sabato 17 dicembre 2011

Bilderberg riabilitato e dichiarato idoneo a governare il mondo






Richard Cottrell 
endthelie.com
Tradotto da  Curzio Bettio

“Here we are, born to be kings          “Eccoci qua, nati per essere re
We’re the princes of the universe.”     Siamo i signori dell’universo.”

- Freddie Mercury
Una delle società più segrete al mondo sta venendo allo scoperto, sbattendo le palpebre alla lampeggiante e violenta luce del giorno, come Dracula che inaspettatamente decidesse di sentirsi più al sicuro emergendo dalla sua cripta fredda e umida al sorgere del sole.
“Sorgere del sole”, è la parola giusta. Mai le prospettive di un unico ordine mondiale sono sembrate più rosee, o più a portata di mano.
Così, non può essere affatto una coincidenza che il Gruppo Bilderberg, e la sua conventicola sorella, la Commissione Trilaterale, stiano improvvisamente a crogiolarsi sulle sedie a sdraio sui prati della rispettabilità pubblica.
È mia sincera convinzione che stiamo assistendo ad azioni di “riscaldamento” idonee a preparare noi tutti ad un unico ordine mondiale, nel momento in cui l’orchestrato smantellamento dell’intera economia globale comincia a mordere e a lasciare i segni.
Subito dopo che il consorzio Bilderberg / Goldman Sachs / Unione Europea aveva promosso colpi di Stato in Italia e in Grecia nel mese di novembre, l’agenzia Reuters diffondeva un dispaccio, (Reuters wired a report ), in cui veniva comunicato che il gruppo Bilderberg e la Commissione Trilaterale avevano assunto il controllo su tutta l’Europa.
L’agenzia faceva apparire i “gemelli terribili” degni di essere applauditi per aver raccolto il calice avvelenato della grande crisi del debito, che a quanto si dice sta erodendo l’euro.
Prima di proseguire, dobbiamo sottolineare che sul curriculum pubblico del direttore generale della Reuters, Peter Job, costui non è nuovo nel condividere il pane alla tavola dei dominatori dell’universo.
[Nota editoriale: in effetti, questa condivisione è così notoria che un documento formato pdf ospitato sul sito ufficiale del Dipartimento della Difesa rivela che esattamente a pagina 7 sotto la voce “Regno Unito” Job si trova primo nella lista.]
Beh, si potrebbe dire, Job ha diritto di trascorrere il suo tempo libero come vuole. Vero.
Il problema è che l’indipendenza editoriale merita di divenire oggetto di discussione e di contestazione nel momento in cui una fonte primaria di notizie e informazioni ha giurato di mantenere il segreto su eventi in cui è coinvolta. Non siamo in presenza di informative non attribuibili, non ufficiali, da evitare assolutamente, anche se diffuse da un giornalismo sinceramente onesto.
Il contenuto degli incontri del Bilderberg è riservato, sebbene sia privo di senso per qualsiasi dei partecipanti negare che lo scopo degli incontri annuali, per lo meno, è quello di influenzare i governi e le autorità pubbliche di tutto il mondo ad agire in un certo modo.
Posso sembrare antiquato, ma il compito principale dei media è quello di proteggere e nutrire la democrazia, dispiegando i fatti davanti al popolo.
Allora, questa è la domanda grande come una casa: i media possono essere direttamente coinvolti nella formazione della politica, quando il loro compito nella vita è quello di riferire e commentare le cose pubbliche?
Naturalmente, i grande baroni dei media hanno sempre tirato i fili dietro le quinte.
Randolph Hearst, Lord Beaverbrook, ed ora il clan Murdoch, hanno sempre spietatamente manovrato le leve del potere, spesso con conseguenze sorprendenti.
Il fatto che i giornalisti al loro servizio siano diventati collaboratori e professionisti della menzogna (vedi il caso dell’attuale scandalo della pirateria informatica sulle comunicazione telefoniche da parte del gruppo Murdoch) alla fine può essere annoverato fra le debolezze umane, ma non è proprio una cosa giusta.
La cosa diventa diversa per quei media che si aggrumano intorno al Bilderberg, che in buona sostanza si stanno dando da fare per fornire un’immagine più nitida e pulita ad una organizzazione che con tutta evidenza non è proprio alla ricerca di soluzioni democratiche.
Wikipedia emette trilli da allegro carillon, che il nuovo Duce d’Italia, Mario Monti, è un assiduo presenzialista del Bilderberg, presidente europeo della Commissione Trilaterale, ed ex consigliere di Goldman Sachs.
Questi di Wikipedia si muovono con uno stile assolutamente impassibile, suggerendo che queste credenziali, sicuramente ben meritate, si addicono al ruolo di Monti, primo dei governanti non eletti in Europa dal tempo dei colonnelli neofascisti greci di 35 anni fa (tenendo conto naturalmente di Loukas Papademos, che ora è il Gauleiter della Grecia).
E però, Monti ha ministri civili, come una foglia di fico per mascherare ciò che è nondimeno chiaramente una giunta, una volta che le si solleva… la gonna.
Consultate Wikipedia, e scoprirete che Monti è a tutto titolo sui libri paga del carosello delle grandi banche centrali – la Boston Federal Reserve, la finanziaria greca “Partenone” e vicepresidente della Banca centrale europea, dove ha ricoperto incarichi per otto anni sotto due presidenti.
Un onesto, sincero ed instancabile lavoratore, eh?!
Andando un po’ più in profondità all’interno di un’analoga entrata al governo, troveremo tranquillamente acquattato quel “Trilateralista” d’annata (dal 1998) che in realtà ha provocato la crisi del debito greco. Parliamo nientemeno che di Papademos, che stava a servizio presso la banca centrale come capo negoziatore per fare entrare a forza la Grecia nell’Eurozona nel 2000. Si è trattato  della leggendaria truffa Goldman Sachs / JP Morgan nel falsificare i libri contabili, che si è riverberata poi come il cuore della crisi greca che stiamo osservando ora.
Come i deliri di uno zio pazzo celato in soffitta, non è stato possibile nascondere i sospetti sulle reali intenzioni del Bilderberg. Succede invariabilmente un disdicevole putiferio quando il “giovanotto” inizia ad urlare rabbiosamente da una finestra del piano superiore, proprio quando si hanno ospiti in giro per un rilassante barbecue domenicale pomeridiano.
Quindi, tutte le pomate lenitive cosparse sulle accuse di cospirazioni hanno al contrario in buona sostanza infiammato le congetture, soprattutto attraverso l’azione della rete Internet estesa al mondo, insieme a quella di nuovi professionisti di un giornalismo non impastoiato, privo di censure.
Nel corso degli anni, la risposta variava, dalle smentite di copertura che il gruppo Bilderberg esistesse in qualche forma organizzata, alle accuse contro quei pochi scomodi ficcanaso che criticavano a testa alta, che venivano denunciati come fossero fenomeni da circo patiti degli UFO, satanisti o pazzi diversamente assortiti, che sarebbe stato il caso di rinchiuderli in un manicomio per il loro interesse.
In un certo senso, questo era inevitabile, visto che la trama della vicenda Bilderberg, un complotto segreto da parte di un’élite di potere incestuosa che cospirava per conquistare il mondo, sembrava infatti assolutamente fantastica.
L’inizio dell’afflosciarsi dell’economia mondiale nel 2008 metteva in moto abbastanza improvvisamente una mutazione nella rappresentazione della cricca del Bilderberg.
Per anni, un drappello ristretto di appassionati e zelanti osservatori, i cosiddetti “Bilderwatchers”, si era reso in qualche modo insopportabile facendosi vivo alle riunioni annuali del gruppo Bilderberg, cercando di identificare gli arrivi illustri.
La documentazione di questi osservatori veniva trascurata, ed anche i mezzi di informazione più importanti non davano alcun peso all’annuale “carovana” Bilderberg, o dipingevano l’assemblea annuale come un innocuo ricevimento all’ora del tè di statisti e leader di imprese multinazionali, che non avevano niente di meglio da fare.
I pochi che hanno tentato di partecipare senza invito, o di intercettare abusivamente comunicazioni su quello che avveniva, sono stati malmenati dai vigilantes di polizia e della sicurezza, che sempre più hanno adottato le tattiche di intimidazione e di minaccia affinate in occasione dei vertici del G20. Accuse e querele di diversa natura sono sempre state scartate per ordine delle superiori autorità.
Poi è arrivato il “Momento famoso” di Obama, nel giugno del 2008.
Fino a quel anno, gli organizzatori e i partecipanti al gruppo Bilderberg  potevano contare sugli schermi protettivi delle… folli teorie cospirative.
Per alcune ore, il 6 giugno, con gli applausi della convenzione ancora nelle orecchie, Obama segretamente si allontanava dalla campagna elettorale per partecipare a una riunione ristretta con componenti di rilievo del Bilderberg, a margine dell’incontro principale che si doveva tenere più tardi, tra il 5 e l’8 giugno a Chantilly, alla periferia di Washington.
Aveva al seguito la accigliatissima Hillary Clinton, anche lei una del Bilderberg.
Che cosa è successo dopo, è esploso su Internet, ma non sui media di informazione; e anche tra la comunità Internet sussisteva un senso di incredulità pieno di tensione in merito ai disegni sul dominio del mondo, che ora stavano vorticando attorno al probabile prossimo presidente degli Stati Uniti.
Qui siamo in presenza di un certo interessante tempismo. Curiosa la “coincidenza” di come ai magnati del Bilderberg fosse capitato “per caso” di incontrarsi negli Stati Uniti, e così comodamente vicino a Washington, proprio quando la Convention democratica concludeva i suoi lavori e sceglieva Obama – candidato preferito e a lungo prospettato dal Bilderberg.
Una linea piuttosto stupida è emersa da un membro del Bilderberg, che ha tentato di sdrammatizzare l’agitazione suscitata dal fatto che Obama potesse apparire il burattino a cui è stata consegnata la lista della spesa, per conto del gruppo Bilderberg, da far digerire al suo governo.
Egli, invece, si è sparato da solo sui piedi ammettendo che sarebbe stato difficile nominare una qualsiasi amministrazione degli Stati Uniti, che non fosse brulicante di membri del Bilderberg, e di altri personaggi appartenenti allo stesso ambiente, come il Consiglio per le Relazioni con l’Estero e la Commissione Trilaterale.
A partire da allora, è stato sempre più difficile stendere un velo di silenzio su Obama, il “presidente barboncino” del Bilderberg, soprattutto perché le principali nomine nella nuova amministrazione si rivelarono davvero Bilderberg dipendenti.
Ma c’era anche qualcosa d’altro.
Dopo Chantilly, per la Clinton sembrava che il ripieno fosse stato confezionato alla meglio senza la sua partecipazione. Ed era successo proprio così! Lei abbandonava la riunione segreta, tenutasi a casa di uno dei principali membri del Bilderberg, nella consapevolezza che era il tetro vecchio mulo Joe Biden ad essere candidato alla vice-presidenza, e non lei stessa, come Obama aveva fatto intendere.
A lei veniva promesso come compensazione quel letto di chiodi tormentoso chiamato Dipartimento di Stato. Bruciata da questa terribile umiliazione impartitale dal suo stesso clan, la Clinton non ha mai più recuperato il suo equilibrio e da allora ha dimostrato di essere palesemente a disagio.
Come numero due sulla lista dei candidati, e successivamente come vice-presidente in carica, i “Bilderberger” temevano che la Clinton, una figura decisamente reticente che poteva presentare alcuni problemi nell’assorbire documenti e informazioni, come a volte indicava un suo latente autismo, avrebbe facilmente eclissato Obama.
In ogni caso la vicenda ha dimostrato l’influenza del Bilderberg nel dettare loro il cammino.
Nel 2009, avveniva qualcosa di strano. Il Bilderberg veniva investito improvvisamente da nuove dinamiche. Branchi di giornalisti si avventavano sulla società segreta come mosche su un pasticcio di carne. I giornali cominciarono a riempire le colonne dei loro articoli con le sparate carpite ai principi dell’universo nelle loro berline eleganti, in arrivo all’ultimo elegantissimo hotel strettamente sorvegliato scelto per l’annuale “consiglio della tribù”. 
Crescevano le dimensioni degli articoli e si allungavano i minuti di trasmissione. Il Bilderberg era entrato nel dominio della popolarità, e lì vi rimaneva saldamente. La domanda è: perché?
Naturalmente, la demolizione controllata della Clinton, l’ascesa a razzo di un candidato nero con un passato islamico che concorreva per la Casa Bianca, inoltre completamente sconosciuto solo pochi mesi prima, tutto ciò aveva molto a che fare con questo.
Si accendevano le discussioni. Il Bilderberg poteva fare e disfare i presidenti degli Stati Uniti.
In termini di “disfare”, un precedente prescelto dal Bilderberg, Jimmy Carter, era stato messo da parte senza tanti complimenti, e sostituito con Ronald Reagan, non essendo riuscito ad essere all’altezza dopo i suoi primi quattro anni di mandato.
Margaret Thatcher era un’altra totale sconosciuta, fino a quando lei presenziò alla riunione del Bilderberg tenutasi in Turchia nel 1975. Da allora la sua ascesa al potere fu fulminea.
Tony Blair veniva destinato senza riserve a sorridere alla fama e alla fortuna, fino al suo ingresso a Downing Street, dopo aver dimostrato le sue abilità forensi… con le posate e un cocktail di gamberetti al conclave del 1993 tenutosi ad Atene.
Poi, nell’anno successivo, nel mese di maggio del 1994, il caso voleva che il non-Bilderberg leader laburista John Smith inaspettatamente, ma molto opportunamente, cadesse stroncato (da un attacco di cuore), su una montagna scozzese.
Blair, un ex agitatore sinistroide anti-Unione Europea e suonatore in un gruppo rock (gli Ugly Rumours), veniva eletto per prendere il suo posto, solo otto settimane dopo. I media britannici debitamente trasformavano un avvocato “gauche” (gioco di parole: gauche come di sinistra, ma anche gauche come maldestro) con strani occhi sbarrati (“staring”, gioco di parole con riferimento al successivo termine “star”) in una star rock (una roccia!) politica.
Il “Momento Obama” permetteva che analisi prospettiche sul gruppo Bilderberg filtrassero nel sistema di comunicazioni di massa. Chi erano queste persone ricche e potenti in maniera sbalorditiva, che potevano con uno schiocco delle dita far saltare il mondo?
Apparentemente, erano solo gentili patrizi, che sentivano il bisogno di incontrarsi e discutere sulle gravi questioni del momento, senza arrecare danno o con cattive intenzioni.
Questa è esattamente la linea spacciata da John Micklethwaite, partecipante al gruppo Bilderberg e redattore capo della rivista globalista da parrocchia, “The Economist”, in un suo rasserenante editoriale scritto nel gennaio di quest’anno.
In un’intervista artificiosa con il rassicurante, pipa in bocca, conte Etienne Davignon, un plutocrate belga stupendamente ricco, padrino dell’Unione Europea e principe ereditario del Bilderberg, appariva la storia familiare di un gruppo in cui si esprimevano le proprie emozioni in modo aperto, in cui persone importanti del mondo potevano parlare apertamente, “senza preoccuparsi che le loro parole potessero risuonare nei titoli di testa dei giornali dell’indomani”.
Come quelli che appaiono sui dispacci della Reuters, per caso? Nessun problema, come amano dire in Australia, quando si richiede anche un servizio modesto.
Come abbiamo fatto notare in precedenza, Peter Job, l’amministratore delegato di Reuters, è un “ospite” molto rispettato, e lui non è affatto l’unico tra il bel mondo di scribacchini e padroni di scribacchini.
Dopo tutto, non si tratta solo di semplice e ovvio buon senso giustificato dalla professione di “pubbliche relazioni” che, se si desidera controllare il messaggio, la tecnica migliore è sempre quella di invitare il nemico a cena all’interno della propria tenda?
L’elenco dei proprietari di giornali, di capo-redattori ed editorialisti che hanno partecipato ai vertici mondiali nel corso degli anni comprende, oltre a quelli di “The Economist”, del “Washington Post”, “US News and World Report”, “The Observer “(edizione sorella di stanza a Londra di “The Guardian”) , il canadese Conrad Black magnate della stampa (prima di ritirarsi in un…penitenziario), di “New York Times”, “CBS”, “ABC”, “BBC”, Rupert Murdoch, “Wall Street Journal”, “Financial Times”, “Die Zeit”, del “London Times”, “Le Figaro”, e così in avanti.
La festa di quest’anno a St Moritz è stata caratterizzata dalla presenza di invitati appartenenti a gruppi di media dell’Austria, Paesi Bassi e Finlandia.
Interessante notare che “The Economist” manda spesso due caposervizi con le funzioni di relatori, vale a dire il direttore e il coordinatore della sezione politica del giornale.
Così scopriamo che il sistema delle corporation dell’informazione non è altro che una vasta camera di risonanza, che riecheggia le conclusioni e le decisioni di un comitato élitario auto-referenziale di interessi incestuosi. Secondo la famosa frase di Marshall McLuhan, ecco la prova evidente che “il medium è il messaggio”.
Charlie Skelton, editorialista del “Guardian” di Londra, è uno degli scomunicati che non è degno di un invito formale. Egli è il “teppistello”, sempre in disaccordo, confinato ai margini. È sicuramente il tipo che non ci mette un attimo a lanciare mezzo mattone contro la finestra del preside. Ecco un esempio.
“Sono così incredibilmente indignato di un potere che viene piegato al volere di pochi. Ho avuto davanti agli occhi questo potere per tre giorni, e mi viene la mosca al naso. Non mi importa se il gruppo Bilderberg ha in programma di salvare il mondo o di ficcarlo in un frullatore e berne il succo, non credo che la politica dovrebbe essere condotta in questo modo.”
Buono a sapersi, se non che il Bilderberg non si interessa di un’attività mondana e in gran parte priva di senso chiamata politica, e non lo ha mai fatto.
Mario Monti, un grande gladiatore Bilderberg, che è ora il signore non eletto dell’ Italia, ha sempre dichiarato la sua posizione fermamente contraria alle politiche di partito.
Allo stesso modo, Charlie Skelton scansa la scomoda verità che il gruppo del giornale che compra i suoi lavori è stato ben rappresentato al Bilderberg, nel passato.
Inoltre, tutti sono ben informati su cosa significava Fleet Street (una strada di Londra, sede dei maggiori quotidiani inglesi fino agli anni ’80,  e l’agenzia Reuters è stata l’ultima testata del giornalismo britannico a lasciare questa località nel 2005), e sono consapevoli degli stretti rapporti praticamente senza interruzioni che esistono tra il “Guardian” e i servizi segreti britannici (e che in realtà coinvolgono altri organi vitali dei media britannici, tra cui il gruppo di Murdoch e la BBC).
Allora, perché il nostro Charlie ha fornito una così pesante “nota spese”, tale da indurre il lancio di oggetti contundenti al passaggio dei  Bilderbergers? È davvero molto semplice.
Il suo principale lavoro quotidiano è quello di scrivere testi umoristici. Viaggiando da una sontuosa località ad un’altra all’inseguimento della carovana del Bilderberg, consapevolmente o meno, il suo ruolo è quello del buffone di corte che trasforma le cose mortalmente serie in risate fragorose.
Tuttavia, dopo il raduno presso la deliziosa stazione balneare catalana di Sitges nel 2009, il suo reportage includeva questa frase più che interessante:
“Sarebbe più piacevole se l’interfaccia tra il Bilderberg e il mondo potesse essere più morbida - se potesse mostrarsi a noi a viso aperto, piuttosto che come la canna di una mitragliatrice.”
Per me questo racchiude l’inconfondibile sapore di un commento per condizionare una favorevole opinione. Dico questo, perché sono sicuro che dietro il tenore di una corrispondenza più misurata sul Bilderberg si nasconda un enorme cambiamento di politica di marketing.
Vale a dire, abbiamo avuto a che fare con l’arroganza – perfino con l’insolenza - di élite orgogliosamente distaccate, e diamo il benvenuto sulla scena ai loro manager e pensatori, responsabili e fedeli, al posto di politici purtroppo ossessionati dalle bustarelle della corruzione.
Questo è esattamente ciò che l’elegante Mario Monti sta predicando agli Italiani in questo momento:
Sia che lo vogliate o no un governo mondiale, noi siamo quello, e voi dovrete sottomettervi a noi! Ma noi desideriamo il vostro amore, anche quando noi stiamo forgiano le catene con cui vincoleremo per sempre queste vostre vecchie ridondanti libertà.
Splendido il Nuovo Mondo? Sì, Aldous Huxley usava quasi esattamente questi termini:
“ ‘E questo’, sentenziava il Direttore, ‘questo è il segreto della felicità e della virtù – col preferire solo quello che si è destinati a fare. Tutti i condizionamenti mirano a questo: rendere le persone simili al loro destino sociale ineluttabile.’”
Il Monte (“-berg in tedesco significa “monte”) Bilderberg estende ora la sua ombra scura sulle strutture di tutta l’Unione Europea e di tre suoi Stati membri: Grecia, Spagna e Italia.
Questi tre paesi possono ora essere a ragione considerati colonie Bilderberg.
I “Bilderbergers” sono i controllori della Germania, Regno Unito, Francia, Polonia, Ungheria, Danimarca, Paesi Bassi e tra gli Stati non-membri, la Svizzera.
La “montagna” imponente ha controllato Washington per anni, in alleanza con la Commissione Trilaterale e il Consiglio per le Relazioni con l’Estero (per di più, bisogna ricordare un importante precursore, l’American Enterprise Institute).
All’interno della “montagna” troviamo Wall Street, la City of London, e la Banca Centrale Europea. Troviamo il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, la Banca dei regolamenti internazionali, l’UNESCO, l’ONU e la NATO.
Tutti insieme, le loro condizioni spianano la strada alla paternità della globalizzazione totale.
L’articolo della Reuters in novembre è stato puntuale e significativo in quanto ha rivelato il grado di conoscenza che il sistema dei media delle corporation possiede in merito al progetto Bilderberg, e con molta cortesia ha soprasseduto sull’intera metà del secolo scorso.
Ma niente riesce meglio di un successo.
Turbolenta, ingovernabile, ed emozionante, l’Italia è ora sotto il controllo del reggente Bilderberg, Mario Monti.
Se vi sembra che io faccia menzione di questo signore ad ogni respiro, io non mi scuso per nulla, in quanto vi avverto, Monti è un modello di comportamento importante per il futuro.
Monti appare ora come un faro di calma e di serenità in mezzo alle invariabili turbolenze del clima politico italiano. Non sembra un presidente provvisorio. Sembra uno ben sicuro di se stesso. Ecco, un Bilderberger dal volto umano, il tecno-dittatore promesso con le stesse caratteristiche altrove, ad altri paesi europei.
L’audacia mozzafiato con cui i globalisti hanno rovesciato il governo italiano legittimamente eletto, sull’onda di un allarme completamente fasullo rispetto al debito pubblico italiano, rappresenta la dimostrazione straordinaria del potere che attualmente hanno accumulato.
Monti si è permesso perfino di pronunciare una frase da far rimanere a bocca aperta, che il suo era “un governo forte, senza conflitti di interesse.”
Allora, niente Bilderberg, niente Commissione Trilaterale, niente Goldman Sachs?
Forse non vi è la presenza nel consiglio dei ministri di un direttore di una banca italiana in grande sofferenza, quotidianamente in attesa di un salvataggio finanziario da Francoforte?
Nemmeno di un ammiraglio responsabile del ministero della difesa, i militari responsabili delle forze armate per la prima volta dal tempo di Mussolini?
O forse non è arrivata la conferma da parte del nuovo governo dell’acquisto di 131 bombardieri della Lockheed Martin, i Joint Strike Fighters (JSF), al costo di 13 miliardi di euro, quando il paese dovrebbe essere in bancarotta?
Fino ad ora gli Italiani gradiscono quello a cui stanno assistendo, anche se il tempo ci dirà qualcosa a questo riguardo. Per ora, sono in uno stato di shock, per come in realtà sia stato possibile liberarsi del principe delle furberie Silvio Berlusconi.
Come nostra guida ad un probabile futuro, può essere illuminante tornare a qualche parola pronunciata  in materia di oligarchie da Friedrich August Hayek, economista e filosofo sociale e autore di La via alla schiavitù:
“La probabilità di trovare persone al potere come individui che dovrebbero provare avversione per il possesso e per l’esercizio del potere è al pari livello con la probabilità che una persona estremamente tenera di cuore potrebbe impiegarsi come maestro fustigatore in una piantagione di schiavi.”

Per concessione di TLAXCALA
Fonte: http://endthelie.com/2011/12/02/bilderberg-leaves-rehab-cleared-to-rule-the-world/#axzz1gag4IVcG
Data dell'articolo originale: 02/12/2011
URL dell'articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=6402

sabato 3 dicembre 2011

Spese militari, parliamone..F35

Tommaso Di Francesco 
ilmanifesto


Eccoli i tagli "tecnici" vellutati: abolizione delle pensioni di anzianità, aumento dell'età lavorativa, blocco del recupero dell'inflazione, passaggio di tutti al contributivo. Il tutto accompagnato dalle promesse di studiare un reddito minimo per i giovani disoccupati, di una patrimoniale ma «debole» e di «provare» a ridurre i privilegi della politica. Altro che tecnica. Si colpiscono come non mai il già risicato welfare e la condizione di vita dei lavoratori. Così, per un governo nato a surrogare l'incapacità dell'esecutivo reazionario di Berlusconi per salvarci dalla crisi economica, la tecnica surclassa a destra le precedenti incapacità politiche. E il ricatto del «o me o il baratro» (Marchionne docet) con la favola del «rigore con equità e per la crescita» rischiano di piegare ogni opposizione politica e sociale. Tutto questo per il dichiarato obiettivo "neutrale" di trovare subito 25 miliardi di euro per «sanare i conti» e salvare, con l'Italia, l'Europa. C'è un'alternativa? Sì, logica e pragmatica, per usare le parole del neoministro della difesa Giampaolo Di Paola, già ammiraglio e capo di stato maggiore della Nato, davanti alle commissioni congiunte di Camera e Senato, dove ha illustrato le linee guida del suo dicastero, incentrate sulla «dismissione del patrimonio immobiliare delle caserme». Di tagli e riduzioni alla spese militari manco a parlarne invece. Anzi, in modo bipartisan - pleonastico dirlo per un governo quasi monocratico - la commissione difesa del senato ha autorizzato Di Paola a spendere ben 502 milioni di euro in acquisto di sistemi d'arma, in particolare per proteggere i "nostri" soldati in Afghanistan. In un'area di conflitto armato dove nessuno, nemmeno lo stato maggiore Usa, sa bene perché continuiamo a stare in armi. Ma questo è niente, perché il ministro Di Paola si è ben guardato dall'affrontare il tema caldo ereditato dal governo Berlusconi, che ahimè l'aveva ereditato dal governo di centrosinistra. Vale a dire il nodo di bilancio dell'acquisto di 131 cacciabombardieri F35, per un valore totale di 15 miliardi di euro. Senza dimenticare che l'aviazione militare sta acquistando un centinaio di caccia Eurofighter Typhoon, al costo di oltre 10 miliardi di euro. 25 miliardi, vi ricordano qualcosa? Si stracciano le vesti sul rigore e sull'equità. Ma l'idea di tagliare le spese di guerra resta non praticata. Anche se a gestirla, in pieno conflitto d'interessi, è un ex capo di stato maggiore di un'alleanza militare che ha condizionato e condiziona i bilanci militari di tutti gli stati europei e di aziende private e pubbliche, come Finmeccanica, legate agli affari del mercato della guerra. Eppure è sotto gli occhi di tutti, insieme al baratro della crisi del capitalismo, finanziario e non, il disordine mondiale prodotto dalle scelte di guerra dell'Occidente negli ultimi venti anni. Certo, se si pensa che nei Balcani, in Medio Oriente, in Somalia, in Iraq, in Afghanistan, in Libia la strategia di morte dei nostri cacciabombardieri abbia contribuito a migliorare le sorti progressive del mondo, non 15 miliardi per altri attrezzi di morte ma centinaia e centinaia di miliardi debbono essere approntati e spesi, e nuove intraprese belliche devono essere tentate, magari subito in Iran. Suvvia, siamo pronti ai sacrifici. Ma se, al contrario, si intravvede appena lo scenario provocato dalle guerre da noi supportate, fatto di lutti, terrore in andata e ritorno, disperazione, stragi di civili, tabula rasa dei diritti costituzionali e internazionali, nuove divisioni del mondo in sfere d'influenza e terre di conquista tardocoloniale per l'accaparramento di beni e fonti decisivi per il precipizio del nostro modello di sviluppo... se solo si percepisce tutto questo puzzo e brusio, allora bisogna dire basta. Tagliate il cacciabombardiere F35, cancellatelo dal bilancio possibile del governo Monti, tagliate la costruzione di nuove dieci navi da guerra per sostenere invece la cantieristica civile, tagliate le spese militari, ritirate i soldati dai conflitti in corso per rafforzare invece il Servizio civile che è stato azzerato. O i granai o gli arsenali. Se non ora quando?
http://www.gcpiemonte.org/wp-content/uploads/cameri-piccola.jpg

nof35.org/

Scheda tecnica
"
F-35 Lightning II"
(Joint Strike Fighter)
Costruttore:
Lockheed Martin Aerospace
Funzione primaria:
Caccia multiruolo (Caccia-bombardiere)
Equipaggio:
Uno
Propulsione:
Un turbofan P&W F135 o GE/RR F136 da 11.350 kg di spinta a secco e 18.160 kg con postbruciatore.
Versioni:
F-35A - Versione convenzionale, con cannone interno.
F-35B - Versione STOVL senza cannone interno, stive e serbatoi ridotti.
F-35C - Versione navalizzata, con ala ingrandita, serbatoi più capienti, senza cannone interno.
Dimensioni F-35A
F-35B
F-35C Pesi
F-35A
F-35B
F-35C
Lunghezza (m) 15,7 15,7 15,7 A vuoto (kg) 12.000 13.600 13.600
Apertura alare (m) 10,7 10,7 13,19 Max al decollo (kg) 10,7 10,7 10,7
Altezza (m) 4,6 4,6 4,7
Superficie alare (mq) 42,7 42,7 53,8
Prestazioni F-35A F-35B F-35C Propulsione
F-35A
F-35B
F-35C
Velocità max in quota (Mach) 1,7 1,7 1,7 Carburante interno (kg) 8.165 5.900 8.615
Velocità max in quota senza A/B 0,97 0,97 0,97 Rifornimento in volo Si Si SI
Quota max operativa (m) 16.000 16.000 16.000
Avionica
Rateo virata istantanea - ITR (°/sec) 27 27 27 Radar multimode AN/APG-81 tecnologia AESA
Sistema integrato EOTS (FLIR-IRST-Designatore Laser)
AN/AAS-37 DAS Sensor Fusion ottico/IR
Casco HDMS
Data Link classe Link 16
Sistema integrato ESM/ECM
Suite integrata di navigazione
Fattore G max +9/-3 +7,5/-3 +7,5/-3
Raggio d'azione (km) 1.000 800 1.200
Autonomia 2.200 1.700 2.600

Armamento
F-35A
F-35B
F-35C
Cannone Interno, GAU/22A da 25 mm con 182 colpi In pod centrale esterno, GAU/22A da 25 mm con 200 colpi In pod centrale esterno, GAU/22A da 25 mm con 200 colpi
Stive interne 2 x 1.300 kg (2 AMRAAM e 2 JDAM da 900 kg) 2 x 800 kg  (2 AMRAAM e 2 JDAM da 450 kg) 2 x 1.300 kg (2 AMRAAM e 2 JDAM da 900 kg)
Punti subalari esterni 2 x 136 kg (per AAM) 2 x 136 kg (per AAM) 2 x 136 kg (per AAM)
Punti subalari mediani 2 x 1.130 kg 2 x 1.130 kg 2 x 1.130 kg
Punti subalari interni 2 x 2.500 kg 2 x 2.500 kg 2 x 2.500 kg
Punto centrale fusoliera 1 x 454 kg 1 x 454 kg (pod cannone) 1 x 454 kg (pod cannone)
Note: Le sue prestazioni e il suo armamento variano secondo che l'aereo operi in configurazione "stealth" (senza cannone e missili esterni e con 2.600 Kg. di carico nella stiva) non "stealth"; nella prima condizione l'F-35 raggiunge Mach 1,66 e 1.000 km. di raggio d'azione. In configurazione non "stealth" con cannone M61A2 "Vulcan" da 20 mm con 400-480 colpi e carico esterno (naturalmente inferiore al massimo teorico che è di 8.140 Kg.), l'aereo vola a circa Mach 1,2 - 1,5 con raggio d'azione attorno a 770 Km.
Il programma
Da subito, il programma JSF è stato caratterizzato dalla volontà americana di consentire ad altre nazioni di partecipare allo sviluppo, con vari livelli di “partnership”.
Il Livello 1 è quello che consente la maggior voce in capitolo nelle scelte di sviluppo e commerciali, a fronte di un impegno economico pari a oltre 2 miliardi di dollari (corrispondente al 10 % dei costi di sviluppo inizialmente previsti).
L'unico partner di primo livello è l'Inghilterra.

Il Livello 2 consente una significativa partecipazione allo sviluppo, a fronte di un impegno economico pari a circa 1 miliardo di dollari (5% del costo di sviluppo previsto).
Gli unici partner di secondo livello sono l'Italia e l'Olanda.

Il Livello 3 consente una modesta partecipazione al programma di sviluppo (nell'ordine dell'1%) a fronte di un impegno economico nell'ordine di alcune centinaia di milioni di dollari.
I partner di terzo livello sono il Canada, la Turchia, l'Australia, la Norvegia, la Danimarca.

Esiste poi una quarta categoria, quella dei Security Cooperative Partecipants, che a fronte di una partecipazione economica nell'ordine delle decine di milioni di dollari, hanno diritto ad uno scambio informativo privilegiato. In questa categoria rientrano Israele e Singapore.
Il costo totale di sviluppo del programma, inizialmente previsto in 25 miliardi di dollari, è oggi valutato in circa 40-50 miliardi di dollari, cui si aggiungeranno i costi di produzione.
Attualmente il programma è in piena fase di sviluppo, denominata SDD, la cui conclusione è prevista per il 2013. Saranno realizzati un totale di 22 prototipi, sette dei quali saranno cellule per le prove a terra. Il primo F-35 SDD è stato completato nel 2006 e nel febbraio 2007 a Fort Worth il primo F-35 concludeva con successo il suo settimo volo (Vedi video).
Anche se la fase SDD durerà sino al 2013, è previsto che i primi esemplari di serie siano consegnati intorno al 2010 e l' F-35 dovrebbe raggiungere la capacità operativa iniziale (IOC) intorno al 2012.
L'Italia, inizialmente interessata alla sola versione B (22 esemplari per sostituire gli Harrier della Marina), ha poi deciso di assegnare il caccia anche all'Aviazione Militare, per avere una prima linea basata sugli Eurofighter e sull' F-35, portando il totale di esemplari previsti a 130 circa, anche se non è stato ancora deciso come saranno ripartiti tra le varie versioni.
In Italia sarà anche allestita una linea di costruzione e assemblaggio che sarà responsabile per la produzione di buona parte degli F-35 destinati all'Europa e ad altre nazioni.
Il velivolo
L' F-35A è un caccia monomotore, la cui pianta ricorda da vicino quella dell'F-22.
L'ala è alta, con pianta a delta troncato, le prese d'aria sono due, laterali, gli impennaggi di coda sono costituiti da due stabilizzatori verticali e due timoni orizzontali che sporgono notevolmente rispetto all'ugello del turbofan.
Due stive interne ai lati della fusoliera consentono di trasportare un armamento significativo (2 missili AMRAAM e 2 bombe da 1.000 kg) preservando le caratteristiche Stealth.
Il cannone interno è un GAU-22/A da 25 mm.

La versione B (STOVL) ha una ventola in fusoliera per il sostentamento, che agisce di concerto con l'ugello di scarico del motore che può essere ruotato verso il basso di ben 110 gradi.
La presenza del sistema di sostentamento ha costretto a rinunciare al cannone interno, che può essere montato in un pod centrale di disegno stealth, nonché a limitare la capacità delle stive interne  (che sono compatibili con ordigni da 500 kg e non da 1.000 kg). Anche la capacità interna di carburante è ridotta rispetto alla versione A.

La versione C  imbarcata ha una superficie alare maggiore, e le semiali sono pieghevoli.
La riserva di carburante è maggiore rispetto alla versione A, ma anche in questo caso il cannone interno è stato sacrificato in favore del pod esterno centrale.

Le caratteristiche stealth dell' F-35 sono molto spinte. Pur non arrivando a quelle dell' F-22, si parla di valori inferiori a 0,01 mq. (per confronto un caccia “normale” come il MiG-29 o l'F-16 ha una RCS nell'ordine dei 5 mq).
Per la propulsione è prevista la possibilità di scegliere indifferentemente tra il motore P&W F135 ed il motore GE/Rolls-Royce F136, ma al momento solo l' F135 ha un futuro assicurato ed equipaggerà i primi esemplari, mentre lo sviluppo del motore F136, voluto principalmente dagli inglesi, rischia di venire cancellato.
In effetti ha poco senso (ed è molto costoso) sviluppare due turbofan praticamente equivalenti, ma gli inglesi non intendono rinunciare a un motore nel quale l'industria inglese è fortemente coinvolta.

L'avionica dell' F-35 è estremamente avanzata, e fa uso di un radar con tecnologia AESA derivato da quello dell'F-22.
La novità maggiore, però, è l'applicazione del concetto di “Sensor Fusion”.
In pratica una serie di telecamere poste in vari punti dell'aereo, consente al pilota di vedere in ogni direzione, come se la fusoliera “non esistesse”.
Le immagini delle telecamere sono “fuse” insieme a quelle degli altri sensori, come il radar, l'IRST, le ESM ecc... fornendo al pilota una consapevolezza completa dell'ambiente esterno.

La tecnologia “Sensor Fusion” sarà progressivamente implementata nei vari blocchi produttivi.
Partnership Italiana
I governi italiani hanno deciso di partecipare al progetto di costruzione dei nuovi cacciabombardieri americani fin dal 1996, quando era ministro della difesa Andreatta e presidente del consiglio Prodi.
I passaggi parlamentari che hanno confermato l'impegno si sono verificati nel 1998 (governo D'Alema) e nel 2002 (governo Berlusconi).
La firma definitiva dell'accordo è del febbraio 2007, quando il sottosegretario alla difesa Forcieri ha incontrato a Washington il suo collega statunitense Gordon England. Si tratta della decisione di partecipare alle diverse fasi di costruzione degli F-35.
Fino ad oggi l'impegno finanziario italiano per lo sviluppo del progetto è stato di 1028,48 milioni di dollari. Tra breve (e per altri anni che verranno) saranno impegnati altri 903 milioni di dollari. (tabella A)
Secondo quanto riferito dal sottosegretario Forcieri
( si tratta di prezzi riferiti dal sottosegretario in occasione della riunione della commissione difesa della camera dei deputati dei 19 gennaio 2007 ), ogni F-35 costerà tra 45 e 55 milioni di euro. Secondo altre fonti si potrà arrivare, tenendo conto di aggiornamenti di prezzi e di allestimenti di armamenti probabili, anche oltre i 100 milioni di euro ciascuno.
Tabella A
Costi: stimato nel 2005 a velivolo versione A 45 milioni di $, B e C 61 milioni di $; valori in aumento.
I costi per l'Italia per la fase di sviluppo come partner TIER 2 è di 1028,48 milioni di $, circa il 5% dei costi di sviluppo, con fine nel 2012 e sono stati ripartiti in molti anni, ecco un riassunto parziale:
2002 => 85 milioni di dollari ( Le spese previste nel 2002 sono riportate in $ e non in €)
2003 => 107,3 milioni di euro
2004 => 126,0 milioni di euro
2005 => 118,8 milioni di euro
2006 => 148,7 milioni di euro
2007 => 127,8 milioni di euro
2008 => 94,80 milioni di euro

Spese previste anni successivi:
2009=> 68,00 milioni di dollari
2010=> 41,00 milioni di dollari
2011=> 27,00 milioni di dollari
2012=> 2,00   milioni di dollari

Per la fase 2° del programma, la Production Sustainment Development Follow-On (PSFD), sono previsti costi per 900 milioni di euro con completamento nel 2047, all'interno di questa cifra dovrebbe esserci compreso il costo dell'impianto di assemblaggio e manutenzione di Cameri.
Note Marzo 2008: Il costo del programma dell'F-35 è destinato a salire di 38 miliardi di dollari, facendone di gran lunga il più alto della storia del Pentagono.
Michael J. Sullivan, che presso il Government Accountability Office si occupa dell'analisi degli approvvigionamenti, ha dichiarato che ì 2.458 esemplari dei quali è pianificato l'acquisto da parte delle tre forze armate degli Stati Uniti avrebbe un costo unitario di 131,1 milioni di dollari (circa 91 milioni di euro), il 45% in più rispetto
al valore stimato quando il programma ha avuto inizio nel mese di ottobre del 2001.
Previsioni di spesa JSF nel 2009
Per l’anno 2009 sono stati stanziati 47,1 milioni di € per la fase di sviluppo, che ricordo, l’Italia partecipa per un totale di 1028,48 milioni di $ e si concluderà nel 2012.
Confermati circa 900 milioni di $ per la successiva fase di produzione
(PSFD) che dovrebbe completarsi nel 2047
Note Aprile 2009:
Il governo ha deciso di procedere con il caccia Lockheed Martin F-35 e di costruire la linea di montaggio finale di Cameri (NO). È questo il senso della decisione del ministro della Difesa Ignazio La Russa - di trasmettere lo schema del programma alle commissioni Difesa di Camera e Senato perché esprimano il parere previsto dalla legge. (Programma pluriennale di A/R n. SMD 02/2009)
L'8 di aprile le commissioni Difesa di Camera e Senato hanno espresso il loro definitivo parere favorevole all'acquisto e all'assemblaggio del caccia-bombardiere F-35. (Resoconto - Atti)
In Italia è stato scelto come sito per l'assemblaggio finale (che fornirà la maggior parte degli F-35 che saranno venduti in Europa) l'aeroporto militare di Cameri, che si trova a pochissimi chilometri da Novara.
Qui già si cura la manutenzione di F-16 Falcon, Tornado, AM-X, e, da poco, pure degli Eurofighters.
E proprio qui verrà costruito, a partire dalla fine del 2008, un nuovo stabilimento che sarà gestito da Lockheed Martin e da Alenia Aeronautica.
Ma in Italia questo non sarà il solo luogo coinvolto nel progetto Joint Strike Fighter (così si chiama appunto il progetto di costruzione dei cacciabombardieri F-35). Infatti si prevede il coinvolgimento di 40 siti industriali che si trovano in 12 regioni italiane: siti nei quali si costruiranno diverse componenti del nuovo velivolo da guerra.
Gli stabilimenti che si trovano sul nostro territorio nazionale coinvolti in tale opera appartengono alle seguenti imprese: Alenia Aeronautica, Avio, Piaggio, Aerea, Datamat, Galileo Avionica, Gemelli, Logic, Selex Communications, Selex-Marconi Sirio Panel, Mecaer, Moog, Oma, OtoMelara, Secondo Mona, Sicamb, S3Log, Aermacchi, Vitrociset.
Aziende italiane coinvolte nel progetto JSF/F-35: (Cartina - Scheda)

giovedì 24 novembre 2011

IL DENARO È STATO PRIVATIZZATO DI NASCOSTO

DI BEN DYSON
Guardian.co.uk


La piu grande privatizzazione della storia non ha fatto notizia. È tempo di riprendere dalle banche il potere di produrre denaro

È un fatto noto che stampare una banconota da 10 sterline a casa propria è una cosa malvista dalla polizia di Sua Maestà. Ma c’è ancora un piccolo gruppo di compagnie che sono autorizzate a creare – e spendere – più soldi di quanti i falsari siano mai stati in grado di stampare. Nel gergo dell’industria, queste aziende sono chiamate "istituzioni monetarie e finanziarie", ma probabilmente le conoscete per il loro nome comune: "banche".

Il denaro che creano, dal niente, non sono i soldi di carta che portano il logo della Banca di Inghilterra di proprietà del governo. È il denaro elettronico che illumina lo schermo quando controlli il tuo estratto conto a un ATM. In questo momento, questo denaro elettronico forma più del 97% di tutta la moneta presente nell’economia. Solo il 3% dei soldi sono ancora nella vecchia forma di vero contante che può essere toccato.

Difficile da credere, vero? Martin Wolf, uno degli esperti che ha fatto parte di una commissione indipendente sul settore bancario, non ha usato mezzi termini, dicendo sul Financial Times che "l’essenza del sistema monetario di questi tempi è stata la creazione di moneta, dal niente, tramite i prestiti spesso assurdi che venivano concessi dalle banche private".

Ecco come funziona. Quando tu chiedi alla banca i soldi per comprare a Londra un box per farci entrare un letto, i soldi che appaiono sul tuo conto corrente non provengono dai risparmi di una vita di qualche nonno prudente. Infatti, la banca digita semplicemente questi numeri sul tuo conto, creando soldi nuovi di pacca che ora tu puoi spendere. Visto che le altre banche fanno lo stesso, l’ammontare di denaro nell’economia cresce e cresce. Ogni mutuo nuovo aggiunge nuovi soldi, che spingono i prezzi delle abitazioni un po’ più in alto, costringendo il prossimo compratore a prenderne in prestito ancora più dalle banche. (Una spiegazione più dettagliata e precisa di questo processo è fornita nel libro Where Does Money Come From?, pubblicato dalla New Economics Foundation.)

Grazie a questo processo di creazione della moneta, le banche sono state in grado di inflazionare l’emissione di moneta al tasso dell’11,5% l’anno, spingendo in alto i prezzi delle case e soggiogando un’intera generazione.

Naturalmente, il rovescio della medaglia di questa creazione di moneta è dato dal fatto che con ogni nuovo prestito arriva un nuovo debito. Questa è la fonte della nostra montagna di debito personale, non il denaro che è stato prudentemente salvato dai pensionati, ma soldi che sono stati creati dal niente dalle banche e prestati a destra e a manca. Alla fine il peso del debito diventa insostenibile, e così si assiste a un’ondata di default come quella che ha dato il via alla crisi finanziaria ancora in corso.

Ma come è possibile che una cosa così importante come la creazione di denaro sia stata privatizzata? Com’è che il potere di emettere denaro è caduto nelle mani delle stesse banche che hanno provocato la crisi, con conseguenze devastanti per milioni di persone comuni?

È incredibile, ma la legge che rende illegale stampare le proprie banconote a casa non è mai stata aggiornata per applicarla al denaro elettronico che ora è creato dalle banche. Quando abbiamo iniziato a utilizzare il denaro elettronico per la gran parte dei pagamenti, il contante è diventato meno importante e il potere di creare il denaro è passato alle banche che hanno causato la crisi. Senza essere notato da nessuno, il potere di emettere soldi è stato privatizzato di soppiatto.

Mentre i gruppi criminali cercano di creare circa 2,5 miliardi di sterline di soldi falsi ogni anno, le banche collettivamente creano più di 100 miliardi di sterline l’anno senza violare una singola legge. La ricompensa per il loro lavoro è l’interesse che al momento viene raccolto su quasi ogni sterlina esistente. Il costo per noi tutti è una vita di debiti.

Questo ci porta a una soluzione molto semplice per la crisi finanziaria. Molti dei manifestanti di oggi potrebbero sorprendersi nel sentire che la risposta alla crisi odierna giunge da un ex Primo Ministro dei Conservatori. Già nel 1844, Sir Robert Peel comprese che le monete di metallo, che all’epoca erano il solo mezzo legale di pagamento, erano state sostituite dalle banconote di carta emesse dalle banche. Queste banconote erano più leggere e più convenienti, e quindi molto più popolari. Il Bank Charter Act introdotto da Peel nel 1844 tolse il potere di creare denaro alle banche e lo attribuì alla Banca di Inghilterra. Dovremmo fare esattamente la stessa cosa per quanto riguardo il denaro elettronico. La mia organizzazione, Positive Money, ha già elaborato un progetto di legge necessario per farlo.

Reclamando questo potere, possiamo assicurarci che il nuovo denaro non venga usato per far esplodere bolle immobiliari e per finanziare speculazioni rischiose. Invece, i soldi creati possono diventare le fondamenta dell’economia, grazie ai normali consumatori. Finiranno nei negozi, nelle aziende e nelle industrie, che le possono usare per investire, crescere e per creare lavoro. Far sì che "le banche prestino di nuovo di soldi" non è di alcun aiuto quando le persone sono già caricate da una montagna di debito. Quello di cui abbiamo bisogno sono più soldi, non più debiti. Ciò è impossibile dato che tutti i soldi vengono creati dalle banche quando le persone si indebitano.

Naturalmente, dobbiamo proteggere questo potere di emissione dai politici in cerca di voti. Ma il potere di creare denaro è troppo pericoloso per essere lasciato nelle mani delle banche che hanno causato la crisi. Portargli via questo potere è la nostra migliore speranza per far finire la crisi attuale, e per prevenire la prossima.

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Fonte: Money has been privatised by stealth

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

giovedì 17 novembre 2011

Gasdotto, mezze verità mezze bugie

16 novembre 2011


Stefano Deliperi

manifestosardo.org


La vicenda del progetto di gasdotto Algeria – Sardegna – Toscana proposto da Galsi s.p.a. rappresenta proprio un caso emblematico di come le cose nascano e siano gestite in Sardegna. A cavolo. O a membro di segugio, come preferite.

C’è una società di infrastrutture (Galsi s.p.a.) direttamente o indirettamente riconducibile a Stati e regioni europei (Italia, Regione autonoma della Sardegna) o magrebini (Algeria) che intende realizzare un’infrastruttura energetica definita “strategica” dall’Unione Europea. L’obiettivo è portare miliardi di metri cubi di gas naturale dai giacimenti algerini alla rete europea. La Sardegna, poi, è l’unica regione italiana non servita da una rete di distribuzione di gas naturale. Senza dimenticare che, in un’ottica di medio periodo, il gas naturale può essere una fonte energetica di transizione dalle fonti fossili “tradizionali” (olio pesante) e finto-alternative (es. Targas) verso le fonti energetiche rinnovabili.

A questo punto, essendo fondamentale sul piano economico il passaggio sulla terraferma sarda, la Regione autonoma della Sardegna, azionista di Galsi s.p.a. attraverso la società finanziaria Sfirs s.p.a. (detiene l’11,6% del capitale sociale), avrebbe dovuto giocare il suo ruolo da protagonista, dettando condizioni temporali e infrastrutturali irrinunciabili per la realizzazione dell’opera in progetto.

In parole povere, il tracciato, i tempi di realizzazione e le opere di connessione alle aree industriali e urbane le avrebbe dovute decidere la Regione autonoma della Sardegna, attraverso il coinvolgimento delle comunità locali e i soggetti sociali interessati (imprenditori, agricoltori, associazioni ecologiste, ecc.).

Le varie Amministrazioni regionali che si sono succedute dalla proposta dell’opera (Pili, Masala, Soru, Cappellacci) non hanno fatto niente di tutto questo, non hanno fatto praticamente nulla per minimizzare l’impatto ambientale e per massimizzare l’utilità dell’opera per l’Isola.

Il tracciato l’ha progettato Galsi s.p.a. e le uniche variazioni sono state quelle imposte dal provvedimento conclusivo del procedimento di valutazione di impatto ambientale – V.I.A., il decreto DVA DEC – 2011 n. 64 del 24 febbraio 2011, con gli allegati (parere della Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale V.I.A. e V.A.S. CTVA – 2011 n. 174 del 25 gennaio 2011; parere del Ministero dei beni e attività culturali – Direzione generale per il paesaggio, le belle arti, l’architettura e l’arte contemporanee n. 25241 del 25 agosto 2010; parere Regione autonoma della Sardegna – Assessore della difesa dell’ambiente n. 28308 del 17 dicembre 2010). Risultato ottenuto soprattutto grazie alla battaglia disperata di associazioni ecologiste come Gruppo d’Intervento Giuridico, Amici della Terra e Lega per l’Abolizione della Caccia e appassionati disinteressati come l’ornitologo Giuseppe Floris e la biologa marina Paola Turella.

Per anni l’interesse mostrato da amministrazioni locali e popolazioni interessate è stato piuttosto scarso fino a queste ultime settimane, quando in modo caotico e poco ragionato le tifoserie del “si”, del “no”, del “nì” e del “boh” si sono improvvisamente destate. Le associazioni ecologiste Gruppo d’Intervento Giuridico, Amici della Terra e Lega per l’Abolizione della Caccia avevano in proposito presentato uno specifico atto di “osservazioni” (20 febbraio 2010) indicando varie modifiche del tracciato per la salvaguardia di aree di rilevante interesse ambientale e naturalistico, nonché attività economiche e sviluppando sinergie con il solo Comune di S. Antioco, comitati, semplici cittadini, pur essendovi stati anche incontri pubblici di sensibilizzazione a S. Antioco e Portoscuso (a fine gennaio 2010 e a fine febbraio 2010).

Ma dove passa il tracciato del gasdotto Galsi? Interessa la prateria di posidonia del Golfo di Palmas, vero e proprio polmone d’ossigeno per il mare e la pesca locale, le zone umide litoranee del basso Sulcis, i vigneti del Carignano (Sulcis) e del Vermentino (Gallura), zone agricole del Campidano e dell’Arborea, numerosi siti di importanza comunitaria, allevamenti di cavalli (Gallura), boschi (in varie parti della Sardegna), zone turistiche (Olbia). Eppure le proposte alternative non sono mancate. Il tracciato dovrebbe esser diverso – con l’approdo nella zona industriale di Portovesme (e non nel Golfo di Palmas), lungo aree già pubbliche del tracciato dismesso delle Ferrovie Meridionali Sarde, lungo i tratti dismessi e le fasce di rispetto della S. S. n. 131 e di altra viabilità pubblica – come abbiamo formalmente chiesto nell’atto di intervento del procedimento di V.I.A. – e l’impatto ambientale e socio-economico sarebbe infinitamente minore. Inoltre, come abbiamo analogamente formalmente richiesto, dovrebbero esser previsti e finanziati i collegamenti e le connessioni con le reti di distribuzione delle aree urbane e industriali sarde (es. con i fondi comunitari 2007-2013). Altrimenti, ci dovremo tenere chissà fin quando impianti inquinanti e depredatori di soldi pubblici come il Targas (gruppo Saras s.p.a.) e quelli di Portovesme e Porto Torres.

Perché di questo non parlano l’on. Mauro Pili, il Presidente della Provincia di Carbonia-Iglesias Tore Cherchi e tutti gli altri sfegatati tifosi del gasdotto? Dove stanno i progetti e – soprattutto – i soldi per le connessioni con le aree urbane e industriali?

Ora siamo agli ultimi atti della lunga procedura: il 25 luglio 2011 sul quotidiano La Nuova Sardegna è stato pubblicato l’avviso + elenco particelle catastali e proprietari di avvio del procedimento di esproprio (art. 52 ter del D.P.R. n. 327/2001 e s.m.i.) delle aree interessate dal tracciato in Sardegna e a Piombino, in Toscana. Inoltre, il Ministero dell’ambiente, pur imponendo solo minime modifiche di tracciato (soprattutto nella parte a mare: la prateria di Posidonia oceanica interessata è di 78.700 mq. rispetto ai 175.800 della versione progettuale Galsi, con una riduzione di circa 97.000 mq.), ha disposto ben 112 prescrizioni vincolanti (65 da parte del Ministero dell’ambiente, 17 da parte del Ministero per i beni e attività culturali, 30 da parte della Regione autonoma della Sardegna) e rimane necessario il parere della Commissione europea (art. 5, comma 10°, del D.P.R. n. 357/1997 e s.m.i.), nonostante le modifiche di tracciato imposte, in quanto “comunque persista un’incidenza negativa sull’habitat tutelato ai sensi della Direttiva europea 92/43 Habitat e dei D.P.R. n. 357/1997 e 120/2003”.

Rimangono inoltre da acquisire i pareri sul vincolo idrogeologico (regio decreto n. 3267/1923 e s.m.i.) da parte dei competenti Ispettorati del Corpo forestale e di vigilanza ambientale, l’autorizzazione integrata ambientale–A.I.A. sulla centrale di compressione di Olbia, l’approvazione del piano di caratterizzazione per l’attraversamento di aree minerarie dismesse, eventuali ulteriori prescrizioni da parte della Direzione generale protezione della natura del Ministero dell’ambiente per l’attraversamento del “Santuario dei Cetacei”, il parere sull’immersione in mare dei materiali di escavo marino (art. 109 del decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i.).

Allo stato attuale, senza alcuna distribuzione locale immediata del metano, il gasdotto Galsi s.p.a. è solo portatore di danni ambientali e socio-economici, ma di nessun beneficio per la Sardegna. L’ennesima speculazione, grazie all’insipienza della Regione autonoma della Sardegna e della sua classe politica, buona solo a parlare per slogan.


domenica 6 novembre 2011

Giornalista giapponese accusa Israele di sabotaggio al reattore di Fukushima

Un eminente giornalista giapponese – Yoichi Shimatsu, ex editore del Japan Times Weekly – ha recentemente rilasciato due dichiarazioni incredibili relative all’impianto nucleare di Fukushima, dove si è verificata la fusione nucleare del nocciolo nel marzo del 2011, con conseguenti onde d’urto in tutto il mondo.
http://americanfreepress.net/?p=969

By Richard Walker -


FUKUSHIMA il reattore esploso

Un eminente giornalista giapponese – Yoichi Shimatsu, ex editore del Japan Times Weekly – ha recentemente rilasciato due dichiarazioni incredibili relative all’impianto nucleare di Fukushima, dove si è verificata la fusione nucleare del nocciolo nel marzo del 2011, con conseguenti onde d’urto in tutto il mondo.

La prima accusa sostiene che USA ed Israele erano a conoscenza del fatto che a Fukushima fossero presenti sia dell’uranio che del plutonio – a livello di arma – rimasti esposti all’atmosfera dopo lo tsunami. La seconda accusa, attribuisce all’intelligence israeliana il sabotaggio del reattore come ritorsione dopo il sostegno giapponese all’indipendenza dello Stato palestinese.

Stando a quando affermato da Shimatsu questi materiali nucleari furono immessi nell’impianto nel 2007 per ordine di Dick Cheney e di George W. Bush, con la connivenza di Ehud Olmert, Primo Ministro di Israele. L’invio consisteva in nuclei di testate rimosse segretamente dall’impianto americano della BWXT Plantex, vicino ad Amarillo, nel Texas.

Israele avrebbe trasportato le testate prelevate dal porto di Houston e, mentre agiva così da intermediario, si sarebbe appropriata di quelle migliori rifilando ai giapponesi quelle vecchie che, oltretutto, avrebbero poi dovuto essere ulteriormente arricchite con l’uranio di Fukushima.

Shimatsu dà così credito alla versione di Roland Vincent Carnaby – ex agente CIA e mercenario – suffragando l’informazione che le testate siano state trasportate da Houston. Carnaby fu misteriosamente ucciso un anno più tardi, dalla Polizia di Houston, ad un incrocio stradale: un colpo alla schiena ed uno al torace. Non era armato. Fonti dei servizi segreti sostengono che stesse pedinando un’unità del Mossad intenta a contrabbandare del plutonio americano dal porto di Houston, destinazione un reattore nucleare israeliano.

Inoltre, il giornalista afferma che 20 minuti prima della fusione dell’impianto nucleare di Fukushima, Israele fosse così irritata dal sostegno giapponese alla dichiarazione di uno Stato palestinese, da fare il doppio gioco con il Giappone infettando i computer di Fukushima con il virus Stuxnet, virus informatico che avrebbe impedito lo spegnimento, causando di conseguenza una fuoriuscita dell’impianto che ospitava l’uranio ed il plutonio, ricavati dalle testate fornite nel 2007.

Yoichi Shimatsu

Se da una parte è impossibile verificare alcune delle affermazioni di Shimatsu, è vero che a marzo, all’epoca del disastro di Fukushima, c’è stata una grande operazione di occultamento di informazioni. Le esplosioni nel sito furono immediatamente sminuite, mentre da una parte veniva ripetutamente sostenuto che tre reattori fossero in fusione, le autorità giapponesi cercarono di classificare il disastro come di livello 4 sulla International Nuclear and Radiological Event Scale, e questo nonostante gli esperti presenti all’esterno dichiarassero fosse di livello 7, quello massimo.

Degno di nota è che nel 2009, due anni dopo che Shimatsu sostenne che le testate fossero state portate segretamente in Giappone, la International Atomic Energy Agency (per noi AIEA) emise un velato ammonimento al Giappone a non abbandonare la propria politica contro le armi nucleari.

La AIEA doveva comunque sapere che il Giappone avesse da tempo raggiunto il potenziale per costruire armi atomiche; la cosa era infatti nota fin dal lontano 1996, quando un documento del ministero degli Affari Esteri – sfuggito – rivelò come il Giappone stesse perseguendo fin dagli anni ‘60, relativamente alle armi nucleari, una doppia strategia: pubblicamente professava ripetutamente una politica antinuclearista, mentre conservava la capacità di costruirsi un arsenale atomico. Il Partito Liberale Democratico, che ha dominato la politica giapponese, ha sempre sostenuto non ci fosse alcun impedimento costituzionale al detenere armi atomiche.

La potenza crescente della Cina potrebbe essere stato un fattore tale da incoraggiare il duo della Casa Bianca Bush-Cheney a fornire al Giappone i mezzi per costruire in segreto delle armi nucleari. Dunque Cheney e Bush avrebbero cercato di armare con armi nucleari il Giappone e l’India allo scopo di contenere la Cina.

Uccisione di Vincent Carnaby

venerdì 21 ottobre 2011

Euskadi. ETA annuncia la fine della lotta armata

Orsola Casagrande
ilmanifesto.it

Con un comunicato in video e audio recapitato ai giornali baschi Gara e Berria questa sera, ETA ha annunciato la fine della lotta armata.



Declaración de ETA
Euskadi Ta Askatasuna, organización socialista revolucionaria vasca de liberación nacional, desea mediante esta Declaración dar a conocer su decisión:
ETA considera que la Conferencia Internacional celebrada recientemente en Euskal Herria es una iniciativa de gran trascendencia política. La resolución acordada reúne los ingredientes para una solución integral del conflicto y cuenta con el apoyo de amplios sectores de la sociedad vasca y de la comunidad internacional.
En Euskal Herria se está abriendo un nuevo tiempo político. Estamos ante una oportunidad histórica para dar una solución justa y democrática al secular conflicto político. Frente a la violencia y la represión, el diálogo y el acuerdo deben caracterizar el nuevo ciclo. El reconocimiento de Euskal Herria y el respeto a la voluntad popular deben prevalecer sobre la imposición. Ese es el deseo de la mayoría de la ciudadanía vasca.
La lucha de largos años ha creado esta oportunidad. No ha sido un camino fácil. La crudeza de la lucha se ha llevado a muchas compañeras y compañeros para siempre. Otros están sufriendo la cárcel o el exilio. Para ellos y ellas nuestro reconocimiento y más sentido homenaje.
En adelante, el camino tampoco será fácil. Ante la imposición que aún perdura, cada paso, cada logro, será fruto del esfuerzo y de la lucha de la ciudadanía vasca. A lo largo de estos años Euskal Herria ha acumulado la experiencia y fuerza necesaria para afrontar este camino y tiene también la determinación para hacerlo.
Es tiempo de mirar al futuro con esperanza. Es tiempo también de actuar con responsabilidad y valentía.
Por todo ello,
ETA ha decidido el cese definitivo de su actividad armada. ETA hace un llamamiento a los gobiernos de España y Francia para abrir un proceso de diálogo directo que tenga por objetivo la resolución de las consecuencias del conflicto y, así, la superación de la confrontación armada. ETA con esta declaración histórica muestra su compromiso claro, firme y definitivo.
ETA, por último, hace un llamamiento a la sociedad vasca para que se implique en este proceso de soluciones hasta construir un escenario de paz y libertad.
GORA EUSKAL HERRIA ASKATUTA! GORA EUSKAL HERRIA SOZIALISTA! JO TA KE INDEPENDENTZIA ETA SOZIALISMOA LORTU ARTE!
En Euskal Herria, a 20 de octubre de 2011
Euskadi Ta Askatasuna E.T.A.

Translated by GARA
ETA’s DECLARATION
With this declaration, Euskadi Ta Askatasuna, the Basque socialist revolutionary organization for national liberation, wishes to give news of its decision:
ETA considers that the International Conference that has recently taken place in the Basque Country is an initiative of enormous significance. The agreed resolution includes all the elements for an integral solution of the conflict, and it has attained the support of a wide spectrum of the basque society and the international community.
A new political time is emerging in the Basque Country. We have an historical opportunity to find a just and democratic solution for the centuries old political conflict. Dialogue and agreement should outline the new cycle, over violence and repression. The recognition of the Basque Country and the respect for the will of the people should prevail over imposition.
This has not been an easy way. The cruelty of the fight has taken away the lives of many comrades. Many others are still suffering in prison and in the exile. For them our recognition and deepest tribute.
From now on the way is neither going to be easy. Facing the imposition that still exists, every step, every achievement, will be the result of the effort and fight of basque citizens. During these years the Basque Country has accumulated the necessary experience and strength to address this path and it also has the determination for doing it. It is time to look at the future with hope. It is also time to act with responsibility and courage.
Therefore, ETA has decided the definitive cease of its armed activity. ETA calls upon the Spanish and French governments to open a process of a direct dialogue with the aim of addressing the resolution of the consequences of the conflict and, thus, to overcome the armed confrontation. Thorough this historical declaration ETA shows its clear, solid and definitive commitment.
Lastly, ETA calls upon the basque society to commit with this process of solutions until we build a context of freedom and peace.
GORA EUSKAL HERRIA ASKATUTA! GORA EUSKAL HERRIA SOZIALISTA! JO TA KE INDEPENDENTZIA ETA SOZIALISMOA LORTU ARTE!
Basque Country, 20th october 2011
Euskadi Ta Askatasuna E.T.A.

taduciòn Italian Moreno Radaelli
by Sadefenza

dichiarazione de l'ETA

Euskadi Ta Askatasuna, l'organizzazione rivoluzionaria socialista basca di liberazione nazionale, attraverso questa dichiarazione vuole far conoscere la sua decisione:
ETA ritiene che la Conferenza Internazionale tenutasi recentemente in Euskal Herria è un'iniziativa di grande trascendenza politica. La risoluzione accordata riunisce tutti gli ingredienti per una soluzione globale del conflitto, che conta col sostegno di ampi settori della società basca e della comunità internazionale.

In Euskal Herria si sta aprendo un nuovo periodo politico. Siamo di fronte a un’occasione storica per dare una soluzione giusta e democratica al secolare conflitto politico. Contro la violenza e la repressione, il dialogo e l'accordo dovrebbero caratterizzare il nuovo ciclo. Il riconoscimento di Euskal Herria ed il rispetto della volontà popolare deve prevalere sull’imposizione. Questo è il desiderio della maggioranza dei cittadini baschi.

La lotta di molti anni ha creato questa opportunità. Non è stato un cammino facile. La crudezza del conflitto ha portato via molti compagni e compagne per sempre. Altri soffrono la galera o l’esilio. A loro è il nostro apprezzamento e sentito omaggio.

D’ora in poi, la strada non sarà facile. Davanti all’imposizione che esiste ancora, ogni passo, ogni realizzazione, sarà il risultato dello sforzo e della lotta dei cittadini baschi. In tutti questi anni Euskal Herria ha accumulato l’esperienza e la forza necessaria per affrontare questo cammino, ed ha anche la determinazione di farlo.

E 'tempo di guardare avanti con speranza. E 'anche tempo di agire con responsabilità e coraggio.
Pertanto,ETA ha deciso la cessazione della sua attività armata. ETA chiede ai governi di Spagna e Francia di aprire un dialogo diretto che tenga come obiettivo la risoluzione delle conseguenze del conflitto e quindi superare il conflitto armato. ETA questa dichiarazione storica dimostra il suo impegno chiaro, fermo e definitivo.

ETA infine, chiama la società basca di coinvolgersi in questo processo di soluzioni fino a costruire uno scenario di pace e libertà.

GORA EUSKAL HERRIA ASKATUTA! GORA EUSKAL HERRIA SOZIALISTA! JO TA KE INDEPENDENTZIA ETA SOZIALISMOA LORTU ARTE!
Basque Country, 20th october 2011
Euskadi Ta Askatasuna E.T.A.

Il quotidiano Gara pubblica un’ampia intervista in video all’avvocata basca Jone Goirizelaia.
Un’intervista anche molto intima in cui l’avvocata (tra l’altro di Arnaldo Otegi, uno dei portavoce della sinistra Abertzale) racconta come è diventata legale ma anche come nel Paese Basco bisogna rendersi conto che “tutti siamo parte del problema e quindi tutti dobbiamo essere parte della soluzione”.

segue link intervista:
http://www.gara.net/bideoak/111021_ezkabertzalea_es/

mercoledì 28 settembre 2011

Sinistra Critica Sarda PERCHE’ UNA POSIZIONE INDIPENDENTISTA

dipinto di Moreno Cotza


di Gian Luigi Deiana

Si apre una nuova pagina nel percorso di Sinistra Critica Sarda. Il coordinamento sardo dell’organizzazione - riunito il 10 settembre a Ghilarza - ha deciso all’unanimità di formalizzare la scelta di una posizione politica indipendentista. Il documento costituisce il frutto e allo stesso tempo la base di un lavoro politico di analisi e di pratica che è stato condotto in questi anni e che sarà approfondito, sviluppato e articolato nei prossimi mesi.

1: PERCHE’ UNA POSIZIONE INDIPENDENTISTA. - L’assunzione di una posizione indipendentista non viene da una valutazione di fase ma si fonda sulla realtà di un processo storico e sul suo esito attuale. In particolare: prima il rapporto tra la Sardegna e il Piemonte, poi il rapporto tra la Sardegna e il regno d’Italia, poi il rapporto tra la Sardegna e la repubblica italiana e infine il rapporto tra la Sardegna e l’assetto italo-europeo del neoliberismo. In termini cronologici si tratta di quattro distinte statuizioni del rapporto coloniale: 1719-1861; 1861-1945; 1945-1991; 1991-2011. Per tutto il corso del processo, che si avvia ormai a toccare i tre secoli, il filo conduttore è stato ed è e nel caso sarà il colonialismo interno, una specie di colonialismo straccione sia per chi lo ha imposto che per chi lo ha subìto. Tuttavia questo tri-secolare cordone ombelicale con l’Italia non si è condotto da solo, si è bensì svolto e nutrito svolgendo e nutrendo insieme il rapporto di classe interno alla Sardegna: prima il privilegio feudale, poi le sotto-borghesie mediatrici del regno, poi i ceti amministrativi e dirigenti locali della repubblica, e infine gli attuali replicanti regionali del neoliberismo.

2: POSSIAMO NON DIRCI ITALIANI? - Dentro questo particolare modello di subalternità la Sardegna oltre ad avere perso ha anche guadagnato, nel senso che per questa via, nel bene e nel male, è entrata nella modernità. Ha sperimentato, anche se a singhiozzo, una stagione di riformismo piemontese che ha contribuito a generare lo spirito della rivoluzione antifeudale (1770-1800); ha maturato una capacità popolare ed intellettuale reattiva rispetto al cedimento di classe rappresentato dalla “fusione perfetta” (1848-1878); non si è lasciata penetrare dal fascismo mentre ha dato un grande contributo alla resistenza e alla costituzione (1920-1950); ha maturato in forme nuove una coscienza critica anticapitalista e anticoloniale nella fase imperialistica del neoliberismo (1970-2011). In sintesi, la società sarda ha reimparato dall’Italia quella modernità del “diritto” e quella necessità della “cultura” che essa aveva perduto con la sconfitta dei Giudicati, e che i ceti parassitari sardi avrebbero volentieri soffocato ad ogni passo. Certo questo è avvenuto in modo contorto e contraddittorio, ma si può allo stato attuale, e solo in quanto sardi, disconoscere per esempio il valore della resistenza italiana e il significato della costituzione italiana, e ripudiare il contributo dei sardi alla loro storica realizzazione? E’ rinunciabile la comune vicenda storica passata nel fuoco delle trincee, nell’emigrazione, nelle università e soprattutto nelle fabbriche e nella lotta di classe? Può non dirsi italiano il Gramsci dei Consigli operai o degli scritti del carcere? E tuttavia l’ingresso della Sardegna nella modernità, di cui siamo involontari debitori nei confronti dell’Italia, è stato certamente un ingresso prigioniero, tenuto costantemente per mano e quindi costantemente sotto bastone: e questo oggi non lo si può subire più.

3: INDIPENDENTISMO DOGMATICO ED AUTONOMISMO AMMINISTRATO. - La storia recente della Sardegna ha riproposto ad ogni generazione il tema dell’indipendenza e della sovranità, e parallelamente ha riproposto l’autonomismo e il regionalismo come sua risoluzione concreta. Il risultato è sempre stato il gemellaggio fra un indipendentismo dogmatico e un autonomismo empirico, velleitario e puro il primo e subalterno e corrotto il secondo. Il punto più tragicomico e più surreale di questa ricorrente gemellatura si produce quando essa esibisce una specie di rapporto incestuoso tra il culto dell’indipendenza pura e la pratica dell’autonomia corrotta, cosa che riguarda quasi tutta la storia del Psdaz, le prediche dell’ultimo Cossiga e praticamente tutte le varie esercitazioni di funambolismo dei presidenti dei Consigli regionali, delle segreterie regionali dei partiti ecc. Bene, per questa via è chiaro che non si va da nessuna parte. Vi è una e una sola possibile alternativa: la costruzione attuale di un indipendentismo empirico.

4: LA COSTRUZIONE DI UN INDIPENDENTISMO EMPIRICO. - Nonostante la lunga vicenda di soffocamento coloniale e di alterazione storica che i sardi hanno subìto nei secoli “italiani” l’indipendenza non è necessariamente una via obbligata: in presenza di una “radicale” lotta anticapitalistica in Italia infatti non avremmo alcuna fretta di essere necessariamente indipendenti. Tuttavia l’indipendenza diventa una via obbligata quando diventa evidente che questo vecchio stato padrone e questa sua economia degli squali non può più tornare indietro dalla sua marcia di distruzione, e cioè quando non può più fare a meno di scaricare sulla colonia storica la sua più sporca fisiologia futura: occupazione militare, produzioni inquinanti con elevatissima componente di capitale e bassissima componente di forza lavoro, colonizzazione turistica a piena devastazione ambientale ecc. La necessità strutturale della colonizzazione è drammaticamente peggiore della volontà ideologica o della opzione politica della colonizzazione: siamo quindi ad un salto di qualità rispetto al quale l’innocuo adattamento gemello di indipendentismo dogmatico e di autonomismo amministrativo cessa di essere un gioco politico e diventa un fattore di distorsione grave. Si tratta quindi di scegliere il traguardo dell’indipendenza ed insieme di segnarne analiticamente le tappe in termini empiricamente praticabili. Debito pubblico, tenuta finanziaria, beni comuni, relazioni internazionali, unione europea, sistema bancario, rating, disarmo, riconversioni, ecc. E’ un compito da giganti che probabilmente non potrà nemmeno prendere avvio al di fuori di una grande trasformazione italiana ed europea: e questo è il motivo per cui la questione dell’indipendenza sarda va comunque tenuta all’interno della lotta anticapitalista internazionale, senza limitarsi con questo ad esserne una semplice appendice.

5: L’INDIPENDENTISMO EMPIRICO E LE ORGANIZZAZIONI ANTICAPITALISTE IN ITALIA. - L’idea di depurare l’indipendentismo sardo dalla condivisione di strutture organizzative anticapitaliste italiane (ovvero il comandamento di rompere organizzativamente con i partiti “italianisti”) è come tale un’idea religiosa; ma anche la liquidazione della questione da parte delle organizzazioni antagoniste italiane come vezzo “nazionalitario” è a sua volta un pregiudizio religioso. Poiché il problema è reale (è reale nella struttura, oppure non lo è affatto) è sbagliato sia vederlo in modo abbagliante (con la conseguenza che poi non si vede il contesto che lo genera) sia vederlo dal rifugio visuale dei congressi politici italiani (con la conseguenza che poi lo riduce a birdwatching). Di conseguenza è necessario costruire un percorso attraverso il quale tutti i compagni sardi a vario titolo impegnati nelle diverse organizzazioni anticapitaliste italiane possano convergere in un’unica organizzazione anticolonialista sarda. Questa, proprio in considerazione della sua ragione “includente”, dovrebbe avere una articolazione orizzontale e quindi non gerarchizzata, una identità collettiva e non leaderistica, una pratica di movimento e non di burocrazia, una forma educativa di inchiesta e non di ideologia ecc.

6: L’INDIPENDENTISMO EMPIRICO E L’INDIPENDENTISMO STORICO. - Poiché è il movimento reale che decide del mutamento dello stato di cose presente, l’ultimo anno di conflitti in Sardegna ha chiarificato che vi sono significative esperienze di organizzazione anti-italianiste, degne anche di grande stima: è il caso soprattutto di A Manca, di Sardigna Natzione e di Irs. La scissione in Irs ha messo temporaneamente a nudo i limiti all’origine dell’orientamento assunto da questo movimento, il cui eclettismo ideologico e il cui interclassismo pratico non si sarebbero potuti affidare, all’atto del successo elettorale, ad altro che sublimazioni, personalistiche o intellettuali a seconda delle propensioni interne. Il successo politico sul referendum antinucleare non solo ha premiato Sardigna Natzione con pieno merito, ma la ha anche avvicinata positivamente al lavoro comune con le organizzazioni antagoniste in genere, e con organizzazioni antagoniste “italianiste” anche più che con organizzazioni indipendentiste “sarde”, e ha evidenziato definitivamente l’insostenibilità di fratellanze a destra in nome della “sovranità”. A Manca prosegue in un percorso radicale col quale ci siamo rapportati costruttivamente in situazioni diverse, ma che pure presenta forti connotati di a-manca-centrismo, antiitalianismo, pregiudiziale indipendentista ecc. che allo stato attuale rendono favorevoli convergenze su problemi specifici ma rendono difficile una convergenza sulla linea politica di fondo. In tutte queste organizzazioni, e ovviamente in quelle indipendentiste e nazionaliste minori, è presente una tentazione settaria che talvolta sembra costituirne persino il vero denominatore comune: la documentazione diretta presente sui blog ne è una testimonianza efficace. D'altronde va considerato il fatto che la percezione di analoghe manchevolezze è presente fondatamente anche nel giudizio che queste organizzazioni indipendentiste hanno maturato nei confronti delle varie formazioni antagoniste di matrice italiana presenti attualmente in Sardegna. La condizione speculare di questo punto pregiudiziale necessita di tutta la chiarezza e di tutta l'apertura di cui oggi si possa essere reciprocamente capaci.

7: CHE FARE ? LA PROSPETTIVA - Il primo passo (v. sopra, punto 6) è quindi quello di costruire il ragionamento partendo dal punto di avvio prodotto all’interno di Sinistra Critica Sarda e valutandolo insieme ad altri compagni per i quali il problema si pone in partenza nel medesimo modo. Non è irrealistico prospettare che da una situazione di discussione così costruita possa nascere a breve una realtà definita dotata di un minimo di massa critica e di riconoscibilità: con carattere antiliberista, anticapitalista e anticolonialista riguardo alla visione politica generale; ma anche antagonista rispetto al bipolarismo italiano e all’opportunismo di sinistra in esso presente; interna all’anticapitalismo italiano ed europeo e convergente con l’indipendentismo sardo nella prospettiva di un fronte ampio popolare e di classe. Questo soggetto politico che di fatto è già in gestazione può poi consentirsi di presentare le proprie credenziali a quelle che comunque ne sono state le organizzazioni politiche madri (Sinistra Critica, Rifondazione ecc.) e ridefinire i rapporti formali con le stesse alla luce dei risultati politici acquisiti nella fondazione e nella prospettiva.

8: LA SITUAZIONE PRESENTE - Sulla situazione politica presente pesa da molti anni la configurazione del bipolarismo italiano, che in realtà è a sua volta una protesi del bipolarismo europeo e che prevedibilmente continuerà a durare, in quanto è lo strumento istituzionale necessario al neoliberismo come macchina reale dell'organizzazione sociale. Il bipolarismo è apparentemente nei singoli stati la condizione “politica” della sovranità popolare, ma in generale e dunque sul piano europeo è la condizione “istituzionale” della sottrazione della sovranità popolare; il bipolarismo significa, costituzionalmente, che la sovranità non appartiene al popolo. La condizione italiana è in molti sensi la peggiore poiché essa presenta insieme il peggior centrodestra ed insieme il peggior centrosinistra della scena bipolare europea; questi schieramenti sono anzi talmente peggiori l'uno dell'altro che oltre a non poter far intravvedere alcun possibile contributo all'uscita dallo sprofondamento, e potendo solo reiterare la stagnazione, l'unico esito del gioco a loro appaltato sarebbe “la rovina comune di tutte le classi in lotta”, nonché l'imbarbarimento fatale delle situazioni coloniali. Per tale ragione, anche ammettendo la debolezza per la quale in situazioni contingenti si accetta di fissare un accordo politico su qualcosa (ad esempio temi referendari, campagne di interesse generale o anche lavoro comune fra i compagni) non deve essere possibile legare strutturalmente ed organicamente una organizzazione anticapitalista sarda al bipolarismo italiano, nemmeno in varianti regionali o locali di centrosinistra; come del resto non deve essere possibile legare strutturalmente e organicamente una organizzazione anticolonialista sarda alle espressioni classiste organizzate della stessa borghesia sarda (partiti, lobby, media ecc.).

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