giovedì 22 aprile 2010
SI ALLA VITA .... NO ALLA MORTE NUCLEARE..!!!
CHERNOBYL DAY A CAGLIARI
NON PERMETTIAMO DI RENDERE INVIVIBILE LA TERRA DEI NOSTRI FIGLI CHE DEVONO ANCORA NASCERE!!
Vi invitiamo a partecipare alla manifestazione sit-in lunedì 26 APRILE 2010 a Cagliari Piazza del Carmine dalle ore 17,00
Relatore Sayli Vaturu (Valter Erriu)
portavoce NO NUKE,
intervengono:
Prof Luciano Burderi Fisico.
Michelangelo Saba Fisico
Paola Alcioni Poeta
partecipa il cantautore
FRANCO MADAU
hanno aderito finora:
CSS Confederazione Sindacale Sarda,Sardigna Natzione, Cagliari Socialforum, Tavola per la Pace, Gettiamo le Basi, Carovana della pace CA, Emergeny CA, Ass. Volontari di Sardegna, Sa Defenza Sotziali,Sperantzia de Libertadi, ARKA (H.C.E.) Associazione Culturale Intermediale
Per dire no alle centrali nucleari ed allo stocaggio delle scorie prodotte dall'idiozia di certa umanità, tutti/e coloro che vogliono costruire e rivendicare la sovranità territoriale la libertà da situazioni a rischio, e sostenere le situazioni di produzione non invasiva di energie pulite..
per proteggere le produzioni locali che non vogliamo vegano contaminate da radiazioni e per dire
SI alla Vita e NO alla Morte Nucleare .. ..
info: sayli@tiscali.it
comitato sardo No Nuke una risata sardonica vi seppellirà
CHERNOBYL: DAL DISASTRO AD OGGI
Il 26 aprile 1986 un grave incidente ha interessato il quarto reattore della centrale nucleare di
Chernobyl, in Ucraina – allora parte dell’Unione Sovietica. I tecnici della centrale avevano
intenzione di testare se le turbine sarebbero state in grado di fornire l’energia necessaria a
mantenere operative le pompe dell’impianto di raffreddamento del reattore, nel caso di una perdita
di energia e senza ricorrere al generatore diesel di emergenza. Qualcosa andò storto. Appena
incominciò il test il reattore andò fuori controllo. I sistemi di sicurezza erano stati disattivati. Si
verificò una violenta esplosione che fece saltare la struttura di 1000 tonnellate che sigillava
l’edificio del reattore. Le barre di uranio si fusero quando la temperatura incominciò a superare i
2000 °C. Anche la copertura in grafite del reattore prese fuoco. Il rogo andò avanti per nove giorni,
rilasciando in atmosfera cento volte tanto la radioattività sprigionata dalle bombe atomiche
sganciate su Hiroshima e Nagasaki.
Le conseguenze dell’incidente di Chernobyl
La maggior parte della radiazione venne rilasciata nei primi 10 giorni, contaminando milioni di
persone e una vasta area. Nei giorni successivi all’incidente, a causa di perturbazioni meteo, la
contaminazione arrivò fino in Europa centrale, Germania, Francia, Italia, Grecia, Scandinavia, e
Regno Unito. In Bielorussia, Russia e Ucraina furono contaminati tra i 125mila e 146mila chilometri
quadrati di territori a livelli tali da richiedere l’evacuazione della popolazione.
Gli impatti più seri nel lungo periodo si devono al Cesio-137, i cui livelli di contaminazione si
riducono significativamente solo dopo 100 anni. Livelli di radioattività significativi da Cesio-137
possono ancora essere riscontrati in Scozia e in Grecia. Oltre a questo, anche gli impatti sulla
popolazione locale continuano a persistere per decenni ed oggi, a 24 anni di distanza, si
continuano ad avere nuove vittime. Uno studio di scienziati dell’Accademia delle Scienze ucraina e
bielorussa, pubblicato da Greenpeace nel 2006 (in coincidenza del 20° anniversario del disastro),
stima che nel lungo periodo si potranno raggiungere 100 mila vittime1.
La situazione attuale a oltre 20 anni dall’incidente
I segnali di miglioramento sono pochi. La popolazione sta incominciando a tornare ad abitare nei
villaggi abbandonati, nonostante si tratti di aree ancora a rischio. Nel 2006 Greenpeace ha raccolto
campioni nel villaggio di Bober, fuori dalla zona di esclusione. Le analisi hanno rivelato che i livelli
di contaminazione erano 20 volte superiori ai limiti fissati dall’Unione Europea per i rifiuti radioattivi
pericolosi. Un altro problema consiste nel fatto che, mano a mano che il tempo passa, molte delle
persone che rischiarono la vita per spegnere l’incendio e molte delle vittime colpite ricevono
sempre meno cure e assistenza sociale.
Le stime sulla mortalità derivante dall’incidente di Cernobyl variano a seconda dei parametri presi
in esame. La più recente ricerca epidemiologica, pubblicata in collaborazione con l’Accademia
Russa delle Scienze, mostra che gli studi precedenti erano stati troppo cauti. Per esempio, l’AIEA
nel 2005 parla di soli quattromila morti, ma le statistiche più recenti stimano invece in duecentomila
le morti dovute all’incidente di Cernobyl, tra il ’90 e il 2004 prendendo in esame solo Ucraina,
Bielorussia e Russia.
La seguente tabella indica i risultati di diversi studi effettuati, e mostra quanto sia ampio il margine
di incertezza sull’impatto reale del disastro e come le statistiche ufficiali dell’industria nucleare
abbiano sottostimato sia l’impatto locale che quello internazionale dell’incidente.
Quattro gruppi di popolazione sono stati maggiormente colpiti dalle maggiori ripercussioni
sanitarie: i lavoratori impiegati nella bonifica, i cosiddetti ‘liquidatori’, inclusi i militari che hanno
costruito il guscio protettivo del reattore; gli evacuati dalle aree fortemente contaminate nel raggio
di 30 chilometri dalla centrale, i residenti delle aree meno contaminate e I bambini nati da famiglie
appartenenti a questi tre gruppi.
Cosa sta succedendo ora presso il sito dell’incidente?
Esistono piani per trasformare Chernobyl in un sito temporaneo per lo stoccaggio di scorie
nucleari. L’industria nucleare si riferisce a questo sito come “zona di sacrificio” e intende scaricare
rifiuti nucleari altamente pericolosi dove la gente continua a vivere e a subire gli effetti della
contaminazione. Otto mesi dopo l’incidente, nel novembre 1986, un “sarcofago” di cemento armato
di oltre 400mila metri cubi venne costruito attorno al reattore collassato. La sua vita era stimata tra
20-30 anni, ma il rapido deterioramento potrebbe farlo precipitare sul reattore, producendo una
seconda fuga di radioattività nell’ambiente. Attualmente si prevede quindi la realizzazione di un
nuovo sarcofago per un costo di circa 1,2 miliardi di dollari.
Ci sono stati altri incidenti nucleari dopo Chernobyl?
Incidenti nucleari gravi continuano a capitare ancora ai giorni nostri, sebbene per fortuna non ne
sono successi della stessa entità di Chernobyl. Per esempio nel 1999 una reazione nucleare
incontrollata ebbe luogo nell’impianto di produzione del combustibile nucleare di Tokai-Mura, in
Giappone. Morirono due lavoratori e la radiazione si sprigionò nell’area circostante. Nel 2006 si
sfiorò l’incidente nucleare presso un reattore a Forsmark, in Svezia, quando i generatori di back-up
si incepparono, lasciando la centrale senza elettricità. Nel 2007 un terremoto in Giappone ha
costretto a bloccare sette reattori nella centrale di Kashiwazaki-Kariwa per un anno, con forti
problemi per la città di Tokio. Anche in Svezia, in seguito a problemi di sicurezza, furono fermati
quattro reattori nel 2006, e venne perso il 20% della produzione elettrica del Paese.
I reattori di ultima generazione sono più sicuri?
I principali reattori di ultima generazione sono l’AP1000 della Westinghouse e l’EPR della francese
AREVA. Il primo è ancora in fase autorizzativa, mentre per l’EPR ci sono due cantieri in Europa,
uno in Finlandia a Olkiluoto e uno in Francia a Flamaville. Reattori di questo tipo sono dotati di
nuovi sistemi di sicurezza “passivi”, tuttavia diversi problemi sono stati riscontrati in fase di
costruzione sia a Flamaville che a Olkiluoto. Dopo due anno dall’inizio dei lavori a Olkiluoto,
l’Autorità finlandese per la Sicurezza Nucleare (STUK) ha segnalato circa 1.500 non conformità,
molte delle quali non risultano essere state corrette, che possono aumentare seriamente il rischio
di un incidente grave. Più recentemente, l’Agenzia Francese per la Sicurezza Nucleare ha
scoperto che a Flamaville le fondamenta di cemento armato del reattore erano state gettate in
modo scorretto, che il basamento del reattore aveva delle crepe e che un quarto circa di tutte e
saldature erano difettose. In entrambi i casi, per cercare di ridurre i costi, erano stati dati subappalti
dei lavori a società senza le competenze necessarie.
Il nucleare è una soluzione al problema dei cambiamenti climatici?
Visto che il nucleare ha basse emissioni di gas serra (prodotti prevalentemente in fase di
estrazione dell’Uranio), i fan dell’atomo cercano di presentare l’opzione nucleare come l’unica
alternativa credibile e realistica ai combustibili fossili. In realtà il nucleare è una falsa soluzione al
contenimento delle emissioni di gas serra. Nel mondo sono presenti 440 reattori che forniscono
circa il 6,5% dell'energia primaria globale. Per raddoppiare il numero dei reattori occorrerebbe
inaugurare una centrale nucleare ogni due settimane da qui al 2030. Un'ipotesi irrealizzabile, che
permetterebbe di ridurre le emissioni globali di gas serra di appena il 5%. Troppo poco, troppo in
ritardo e con costi esorbitanti oltre i 2.000 miliardi di euro. Inoltre, l’Uranio estraibile a costi
valutabili è meno di 3,5 milioni di tonnellate e, agli attuali livelli di consumo, basterà per altri 50
anni appena.
Greenpeace ha presentato nel 2008 il Rapporto “Energy [R]evolution” in cui si mostra come il
crescente fabbisogno mondiale di energia può essere soddisfatto da fonti rinnovabili e misure di
efficienza energetica, facendo a meno del nucleare al 2030. Grazie a misure di efficienza
energetica, sarebbe possibile stabilizzare i consumi mondiali di energia ai livelli attuali. In questo
modo le rinnovabili potranno coprire circa la metà del fabbisogno energetico mondiale al 2050.
(www.greenpeace.it/energyrevolution).
1
The Chernobyl Catastrophe: Consequences on Human Health, Greenpeace, Aprile 2006 (http://www.greenpeace.it/cernobyl)
2
Minatom (Russian Ministry of Nuclear Energy ), Branch report on safety for 2001, Moscow, 2002
3
IAEA (2005) Chernobyl: The True Scale of the Accident. http://www.iaea.org/NewsCenter/PressReleases/2005/prn200512.html
4
Chernobyl Forum Expert Group “Health” (EGH) Report “Health Effects of the Chernobyl Accident and Special Health Care Programs”,
Working Draft, August 31, 2005
5
Mousseau T, Nelson N, Shestopalov V (2005). Don’t underestimate the death rate from Chernobyl. Nature 437, 1089
6
Anspaugh LR, Catlin RJ, Goldman M. (1988) The global impact of the Chernobyl reactor accident. Science 242:1514-1519.
6
Shcherbak Y. (1996). Ten Years of the Chornobyl Era. Scientific American. 274(4): 44-49Sinclair, W.K. (1996) The international role of
RERF. In: RERF Update 8(1): 6-8
7
Malko, M.V. (2006) In: Estimations of the Chernobyl Catastrophe (on the base of statistical data from Belarus and Ukraine), Publ:
Centre of the Independent Environment Assessment of the Russia Academy of Sciences, ISBN 5-94442-011-1
8
Khudoley et all. (2006) Attempt of estimation of the consequences of Chernobyl Catastrophe for population living at the radiation-
polluted territories of Russia. Publ: Centre of the Independent Environment Assessment of the Russia Academy of Sciences,
Consequences of the Chernobyl Accident: Estimation and prognosis of additional mortality and cancer deseases. ISBN 5-94442-011-1
9
Gofman J. (1990),. Radiation-Induced Cancer from Low-Dose Exposure: an Independent Analysis. ISBN 0-932682-89-8.
10
Bertel R. 2006. The Death Toll of the Chernobyl Accident. In: Busby C.C., Yablokov A.V. (Eds.). ECRR Chernobyl: 20 Years On.
Health Effects of the Chernobyl Accident. Documents of the ECCR, N 1, Green Audit, Aberystwyth, pp. 245 – 248.
11
ECRR 2003 Recommendations of European Commission on Radiation Risk, Green Audit Press, 2003, UK, ISBN 1-897761-24-4
venerdì 16 aprile 2010
POCOS LOCOS Y MALUNIDOS
Ovvero, come trasformare le traversie in opportunità
Paola Alcioni
gentilmente concesso
a sa defenza
La concezione antropologica moderna presenta la cultura come quell'insieme complesso che include il sapere, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume, gli atteggiamenti, i valori, gli ideali e ogni altra competenza e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro della società.
Concerne sia l’individuo, che la collettività di cui fa parte.
Viene supposta l’esistenza di una cultura per ogni gruppo etnico o raggruppamento sociale significativo, e l’appartenenza a tali gruppi sociali è strettamente connessa alla condivisione di un’identità culturale.
In antropologia l'insieme di queste norme sociali vengono definite modelli culturali ideali.
La cultura è dunque un complesso di modelli (idee, simboli, azioni, disposizioni) PER e modelli DI.
In tutte le culture esiste un modello di (es. di sviluppo, comportamento, pulizia, decoro, legge), un modello attraverso cui si pensa qualcosa.
I modelli di generano modelli per, modelli guida al modo di agire, perché la cultura non è solo generatrice di modelli teorici, ma è OPERATIVA, permette cioè di passare dall’ideale del modello all’operatività, attraverso una serie di strumenti intellettuali e pratici, selezionando, tra i tanti che trova al suo interno, quei modelli che sono funzionali al presente.
La cultura è dinamica: interagisce con altre culture, accettando e provocando cambiamenti, perché è basata sulla comunicazione: la cultura nasce infatti da uno scambio costante. Questo provoca continui sconfinamenti tra le culture ed è difficile definire un vero limite, un vero confine tra esse.
C’è un rapporto strettissimo tra i processi mentali e il complesso dei valori, dei significati, dei discorsi, delle pratiche e degli artefatti attraverso i quali le persone concretamente si relazionano tra loro e con il mondo.
In altre parole il modo in cui pensiamo dipende dalla cultura che abbiamo (non dalla quantità, intendiamoci, in senso umanistico, ma dal tipo di cultura): due appartenenti a diversi gruppi etnici è probabile che, dinanzi ad uno stesso problema, elaborino soluzioni differenti.
Simon Mossa aveva individuato le ragioni per le quali il popolo sardo poteva considerarsi una Comunità etnica.
Queste ragioni le trovava nella storia, nella posizione geografica, nella struttura sociale, nell’economia. Ma ancor più nelle caratteristiche della cultura, della lingua e delle tradizioni.
In questi ultimi elementi individuava il patrimonio ancestrale della Comunità sarda.
Storicamente assistiamo, però, ad un’opera di spersonalizzazione e snazionalizzazione, a vantaggio di un nazionalismo colonialistico tendente ad imporre un modello culturale distruggendo l’altro.
Si è tentato un genocidio. Questo termine non significa l’eliminazione fisica di tutti i componenti di un popolo, ma significa uccidere l’anima di un popolo. E l’anima della nazione sarda risiede in questi tre elementi: cultura, lingua e tradizione.
Con tutto ciò che ha subito, la Comunità etnica sarda è ancora viva.
La cultura altra che le è stata imposta, le ha gravato addosso – come un giogo – MODELLI DI che hanno generato MODELLI PER sostanzialmente estranei alla cultura ancestrale.
Sradicare questa cultura, per imporre un’altra cultura diversa, senza lasciare spazi riconosciuti alla stratificazione ed alla sovrapposizione, significa involuzione culturale, crollo di un mondo, senza un sostitutivo, o con un sostitutivo meno valido.
Una persona che subisce questa violenza, entrando in un modello culturale che gli è estraneo, perde la fiducia in se stesso, non ha spirito di iniziativa autonoma, sgretolati i legami comunitari che costituivano la sua forza di individuo in quella società, preferisce essere comandato, servire, perché è l’unica maniera di azzerare i conflitti. Se il suo tozzo di pane è assicurato, non chiede più nulla, svende i suoi sogni, ascoltando solo le ragioni della propria pigrizia e della propria paura.
Se perde il pane ed il lavoro, di dispera, si sorprende senza risorse, senza soluzioni.
La Cultura, infatti, non è un apparato esterno ad ognuno di noi. E’qualcosa di legato all’esperienza individuale, perciò i modelli che vengono solo dall’esterno, proprio perché si pongono come modelli, sono passivizzanti: se ci danno l’illusione di aver trovato il significato e il fine da perseguire, ci tolgono la ricerca dinamica di miglioramento. Ci seducono, ma lo stimolo trova scarso o nullo spazio. Ci disabituano ad elaborare soluzioni.
Accettando dunque passivamente e perdendo il suo spirito critico, l’uomo perde il suo più affilato strumento per incidere nella realtà, che gli consentiva di essere regista della sua sorte, trovando strade anche dove apparentemente non ce n’erano.
Così, non potendo essere parte della soluzione il popolo sardo è diventando parte del problema.
Quando parlo di svendere i sogni, parlo di abdicare alla capacità immaginativa e dunque creativa anche di prospettive nuove.
La creatività è quella facoltà che consente di conciliare gli opposti, in un terzo termine che li supera, operando la sintesi dei contrari non come mera somma degli elementi, ma nella creazione di un novum.
E’ la creatività che consente quel processo trasformativo all’interno della nostra piccola storia di individui così come all’interno della grande storia dei popoli.
La creatività potenzia le risorse individuali, induce a scoprirsi abitati dalla dimensione del possibile.
La immaginazione (fantasia) produce immagini anticipatrici, incontri con il NON ANCORA, presentificando il futuro e dandogli, per il fatto solo d’essere pensato, un principio di realtà. (esempio della casa)
Queste anticipazioni sono i progetti, segno di qualcosa di non ancora realizzato ma progettato.
All’etimo greco poiein, che esprime l’attività prerogativa dell’homo sapiens et faber di fare, plasmare creare e progettare, si lega sia l’arte del poeta, che quella attraverso la quale progettiamo e plasmiamo la nostra vita.
I meccanismi poetici attraverso i quali si fa letteratura, hanno molto in comune con la nostra attività poetica quotidiana attraverso la quale tutti noi costruiamo i nostri sistemi di significato, la nostra stessa identità.
Noi, vivendo, ci narriamo a noi stessi e agli altri.
Narrare è una modalità di percepire e organizzare la realtà rendendola realtà interpretata, cioè filtrata dai nostri sistemi rappresentazionali (uditivo, visivo, cenestesico - tatto, olfatto gusto).
I racconti dunque sono una versione della realtà vissuta dal punto di vista esperienziale.
Dunque la mia realtà è quella che le mie parole descrivono.
Non esiste una realtà oggettiva, ma solo pratiche discorsive intorno ad una esperienza che ognuno di noi fa della realtà.
Il linguaggio polisemico della narrazione permette inoltre di guardare la realtà contemporaneamente da più punti di vista. Ha il meraviglioso potenziale di ri-figurare la realtà e di trasformare la nostra visione del mondo.
Ma cosa ha a che fare, tutto questo con il problema Sardegna?
Per esempio i sardi, che spesso hanno cercato la propria identità nei racconti dei viaggiatori del 700/800 invece che in se stessi, ora si descrivono spesso come li definì un dominatore: Pocos, locos y malunidos.
Dal narrarlo ad assumerlo come copione, il passo è breve.
Questa è quella che in psicologia si chiama “una narrazione patogena o disfunzionale”.
Cosa fa il terapeuta, quando ha davanti un paziente che si racconta in modo patogeno?
Non fa altro che “perturbare” la fissità del racconto, innescando la riorganizzazione dei significati legati all’esperienza del paziente. Aiuta il paziente a cercare altri “possibili” sviluppi di una storia patogena, che crea dolore e cristallizza in una fissità senza uscita. Il terapeuta propizia il cambiamento.
Perché un cambiamento?
Perché non è il passato a produrre disagi nella persona, ma il presente, i modelli di interazione e di comunicazione che usiamo con noi, con gli altri, con il mondo. Essi sono spesso disfunzionali, quando c’è un disagio. È il momento in cui noi comunichiamo con noi stessi attraverso una sorta di autoipnosi che produce una narrazione patogena (io sono sfortunato, non me ne va mai bene una...)
Il passato, nella sua dimensione problematica e patologica, impedisce la nascita di nuove idee ed ostacola l’originarsi di nuove possibilità. Sopprime la flessibilità del sistema, rendendolo rigido, lineare, irreversibile.
Il linguaggio della narrazione situa invece gli eventi in un orizzonte più vasto di possibilità, facendo uso del linguaggio polisemico che consente di guardare la realtà contemporaneamente da più punti di vista. A quel punto si ha la sensazione di avere presa sul proprio destino, si comincia ad avere l’impressione di poter essere non più attori della nostra vita dal copione fisso e grigio, ma registi, con una gamma di possibilità diverse.
Ritornando alla Sardegna e ai suoi problemi, è il cambiamento che dobbiamo propiziare. Lo possiamo fare cambiando forma e contenuto dell’autonarrazione, per aprirci ad un orizzonte più ampio di possibilità, aumentando la nostra capacità di vedere il problema da più punti di vista contemporaneamente.
Io credo che la cultura sarda abbia in sé i germi di una evoluzione rapida nel mondo moderno.
In presenza di stimoli, il substrato culturale di ogni individuo, riaffiora ed elabora soluzioni sincretiche in una situazione di incontro di culture.
Quelle che finora si sono accumulate su di noi e sulla storia come traversie, possono essere rielaborate come opportunità.
La lingua che ho scelto per questa relazione, per esempio, ha gravato e grava sul mio popolo come un giogo, con tutto il suo peso di codice scelto e gestito dal dominatore.
Ma io la rendo ora strumento, veicolo di comunicazione di concetti pensati in quella lingua e, dunque, in quella lingua più immediatamente comunicabili. E la uso, per portare acqua al mulino della mia lingua e della mia cultura.
Traformo una traversia in opportunità. Faccio il lavoro che fa il Judoka quando, sfruttando la forza che l’avversario impiega nell’eseguire una tecnica di combattimento, lo sbilancia e lo atterra sfruttando l’impeto della sua stessa forza.
I sardi potranno essere collettivamente padroni del loro destino - sottrarsi dal giogo di una colonizzazione politica e culturale ed attuare una reale crescita economica - soltanto quando avranno acquisito i poteri di uno stato.
Ma intanto possono, ognuno per sé, provare a riprendere in mano le redini del proprio destino individuale, studiando e rivalutando ai propri occhi i modelli culturali che gli appartengono come membri di questa comunità etnica, e utilizzando le categorie mentali proprie – fino ad ora gravate del tabù del dominatore – come stimolo contrastivo con le culture altre e gli altri modelli per la creazione di un novum che possa realmente attribuire senso nuovo al nostro stesso essere al mondo qui, in questa terra, secondo le modalità del poter essere, e non più dell’essere dati dal dominatore o dallo sfruttatore di turno.
La razza, a differenza dell’etnia, si riferisce ad una classificazione dell’uomo in base a tratti fisici e genetici, tipici dell’etnia cui appartiene, mentre il gruppo etnico è tale per avere in comune cultura, lingua, religione e caratteristiche fisico-genetiche
Che significa più cose contemporaneamente.
sabato 10 aprile 2010
AUTONOMIA, FEDERALISMO, SOVRANITA', INDIPENDENZA. QUALE STATUTO PER LA SARDEGNA?
Sayli Vaturu
SA DEFENZA SOTIZIALI
Un pomeriggio un po uggioso ma proficuo, al Hotel Mediterraneo a Cagliari, oggi sabato 09 Aprile 2010 si svolge il convegno di Sardegna Democratica, il tema di tutto rispetto evoca nuovi
orizzonti nella sinistra sarda: AUTONOMIA, FEDERALISMO, SOVRANITA', INDIPENDENZA. QUALE STATUTO PER LA SARDEGNA?
Partecipano Antonello Cabras, Massimo Dadea, Pietrino Soddu, Renato Soru.
Coordina Giacomo Mameli
L'intervento del primo relatore Pietrino Soddu è di grande lucidità analitica della situazione attuale in Sardegna e dell'oltremare.
L'Onorevole Soddu ha esposto una cronistoria dei fatti dalla "Fusione Perfetta" del 1847 all'autonomia del 1948, ed ha evidenziato i vizi e difetti di tale autonomia , considerandola obsoleta e superata addirittura dalla "noia".
Dice l'Onorevole Soddu che è necessario un nuovo Patto Costituzionale, basato su una repubblica federale ove è si deve contrattare senza complessi di inferiorità , rivendicando la propria storia e autorità nazionale.
L'On. Massimo Dadea ha posto l'accento sulle parole come sovranità popolo nazione, significanti il valore della Sardegna, esponendo la sincronicità della sinistra sarda e l'uso degli aggettivi della istituzione nazionale sarda , un conosciuto ove non vi è alcuna contraddizione nei termini.
L'On. Antonello Cabras ha esposto il suo progetto di legge su autonomia e federalismo, trattando l'argomento nella sua premessa con il giusto valore per la patria sarda , avendo a cuore esporre la richiesta di sovranità del popolo sardo, cosa che allude alla futura natzione sarda indipendente, speriamo noi.
Renato Soru ha preso atto delle relazione ed ha chiesto che si sentisse prima le idee degli indipendentisti presenti invitati al dibattito.
La segretaria di iRS Ornella Demuru ha raccontato dell'importanza della sardità come centro delle ipotesi statuali sarde, ed ha posto l'accento sulla necessità di raggiungere la
nostra aspirata indipendenza.
Il Rossomoro Gesuino Muledda ha fatto la storia del sardismo rivendicando la loro piena adesione agli ideali sardisti e la piena sintonia con il padre fondatore Emilio Lussu
Il Coordinatore nazionale di Sardigna Natzione Bustianu Cumpostu ha rievocato i fatti della fusione perfetta e ha posto l'accento sulla denuncia di quei fatti che assoggettarono la Sardegna ai Savoia, ha anche ribadito il valore delle idee indipendentiste
Il Presidente di iRS Gavino Sale, ha incentrato al pericolo della divisione nel movimento per la sovranità ed ha accentuato la necessità dell'unità tra le forze presenti in campo rinforzando l'idea del percorso atto alla costituente sardo indipendentista con annessa festa popolare di acclamazione alla nostra libertà
Il portavoce di NO NUKE Sayli Vaturu (Valter Erriu) ha incentrato la sua diretta azione e attenzione al fattore migranti, un popolo che ha per il mondo un quarto dei suoi figli/e che aspira a tornare nella sua patria sarda, ecco la necessità di creare lavoro e felicità, ha anche posto l'accento sulle curatorie situazioni di governo locale , che sono già in "su connotu" del popolo sardo che hanno un diretto filo con la popolazione e può ascoltare e attuare i piani locali cosa molto difficile da fare dalle province, che dovrebbero essere abolite.
Sayli ha anche fatto appello alle coscienze dei presenti a partecipare al sit-in del 26 aprile a Cagliari sul nucleare per dire no ad un futuro di morte , il Chernobyl Day.
Quale soluzione sia più appropriata, la si capirà dalle prese di posizione future degli intervenuti al simposio di oggi, siamo fiduciosi che ciò , partendo dal simposio di Santa Cristina , porti all'autodeterminazione del popolo sardo libero in una Europa libera e rispettosa della dignità dei popoli europei tutti quelli con stato e quelli semplicemente nazioni!
mercoledì 7 aprile 2010
- Nota su statualità, sovranità e Nazione Sarda
Benito Saba
de "Sardigna, Pàtria amada!"
Oggi finalmente è stato acquisito pacificamente da tutti i Sardi nella travagliata maturazione della nostra cultura politica democratica che la non statualità della Sardegna non sopprime la Nazione Sarda come soggetto di diritti naturali prestatuali (l'identità etnica, la memoria storica - ed in essa quella delle passate statualità, quelle vissute non nella soggezione di "occupati" o colonizzati, ma nella partecipazione attiva alla cittadinanza nella parità dei diritti e doveri - la lingua, la cultura, l'integrità del territorio, il diritto ad usufruirne da parte delle comunità, l'autogoverno in tutto ciò che riguarda direttamente la Sardegna, la salvaguardia dell'ambiente, della sua salubrità e peculiarità, la precedenza dei residenti nel godere dei benefici derivanti dall'utilizzo non distruttivo delle risorse primarie dei territori ecc.). Ne consegue che il Popolo Sardo, anche soggetto politico-istituzionale nell'ordinamento statuale italiano (v. ad es. Statuto Sardo art. 28), poiché incarna detta Nazione, si pone anche e prima di tutto come soggetto portatore ed espressione di questa peculiare identità nazionalitaria che non solo esso Popolo ha diritto di rivendicare e proclamare, ma che lo pone - anche per la volontaria rinuncia alla precedente statualità - in parità morale con il Popolo "Italiano" (con cui è ora unito nella statualità e con il quale, insieme ad altre etnie, costituisce il Popolo della Repubblica Italiana) in quanto la sua soggettività non nasce con l'ordinamento statuale italiano, ma è preesistente ad esso ordinamento, che appunto non la costituisce, ma soltanto la riconosce ai fini dell'attività politico-istituzionale.
Oltre al richiamo fondamentale dell'art. 28 dello Statuto Sardo - che è legge costituzionale - mi sia consentito ricordare che la Costituzione non parla mai di "Popolo Italiano", espressione riassuntiva più "facile" invalsa almeno da un secolo e mezzo nella vita politica anche per una chiara volontà di integrazione e unificazione di tipo omogeneizzante. La Costituzione parla sempre e soltanto di "Popolo" (artt. 1, 71, 101, 102). Ed infatti l'"Italia" dell'art. 1 non è realtà geo-politico-istituzionale soltanto degli appartenenti alla espressione storica della etnia italiana, o, più precisamente, italica (se mai ne esista una sola), ma di quanti sono cittadini entro i suoi confini riconosciuti; è questa "Italia" che "è Repubblica democratica" e pertanto il "Popolo" di cui al 2° comma - cui "appartiene la sovranità" - non è soltanto il Popolo "Italiano" stricto sensu, bensì il Popolo della Repubblica Italiana, che non coincide con il primo, come riconosciuto indirettamente dalla stessa Costituzione all'art. 6: le "minoranze linguistiche" - tra cui è ufficialmente compresa quella sarda, ai sensi dell'art. 2 della L. 15-12-1999, n. 482 (pur chiamate intenzionalmente in tutta la legge "popolazioni" per rimanere nell'ambito esclusivamente della politica culturale e linguistica) - sono espressione inequivocabile di una pluralità di soggetti etnico-nazionali (cioè di comunità presenti "da sempre" con cultura e coscienza identitaria particolare non riconducibile alla nazione "stricto sensu" italica e radicate in territori definiti all'interno dei confini della Repubblica), anche se di diverso peso demografico, tutti costituenti il Popolo della Repubblica Italiana.
Purtroppo - alla luce di quanto testè illustrato - del tutto improprio ed equivoco è l'uso dei termini "Nazione/i" e "nazionale/i" nel testo della Costituzione, come anche - per trascinamento terminologico dei riferimenti al primo - in quelli dello Statuto speciale per la Sardegna (L. Cost. 26 febbraio 1948 n. 3 e succ. mod.) e della L. n. 482/1999 richiamata.
In tutti i casi in cui ricorrono (Costituzione: artt. 9, 11, 16, 49, 67, 87, 98, 99, 117, 120, 126 e Disp. trans. III e XIII) (Statuto Sardo: artt. 3, 7, 33, 50, 53, 54) (L. n. 482/1999: artt. 4, 5, 9) questi termini non hanno mai la significanza propria etimologica di una particolare identità etnico-culturale, matrice demologica ed etico-politica della soggettualità storica dello Stato italiano, il quale di conseguenza ne sarebbe espressione univoca; essi invece nella loro significanza testuale e contestuale sono un chiaro portato di aspetti ineludibili della cultura politica post-rivoluzionaria francese e poi in continuità di quella risorgimentale protesa alla unificazione statuale dell'Italia (aspetti culturali purtroppo esasperati in seguito a mitizzazione sacrale e fanatica nel ventennio fascista). Fatto sta che in tutti quegli articoli i termini in esame possono essere sostituiti tout court con "Stato/i", "dello Stato", "statale/i", "Repubblica", "della Repubblica", "repubblicano/i" "generale pubblico" ed equivalenti.
Non esiste pertanto, a mio avviso, alcuna norma costituzionale che sancisca l'unicità di una "Nazione italiana" di cui sia espressione il Popolo della Repubblica, o sancisca la non compatibilità di altra Nazione, oltre a quella italica, all'interno della Repubblica Italiana. In altre parole ritengo fermamente che la Repubblica Italiana sia costituzionalmente uno Stato plurietnico e perciò plurinazionale (ovviamente, lo ripeto, mi riferisco all'esistenza di etnie non italiche costituite in comunità "storiche" radicate in territori definiti all'interno dei confini della Repubblica).
Il diritto ad un Inno Nazionale Sardo - come anche quello a definire la Sardegna Patria nazionale del Popolo Sardo - è pertanto non una concessione retorica ad una tradizione popolare decaduta a valenza di tipo folkloristico, ma un diritto inalienabile, pur nella unitarietà dell'ordinamento statuale italiano di cui la Sardegna e il suo Popolo fanno parte integrante nell'attualità storica, peraltro protesa ad evoluzione federalista nel quadro italiano e nazionalitaria nel quadro dell'unità europea.(1)
Più controversa è la questione se si possa parlare di "sovranità" del Popolo Sardo.
Mi sia consentito un accenno, data l'ultima strofa del mio Inno.
Come è risaputo la Legge della Regione Sarda del 23 maggio 2006, n. 7, (1) aveva riconosciuto e sostenuto questa tesi - largamente condivisa in sede scientifica e politica in Sardegna - sia nel titolo ("Istituzione, attribuzioni e disciplina della Consulta per il nuovo statuto di autonomia e sovranità del popolo sardo), sia nell'art. 1, comma 1, che nell'art. 2, comma 2, lett. a), e comma 3. Si sa che a seguito di ricorso del Governo (2) la Corte Costituzionale con sentenza n. 365 del 7-11-2007 ha dichiarato l'illegittimità di queste espressioni giudicate in contrasto con gli artt. 1, 5 e 114 della Costituzione e con l'articolo 1 dello Statuto Speciale della Sardegna (3).
Mi sia consentito di far presente sommessamente che, al di là del legittimo e doveroso dibattito sulla sentenza richiamata e le sue motivazioni (4), ciò che interessa a noi in questa sede non è la sovranità del Popolo sardo soltanto in quanto soggetto dell'ordinamento italiano, sovranità non accolta dalla Corte Costituzionale, ma soprattutto in quanto soggetto nazionalitario, cioè incarnazione ed espressione della Nazione Sarda. E, ad avviso di quanti non si stancano di richiamare la fondazione antropologica del diritto naturale, la sovranità di una nazione è analoga alla libertà e dignità della persona umana, anzi ne è la proiezione collettiva. E se all'art.1 della "Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo",adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948, leggiamo che "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti", analogamente tutte le nazioni nascono libere ed eguali in dignità e diritti, cioè sovrane, perchè la nazione non è altro che l'insieme nativo storico particolare di quegli esseri umani associati naturalmente per appartenenza etnico-culturale, convivenza geograficamente delimitata e caratterizzata da comuni interessi socio-economici. Le vicende storiche possono far venir meno o attenuare considerevolmente detta sovranità nel diritto positivo, ma essa non può essere soppressa eticamente e sussiste come connotazione costitutiva inscindibile di diritto naturale.
La sovranità della Nazione Sarda è pertanto innegabile, a meno di sostenere che la Sardegna si trovi in una condizione di dominazione esterna, di "occupazione" straniera, di sudditanza coloniale, di impossibilità di esprimersi democraticamente.
Tale sovranità non è certamente oggi di tipo statuale, di rilevanza formale internazionale, ma è reale, perché morale (cioè consistente in una stabile tensione etico-culturale basata sull'autocoscienza dell'identità nazionale) e quindi politica e pertanto oggettivamente, pur non formalmente, rilevante anche per l'ordinamento italiano sia statale che regionale e indirettamente per l'ordinamento internazionale.
Le espressioni di tale sovranità coincidono oggi con quelle della volontà democratica del Popolo Sardo in quanto soggetto dell'ordinamento italiano, ma il loro "peso" morale e politico va al di là di quelle espressioni derivanti dalla sola soggettività di diritto positivo; esse esprimono prima di tutto il rinnovarsi nel tempo e l'attualizzarsi dell'adesione della Nazione Sarda allo Stato italiano, adesione che è frutto di una rinuncia volontaria alla statualità sarda e di un patto morale di solidarietà totale e che pertanto si attua nella reciprocità dei sacrifici e benefici equamente partecipati. Il "sentire nazionale" (cioè la coscienza della propria identità nazionale sarda) non è dunque oggi in alternativa a quello di italianità, ma questa è stata acquisita per le circostanze storiche intervenute e per la conseguente reciproca "convenienza" (nella più ampia accezione, anche morale) storica, non è nativa e pertanto indismissibile qualunque siano le situazioni, cioè anche se si dovessero determinare condizioni ritenute democraticamente inaccettabili, o non convenienti strategicamente sul lungo periodo storico, per la Sardegna ed i Sardi.
Guardando in positivo, il Popolo Sardo attraverso il circuito democratico partecipa, come parte attualmente integrante ed integrata, alla sovranità costituzionale del Popolo della Repubblica Italiana nelle forme e nei modi sanciti dall'attuale ordinamento statuale; ma insieme e prima di tutto è soggetto espressivo della originaria naturale sovranità della insopprimibile Nazione Sarda e come tale è sempre responsabile - mediante la pacifica espressione democratica - delle sorti della Sardegna, oggi nella adesione attiva e leale allo Stato italiano, come un domani, forse non molto lontano, nella partecipazione istituzionalmente più diretta all'ordinamento europeo, magari anche attraverso la transizione di configurazioni costituzionali federaliste dello Stato Italiano che consentano per molte "materie" un rapporto appunto più diretto con le istituzioni europee.
Il fatto che la predetta adesione sia rinnovata tacitamente con la partecipazione alla vita statuale democratica italiana non significa che sia stata data una volta per tutte in termini non più discutibili, sempre nella pacifica dialettica democratica.
Certamente l'unità statuale italiana è sempre più "com-promettente" man mano che passa il tempo, ma è anche vero che fortunatamente oggi è venuta meno la cultura della statualità "sacrale" ed il conseguente suo culto acritico e fanatico. E ciò vale soprattutto oggi che si affaccia all'orizzonte storico (magari per la sua attuazione passerà qualche decennio) il progetto dell'Europa non degli Stati ex ottocenteschi, ma dei Popoli, cioè dei soggetti nazionalitari portatori di valori e culture per un Europa non semplicemente federazione di Stati preesistenti, ma più riccamente risultanza dinamica di un crogiolo unitario di Nazioni. In tale crogiuolo le Nazioni europee, ponendosi al di là delle gabbie statuali del passato, devono essere disposte a dare e a ricevere, pur custodendo gelosamente la propria identità come patrimonio di ciascuna e di tutte per una sintesi culturale e geopolitico-istituzionale nuova e più alta, proiettata verso la governance della globalizzazione dei processi economici, culturali, sociali e politici che, soltanto se guidati fuori dagli egoismi e antagonismi degli Stati tradizionali, possono salvare il pianeta dal collasso ecologico e/o dall'autodistruzione per guerre disperate di sopravvivenza o di difesa o acquisizione prepotente di materie o risorse primarie.
In questo quadro dinamico la sovranità del Popolo Sardo - in quanto soggetto nazionalitario - sulle sorti della Sardegna e dei Sardi è e sarà allo stesso tempo la risultanza e la prospettiva storica dei processi richiamati, non per contrastare in negativo alcunché di valido nell'interesse concreto dei Sardi nell'attualità, ma, al contrario, per promuovere con coraggio una Sardegna, un'Italia, un'Europa ed un mondo più capaci di dare risposte nuove, "a misura d'uomo" ai nostri figli, fuori e oltre le culture ottocentesche.
Saremo "all'altezza" della situazione storica e sapremo misurarci con questa sfida del terzo millennio?
Sassari, 8 settembre 2008
(1) Sui rapporti tra Nazione Sarda e Popolo Sardo e Nazione Italiana e Popolo Italiano v. la Relazione, il Preambolo e la parte dispositiva del Disegno di Legge Costituzionale n. 352 del Sen. F. Cossiga - Senato della Repubblica - del 15 maggio 2006 "Nuovo Statuto della Regione Autonoma della Sardegna - Costituzione della Comunità Autonoma di Sardegna e Noa Carta de Logu de sa Comunidade Autonoma de Sardigna", in http://www.consregsardegna.it/ACRS/NuovoStatuto/Meterialeedocumentazione/Sardegna/Progetto%20di%20Legge%20Cossiga%20per%20un%20Nuovo%20Statuto%20Speciale%20Sardo.pdf ").
(2) v. http://consiglio.regione.sardegna.it/XIIILegislatura/Leggi%20approvate/lr2006-7.asp
(3) v. http://www.regione.sardegna.it/documenti/1_22_20060911101639.pdf
e l'impugnativa del Consiglio dei Ministri in
http://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?dpath=document&dfile=26092006073600.pdf&content=Corte+Costituzionale,+Impugnativa+Impugnativa+della+L.R.+Sardegna+n.+7/2006 ,
+'Istituzione,+attribuzioni+e+disciplina+della+Consulta+per+il+nuovo+statuto+di+autonomia+e+sovranit%C3%A0+del+popolo+sardo'+-+regioni+-+documentazione+-+
(4)v. http://www.cortecostituzionale.it/informazione/rassegna_stampa/rassegnastampaquestionidecise/schedaDec.asp?sez=seguito&Comando=LET&NoDec=365&AnnoDec=2007&annopubblicazione=2007
(5) v. per una sintesi i saggi di
- P. Caretti in
http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/giurisprudenza/2007/0010_caretti_nota_365_2007.pdf
- di O. Chessa in
http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/giurisprudenza/2007/0004_chessa_nota_365_2007.pdf
- di P. Passaglia in
http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/giurisprudenza/2007/0021_nota_365_2007_passaglia.pdf
- di A. Mangia in
http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/giurisprudenza/2007/0018_nota_365_2007_mangia.pdf
- di Adele Anzon Demmig in
http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/dottrina/autonomie/anzon.html
de "Sardigna, Pàtria amada!"
Oggi finalmente è stato acquisito pacificamente da tutti i Sardi nella travagliata maturazione della nostra cultura politica democratica che la non statualità della Sardegna non sopprime la Nazione Sarda come soggetto di diritti naturali prestatuali (l'identità etnica, la memoria storica - ed in essa quella delle passate statualità, quelle vissute non nella soggezione di "occupati" o colonizzati, ma nella partecipazione attiva alla cittadinanza nella parità dei diritti e doveri - la lingua, la cultura, l'integrità del territorio, il diritto ad usufruirne da parte delle comunità, l'autogoverno in tutto ciò che riguarda direttamente la Sardegna, la salvaguardia dell'ambiente, della sua salubrità e peculiarità, la precedenza dei residenti nel godere dei benefici derivanti dall'utilizzo non distruttivo delle risorse primarie dei territori ecc.). Ne consegue che il Popolo Sardo, anche soggetto politico-istituzionale nell'ordinamento statuale italiano (v. ad es. Statuto Sardo art. 28), poiché incarna detta Nazione, si pone anche e prima di tutto come soggetto portatore ed espressione di questa peculiare identità nazionalitaria che non solo esso Popolo ha diritto di rivendicare e proclamare, ma che lo pone - anche per la volontaria rinuncia alla precedente statualità - in parità morale con il Popolo "Italiano" (con cui è ora unito nella statualità e con il quale, insieme ad altre etnie, costituisce il Popolo della Repubblica Italiana) in quanto la sua soggettività non nasce con l'ordinamento statuale italiano, ma è preesistente ad esso ordinamento, che appunto non la costituisce, ma soltanto la riconosce ai fini dell'attività politico-istituzionale.
Oltre al richiamo fondamentale dell'art. 28 dello Statuto Sardo - che è legge costituzionale - mi sia consentito ricordare che la Costituzione non parla mai di "Popolo Italiano", espressione riassuntiva più "facile" invalsa almeno da un secolo e mezzo nella vita politica anche per una chiara volontà di integrazione e unificazione di tipo omogeneizzante. La Costituzione parla sempre e soltanto di "Popolo" (artt. 1, 71, 101, 102). Ed infatti l'"Italia" dell'art. 1 non è realtà geo-politico-istituzionale
Purtroppo - alla luce di quanto testè illustrato - del tutto improprio ed equivoco è l'uso dei termini "Nazione/i" e "nazionale/i" nel testo della Costituzione, come anche - per trascinamento terminologico dei riferimenti al primo - in quelli dello Statuto speciale per la Sardegna (L. Cost. 26 febbraio 1948 n. 3 e succ. mod.) e della L. n. 482/1999 richiamata.
In tutti i casi in cui ricorrono (Costituzione: artt. 9, 11, 16, 49, 67, 87, 98, 99, 117, 120, 126 e Disp. trans. III e XIII) (Statuto Sardo: artt. 3, 7, 33, 50, 53, 54) (L. n. 482/1999: artt. 4, 5, 9) questi termini non hanno mai la significanza propria etimologica di una particolare identità etnico-culturale, matrice demologica ed etico-politica della soggettualità storica dello Stato italiano, il quale di conseguenza ne sarebbe espressione univoca; essi invece nella loro significanza testuale e contestuale sono un chiaro portato di aspetti ineludibili della cultura politica post-rivoluzionaria francese e poi in continuità di quella risorgimentale protesa alla unificazione statuale dell'Italia (aspetti culturali purtroppo esasperati in seguito a mitizzazione sacrale e fanatica nel ventennio fascista). Fatto sta che in tutti quegli articoli i termini in esame possono essere sostituiti tout court con "Stato/i", "dello Stato", "statale/i", "Repubblica", "della Repubblica", "repubblicano/i" "generale pubblico" ed equivalenti.
Non esiste pertanto, a mio avviso, alcuna norma costituzionale che sancisca l'unicità di una "Nazione italiana" di cui sia espressione il Popolo della Repubblica, o sancisca la non compatibilità di altra Nazione, oltre a quella italica, all'interno della Repubblica Italiana. In altre parole ritengo fermamente che la Repubblica Italiana sia costituzionalmente uno Stato plurietnico e perciò plurinazionale (ovviamente, lo ripeto, mi riferisco all'esistenza di etnie non italiche costituite in comunità "storiche" radicate in territori definiti all'interno dei confini della Repubblica).
Il diritto ad un Inno Nazionale Sardo - come anche quello a definire la Sardegna Patria nazionale del Popolo Sardo - è pertanto non una concessione retorica ad una tradizione popolare decaduta a valenza di tipo folkloristico, ma un diritto inalienabile, pur nella unitarietà dell'ordinamento statuale italiano di cui la Sardegna e il suo Popolo fanno parte integrante nell'attualità storica, peraltro protesa ad evoluzione federalista nel quadro italiano e nazionalitaria nel quadro dell'unità europea.(1)
Più controversa è la questione se si possa parlare di "sovranità" del Popolo Sardo.
Mi sia consentito un accenno, data l'ultima strofa del mio Inno.
Come è risaputo la Legge della Regione Sarda del 23 maggio 2006, n. 7, (1) aveva riconosciuto e sostenuto questa tesi - largamente condivisa in sede scientifica e politica in Sardegna - sia nel titolo ("Istituzione, attribuzioni e disciplina della Consulta per il nuovo statuto di autonomia e sovranità del popolo sardo), sia nell'art. 1, comma 1, che nell'art. 2, comma 2, lett. a), e comma 3. Si sa che a seguito di ricorso del Governo (2) la Corte Costituzionale con sentenza n. 365 del 7-11-2007 ha dichiarato l'illegittimità di queste espressioni giudicate in contrasto con gli artt. 1, 5 e 114 della Costituzione e con l'articolo 1 dello Statuto Speciale della Sardegna (3).
Mi sia consentito di far presente sommessamente che, al di là del legittimo e doveroso dibattito sulla sentenza richiamata e le sue motivazioni (4), ciò che interessa a noi in questa sede non è la sovranità del Popolo sardo soltanto in quanto soggetto dell'ordinamento italiano, sovranità non accolta dalla Corte Costituzionale, ma soprattutto in quanto soggetto nazionalitario, cioè incarnazione ed espressione della Nazione Sarda. E, ad avviso di quanti non si stancano di richiamare la fondazione antropologica del diritto naturale, la sovranità di una nazione è analoga alla libertà e dignità della persona umana, anzi ne è la proiezione collettiva. E se all'art.1 della "Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo",adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948, leggiamo che "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti", analogamente tutte le nazioni nascono libere ed eguali in dignità e diritti, cioè sovrane, perchè la nazione non è altro che l'insieme nativo storico particolare di quegli esseri umani associati naturalmente per appartenenza etnico-culturale, convivenza geograficamente delimitata e caratterizzata da comuni interessi socio-economici. Le vicende storiche possono far venir meno o attenuare considerevolmente detta sovranità nel diritto positivo, ma essa non può essere soppressa eticamente e sussiste come connotazione costitutiva inscindibile di diritto naturale.
La sovranità della Nazione Sarda è pertanto innegabile, a meno di sostenere che la Sardegna si trovi in una condizione di dominazione esterna, di "occupazione" straniera, di sudditanza coloniale, di impossibilità di esprimersi democraticamente.
Tale sovranità non è certamente oggi di tipo statuale, di rilevanza formale internazionale, ma è reale, perché morale (cioè consistente in una stabile tensione etico-culturale basata sull'autocoscienza dell'identità nazionale) e quindi politica e pertanto oggettivamente, pur non formalmente, rilevante anche per l'ordinamento italiano sia statale che regionale e indirettamente per l'ordinamento internazionale.
Le espressioni di tale sovranità coincidono oggi con quelle della volontà democratica del Popolo Sardo in quanto soggetto dell'ordinamento italiano, ma il loro "peso" morale e politico va al di là di quelle espressioni derivanti dalla sola soggettività di diritto positivo; esse esprimono prima di tutto il rinnovarsi nel tempo e l'attualizzarsi dell'adesione della Nazione Sarda allo Stato italiano, adesione che è frutto di una rinuncia volontaria alla statualità sarda e di un patto morale di solidarietà totale e che pertanto si attua nella reciprocità dei sacrifici e benefici equamente partecipati. Il "sentire nazionale" (cioè la coscienza della propria identità nazionale sarda) non è dunque oggi in alternativa a quello di italianità, ma questa è stata acquisita per le circostanze storiche intervenute e per la conseguente reciproca "convenienza" (nella più ampia accezione, anche morale) storica, non è nativa e pertanto indismissibile qualunque siano le situazioni, cioè anche se si dovessero determinare condizioni ritenute democraticamente inaccettabili, o non convenienti strategicamente sul lungo periodo storico, per la Sardegna ed i Sardi.
Guardando in positivo, il Popolo Sardo attraverso il circuito democratico partecipa, come parte attualmente integrante ed integrata, alla sovranità costituzionale del Popolo della Repubblica Italiana nelle forme e nei modi sanciti dall'attuale ordinamento statuale; ma insieme e prima di tutto è soggetto espressivo della originaria naturale sovranità della insopprimibile Nazione Sarda e come tale è sempre responsabile - mediante la pacifica espressione democratica - delle sorti della Sardegna, oggi nella adesione attiva e leale allo Stato italiano, come un domani, forse non molto lontano, nella partecipazione istituzionalmente più diretta all'ordinamento europeo, magari anche attraverso la transizione di configurazioni costituzionali federaliste dello Stato Italiano che consentano per molte "materie" un rapporto appunto più diretto con le istituzioni europee.
Il fatto che la predetta adesione sia rinnovata tacitamente con la partecipazione alla vita statuale democratica italiana non significa che sia stata data una volta per tutte in termini non più discutibili, sempre nella pacifica dialettica democratica.
Certamente l'unità statuale italiana è sempre più "com-promettente" man mano che passa il tempo, ma è anche vero che fortunatamente oggi è venuta meno la cultura della statualità "sacrale" ed il conseguente suo culto acritico e fanatico. E ciò vale soprattutto oggi che si affaccia all'orizzonte storico (magari per la sua attuazione passerà qualche decennio) il progetto dell'Europa non degli Stati ex ottocenteschi, ma dei Popoli, cioè dei soggetti nazionalitari portatori di valori e culture per un Europa non semplicemente federazione di Stati preesistenti, ma più riccamente risultanza dinamica di un crogiolo unitario di Nazioni. In tale crogiuolo le Nazioni europee, ponendosi al di là delle gabbie statuali del passato, devono essere disposte a dare e a ricevere, pur custodendo gelosamente la propria identità come patrimonio di ciascuna e di tutte per una sintesi culturale e geopolitico-istituzionale nuova e più alta, proiettata verso la governance della globalizzazione dei processi economici, culturali, sociali e politici che, soltanto se guidati fuori dagli egoismi e antagonismi degli Stati tradizionali, possono salvare il pianeta dal collasso ecologico e/o dall'autodistruzione per guerre disperate di sopravvivenza o di difesa o acquisizione prepotente di materie o risorse primarie.
In questo quadro dinamico la sovranità del Popolo Sardo - in quanto soggetto nazionalitario - sulle sorti della Sardegna e dei Sardi è e sarà allo stesso tempo la risultanza e la prospettiva storica dei processi richiamati, non per contrastare in negativo alcunché di valido nell'interesse concreto dei Sardi nell'attualità, ma, al contrario, per promuovere con coraggio una Sardegna, un'Italia, un'Europa ed un mondo più capaci di dare risposte nuove, "a misura d'uomo" ai nostri figli, fuori e oltre le culture ottocentesche.
Saremo "all'altezza" della situazione storica e sapremo misurarci con questa sfida del terzo millennio?
Sassari, 8 settembre 2008
(1) Sui rapporti tra Nazione Sarda e Popolo Sardo e Nazione Italiana e Popolo Italiano v. la Relazione, il Preambolo e la parte dispositiva del Disegno di Legge Costituzionale n. 352 del Sen. F. Cossiga - Senato della Repubblica - del 15 maggio 2006 "Nuovo Statuto della Regione Autonoma della Sardegna - Costituzione della Comunità Autonoma di Sardegna e Noa Carta de Logu de sa Comunidade Autonoma de Sardigna", in http://www.consregsardegna
(2) v. http://consiglio.regione.s
(3) v. http://www.regione.sardegn
e l'impugnativa del Consiglio dei Ministri in
http://www.federalismi.it/
+'Istituzione,+attribuzion
(4)v. http://www.cortecostituzio
(5) v. per una sintesi i saggi di
- P. Caretti in
http://www.forumcostituzio
- di O. Chessa in
http://www.forumcostituzio
- di P. Passaglia in
http://www.forumcostituzio
- di A. Mangia in
http://www.forumcostituzio
- di Adele Anzon Demmig in
http://www.associazionedei
martedì 6 aprile 2010
Figli dell' officina... Vieni oh maggio
Figli dell' officina
o figli della terra
gia l' ora si avvicina
della più giusta guerra
la guerra proletaria
guerra senza frontiere
innalzeremo al vento
bandiere rosse e nere
Avanti
siam ribelli
fieri vendicator
un mondo di fratelli
liberi
dal lavor
Dai monti e dalle valli
giù giù scendiamo in
fretta
con queste man dai calli
noi la farem vendetta
del
popolo gli arditi
noi siamo i fior più puri
fiori non
appassiti
dal lezzo dei tuguri
Avanti siam ribelli
fieri
vendicator
un mondo di fratelli
liberi dal lavor
Noi
salutiam la morte
bella e vendicatrice
che schiuderà le porte a
un' era più felice
ai morti ci stringiamo
e senza impallidire
per
l' anarchia pugnamo
o vincere o morire
Avanti siam ribelli
fieri
vendicator
un mondo di fratelli
liberi dal lavor
Vieni
o Maggio t'aspettan le genti
ti salutano i liberi cuori
dolce
Pasqua dei lavoratori
vieni e splendi alla gloria del sol
Squilli
un inno di alate speranze
al gran verde che il frutto matura
a
la vasta ideal fioritura
in cui freme il lucente avvenir
Disertate
o falangi di schiavi
dai cantieri da l'arse officine
via
dai campi su da le marine
tregua tregua all'eterno sudor!
Innalziamo
le mani incallite
e sian fascio di forze fecondo
noi
vogliamo redimere il mondo
dai tiranni de l'ozio e de l'or
Giovinezze
dolori ideali
primavere dal fascino arcano
verde maggio
del genere umano
date ai petti il coraggio e la fè
Date
fiori ai ribelli caduti
collo sguardo rivolto all'aurora
al
gagliardo che lotta e lavora
al veggente poeta che muor!
Testo
Pietro Gori
martedì 16 marzo 2010
ATOBIU A GONNESA IN S'ULIVARIU IN PITZUS DE: Sa Cultura Economia e Traballu
Sayli Vaturu
Sa defenza sotziali
Domenica 14 marzo a Gonnesa, paese dell'iglesiente legato alla cultura mineraria del secolo scorso, oggi lavora per un futuro diverso dall'apparente deserto lavorativo ed economico, quale luogo migliore per presentare una nuova idea di finanza ed economia per il lavoro.
La giornata è molto fredda ma radiosa per la luce irradiata dal nostro amabile sole, le persone si avvicendano nella piazza davanti alla vecchia villa ristrutturata chiamata S'Ulivariu, in realtà è la vecchia casa di un sindaco dell'ottocento, ma, essendo lasciata allo stato di abbandono, il comune ha pensato bene di ristrutturarlo, e lo ha messo a disposizione della comunità Gonnesina e sarda tutta.
La piazza virtuale Facebook ha chiamato a raduno tante persone , interessate allo sviluppo Culturale Economico-sociale e lavorativo della Sardegna e tutte le zone di crisi nella nostra natzione.
Carlo Lai dell'associazione Andara ha aperto i lavori con una analisi profonda ed arguta su l'unità del popolo sardo affinche si possano aprire nuovi orizzonti per la natzione sarda , il suo è stato un discorsso preparatorio per quanto poi le ralazioni hanno dato vita al simposio sulla cultura l'economia e il lavoro in sardegna.
Paolo Biancu relatore principale dell'evento ha posto in campo la sua esperienza di professore di Economia proponendo un'economia locale basata su capitali sociali condivisi da una molteplicità di soggetti .. il popolo sardo . L'intento la costituzione di una banca rurale diffusa per la realizzazione di progetti che diano l'input alla realizzazione di un nuovo soggetto sociale operativo su tutto il territorio natzionale sardo.
Paolo ci rammenta quanto affermato da Gramsci nostro compatriota "Senza radici non esiste Sardità. I ricordi delle radici sono i ricordi della propria terra, dell´umanitá, della natura e della cultura del luogo e ci riportano alla memoria singolare di ognuno di noi...."
Marco Cannas ha trattato l'aspetto ambientale in cui si è trovata la sardegna post industriale , a dover affrontare iuna situacione dffusa nelle zone indiìustriali di inquinamento disastroso, con la condizione pesante dovuta alla non partcipazione alla bonifica deìi teritoi dalle aziende in fuga come dei ladri di futuro mancato.
Marco Cannas narat:" In S'olivariu, nci fiat po fintzas'e unu mulinu, istadhas po bestiaminis, ortus, e medas matas de mendulas e olias, de sa famillia de su caballeri Toro, podestargiu de Gonnesa a is tempus de sa furriada de su 1906. Issu fiat nasciu in Suedhi. Is netus e is netas oj bivint in Castedhu, ant bendiu bona parti de su poderi e cust'atra parti dh'ant lassat a su comuna. Sa domu de is de Toro, parit chi siat stetiu unu cunventu de mongias, poita est agoa de sa cresia, mi depu informai beni po custa noa. Poita ca sa cresia titulada a Sant'Andria, inantis de su 1100-1200 d.c., fiat tzerriat a santa Maria de Flumentebidu. Seus cichendi paperis po fai "monumentus abertus", intzandus seus in circa de s'istoria de custu logu. Depu tenni una foto de su 1906 aundi si bit su mulinu."
Paola Alcioni "sa Cantadora" la poetessa sarda , ha delineato una nuova strada culturale sarda , tutta riscossa e niente pianto per un passato disastroso, ha iniziato ponendo un detto in auge da secoli condiviso ma combattuto dai rivoluzionari sardi: "pocos locos e malunidos" per metterlo in discussione e trasformare le traversie in opportunità, in modo radicale e potentemente attivo e costruttivo, piena delle sue idee fortza che porta nel grembo di Donna sarda indipendentista, deteminata nel dar voce all'inconosciuto mondo dell'utopia pregna di sovranità.
Mario Puddu, ha incentrato la sua relazione su: "Cultura e lingua sarda", espone la sua idea di cultura dicendo che la cultura deve prendere in se in senso largo la conoscenza e scrivere , specialmente in un tempo in cui il mondo si è fatto paese, e questo è un'un'idea che è nella testa di tutti. "La cultura di un popolo è cio che si coltiva, perciò bisogna chiedersi , dice Mario, cosa stiamo coltivando.." Mette i punti fondamentali sulla scolarità e perciò su quale scuola sarda è possibile.
Critica aspramente la mancata realizzazione dell'intento natzionale di sovranità che il partito sardo d'azione o partidu sardu non ha portato in essere , e questo a motivo della perdita di rotta dei suoi dirigenti natzionali.
Un'analisi pungente e pragmatica com'è d'uso fare il professor Puddu.
Noi pensiamo in un continum analitico de sa cantadora e del professor Puddu che il popolo sardo non meriti tanto disastro nella rappresentanza politica, è di fatto un polo della disinfomatzia italiota e della società del consumo in cui ci troviamo, un popolo abbandonato e portato alla sbando di un infausto destino dettato da politici sardi bramosi solo della propria tasche , inetti e servi italioti, proni al dictat romano asserviti sia nella finanza spicciola che culturalmente schiavi di una logica padrona e coloniale che è il disastro per la nostra natzione e società.
Nella loro espressione dei partiti emissari e filo italianisti insipienti ed egoisticamente arrivisti, si dimostrano personaggi blandi e confusi impegnati a dare forza alla loro finanza sempre attiva delle loro tasche alla ricerca di popolarità e soddisfazione personale, invece che servire il popolo quale mandato da loro ricevuto affinchè lottino per dare pane e lavoro al nostro popolo sofferente e affamato, auspichiamo per questi energumeni quanto detto in un motto popolare tutto tondo: "bifolchi" che meritano altro che la gogna.
Interventi molti, Aurora Pigliapochi ha intrecciato la cultura sarda con l'economia sociale, Bustianu Cumpostu coordinatore natzionale di Sardigna Natzione Indipendentzia, ha posto l'accento sul fatto che bisogna che si produca per le esigenze o bisogni di un popolo invece che per il suo consumo fine a se stesso, infatti la società sarda passata aveva dei codici comportamentali sociali che portavano ad una socialità del lavoro e di tutta la sua condizione strutturale economica.
E' la storia di un popolo, il sardo, che non ha ancora uno stato, ma è una nazione millenaria, che la storia ricorda nei Nuragici gli Shardana, per arrivare fino ai giudicati, ed il regno di Sardegna e Corsica per trasformarsi in regno di Sardegna eppoi assieme ai cattivi compagni del ducato di savoia il principato di piemonte e la contea di nizza è divenuto uno strmpalato regno di italia, rubando prima la corona al regno di Sardegna.. bravi savoiardi.. ladri ieri ed assassini oggi .. vedi Hammer alla'isola di cavallo in Corsica... eppoi han rubato la nostra storia cancellandola umiliando la nostra dignità..
Sa defenza sotziali
Domenica 14 marzo a Gonnesa, paese dell'iglesiente legato alla cultura mineraria del secolo scorso, oggi lavora per un futuro diverso dall'apparente deserto lavorativo ed economico, quale luogo migliore per presentare una nuova idea di finanza ed economia per il lavoro.
La giornata è molto fredda ma radiosa per la luce irradiata dal nostro amabile sole, le persone si avvicendano nella piazza davanti alla vecchia villa ristrutturata chiamata S'Ulivariu, in realtà è la vecchia casa di un sindaco dell'ottocento, ma, essendo lasciata allo stato di abbandono, il comune ha pensato bene di ristrutturarlo, e lo ha messo a disposizione della comunità Gonnesina e sarda tutta.
La piazza virtuale Facebook ha chiamato a raduno tante persone , interessate allo sviluppo Culturale Economico-sociale e lavorativo della Sardegna e tutte le zone di crisi nella nostra natzione.
Carlo Lai dell'associazione Andara ha aperto i lavori con una analisi profonda ed arguta su l'unità del popolo sardo affinche si possano aprire nuovi orizzonti per la natzione sarda , il suo è stato un discorsso preparatorio per quanto poi le ralazioni hanno dato vita al simposio sulla cultura l'economia e il lavoro in sardegna.
Paolo Biancu relatore principale dell'evento ha posto in campo la sua esperienza di professore di Economia proponendo un'economia locale basata su capitali sociali condivisi da una molteplicità di soggetti .. il popolo sardo . L'intento la costituzione di una banca rurale diffusa per la realizzazione di progetti che diano l'input alla realizzazione di un nuovo soggetto sociale operativo su tutto il territorio natzionale sardo.
Paolo ci rammenta quanto affermato da Gramsci nostro compatriota "Senza radici non esiste Sardità. I ricordi delle radici sono i ricordi della propria terra, dell´umanitá, della natura e della cultura del luogo e ci riportano alla memoria singolare di ognuno di noi...."
Marco Cannas ha trattato l'aspetto ambientale in cui si è trovata la sardegna post industriale , a dover affrontare iuna situacione dffusa nelle zone indiìustriali di inquinamento disastroso, con la condizione pesante dovuta alla non partcipazione alla bonifica deìi teritoi dalle aziende in fuga come dei ladri di futuro mancato.
Marco Cannas narat:" In S'olivariu, nci fiat po fintzas'e unu mulinu, istadhas po bestiaminis, ortus, e medas matas de mendulas e olias, de sa famillia de su caballeri Toro, podestargiu de Gonnesa a is tempus de sa furriada de su 1906. Issu fiat nasciu in Suedhi. Is netus e is netas oj bivint in Castedhu, ant bendiu bona parti de su poderi e cust'atra parti dh'ant lassat a su comuna. Sa domu de is de Toro, parit chi siat stetiu unu cunventu de mongias, poita est agoa de sa cresia, mi depu informai beni po custa noa. Poita ca sa cresia titulada a Sant'Andria, inantis de su 1100-1200 d.c., fiat tzerriat a santa Maria de Flumentebidu. Seus cichendi paperis po fai "monumentus abertus", intzandus seus in circa de s'istoria de custu logu. Depu tenni una foto de su 1906 aundi si bit su mulinu."
Paola Alcioni "sa Cantadora" la poetessa sarda , ha delineato una nuova strada culturale sarda , tutta riscossa e niente pianto per un passato disastroso, ha iniziato ponendo un detto in auge da secoli condiviso ma combattuto dai rivoluzionari sardi: "pocos locos e malunidos" per metterlo in discussione e trasformare le traversie in opportunità, in modo radicale e potentemente attivo e costruttivo, piena delle sue idee fortza che porta nel grembo di Donna sarda indipendentista, deteminata nel dar voce all'inconosciuto mondo dell'utopia pregna di sovranità.
Mario Puddu, ha incentrato la sua relazione su: "Cultura e lingua sarda", espone la sua idea di cultura dicendo che la cultura deve prendere in se in senso largo la conoscenza e scrivere , specialmente in un tempo in cui il mondo si è fatto paese, e questo è un'un'idea che è nella testa di tutti. "La cultura di un popolo è cio che si coltiva, perciò bisogna chiedersi , dice Mario, cosa stiamo coltivando.." Mette i punti fondamentali sulla scolarità e perciò su quale scuola sarda è possibile.
Critica aspramente la mancata realizzazione dell'intento natzionale di sovranità che il partito sardo d'azione o partidu sardu non ha portato in essere , e questo a motivo della perdita di rotta dei suoi dirigenti natzionali.
Un'analisi pungente e pragmatica com'è d'uso fare il professor Puddu.
Noi pensiamo in un continum analitico de sa cantadora e del professor Puddu che il popolo sardo non meriti tanto disastro nella rappresentanza politica, è di fatto un polo della disinfomatzia italiota e della società del consumo in cui ci troviamo, un popolo abbandonato e portato alla sbando di un infausto destino dettato da politici sardi bramosi solo della propria tasche , inetti e servi italioti, proni al dictat romano asserviti sia nella finanza spicciola che culturalmente schiavi di una logica padrona e coloniale che è il disastro per la nostra natzione e società.
Nella loro espressione dei partiti emissari e filo italianisti insipienti ed egoisticamente arrivisti, si dimostrano personaggi blandi e confusi impegnati a dare forza alla loro finanza sempre attiva delle loro tasche alla ricerca di popolarità e soddisfazione personale, invece che servire il popolo quale mandato da loro ricevuto affinchè lottino per dare pane e lavoro al nostro popolo sofferente e affamato, auspichiamo per questi energumeni quanto detto in un motto popolare tutto tondo: "bifolchi" che meritano altro che la gogna.
Interventi molti, Aurora Pigliapochi ha intrecciato la cultura sarda con l'economia sociale, Bustianu Cumpostu coordinatore natzionale di Sardigna Natzione Indipendentzia, ha posto l'accento sul fatto che bisogna che si produca per le esigenze o bisogni di un popolo invece che per il suo consumo fine a se stesso, infatti la società sarda passata aveva dei codici comportamentali sociali che portavano ad una socialità del lavoro e di tutta la sua condizione strutturale economica.
E' la storia di un popolo, il sardo, che non ha ancora uno stato, ma è una nazione millenaria, che la storia ricorda nei Nuragici gli Shardana, per arrivare fino ai giudicati, ed il regno di Sardegna e Corsica per trasformarsi in regno di Sardegna eppoi assieme ai cattivi compagni del ducato di savoia il principato di piemonte e la contea di nizza è divenuto uno strmpalato regno di italia, rubando prima la corona al regno di Sardegna.. bravi savoiardi.. ladri ieri ed assassini oggi .. vedi Hammer alla'isola di cavallo in Corsica... eppoi han rubato la nostra storia cancellandola umiliando la nostra dignità..
venerdì 12 marzo 2010
I CINQUE ‘STATI NUCLEARI NON DICHIARATI’
DEL PROF. MICHEL CHOSSUDOVSKY
Global Research
Turchia, Germania, Belgio, Olanda e Italia sono Potenze Nucleari?
Secondo una recente relazione, l’ex Segretario Generale della NATO George Robertson ha confermato che la Turchia possiede da 40 a 90 armi nucleari “Made in USA” nella base militare di Incirlik. (en.trend.az/)
Significa che la Turchia è una potenza nucleare?
“Lungi dal rendere l’Europa un posto più sicuro e dal creare un’Europa meno dipendente dal nucleare, [la strategia] potrebbe tranquillamente avere come risultato quello di introdurre più armi nucleari nel continente europeo, frustrando così alcuni dei tentativi che si stanno compiendo per ottenere un disarmo nucleare multilaterale” (citazione dall’ex Segretario Generale della NATO George Robertson su “Global Security” del 10 febbraio 2010).
“L’Italia è in grado di sferrare un attacco termonucleare?…
Sarebbero in grado Belgio e Olanda di sganciare bombe a idrogeno sul bersaglio nemico?…
Le forze aeree tedesche non potrebbero forse essere istruite per gettare bombe 13 volte più potenti rispetto a quella che ha distrutto Hiroshima?
Le bombe nucleari vengono conservate in basi aeree dislocate in Italia, Belgio, Germania e Olanda – e gli aerei di ciascuno di questi paesi sono in grado di trasportarle” ("Cosa Fare in merito alle Testate Nucleari Segrete dell’Europa”[1], Times Magazine, 2 dicembre 2010)
Gli Stati Nucleari “Ufficiali”
Cinque Paesi, ovvero America, Inghilterra, Francia, Cina e Russia, sono considerati “stati nucleari” (NWS), “uno status riconosciuto a livello internazionale e attribuito dal Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP)”. Altri tre Paesi “non-TNP” (ovvero non firmatari del TNP) cioè India, Pakistan e Corea del Nord, hanno ammesso di possedere armi nucleari.
Israele: "Stato Nucleare Non Dichiarato"
Israele è definito come “stato nucleare non dichiarato”. Produce e dispiega testate nucleari puntate contro bersagli militari e civili nel Medio Oriente, Teheran compresa.
Iran
Giravano diverse voci, supportate da prove poco consistenti, sul fatto che l’Iran potesse in futuro diventare uno stato nucleare. Di conseguenza, un attacco nucleare preventivo a scopo difensivo sull’Iran finalizzato a distruggere il suo programma di armi nucleari inesistenti potrebbe davvero essere preso in considerazione “per rendere il mondo un posto più sicuro”. I principali mezzi di comunicazione abbondano di opinioni improvvisate sulla minaccia nucleare iraniana.
E allora anche i cinque “stati nucleari non dichiarati” europei, ovvero Belgio, Germania, Turchia, Olanda e Italia possono rappresentare una minaccia?
Belgio, Germania, Olanda, Italia e Turchia: “Stati Nucleari Non Dichiarati”
Se la capacità in termini di armi nucleari dell’Iran non è confermata, quella di questi cinque stati, comprese le procedure di distribuzione, sono ufficialmente risapute.
Gli Stati Uniti hanno fornito circa 480 bombe termonucleari B61 a cinque cosiddetti “stati non nucleari”, compresi Belgio, Germania, Italia, Olanda e Turchia. Casualmente ignorata dal Comitato di Supervisione Tecnica delle Nazioni Unite, con sede a Vienna (IAEA), l’America ha contribuito attivamente alla proliferazione delle armi nucleari nell’Europa occidentale.
Come parte di questa riserva europea la Turchia, che è inserita assieme a Israele nella coalizione capitanata dall’America contro l’Iran, possiede circa 90 bombe termonucleari B61 bunker buster [2], conservate presso la base aerea nucleare di Incirlik (National Resources Defense Council, Nuclear Weapons in Europe , Febbraio 2005)
Secondo la definizione ufficialmente riconosciuta, queste cinque nazioni sono "stati nucleari non dichiarati".
La riserva e l’uso dei missili tattici B61 in questi cinque “stati non nucleari” sono concepiti per bersagli localizzati in Medio Oriente. Inoltre, secondo i “piani d’attacco della NATO”, queste bombe termonucleari B61 bunker buster (conservate dagli “stati non nucleari”) potrebbero essere lanciate “contro bersagli che si trovano in Russia o in paesi del Medio Oriente, come Siria o Iran” (tratto da National Resources Defense Council, Nuclear Weapons in Europe, febbraio 2005)
Forse questo significa che l’Iran o la Russia, che sono dei bersagli potenziali di un attacco nucleare da parte dei cosiddetti stati non nucleari, dovrebbero prendere in considerazione una tattica difensiva fatta di attacchi nucleari preventivi contro la Germania, l’Italia, il Belgio, l’Olanda e la Turchia? La risposta è ovviamente no.
Mentre questi ‘stati nucleari non dichiarati’ accusano senza troppi problemi Teheran di progettare armi nucleari, senza alcuna prova documentale, essi stessi sono nelle condizioni di poter sganciare testate nucleari che hanno come bersaglio l’Iran. Dire che questo è un chiaro esempio di “doppio standard” da parte dell’IAEA e della “comunità internazionale” è sarcastico.
[Clicca per Vedere i Dettagli e la Mappa delle Strutture Nucleari che si trovano nei 5 “Stati Non Nucleari” d’Europa]
Le riserve di armi sono composte da bombe termonucleari B61. Tutte le armi sono bombe di gravità del tipo B61 –3, -4 e –10.
Queste valutazioni si basano su affermazioni private e pubbliche rese da una serie di fonti governative e su ipotesi riguardanti la capacità di stoccaggio di armi nucleari di ciascuna base. (National Resources Defense Council, Nuclear Weapons in Europe, Febbraio 2005)
Germania: Produttore di Armi Nucleari
Dei cinque ‘stati nucleari non dichiarati’ la “Germania è il paese più fortemente nuclearizzato, con tre basi nucleari (due delle quali pienamente operative) e una capacità di stoccaggio di almeno 150 [bombe B61 bunker buster]” (Ibid.). Secondo i "piani d’attacco della NATO" sopra citati, queste armi nucleari tattiche hanno anch’esse come bersaglio il Medio Oriente.
Se la Germania non è ufficialmente catalogata come potenza nucleare, d’altro canto essa produce testate nucleari per la marina francese. Conserva testate nucleari (prodotte in America) e ha la capacità di sganciare armi nucleari. Inoltre, la ‘European Aeronautic Defense and Space Company - EADS’, una joint venture franco-tedesco-spagnola, controllata dalla Deutsche Aerospace e dal potente Gruppo Daimler, è la seconda produttrice di materiale militare in Europa, fornendo i missili nucleari M51 alla Francia.
La Germania importa e distribuisce armi nucleari dagli Stati Uniti. Produce inoltre delle testate nucleari che vengono esportate in Francia. Tuttavia, è classificata come stato non nucleare.
Articoli Correlati: Rick Rozoff, NATO's Secret Transatlantic Bond: Nuclear Weapons In Europe, Global Research, 4 dicembre 2009.
NOTE
[1] Titolo originale “What to Do About Europe’s Secret Nukes”, NdT.
[2] Per dettagli, si rimanda a http://it.wikipedia.org/wiki/Robust_Nuclear_Earth_Penetrator (NdT)
Titolo originale: "Europe's Five "Undeclared Nuclear Weapons States" Are Turkey, Germany, Belgium, The Netherlands and Italy Nuclear Powers? "
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di RACHELE MATERASSI
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=17550
Global Research
Turchia, Germania, Belgio, Olanda e Italia sono Potenze Nucleari?
Secondo una recente relazione, l’ex Segretario Generale della NATO George Robertson ha confermato che la Turchia possiede da 40 a 90 armi nucleari “Made in USA” nella base militare di Incirlik. (en.trend.az/)
Significa che la Turchia è una potenza nucleare?
“Lungi dal rendere l’Europa un posto più sicuro e dal creare un’Europa meno dipendente dal nucleare, [la strategia] potrebbe tranquillamente avere come risultato quello di introdurre più armi nucleari nel continente europeo, frustrando così alcuni dei tentativi che si stanno compiendo per ottenere un disarmo nucleare multilaterale” (citazione dall’ex Segretario Generale della NATO George Robertson su “Global Security” del 10 febbraio 2010).
“L’Italia è in grado di sferrare un attacco termonucleare?…
Sarebbero in grado Belgio e Olanda di sganciare bombe a idrogeno sul bersaglio nemico?…
Le forze aeree tedesche non potrebbero forse essere istruite per gettare bombe 13 volte più potenti rispetto a quella che ha distrutto Hiroshima?
Le bombe nucleari vengono conservate in basi aeree dislocate in Italia, Belgio, Germania e Olanda – e gli aerei di ciascuno di questi paesi sono in grado di trasportarle” ("Cosa Fare in merito alle Testate Nucleari Segrete dell’Europa”[1], Times Magazine, 2 dicembre 2010)
Gli Stati Nucleari “Ufficiali”
Cinque Paesi, ovvero America, Inghilterra, Francia, Cina e Russia, sono considerati “stati nucleari” (NWS), “uno status riconosciuto a livello internazionale e attribuito dal Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP)”. Altri tre Paesi “non-TNP” (ovvero non firmatari del TNP) cioè India, Pakistan e Corea del Nord, hanno ammesso di possedere armi nucleari.
Israele: "Stato Nucleare Non Dichiarato"
Israele è definito come “stato nucleare non dichiarato”. Produce e dispiega testate nucleari puntate contro bersagli militari e civili nel Medio Oriente, Teheran compresa.
Iran
Giravano diverse voci, supportate da prove poco consistenti, sul fatto che l’Iran potesse in futuro diventare uno stato nucleare. Di conseguenza, un attacco nucleare preventivo a scopo difensivo sull’Iran finalizzato a distruggere il suo programma di armi nucleari inesistenti potrebbe davvero essere preso in considerazione “per rendere il mondo un posto più sicuro”. I principali mezzi di comunicazione abbondano di opinioni improvvisate sulla minaccia nucleare iraniana.
E allora anche i cinque “stati nucleari non dichiarati” europei, ovvero Belgio, Germania, Turchia, Olanda e Italia possono rappresentare una minaccia?
Belgio, Germania, Olanda, Italia e Turchia: “Stati Nucleari Non Dichiarati”
Se la capacità in termini di armi nucleari dell’Iran non è confermata, quella di questi cinque stati, comprese le procedure di distribuzione, sono ufficialmente risapute.
Gli Stati Uniti hanno fornito circa 480 bombe termonucleari B61 a cinque cosiddetti “stati non nucleari”, compresi Belgio, Germania, Italia, Olanda e Turchia. Casualmente ignorata dal Comitato di Supervisione Tecnica delle Nazioni Unite, con sede a Vienna (IAEA), l’America ha contribuito attivamente alla proliferazione delle armi nucleari nell’Europa occidentale.
Come parte di questa riserva europea la Turchia, che è inserita assieme a Israele nella coalizione capitanata dall’America contro l’Iran, possiede circa 90 bombe termonucleari B61 bunker buster [2], conservate presso la base aerea nucleare di Incirlik (National Resources Defense Council, Nuclear Weapons in Europe , Febbraio 2005)
Secondo la definizione ufficialmente riconosciuta, queste cinque nazioni sono "stati nucleari non dichiarati".
La riserva e l’uso dei missili tattici B61 in questi cinque “stati non nucleari” sono concepiti per bersagli localizzati in Medio Oriente. Inoltre, secondo i “piani d’attacco della NATO”, queste bombe termonucleari B61 bunker buster (conservate dagli “stati non nucleari”) potrebbero essere lanciate “contro bersagli che si trovano in Russia o in paesi del Medio Oriente, come Siria o Iran” (tratto da National Resources Defense Council, Nuclear Weapons in Europe, febbraio 2005)
Forse questo significa che l’Iran o la Russia, che sono dei bersagli potenziali di un attacco nucleare da parte dei cosiddetti stati non nucleari, dovrebbero prendere in considerazione una tattica difensiva fatta di attacchi nucleari preventivi contro la Germania, l’Italia, il Belgio, l’Olanda e la Turchia? La risposta è ovviamente no.
Mentre questi ‘stati nucleari non dichiarati’ accusano senza troppi problemi Teheran di progettare armi nucleari, senza alcuna prova documentale, essi stessi sono nelle condizioni di poter sganciare testate nucleari che hanno come bersaglio l’Iran. Dire che questo è un chiaro esempio di “doppio standard” da parte dell’IAEA e della “comunità internazionale” è sarcastico.
[Clicca per Vedere i Dettagli e la Mappa delle Strutture Nucleari che si trovano nei 5 “Stati Non Nucleari” d’Europa]
Le riserve di armi sono composte da bombe termonucleari B61. Tutte le armi sono bombe di gravità del tipo B61 –3, -4 e –10.
Queste valutazioni si basano su affermazioni private e pubbliche rese da una serie di fonti governative e su ipotesi riguardanti la capacità di stoccaggio di armi nucleari di ciascuna base. (National Resources Defense Council, Nuclear Weapons in Europe, Febbraio 2005)
Germania: Produttore di Armi Nucleari
Dei cinque ‘stati nucleari non dichiarati’ la “Germania è il paese più fortemente nuclearizzato, con tre basi nucleari (due delle quali pienamente operative) e una capacità di stoccaggio di almeno 150 [bombe B61 bunker buster]” (Ibid.). Secondo i "piani d’attacco della NATO" sopra citati, queste armi nucleari tattiche hanno anch’esse come bersaglio il Medio Oriente.
Se la Germania non è ufficialmente catalogata come potenza nucleare, d’altro canto essa produce testate nucleari per la marina francese. Conserva testate nucleari (prodotte in America) e ha la capacità di sganciare armi nucleari. Inoltre, la ‘European Aeronautic Defense and Space Company - EADS’, una joint venture franco-tedesco-spagnola, controllata dalla Deutsche Aerospace e dal potente Gruppo Daimler, è la seconda produttrice di materiale militare in Europa, fornendo i missili nucleari M51 alla Francia.
La Germania importa e distribuisce armi nucleari dagli Stati Uniti. Produce inoltre delle testate nucleari che vengono esportate in Francia. Tuttavia, è classificata come stato non nucleare.
Articoli Correlati: Rick Rozoff, NATO's Secret Transatlantic Bond: Nuclear Weapons In Europe, Global Research, 4 dicembre 2009.
NOTE
[1] Titolo originale “What to Do About Europe’s Secret Nukes”, NdT.
[2] Per dettagli, si rimanda a http://it.wikipedia.org/wiki/Robust_Nuclear_Earth_Penetrator (NdT)
Titolo originale: "Europe's Five "Undeclared Nuclear Weapons States" Are Turkey, Germany, Belgium, The Netherlands and Italy Nuclear Powers? "
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di RACHELE MATERASSI
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=17550
lunedì 8 marzo 2010
Il popolo della Sardegna Manifesta contro il nucleare a Cirras luogo scelto dal governo italiota per la centrale nucleare a Santa Giusta OR
Sayli Vaturu
sa defenza
La giornata si è aperta con un'aria molto frizzante e fredda alternata a sole e nuvole a pecorelle, si temeva una scroscio d'acqua che non si è manifestato se non per poche gocce lenitive della giornata ghiacciata.
I preparativi si avvicendano c'è chi sta scavando una buca per metterci il palo d'acciaio su cui è collocato un bronzetto nuragico che rappresenta il capo tribù e la guardia del territorio , oltre che la sovranità.
Altri patrioti stendono gli striscioni del comitato anti nuke e dei movimenti indipendentisti e non, e dicono : "NO NUKE UNA RISATA SARDONICA VI SEPPELLIRA', poi A CIRRAS COME A PRATOBELLO, NO al NUCLEARE, NO BASI NO SCORIE NO BASI MILITARI ! ".
Poi tante bandiere sarde con i quattro mori , e le bandiere di Sardigna Natzione e degli ambientalisti del social forum gialle con scritto no centrali e no scorie, le bandiere rosse di A_Manca, i quattro mori bendati dei sardisti eppoi i rossomori, i rifondaroli e tanta gente ambientalista...
La manifestazione è iniziata con la presentazione del filo conduttore anti nuke esposta dal leader di Sardigna Natzione Indipendentzia Bustianu Cumpostu, si è anche dato via alla posa in terra, del bronzetto nuragico, rappresentante nell'immaginario collettivo il guardiano del territorio contro il nucleare, l'antico Capo Nuragico.
E' intervenuto il sindaco Antonello Figus di Santa Giusta, ed, ha esposto la sua contrarietà e quella della giunta comunale al progetto del sito nucleare sul suo territorio a Cirras, poi, ha continuato l'intervento sulla stessa onda filosofica il sindaco Ennio Cabiddu di Samassi, già impegnato nella marcia mondiale della pace, a seguito il portavoce del comitato anti nuke Valter Erriu che ha posto l'accento sulla sovranità e la impossibilità di porre base ad una centrale che pone a rischio il futuro delle prossime generazioni.
Tra gli altri son intervenuti uomini e donne del movimento ambientalista sardo e dei partiti indipendentisti come A Manca e PSdAz, SNI, molte le donne attive Aurora Pigliapochi di SNI tra le altre Mariella Cao di Gettiamo le Basi, e Rosalba del socialforum di CA, Paola Alcioni la poetessa, il leader indipendentista storico Giampiero Marras detto "Zampa" del CSS Il sindacato etnico sardo, i giovani del movimento SNI di Sperantzia de Libertadi con l'intervento di Alberto Denotti inoltre Michelangelo Puliga di Solebentu, il grande Giovanni Fara coordinatore di SNI a SS..
Il discorso è politico e di sovranità, la non accettazione di imposizioni del governo italico è per noi sardi di importanza vitale, poi, per primo ne và della nostra produzione agroalimentare e dei nostri allevamenti; secondo pensiamo che il solo fatto che possa aleggiare o sfiorare l'idea dell'immaginario collettivo di un possibile inquinamento dei nostri prodotti alimentari con irradiamento nucleare può produrre danni economici per molti anni avvenire e mandare in rovina tutta la nostra natzione, per non parlare del turismo che anch'esso avrebbe un tracollo inimmaginabile, e noi non possiamo permetterlo.
Questi sono solo i motivi economici per cui non ci permette di accettare un discorso nucleare, ma la motivazione che ci impedisce di accettare una tale questione è idealmente molto più alta , e ci spinge ad una ferma opposizione è: la salute pubblica di oggi e del futuro dei figli che ancora devono nascere! Se ci cercano con questi argomenti assurdi per la nostra terra ci troveranno pronti ad una risposta forte determinata e popolare, se non avete rispetto per la nostra terra ed il nostro popolo e la nostra natzione, non aspettatevi che ne avremo noi con Voi, lotta dura senza paura!!
Dall'Italia si vocifera e si agisce:
Dopo l’approvazione del decreto che disciplina la realizzazione di nuove centrali nucleari in Italia, il governo Italiota dovrà anche approvare entro 3 mesi, la «Strategia nucleare». Previsto invece dopo le elezioni regionali - meglio lasciare l’annuncio a tempi politicamente meno caldi - la scelta dei criteri dettagliati di localizzazione dei siti e delle sedi designate.
Del nuovo nucleare molti paventano un’impresa faraonica con approccio all’italiana, a fronte tutto sommato di una soluzione parziale del rifornimento energetico, questo perché:
Primo, “i rapporti delle agenzie del mondo che certificano il continuo ridimensionamento del contributo, già oggi ben modesto (meno del 6%), dell’energia nucleare al fabbisogno energetico” oltre ai problemi irrisolti: disponibilità dell’uranio 235, rilasci di radiazioni in condizioni di routine, sicurezza, scorie, proliferazione militare e, soprattutto, costo del kWh”.
Secondo, perché già tre regioni si sono apertamente tirate fuori (Puglia, Campania e Basilicata), mentre Formigoni, Zaia e Cota che si sono dichiarati favorevoli, ma non vogliono impianti in Piemonte, Lombardia e Veneto.
E se il ministro Scajola tuona che si farà come dice il governo, Vendola ha già annunciato: "Noi saremo la Regione più disobbediente d’Italia e continueremo a dire no al nucleare. Visto i problemi che crea la Tav, per costruire centrali nucleari in Italia ci vorrà l’esercito".
Berlusconi ne è talmente consapevole che comincia a guardare all’Albania e ad altri paesi fuori dall’Unione che per povertà strutturali sarebbero disponibili a tutto.
A remare contro il nucleare anche il gap tecnologico dell’Italia che avendo abbandonato dopo il referendum del 1987 la partita, è abbastanza fuori gioco, anche se Enel collabora con il settore in Francia.
Sul piano poi delle nuove strategie mondiali, comincia ad affacciarsi l’ipotesi che il gigantismo, il monopolio, le grandi concentrazioni, abbiano fatto il loro tempo, non siano più foriere di crescita e di sviluppo, ma vestali di sventura, come è emerso platealmente con la crisi economica.
sa defenza
La giornata si è aperta con un'aria molto frizzante e fredda alternata a sole e nuvole a pecorelle, si temeva una scroscio d'acqua che non si è manifestato se non per poche gocce lenitive della giornata ghiacciata.
I preparativi si avvicendano c'è chi sta scavando una buca per metterci il palo d'acciaio su cui è collocato un bronzetto nuragico che rappresenta il capo tribù e la guardia del territorio , oltre che la sovranità.
Altri patrioti stendono gli striscioni del comitato anti nuke e dei movimenti indipendentisti e non, e dicono : "NO NUKE UNA RISATA SARDONICA VI SEPPELLIRA', poi A CIRRAS COME A PRATOBELLO, NO al NUCLEARE, NO BASI NO SCORIE NO BASI MILITARI ! ".
Poi tante bandiere sarde con i quattro mori , e le bandiere di Sardigna Natzione e degli ambientalisti del social forum gialle con scritto no centrali e no scorie, le bandiere rosse di A_Manca, i quattro mori bendati dei sardisti eppoi i rossomori, i rifondaroli e tanta gente ambientalista...
La manifestazione è iniziata con la presentazione del filo conduttore anti nuke esposta dal leader di Sardigna Natzione Indipendentzia Bustianu Cumpostu, si è anche dato via alla posa in terra, del bronzetto nuragico, rappresentante nell'immaginario collettivo il guardiano del territorio contro il nucleare, l'antico Capo Nuragico.
E' intervenuto il sindaco Antonello Figus di Santa Giusta, ed, ha esposto la sua contrarietà e quella della giunta comunale al progetto del sito nucleare sul suo territorio a Cirras, poi, ha continuato l'intervento sulla stessa onda filosofica il sindaco Ennio Cabiddu di Samassi, già impegnato nella marcia mondiale della pace, a seguito il portavoce del comitato anti nuke Valter Erriu che ha posto l'accento sulla sovranità e la impossibilità di porre base ad una centrale che pone a rischio il futuro delle prossime generazioni.
Tra gli altri son intervenuti uomini e donne del movimento ambientalista sardo e dei partiti indipendentisti come A Manca e PSdAz, SNI, molte le donne attive Aurora Pigliapochi di SNI tra le altre Mariella Cao di Gettiamo le Basi, e Rosalba del socialforum di CA, Paola Alcioni la poetessa, il leader indipendentista storico Giampiero Marras detto "Zampa" del CSS Il sindacato etnico sardo, i giovani del movimento SNI di Sperantzia de Libertadi con l'intervento di Alberto Denotti inoltre Michelangelo Puliga di Solebentu, il grande Giovanni Fara coordinatore di SNI a SS..
Il discorso è politico e di sovranità, la non accettazione di imposizioni del governo italico è per noi sardi di importanza vitale, poi, per primo ne và della nostra produzione agroalimentare e dei nostri allevamenti; secondo pensiamo che il solo fatto che possa aleggiare o sfiorare l'idea dell'immaginario collettivo di un possibile inquinamento dei nostri prodotti alimentari con irradiamento nucleare può produrre danni economici per molti anni avvenire e mandare in rovina tutta la nostra natzione, per non parlare del turismo che anch'esso avrebbe un tracollo inimmaginabile, e noi non possiamo permetterlo.
Questi sono solo i motivi economici per cui non ci permette di accettare un discorso nucleare, ma la motivazione che ci impedisce di accettare una tale questione è idealmente molto più alta , e ci spinge ad una ferma opposizione è: la salute pubblica di oggi e del futuro dei figli che ancora devono nascere! Se ci cercano con questi argomenti assurdi per la nostra terra ci troveranno pronti ad una risposta forte determinata e popolare, se non avete rispetto per la nostra terra ed il nostro popolo e la nostra natzione, non aspettatevi che ne avremo noi con Voi, lotta dura senza paura!!
Dall'Italia si vocifera e si agisce:
Dopo l’approvazione del decreto che disciplina la realizzazione di nuove centrali nucleari in Italia, il governo Italiota dovrà anche approvare entro 3 mesi, la «Strategia nucleare». Previsto invece dopo le elezioni regionali - meglio lasciare l’annuncio a tempi politicamente meno caldi - la scelta dei criteri dettagliati di localizzazione dei siti e delle sedi designate.
Del nuovo nucleare molti paventano un’impresa faraonica con approccio all’italiana, a fronte tutto sommato di una soluzione parziale del rifornimento energetico, questo perché:
Primo, “i rapporti delle agenzie del mondo che certificano il continuo ridimensionamento del contributo, già oggi ben modesto (meno del 6%), dell’energia nucleare al fabbisogno energetico” oltre ai problemi irrisolti: disponibilità dell’uranio 235, rilasci di radiazioni in condizioni di routine, sicurezza, scorie, proliferazione militare e, soprattutto, costo del kWh”.
Secondo, perché già tre regioni si sono apertamente tirate fuori (Puglia, Campania e Basilicata), mentre Formigoni, Zaia e Cota che si sono dichiarati favorevoli, ma non vogliono impianti in Piemonte, Lombardia e Veneto.
E se il ministro Scajola tuona che si farà come dice il governo, Vendola ha già annunciato: "Noi saremo la Regione più disobbediente d’Italia e continueremo a dire no al nucleare. Visto i problemi che crea la Tav, per costruire centrali nucleari in Italia ci vorrà l’esercito".
Berlusconi ne è talmente consapevole che comincia a guardare all’Albania e ad altri paesi fuori dall’Unione che per povertà strutturali sarebbero disponibili a tutto.
A remare contro il nucleare anche il gap tecnologico dell’Italia che avendo abbandonato dopo il referendum del 1987 la partita, è abbastanza fuori gioco, anche se Enel collabora con il settore in Francia.
Sul piano poi delle nuove strategie mondiali, comincia ad affacciarsi l’ipotesi che il gigantismo, il monopolio, le grandi concentrazioni, abbiano fatto il loro tempo, non siano più foriere di crescita e di sviluppo, ma vestali di sventura, come è emerso platealmente con la crisi economica.
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