sabato 14 dicembre 2019

A ISCOLA DE EPIGRAFIA NURAGICA... A SCUOLA DI EPIGRAFIA NURAGICA PROF. GIGI SANNA

A ISCOLA DE EPIGRAFIA NURAGICA... 
A SCUOLA DI EPIGRAFIA NURAGICA


PROF. GIGI SANNA 





IL LOGO DEL CORSO DI EPIGRAFIA: UN SERPENTE, UN TORO (protome), UNA COLOMBA.


PIU' AVANTI, IN UNA DELLE PAGINE DEDICATE ALLE LEZIONI SPIEGHEREMO PERCHE' ABBIAMO SCELTO QUESTI SEGNI PITTOGRAFICI. TRA I PIU' BELLI E I PIU' SIGNIFICATIVI DI TUTTA LA SCRITTURA DEL TEMPO DEI COSTRUTTORI DEI NURAGHI.



Primo Corso on line di Epigrafia nuragica per gli amici di facebook

PAGINA PRIMA

Il ciondolo di pietra di 'Pranu Antas' di Allai e la scrittura consonantica. Fenicio arcaico e protosinaitico. Segni pittografici e segni schematici in mix. I 'segni' nascosti.

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La documentazione epigrafica nuragica, quella che troviamo riportata su metallo, pietra e ceramica, parte dal XVI secolo a.C. per arrivare sino al III secolo a.C. I documenti quindi abbracciano un tempo lunghissimo di mille anni e più. Per questo motivo (ma non solo per questo) i segni che troveremo in essi risultano alquanto vari e modificati nel tempo.
I nuragici per scrivere usarono praticamente quasi tutti i codici di scrittura inventati dai popoli di avanzata civiltà del Mediterraneo orientale: il gublitico, il protosinaitico, l'ugaritico, il protocananaico, il fenicio. Usarono anche segni di qualche codice - sempre dello stesso luogo - a noi ancora sconosciuto per mancanza di documentazione diretta.
Chi vuole dunque avvicinarsi alla comprensione di uno qualsiasi dei 160 e più documenti nuragici rinvenuti sino ad ora deve sforzarsi di apprendere i segni dei codici succitati e di farli propri 'visivamente' nel più breve tempo possibile. Si può dire che deve imparare, con l'aiuto dei repertori, a riconoscerli uno per uno.
Facciamo subito qualche comodo esempio e per questo riprendiamo ancora il ciondolo di Pranu Antas di Allai, l'oggetto che da noi è stato presentato nella nostra pagina di facebook qualche giorno fa. In questa lezione lo facciamo vedere fotografato subito dopo il momento del rinvenimento (v.fig.1).
Si noterà che nella faccia che chiameremo per ora 'a' i segni, stando almeno all'apparenza sono, sei. E si noterà ancora che sono di tipologia fenicia arcaica (cioè riferibili ad un fenicio collocabile tra il nono e l'ottavo secolo a.C.). Per rendersene conto basta navigare nella rete (una cosa che i corsisti dovranno fare spesso, in mancanza di libri specialistici), cercare e 'frugare', digitando ad esempio l'espressione 'scrittura fenicia' oppure 'storia della scrittura antica' o un qualcosa che possa farvi trovare comodamente un elenco qualsiasi di segni del codice cosiddetto 'fenicio'. Non sarà difficile. Stampatevelo (così come avrete sicuramente stampato questa pagina di esordio) e osservate attentamente le singole lettere.
Scoprirete così che il ciondolo di Allai riporta ( fig.2 e fig 3) i seguenti sei segni, a partire da destra : una 'aleph', una 'beth', una 'shin', una 'resh', una 'dalet, una 'nun'. Essi sono tutti consonantici perché il semitico (lingua presente nel ciondolo e in tutti i documenti, come si vedrà) non fa uso delle vocali. Per capire subito il modo di scrivere 'consonantico' guardatevi il vostro nome e cognome riportato nel codice fiscale
Corrispondono, grosso modo, per pronuncia:
la 'aleph' ad una debole aspirata (badate che non si tratta di una vocale come la nostra 'A'!), la 'beth' alla nostra 'B', la 'shin' alla nostra 'S' ( 'S' di 'sanno', 'senno', 'soldo' ecc.), la 'resh' alla nostra 'R', la 'dalet' alla nostra 'D', la 'nun' alla nostra 'N'.
Eseguita questa operazione non stancatevi di osservare, badate ad ogni dettaglio (spesso quelli che all'apparenza possono sembrare i più insignificanti sono quelli che 'contano' di più) e noterete così che lo scriba si è servito del foro passante della cordicella del ciondolo, una volta esistente, per riportare nascostamente un segno che non è più schematico e astratto come i precedenti ma 'pittografico' in quanto riproduce la protome stilizzata di un bovide (un toro) stanti i piccoli segni (tratti) delle corna che sono stati aggiunti. Quindi il documento di Antas possiede in questa faccia 'sette' segni e non sei. Uno di essi è nascosto o criptato, secondo il modo di scrivere ermetico dei nuragici. Detto segno però non è più 'fenicio' ma 'protosinaitico', cioè di un codice di scrittura che lo precede di qualche secolo (per avere un'idea del sistema o codice digitare in rete 'protosinaitico').
Come Prima Pagina riteniamo quanto detto più che sufficiente. Pertanto fermiamoci ma teniamo presenti, già da ora, questi aspetti fondamentali della scrittura nuragica:

- che essa riporta segni di codici (meno bene il chiamarli 'alfabeti') orientali (in questo caso il fenicio arcaico e il cosiddetto 'protosinaitico')
- che fa uso in mix sia di segni pittografici che di segni schematici (o detti 'lineari').
- che fa uso in mix di codici differenti
- che usa 'nascondere', dove più dove meno, i segni. Questi il più delle volte sono i più importanti e significativi.

Venerdì (la seconda pagina uscirà regolarmente di mattina alle 10,30) vedremo di osservare ancora più attentamente e di commentare l'altra faccia (v.fig.4) del ciondolo. Scopriremo così altri aspetti, ugualmente 'fondamentali', dell'antica scrittura dei Sardi. Naturalmente, per agevolare il nostro compito e per una maggiore e veloce comprensione di quanto si dirà, siete già invitati:

- a leggere da soli le altre lettere consonantiche fenicie e gli eventuali altri segni presenti nell'oggetto (già presentato nei giorni scorsi nella mia pagina di facebook)
- a cercare di scoprire cosa c'è di nuovo, per aspetto di 'scrittura', nella faccia 'b' rispetto alla faccia 'a'.




PAGINA SECONDA
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Osserviamo attentamente e ci accorgeremo che questa parte del ciondolo (v. trascrizione fig. 1) possiede incisi quattro segni di natura alfabetica schematica, sempre di tipologia fenicia. Iniziando la lettura dalla destra noteremo una 'ayin', una 'beth', una 'dalet', una ''aleph'. Per quanto riguarda la conoscenza dei segni del codice abbiamo progredito quindi ben poco perché otteniamo solo un settimo segno in più. Ricaviamo però anche un dato in più circa la conoscenza del nuragico: che i segni non sono riportati in modo uguale. La 'beth' e la 'daleth' sono alquanto diverse come tipologia. Addirittura nella faccia che stiamo esaminando la 'daleth' assomiglia più alla 'beth' che la precede di quanto assomigli alla 'dalet' della faccia che abbiamo esaminato la volta scorsa.
Come si spiega questo? Si tratta di una scrittura riportata da uno scriba incerto o sciatto nello scrivere? Si tratta di lettere diverse e con suoni diversi? Siamo di fronte ad un prodotto di un falsario che ha interpretato male dei segni?
No, si tratta semplicemente di quello che è usuale e caratteristico della produzione scritta nuragica: lo scriba fa, di proposito, continue variazioni circa i segni che riporta. Attinge a tipologie diverse della stessa scrittura (tipologie che si trovano anche in documenti levantini esterni all'isola) e molto spesso, soprattutto se i segni sono pittografici, inventa a suo piacimento, li modifica e li trasforma. Ma stando molto attento a non stravolgere il dato di partenza. Per esempio una protome bovina (taurina) può avere uno schema del muso rotondo, ellittico, quadrato, triangolare, trapezoidale, ecc., con le corna ugualmente variate per forma, ma deve, pur nello schema vario, risalire al prototipo reale, cioè alla testa del toro come ci si presenta, o di fronte o di lato. E così sarà ovviamente per un pittogramma serpente, uccello, albero, ecc.. Tanto che in virtù di questo procedere dei nuragici con la scrittura variata noi stessi possiamo inventarci un nostro alfabeto 'nuragico', ma stando attenti a non cambiare troppo l'archetipo (il modello iniziale), pena l'incomprensibilità totale di ciò che si intende comunicare. Per capirlo basta riandare un po' indietro nella mia pagina di facebook ed osservare come ho scritto in 'nuragico' le consonanti (ma anche le vocali) dell'espressione ' CORSO SPERIMENTALE DI EPIGRAFIA NURAGICA'. Ho proceduto anch'io a delle variazioni ma senza stravolgere i segni che ci vengono offerti dall'ormai cospicua documentazione scritta nuragica che, da tempo ormai, abbiamo riportato nelle tabelle (di volta accresciute da apporti nuovi) delle 22 lettere del codice nuragico (v figg. 2-3)
Quindi questa parte del ciondolo ci consente, aggiunta all'altra, di conoscere 'sette' segni in tutto del sistema composto da 22 lettere usato da semitici. Man mano che si procederà con la presentazione dei documenti riusciremo, con pazienza, a conoscerli tutti o quasi tutti.
Passiamo però ora ad un altro segno molto particolare. Il segno sembrerebbe però i... 'segni', in quanto al di sotto della scritta 'A B D 'A (partendo dalla destra) ci sono cinque lineette oblique. Che vogliono significare? Si tratta forse di un motivo decorativo, di una aggiunta arbitraria nella scrittura complessiva del ciondolo? No, si tratta di scrittura, ma bisogna spiegare che tipo di scrittura. E' la scrittura che viene chiamata dai grammatici ' ideografica' in quanto essa tende a dare solo l'idea di un qualcosa, ma solo per convenzione. Avviene la stessa cosa quando noi ci troviamo davanti ad un cartello stradale: l'ideogramma vi suggerirà l'idea di 'divieto di transito', di 'dare la precedenza', di 'andare a destra', di 'andare a sinistra', ecc.. E noi comprendiamo quei segni (v. fig.4) per un semplice motivo. Perché ci siamo messi d'accordo (in quanto comunità che ci tiene ad un traffico disciplinato da regole chiare), che essi significano quello e soltanto quello.
Ora, quei tratti obliqui del ciondolo (che possono però essere anche perfettamente verticali o obliqui a sinistra) sono numeri e, più precisamente, notano la lettera 'uno', ripetuta cinque volte.
Il modo con cui i nuragici riportavano i numeri lo vedremo in occasione della spiegazione di un altro documento. Basterà per ora dire che quello che abbiamo davanti è il numero cinque in nuragico (cinque aste). Ma che vuol dire nel contesto il numero cinque? Lo si scopre se si sta attenti a tutta la scrittura ed al gioco (lusus) che attua lo scriba nel suo procedere a rebus. Sì, perchè per quanto vi sembri strano, si tratta di 'scrittura a rebus'! Scrittura che bisogna capire e risolvere con un po' di pazienza, proprio come nella 'settimana enigmistica': osservando tutti i particolari e cercando in essi un senso nascosto ma coerente e compiuto.
Ma prima di parlare di essi vediamo di capire quello che 'solo' sembra esserci scritto e che abbiamo già letto. Sommando i valori fonetici delle due facce del ciondolo osserviamo che la sequenza (partendo dalla lettura dalla destra) è:
'abd'a 'ab shrdn ('Abad'a 'AB Shardan), espresione semitica che significa [io sono] il servo ('ABD'A) del padre ('AB) signore Giudice' (ShRDN). Il senso, come si vede, sembrerebbe completo perché chi portava il ciondolo ci dice d' essere il 'servo' della divinità 'Padre Shardan'.
Abbiamo visto però che lo scriba nella prima faccia aggiunge una protome di toro servendosi del foro. Comincia allora farsi strada un'idea: che il cinque (v.fig. 5) significhi anch'esso 'toro' . Idea di 'toro' che, con ogni probabilità, proviene da un dato empirico, facilmente osservabile: dal fatto cioè che la mano è composta da quattro dita più un pollice che serrati danno il pugno, la potenza massima ovvero il toro. Questo dato potrebbe sembrare opinabile e scientificamente non dimostrabile se non ci fossero i riscontri documentari che confermano non solo che il cinque è sinonimo di 'toro', ma anche che quasi tutti i numeri sino al 12 offrono, per convenzione, delle parole e sempre solo quelle. Le vedremo piano piano durante lo svolgimento del corso.
Riprendendo l'espressione riportata nel ciondolo avremo allora questo senso in più: [io sono] il servo del toro toro 'aba shardan. Ma anche se ancora abbiamo ricavato senso compiuto le cose non stanno perfettamente così perché il ciondolo nasconde altro (e bellissimo) senso.
Vedremo martedì prossimo come lo riporta e perché lo riporta. Oggi basta questa pagina che forse avrete trovato un po' 'faticosa'.
Prima di chiudere ricapitoliamo. Abbiamo affermato che:
- nella seconda faccia c'è qualche segno del codice semitico consonantico in più
- in virtù della possibilità di variazione le singole lettere (i segni) possono essere riportate differentemente
- c'è la presenza dell'uso degli ideogrammi oltre che dei pittogrammi e dei segni schematici lineari
- c'è l'artificio della scrittura 'a rebus'
- che il segno verticale ha significato di numero 'uno' - che il 'cinque', per convenzione, suggerisce l'idea di ' toro, potenza, vigore, ecc..






























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PAGINA TERZA


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Venerdì scorso, prima della 'ricapitolazione', avevamo chiuso con questa frase:

' Ma anche se ancora abbiamo ricavato senso compiuto le cose non stanno perfettamente così perché il ciondolo nasconde altro bellissimo senso. Vedremo martedì prossimo come lo riporta e perché lo riporta'.

Vediamo dunque 'come' e 'perché il ciondolo (lo scriba che ha scritto usando il ciondolo come supporto) riporta altro senso oltre quello che si è compreso. Per capirlo bene scriviamo per esteso e riportiamo tutta l'espressione presente nelle due facce:

'ABD'A TORO TORO 'AB ShRDN: [io sono] il servo del Toro Toro Padre signore giudice

Si noterà facilmente che la parola 'toro' ('ak/'ag in nuragico) è ripetuta due volte. Ora, i documenti nuragici presentano e confermano, in modo inequivocabile, un dato: che quando si trovano i 'segni' forti che notano i simboli della divinità (il toro e il serpente, soprattutto), questi non possono essere due ma tre. Ed il motivo è semplice: 'perché' il numero che indica la divinità è il 'tre'. Il tre è il segno ideografico che può sostituirne il nome. Tanto che in alcuni documenti tre punti o tre lineette verticali stanno al posto del dio. Lo vedremo bene a suo tempo, quando esamineremo uno dei quattro sigilli (v. fig. 1) di Tzricotu di Cabras, sigilli cerimoniali che sono 'divini' (per i figli del Dio) e, in quanto tali, rispettosi del 'tre' al massimo grado.
Ma, se i tori visivamente sono due, dove mai sta il 'terzo toro'? Lo scopriamo se stiamo attenti alla parola 'abd'a 'servo di', parola scritta nella faccia 'b' . Infatti, la parola semitica che esprime 'servo' non è 'ABD'A ma 'ABD (senza la 'aleph finale). 'ABD'A invece è il nome proprio e vuol dire 'servo del toro' (la consonante 'Aleph - toro - usata in modo non acrofonico ma logografico). Qui il nome non è un nome proprio ma, così come in esso, la 'aleph è usata ( v. fig.2) non come consonante acrofonica (la prima consonante della voce 'aleph), ma come parola (logogramma: segno - parola)
Abbiamo dunque scoperto prima il perché ed ora scopriamo 'come' lo scriba abbia nascosto il 'terzo toro' attraverso il quale, una volta reso manifesto, possiamo completare (ma non è ancora tutto il senso riposto nel ciondolo!) l'espressione:

'ABD' TORO TORO TORO 'AB ShRDN: io sono] il servo del Toro Toro Toro Padre signore giudice.

Chi porta il ciondolo è evidentemente un sacerdote (il servo) del Dio Toro. Il sacerdote però di quale Dio è servo ? Come si chiama questo?
I nuragici, così come gli Ebrei, erano reticenti nel riportarlo per iscritto e nel nominarlo. Anzi diciamo sin d'ora che si capisce da tante 'prove' che i nuragici ricorrevano più volentieri all'ideogramma che al nome vero e proprio, a quello che, in qualche modo, lo indicava. Vedremo che il nome del dio è YH oppure YHH, YHW, YHWH. Lo vedremo, per fortuna, scritto, non una volta sola ma più volte, come si apprenderà durante la visione e il commento dei prossimi documenti. Quindi quel 'tre', esistente attraverso i 'tre' tori ma difficile da individuare è il numero sacro che indica la divinità (' perfetta') e alla quale si preferisce non dare un nome.
Resta veramente da completare davvero tutto il senso perché anche quel tre va letto. Perché abbiamo letto Toro Toro Toro, ma non abbiamo letto il numero. Come lo leggiamo? In un solo modo: unendolo ad altri numeri (altri ideogrammi presenti nel ciondolo). Al CINQUE (numero), al SETTE (numero) al DODICI (numero)
Questi, se si nota, sono ricavati:

dai 'cinque' segni della faccia 'a'

dai 'sette' segni della faccia 'b',

dai 'dodici' segni complessivi delle due facce.


Ora, vi ricordate del numero cinque che, per 'convenzione', è il toro? Memorizzate allora queste altre convenzioni riguardanti i numeri, perché le vedremo non poche altre volte: cinque = potenza, sette = santo, dodici = sole o luce. Quindi non operate (parlate) più per numeri ma per parole e avrete:

Il tre (è) la potenza taurina (cinque) della santa (sette) luce (dodici).

Da ciò si comprende che quando si legge un documento nuragico ci può essere (e anche questo lo si vedrà) una seconda lettura nascosta e, talvolta, anche una terza.

Ricapitoliamo ora quanto abbiamo detto e scritto:

- che lo scriba ha riportato nascostamente il terzo toro per ricavare il simbolo forte della divinità
- che ha ricavato il terzo toro dalla sequenza consonantica 'ABD'A ma rendendo pittogramma logogramma la quarta consonante ovvero la 'aleph (che compare quindi non più consonante)
- che preferisce ('preferisce', non è una regola) non nominare il nome del Dio
- che il nome della divinità è YH (oppure YHH, YHW, YHWH)
- che aggiunge una seconda lettura ricorrendo al computo dei segni presenti prima nelle singole facce e poi sommando i segni dell'una e dell'altra.

Una scrittura incredibile, vero? Incredibile certo se gli aspetti della bellissima scrittura nuragica non si ripetessero. Continuamente. Ogni documento che si scopre ci offre sempre la stessa tipologia di scrittura tanto che ormai possiamo parlare di regole. I primi documenti che hanno stimolato la riflessione sulla scrittura nuragica, e cioè i sigilli di Tzricotu, mostrano la stessa scrittura (le stesse norme) che abbiamo potuto osservare in questo 'ciondolo' oppure, se lo si vuole prendere e studiare, nel documento recente di Cubas di Dualchi.
Anticipiamo che nella quarta 'pagina' parleremo di un altro documento che ci porterà a constatare e quindi a ribadire la presenza delle dette 'norme'. Perché la scrittura nuragica, come tutte le scritture, non può essere anarchica. Fantasiosa sì, ma senza regole no.























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PAGINA QUARTA 

*** Iniziamo a parlare oggi di un documento celeberrimo: la Stele di Nora (v. fig. 1). Documento sul quale si sono scritti fiumi d'inchiostro per duecento anni e più, ovvero a partire dalla data della scoperta avvenuta nel 1773 ad opera del padre H. Hintz, professore di lingue orientali dell' Università di Cagliari. Oggi però della stele, ritenuta erroneamente fenicia, non si parla più. Ma sapete perché? Perché è nuragica. Ormai lo si sa ma, purtroppo, non lo si dice. Eppure dovrebbe essere per noi motivo d'orgoglio considerando che un 'fiore all'occhiello' del fenicio non è più un 'fiore' fenicio ma sardo. Com'è che facciamo a sapere che la stele è nuragica? Come possiamo dimostrarlo? In due modi : prima di tutto perché venti anni fa è stato rinvenuto in Orani un coccio nuragico (in un sito nuragico) recante i segni della scrittura nuragica e solo apparentemente 'fenicia' (come quella che si è vista per il ciondolo di Pranu Antas). Detto coccio riporta su quattro linee non pochi segni uguali per valore fonetico e molto vicini per tipologia a quelli della stele di Nora. In secondo luogo perché il contenuto della stele è quello stesso che, ormai da diversi anni (più di un decennio), si trova in non pochi altri documenti nuragici. Partiamo dal primo dato: dal coccio di Orani. Come ognuno può vedere dalla figura 2 il coccio frammentario del vaso nuragico presenta, disposti su tre linee, ben 13 segni dei 44 segni (in realtà, come si vedrà sono 48) presenti nella stele. Sono, a partire dalla destra (avvertiamo che la maggior parte dei documenti nuragici inizia con lettura 'semitica', ovvero, generalmente parlando, dalla destra) una 'taw', una 'beth' , una 'shin', una seconda 'shin' , una 'waw' una 'shin', una 'hē', una 'aleph' e parte (individuabile abbastanza) di una 'beth' una 'lamed', una 'mem', una 'sade' e una 'resh'. Esse corrispondono alla seconda, alla terza, alla quarta, alla quinta lettera della prima riga della stele di Nora; alla quarta, alla quinta, alla sesta della seconda riga e alla prima della terza riga; alla sesta della quarta riga; alla prima, alla seconda e alla terza (parzialmente visibile) della quinta riga. Con un po' di pazienza ed esaminando senza fretta ci renderemo conto che non solo il coccio e la stele di Nora riportano lettere di tipologia simile, ma anche sequenze simili. Il che vuol dire che il coccio di Orani riporta anche un lessico (parole) uguale a quello della stele. Ora i casi sono due: o il coccio è un falso e allora il discorso cade per ovvi motivi; oppure è autentico e allora la stele con caratteri (apparentemente) fenici non è affatto fenicia (opera di genti fenicie) ma opera di nuragici. Si dà il caso però che e per il luogo dove è stata rinvenuto il coccio (in una vigna presso un nuraghe) e per la persona che l'ha rinvenuto e per chi l'ha consegnato, il reperto risulta autentico. Chi non ci crede si può affidare alla scienza (oggi sofisticatissima) e può far analizzare il coccio con la collaudata tecnica della termoluminescenza e con altri strumenti ancora. Si saprà, con una certa approssimazione, sia la data del coccio sia come e con che cosa è stata eseguita la scritta. Ricordiamo che da poco tempo la Sovrintendenza di Cagliari ha fatto esaminare una barchetta fittile scritta, rinvenuta a Teti, sulla quale si dubitava quanto a genuinità. Ebbene, alla prova la barchetta è risultata autentica, di fattura nuragica e scritta con scrittura tipicamente nuragica (con il codice cosiddetto 'protocananaico'). Quindi, sino a prova scientifica contraria, il coccio di Orani con i suoi chiarissimi dati ci illumina e ci informa che la Stele di Nora è nuragica e scritta da nuragici. Cade quindi il 'mito' (coltivato soprattutto nella seconda metà del Novecento) dei Fenici che avrebbero scritto quel documento. Cosa impossibile stante già la considerazione che la Stele è del X -IX secolo a.C. Quando dei cosiddetti 'fenici', come oggi sanno tutti, in Sardegna non c'era forse neppure l'ombra. Ma vediamo ora, non bastasse la prova di Orani, di esaminare dal punto di vista epigrafico (come sono riportati i segni nella stele) e paleografico (esame dell'antichità dei segni stessi) il contenuto scritto (inciso) nel documento norense. Si noterà che i segni sono 44. La trascrizione del documento (fig.4) e una tabella (fig.3) con l'elenco alfabetico dei segni consonantici (ricordate: solo consonantici) ci farà vedere meglio di quale tipologia di segni si tratta. Noterete dunque che i segni sono di tipologia cosiddetta fenicia, ma noterete anche che c' è dell'altro in quanto 'tre' dei segni, dopo accurata visione del documento, si mostrano non semplici ma complessi. Noterete cioè che il secondo segno della quarta riga (sempre a partire da destra), il primo segno della settima riga, il terzo segno della ottava riga non costituiscono un segno ma due; cioè sono due segni in legatura. Più precisamente sono una 'shin' + una 'mem', una 'shin' + una 'lamed' , una 'shin + una 'sade'. Nella prossima 'pagina del corso (la quinta) vedremo perché dette lettere sono agglutinate, cos'è l'agglutinamento (o legatura) e quante lettere in tutto sono presenti nel documento. Inizieremo a vedere anche una (una sola, per ovvi motivi di brevità) delle letture esistenti nella stele. Quella che solitamente eseguono gli ermeneuti, cioè partendo nella lettura da sinistra per tutte le righe. Per questa 'quarta pagina' ci sembra sufficiente quanto si è detto. Comunque, coloro che vorranno avvicinarsi a tanto della problematica riguardante la Stele di Nora si veda il nostro 'La Stele di Nora. Il Dio, il Dono, il Santo. The God, the Gift, the Saint (trad. in lingua inglese di Aba Losi'), PTM ed. Mogoro 2009. Non sappiamo se il saggio si trovi ancora in commercio. Si può però averlo comodamente in casa attraverso la biblioteca comunale, dal momento che esso si trova negli scaffali delle biblioteche di non pochi comuni dell' Isola. Chiudiamo, come al solito, ricapitolando. Abbiamo detto che - la Stele di Nora non è un documento fenicio ma nuragico del X -IX secolo a.C. - la 'nuragicità' di esso è confermata da un coccio autentico trovato in Orani - le lettere di detto coccio sono simili a quelle della stele e che, con ogni probabilità, è simile anche parte del contenuto - le lettere del coccio sono 13, quasi un terzo di quelle della stele - ci sono tre segni in legatura (4 foto) foto di Gigi Sanna.
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PAGINA QUINTA

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Alla fine della 'quarta pagina' così abbiamo scritto:
"Nella prossima 'pagina del corso (la quinta) vedremo perché dette lettere sono agglutinate, cos'è l'agglutinamento (o legatura) e quante lettere in tutto sono presenti nel documento [la Stele di Nora]. Inizieremo a vedere anche una (una sola, per ovvi motivi di brevità) delle letture esistenti nella stele. Quella che solitamente eseguono gli ermeneuti, cioè partendo nella lettura da sinistra per tutte le righe"

Pertanto:

- perché dette lettere sono agglutinate?
- cosa è l' agglutinamento?
- quante sono le lettere del documento?

Prima di spiegare 'perché' alcune delle lettere della Stele sono agglutinate o legate vediamo di dire cosa si intende per 'agglutinamento'.
L'agglutinamento è l'artificio scrittorio a cui ricorrono i nuragici per unire assieme una, due o più lettere in modo da formare un segno grafico solo. Perché gli scribi nuragici distinguevano nettamente 'segno' grafico e segno fonetico. Nella Stele di Nora, come abbiamo visto (lezione quarta), i segni fonetici sono agglutinati a due a due. Ma facciamo subito un altro esempio di un bel documento rinvenuto nelle campagne di Aidomaggiore (del quale parleremo più avanti) nel quale i segni fonetici sono quattro ma il segno grafico risulta uno solo in quanto i quattro segni sono agglutinati (v. fig. 1).
L'agglutinamento può essere reso per 'legatura' o per 'nesso': la 'legatura' si ha quando i segni sono uniti, il 'nesso' (o intreccio) quando parte di un segno è anche quella di un altro. Per comodità esplicativa osservate il primo segno a destra della settima riga della Stele e noterete che il 'tratto' obliquo della 'lamed' costituisce anche il tratto obliquo della 'shin' (fig. 2). L'agglutinamento è messo in atto dallo scriba per svariati motivi: per numerologia (rispetto dei numeri sacri o magici), per cripticità (il nascondere il più possibile il 'messaggio scritto) e per altro ancora. Il motivo più frequente è il primo perché se si vuole rispettare nello scritto o porre come scrittura nascosta il 'tre' (che è il simbolo più frequente della divinità YH) basterà, ad esempio, porre due segni sulla prima riga e quattro agglutinati nella seconda. Si veda ancora il documento di Aidomaggiore dove i segni grafici sono tre e non sei in quanto gli ultimi quattro segni fonetici agglutinati offrono un solo segno grafico.
Potremmo continuare con altri esempi ancora ma essi si vedranno man mano con la spiegazione di altri documenti. Ci basti per ora quanto detto onde comprendere il perchè dei tre agglutinamenti della stele norense. Essi dunque sono la spia che i segni grafici non sono 44 ma sono di più in quanto lo scriba è ricorso a tre agglutinamenti per ridurre il numero complessivo dei segni fonetici. Ora, noi sappiamo che da tempo gli epigrafisti e i linguisti, anche quelli del Corpus Iscriptionum Semiticarum (l'insieme catalogato delle iscrizioni semitiche) avevano sospettato dell'integrità della stele, ritenendo probabile che mancasse di una o più righe nella parte superiore. Ebbene, una serie di prove, ottenute per vie differenti (si veda il mio saggio del 2009 citato nella 'pagina ' quarta), ci consentono di dire che la stele è mancante di una riga che conteneva 4 lettere o segni fonetici. Quattro lettere, tra l'altro, disposte armonicamente e simmetricamente nella parte superiore rispetto alle quattro della parte inferiore (v. fig. 3). Le lettere quindi erano in origine 48 e non 44 e le righe erano 9 e non 8. E ciò si spiega con la numerologia, con il rispetto del tre e del 12. Perché il 9 è il multiplo del 3 e 48 è il multiplo del 12, numero che, come ideogramma, in nuragico significa sempre luce (NuR) o sole. In una lezione apposita vedremo questa particolarissima numerologia che va dallo 1 al 12 e ai multipli del 12. Numerologia che viene sempre rispettata, tanto che, se voi trovate un documento scritto nuragico, mettiamo, con 11 o 23 segni, si può stare tranquilli che essi sono 12 o 24 (o eventualmente di più, ma sempre con il rispetto del multiplo del 12).
Vediamo ora, in estrema sintesi, il tenore del documento iniziando con il dare la traduzione dal semitico, dal 'sirio' e dal sardo:

n r y h
b t r sh sh
w g r sh h 'a
b sh r d n sh
l m h 'a sh l
s b 'a m
l k t n r n
l bn ngr
l ph s y

(Potenza) della luce di YH
in Tarshish
e Goras, Lui Padre
Signore giudice.
Pace Lui Toro del sole pace
Dio degli eserciti (stellari).
Dono di Nora
per il figlio di NGR
Lephesy


Perché questa traduzione diversa, molto diversa, da tutte le altre? Cosa ne autorizza la giustezza? Si può parlare di traduzione scientifica? E cosa intendiamo per questa?
Ne parleremo nella prossima lezione.




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PAGINA SESTA

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Dicevamo. Perché questa traduzione diversa, molto diversa, da tutte le altre?

E' diversa perché si basa non su dati esclusivamente 'vocabolaristici' (ricerca e individuazione di lessico per ottenere, in qualche modo, il senso di una presunta lingua fenicia) sempre opinabili, ma su dati organici che provengono da documenti interni (della Sardegna) e del periodo nuragico. Per quanto frammentario, si è visto l'enorme valore di 'documento' probante offerto dal coccio di Orani con lettere uguali e lessico uguale. Già questa testimonianza basterebbe per capire che non c'è nulla di 'fenicio' nel documento. Che la presunta lingua 'fenicia' non porta da nessuna parte.
Ma ci sono numerosi altri documenti nuragici con lessico identico che richiama ancora quello della stele ('AB, SHRDN, BN, L,Y, NR, YH, H) che è certamente semitico ma è il semitico adoperato da genti esterne ma dagli scribi sardi (sacerdoti) che adoravano la divinità YH o YHH/YHW/YHWH.
La traduzione nostra è diversa perché l'argomento è prettamente religioso e riguarda non solo la divinità che viene citata in un modo o nell'altro in tantissimi documenti ma anche il figlio di questa e cioè LPhSY (Lefesy). Il contenuto della stele si configura come una dedica (con ogni probabilità in occasione della costruzione di un tempio), come abbiamo visto nella pagina quinta, per LPHSY.
Ora, noi non saremmo riusciti a sapere nulla sul LPhSY 'ben NGR' se non fosse stata fatta nel 2009 una grande scoperta formale da parte della dott. Aba Losi (la biofisica dell'Università di Parma che già molti di voi conoscono) che ha esaminato attentamente con noi il documento e tradotto per noi l'intero saggio sulla stele in lingua inglese. Ha notato che sia nella parte sinistra che nella parte destra la scritta reca due sequenze consonantiche che rendono due voci semitiche (ShLM/ShLM) poste quasi simmetricamente: quella sinistra parte dall'alto verso il basso e quella destra viceversa dal basso verso l'alto (v. fig. 1)
In considerazione del fatto che non pochi documenti nuragici riportano non una, ma due o tre letture diverse, a seconda della direzione con cui si procede nella lettura, si è pensato che i due ShLM potessero indicare nascostamente una direzione circolare (a cornice) antioraria di una seconda lettura; una lettura da aggiungersi ovviamente a quella 'standard' da destra verso sinistra (quella che si è vista nella lezione precedente). Naturalmente per verificare la giustezza dell'ipotesi c'era bisogno di verificare anche la sequenza di tutte le consonanti (la catena consonantico fonetica) per cercare di scoprirne, se esistente, il senso riposto dopo i due ShLM.
Come ognuno può controllare (fig. 2) il senso c'è ed è questo, quello che tende a svelare chi mai è LPhSY figlio di NGR :

SHLM NR Y SHPL ShLM LB W BN RIH SH(amash) 'A(k) H

che significa:

'Pace luce eminente che ti umili pace cuore e figlio (figlio del cuore) unto di Shamash Toro Lui'

Nella traduzione si badi alla terzultima e alla penultima lettera che sono non consonantiche ma pittografico logografiche (rendono non un segno ma una parola intera).
LPhSY è dunque 'il figlio del cuore', ovvero il figlio prediletto della divinità taurina luminosa o solare. Il senso sembra essere questo. A questo punto però uno potrebbe eccepire e dire che forse sia la lettura degli ShLM sia la lettura con 'senso' di tutto il resto è solo frutto di combinazione. Certo, ma un dato fortuito assai difficile e incredibile perché provate voi con le nostre lettere che usiamo correntemente ad inventare un testo che possa leggersi senza difficoltà da destra verso sinistra e ad organizzarlo per nove righe in modo tale che la lettura dell'ultima consonante (ma potete usare le vocali) e della prima di ogni riga vi diano a cornice una frase in italiano; una espressione, si badi, non solo compiuta (con valore di per sé) ma del tutto organica al senso della espressione più complessa ed articolata in quanto contenente un maggior numero di segni. Ripeto, provateci e vedrete quanto sarà difficile e impegnativo. Se mai doveste riuscirvi a realizzare la una tale composizione vi renderete conto che più aumenta il numero delle righe più aumenta la difficoltà di far quadrare i 'conti'.

Per tanto, questa 'quasi' impossibilità della combinazione potrebbe, secondo noi, già autorizzare la giustezza dell'interpretazione e della traduzione. O perlomeno far sì che essa possa essere tenuta nella giusta considerazione.

Ma si può azzardare di più e parlare ormai di 'traduzione scientifica', intendendo per questa una traduzione senza margini o pochissimi margini di errore? Per avere questa, come si sa, non basta una prova e, come in tutte le dimostrazioni scientifiche, gli studiosi ne reclamano almeno due. Vediamo di trovarla.
Abbiamo detto prima che gli scribi nuragici usavano comporre dei testi ricorrendo a più letture che naturalmente si ottenevano tramite la direzione varia della lettura. Perché i nuragici scrivevano praticamente in assoluta libertà: da destra verso sinistra, da sinistra verso destra, dall'alto verso il basso, dal basso verso l'alto, con movimento orario o antiorario. Era presente dunque, nella stele norense, anche una 'terza' lettura? Sulle prime si è pensato per via ipotetica che se era presente una lettura da destra verso sinistra e una lettura antioraria a cornice poteva essere presente anche una lettura da sinistra verso destra. Ipotesi però questa che c'è sembrata subito da scartare perchè uno scriba che fosse riuscito ad ottenere un 'mostrum ' di abilità di quel genere con un numero così esteso di combinazioni e di 'incroci' esatti, un pazzesco calcolatore elettronico di quel tempo, non poteva esistere. Ma la si scartava anche per la considerazione che uno scriba così sofisticato doveva essere andato armonicamente a scalare, con il gioco ossessivo del 'tre' e cioè dando prima una lettura con un certo numero di parole, poi una lettura con un numero minore e infine una lettura ultima con un numero ancora più ridotto.
Si trattava quindi di cercarla o tra le righe orizzontali o tra quelle verticali. Con un po' di fatica alla fine la sequenza organica si è individuata (v. fig.3) ed è quella con andamento leggermente 'serpentiforme' che parte dall'alto verso il basso proprio al centro della stele.

Essa dice:

H W ShR 'AB NNY


Ovvero: Lui Sh(amash) Signore padre antico

Se si nota il testo complessivo (lettura da destra verso sinistra), quello con la scrittura della 'norma', riguarda sia il padre che il figlio come divinità. Ma è presente anche il padre terreno (NGR) di Lephesy. Nelle altre due letture il padre 'terreno' non c'è più. E si capisce perché: nelle altre due si celebra solo la grandezza del padre e del figlio celesti.
Naturalmente c'è da notare tanto altro e ci sarebbe da dire di NNY (voce di origine indoeuropea e non semitica) e soprattutto di Lephesy per l'importanza che il nome assume e per la 'religio' nuragica e per la religione cattolica cristiana. Ma il compito nostro qui non è quello di dire molto ma quello che ci sembra sufficiente, soprattutto per la comprensione delle 'pagine' che ancora verranno. Il nostro compito dichiarato, anche nei post a commento, è quello, come del resto in tutti i 'corsi', di avviare i volenterosi allo studio di un particolare argomento, con la speranza che poi essi procedano per conto loro con uno studio più impegnativo e sistematico. Non possiamo pertanto che suggerire la lettura del nostro saggio, avvertendo però che sono passati pochissimi anni dalla sua pubblicazione ma già alcuni, talora non piccoli, 'dettagli' sono stati ritoccati qui e là. Il motivo principale di ciò è ovviamente dato dall'insistere (non bisogna mai stancarsi anche quanto tutto sembra 'risolto') sulla lettura, con la speranza di scoprine possibilmente significati nuovi; ma anche dal fatto che il raddoppio dei documenti scritti a nostra disposizione ci consente oggi di sapere di più e di poter limare e di mettere a fuoco aspetti formali o di senso che non potevano essere compresi.
Ma consentitemi ora di fare una domanda che ritengo di non poca importanza: avete capito bene perché lo scriba ricorre, al fine di realizzare la sua difficilissimacomposizione, non solo alle legature ma anche alla possibilità (data dalla convenzione scribale) di usare le lettere (i segni) ora come consonanti acrofoniche ora invece come logogrammi?


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PAGINA SETTIMA 

***

Oggi inizieremo ad esaminare e a studiare un altro documento scritto nuragico, il cosiddetto 'brassard' (presunto oggetto per proteggere il braccio dalla frustata della corda dell'arco) di Is Locci Santus, facente parte una volta di una collezione privata e rinvenuto agli inizi della seconda metà del secolo scorso, con ogni probabilità, in un sito nuragico delle campagne di San Giovanni Suergiu.
Il reperto (v. fig.1), una piccola pietra lavorata di forma rettangolare con i lati più lunghi leggermente concavi e quelli più corti leggermente convessi, presenta due fori per parte e apparentemente , graffiti armonicamente per tutta la superficie, sette segni.
Descriviamoli uno per uno.
A partire dalla destra si nota un segno in forma di pesciolino, seguito in alto da un altro segno in forma di 'N' (spezzata e scritta al contrario), seguito a sua volta, più in basso, da un segno in forma di 'X' e da un altro formato da due barrette verticali. Proseguendo ancora verso sinistra notiamo un segno pittografico a schema antropomorfico (in forma umana) seguito in alto da due altri segni pittografici: un sole con sette raggi e un bue o toro.
L'archeologo che lo ha descritto all'inizio (più di venti anni fa), ignaro del tutto dei segni della scrittura nuragica e del modo di riportarli nel supporto, ha pensato ad un oggetto (il brassard) neolitico riciclato , con dei segni appartenenti alla simbologia giudaico - cristiana (il pesce).
Invece si tratta, come già abbiamo avuto modo di dire a proposito del ciondolo di Pranu Antas (v. 'Pagina prima' ), di un'iscrizione nuragica a rebus basata sul mix (mescolamento) di segni pittografici, ideografici e di segni schematici lineari; un' iscrizione di ispirazione protocananaica , ovvero ricavata da quella scrittura di origine orientale siriana che, da quanto si sa, per prima 'inventò' questo codice o sistema di scrittura.
L'oggetto che vedremo tra poco (che non è un parabraccio per soldati o per cacciatori ma ben altro), si compone dei segni che potete vedere indicati nella fig. 2.
Essi fanno parte dei segni fonetici consonantici semitici che si sono già visti nell'alfabeto riportato nella 'pagina seconda' (nella 'seconda lezione') ma si compongono anche di segni ideografici che vanno ulteriormente spiegati, a partire dagli stessi 'fori' presenti nell'oggetto.
Bisogna far presente (tra le prime cose che si devono apprendere dell'alfabeto nuragico) che gli scribi isolani si servivano di qualsiasi immagine del 'doppio' per scrivere la lettera 'beth' ovvero la 'seconda' lettera dell'alfabeto. Pertanto due fori, due punti, due colombe, quattro occhi, una spada a doppia lama, ecc. ideograficamente potevano rendere la lettera beth. Quindi ai due lati dell'oggetto si presentano due lettere 'beth'.
Altro segno, pittografico da una parte e ideografico dall'altra, è l'apparente disco solare che si trova stranamente ad essere disegnato con una parte solo dei suoi raggi (quella inferiore) in numero di sette. Ora si sappia che in nuragico tutte le volte che si trova disegnato un disco o un oggetto in forma circolare si è di fronte alla voce NL/ NR che significa luce. Non siamo quindi di fronte al 'sole', come potrebbe sembrare a prima vista, ma di fronte alla 'luce' del sole e della luna assieme. Sono i due astri congiuntamente che danno la luce ('un occhio solo', come vedremo in una lezione). I 'sette' segni costituiscono non più un pittogramma ma un ideogramma in quanto il sette dà l'idea e simbolizza sempre, per convenzione, la voce 'santo'.
Altro segno complesso ancora della scritta, ma pittografico e consonantico acrofonico (la prima lettera è quella che conta), è il toro. Se voi notate il toro è disegnato come pittogramma 'Toro' ('Ak/'Aleph) ma la sua testa è resa 'maliziosamente' attraverso lettera consonantica (acrofonica) disegnata proprio come si presenta questa lettera nella scrittura schematica, rappresentando una parte per il tutto dell'animale.
Quindi con questi dati possiamo cominciare a individuare la lettura dell'intero documento che, stando all'alfabeto semitico (vedere 'pagina seconda') ci offre, a partire da destra verso sinistra, una 'daleth (il pesciolino), una 'nun' (il serpentello spezzato), una 'taw' (il segno a X), una zayn (le due barrette verticali) e il hē (segno antropomorfico con braccia aperte).
Ora se noi mettiamo in fila i segni avremo:



B D N T Dh/Z H NL SANTA TORO 'A B


Nella lettura destrorsa o sinistrorsa si tenga sempre presente che conta sempre (alla maniera egiziana) il segno più alto procedendo nel senso della lettura. Pertanto il segno della 'nun' precede il segno della 'taw' ed il segno pittografico -ideografico ( luce – santa) precede il pittogramma 'toro' ('Ak/ 'aleph)
Per oggi può bastare. Nella prossima lezione (Pagina ottava di Venerdì), attraverso la singolare scrittura, vedremo di capire sia il significato dell'oggetto detto 'brassard' sia il significato dell'intera espressione in esso riportata. 



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PAGINA OTTAVA

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Partiamo dunque dalla destra e riprendiamo (v. la lettura consonantica e pittografica della 'Pagina Settima') i primi quattro segni B D N T.
Ora, la sequenza consonantica ottenuta non offre un minimo significato in semitico (lingua abituale usata dagli scribi e sacerdoti nuragici). Ma chiunque conosca almeno un po' la lingua latina si accorgerà che, inserendo le vocali, si ottiene una sequenza certa di senso data due parole : BI + DENTE/I. E comprenderà ancora che quella sottile pietruzza, così finemente lavorata e che mai potrà servire per proteggere il braccio dal rinculo della corda dell'arco, in realtà è un oggetto religioso e più precisamente una 'bidente' ovvero una 'bipenne' come sono tutti gli oggetti che gli archeologi si ostinano a chiamare in maniera bizzarra 'brassard'.
A questo punto, per quanto detto, bisogna subito anticipare una obbiezione che potrà sorgere dalla semplice considerazione che, essendo la scrittura molto arcaica essa è logicamente prelatina. Infatti, 'bidente', se uno consulta il vocabolario, è voce da considerarsi non nuragica ma latino -romana.
Che cosa è avvenuto dunque? Il reperto è un falso? Una bufala? Non può essere perché è stato presentato da un archeologo (Atzeni) con tanto di garanzia che non lo è. Se non lo è bisogna cercare allora qualche altra spiegazione che ci possa soddisfare. E l'unica spiegazione possibile è che la voce 'bidente' non sia latino -romana ma nuragica perché bisogna pensare che chi ha fatto quella scritta i Romani, giunti in Sardegna per conquistarla e colonizzarla, non li poteva conoscere. E bisogna ritenere ancora, per logica stringente, che prima che i Romani giungessero nell'Isola il cosiddetto 'latino' c'era già e che quindi esistesse un sardo -latino italide (una lingua certamente un po' diversa ma comune ai due territori), cioè ci fossero due lingue gemelle del cosiddetto ceppo indoeuropeo 'occidentale'.
'Bidente' era, insomma, termine comune sia per la Sardegna che per il Lazio (quello più esteso di allora) . Fare però un' asserzione del genere sarebbe stata una follia se i documenti nuragici, con scrittura nuragica, nel frattempo non ci avessero mostrato altre parole (GIGAHANLOY, CORASH, DHE, Y, GAWAHURU, SORWHEG(U), NONNO, COLORU, ecc.) di ceppo indoeuropeo.
Ognuno potrà comprenderà quale reazione c'è stata di fronte ad un dato di questo genere, ma gli archeologi e i linguisti non se la devono prendere con me, ma con i documenti. Altrimenti devono dimostrare che i documenti che riportano quelle parole sono dei falsi. Ma dovranno farlo non a chiacchiere, ma scientificamente, mostrando cioè, attraverso gli strumenti scientifici che oggi si possiedono, che gli oggetti scritti sono dei falsi.
Ma non è certo il caso di proseguire con questo argomento e cerchiamo di vedere piuttosto se il termine 'bidente' è voce organica che può andare d'accordo con tutto il resto della scritta oppure, al contrario, è una parola che stona e non dà senso compiuto.
Ci restano dunque dopo i primi quattro segni gli altri che, messi in fila, sempre leggendo da destra verso sinistra, ci danno questa sequenza:

BIDENTE DHE (di) HE (lui) LUCE (disco luminoso) SANTA (sette) PADRE ('aba)

cioè la bidente (l'oggetto che fa da supporto alla scrittura) è la bipenne del Dio padre della luce santa. In poche parole: l'oggetto manifesta se stesso con l'aiuto della scrittura, dice che è la 'BIDENTE'.
Molti di voi sicuramente sanno che in Sardegna c'era, forse già prima dell'età del bronzo, il culto della bipenne, che la bipenne è un simbolo molto forte della religiosità di molti popoli, ma forse non sanno che nel frattempo i documenti nuragici ci hanno spiegato ad abundantiam che la BIDENTE, l'oggetto simbolico con due 'pinnae', simboleggia l'androgino cioè il dio che è maschio e femmina nello stesso tempo.
Ma perchè è luminoso? Semplicemente perché il dio della luce, padre della luce, creatore della luce, è il sole e la luna assieme, maschio l'uno e femmina l'altra.
Non intendiamo aggiungere altro, per non andare troppo lontano e complicare le cose, ma sappiate che quando vedete nei musei delle accettine (segureddas piticas) con il segno 'X' vi trovate di fronte non ad un segno 'ponderale' (peso di che?) come dicono e ripetono a 'vanvera' (cioè senza capire) certi archeologi che non riflettono, ma ad una bidente come questa che stiamo esaminando; bipenne che simboleggia il maschio e la femmina, il sole e la luna. In esse (le accettine) c'è scritto semplicemente : 'segno' (taw) della bidente', ovvero del maschio e della femmina, sole e luna. C'è scritto non solo 'segno' ma anche tutto il resto perché in nuragico il supporto il più delle volte va letto, perché anche il supporto fa parte integrante della scrittura e quindi della lettura. E' anch'esso scrittura. Cosa questa non nuova perché la scrittura geroglifica egiziana, per tanto tempo contemporanea e 'parallela' a quella nuragica, usava scrivere con il supporto e dava valore fonetico e quindi di lessico aggiuntivo al resto della scritta. Questa attenzione per il supporto quindi la vedremo altre volte perché altre volte saremo costretti a leggere la sequenza grafica incisa insieme alla voce che offre il supporto.
Ma, perché non ci dimentichiamo di quello che si è detto nelle lezioni precedenti (Pagina Terza) sarà bene rileggere (con una leggera variazione iniziale), il ciondolo di Antas in questa maniera, come se la pietra stessa parlasse: 'io sono (appartengo) del Servo Toro Toro Toro padre signore giudice'.
Ma chi è di buona memoria ricorderà che noi abbiamo affermato che i documenti nuragici possiedono, per il 'lusus' (quasi un modo di 'giocare' con l'intelligenza e la fantasia) degli scribi una o più letture aggiuntive. Qui, in questo documento, c'è questa lettura in più? Possiamo ricavarla ?
E' molto difficile ma ci proveremo la prossima volta offrendo però già in questa 'Ottava Pagina' ai più volenterosi qualche aiuto che possa fornire la chiave interpretativa del rebus, perchè, ricordiamocelo sempre, la scrittura nuragica è sempre a rebus, fa del rebus anche e soprattutto arte. Tanto che si può dire che i migliori scribi erano quelli che sapevano usare il rebus non nella maniera scolastica ma in maniera personale, originale, in modo intelligente e sofisticato.
L'aiuto lo diamo suggerendo la particolare attenzione (anche sul minimo dettaglio) a tutte le lettere, per come esse sono riportate. Ricordando inoltre che la scrittura nuragica si basa sempre sul SEGNO + Il SIMBOLO + IL SUONO. Bisogna stare attenti soprattutto al simbolo, ovvero all'idea che esso evoca (lo si può chiamare 'ideogramma' se uno vuole). Bisogna pensare molto su quei 'buchi', su quel 'pesce', su quella 'nun ' spezzata. Ma suggeriamo anche, per facilitare il tutto, di considerare la seconda lettura realizzata ad arte nel solo termine BIDENTE, ovvero in quello che suggeriscono le prime quattro lettere (v. fig. 1). Suggeriamo infine di pensare a cosa serve una scure, una bipenne, ovvero l'arma del dio taurino non sempre benevolo se qualcuno gli ...pestava la coda. Infatti, il dio dei nuragici non era solo toro ma, come sappiamo da tanti documenti, era anche serpente. Era 'ak ma era anche 'nachas'.
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PAGINA NONA 

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Ecco la soluzione del rebus della scrittura del 'brassard' di Is locci Santus' (v. fig. 1 e fig. 2):

Nella prima lettura ci dice che cos'è l'oggetto:

La bipenne (l'arma bipenne) é il simbolo di Lui (nella religione nuragica YH, YHH, YHW,YHWH) Luce santa toro Padre .

Nella seconda lettura specifica cosa sono quei due buchi dell'oggetto (che nella lettura precedente avevano funzione ideografica di lettera alfabetica):

I due fori del muto serpente ferito sono il segno di Lui Luce Santa Toro Padre.

La scritta è interessantissima, come si vede, perché spiega che cosa è il cosiddetto 'brassard' con i due fori. E' una bipenne, cioè un oggetto apotropaico che, verosimilmente, era appeso intorno al collo con una cordicella. Così come oggi si appende una croce cristiana. Proteggeva in quanto in esso c'era la forza del toro, la forza doppia o androgina del Dio.
Ma lo scriba maliziosamente con il suo lusus', cioè con il suo saper 'giocare' con la scrittura, ha aggiunto dell'altro, servendosi della possibilità (del tutto convenzionale) di usare gli ideogrammi e non più le lettere alfabetiche acrofoniche. I 'buchi' diventano 'fori', il 'daleth' - pesce diventa 'muto', il 'nun' spezzato (con la coda spezzata) diventa 'serpente ferito'. Così la scritta si carica di ulteriore senso. Ma non di un senso qualsiasi. Allo scriba che è anche e soprattutto un sacerdote nuragico interessa la 'religio', urge far risaltare la doppia natura della divinità che è Toro ma è, come dimostrano ormai tanti documenti, anche Serpente. Il Dio soli -lunare androgino YH per i nuragici è non solo Toro luminoso (come detto nella prima lettura) ma è anche Serpente (come detto nella seconda). Yh è Potenza ma è anche Immortalità.
Lo scriba lo dice naturalmente in modo indiretto, alludendo però con capacità davvero magistrale anche alla 'giustizia' del Dio nascosto, al suo essere 'shardan' e cioè 'Signore Giudice'.
Bisogna badare e riflettere sulle nostre non buone azioni, bisogna stare attenti nel rispettare 'la legge'. Pertanto, attenzione a non... pestargli la coda!

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PAGINA UNDICESIMA 

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Risposta alle 40 domande sul documento nuragico scritto di Terralba

1 L'oggetto riporta segni da ritenersi esclusivamente decorativi? NO
2 L'oggetto è in ceramica? NO
3 L'oggetto ha una forma che si potrebbe ritenere fallica ( forma schematica del sesso maschile)? SI
4 L'oggetto va orientato diversamente rispetto all'orientamento offerto dalla foto presentata dagli scopritori? SI
5 Va orientato di 90 gradi a destra? SI
6 Va orientato di 90 gradi a sinistra? SI
7 Nel supporto (l'oggetto) ci sono lettere di scrittura pittografica? SI
8 Ci sono lettere di scrittura schematica (cioè non pittografiche)? SI
9 Le lettere fonetiche alfabetiche sono cinque? SI
10 I segni sono tre? SI
11 Ci sono lettere legate ('agglutinate')? SI
12 Tra le lettere c'è la 'aleph'? SI
13 Tra le lettere c'è la 'beth'? NO
14 Tra le lettere c'è la 'gimel' ? SI
15 Tra le lettere c'è la 'daleth'? NO
16 Il supporto può essere anch'esso 'scrittura'? SI
17 La lettura procede dal basso verso l'alto? NO
18 La lettura procede dall'alto verso il basso? SI
19 Nel caso mettiate il documento con orientamento orizzontale (come nella foto) la lettura procede da destra verso sinistra ? SI
20 L'orientamento della 'lettura' potrebbe essere 'egiziano'? SI
21 Potrebbe esserci questa sequenza: 'A, G, H, N, L? SI
22 Potrebbe esserci questa sequenza L,G, H, N, 'A? NO
23 Oppure questa: M, S, T, B, R, Z, D? NO
24 Il documento possiede una parola nuragica nota? NO
25 Una parola 'poco' nota? NO
26 Una parola 'molto' nota? SI
27 La parola possiede le vocali? NO
28 Possiede le cosiddette 'matres lectionis'? NO
29 Possiede solo le consonanti? SI
30 La lingua della parola è il latino? NO
31 La lingua è sardo -semitica? SI
32 E' una lingua sconosciuta? SI
33 La scrittura è a rebus? SI
34 La scrittura ha una sola lettura? NO
35 Nasconde una seconda lettura? SI
36 La scrittura si deve ritenere mista (in mix)? SI
37 Ci può essere il sistema semitico detto 'protocananaico'? SI
38 Ci può essere il sistema cuneiforme ugaritico? NO
39 Ci può essere il sistema sillabico cipriota ? NO
40 Ci può essere qualche segno del sistema semitico detto ' protosinaitico'? SI

LETTURA DEL DOCUMENTO
- Prima lettura (v. fig.2) : Potenza 'AG He NuL : Potenza del Toro Lui della LUCE.
Si tratta dunque della parola (anche odierna) NuL/R'AGHe che era formata da tre parole delle quali la prima (NL) viene ad essere messa per ultima.
- Seconda lettura (v. fig.3): nachash 'ag, nachash hȇ, nachash nul = serpente Toro, serpente Lui, serpente Luce e cioè 'Toro eterno', 'Lui Eterno', 'Luce eterna'.
Infatti, anche per i nuragici il serpente ('nachash' in semitico) era sinonimo di 'eterno, immortale'. Per capire il secondo serpente criptato dallo scriba dovete ricordare la consonante nuragica (molto comune) caratterizzata dall'avere l'aspetto di corno lunare orientato a sinistra (luna calante). Se l'aveste dimenticata vedete la tabella alfabetica del nuragico nella PAGINA SECONDA.
E' bastato quindi il prolungamento della lettera (curva in alto) per dare 'anche' l'idea del serpente. Quindi si sono ottenuti 'tre' serpenti e non due.
Da questo documento quindi riusciamo a capire ancora di più quello che si è asserito nelle PAGINE precedenti e cioè che un segno alfabetico può essere usato per convenzione come consonante acrofonica oppure per pittogramma logogramma (pittogramma cioè esprimente l'intera parola). Il segno 'nun' infatti è stato usato nelle sue due potenzialità (con valore fonetico di 'n' e con valore fonetico della parola 'nachash'). Gli altri due serpenti invece sono stati ricavati nascostamente dallo scriba attraverso la particolare conformazione delle corna storte del 'toro (del tutto simili al 'nun' che sta più in basso) e attraverso il prolungamento del segno della 'he'.

Osservatelo dalla figura esplicativa (fig.n. 3).

Pertanto avremo 'tre' serpenti ma anche 'tre' tori, ottenuti questi ultimi anche con l'ausilio del supporto fallico. Perchè il fallo e il toro, così' come in egiziano, esprimono lo stesso preciso concetto di 'potenza creatrice'.
Quindi, se ricordate la tematica della PAGINA NONA TORO/SERPENTE del cosiddetto 'brassard' di Is locci Santus, noterete che, ancora una volta, lo scriba tende a preservare le due massime qualità del dio YH (o numero 3 che si voglia scrivere) e cioè quello d'essere TORO (POTENTE al massimo grado) e SERPENTE (IMMORTALE, ETERNO). In seguito vedremo altri simboli della divinità nuragica, come quello di uccello e di albero. Ma è bene andare per gradi.

Chiudiamo questa PAGINA parlando di una delle domande che avete trovato più difficili e cioè la 37. La risposta è 'SI' perché il nuragico assomiglia proprio a quel sistema che gli studiosi (Amadasi, Attardo, ecc.) chiamano ' protocananaico', un codice di scrittura particolarmente usato in territorio 'cananaico' (attuale Siria) che usava scrivere con il mix, cioè con delle lettere arcaiche mescolate a lettere più recenti.


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PAGINA DODICESIMA 
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Ieri avete visto ripubblicato sia nella mia pagina di facebook sia nel Blog di Aba Losi il cosiddetto 'coccio' rinvenuto dagli archeologi alcuni anni fa, durante gli scavi del Nuraghe Alvu di Pozzomaggiore. E' un documento di un valore notevolissimo in quanto in esso si trova non solo la scrittura nuragica di ispirazione 'protocananaica' in mix (che abbiamo visto nelle PAGINE precedenti), ma anche perché interessantissimo dal punto di vista epigrafico dal momento che i segni presenti nel coccio sono numerosi, più di una ventina. Bisogna tener presente che pochissimi documenti epigrafici nuragici, trovati o individuati in 20 anni di ricerca, superano questo numero. Vedremo però che il nostro interesse sarà attirato anche e soprattutto dai dati contenutistici (aspetto sempre il più accattivante della ricerca) che ci faranno vedere ancora una volta la simbologia della divinità sarda arcaica espressa attraverso elementi teriomorfi (di animali) e fitomorfi (di piante).
Per oggi fissiamo la nostra attenzione, come sempre, sul dato e epigrafico e paleografico. Cerchiamo cioè di comprendere bene i segni del testo scritto sul supporto (ceramica), di individuarne il numero e dire qualcosa circa la loro antichità.
La trascrizione che proponiamo (quella che si trova nel saggio del marzo 2010) è quella che potete vedere nella figura 1.
Si notano, a partire dalla sinistra e sempre con lettura delle linee da sinistra verso destra, i seguenti segni:

Prima linea

- una 'shin', una 'resh', una 'daleth, una probabile 'nun'

Seconda linea

- una 'aleph', una 'kaph', una 'yod', una 'lamed', una 'hȇ', il numero 4

Terza linea

- una 'hȇ', una seconda 'hȇ', una 'yod' , un segno composto da due lettere ('aleph' + gimel) , una terza 'hȇ'

Quarta linea

- una 'hȇ', una 'nun' pittografica (serpente o nachash), il numero 4

Quinta linea

- un pittogramma albero (kaph), una 'nun' (serpentello), una 'resh', il numero 4.

Per comodità operativa presentiamo la tabella riassuntiva dei segni (v. fig. 2)

I segni dunque, se li si conta, sono 19 a cui però vanno aggiunti quelli numerali (i 'tre' 4). Il numero complessivo di essi è quindi di 22. Ma vedremo, per motivi legati alla scrittura 'numerologica' dei nuragici, che in realtà 'dovevano' essere 24

Quanto alla tipologia e all'antichità di essi si notano per un verso segni pittografici protosinaitici (protome taurina, serpentello, albero) e per un altro segni schematici più recenti ( 'shin' in forma di M, 'lamed', ecc.). Quindi possiamo dire in tutta tranquillità che, anche stavolta, siamo di fronte al mix di lettere arcaiche e meno arcaiche. Che siamo cioè, ancora una volta, davanti al sistema o codice di ispirazione orientale semitica siriana che si chiama, nel campo degli studi dei codici o sistemi semitici, 'protocananaico'.



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PAGINA QUATTORDICESIMA

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Si può scrivere servendosi della forma e dei particolari di un oggetto, di un animale, di una pianta o di un monumento? Oppure possiamo usare la scrittura attraverso l'accostamento di più oggetti, di un animale più un oggetto, di un monumento più un animale e così via? Cioè si può usare la forma, più o meno realistica, più o meno precisa, delle 'cose' per realizzare dei ' segni' che possono poi dare senso attraverso il trasferimento di essi in suoni che a loro volta diano parole? Si può usare inoltre il loro aspetto per realizzare fonetica attraverso le idee e le parole che essi suggeriscono?
Badate che la risposta l'abbiamo già data, soprattutto nella PAGINA NONA, nel commento ad un bel documento nuragico trovato in San Giovanni Suergiu. Ragion per cui sarebbe bene che rileggeste bene ciò che nell'occasione abbiamo scritto.
Ma, al fine di esercitarci ancora di più sulla crittografia o scrittura nascosta negli oggetti, negli animali, nelle piante, nei monumenti ecc., cioè in quella che si può chiamare scrittura 'con' (realizzata 'con' l'aiuto di essi e riposta in essi), vediamo di usare un esempio facile, servendoci di un disegno dove mettiamo affiancati due tori con la coda sollevata, al di sopra dei quali sta un bastone pastorale (v. fig. 1).
Uno lo facciamo di colore nero e uno è di colore bianco. Immaginiamo che il sottoscritto, agendo come uno scriba antico, vi dicesse: 'Cosa c'è scritto'?
Voi certamente verreste sorpresi dalla domanda perchè secondo la vostra idea di scrittura imparata a scuola in quelle immagini non c'è 'scrittura' ma al massimo un disegno 'decorativo'. La vostra sorpresa alla domanda è la stessa di quella di un archeologo che masgari trova un certo documento con dei 'segni' in disegno e stenta a capirlo se non nella parte più immediata; una parte che però non è quella che dà il vero e giusto senso ma solo quello apparente. Stenta a capire semplicemente perché non sa o non calcola ( o non vuole calcolare per incredulità) che non esiste un solo sistema o codice di scrittura ma ci possono essere più modi di scrivere. Uno di questi, antichissimo per concezione (pare che risalga al mesolitico!) è il cosiddetto 'rebus'.
Infatti se io insistessi e vi dicessi, 'state attenti e guardate bene i due animali per come sono fatti e per cosa suggeriscono', ' osservate bene quei due bastoni', sono sicuro che voi vi mettereste a caccia di 'segnali' (indizi) e di segni che possano dare senso fonetico e quindi parole. Infatti, dopo un tempo più o meno lungo, guardando meglio e quindi 'vedendo' (abbiamo detto tante volte che 'guardare' non è 'vedere') scorgereste che la testa è fatta in forma di 'A', che la coda è fatta in forma di 'elle' e che sopra il toro ci sono due bastoni realizzati ancora in forma di 'elle'(orientata diversamente). Ma notereste altresì che un toro è di colore bianco e l'altro di colore scuro.
Cosa mai ci sarà scritto con quelle lettere che, badate, devono procedere secondo un ordine preciso o da destra o da sinistra? Mettiamole in sequenza dunque e avremo:

LLA nero/ LLA bianco

Che significa? Ancora niente. Vuol dire che bisogna insistere per cercare la soluzione
Questa si ottiene se, sempre partendo da sinistra, voi prendete l'iniziale di coda usandola per sillaba (questo procedimento esiste nella scrittura antica e si chiama sillabico) capirete che c'è scritto COLLA SCURA /COLLA BIANCA. Quindi i tori e i bastoni non c'entrano nulla per il significato 'reale' , c'entra un altro messaggio fonetico -linguistico
Noi quindi in teoria potremmo inviare in un negozio di ferramenta una e-mail con quel disegno per farci mandare due barattoli di colla di colore diverso. In teoria però, perché nessuno, tranne un esperto di rebus, potrebbe tradurre il messaggio riposto con il disegno dei tori e dei bastoni.
La differenza fondamentale quindi tra una scrittura a rebus e una scrittura che potremmo chiamare 'normale' è che l'ultima si fa comprendere senza difficoltà, l'altra invece con più o meno difficoltà
Ora, la scrittura nuragica si presenta quasi tutta a rebus per vari motivi che qui è impossibile riassumere ma soprattutto perché ha lo scopo, essendo 'sacra ' ('sacer' in latino vuol dire che non deve essere 'toccato, contaminato'), di non essere 'afferrata, compresa' da tutti. Solo gli scribi, avvezzi com'erano, sin da piccoli, a sciogliere i rebus, la comprendevano. Ma soprattutto erano 'autorizzati' a comprenderla perchè erano servi e ministri del Dio.
Tutto questo ci serve per introdurre oggi un oggetto in pietra di fattura nuragica che è decisamente scritto da uno scriba di 2500 anni fa, anche se uno giurerebbe che si tratta di una semplice coccinella scolpita e realizzata nella pietra. Niente di più. Invece le cose non stanno così e l'animaletto è solo un pretesto per 'scrivere' qualcosa di 'monumentale' e di molto importante per la religione nuragica.
Che cosa? Cercate di risolverlo voi osservando tutti i 'segni' presenti nell'animaletto e nel contempo facendo tesoro di tutto quello che si è detto nelle PAGINE precedenti.
Tutto vi deve aiutare nell'intento, compreso il calcolo numerico. Ma un aiuto lo dobbiamo offrire anche se indiretto: state molto attenti alle antenne della coccinella. Sono solo un pretesto perché le 'antenne' non si disegnano così; anzi non si 'scrivono' così. Sono 'scritte' in modo anomalo così da rendere non tanto due antenne quanto due lettere alfabetiche semitiche le quali, una volta individuate, non possono che darvi il nome 'Dio' in semitico.
La spiegazione del rebus si trova in una mostra della scrittura nuragica (insieme a tanti documenti e a tante altre spiegazioni di rebus) curata dal sottoscritto e dalla Associazione Culturale Solene di Macomer nella casa del famoso poeta sardo Melchiorre Murenu.
Detta mostra è aperta al pubblico da diversi anni e, se qualcuno si trova nelle vicinanze, può recarsi a visitarla e in anteprima vedere, tra l'altro, se la sua soluzione circa la lettura della 'babaiola' o 'maioba' è giusta o è sbagliata.
Buon lavoro e, se volete, 'spassiaisì' (buon divertimento).


Primo Corso on line di Epigrafia nuragica per gli amici di facebook

PAGINA QUINDICESIMA

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La soluzione (parziale) del rebus della coccinella nuragica 'scritta' la trovate nella fig.1..

Come abbiamo proceduto?

Individuando tutti i segni presenti nell'animaletto che, in qualche modo (forma del segno, quantità dei segni, accostamento dei segni ecc.), ci possano dare senso.


Nella PAGINA QUATTORDICESIMA avevamo avvertito di concentrarsi in maniera particolare sulle antenne della coccinella perché sono esse che, in particolare, offrono l'indizio sicuro che l'animaletto è scritto secondo la tecnica del rebus. Infatti, non si troveranno mai delle coccinelle con antenne che abbiano quella precisa forma di due comuni consonanti dell'alfabeto semitico, ovvero della 'aleph (consonante aspirata laringale) e della 'lamed' (consonante liquida). Due segni alfabetici che potete trovare comodamente nel repertorio che è stato messo da noi a disposizione nella PAGINA SECONDA.


La bestiolina non solo ci fornisce due consonanti con le sue 'strane' antenne, ma ci offre anche una ben precisa parola che è 'AL che significa 'Dio'. Si sappia che 'AL (da leggere 'EL) si scrive e si dice anche, nei documenti nuragici, IL, ILI, ILO. Osservate ad es. che alla PAGINA DODICESIMA nel documento del Nuraghe Alvu di Pozzomaggiore la parola è scritta IL ( terzo e quarto segno della seconda linea) e osservate ancora che il segno della 'lamed' è formalmente lo stesso di questo della nostra 'maioba'.
Ora voi capite che senza la certezza dell'esistenza di questi due segni che danno la parola 'EL difficilmente ci saremmo avventurati a parlare di scrittura perché tutti gli altri segni sono per così dire 'normali' e chiunque ovviamente avrebbe potuto obiettare che lì su quel masso c'era raffigurata una coccinella e basta. Non ci sarebbero state le prove scientifiche per affermare l'assunto della scrittura.
Naturalmente il fatto che esista il sistema scrittorio nuragico a rebus (l'abbiamo potuto vedere ormai in diversi documenti) ci spinge a sospettare che la lettura non finisca con la sola parola che si è individuata.
Infatti, osserviamo gli altri segni e noteremo che c'è il numero sette (le sette palline caratteristiche della coccinella, detta per questo motivo dagli zoologi 'septempunctata'), ma ci sono anche due segni molto noti per forma, messi uno sopra l'altro, ovvero la 'yod' e la 'he' che potete vedere anch'essi attestati nella documentazione nuragica (servendovi del suddetto repertorio). Infine, aspetto questo fondamentale della scrittura nuragica, ricordatevi che, il più delle volte, il supporto della scrittura offre senso e talvolta il senso più importante. Un 'segno' circolare è indice sempre, per frequentissima attestazione nuragica, della voce NL che significa 'LUCE' (può essere scritta anche NR), parola che veniva pronunziata indifferentemente NUL/ NOL, NUR/NOR (Riteniamo che sia inutile dire quante volte questa parola si trova nella toponomastica sarda di tutta la Sardegna!).
Quindi partendo con la lettura dalla coda della coccinella avremo la sequenza che in apertura di PAGINA abbiamo subito presentato nella fig. 1, con la soluzione del rebus.
La coccinella deve il suo significato profondo al fatto che diventa simbolo della 'luce santa di YH 'EL' (cioè di 'YHWH Dio').
Prima però di spiegare cos'è nel 'profondo' la coccinella (cioè perché si trova lì, in quel preciso luogo) ricordiamo che il numero 'sette' per i nuragici (ma anche per tantissimi altri popoli dell'antichità') era sinonimo di 'santità' e di purezza. Quindi la luce di YH 'El è 'luce santa'. Forse qualcuno di voi sa che in lingua sarda per esclamare 'per dio!' in un vasto territorio dell'oristanese si dice 'SU SANTU DOXI'!.
E' questa una espressione unica al mondo se voi pensate che è composta dal numero 'sette' e dal numero '12', numero quest'ultimo che ovviamente indica i 12 mesi solari (e lunari) e quindi sempre la 'luce'. 


SETTE DODICI = SANTU DOXI = SANTO DIO.

Per sincerarvene ritornate ora alla PAGINA NONA del nostro Corso e troverete che nel 'brassard' di 'Is Locci Santus' di San Giovanni Suergiu c'è, per indicare la 'luce santa', lo stesso schema del disco e del sette della coccinella. Solo che nel 'brassard' ci sono le linee e nella coccinella ci sono i punti. Ma, dal momento che ci siamo con l'informare, bisogna dire e sapere che i nuragici procedevano con la numerazione sia per 'linee' sia per ' punti'. Le linee per indicare il numero 'cinque' e per indicare il numero 'quattro' le abbiamo viste rispettivamente con il ciondolo di Allai e con il coccio del Nuraghe Alvu 
(PAGINE SECONDA e DODICESIMA).

Abbiamo detto però del significato 'profondo' della coccinella che non è solo quello che da 'sola' ci comunica. Essa è in quel luogo perché, con ogni probabilità, quello era un luogo 'santo' in quanto sede di culto della 'LUCE', ma era anche 'santo' perché l'animaletto indicava e indica con esattezza (come ci hanno confermato gli amici di Gadoni) il punto preciso in cui nasce il sole, l'astro dell'espressione massima della luce. Quindi la lettura completa (bellissima lettura perché è su due piani, anche astrale e non solo terrena), è questa (ovviamente quando si verifica l'evento astronomico):

GIORNO DELLA NASCITA DELLA LUCE SANTA DI YH 'EL.
Ora, qualcuno ci chiederà perchè ho detto a Leo Melis che era 'fuori strada' circa il significato del numero delle palline della coccinella. Per me lo è in quanto S'URDONE o BURDONE non ha in sardo il significato di 'Pleiadi' (v. unanimi Wagner, Pittau, Puddu, ecc.) ma di 'costellazione di Orione', costellazione nella quale le stelle più visibili sono quattro a croce (tanto che sono chiamate 'sa ruche de Santu Martinu', Sos Bastones, Sos Istentales). Quindi 'S'Urdone/i non c'entra con la nostra coccinella che assume il suo 'profondo' significato in virtù nella LUCE SANTA della nascita del Sole il 21 di Dicembre. Non in virtù di costellazioni Pleiadi o Orione che possano essere.
Ognuno di voi per altro può fare una ricerca sistematica sul significato popolare della coccinella e vedrà che per tantissimi popoli l'animaletto è associato alla luce solare e lunare. E' è un animaletto simpatico, vivace e che denota soprattutto 'vitalità', tanto che lo si incita, come si sa, a non star fermo, a 'volare', anche nella simpatiche canzoncine in sardo e in italiano. Perchè lo si fa? Semplicemente perché anche il 21 di Dicembre si incita la Santa Luce del sole a non fermarsi, al volo annuale, senza il quale non ci sarebbe la vita ma la morte per il creato. La coccinella è 'beneaugurante'.
E di chi è mai questa luce, qual'è il Dio che la forma, la crea? E' il dio della Genesi, quello che abbiamo visto scritto nella coccinella. Incredibile davvero, no?
I corsisti sappiano però che ci sarebbe ancora tanto da dire su questo ed altri animaletti 'scritti' significativi della cultura religiosa nuragica. Ma questo, lo ripetiamo ancora, è un corso di 'epigrafia' per principianti dove si parla degli aspetti più elementari e significativi della scrittura nuragica. Niente di più.


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Ecco la traduzione del brano proposto nella PAGINA SEDICESIMA:

IL CORSO DI EPIGRAFIA NURAGICA TERMINERA' ALLA FINE DEL MESE DI MAGGIO E RIPRENDERA' ALLA FINE DEL MESE DI SETTEMBRE DOPO LE VACANZE. GRAZIE A TUTTI PER LA PARTEPIPAZIONE

In queste due ultime pagine (di oggi martedì e di venerdì prossimo) proponiamo un documento che ci permetterà di capire che un certo tipo di 'decorazione' che spesso si rinviene negli oggetti, nei monumenti, nella pietra e nella ceramica ecc., non è affatto motivo attinente all'estetica, ovvero alla volontà dello scriba di comporre dei motivi per ottenere il bello e il formalmente piacevole, ma attinente ancora alla scrittura.
La presunta 'decorazione' è quella che viene chiamata dagli archeologi, al fine di renderne l'idea, a 'zig-zag' cioè con delle linee o tratti obliqui che si susseguono procedendo continuativamente ora verso l'alto ora verso il basso.
Prendiamo allora il cosiddetto ciondolo della fig. 1, un oggetto in pietra di piccole dimensioni (4 cm x 3) trovato alcuni decenni fa in Solarussa. Esso è stato pubblicato perla prima volta nel Blog del giornalista Gianfranco Pintore dallo scrittore Franco Pilloni.
Come si noterà una delle due superfici reca al di sotto del 'grande' foro passante della cordicella tre linee costituite, almeno all'apparenza, dal segno detto a 'zig - zag'.
Ma se noi lo osserviamo bene si noterà che:

nella prima linea, partendo con la lettura dalla destra, il motivo ad asta obliqua si ferma per poi proseguire con il segno a ' V' rovesciata il quale a sua volta si interrompe prima del segno a 'V' rovesciata successivo.
nella seconda linea, sempre procedendo da destra verso sinistra, il primo tratto obliquo risulta staccato dagli altri due segni a 'V' rovesciata che stavolta risultano uniti.
nella terza linea si hanno tutti i tre segni uniti e quindi il motivo completo a zig -zag.

Chiediamoci come prima cosa: il segno obliquo oppure verticale ed il segno a 'V' rovesciata sono segni noti nella scrittura nuragica? Basta prendersi il solito repertorio per notare che entrambi i segni sono presenti con il loro specifico valore fonetico. Il primo non è altro che uno dei modi per rendere la lettera semitica ' yod' (segno maschile) e l'altro ugualmente uno dei modi per rendere la lettera semitica 'he' (segno femminile).
Quindi in tutte e tre le linee risulta scritta la voce YHH che è, come sanno tutti i biblisti, uno dei modi per rendere (in qualche modo) il nome di Dio. Essa significa 'Maschio -Femmina Lui (cioè LUI, il dio, è androgino) Ricordiamo che le altre tre voci (accettate dai biblisti) sono YH, YHW e YHWH.
Quindi l'oggetto apotropaico (che allontana il male) di Solarussa reca incisa per tre volte, ma in modo diverso la voce YHH. Una volta con la consonante 'yod' agglutinata (legata) alla prima 'he', una seconda volta con la consonante yod non legata alle altre due 'he', e una terza con tutte e tre le consonanti legate.
Ovviamente ci chiediamo che senso mai possa avere la parola scritta in tre modi differenti e lo troviamo considerando il modo di scrivere dei nuragici che oltre alla scrittura epigrafica (i segni tracciati nel supporto) consideravano anche e soprattutto la scrittura ottenuta con i numeri.
Ora, noi avremo il numero 1, il numero 2 ed il numero tre o se si vuole il 3, il numero 2 e l'uno, se si considerano i segni quando sono liberi o in legatura. Abbiamo già detto nelle PAGINE PRECEDENTI che due o tre segni il legatura costituiscono sempre nella scrittura nuragica un segno solo. Quindi nell'ultima linea avremo un segno, nella penultima due segni, nella prima tre segni.
Ma il numero 'tre' non c'è scritto in questo solo modo perché c'è riportato altre due volte ovvero dalla parola yhh scritta per 'tre' volte e dalle tre linee in cui essa è riportata. Insomma nell'amuleto magico il tre sacro (segno della perfezione) diventa ancora più forte e protettivo perché si trova moltiplicato per se stesso. Il numero perfetto e potente al massimo grado.
Ma con che cosa si lega questo tre, tre, tre?
Lo comprendiamo se comprendiamo anche che c'è una seconda lettura nascosta o a rebus. Essa è data dal significato del supporto più i detti numeri 'tre'.

Riuscite da soli a individuarlo?

Insomma non c'è scritto solo (scrittura immediata apparente)

YHH
YHH
YHH

ma c'è scritto anche (scrittura nascosta o a rebus)
SUPPORTO + 3 3 3. Cioè....

Primo Corso online di Epigrafia nuragica per gli amici di facebook


PAGINA DICIOTTESIMA
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Nella PAGINA DICIASSETTESIMA del Corso abbiamo fatto una domanda finale che riguardava la lettura completa del ciondolo di Solarussa. L'abbiamo posta perché i corsisti focalizzino l'attenzione su di un dato fondamentale della scrittura nuragica. Gli scribi, nel riportare la scrittura 'epigrafica',cioè la scrittura realizzata su di un supporto, il più delle volte consideravano come facente parte integrale del testo scrittorio anche il supporto. Ora, dal momento che il più delle volte il linguaggio formulare dei nuragici riguardava la 'luce' (cioè l'espressione luminosa del Sole e della Luna assieme), chiamata - come ormai sapete - 'NL/NR', oppure il 'toro' ( 'AK), il supporto, con la sua particolare conformazione, rendeva per idea (ideogramma) la parola semitica 'OZ (voce molto attestata nel Vecchio Testamento) che significa 'forza, potenza, energia, vigore', ecc.).
Quindi un supporto in forma quadrata o rettangolare o romboide, segno dell'essere 'tetragono' o molto forte, si prestava egregiamente ad iniziare il testo scritto con tale voce. Pertanto quando vedete un testo con caratteri di una certa tipologia e organizzati in mix (cioè caratteri di diversi alfabeti e spesso con la tipologia dello stesso alfabeto adoperata con segni arcaici uniti ad altri più recenti) dovete aggiungere anche il valore ideografico fonetico - lessicale del supporto. Spesso la forma di esso è di tipo 'fallico', suggerisce cioè la 'virilità' o meglio la 'taurinicità'. Ma il valore ideografico non cambia perchè ancora una volta si suggerisce la parola 'forza, potenza', ecc.
Esempio mirabile del valore fonetico del supporto sono i sigilli cerimoniali di Tzricotu di Cabras che hanno la forma e la superficie esatta di un 'pollice' e sono di forma fallica. Questo vuol dire che quei sigilli per quanto riguarda la lettura iniziano tutti con la parola ' potenza'. E più precisamente 'potenza del Toro della luce'. Naturalmente ci sarebbe da dire dell'altro sul valore specifico del supporto ma sarà bene apprendere l'essenziale e cioè che esso costituisce fonetica e mai estetica. Se ad esempio vi trovate di fronte ad un modellino di nuraghe con altri segni incisi o sovrapposti potete stare tranquilli che il supporto vuol significare sempre quello che il nuraghe è, ovvero potenza fallica, potenza taurina.
Detto ciò notiamo ancora che il ciondolo presenta un grosso (troppo grosso per la sua funzione) foro passante per la cordicella che verosimilmente serviva perchè fosse appeso al collo. Non vi sfugga quella forma circolare che è anch'essa 'segno', significante che deve essere letto così come il supporto di cui si è detto.
Ora la nostra affermazione potrebbe essere opinabile perché chiunque potrebbe obiettare che non c'è alcuna prova scientifica che quel 'foro' vada letto e che quindi il suo valore sia solo quello funzionale. Serve a far passare la cordicella e basta. Invece le cose non stanno così. Infatti nelle PAGINE PRIMA e SECONDA del Corso riguardanti un altro ciondolo, quello di Allai, abbiamo visto e spiegato come la forma del foro sia servita allo scriba per aggiungere i due 'cornini' per rendere così ideograficamente la parola 'AK e cioè Toro. Altri esempi si potrebbero fare ancora sul valore ideografico del foro o dei fori, ma sia sufficiente quello del ciondolo di Allai per far capire che 'anche' il foro' del ciondolo di Solarussa va letto.
Quindi, dopo aver illustrato il valore fonetico del supporto del nostro ciondolo ed il valore sempre fonetico del foro, possiamo procedere alla lettura definitiva del nostro 'testo' scritto. Di 'tutto' il testo (v. fig. 1) e non solo di una 'parte', quella che a noi, abituati a 'leggere' in ben altro modo i significanti fonetici, sembrava la 'sola' da tenere in considerazione.
La lettura ulteriore o seconda (dopo YHH YHH YHH) sarà :

LUI FORZA DELLA LUCE oppure FORZA DELLA LUCE DI LUI

Perchè 'LUI' ?

Un ultimo sforzo. La numerologia (aspetto scrittorio nuragico di cui si è detto), é anch'essa sempre o quasi sempre presente nei testi scritti nuragici. Il numero 'tre' (tre volte la voce YHH) serve allo scriba per completare la seconda lettura in quanto il 'tre' è il simbolo del nome della divinità espressa nella maniera più sintetica possibile, ovvero attraverso il pronome indicativo 'he' (che come sappiamo significa LUI). Quindi quando voi vedete, come ad es. nelle stele mortuarie sarde del IV -III secolo a.C., tre colonnine oppure un triangolo (v. fig. 2) che sostituiscono il più frequente ideogramma in forma di Tanit, sappiate che quel 'tre' vuol dire sempre la stessa cosa. Cioè LUI. Lui il dio (luminoso) che dovrà far risorgere e far tornare in vita il defunto.
A nessuno credo che sfugga a questo punto su quale supporto simbolico -fonetico sia collocato il simbolo ugualmente fonetico in forma di triangolo

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San Paolo: “Siederà nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio”. Le profezie che indicano il tempo e il luogo in cui si manifesterà il dominio dell’Anticristo sono molto inquietanti…

San Paolo: “Siederà nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio”. 
Le profezie che indicano il tempo e il luogo in cui si manifesterà il dominio dell’Anticristo sono molto inquietanti… 

Alcune pagine del mio libro “Il dio Mercato, la Chiesa e l’Anticristo”

Antonio Socci





Un altro caso interessante è rappresentato dall’apparizione della Madonna a La Salette, nel 1846, che è stata riconosciuta dalla Chiesa. Nel messaggio datato 6 luglio 1851 si dice che «non passeranno due volte cinquant’anni» e «nascerà l’Anticristo».

Nel segreto del 1879 scritto da Melania diversi anni dopo l’approvazione delle apparizioni (su cui dunque non c’è un’approvazione della Chiesa) si legge fra l’altro (…): «Roma perderà la fede e diventerà la sede dell’Anticristo». E poi: «La Chiesa sarà eclissata; il mondo sarà in costernazione».

(…) Ma è del Novecento la mistica che più ha parlato dell’Anticristo e con più chiarezza: Maria Valtorta. (…) A lei si devono anche tre volumi di dettati di origine soprannaturale – dal 1943 al 1950 – perlopiù attribuiti a Gesù Cristo, pubblicati sotto il titolo Quaderni.

In uno di questi «dettati», alla data 27 agosto 1943, quindi nel pieno della Seconda guerra mondiale e dei totalitarismi, Gesù dice alla mistica: «Ora siamo nel periodo che io chiamo dei precursori dell’Anticristo. Poi verrà il periodo dell’Anticristo che è il precursore di Satana».

Qual è la generazione che vedrà l’Anticristo? Sembra che si possa dedurre che sia la nostra dal dettato del 20 agosto 1943 in cui Gesù esorta a pregare per coloro che vivranno quelle sofferenze: «(…) Molti di questi sono già sulla Terra».

Nel dettato del 23 luglio Gesù dice alla Valtorta: «È logico che in un mondo in cui tante luci spirituali saranno morte si instauri palesemente il regno breve, ma tremendo dell’Anticristo».

In quel contesto egli spiega che «molte stelle saranno travolte dalle spire di Lucifero. […] Sono quelli che ho definito sale della terra e luce del mondo: i miei ministri». E aggiunge: «Non morrà la Chiesa, perché Io sarò con essa. Ma conoscerà ore di tenebre e orrore simili a quelle della mia Passione».

Il 20 agosto 1943 spiega ancora: «Sarà persona molto in alto, in alto come un astro. Non un astro umano che brilli in un cielo umano. […] farà tremare le colonne della mia Chiesa nello sgomento che susciterà il suo precipitare».

Il 9 dicembre 1943, in un altro dettato, fra l’altro si legge: «Ricorda l’Apocalisse di Giovanni. (…) Quando questa demoniaca vendemmia avverrà nella Corte di Cristo, fra i grandi della sua Chiesa, allora, nella luce resa appena bagliore e conservata come unica lampada nei cuori dei fedeli al Cristo […] allora verrà il pastore idolo, il quale sarà e starà dove vorranno i suoi padroni».

Uno degli aspetti che più colpiscono in questi dettati è la perfetta descrizione della gigantesca crisi spirituale della nostra epoca, di cui la crisi del clero e dei pastori della Chiesa è l’aspetto più doloroso qui descritto.

Padre Livio Fanzaga, riflettendo su questi testi, ne ricava la convinzione, peraltro motivata, che «secondo la Valtorta [l’Anticristo] sarebbe un ecclesiastico».

Poi precisa subito decisamente: «La prima verità da ribadire con la massima chiarezza è che il papa è l’unica persona che non può essere l’Anticristo. Infatti egli è quella pietra su cui è costruita la Chiesa e contro la quale le forze dell’inferno non potranno mai prevalere. Tutt’al più potrebbe esserlo un antipapa, ma non il papa validamente eletto».

Osservazione interessante che – come ipotesi di scuola – si può anche allargare ad altre casistiche dello stesso genere. Per esempio la possibilità di un papa eretico di cui già scriveva John Henry Newman (oggi canonizzato) affermando, in base al diritto canonico, che «il papa il quale insegni eresie, ipso facto non è più papa» (…).

Infine una casistica di questo genere potrebbe essere quella che dà la chiave di interpretazione del terzo segreto di Fatima, nel caso in cui i due personaggi lì menzionati – «un vescovo vestito di bianco» (visto «come in uno specchio») e «il Santo Padre, mezzo tremulo, con passo vacillante» – si considerino appunto come due persone diverse e non come la stessa persona. È quanto ipotizzavo nel 2006 nel mio libro Il quarto segreto di Fatima.

Singolare è – come già abbiamo visto – la questione di Roma. Su cui medita anche il cardinale Newman che «segue per lo più la tradizione e, nella Terza lettura su “The City of the Antichrist”, si sofferma sulla natura ambivalente di Roma che ora appare “la grande Babilonia”, ora, in quanto sede della Chiesa e ultimo “regno” della profezia di Daniele, è ostacolo all’avvento dell’Anticristo, kathécon».

Così scrive Andrea Sandri aggiungendo che «Solov’ëv e Benson sono concordi nel descrivere la fine della sinfonia romana e il trasferimento apocalittico della Sede del papa in Terra Santa».

Sandri, che ricorda questi autori nella postfazione al libro L’Anticristo di Reinhard Raffalt, segnala come proprio questo pensatore, nel suo saggio del 1966, «affronta, facendo esplicito riferimento alle Letture di Newman, il tema di Roma come sede dell’Anticristo, e, con straordinaria perizia teologica e archeologica», formula una tesi suggestiva.

Nella Sacra Scrittura è detto infatti che «il maggior proposito» dell’Anticristo sarà «quello di stabilirsi nel tempio del Signore».

Molti di coloro che hanno commentato nei secoli questa profezia biblica «fanno coincidere questo tempio con il vecchio santuario ebraico a Gerusalemme».

Di cui però oggi non resta nulla, a parte le pietre del Muro del Pianto. Mentre, scrive Raffalt, “nella chiesa di San Pietro a Roma c’è un particolare che mi ha sempre fatto riflettere. […] Si conserva una colonna tardoantica (…). Secondo un’antica tradizione si tratterebbe dell’unica colonna rimasta del tempio di Gerusalemme. Lo scultore Lorenzo Bernini si ispirò alla sua forma per le quattro colonne che reggono il celebre baldacchino di bronzo della tomba di San Pietro. Ciò non avvenne senza una precisa intenzione. Si volle documentare la permanenza dell’eredità che dalla storia della salvezza di Israele è fluita nella Chiesa. Il mondo doveva riconoscere che il Tempio dell’Antica Alleanza si inserisce nel cuore della Chiesa. […] Perciò il giorno in cui, in un futuro ignoto, l’Anticristo apparirà, non si potrebbe pensare che egli sceglierà il baldacchino sulla tomba dell’Apostolo, che include il Tempio di Israele, come teatro per l’orribile scena nella quale si siederà al posto di Dio”.

Si tratta di un’ipotesi davvero inquietante. E Raffalt tiene a sottolineare che «non soltanto i nemici della Chiesa, ma anche alcuni suoi ardenti difensori, come per esempio il cardinale Newman, hanno messo in relazione i tempi ultimi di Roma con l’Anticristo e non hanno negato che il più grande nemico di Dio possa sorgere dalla stessa Chiesa. Terribili conclusioni, immagini angosciose».

Del resto avvenne proprio attorno al 1900 la misteriosa visione di papa Leone XIII al quale fu rivelato il futuro prossimo della Chiesa con l’immagine della basilica di San Pietro assalita dai demoni. Gli fu detto che Satana sarebbe stato sciolto dalle catene per un periodo per «provare» la Chiesa.

Il Pontefice, profondamente impressionato, scrisse uno speciale esorcismo, che raccomandò di usare spesso a vescovi e sacerdoti. Nella redazione originale di questo esorcismo In Satanam et angelos apostaticos (Contro Satana e gli angeli apostati), inserito nel Rituale romanum, si leggeva questa misteriosa formula: «Ecco la Chiesa, Sposa dell’Agnello Immacolato, saturata di amarezza e abbeverata di veleno da nemici molto astuti; essi hanno posato le loro empie mani su tutto ciò che c’è di più sacro. Laddove fu istituita la sede del beato Pietro e la cattedra della Verità, là hanno posto il trono della loro abominazione nell’empietà; in modo che colpito il pastore, il gregge possa essere disperso».


ANTONIO SOCCI

IL DIO MERCATO LA CHIESA E L’ANTICRISTO” (RIZZOLI)

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L'articolo San Paolo: “Siederà nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio”. Le profezie che indicano il tempo e il luogo in cui si manifesterà il dominio dell’Anticristo sono molto inquietanti… Alcune pagine del mio libro “Il dio Mercato, la Chiesa e l’Anticristo” proviene da Lo Straniero.


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