono farmi fuori. Vogliono portarmi via ciò che la mia famiglia mi ha lasciato, affinché, assieme a ciò che mi guadagno con il mio lavoro, potessi avere una vecchiaia serena senza dover dipendere da nessuno. Penso a me stessa, certo. Gli altri hanno smesso di pensare a me.

Ti pare impossibile che l'orrendo scenario che ti ho descritto possa realizzarsi? Cosa ti stanno ripetendo giorno e notte, tutti i giorni e a tutte le ore, caro amico? Che quel mondo che ti ho descritto e che abbiamo vissuto, che ci ha permesso di crescere ed arrivare fin qui dobbiamo scordarcelo perché NON POSSIAMO PIU' PERMETTERCELO. E, di grazia, ti stai chiedendo il PERCHE'? Perché le risorse mondiali sono limitate? Per quello basterebbe uno sviluppo più responsabile. Basterebbe quella cosa che si chiama progresso e che nasce dall'ingegno di persone molto creative in ogni epoca e che in poco più di cento anni ci hanno dato l'elettricità, la mobilità di persone e merci e la comunicazione. Progresso che serve da sempre a migliorare la vita delle persone e a renderla più facile. Basterebbe tendere a realizzare uno di quei mondi futuribili ideali che nessun romanzo di fantascienza ha più il coraggio di immaginare.

Il nostro benessere non possiamo più permettercelo perché ciò che abbiamo lo vuole qualcun altro, e non sono certo coloro che non hanno nulla ma quelli che hanno già tutto. Vedi, in fondo, da borghese di merda, con queste parole sto pensando anche a te, sto cercando di avvertirti del pericolo, anche se non meriteresti affatto di essere salvato.

Non sono direttamente le élite che ti annunciano la fine del tuo diritto al benessere perché un domani conterà solo il loro, perché la scusa delle risorse limitate è un'occasione ghiotta per fare un po' di pulizia sociale e vincere la Lotta di Classe. Te lo fanno dire dai loro servi. Quelli che si sentono superiori perché non sono razzisti ma democratici, a favore delle minoranze, antifascisti, ammiratori dell'Europa e della serietà teutonica, progressisti, internazionalisti, contro tutte le diversità perché devoti all'OMOLOGAZIONE. Che si sentono importanti perché con il 99% possono masturbarsi sulle grandi cifre e non si accorgono che la loro maggioranza è destinata a diventare il Soylent Green.
Sono quelli che ogni mattina ringraziano non si sa chi per non essersi svegliati trasformati in scarafaggi piccoloborghesi.

Quando tutto iniziò, con i primi attacchi ai diritti sociali acquisiti e l'avvento della dittatura del mercato, avrebbero dovuto riconoscere subito il progetto reazionario e revanchista dell'élite. Certo avrebbero dovuto difendere il benessere generale, le conquiste ottenute fino a quel momento e la democrazia, distinguendo tra capitalismo accettabile e capitalismo disumano, alleandosi con quella borghesia di merda che però sa fare le rivoluzioni e che un minimo di riconoscenza se la meriterebbe.

Invece, pur di non rinnegare la lotta antiborghese di principio, hanno ascoltato le sirene della globalizzazione travestita da internazionalismo ed hanno scelto l'omologazione nel concime, il "semo tutti uguali" come materia organica anfibia, per potere essere ancora più merda della borghesia e in fondo distinguersi. Perché in fondo sono dei neoaristocratici pure loro.

Si sono alleati con il Capitale contro il resto del mondo e di fatto contro loro stessi. Perché credono di appartenere ad un corpo speciale e privilegiato per essersi guadagnati con il tradimento l'onore di poter dare il colpo di grazia all'odiata borghesia (rinnegando Marx, Lenin e gli altri che ho nominato) ma sono anche loro feccia destinata a soccombere. 

Li tengono per ultimi per compostarli meglio. 

Concimeranno con onore i giardini degli ingiusti di Elysium.

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