domenica 25 luglio 2010
MEDITERRANEO La Bp conferma le «prossime» trivellazioni al largo della Libia e della Sicilia La linea nera Messico-Sirte
Accordo fra la compagnia petrolifera BP e la Libia, 900 milioni di dollari
(S.D.R.)
Si allunga sul Mediterraneo l'incubo di una nuova marea nera. Un incubo che le parole un po' sfottenti del capo della compagnia petrolifera libica non servono certo a cancellare («Uno non smette di volare solo perchè ci sono gli incidenti aerei»).
La British Petroleum - messa alla gogna negli Usa per la gigantesca chiazza di petrolio che infesta dallo scorso 20 aprile le acque del golfo del Messico - comincerà presto nuove perforazioni nel cuore del Mediterraneo e più precisamente nel golfo libico della Sirte, a poco più di 500 chilometri dalle coste siciliane e ancor meno dalle isole di Lampedusa, Pantelleria, Linosa. La notizia, anticipata dal Financial Times di Londra, è stata confermata ieri da un portavoce della compagnia britannica: «Entro le prossime settimane», ha precisato David Nicholas -, la Bp darà il via alla prima delle 5 trivellazioni previste da un accordo da 900 milioni di dollari stipulato nel 2007 con la Libia di Muammar Gheddafi e sbloccato di recente. Passando così all'incasso, secondo il giudizio di qualche analista (e di alcuni senatori del senato Usa), dopo il pressing esercitato l'anno scorso dalla Bp sulle autorità britanniche per la liberazione di Abdelbaset al-Megrahi, il libico condannato per la strage di Lockerbie del 1988 in cui morirono 259 persone, in gran parte americani. Sulla vicenda della liberazione, ufficialmente per ragioni di salute, di al-Meghrai, sta indagando la Commissione esteri del senato Usa, che ha convocato per il prossimo 29 luglio l'amministratore delegato della Bp Tony Hayward per far luce sulla questione.
Al largo delle coste libiche le perforazioni avranno luogo ad una profondità di circa 5.700 piedi (1.700 metri), 200 metri più giù rispetto a quelle della Deepwater Horizon, la piattaforma situata al largo della Louisiana la cui esplosione lo scorso 20 aprile ha scatenato la gigantesca marea nera che inquina il golfo del Messico e l'ondata di polemiche che ha investito la compagnia britannica. E anche se la Bp ha assicurato che farà tesoro della nefasta esperienza, c'è - tra gli ambientalisti e non solo - chi pensa al peggio. Come il presidente della Commissione ambiente del senato italiano Antonio D'Alì (siciliano) che, citato dall'Ft, si dice «preoccupatissimo» per i piani della compagnia britannica, «considerato che stiamo parlando di uno dei mari già più inquinati dal petrolio di tutto il mondo, le conseguenze di un disastro potrebbero essere irreversibili». La Bp mette le mani avanti, e ha già fatto sapere che nella remota eventualità di un nuovo disastro, ha già in cantiere «dettagliati piani d'emergenza»: come quelli che non hanno funzionato e non sono ancora riusciti a fermare il disastro del golfo del Messico?
Un «no secco» al progetto è venuto dalla Regione Sicilia per bocca dell'assessore regionale all'ambiente Giovanni Roberto Di Mauro che ha già presentato la sua opposizione al governo italiano.
Contrarissimi anche i Verdi. «È necessaria una immediata moratoria alle trivellazioni, onde evitare che anche il Mediterraneo possa rischiare un disastro ambientale come quello del golfo del Messico», ha detto il presidente nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli. Bonelli ha auspicato che «il governo italiano chieda immediatamente a quello libico di fermare le trivellazioni che la Bp intende avviare a largo della Libia: se accadesse un incidente come quello degli Stati uniti nel bacino mediterraneo le conseguenze sarebbero enormemente più gravi». La macchia petrolifera del golfo del Messico, secondo i dati dell'Agenzia federale statunitense per gli oceani e l'atmosfera, il Noaa, è grande come il centro Italia e «una tale perdita di petrolio sancirebbe la morte definitiva del Mediterraneo. Il golfo del Messico, infatti, ha un ricambio d'acqua che è prodotto dalla potente Corrente del Golfo, mentre nel Mediterraneo il ricambio delle acque verso l'oceano Atlantico attraverso lo stretto di Gibilterra impiega 150 anni».
venerdì 23 luglio 2010
NO NUKE! Decommissioning Nucleare e Domande più frequenti sul Nucleare
Decommissioning Nucleare
La questione del decommissioning delle centrali nucleari è spesso ignorata, ma è particolarmente importante. Per decommissioning si intende lo smantellamento di un sito nucleare (tipicamente una centrale) e il ripristino dello stesso. Questa operazione, che è composta di varie fasi è molto lunga e molto costosa.
Le fasi principali sono le seguenti:
1.Cessazione della generazione di elettricità
2.Rimozione combustibile nucleare, svuotamento dei sistemi idraulici, sorveglianza e monitoraggio
3.Decommissioning: invio materiali radioattivi ai depositi, demolizione edifici non contenenti materiali radioattivi, sorveglianza e monitoraggio
4.Ripristino del sito: termine della fase di sorveglianza e monitoraggio, il sito perde ogni restrizione e limitazione e torna ad essere disponibile
Le fasi possono essere diverse da nazione a nazione, e possono essere chiamate con termini diversi, ma sostanzialmente le procedure sono quelle indicate. Le fasi avvengono in un arco di tempo pari a circa 100 anni. Non è uno scherzo. Dalla chiusura dell’impianto al ripristino del sito trascorre un secolo. Per quale motivo? Per varie cause, tra cui il decadimento radioattivo di alcuni elementi e la possibilità di affrontare meglio i costi.
Per avere un’idea di questi ultimi, negli Stati Uniti ogni operatore che costruisce un reattore nucleare deve garantire una certa somma per la fase di decommissioning (Minimal Financial Assurance). Questa somma dipende dalla potenza del reattore in costruzione, e varia da 1,2 a 3,4 miliardi di dollari del 1986, che corrispondono a 2,5 – 6,6 miliardi di dollari del 2009. [1]
Smantellare una centrale nucleare dove è presente combustibile nucleare altamente radioattivo, dove i materiali che compongono il nocciolo del reattore (cemento, acciaio, ecc.) sono anch’essi altamente radioattivi e dove sono presenti molti altri materiali con livelli inferiori di radioattività, è molto complesso e costoso. Deve essere svolto in sicurezza per i lavoratori e per l’ambiente circostante.
Negli Stati Uniti sono presenti 13 reattori in fase di decommissioning. La NRC ha definito tre procedure per lo smantellamento che possono essere impiegate singolarmente o combinate assieme:
•DECON: l’equipaggiamento, le strutture e le porzioni del sito che contengono elementi radioattivi sono rimosse o decontaminate ad un livello tale da permettere la bonifica del sito.
•SAFSTOR: il sito è posto in una condizione sicura e stabile fino a quando può essere decontaminato e smantellato. Durante questa procedura il sito viene lasciato intatto o parzialmente smantellato. Il combustibile deve essere rimosso assieme ai liquidi radioattivi.
•ENTOMB: le strutture, i sistemi e i componenti sono sepolti nel cemento. Procedura sconsigliata e valutata caso per caso dalla NRC.
I costi possono variare in base al tipo di reattore, ma una stima ufficiale della NRC [2] effettuata nel 2004 calcola che lo smantellamento di un reattore di tipo PWR (Pressurized Water Reactor, uno dei tipi più diffusi) varia da 233 milioni di dollari (procedura DECON) a 364 milioni di dollari (procedura SAFSTOR), mentre lo smantellamento di un reattore di tipo BWR (Boiling Water Reactor) varia da 341 milioni di dollari (DECON) a 522 milioni di dollari (SAFSTOR).
Ma i costi possono variare, anche parecchio, a causa delle peculiarità dei siti. Ad esempio, l’unità 2 della centrale di Three Mile Island, tristemente famosa per un grave incidente avvenuto nel 1979 (parziale fusione nel nocciolo e rilascio di radioattività), ha completato la rimozione del combustibile nucleare nel 1990, e da allora è in fase di decontaminazione a lungo periodo. I costi sono stimati in 831 milioni di dollari, e attualmente (2009) ne sono disponibili solo 484. Nel Regno Unito, il grande complesso di Sellafield rappresenta un sito difficile da bonificare, in parte a causa delle sue dimensioni e della sua complessità, poiché è adibito al riprocessamento del combustibile esaurito, e in parte a causa della contaminazione del terreno circostante dovuta negli anni a perdite di materiali radioattivi (le stime ufficiali parlano di 20 milioni di metri cubi di terreno contaminato [3]). I costi di decommissioning di Sellafield saranno pari a 24 miliardi di euro e la bonifica completa del sito sarà terminata nel 2120.
L’NDA britannica stima che lo smantellamento delle 19 centrali nucleari obsolete costerà 73 miliardi di sterline (pari a 82 miliardi di euro) nell’arco di 100 anni. Quindi, l’eredità nucleare peserà nel Regno Unito circa 820 milioni di euro l’anno per un secolo. Il budget dell’NDA per l’anno 2010/11 è di 3,2 miliardi di euro, di cui circa 1,7 miliardi saranno destinati al sito di Sellafield.
Il decommissioning è strettamente legato al problema dei rifiuti nucleari. In particolare, la NDA afferma che attualmente non esiste alcuna soluzione a lungo termine [4] per la gestione dei rifiuti ad alto (High Level Waste – HLW) ed intermedio livello radioattivo (Intermediate Level Waste – ILW): questi tipi di materiali verranno quindi gestiti temporaneamente all’interno dei siti dell’NDA. Ma anche i rifiuti a basso livello (Low Level Waste – LLW) prodotti dal decommissioning potrebbero eccedere la capacità del deposito per rifiuti a basso livello presente nel Regno Unito [5], che possiede una capacità di 700 mila metri cubi.
Riferimenti:
[1] Sito web utilizzato per il calcolo dell’inflazione
[2] U.S. Nuclear Regulatory Commission, Office of Nuclear Reactor Regulation, “Standard Review Plan for Decommissioning Cost Estimates for Nuclear Power Reactors”, 2004, disponibile: http://www.nrc.gov/reading-rm/doc-collections/nuregs/staff/sr1713/sr1713.pdf
[3] National Decommissioning Authority Strategy, “At Sellafield, it has been estimated that there may be as many as 20 million cubic metres of contaminated land, caused mainly by leaks from legacy and disposal facilities.“, pag. 24
[4] National Decommissioning Authority Strategy, “There are currently no national long-term arrangements for the management of High Level Waste (HLW) or Intermediate Level Waste (ILW). This means that waste needs to be managed on an interim basis on the NDA sites, possibly for several decades.” pag. 31
[5] National Decommissioning Authority Strategy, ”However, current estimates suggest that there would still be insufficient capacity at the LLW Repository for the anticipated arisings of LLW generated by decommissioning and clean-up.” pag. 40
Domande più frequenti
1. Cosa si intende per energia nucleare? 2. Come funziona una centrale nucleare? 3. Quali e quante tecnologie esistono? 4. Cosa si intende per “uranio arricchito”? 5. Perché si dice che quella nucleare è un’energia pulita? Lo è veramente? 6. Cosa si intende con “nucleare pulito” e perché viene chiamato così? 7. Come si può utilizzare il Torio per la produzione di energia? 8. Quante centrali nucleari sono in funzione nel mondo? 9. Cosa sono le scorie nucleari? Quante se ne producono? 10. Qual è la pericolosità delle scorie nucleari? 11. Come si smaltiscono le scorie? 12. Quanto costa la costruzione di una centrale nucleare? 13. Quante centrali dovrebbero essere costruite in Italia? 14. Quanto uranio è disponibile? C’è uranio sufficiente nei graniti? e nell’acqua del mare? 15. Esistono centrali molto vicine ai confini italiani, quindi si corrono rischi comunque. 16. Che correlazione c’è tra energia nucleare e armi nucleari? 17. Quali erano i quesiti del referendum sul nucleare? 18. Quali furono le conseguenze del voto? 19. Come si sta reintroducendo il nucleare in Italia?
1.Cosa si intende per energia nucleare?
Nell’uso comune del termine, per energia nucleare si intende la generazione di energia tramite la trasformazione dei nuclei atomici. Attualmente, la produzione di energia elettrica avviene attraverso un processo di fissione nucleare. Tuttavia, è in fase di studio anche la produzione di energia mediante un processo di fusione nucleare. A grandi linee, il principio della fissione consiste nel bombardare con un neutrone l’atomo di un certo materiale. L’atomo, dopo aver assorbito il neutrone, entra in uno stato instabile e decade generando due atomi, dei neutroni e dell’energia. La massa totale dei due atomi e dei neutroni è inferiore alla massa di partenza: la massa mancante viene infatti trasformata in energia. I neutroni prodotti dalla fissione possono collidere e provocare la fissione a loro volta. Questo meccanismo è detto reazione a catena.
I materiali che possono sostenere una reazione a catena di questo tipo sono gli isotopi dell’uranio U-235, U-233 e l’isotopo del plutonio Pu-239. Essi sono detti fissili. Altri materiali possono subire la fissione nucleare ma non possono sostenere una reazione a catena: tra essi, l’isotopo dell’uranio U-238 e del plutonio Pu-240.
2. Come funziona una centrale nucleare?
Nelle centrali nucleari i nuclei che sono sottoposti a fissione sono generalmente appartenenti all’isotopo dell’uranio chiamato Uranio-235. La reazione nucleare è la seguente: un nucleo di U-235 assorbe un neutrone, subisce la fissione dividendosi in due altri atomi, liberando alcuni neutroni (2 o 3) ed energia. Sono possibili più reazioni diverse, ma una classica reazione di fissione è la seguente:
U-235 + n -> Cs-140 + Rb-93 + 3n + energia
I materiali in grado di sostenere una reazione a catena sono detti fissili, mentre quelli che possono subire un processo di fissione sono detti fissionabili. Il combustibile nucleare è composto da una piccola percentuale (3-5% circa) [8] di U-235, mentre il resto è costituito da Uranio-238. L’U-235 è fissile, mentre l’U-238 è fissionabile, ed è difficile che effettui la fissione. I neutroni prodotti dalla fissione possiedono un’energia molto elevata, e sono detti neutroni veloci. La fissione dell’U-235 tuttavia avviene più facilmente con neutroni a bassa energia, detti neutroni lenti o neutroni termici (poiché la loro energia è paragonabile all’energia termica del materiale circostante). Per questo motivo, nelle centrali nucleari tradizionali è presente un materiale detto moderatore, che “rallenta” i neutroni in modo da aumentare le possibilità di fissione. Tuttavia, l’U-238 può catturare un neutrone veloce e trasformarsi in un isotopo del plutonio, il Pu-239. Quest’ultimo è fissile, ed è in grado di sostenere la reazione a catena.
In base a quest’ultima trasmutazione dell’uranio in plutonio, sono stati progettati reattori detti autofertilizzanti, che utilizzano l’U-238. Esso viene trasmutato in plutonio e quest’ultimo effettua la fissione. Questo significa che l’U-238 non può essere impiegato da solo per sostenere una reazione a catena. Tuttavia esso contribuisce alla generazione di energia, quando trasmuta in plutonio.
L’energia prodotta, sotto forma di calore, viene impiegata per riscaldare dell’acqua e trasformarla in vapore ad alta pressione, il quale fa ruotare delle turbine dal cui movimento viene generata energia elettrica.
3.Quali e quante tecnologie esistono?
La tecnologia nucleare, come molte altre, si è evoluta nel corso dei decenni a partire dagli anni ’50. Attualmente si parla di 3 generazioni di reattori nucleari. Con il termine “nucleare di nuova generazione” si intende la generazione “III+”, una evoluzione della III generazione, e la più avanzata attualmente disponibile. Nei laboratori e nei centri di ricerca oggigiorno è allo studio la IV generazione, che non è ancora pronta per essere impiegata in centrali nucleari.
* I generazione (fino a metà anni’60): primi prototipi di reattori
* II generazione (da metà anni’60 a metà anni’90): Pressurized Water Reactor (PWR), Boiling Water Reactor (BWR),Pressurized Heavy Water Reactor (PHWR e CANDU), Advanced Gas-cooled Reactor (AGR), Reaktor Bolshoy Moshchnosti Kanalniy (RBMK)
* III generazione (da metà anni’90 al 2010): Advanced Boiling Water Reactor (ABWR), European Pressurized Reactor (EPR)
* III+ generazione (dal 2010 al 2030): Economic Simplified Boiling Water Reactor (ESBWR), Advanced CANDU Reactor (ACR)
* IV generazione (sperimentale: oltre il 2030): Very-High-Temperature Reactor (VHTR), Supercritical-Water-Cooled Reactor (SCWR), Molten Salt Reactor (MSR), Gas-Cooled Fast Reactor (GFR), Sodium-Cooled Fast Reactor (SFR), Lead-Cooled Fast Reactor (LFR)
4.Cosa si intende per “uranio arricchito”?
In natura l’uranio è presente in vari isotopi: il più comune, che compone il 99,3% della quantità totale del minerale estratto è l’Uranio-238 [8]. Gli altri isotopi sono l’Uranio-235 (0,7%) e l’Uranio-234 (meno dello 0,01%) [8].
Con il termine di uranio arricchito si intende una miscela di isotopi di uranio dove l’Uranio-235 è presente in concentrazioni maggiori e che viene impiegato nelle centrali nucleari. Il combustibile nucleare è composto da un percentuale di U-235 attorno al 3-5% [8]. Per questo motivo, è necessario separare gli isotopi U-238 da quelli U-235 in una procedura chiamata arricchimento dell’uranio. In pratica viene prodotta una miscela di uranio con una percentuale di U-235 maggiore rispetto a quella in natura. Il minerale di uranio, estratto sotto forma di ossido U3O8 e chiamato anche “yellowcake”, viene purificato e processato per essere combinato con il fluoro ed ottenere l’esafloruro di uranio (UF6). Quest’ultimo, in forma gassosa, viene inserito in centrifughe che riescono a separare le molecole con l’isotopo U-238, più pesanti, dal resto [8, 9].
5. Perché si dice che quella nucleare è un’energia pulita? Lo è veramente?
Il nucleare è stato indicato da più parti come un’energia “pulita” poiché la produzione di energia non comporta emissioni di anidride carbonica o di altri gas ad effetto serra. Infatti il calore non proviene dalla combustione, ma dalle reazioni degli atomi. Ci sono tuttavia altri aspetti relativi all’ecologia che devono essere considerati: ad esempio la gestione delle scorie altamente radioattive. Per questo motivo il nucleare non è una fonte energetica completamente “pulita”, ma viene considerata tale solo in relazione all’assenza di emissioni di gas serra durante la generazione dell’energia. Ma la questione non è così semplice: infatti esistono emissioni di anidride carbonica generate dall’estrazione del minerale e dalla fabbricazione del combustibile.
6. Cosa si intende con “nucleare pulito” e perché viene chiamato così?
Con “nucleare pulito” si intende la produzione di energia nucleare tramite centrali di IV generazione. Tali centrali dovrebbero, sulla carta, migliorare le prestazioni delle centrali tradizionali, tra cui la produzione di una maggiore quantità di energia, la capacità di produrre una minore quantità di scorie, con tempi di dimezzamento inferiori. Sono proposti 3 tipi di reattori termici o tradizionali (Very-high-temperature reactor – VHTR, Supercritical-water-cooled reactor – SCWR e Molten-salt reactor – MSR) e 3 tipi di reattori “veloci” (Gas-cooled fast reactor – GFR, Sodium-cooled fast reactor – SFR, Lead-cooled fast reactor – LFR).
Nelle centrali tradizionali è presente un materiale detto moderatore, che ha la caratteristica di “rallentare” i neutroni. Infatti, i neutroni prodotti dalla fissione possiedono un’energia elevata, ed hanno poche possibilità di interagire con i nuclei. Rallentando i neutroni si aumenta la possibilità che essi possano provocare la fissione di altri nuclei. Sono stati studiati dei reattori “veloci” che sfruttano questi neutroni veloci per trasmutare l’U-238 in Pu-239. Quest’ultimo è fissile, quindi è possibile utilizzarlo per la fissione, analogamente all’U-235. Questi reattori sono detti autofertilizzanti, poiché rendono un elemento fertile come U-238 in fissile, come il Pu-239. Per questo motivo questi reattori, detti fast breeder reactor, generano più materiale fissile di quello presente nel combustibile nucleare. Essi producono una minore quantità di scorie, e non impiegano un moderatore. Questo tipo di tecnologia tuttavia presenta delle problematiche, in particolare riguardanti la scelta del fluido di raffreddamento: non si possono impiegare dei fluidi tradizionali in quanto possiedono proprietà di moderazione dei neutroni. Per questo motivo in questi reattori viene impiegato il sodio, che tuttavia può esplodere o incendiarsi se entra in contatto con acqua o con aria [23]. Il sodio è particolarmente corrosivo, e ha causato diversi incidenti nella centrale francese Superphénix. Sono stati proposti sistemi di raffreddamento a piombo o a gas, nelle centrali di 4° generazione, che presentano problematiche analoghe. Il piombo o una lega di piombo-bismuto, proposti come liquidi di raffreddamento, si sono rivelati altamente corrosivi [27].
7. Come si può utilizzare il Torio per la produzione di energia?
Il torio può essere impiegato nelle centrali nucleari, poiché esso può assorbire un neutrone lento e trasmutare in U-233, un isotopo fissile dell’uranio. A differenza dell’uranio, è il torio è presente in natura quasi completamente sotto forma di Th-232, che può essere utilizzato. Si stima che le riserve di torio siano quattro volte quelle dell’uranio. Tuttavia, sono state calcolate nel 2007 [22] circa 4,4 milioni di tonnellate di torio, di cui 2,5 milioni di tonnellate estraibili a costi accettabili (80 $/kg). L’impiego del torio presenta diverse problematiche tecnologiche da risolvere, tra cui la fabbricazione e il riciclo del combustibile nucleare maggiormente impegnative, la produzione di un isotopo che ostacola la reazione che trasforma il torio in uranio fissile U-235 e aumenta la presenza di scorie nel combustibile esaurito.
Attualmente (2010), solo in India sono presenti centrali nucleari che impiegano torio, principalmente in via sperimentale.
8. Quante centrali nucleari sono in funzione nel mondo?
Al 31 dicembre 2007, erano in funzione un totale di 439 centrali nucleari [11], di cui 265 di tipo Pressurized Water Reactor PWR, 94 Boiling Water Reactor BWR, 44 Pressurized Heavy Water Reactor PHWR, 18 Gas Cooled, Graphite Moderated Reactor GCR, 16 Light Water Cooled, Graphite Moderated Reactor LWGR e 2 di tipo Fast Breeder Reactor (FBR) [11]. Esse producevano 372 GW di potenza elettrica netta [11].
9. Cosa sono le scorie nucleari? Quante se ne producono?
Le scorie nucleari si suddividono in varie categorie: le scorie a basse emissioni (low level waste) e le scorie ad alte emissioni (high level waste). Le prime sono materiali che sono stati esposti e contaminati dalle radiazioni, mentre le seconde provengono dal combustibile nucleare esausto o da altre fonti. Il combustibile nucleare è in genere l’uranio, e la fissione produce vari elementi detti “prodotti di fissione”. Alcuni di essi sono più leggeri, mentre altri sono più pesanti dell’uranio. Questi elementi decadono producendo radiazioni ionizzanti. In fisica si definisce tempo di dimezzamento o emivita il periodo di tempo trascorso il quale la metà degli atomi di un particolare elemento sono decaduti in altri elementi. Anche questi ultimi possono essere soggetti al decadimento, e formare una catena di decadimento in cui un materiale attraversa vari stadi intermedi prima di giungere ad un elemento stabile finale. In una centrale a fissione, le scorie nucleari contengono [3] isotopi radioattivi con tempi di dimezzamento “medi” (come il Cesio-37 e lo Stronzio-90, attorno ai 30 anni) e tempi di dimezzamento lunghi (Plutonio-239 di circa 24000 anni). Il decadimento è l’unico processo attraverso il quale i materiali radioattivi cessano di essere pericolosi. In Italia i rifiuti radioattivi sono suddivisi in tre categorie [24, 25]. La categoria I comprende materiali a bassa emissione, è costituita da rifiuti che decadono in pochi mesi (massimo alcuni anni). La categoria II a media emissione, è costituita da materiali con tempi di decadimento variabili da qualche decina fino ad alcune centinaia di anni, con modesta emissione di calore. La categoria III, ad alta emissione, è costituita da materiali con tempi di decadimento dell’ordine di migliaia di anni ed oltre, con elevata generazione di calore e di radioattività. Un reattore di media potenza (1000 MW) produce in un anno circa 200 – 350 m3 di scorie a basse e medie emissioni [5], e 20 m3 (27 tonnellate) di scorie ad alte emissioni, che occupano un volume di 75 m3 nel caso vengano allocate in appositi contenitori [5].
10. Qual è la pericolosità delle scorie nucleari?
Le scorie nucleari ad alte emissioni sono estremamente radioattive: tipicamente emettono in un’ora quantità di radiazioni superiori a 10000 rem di radiazione [3]. Il livello letale di radiazioni (assorbite non in modo cumulativo) una persona è circa 500 rem [3]. A parte la radioattività, le scorie non possono tuttavia esplodere, incendiarsi o innescare una reazione di fissione nucleare [4].
11. Come si smaltiscono le scorie?
Le scorie possono essere riprocessate per estrarre parte di materiale che può essere nuovamente utilizzato come combustibile nucleare. Il resto del materiale viene allocato in appositi contenitori. Attualmente l’unica soluzione fattibile tra quelle ipotizzate dagli esperti consiste nel seppellire i contenitori [4]. Prima di seppellirli, i contenitori devono essere immersi per circa 10 anni in acqua, per dissipare il calore generato dalla radioattività. Negli Stati Uniti non esiste ad oggi un sito permanente per stoccare i contenitori, e nel 1987 il Congresso ha selezionato da una lista l’impiego di un sito nei pressi della Yucca Mountain [7] in Nevada. I costi sono stimati ad agosto 2008 in 79,3 miliardi di dollari [6] (valore del dollaro del 2001), che a causa dell’inflazione sono stati ricalcolati in 96,18 miliardi di dollari [6] (valore del dollaro del 2007). Sono sorte alcune preoccupazioni sui flussi dell’acqua che attraversano la montagna, che hanno mostrato di essere più veloci del previsto [20]. L’amministrazione Obama ha tuttavia tagliato la maggior parte dei finanziamenti per il sito, come aveva promesso in campagna elettorale [20]. Attualmente (2009), la possibilità di utilizzare il sito dovrebbe essere stabilita dalle udienze della Nuclear Regulatory Commission. Il governo statunitense ha garantito i fondi solamente per soddisfare le udienze della NRC.
12. Quanto costa la costruzione di una centrale nucleare?
È stato stimato [13] che in media una centrale nucleare avanzata ha un costo di costruzione e manutenzione pari a 2475 $ al kW (in dollari del 2006, che salgono a 2607 $ del 2008). In uno studio aggiornato [16a], il costo viene stimato in 4000 $/kW. Quindi il costo di un reattore tipico di 1000 MW si aggira tra 2,4 e 4 miliardi di dollari.
13. Quante centrali dovrebbero essere costruite in Italia?
Si parla di quattro centrali nucleari di tipo EPR (European Pressurizer Reactor) di generazione 3+, con potenza complessiva di 6,6 GW. In Italia la produzione di energia elettrica è attualmente (anno 2007) suddivisa nel modo seguente [18]: fonti termoelettriche 65,183 GW (73,31%) di cui combustibili fossili 64,512 GW (72,56%), fonti idroelettriche 20,929 GW (23,53%), fonti rinnovabili 2,788 GW (3,12%). La potenza totale netta è pari a 88,9 GW [18], e le centrali rappresenterebbero il 7,42% della capacità totale. L’energia totale consumata in Italia nel 2008 era di 353 TWh, e le centrali dovrebbero produrne (considerando 8000 ore di funzionamento annue) circa 52,8 TWh, pari al 14,95%. Considerando valori standard [5], il costo si aggirerebbe tra 16 e 26 miliardi di euro. Il combustibile nucleare richiesto sarebbe di 178 tonnellate annuo, con una produzione di altrettante tonnellate di scorie.
Se si volesse generare il 25% della potenza totale italiana da fonte nucleare sarebbe necessario costruire circa 22 reattori da 1000 MW con un costo variabile tra 55 e 88 miliardi di dollari. Questi reattori richiederebbero (considerando dei valori standard [5]) circa 550 tonnellate di combustibile nucleare (uranio arricchito) e produrrebbero altrettante tonnellate di scorie ad elevati livelli di emissione ogni anno. Se si volesse generare il 25% dell’energia sarebbe necessario costruire circa 11 reattori da 1000 MW.
14. Quanto uranio è disponibile?
Si stima che le riserve mondiali di uranio siano attorno alle 3,3 milioni di tonnellate [16, 21]. I reattori attualmente funzionanti richiedono 65 000 tonnellate di uranio grezzo all’anno (circa 200 tonnellate di uranio grezzo annue per GW) [19]. Queste riserve sarebbero sufficienti per 50 anni, se non venissero costruite altre centrali. In caso di impiego su larga scala di centrali nucleari, ad esempio 1500 reattori da 1000 MW ciascuno per un totale di 1500 GW di potenza elettrica prodotta, è stato stimato [16] che essi consumerebbero 306 000 tonnellate di uranio grezzo all’anno (utilizzando un arricchimento del 4,5%). In questo caso le riserve scenderebbero a 11 anni.
È necessario notare che le riserve economicamente sfruttabili dipendono dal prezzo dell’uranio: un maggiore prezzo comporta la possibilità di sfruttare miniere più povere di minerale. In uno studio aggiornato [16a], si stima che le riserve possano salire a 5,4 milioni di tonnellate (con un prezzo di 130 $/kg), che potrebbero far funzionare 1500 reattori da 1000 MW per 18 anni.
C’è uranio sufficiente nei graniti?
In via teorica si potrebbe estrarre l’uranio presente nei graniti, ma è necessario considerare il bilancio energetico, ovvero la quantità di energia necessaria per estrarre l’uranio e quella prodotta dall’uranio stesso in un reattore. Il bilancio energetico è positivo (si ottiene più energia di quella impiegata) per graniti con concentrazioni di uranio superiori allo 0.02%. Tuttavia, in media il granito contiene lo 0.0004% di uranio, ovvero 4 grammi di uranio per tonnellata di granito [28]. Da questi dati si deduce che non è possibile lavorare genericamente il granito per ottenere combustibile nucleare, poiché il bilancio energetico è negativo. Il funzionamento di un reattore da 1 GW di potenza richiederebbe la lavorazione di 100 milioni di tonnellate di granito all’anno, con un costo di 650 PJ di energia [28]. Il reattore produrrebbe invece 26 PJ di energia. L’energia richiesta è circa 25 volte quella prodotta.
C’è uranio sufficiente nell’acqua del mare?
Si è stimato che in media l’acqua del mare contiene 3 ug di uranio per metro cubo. Anche in questo caso è necessario comprendere il bilancio energetico del processo. Per l’estrazione si è ipotizzato l’impiego di materiali come l’idrossido di titanio o alcuni polimeri che attraggono gli ioni di uranio. Questi materiali dovrebbero essere inseriti in strutture lunghe diversi chilometri, in luoghi dove c’è corrente per far fluire l’acqua e con una temperatura di almeno 20°C. La lavorazione prosegue separando gli ioni di uranio dai materiali, purificando il minerale, concentrandolo e utilizzando un solvente.
Sono necessari 2 km cubi di mare per ottenere 1 tonnellata di combustibile nucleare pronto per essere utilizzato, che produce circa 160 TJ di energia. Ma l’energia richiesta per questo processo varia da 195 a 250 TJ [28], quindi il bilancio energetico è negativo.
15. Esistono centrali molto vicine ai confini italiani, quindi si corrono rischi comunque.
Sicuramente un grave incidente ad una centrale nucleare francese, tedesca o comunque nell’Europa avrebbe conseguenze anche in Italia. Ma non temo eventuali incidenti. La questione nucleare e i diversi problemi irrisolti (gestione combustibile e scorie, proliferazione, costi) riguardano le decisioni prese dai governi francese e/o tedesco e/o di altri paesi europei che producono energia dal nucleare. Se fossi un cittadino di quelle nazioni, chiederei al mio governo una riflessione sull’energia nucleare.
L’Italia è un paese con moltissimi pregi e ottime qualità, ma la gestione dell’energia nucleare richiede elevatissimi standard di sicurezza. Il nostro paese, indipendentemente dal colore politico del governo, non è riuscito a sanare alcune gravi problematiche, come la gestione dei rifiuti (normali) e la questione delle navi dei veleni. Faccio un piccolo esempio: a Castelmauro, in provincia di Campobasso, dei bidoni contenenti rifiuti radioattivi sono stati situati in uno scantinato. L’8 ottobre 1987 la Direzione della sicurezza nucleare dell’Enea evidenziava che nel deposito di rifiuti «erano accatastati in maniera incontrollabile circa 4 mila fusti privi delle dovute indicazioni» e denunciava il titolare del deposito per mancanza di autorizzazione. Al 2009 i bidoni erano ancora lì, anche se il territorio sia stato dichiarato nel 2003 a rischio sismico medio-alto.
Anche questa è l’Italia. Questo tipo di situazioni non devono accadere. Mai. Ma avvengono, per burocrazia, per incuria, per un qualche motivo.
16. Che correlazione c’è tra energia nucleare e armi nucleari?
L’impiego di centrali nucleari permette ad una nazione di ottenere i materiali necessari per sviluppare armi nucleari. Le bombe nucleari infatti impiegano come materiale fissile l’uranio arricchito (una miscela di U-235 ad elevatissime concentrazioni) o il plutonio. L’uranio arricchito può essere prodotto con la stessa tecnologia con la quale si produce le barre di combustibile da utilizzare nelle centrali, mentre il plutonio viene prodotto dal reattore nucleare stesso. Per questo motivo, la tecnologia nucleare è detta “dual use”, ovvero a doppio utilizzo (civile per l’energia elettrica e miliare per gli armamenti). La bomba sganciata su Hiroshima, “Little Boy”, conteneva 64,15 kg di uranio arricchito all’80% [10], quindi vennero impiegati circa 51 kg di U-235. L’ordigno impiegato su Nagasaki, “Fat Man”, conteneva 6,2 kg di una lega plutonio/gallio e circa 108 kg di uranio-238 [10].
17. Quali erano i quesiti del referendum sul nucleare?
I tre quesiti del cosiddetto “referendum sul nucleare” erano:
1. “Volete che venga abrogata la norma che consente al Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) di decidere sulla localizzazione delle centrali nel caso in cui gli enti locali non decidono entro tempi stabiliti?”
2. “Volete che venga abrogato il compenso ai comuni che ospitano centrali nucleari o a carbone?”
3. “Volete che venga abrogata la norma che consente all’ENEL (Ente Nazionale Energia Elettrica) di partecipare ad accordi internazionali per la costruzione e la gestione di centrali nucleari all’estero?”
La popolazione andò a votare con una percentuale di affluenza ai seggi rispettivamente del 62,16%, 62,07% e 66,07%, e il risultato della consultazione fu la vittoria del “si” con 78,70%, 78,38% e 68,14%.
18. Quali furono le conseguenze del voto?
I referendum, che possono essere solo abrogativo, tecnicamente non vietarono la produzione di energia elettrica tramite il nucleare, tuttavia riuscirono a rendere la costruzione di nuove centrali più difficile. Infatti tramite il quesito (1), il governo non poteva più decidere contro la volontà di un comune di installare una centrale nucleare nel territorio dello stesso e tramite il quesito (2), non potevano più essere forniti degli incentivi ai comuni che accettavano invece la costruzione di una centrale. Infatti, se alcune amministrazioni potevano rifiutare per motivi ideologici o pratici, altre invece potevano, grazie a quell’articolo, essere “ricompensate” da una serie di incentivi che coprivano gli eventuali rischi e il disagio della popolazione. In questo modo invece, la costruzione di una centrale diventava “gratuita” poiché non c’erano incentivi o bonus e se il comune non lo voleva il governo non poteva scavalcarlo. Poiché la popolazione era preoccupata dai pericoli del nucleare, nessuna amministrazione avrebbe perso consensi gratuitamente ed accettato di installare una centrale. Sebbene in linea teorica poteva accadere, l’opinione pubblica agì come un “veto” e convinse il governo e quelli che lo seguirono di rinunciare definitivamente a questo tipo di energia.
Per questo motivo non è stata abrogata una legge che affermava l’uso dell’energia nucleare per generare elettricità, ma sono stati abrogati articoli che la rendevano l’adozione del nucleare più “semplice”.
19. Come si sta reintroducendo il nucleare in Italia?
Il primo passo è stato effettuato con l’approvazione della legge 23 luglio 2009, n.99 “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia” [26]. L’art. 25 della legge delega al Governo la formulazione di decreti legislativi per la localizzazione di siti (centrali, impianti e deposito). A dicembre 2009 il consiglio dei ministri ha pubblicato il decreto legislativo “Localizzazione ed esercizio di impianti di produzione di energia elettrica e nucleare, di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio, nonché misure compensative e campagne informative, a norma dell’articolo 25 della legge 23 luglio 2009, n. 99.”. In tale decreto si sono delineati i ruoli della nuova Agenzia per la Sicurezza Nucleare e le procedure per autorizzare un sito. Nonostante sia prevista una conferenza unificata tra stato, regione, provincia e comuni interessati, l’ultima parola sull’autorizzazione di un sito resta al Governo. Diverse regioni hanno fatto ricorso alla corte costituzional
[1] "Chernobyl: the true scale of the accident". Joint News Release WHO/IAEA/UNDP. World Health Organization. [Online]. (Sett. 2005) Disponibile: http://www.who.int/mediace
[2] "Revisiting Chernobyl 20 years later". International Atomic Energy Agency. [Online]. Disponibile: http://www.iaea.org/NewsCe
[3] "Backgrounder on Radioactive Waste". United States Nuclear Regulatory Commission. [Online]. Disponibile: http://www.nrc.gov/reading
[4] "What are spent nuclear fuel and high-level radioactive waste?". Office of Civilian Radioactive Waste Management, United States Department Of Energy. [Online]. Disponibile: http://www.ocrwm.doe.gov/f
[5] "Waste Management in Nuclear fuel cycle". World Nuclear Association. [Online]. Disponibile: http://www.world-nuclear.o
[6] "Yucca Mountain cost estimate rises to $96 billion". World Nuclear News. [Online]. Disponibile: http://www.world-nuclear-n
[7] "Total System Life Cycle Cost Report". Office of Civilian Radioactive Waste Management, United States Department Of Energy. [Online]. Disponibile: http://www.ocrwm.doe.gov/a
[8] "Uranium Enrichment". United States Nuclear Regulatory Commission. [Online]. Disponibile: http://www.nrc.gov/materia
[9] "Uranium Enrichment. Depleted UF6 Management Program Information Network. [Online]. Disponibile: http://web.ead.anl.gov/ura
[10] Carey Sublette. "Nuclear Weapons Frequently Asked Questions". Section 8.0 The First Nuclear Weapons. [Online]. Disponibile: http://nuclearweaponarchiv
[11] "Nuclear Power Reactors in the World" in Reference Data Series n°2, 2008 edition. International Atomic Energy Agency. [Online]. Disponibile: http://www-pub.iaea.org/MT
[12] "The Cost of New Generating Capacity in Perspective (white paper)". Nuclear Energy Institute. [Online]. Disponibile: http://www.nei.org/filefol
[13] "Energy Market Module". Energy Information Administration. [Online]. Disponibile: http://www.eia.doe.gov/oia
[15] "Shelter implementation plan". Chernobyl Shelter Found. [Online]. Disponibile: http://www.iaea.org/NewsCe
[16] "The future of Nuclear Power". Massachusetts Institute of Technology. (2003) [Online]. Disponibile: http://web.mit.edu/nuclear
[16a] “Update of the MIT 2003 Future of Nuclear Power Study”. Massachusetts Institute of Technology. (2009) [Online]. Disponibile: http://web.mit.edu/nuclear
[17] "2007 Survey of Energy Resources". World Energy Council. [Online]. Disponibile: http://www.worldenergy.org
[18] "Dati statistici 2007". Terna S.p.A. [Online]. Disponibile: http://www.terna.it/Defaul
[19] "Supply of Uranium". World Nuclear Association. [Online]. (Giugno 2008). Disponibile: http://www.world-nuclear.o
[20] “Future Dim for Nuclear Waste Repository”. The New York Times. [Online]. (Marzo 2009). Disponibile: http://www.nytimes.com/200
[21] “Survey of Energy Resources 2007”, World Energy Council. Disponibile: http://www.worldenergy.org
[22] World Nuclear Association, Thorium. Febbraio 2009. Disponibile: http://www.world-nuclear.o
[23] J. Guidez, L. Martin, “Review of the Experience with Worldwide Fast Sodium Reactor Operation and Application to Future Reactor Design”, IAEA, Disponibile: http://www-pub.iaea.org/MT
[24] E. Bemporad, M. Mariani e C. Zicari, Classificazione e tecniche procedurali per la gestione dei rifiuti radioattivi, ISPSEL. Sito web: http://www.ispesl.it/urp/d
[25] ANPA, Gestione dei rifiuti radioattivi, Guida Tecnica n.26. Sito web: http://extranet.regione.pi
[26] Legge 23 luglio 2009, n. 99 "Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia". Versione HTML, PDF
[27] Alan Maulana, Zaki Su’ud, Hermawan K.D., and Khairurrijal, “Corrosion Study of Steels In Liquid Lead-Bismuth Cooled Nuclear Reactors by Computer Simulation using Moldy Code”, Indonesian Journal of Physics, Vol 18 No. 2, April 2007, Sito web: http://ijp.fi.itb.ac.id/in
[28] David Fleming, "The Lean Guide to Nuclear Energy: A Life-Cycle in Trouble", 2007, ISBN 0-9550849-2-8, Disponibile: http://www.theleaneconomyc
Fonte: folliaquotidiana.
lunedì 19 luglio 2010
i Giganti di Monte Prama e rilfessioni di un'Archeologo....
per prima cosa mi voglio scusare con Pintore e con Sirigu per aver peccato di leggerezza nel pubblicare l'articolo su sa defenza e da me subito rimosso dopo aver letto su Facebook che trattasi di impostura, l'autenticità dell'autore era discutibile e percò ho creduto bene di rendere giustizia al Re.
Da parte di Sa defenza non vi è nessuna voglia o motivo di volere prevaricare nessuno studioso ne sardo ne altro, ne tantomeno voler entrare in polemica con studiosi della loro levatura, il blog sa defenza è, e, rimane un luogo di riporto di quanto succede nella nostra terra con un'attenzione particolare alle teorie e ai fatti che possono avvalorare la possibilità di valorizzare e sostenere una possibile futura sovranità sarda.
Niente altro da aggiungere , se non che voglio solo voglio ribadire le nostre pubbliche scuse al Sig. Zuanne Pintore che al Sig. Roberto Sirigu, e a tutti i lettori che a loro insaputa hanno letto un articolo firmato da un autore abusivo.
cum amistade
Vaturu
tratto dall'articolo che contestava giustamente la provenienza dell'articolo sottostante
"La notizia della tavoletta indecifrabile comunque esce, su questo blog, e crea un panico visibile e, forse, altri sotterranei. Quello visibile è del nostro GAP, che prima accusa comuni amici di aver violato la consegna del silenzio, dimenticando di averne parlato lui non al bar o a una riunione di amici, ma su Facebook; poi minaccia querele per divulgazione di un segreto da esso stesso rivelato potenzialmente a milioni di persone e, infine, chiudendo la sua pagina in Internet che ora a chi la cerca risponde: “Questo contenuto non è disponibile”. Inghiottito insieme ai numerosi commenti al suo articolo originario e allo stesso articolo, lo stesso o parte di un articolo che, come mi ha avvertito l'archeologo dr Roberto Sirigu, era uscito nel blog sadefenza ) qualche giorno prima: “Voglio precisare che si tratta di un mio articolo, copiato di sana pianta, intitolato "Le tombe degli eroi nella necropoli di Monti Prama", pubblicato nel 2006 nel Quaderno n. 1 della rivista "Darwin".” Anche l'articolo su sadefenza è sparito: “Spiacenti, la pagina che cerchi nel blog Sa defenza sotziali non esiste”. Non è mai esistito e il dr Sirigu ha equivocato o è prematuramente scomparso?
Bene, gli elementi per risolvere questo piccolo giallo estivo ci sono, a questo punto, tutti. È davvero esistita la tavoletta sarda con iscrizioni indecifrabili? È uno scherzo andato male, tipo: adesso metto in giro false iscrizioni e a chi le decifra racconto della burla? E, in più, esiste davvero un Giuseppe Asdrubale Puggioni, il GAP della nostra storia, archeologo, funzionario di una soprintendenza archeologica? Si accettano soluzioni del noir. Le migliori saranno premiate con un buono caffè da spendere da Vittorio, dove Michele fa il miglior caffè della costa orientale.
commento sulla vicenda del Dr Roberto Sirigu:
"Personalmente ritengo che nessun essere umano sia esente dal rischio di errori. Ciò che conta è il modo in cui si pone rimedio agli errori commessi. Ringrazio dunque Sa defenza per la rettifica e per la correttezza con cui hanno voluto farsi pubblicamente carico di quanto è accaduto. In tempi come questi in cui lo sport nazionale sembra essere quello di defilarsi, incontrare persone oneste e responsabili è di grande conforto. Ho visionato il sito dopo che è stato di nuovo reso disponibile il testo del mio articolo che appare però mutilo della parte iniziale e senza la mia firma. Approfitto, se posso, dell'ospitalità in questo blog per chiedere, se permane l'intenzione de Sa defenza di ripubblicare il mio articolo, che tale pubblicazione avvenga restituendo all'articolo la sua integrità e associando all'articolo la mia firma.
Un grazie cordiale"
Roberto Sirigu
http://gianfrancopintore.blogspot.com/2010/07/il-giallo-della-tavoletta-sarda.html
QUESTO E' L'ARTICOLO DA CUI ABBIAMO DEPURATO LA FIRMA ABUSIVA
IL DR ROBERTO SIRIGU HA GENTILMENTE CONCESSO A SA DEFENZA LA PUBBLICAZIONE ,
GRAZIE DI CUORE DA SA DEFENZA DR ROBERTO.
autore DR Roberto Sirigu
www.sardegnacultura.it/documenti/7_93_20070720115442.pdf
Le tombe degli eroi nella necropoli di Monti Prama
Le statue sembrano ribadire che l’identità culturale dei nuragici non era stata intaccata dal profondo mutamento che si verifica nella prima Età del Ferro
ROBERTO SIRIGU
NEL DIBATTITO CULTURALE contemporaneo, la riflessione sulla memoria e sul ricordo intesi come temi culturali ha assunto un posto di primo piano. Tra le varie ragioni che possono spiegare questo rinnovato interesse verso tali tematiche è certamente possibile annoverare il moltiplicarsi delle occasioni di contatto tra esponenti di differenti culture, determinato dalla globalizzazione, e la conseguente preoccupazione che il contatto si trasformi in contaminazione. Ora, nei casi in cui questo fenomeno venga percepito come un pericolo per la salvaguardia della propria cultura e quindi per la propria identità, non è infrequente che a esso ci si opponga ricercando in un passato più o meno remoto le ragioni culturali della propria fisiono mia identitaria. Il passato, rivissuto attraverso il filtro selettivo della memoria – individuale o collettiva che sia, la memoria è infatti sempre, per definizione, selettiva – in questi casi viene ad assumere la funzione di argine da contrapporre a ogni potenziale pericolo di cambiamento.
Derive Identitarie.
Accanto a quest’uso del passato e del ricordo come strumenti di difesa dai pericoli di derive identitarie, però, si assist all’affermarsi anche di un altro atteggiamento, che appare in qualche misura speculare al primo. Si tratta di un atteggiamento che affiora tra i membri di gruppi o comunità che per varie ragioni aspirano ad acquisire una propria autonomia rispetto a una qualche macrocomunità dalla quale ci si vuole affrancare.
In questi casi, la memoria culturale, secondo la definizione elaborata dall’egittologo tedesco Jan Assmann, la “storia delle origini mitiche e degli eventi posti in un passato assoluto” a cui i membri di una determinata comunità attribuiscono un valore fondante nel processo culturale che ha portato alla formazione della propria identità culturale, diventa lo strumento attraverso cui determinare il cambiamento che si intende perseguire: la legittimazione delle proprie rivendicazioni identitarie e la separazione dal gruppo o dalla comunità di appartenenza originari di cui non ci si sente parte integrante. All’interno di queste dinamiche il “discorso archeologico”, per usare un termine del filosofo Michel Foucault, viene non di rado impiegato come strumento di persuasione retorica. In realtà la lettura interpretativa dei dati archeologici viene richiamata a fondamento giustificativo di scelte o situazioni del presente.
Atteggiamenti e volontà di questo tipo si manifestano anche in Sardegna, infatti una parte non secondaria del mondo culturale dell’isola, che ha fatto delle rivendicazioni indipendentiste un nucleo progettuale finalizzato a creare intorno a sé aggregazione identitaria, ricorre all’archeologia nel tentativo di trovare nei dati archeologici un sostengno scientifico per la legittimità delle proprie rivendicazioni.
Ora, appare legittimo chiedersi, sino a che punto può essere considerato corretto un simile uso dell’archeologia?
Riflettere sulla riscoperta delle sculture di Monti Prama da parte della comunità ci può aiutare a dare una risposta a questo interrogativo: il rinnovato interesse per questi reperti appare infatti collocarsi esplicitamente nel filone del dibattito identitario isolano, come è facile verificare
attraverso una semplice ricognizione tra i vari blog dedicati al tema di queste sculture. Partiamo allora da un breve riassunto delle tappe principali che hanno segnato la storia recente di queste opere.
Nel marzo del 1974, nella località di Monti Prama, nel Comume di Cabras in provincia di Oristano, un contadino rinviene, nel corso di lavori di aratura, una testa di scultura in pietra e altri elementi
scultore di considerevoli dimensioni. La segnalazione del ritrovamento desta l’immediato interesse della stampa e infatti La Nuova Sardegna ne riferisce il 31 marzo del 1974. La segnalazione determina un primo intervento di scavo da parte della Soprintendenza alle Antichità, condotto tra il 1974 e il 1975 dagli archeologi Alessandro Bedini e Giovanni Ugas. Nel gennaio del 1977 gli archeologi Giovanni Lilliu ed Enrico Atzeni si recano sul posto per una nuova verifica , che porta al rinvenimento di altri frammenti di statue e di altri elementi litici.
L’intervento di scavo sistematico del sito di rinvenimento delle statue ha luogo nel corso del
1979, per conto della Soprintendenza Archeologica per le province di Cagliari e Oristano, sotto la guida dell’archeologo Carlo Tronchetti.
La necropoli
Dopo il rinvenimento, le statue vengono portate nei magazzini del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari e successivamente alcuni frammenti vengono esposti in una sala dello stesso Museo. Recentemente, infine, i frammenti scultorei sono stati affidati al laboratorio di restauro di Li Punti della Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Province di Sassari e Nuoro, che ne sta seguendo il restauro in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Province di Cagliari e Oristano. Come ribadisce lo stesso Tronchetti in una recentissima pubblicazione sull’argomento 1, lo scavo riporta alla luce una necropoli composta da 33 tombe a pozzetto irregolare, ciascuna delle quali sigillata da un lastrone in arenaria gessosa di circa 1 metro di diametro per 14 cm di spessore. Queste ultime risultano del tutto prive di corredo,
a eccezione della tomba n. 25, al cui interno viene rinvenuto uno “scaraboide egitizzante tipo Hyksos” databile non prima della fine del VII sec. a.C., e delle tombe 24, 27 e 29 che restituiscono frammenti di vaghi di collana in pasta vitrea.
In base a questi elementi, Tronchetti data la realizzazione della necropoli – che a suo avviso sarebbe stata utilizzata da più generazioni – nel corso del VII secolo a.C.
A nord della necropoli costituita dalle tombe a pozzetto era dislocata un’altra area funeraria di tombe a cista litica realizzate con pietra differente dall’arenaria impiegata nelle tombe a pozzetto. A circa 20 metri a sud-ovest della necropoli si legge ancora la presenza di una capanna nuragica e altre strutture sono visibili nei dintorni.
Le sculture vengono ritrovate esattamente al di sopra della necropoli: più di 2.000 frammenti di statue scolpite nell’arenaria gessosa, riconducibili a circa 25 esemplari. La disposizione dei frammenti al di sopra delle tombe consente di affermare che essi erano stati gettati già in frammenti a formare un cumulo informe di materiali. A dimostrare questa tesi sarebbe in particolare il rinvenimento tra i frammenti di un torso di arciere rotto in tre pezzi rinvenuti in situ.
Le statue si possono suddividere in tre gruppi: il primo rappresenta figure umane, il secondo modelli di nuraghe e il terzo betili. Le figure umane sono rappresentazioni di arcieri e di “pugilatori”, ovvero figure di guerrieri che si proteggono il capo con lo scudo. Dal punto di vista
dello stile iconografico queste figure appaiono pienamente coerenti con la piccola statuaria in bronzo, i famosi bronzetti per intenderci. Di grande interesse appaiono poi anche i modelli di nuraghe, raffiguranti sia il tipo di nuraghe monotorre che il tipo complesso e i betili.
Ma a quale periodo deve essere ricondotto questo insieme di opere scultoree?
Tendenzialmente gli studiosi sembrano orientati a collocarle cronologicamente nelle fasi intorno all’VIII-VII sec. a.C., basandosi soprattutto sulla datazione della necropoli proposta da Tronchetti
e sull’ipotesi che tra le sculture e la necropoli esistesse una stretta correlazione.
L’importanza archeologica di queste opere sarebbe dunque notevolissima: basti pensare che queste opere sarebbero da collocarsi in un contesto mediterraneo che le vedrebbe cronologicamente
coeve con le produzioni della statuaria arcaica greca.
Il problema ovviamente non è solo cronologico: a seconda della fase di attribuzione varia notevolmente la funzione simbolica che appare possibile attribuire alle sculture.
Connessa alla datazione all’VIII-VII sec. a.C. è l’interpretazione delle sculture e della necropoli come una sorta di heroon, termine greco che designa un sepolcro in cui si ritiene sia stato deposto il corpo di un personaggio eroico. È questa l’ipotesi formulata da Giovanni Lilliu, che immagina la necropoli come luogo di sepoltura di una sorta di gens, una famiglia di ordine militare distintasi per particolari motivi e quindi degna di ricevere sepoltura in tombe singole, non più nelle tradizionali e collettive tombe dei giganti. In accordo con questainterpretazione appare anche la proposta di lettura avanzata da Carlo Tronchetti, che interpreta la necropoli e le statue come un organico testo simbolico: “una necropoli-santuario in cui viene glorificata una famiglia, o una famiglia allargata o un clan”, attraverso una eclatante manifestazione di simboli culturali – l’immagine degli eroi, del monumento-simbolo e del segno della sacralità – da proporre
come propria immagine identitaria alle nuove entità culturali, Fenici e Greci, che si affacciano in questo periodo sul suolo sardo.
È questo un momento cronologico sul quale le ricerche archeologiche si sono ultimamente intensificate, producendo risultati di grande interesse. Vari siti nuragici – ricordiamo quello certamente più noto: il nuraghe di Sant’Imbenia, nel territorio di Alghero – stanno restituendo attestazioni archeologiche della presenza, oltre che ovviamente dei sardi nuragici, di Fenici e di Greci Euboici. Il dato però più significativo consiste nel fatto che la convivenza tra gli esponenti di questi differenti mondi culturali sembra essere stata pacifica e proficua sia sul piano
commerciale che, più in generale, sul piano culturale. Da queste ricerche emerge un quadro storico d’insieme decisamente differente da quello ritenuto attendibile anche solo qualche anno fa.
La Sardegna della prima Età del Ferro appare essere un’isola intensamente frequentata da genti e culture differenti, capaci di incontrarsi attraverso forme di contatto tanto intenso quanto pacifico.
Il mito delle origini
Il rinvenimento archeologico di Monti Prama sembra inserirsi dal punto di vista cronologico-culturale proprio in questo articolato e movimentato quadro d’insieme, offrendoci un’immagine efficace di come i processi culturali in atto in Sardegna in quel periodo dovevano essere vissuti dai sardi nuragici. Se infatti i contatti e gli inevitabili scambi tra culture differenti si svolsero in un clima sostanzialmente pacifico, ciò non significa che un simile processo non abbia in qualche misura determinato paure e tensioni sul piano più squisitamente identitario. Anzi, le statue di Monti Prama starebbero a dimostrare il contrario.
Sarebbero infatti il segno tangibile del fatto che i sardi nuragici avvertissero la necessità di mostrare – e quindi al tempo stesso di ribadire – che la propria identità culturale non era stata intaccata dall’insieme di fenomeni di inevitabile mutamento che erano in atto in Sardegna in quel periodo. Se queste ipotesi risultassero fondate, il sistema sculture-necropoli sarebbe dunque da interpretarsi come una esplicita manifestazione della memoria culturale, un insieme di segni culturali attinti da un passato in cui la cultura nuragica collocava la proprio origine mitica e che, nel presente caratterizzato da profondi mutamenti culturali, doveva esercitare la funzione di argine contro il pericolo di derive identitarie che appaiono analoghe, per certi versi, a quelle a cui abbiamo fatto cenno all’inizio.
Alternativa a questa ipotesi è invece quella che vede nelle sculture rappresentazioni non legate al passato, anche se più o meno prossimo, ma immagini tratte dal presente a cui appartenevano i committenti di queste opere. Questa ipotesi si lega a cronologie più vicine al IX, se non addirittura al X sec. a.C. Comunque sia, il dibattito appare quanto mai aperto su queste e su altre questioni interpretative connesse con lo studio della civiltà nuragica.
Da questo insieme di fattori, e da altri elementi, nasce il notevole valore scientifico di queste opere. Le sculture di Monti Prama, lo abbiamo appena ricordato, sembrano aver svolto già in antico la funzione di segni della memoria culturale, quindi identitaria, dei sardi nuragici. Ma questo è sufficiente per fondare su quei simboli, e quindi su quel passato, le scelte politico-culturali del presente? Si sente spesso parlare di queste opere come di manifestazioni di una presunta superiorità
della cultura nuragica rispetto a quelle coeve, una superiorità che viene altrettanto spesso evocata per riscattare i sardi da secoli di dominazioni e di subalternità.
Ma può mai un breve scorcio del passato riscattarci dalle insoddisfazioni che suscita il nostro stesso presente? In ogni caso l’elezione di quei simboli identitari non riuscì a impedire che la civiltà nuragica si trasformasse, prima o poi, in qualcosa d’altro. È una riprova del fatto che nessun simbolo identitario, nemmeno se tratto dal passato, può arginare con efficacia i mutamenti che inevitabilmente investono qualunque sistema culturale. L’archeologia, come del resto la storia, non può fornire alcun aiuto scientifico in tal senso: nessuna scoperta archeologica potrà mai né legittimare né delegittimare le nostre scelte identitarie di oggi. Perché l’identità non è un dato naturale, ma semmai una scelta culturale.
Roberto Sirigu,Università di Cagliari
1 C. Tronchetti, “Le tombe e gli eroi. Conside-
razioni sulla statuaria di Monti Prama”, in P.
Bernardini, R. Zucca (a cura di), Il Mediterra-
neo di Herakles.Studi e ricerche, Roma, 2005,
pp. 145-167.
venerdì 16 luglio 2010
Nucleare. I promotori della consultazione potrebbero accettare Referendum, meglio nel 2011 La Giunta: meno spese se accorpato alle comunali
http://edicola.unionesarda.it
ASSEMBLEA COSTITUENTE COMITATO PER IL "SI" AL REFERENDUM
CONSULTIVO SUL NUCLEARE IN SARDEGNA
Serve un'altra data. La Regione risparmierebbe 12 milioni se il referendum contro il nucleare si svolgesse nella prossima primavera - insieme alle elezioni comunali - e non a novembre, come chiedono i promotori.
Lo ha detto Giandomenico Sabiu, capo di Gabinetto del presidente Ugo Cappellacci, ieri durante l'incontro con una delegazione di Sardigna Natzione e del movimento “No Nuke UNA RISATA SARDONICA VI SEPPELLIRA' ", promotori del referendum consultivo.
I promotori, che pensavano inizialmente al mese di novembre, hanno richiesto dieci giorni di tempo per decidere la data da proporre, dovendo interpellare anche il “Comitato per il sì” costituito di recente e al quale hanno aderito associazioni, sindacati, partiti ed esponenti politici di tutti gli schieramenti.
Questo il quesito che si vuole proporre ai sardi: “Sei contrario all'installazione in Sardegna di centrali nucleari e di siti per lo stoccaggio di scorie radioattive da esse residuate o preesistenti?”
LA DECISIONE Naturalmente la decisione definitiva spetterà al governatore Cappellacci che, a prescindere dalla richiesta dei promotori, in questa situazione di crisi preferirà quasi certamente una data che consentirebbe un risparmio notevole alle casse della Regione. L'accorpamento con le elezioni comunali, inoltre, sarebbe un'opportunità che potrebbe favorire il raggiungimento del quorum. Ecco perché è difficile che i promotori se la lascino sfuggire.
IL CONFRONTO «Il capo di Gabinetto del presidente - ha spiegato Bustianu Cumpostu, leader di Sardigna Natzione, « ci ha detto che l'eventuale referendum a novembre costerebbe 12 milioni in più, per questo sarebbe consigliabile rimandarlo alla prossima primavera e unirlo alle comunali. Abbiano chiesto dieci giorni di tempo per dare una risposta e avere il tempo di consultare anche il comitato per il sì». Accorpandolo con le comunali andrebbero alle urne circa 250 mila elettori, numero che rappresenta un quarto dell'elettorato sardo: «Si voterà anche in comuni importanti come Cagliari, Alghero e Olbia, penso che così il quorum potrebbe essere raggiunto più facilmente», ha sottolineato Cumpostu, «personalmente propenderei per avere il referendum subito, ma vogliamo prendere una decisione condivisa e il mio parere non deve essere un ostacolo».
L'APPELLO Nei prossimi giorni, quindi, gli esponenti di Sardigna Natzione e del movimento “No nuke” si riuniranno con gli aderenti al comitato contro il nucleare, per concordare tutti insieme la data da proporre per il referendum. «Qualunque sia la data in cui si andrà a votare», ha aggiunto Cumpostu, «mi aspetto che la gente risponda al quesito e sia sensibile al problema che non è solo ambientale, ma anche di sovranità. I sardi devono capire che il nucleare vincola tutte le future generazioni, perché per le scorie di terza categoria servono 200 mila anni per lo smaltimento. Noi non abbiamo neanche un bisogno energetico che giustifichi le centrali nucleari e non esiste neppure un risparmio finanziario nel costo dell'energia, se sommiamo l'alto costo di smaltimento e il costo dell'uranio». Abbiamo in Sardegna - ha concluso Cumpostu - una fonte energetica incredibile che è il carbone e non capisco perché non la si possa sfruttare nel modo migliore».
LA VICENDA Sardigna Natzione e "No Nuke", il 9 febbraio scorso, avevano consegnato 16.286 firme, autenticate e certificate elettoralmente, presso la Corte d'Appello di Cagliari per poter indire un referendum consultivo. L'Ufficio Regionale del Referendum ha poi dato il via libera allo stesso, giudicando positivamente la legittimità della richiesta.
Nel caso non si votasse nel mese di novembre, la legge prevede che la data venga fissata tra il primo gennaio e il 10 giugno del 2011: ecco perché è stato indicato come giorno più probabile quello legato alle amministrative di primavera.
mercoledì 14 luglio 2010
Nucleare: Questi rischi di cui non si parla mai
RNA-RETE NAZIONALE ANTINUCLEARE
traduzione dal francese : Fabienne Melmi
http://www.ilfautlesavoir.com/
Professionalità, trasparenza, precedenza alla sicurezza nelle centrali....
Dopo trentanni senza gravi incidenti , ci si potrebbe quasi dimenticare che il nucleare è un'industria ad alto rischio.
Tuttavia gli incidenti e le minacce esistono.
MOVIMENTARSI PER NON SUBIRE!
AGIRE PER NON MORIRE!
NO NUKE! UNA RISATA SHARDANICA VI SEPPELLIRA'!!!
Che ci sia capo di stato o ministro, generale o ingegnere, panettiere o giornalista, la regola è intangibile: per penetrare in uno degli "edifici dei reattori" di una centrale nucleare, occorre mettersi prima in slip. La procedura segue un ordine imperativo e meticoloso. Il percorso comincia con un "anthropo" - per anthropogammametria - che controlla che il visitatore è esente da contaminazione radioattiva. Poi il visitatore entra in "zona calda" e passa al guardaroba dove si sveste. Munito di un dosimetro e di un badge, supera allora un portico, si siede vicino ad una barriera. Là,si infilano calzini, maglietta, tuta, beretto, guanti, scarpe, tutti immacolati e debitamente controllati,. Dopo essersi applicati una crema ed avere messo un casco, eccoci alfine pronti.
Maggio 2005, centrale di Dampierre-en-Burly, vicino a Gien, in riva alla Loira. Quattro torre di 900 megawatt riparano ciascuna un edificio reattore - o "BR" -, torrione cilindrico di parecchie decine di metri di altezza, fatto di un muro di cemento armato di 90 centimetri di spessore . Salvo casi eccezionali, non si penetra nel BR di una torre in funzionamento, ma solamente durante i periodi di arresto necessario per ricaricare il combustibile da trattenere nell'installazione. Oggi ad esempio, è il caso della torre n° 1 a Dampierre. Alcuni lavoratori interinali adoperati dalle imprese a cui EDF subappalta delle operazioni di manutenzione arrivano all'ingresso principale , all'entrata della centrale. Per essere ammessi nel BR, bisogna cambiare badge prima di entrare sotto il duomo maestoso che protegge il reattore: un tino di acciaio di 20 centimetri di spessore che contiene le guaine del combustibile radioattivo.
La cultura di sicurezza è il leitmotiv degli agenti del nucleare. "Una centrale deve girare, ma la redditività non passerà mai davanti alla sicurezza, perché è lei che "tira le prestazioni"", dice Jean-Philippe Bainier, direttore del Centro nucleare di produzione di elettricità (CNPE, di Dampierre che impiega 1250 addetti permanenti, senza contare le centinaia di interinali degli imprese prestatarie,). Ogni giorno, tutte le attività della squadra di condotta sono seguite da un "ingegnere di sicurezza" che confronta le sue osservazioni con quelle del capo squadra. Pierre Haution è incaricato, lui, delle relazioni con l'autorità di Sicurezza (ASN), il "carabiniere" del nucleare: Il "mio lavoro, spiega, è di garantire che tutte le informazioni regolamentari siano trasmesse all'autorità di Sicurezza e di prestare attenzione al mantenimento di un clima di fiducia basata sulla trasparenza. Ogni evento deve essere segnalato il più velocemente possibile. L'autorità di Sicurezza può quindi farsi continuamente un'idea del funzionamento della centrale."
Professionalità, trasparenza.... Descritto dai suoi agenti, l'universo delle centrali di EDF che produce l' 80% della nostra elettricità, sembra idilliaco. Il programma nucleare è stato lanciato nel 1974. Su 58 reattori al totale, 48 reattori sono stati avviati prima del 1990. Dopo una generazione passata senza incidenti gravi, ci si potrebbe quasi dimenticare che si tratta di un'industria ad alto rischio. Per i giovani ingegneri freschi usciti delle scuole, il nucleare è un'attività come un altra. È vero che si fa fatica, ascoltando il ronzio regolare delle turbine, a pensare all'incidente di Three Miles Island (Stati Uniti) nel 1979 o alla catastrofe di Chernobyl nel 1986. "Il nucleare francese è percepito come uno dei più sicuri al mondo", scrive Yves Marignac, dell'associazione Wise (1). Per una larga parte dell'opinione pubblica, come per i decisionisti, un incidente di tipo Chernobyl è impossibile in Francia.
E se questa assicurazione fosse solo un'illusione? Abbiamo indagato su parecchi siti, ma anche presso agli organismi competenti e a differenti periti. Il quadro che ne esce fuori è contrastato . Le centrali nucleari francesi sono delle installazioni di qualità, servite da agenti devoti ed appassionati per il loro lavoro. E la loro sicurezza ha progredito molto in dieci anni, almeno se ci fidiamo degli indicatori quantitativi di EDF. Ma presentano anche numerosi punti deboli che il discorso ufficiale minimizza o passa sotto silenzio.
Primo aspetto: l'incidente maggiore non è impossibile, è solamente improbabile. Il principio di concezione dei reattori "è di evitare un incidente maggiore piuttosto che di resistergli", riassume Yves Marignac, dell'associazione Wise. I componenti sono stati calcolati per tenere in condizioni di funzionamento giudicate verosimili. "L'atto di base è probabilistico, conferma André-Claude Lacoste, direttore generale dell'autorità di Sicurezza nucleare (ASN). si considera un coppia probabilità-conseguenze e si pongono dei limiti. Gli avvenimenti troppo improbabili non sono presi in considerazione. " Questo approccio è completato dalla nozione di "sicurezza in profondità" che consiste in sovrapporre differenti linee di protezione, allo stato delle tre barriere che confinano il combustibile radioattivo. Quella è la teoria. Perché la pratica è l'idea della complessità di un'installazione nucleare: un incubo di tubatura, con più di 11000 paratie, centinaia di pompe, innumerevoli chilometri di tubature, migliaia di circuiti di controllo... in effetti, l'imprevisto è inevitabile.
12 maggio 1998, appena avviatosi, il reattore nuovo di zecca di Civaux-1 (Vienna) rompe un tubo e perde il refrigeratore del circuito primario che assicura il raffreddamento del combustibile. In chiaro, un organo vitale, perché un surriscaldamento del primario può provocare una fusione del nocciolo ed un rilascio di radioattività. È ciò che è accaduto a Three Miles Island. A Civaux, la crisi è durata più di 50 giorni ed il reattore è stato riportato ad un stato di "sicurezza" solo all'inizio di luglio 1998. Nell'intervallo di tempo, si è dovuto scaricare in emergenza i due reattori della centrale di Chooz, nelle Ardennes che fanno parte della stessa serie.
27 dicembre 1999: la tempesta che attraversa la Francia colpisce il sito del Blayais, nella Gironde, dove tre reattori su quattro sono in produzione. La centrale è parzialmente inondata . Non è un incidente grave come quello di Three Miles Island, ma un incidente serio. "Le onde provocate dalla tempesta nell'estuario della Gironde hanno causato la perdita di una delle due vie del sistema di raffreddamento del reattore 1, così come l'indisponibilità di due sistemi di salvaguardia dei reattori 1 e 2", nel rapporto ufficiale sull'incidente considerato dal deputato Claude Birraux. Certo, in alcun momento, l'acqua ha raggiunto il combustibile, ciò, se fosse successo avrebbe potuto avere conseguenze gravissime. Non resta nemeno molto del "concetto di sicurezza in profondità con barriere successive che si è rivelate insufficienti. (...) L'acqua non sarebbe mai dovuta entrare nell'edificio reattore. " In seguito a questo incidente, l'istituto di Protezione e di Sicurezza nucleare (IPSN) ha dimostrato in un rapporto che otto siti su diciannove erano vulnerabili al rischio di inondazione: Belleville, (Cher), Chinon (Indre-e-Loire), Dampierre (Loiret), Gravelines, (Nord), le Blayais (Gironde), Saint-Laurent, (Loir et Cher), hanno una piattaforma appoggiata sotto la "quota maggiorata di sicurezza"; i siti di Fessenheim (Haut-Rhin) e di Tricastin (Drôme) si trovano vicino ad un canale di cui la linea di acqua è più elevata della piattaforma. Questo rapporto ha condotto EDF ad impegnare diversi lavori di protezione, ma il rischio di un fiume in piena eccezionale non è eliminato.
Gli attentati del 11 settembre 2001 hanno posto in essere una nuova minaccia: un crash di aereo di linea su una centrale. Il problema è stato studiato? Risposta delle autorità: sì, ma i risultati sono classificati. "Pensiamo che il migliore modo di lottare contro l'attacco di un aereo indiretto, è di impedire a questo aereo di avvicinarsi ad un'installazione. Ne risultano misure preventive da cui il dettaglio rileva del segreto difesa", si limita a commentare André-Claude Lacoste, direttore generale dell'ASN. Joseph Sanchez, direttore della centrale di Fessenheim, afferma che ha conosciuto "le conclusioni di un studio, dove si afferma che l'edificio reattore resisterebbe" a questo tipo di attacco. Nella sua centrale, si è pregati di venire senza macchina fotografica né telefono portatile, al nome della sicurezza e del piano Vigipirate.
Fine 2002 è apparsa un altro problema: quello del rischio sismico. Nel quadro dell'elaborazione di una nuova "Regola fondamentale di sicurezza" (RFS 2001-01), i periti dell'IRSN (2) hanno rivalutato questo rischio in differenti regioni. Hanno concluso che certe centrali, come Fessenheim in Alsace o Bugey a 30 km di Lione, erano più esposte di quanto non si credesse. All'epoca della loro costruzione, i due siti erano stati dimenzionati in funzione di un "sisma storico massimale verosimile" che non riflette più le conoscenze attuali. Anche se il rischio può sembrare debole, le due centrali sono difatti installate in regioni a sismicità accertata.
Un terremoto, del XIV° secolo, non ha distrutto la città di Basilea?
Un vero problema per EDF che ha valutato, in un documento confidenziale (3), l'importo dei lavori per rimettere in conformità le centrali sulla base dei riferimenti calcolati dall'IRSN: 1,2 miliardo di euro per i soli siti di Bugey e di Fessenheim; 1,9 miliardo se si aggiunge quelli di Chinon (Indre-e-Loire), Civaux (Vienne), Golfech, (Tarn-e-Garonne), Dampierre (Loiret), Saint-Laurent, (Loir et Cher), Belleville, (Cher), Saint-Alban (Isère) e Le Blayais (Gironde), anche loro concernati . I commenti che raffigurano nella nota di EDF a proposito di questo rischio sismico, prima percepito come un rischio finanziario, sono inquietanti: "Delle azioni di lobbying o altri periti sono possibili? (...) Bisogna trovare una scappatoia a questa minaccia. Nella pratica progettata, è un studio di impatto che deve definire fin dove sarebbe industrialmente accettabile rivalutare il sisma. E dunque derogare per certi siti all'applicazione del RFS."
Ecco che sfuma seriamente il ritornello secondo il quale i costi non saprebbero opporsi all'esigenza di sicurezza. Si può giudicare che il rischio di un sisma distruttore sia debole in Francia, ma nessuno aveva pensato neanche che Le Blayais potrebbe essere inondato. La disputa tra EDF e l'IRSN è stata la causa di una lettera molto tecnica di André-Claude Lacoste che non dà ragione né ad uno né all'altro dei protagonisti. In ogni caso, 10 siti su 19 non presentano oggi una tenuta al sisma che sia soddisfacente, secondo le stesse perizie sulle quali si basa la sicurezza! E per almeno due di essi il rischio non può essere considerato come trascurabile. Altra preoccupazione per i periti dell'IRSN: il problema dei pozzetti del cinta di confinamento. Hanno per funzione, in caso di breccia nel circuito primario, di raccogliere l'acqua e di permettere che il cuore continua ad essere raffreddato. Ora si è scoperto, in seguito ad un incidente successo nel 1992 in Svezia alla centrale di Barsebaeck, che i filtri dei pozzetti possono otturarsi. In questo caso, l'acqua non passerebbe più e ci sarebbe un rischio di fusione del cuore. "Questo problema riguarda numerosi reattori nel mondo, in particolare quelli del parco francese. EDF ha impiegato dieci anni a riconoscerlo. Ora è un dossier urgente", si allarma un osservatore.
Ma EDF ha numerosi altri problemi: l'impresa pubblica, pesantemente indebitata, è in piena mutazione, alla vigilia di aprire il suo capitale e di entrare in un mercato concorrenziale. I direttori dei siti proclamano alto e forte che niente di tutto ciò non affetta il funzionamento delle centrali. Pierre Wiroth, ispettore generale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione di EDF, si mostra più sfumato: "Constato per esempio che un "atteggiamento interrogativo ed una pratica rigorosa e prudente" non sono sempre all'appuntamento, scrive nel suo rapporto 2004, pubblicato nel gennaio scorso. Talvolta la coscienza del rischio degli intervenienti sembra insufficientemente evoluta ..." E di appuntare "numerosi errori che potrebbero imparentarsi alle violazioni, in particolare nel campo della radioprotezione e della sicurezza", "delle modalità di superamento di zona (salti di zona) che non si rispettano "perché non ci sono più rischi più ", delle attrezzature di protezione individuale che non si portano "perché è imbarazzante", delle "check-lists" di cui ci si affranca "perché si conosce la musica"."
Conclusione: "Il sistema migra , con leggerezza, da uno spazio sicuro verso una zona dove i margini si riducono. " Un sentimento condiviso da A., agente di condotta, venticinque anni di esperienza su parecchie centrali. C'è oggi una crisi culturale ad EDF. Quando sono stato assunto, i capi di servizio erano pronti a farsi in quattro affinché tutto funzionasse. Oggi non è più veramente cosi . Tra le costrizioni economiche, il rompicapo dei RTT e la burocratizzazione dell'impresa, si perde il cuore del mestiere. Dieci anni fa, si dedicava il 13% della massa salariale alla sicurezza,oggi solo il 7%. Mentre conosceremo a breve un'emorragia per la messa in quiescenza di pensione dei molti tecnici, e non abbiamo più i mezzi per formare i giovani. Il problema è ancora più acuto per i prestatari [il subappalto, NDLR]. Certi non hanno capito che una centrale nucleare non è una fabbrica di cioccolato. Alcuni impiegati vengono senza avere consapevolezza che il gesto tecnico che compiono può avere oggi un impatto sulla sicurezza della centrale fra cinque o dieci anni. Un giorno, un ragazzo mandato da una società interinale è venuto a pormi delle domande a proposito di un quadro elettrico, ed io mi sono reso conto parlandoci che il ragazzo non era un tecnico, ma, era un panettiere! »
Lo spettro di un incidente maggiore può continuare ad essere cancellato da un colpo di mano dal momento in cui si è deciso di prolungare di almeno vent' anni la durata di vita delle nostre centrali?
Il più grosso problema è di gestire un parco di cui si potrebbe essere obbligati a chiudere una parte importante, risponde un perito. Il fatto di dipendere al 80% dal nucleare non lascia nessuno margine di manovra. Gli svedesi possono permettersi di chiudere tutto, noi no. Questo ci obbliga ad anticipare ogni difetto che potrebbe essere generico. La scelta nucleare ha i suoi vantaggi, ma è anche una spada di Damocle. " Certamente, se si anticipa correttamente, la catastrofe non dovrebbe accadere. Ma, come lo nota sobria del nostro perito, molte cose che non dovevano accadere sono poi arrivate."
Note: (1) vedere Yves Marignac, "I rischi del nucleare francese al tempo dell'EPR", in "i Quaderni di Global Chance" (gennaio 2004). (2) Istituto di Radioprotezione e di Sicurezza nucleare, base di perizia sulla quale si appoggia l'autorità di Sicurezza. (3) divulgato per la rete Sortir du Nucléaire.
Estate calda per EDF: I francesi temono le estati caldi , EDF ancora di più. Fin da metà-giugno, l'operatore temeva una produzione insufficiente questa estate, a causa di una siccità che limita il funzionamento delle centrali in bordo di fiumi . Era previsto di fare girare al massimo i 18 reattori di bordo di mare (Gravelines, Penly, Paluel, Flamanville ed Le Blayais), e di non chiuderne simultaneamente più di due. In seguito ad imprevisti di cui un afflusso di alghe a Paluel, 5 reattori di bordo di mare sono fermi questo mese. L' 8 luglio, la direzione del parco nucleare inviava ai direttori di centrale una posta elettronica allarmistica: "La situazione del parco di produzione EDF è tesa attualmente. Dobbiamo limitare a minime e rigorose le operazioni a rischio..."
È precisato che la mancanza di potenza si eleva a "16 000 MW di cui 9 500 MW non previsti", che "la nafta si è avviata a prezzi alti" perchè gli acquisti sono realizzati all'estero". La siccità rischia di portare certi siti ad infrangere le ordinanze che fissano i livelli di rigetti nei fiumi. Ciò ha condotto la rete Sortir du Nucléaire ad attaccare presso la corte di giustizia le centrali di Civaux, del Blayais, di Saint-Laurent e di Gravelines, tutte colpevoli di recenti infrazioni . La penuria d'acqua rischia di provocare un funzionamento in flusso teso dei siti a bordo mare, situazione che Sortir du nucléaire qualifica di "préaccidentale".
Chi controlla le centrali?
Il controllo della sicurezza delle centrali nucleari di EDF è assicurata da una trafila molto gerarchizzata: lo sfruttamento è seguito al quotidiano dagli "ingegneri per la sicurezza" (IS che segnalano ogni errore). In caso di disaccordo con la squadra di sfruttamento, gli IS che hanno un "dovere di allerta", possono riferire al direttore della centrale. Un IS particolare ha per missione di informare continuamente l'autorità di Sicurezza nucleare (ASN, di ogni avvenimento che interessa la sicurezza,). L'asn si appoggia su degli organismi di periti di cui l'istituto di Protezione e di Sicurezza nucleare (IPSN), annessa al CEA, e l'istituto di Radioprotezione e di Sicurezza nucleare (IRSN). "Carabinieri del nucleare", l'ASN ha il potere di chiudere ogni centrale che giudicherebbe insufficientemente sicura. L'asn è lei stessa sottomessa all'autorità del Primo ministro ed a quella del ministro dell'industria.
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