mercoledì 25 maggio 2022

Per il burattinaio del «grande reset» la guerra ci farà diventare più verdi


di FRANCESCO BORGONOVO
Il patron del World Economic Forum sforna un altro libro, un ricettario di banalità con un’unica «narrazione»: I complotti, tra i tanti lati negativi, ne hanno almeno uno positivo: sono interessanti, talvolta persino divertenti. I piani per la conquista del mondo stilati dalle società segrete nel corso della Storia - per quanto malvagi - risultano comunque affascinanti, ricco materiale per documentari e libri inchiesta. Ebbene, le idee di Klaus Schwab, fondatore del World economic forum (WEF) e teorizzatore del Grande Reset, non hanno nemmeno questo pregio. Anzi, sono di una banalità sconcertante. A ben vedere, non si tratta nemmeno di complotti, perché Schwab non fa mistero di nulla, mette tutto nero su bianco in pagina, espone la sua visione del mondo e i suoi progetti di cambiamento epocale in libri che hanno larghissima diffusione. È come se l’uomo nascondesse le sue trame in pie- na luce: i suoi tomi sono talmente noiosi che viene da abbandonare la lettura dopo un paio di pagine, dunque com- prendere che cosa egli abbia in mente è veramente un’impresa. Pagina dopo pagina bisogna farsi forza, impedire agli occhi di chiudersi e cercare di farsi largo tra le montagne di fuffa che Schwab accumula senza rimorsi.

Ciò è particolarmente vali- do per l’ultimo volume firma- to assieme al ricercatore Thierry Malleret, appena arrivato nelle librerie italiane e intitolato La grande narrazione (Franco Angeli). È il seguito de Il Grande Reset e, se possibile, è ancora più terrificante. Secondo gli autori si tratta di «una chiamata all’azione collettiva e individuale». La tesi centrale è veloce- mente esposta nella prima pagina, e le quasi 200 restanti sono del tutto inutili. Schwab spiega che «se vogliamo assicurare un futuro migliore all’umanità, il mondo deve es- sere più resiliente, più equo e più sostenibile». Come vede- te, nulla di diverso rispetto a ciò che si può leggere quotidianamente nei media cosiddetti mainstream. E in effetti il tomo è una specie di condensato delle amenità prevalenti, in qualche modo l’autore cerca di tracciare i confini del «pensiero unico», fornendo una leggerissima impalca- tura ideologica ai vari predicatori politicamente corretti.

L’intero saggio è pervaso da una stomachevole esibizione di buoni sentimenti. Schwab disegna i contorni di una umanità che vive in pace, rispetta l’ambiente, rimette in equilibrio la bilancia della giustizia sociale, risponde compatta alle varie crisi che si manifestano. È il proverbiale «paradiso in Terra» che tutti i progressisti e gli gnostici rivoluzionari propongono dall’inizio dei tempi. A tratti, la variazione sul tema fornita da Schwab è grottesca, ad esempio quando suggerisce di tenere «corsi di empatia» per stimolare l’umana solidarietà.

Sotto questa patina appiccicosa, tuttavia, emergono gli aspetti inquietanti. Il primo è il principio cardine del Grande Reset: «Il cambiamento è sempre doloroso, quindi dovremmo approfittare del fatto che siamo in una congiuntura critica per attuare le misure necessarie che possono correggere la maggior parte delle cose che sono andate male per tanti anni in passato». Insomma, si tratta di sfruttare le crisi, se non di provocarle allo scopo di imprimere svolte fondamentali all’umanità. Le catastrofi possono agevolare la realizzazione della Quarta rivoluzione industriale (quella tecnologica e digitale), poiché «più grande è il problema e più grave è la minaccia, maggiore è la spinta a cooperare per trovare una soluzione».

Piccolo inconveniente: Schwab parla spesso di cooperazione, ma il fine di tale cooperazione lo ha già deciso lui (o chi per lui), e non c’è possibilità di discussione. Bisogna, senza se e senza ma, compiere la svolta green, rendere l’intero sistema sostenibile: «I cambiamenti «verdi» necessari in tutto il sistema economico […] costituiscono, di fatto, l’unica storia di crescita possibile, perché una storia di crescita a lungo termine a elevate emissioni di carbonio non è più attuabile».

Sostenibilità, dunque. Il concetto è di travolgente brutalità: «La sostenibilità è normalmente definita come la capacità di soddisfare i nostri bisogni senza compromette- re la capacità delle generazioni future di soddisfare i loro». Cristallino: il sistema basato sul desiderio e il soddisfacimento di bisogni per lo più indotti deve restare in piedi, semplicemente bisogna ricalibrare gli esseri umani in modo che il banchetto duri più a lungo, e anche le generazioni future abbiano il loro posto a tavola. Tocca adattarsi, insomma, rinunciare a qualcosa e abituarsi agli choc. Bisogna essere resilienti, perché «la pandemia ha amplificato l’importanza della resilienza: la capacità di prosperare anche in periodi di avversità e di riprendersi da circostanze difficili». Tradotto, resilienza è la capacità di subire in silenzio, senza lamentarsi.

Tra i principali nemici che il simpatico Klaus cita nel libro ci sono, non a caso, populisti e no vax. «Il populismo tende a essere negativo per la sostenibilità: esiste una forte correlazione tra populismo e scetticismo climatico; il populismo porta al potere i demagoghi, che poi offrono soluzioni troppo semplificate a problemi complessi». Quanto ai critici del regime sanitario, «i potenti movimenti anti scienza prolungano la fase di lento declino della pandemia di Covid ostacolando sia la salute pubblica sia, in modo più sostanziale, la nostra capacità di andare avanti all’unisono».

In che cosa consiste, alla fine dei conti, la proposta di Schwab? In un generico progressismo ammantato di nobili istanze sul benessere collettivo e individuale, che nella realtà diviene una spinta incontrastabile a tagliare le emissioni e realizzare la svolta verde e ad aumentare la presenza della tecnologia nelle nostre vite.

Per illustrare questo vasto programma (già in corso di applicazione), Schwab inter- roga decine di esperti in tutto il mondo, molti dei quali appartenenti all’universo liberal. Costoro sono utili a costruire la «grande narrazione» che sta al centro della nuova opera del capo del Wef. Seguendo la lezione dei filosofi del linguaggio che pensa- no di ridisegnare la realtà cambiando le parole, Schwab spiega che «sta emergendo un nuovo mondo (non una «nuova normalità») i cui contorni saranno in gran parte definiti dai discorsi che si svilupperanno per tracciare la strada da seguire». Come incantesimi, le narrazioni per- mettono di conquistare le menti, di orientare l’opinione pubblica, e di mettere in pratica il cambiamento senza usare il pugno di ferro.

Del funzionamento di questo metodo abbiamo avuto numerose prove durante la pandemia: si costruisce un discorso prevalente, e lo si impone alla popolazione. Chi lo contrasta (i già citati populisti e no vax) va demonizzato e marginalizzato. Sta funzionando così anche con la guerra in Ucraina, ed è interessante che Schwab proprio ieri abbia ospitato a casa sua, a Davos, Volodymyr Zelensky. Il presidente ucraino, in effetti, ha dimostrato di maneggiare con destrezza il potere della narrazione. Per l’occasione, Zelensky ha chiesto di aumentare le sanzioni alla Russia e di bloccare l’acqui- sto di petrolio. Soprattutto, ha invitato i presenti a Davos a «prendere parte alla ricostruzione» del suo Paese. E ha concluso con una frase a effetto: «Spero che ognuno di voi potrà svegliarsi al mattino chiedendosi: cosa posso fare per l’Ucraina oggi?». Domanda interessante, a cui si può anche cambiare verso, formulandola dal punto di vista di Schwab.

Dato che le crisi servono a velocizzare il cambiamento, forse occorre chiedersi: «Che cosa può fare l’Ucraina per la Quarta rivoluzione industriale e la svolta green?».

Klaus Schwab 

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