domenica 29 gennaio 2023

E SE IL NOSTRO PASSATO FOSSE TUTTA “UN’ALTRA STORIA”?


Anatolij Fomenko

IDEATORE DELLA NUOVA CRONOLOGIA

400 ANNI D’INGANNI
E SE IL NOSTRO PASSATO FOSSE TUTTA
“UN’ALTRA STORIA”?

Titolo originale: 400 лет обмана (ACT 2007) -Истину можно вычислить (ACT 2007) - Числа против лжи (ACT 2011)

INDICE

INTRODUZIONE di V.G. Bani

LA “NUOVA CRONOLOGIA” (NC) DI FOMENKO-NOSOVSKIJ: STORIA

DEL PROGETTO, DELLE CONTROVERSIE CHE HA INNESCATO, DELLE

PROSPETTIVE CHE HA APERTO

(G.V. NosoVskij, A.T. FomeNko)

Capitolo 1 PROBLEMI DI CRONOLOGIA STORICA

1. La cronologia romana come fondamento della cronologia europea

2. Scaligero, Petavius e gli altri cronologisti ecclesiastici. La creazione nei secoli XVI-XVII d.C.

della versione attualmente adottata della cronologia dell’Antichità e del Medioevo

3. La cronologia di Scaligero-Petavius, messa in dubbio già nel XVI secolo

3.1. I critici della cronologia di Scaligero: De Arcilla, Robert Baldauf, Jean Hardouin, Edwin Johnson

3.2. Isaac Newton

3.3. Nikolaj Aleksandrovič Morozov

3.4. Lavori recenti di studiosi tedeschi aventi per oggetto la critica della cronologia scaligeriana

3.5. Il problema dell’attendibilità della cronologia e della storia romana. L’ipercriticismo del secolo XIX

4. Difficoltà nella fissazione dell’esatta cronologia dell’Egitto “antico”

5. Il problema della datazione delle “antiche” fonti originali. Tacito e Poggio. Cicerone e

Barzizza. Vitruvio e Alberti

6. La misurazione del tempo nel Medioevo. Gli storici parlano di “caos delle datazioni

medievali”. Strani “anacronismi medievali”

7. Cronologia e datazione dei testi biblici

8. Difficoltà e ambiguità nella lettura dei testi antichi. Il problema della vocalizzazione

8.1. Come leggere un testo antico scritto solo con le consonanti?

8.2. Nel Medioevo i suoni R e L venivano spesso confusi

9. La geografia scaligeriana degli eventi biblici e i problemi ad essa legati

9.1. L’archeologia e il Vecchio Testamento

9.2. L’archeologia e il Nuovo Testamento

10. Difficoltà della localizzazione geografica di molti eventi dell’“Antichità”

10.1. Dove si trovavano Troia e Babilonia

10.2. La geografia di Erodoto combacia a malapena con la versione scaligeriana

10.3. Le carte medievali “girate”

11. Analisi moderna della geografia biblica

12. L’epoca misteriosa del “Rinascimento”, come conseguenza dell’errata cronologia

scaligeriana

13. L’inesatta cronologia scaligeriana alla base dei metodi archeologici di datazione

13.1 L’ambiguità delle datazioni archeologiche e la loro dipendenza da una cronologia precedentemente adottata

13.2. Gli scavi di Pompei. Quando venne distrutta la città

13.3. La distruzione dei “vecchi” monumenti considerata attualmente in crescente accelerazione

13.4. Quando fu iniziat la costruzione del famoso Duomo di Colonia?

13.5. Come si poteva “nell’età del bronzo”, produrre il bronzo, senza conoscere lo stagno? Questo è uno dei problemi che

pone la storia scaligeriana

14. Le difficoltà del metodo dendrologico e di altri metodi di datazione

14.1. La curva continua della datazione dendrocronologica si estende nel passato non oltre il X secolo dell’era cristiana

14.2. Le datazioni ottenute sulla base del metodo al radio-uranio, al radio-attinio e sulla base dell’analisi dello strato

sedimentario

15. Quanto sono esatte le datazioni fatte con il metodo del radiocarbonio?

15.1. Lo spettro caotico delle datazioni al radiocarbonio ottenute su reperti “antichi”, medievali e moderni. L’idea iniziale di

Libby. I primi fallimenti

15.2. La datazione della Sacra Sindone di Torino

16. La datazione numismatica

Capitolo 2 LE DATAZIONI ASTRONOMICHE

1. Il salto misterioso del parametro D’’ nella teoria del moto della Luna

2. Quanto correttamente sono state datate le eclissi dell’“Antichità” e del Medioevo?

2.1. Alcune nozioni di astronomia

2.2. Una datazione astronomica indipendente sposta le “antiche” eclissi al Medioevo

2.3. Le tre eclissi descritte dall’“antico” Tucidide

2.4. Le eclissi descritte dall’“antico” Tito Livio

3. Lo spostamento “in su” delle date delle “antiche” eclissi nel Medioevo elimina il mistero del

comportamento del parametro D’’

4. L’astronomia sposta gli “antichi” oroscopi nel Medioevo

4.1. L’astronomia medievale

4.2. Il metodo di datazione astronomica indipendente

4.3. Molte “antiche” osservazioni astronomiche potevano essere state teoricamente calcolate dagli astronomi del tardo

Medioevo e successivamente inscritte da loro stessi e fatte passare come “osservazioni reali” in annali presunti “antichi”

4.4. Quali osservazioni astronomiche degli “antichi” potevano essere il risultato dei calcoli teorici del tardo Medioevo

5. Brevi osservazioni su alcuni Zodiaci egizi

5.1. Osservazioni generali

5.2. Gli Zodiaci di Dendera

5.3. Gli oroscopi di Brugsh e Flinders Petrie

5.4. Le datazioni definitive degli Zodiaci egizi sulla base della loro decifrazione intera, ottenuta nel 2001 da G.V. Nosovskij e

A.T. Fomenko

6. L’astronomia nel Nuovo Testamento

Capitolo 3 I METODI MATEMATICO-STATISTICI

I metodi matematico-statistici

1. Il metodo dei massimi locali

1.1. Funzione del volume di un testo storico

1.2. Il principio di correlazione dei massimi

1.3. Il modello statistico

1.4. Verifica sperimentale del principio di correlazione dei massimi. Esempi di testi storici dipendenti e indipendenti

1.5. Metodi di datazione di eventi storici

2. Il metodo del riconoscimento e della datazione delle dinastie dei regnanti. Il principio delle

piccole alterazioni dinastiche

2.1. Formulazione del principio delle piccole alterazioni dinastiche

2.2. Il modello statistico

2.3. Il metodo di datazione delle dinastie reali e il metodo di individuazione dei duplicati dinastici fantasma

3. Il principio di smorzamento delle frequenze. Il metodo dell’allineamento dei testi storici nel

tempo

4. Applicazione del metodo ad alcuni testi storici concreti

5. Il principio di duplicazione delle frequenze. Il metodo di rilevamento dei duplicati

6. Il metodo dei questionari-codice. Confronto di due lunghi flussi di biografie reali

7. Il metodo del giusto allineamento cronologico e della datazione di antiche carte geografiche

Capitolo 4 LA CARTA CRONOLOGICA GLOBALE (CCG). RISULTATI

DELL’APPLICAZIONE DEI METODI MATEMATICI ALLA STORIA ANTICA E

MEDIEVALE

1. “Il manuale di storia antica e medievale” nelle datazioni di Scaligero-Petavius

2. Le misteriose ripetizioni di cronache nel “manuale di Scaligero-Petavius”

3. Le misteriose ripetizioni delle dinastie nel “manuale di Scaligero-Petavius”

4. Breve descrizione delle sorprendenti sovrapposizioni dinastiche

5. Concordanza dei risultati cronologici ottenuti dai diversi metodi d’indagine

5.1. Affermazione importante

6. Quadro generale della disposizione “delle ripetizioni” nel “manuale di Scaligero-Petavius”.

Scoperta dei tre slittamenti cronologici fondamentali

7. “Il manuale scaligeriano di storia antica” è costituito da quattro duplicati di una breve

cronaca originale, “incollati” l’uno nell’altro

8. L’elenco degli avvenimenti-fantasma “antichi”, risultanti essere dei duplicati-fantasma,

proiezioni di originali medievali

9. La nostra ipotesi: la storia descritta negli annali “antichi” giunti fino a noi comincia all’incirca

solo a partire dal X secolo d.C. Non sappiamo nulla degli eventi avvenuti prima del X secolo

d.C.

10. La storia attendibile comincia solo a partire dal XVII secolo d.C. La storia dei secoli XI-XVI

è fortemente alterata. Molte date del periodo XI-XVI secoli necessitano di correzione

11. Ipotesi sulla causa dell’insorgenza di slittamenti cronologici errati nella stesura della storia

dell’Antichità

11.1. Lo spostamento cronologico di 1000 o 1100 anni come conseguenza dell’errore nella datazione della vita di Gesù

Cristo

11.2. La lettera X nelle date un tempo indicava il nome di Cristo, ma in seguito fu interpretata come la cifra “dieci”. La

lettera “I” un tempo indicava il nome di Gesù (Iesus) ma in seguito fu interpretata come la designazione di “mille”

11.3. Fino al XVIII secolo in certe regioni d’Europa, per la trascrizione delle date venivano usate, a indicare l’unità, le

lettere latine I o J, cioè la prima lettera del nome Iesus (Iesus)

11.4. Come si è potuto produrre uno spostamento cronologico di 330 o 360 anni

11.5. Che cosa significavano originariamente, nel Medioevo, le lettere latine M, D, C nella trascrizione delle date romane.

Idea generale

11.6. La trascrizione delle date medievali non era stata ovunque unificata persino nel XVIII secolo

12. Quando fu fondata Roma, in Italia

13. La confusione posteriore tra le date di fondazione delle due Rome, quella sul Bosforo e

quella italiana

14. Scaligero e il Concilio di Trento. La creazione della cronologia scaligeriana dell’Antichità nei

secoli XVI-XVII

15. Le nuove datazioni astronomiche concordano con le identificazioni delle dinastie

16. Lo strano “gap” da noi individuato nella cronologia scaligeriana vicino “all’inizio della nuova

era (cristiana)” ottiene ora una semplice spiegazione

BIBLIOGRAFIA

I

INTRODUZIONE

l libro, che ci accingiamo a presentare, è la prima opera edita in lingua italiana, dedicata alla

Nuova Cronologia. Si tratta di una selezione di materiali, facenti parte dell’ampio progetto

“Nuova Cronologia” (d’ora in avanti NC), un’ipotesi matematica applicata allo studio della storia,

elaborata teoricamente e verificata sperimentalmente dal professor Anatolij Fomenko e dai suoi

collaboratori, primo fra tutti Gleb Nosovskij. Più precisamente, sotto il titolo di 400 anni d’inganni

abbiamo scelto di riunire una serie di capitoli (fondamentalmente tratti dall’omonimo 400 let

obmana e da Istinu možno vyčislit’ [La verità si può calcolare; N.d.T.]), che ci sono sembrati i più

adatti a introdurre i lettori italiani nel complesso contesto del progetto.

Avvertiamo fin d’ora che l’impatto con le ricerche e i risultati della NC provocherà in tutti i

lettori un effetto “shock”.

Diversamente non potrebbe essere: le pagine che seguono demoliscono la cronologia e la storia

familiari dall’età scolare, dimostrando che Cristo è nato in un’altra epoca, che l’età conosciuta come

“antica” è in realtà quella medievale, che le piramidi, il Colosseo e gli altri famosi monumenti

dell’antichità sono, in realtà, molto più giovani rispetto a ciò che abbiamo sempre creduto.

Percorrendo le tappe della ricerca che porta A.T. Fomenko e i suoi ad affermare, con cognizione

di causa, che la storia e la cronologia attualmente adottate in realtà sono il prodotto di moltiplicate

falsificazioni dei materiali storici e delle mistificazioni iniziate dai cronologisti del XVI-XVII

secolo, Scaligero e Petavius, in seguito portate avanti dai loro seguaci, la prima reazione del lettore

sarà probabilmente di difesa: la difesa, istintiva e comprensibile, che si mette in atto quando vengono

attaccati le credenze tramandate da generazioni, i miti indiscussi, i solidi e autorevoli pilastri che

sorreggono la base di una visione del mondo accettata e condivisa fin dall’infanzia.

Diversa, invece, potrà essere la reazione successiva: qualcuno potrà bollare il lavoro di Fomenko

e dei suoi collaboratori quasi a priori, preferendo non inoltrarsi nella lettura; qualcun altro potrà

condannarlo severamente, rifiutandosi fermamente di discostarsi dalla familiare visione della storia

appresa fin dai banchi di scuola, rivissuta nei libri o nei film e magari approfondita in studi

accademici successivi; qualcun altro ancora si sentirà in diritto di deriderlo o giudicare le sue

ricerche un’avventura insensata, un virtuosismo da matematici fine a se stesso.

Sono certa, tuttavia, che il lettore aperto e imparziale, indugiando nella lettura dei testi della NC e

pur anche serbando un atteggiamento diffidente e scettico nei confronti dei risultati esorbitanti cui

essa perviene, indubbiamente “difficili da digerire”, non potrà non restare affascinato dai metodi

appositamente elaborati per lo studio della cronologia; dalla scelta e dalla quantità dei documenti e

delle informazioni presentati al fine di suffragare queste ipotesi matematiche; dall’entità e

dall’originalità del lavoro degli studiosi e, in generale, dal loro coraggioso approccio.

Anatolij Timofeevič Fomenko, membro dell’Accademia russa delle Scienze, stimato professore

della Facoltà di Matematica meccanica dell’Università statale di Mosca, autore di una trentina di

manuali e testi di matematica, topologia e statistica (tradotti in varie lingue e raccomandati anche

nelle facoltà italiane di fisica e matematica) oltre che dei tanti libri dedicati alla NC,

nell’intraprendere a suo tempo, questa colossale revisione della cronologia e della storia

convenzionali, non si era posto il fine di rendersi famoso con trovate sensazionali, né di provocare o

sfidare la comunità degli storici, osando invadere il loro campo per sottoporlo a una severa

investigazione attraverso metodi matematici. Non è stato mosso da alcun fine “campanilistico”

(matematici contro storici), né pubblicitario, e meno che mai commerciale. Anzi: considerando la

posizione affermata che questo studioso occupa da molto tempo nel contesto accademico matematico

russo, si è più indotti a supporre che l’esporsi in un campo “non di competenza professionale”, con

una teoria assolutamente rivoluzionaria e in aperto contrasto con la linea vigente, comportasse più un

forte rischio per la sua autorità accademica che non i presupposti per eventuali benefici derivanti da

un’abile manovra autopromozionale, come potrebbe sembrare, in apparenza, l’idea della NC.

Il mirato interesse per la storia e la cronologia nacque in Fomenko quasi per caso negli anni

Settanta del secolo scorso, quando egli, analizzando la ricerca dell’astronomo americano Robert

Newton sulle antiche eclissi di luna e restando incuriosito dalla soluzione incongruente di un punto

oscuro nel calcolo del parametro lunare D’’, fu indotto a indagare sulla correttezza delle datazioni

astronomiche e, in seguito, sulla possibilità di applicare, a questo fine, dei metodi matematici allo

studio di manoscritti antichi. Allora si trattava di un problema di carattere puramente matematico, che

presentava in questo stretto contesto un preciso interesse. Nessuno, il professor Fomenko compreso,

si aspettava che la risoluzione di questo problema potesse sortire un’interpretazione della storia del

mondo antico e del Medioevo in aperto contrasto con le opinioni correnti degli storici.

Procedendo nella ricerca e dubitando in maniera via via crescente dell’esattezza della cronologia

universale invalsa, Anatolij Fomenko, stimolato dal tentativo di trovare conferma dei sensazionali

risultati ottenuti applicando la sua ipotesi matematica a un primo settore d’indagine (l’interpretazione

di una datazione astronomica), decise di estendere la sua ricerca ad altri materiali storici (datati a

un’epoca anteriore al secolo X e fino al XVII secolo). Così manoscritti originali, copie di cronache e

annali, monumenti di architettura, incisioni, affreschi, mosaici, icone, pietre tombali, carte

geografiche, cammei, monete, tappeti, smalti ecc. furono sottoposti a un’analisi incrociata sulla base

di una serie di metodi statistico-matematici (vedi capitolo 3), appositamente elaborati da Fomenko e

dai suoi collaboratori:

metodo dei massimi locali;

metodo del riconoscimento e della datazione delle dinastie dei regnanti, principio delle piccole

alterazioni dinastiche;

principio dello smorzamento delle frequenze, metodo dell’allineamento dei testi storici nel tempo;

principio della duplicazione delle frequenze e metodo dell’individuazione e della datazione dei

duplicati;

metodo dei moduli-codice (altresì detto metodo della “biografia formalizzata” di re, regnanti, capi

militari, capi religiosi ecc.);

metodo del corretto allineamento cronologico e della datazione delle antiche carte geografiche;

metodo astronomico (della datazione degli zodiaci).

Tali metodi si rivelarono validi e attendibili: lo studio incrociato con questi su una gran varietà di

documenti e materiali1 permise ai matematici guidati da A. Fomenko di scoprire le intonacature e “le

incrostazioni” superflue aggiuntesi nel tempo, di dare una risposta logica e coerente a certi enigmi

del passato, di motivare e smussare certe contraddizioni incomprensibili agli storici, e consentì, in

generale, non di smentire la realtà degli eventi, ma di rivederne la datazione, non di negare

l’esistenza di certi personaggi, ma di ristabilirne l’esatta biografia e posizione nella storia.

Le stupefacenti conclusioni cui pervennero gli studiosi, passando al vaglio massicce quantità di

materiali storici (soprattutto scritti, cronache e annali) alla luce dei loro procedimenti matematici

indipendenti, cioè non basati sulle dubbie datazioni precedenti né su quelle ottenute dai metodi

classici, imprecisi (dendrologico, al radiocarbonio, dello strato sedimentario, comparativo,

numismatico ecc. di cui analizzano dettagliatamente i motivi d’imprecisione) si possono sintetizzare

nel modo seguente:

1. constatazione dell’inesattezza della cronologia attualmente adottata. La cronologia

universalmente seguita, sostengono gli Autori, è inesatta. Più precisamente essa risulta essere il

prodotto di una serie d’innesti cronologici, registrazioni ripetute di stessi eventi (duplicati) nonché

calcoli, su basi errate, di eventi successivi. L’asse cronologico attualmente assunto (versione

scaligeriana) risulta, in altre parole, “invecchiato”, allungato come minimo di un migliaio d’anni

(vedi capitolo 4).

2. La conseguenza pratica di tale constatazione fu la stesura della Carta Cronologica Globale

(tracciata su un rotolo di carta di 19 m), uno schema che abbraccia tutte le epoche storiche (eventi,

personaggi, aree geografiche) dal 4000 a.C. al 1800 d.C., secondo la datazione convenzionale

scaligeriana, e mette in rilievo gli innesti e i duplicati sommatisi nel tempo (vedi capitolo 4).

3. La proposta costruttiva fu l’elaborazione, sullo sfondo della Carta Cronologica Globale, della

NC, ovvero di un asse cronologico “snellito” e ripulito dai duplicati, dagli innesti e dalle

falsificazioni, apportate dai cronologisti scaligeriani. La NC è dunque, più chiaramente, una

ricostruzione degli eventi storici fondata su basi scientifiche indipendenti, o anche, come

preferiscono chiamarla gli Autori, un’ipotesi fondata su indiscutibili basi matematiche ma

nondimeno flessibile, suscettibile di ritocchi ed eventuali revisioni a seconda delle scoperte

archeologiche o storiche che potranno essere fatte.

Quanto premesso lascia facilmente intuire che la NC si connoti come una teoria piuttosto

“scomoda” e spinosa, se non addirittura pericolosa. In Russia non a caso ha dato origine a un’accesa

polemica con aspri interventi critici, che gli Autori non hanno mancato di ospitare nel sito ufficiale

del progetto (www.chronologia.org. in lingua russa e www.nuovacronologia.it in italiano; vedi anche

più avanti: “La ’Nuova Cronologia’ di Fomenko-Nosovski: storia del progetto, delle controversie

che ha innescato, delle prospettive che ha aperto”).

Nel 2009 della questione NC dovette addirittura occuparsi l’allora presidente della Russia

Dmitrij Medvedev che, sollecitato dal governatore della regione di Novgorod, Sergej Mitin, “offeso”

dalle ipotesi di Fomenko-Nosovskij rispetto alla reale storia della sua città, risolse abilmente e

diplomaticamente il contrasto affermando:

«[...] personalmente non sono contrario alle rappresentazioni innovatrici o avanguardistiche della storia. Non solo, ma ritengo

che a volte nel pensiero paradossale si celi un determinato senso. Ma certo questo non deve diventare un manuale di studio. Ci

sono eventi che è necessario, secondo me, recepire come canone [...]»2.

Del resto, se il fronte dei nemici si è presentato da subito numeroso e agguerrito, raccogliendo

nelle sue file storici, archeologi, linguisti, politici, religiosi, insegnanti e lettori ordinari, stabile e

crescente è risultato essere anche lo schieramento dei sostenitori (spesso di formazione scientificomatematica:

persino il campione del mondo di scacchi G. Kasparov!) ragion per cui in Russia i

numerosissimi libri divulgativi del progetto NC, grazie anche alla loro esposizione accessibile e

chiara, sono diventati negli ultimi anni dei best-seller, pubblicati da case editrici leader e raccolti

anche in una grande opera in sette volumi (la prima edizione, per i tipi della RIMIS, è del 2003, la

seconda, a cura della AST, è uscita nel 2010). Alcuni temi della NC sono stati inoltre proposti in 24

DVD (vedi “Bibliografia”). Grazie all’intervento dello scrittore A. Zinov’ev, l’opera in sette tomi è

stata pubblicata anche in inglese dall’editore Delamere (vedi “Bibliografia”). In generale, l’unica

parte complessa del progetto riguarda l’illustrazione dei metodi matematici.

Nella selezione delle pagine per il pubblico italiano, abbiamo deciso d’includere alcuni capitoli

strettamente matematici per tre motivi fondamentali: per rendere la piattaforma del progetto in tutto il

suo spessore; per dimostrare al grande pubblico che le affermazioni degli Autori sono il frutto di una

scrupolosa e lunga verifica sperimentale effettuata su centinaia di fonti a partire da tecniche oggettive

e indiscutibili; e infine per soddisfare la curiosità dei lettori appassionati di matematica, per i quali

sarà sicuramente d’interesse seguire il processo di applicazione di metodi matematici su materiali

così insoliti.

Lasciando a questi ultimi lettori il piacere d’indugiare nei grafici, negli schemi e

nell’approfondimento di dettagli matematici (vedi capitolo 3, “I metodi matematico-statistici”),

consigliamo agli altri di “prendere semplicemente atto” della loro esistenza o di farne una

conoscenza sommaria, tramite la breve descrizione (non matematica) di uno di essi: «il metodo del

riconoscimento e della datazione delle dinastie dei regnanti».

Mettendo a punto questa tecnica, Fomenko e i suoi colleghi matematici hanno ragionato nel modo

seguente: supponiamo che sia stato rinvenuto un manoscritto relativo alla storia di una dinastia di

regnanti con l’indicazione delle durate dei regni di ciascun regnante. Il quesito che si pone è il

seguente: la dinastia presa in esame è nuova, cioè sconosciuta prima di allora e quindi necessita di

una datazione o si tratta di una delle dinastie già note ma descritta in termini non comuni (per

esempio con variazioni nel nome dei regnanti)? Spesso infatti una stessa concreta dinastia veniva

nominata o descritta in vari documenti e da cronisti diversi, e l’importanza di tale dinastia o di alcuni

dei suoi membri poteva variare a seconda del punto di vista del cronista. Al di là di queste

interpretazioni soggettive, si possono tuttavia individuare, nelle fonti, degli elementi invarianti, delle

costanti, meno dipendenti dalla personale simpatia o antipatia degli annalisti rispetto all’oggetto

della loro cronaca.

A questo gruppo di fatti più o meno “invarianti” si riferisce, ad esempio, la durata del regno del

re. Di solito non c’erano cause particolari che potevano indurre il cronista ad alterare in modo

significativo e intenzionale questo dato. Tuttavia gli annalisti si trovavano spesso di fronte alla

difficoltà di calcolare correttamente la durata di un regno. Queste difficoltà naturali, dovute

all’incompletezza delle informazioni, al travisamento dei documenti ecc, facevano però sì che a volte

uno stesso evento venisse riportato in termini diversi. Queste incongruenze si trovano spesso nel

calcolo della cronologia dei faraoni: si confrontino, come esempio, le tavole cronologiche di H.

Brugsch e quelle di J. Blair (vedi nel dettaglio capitolo 3.2.1.).

Poteva quindi accadere che un cronista, descrivendo una dinastia reale, calcolasse la durata del

regno dei re a seconda delle sue capacità e possibilità, ottenendo di conseguenza una certa sequenza

di numeri dove ogni numero rappresentava, pur con qualche errore, la durata del governo di un re. Un

altro cronista, descrivendo la stessa dinastia reale, poteva attribuire ai governi degli stessi re altre

durate; non solo, ma poteva distorcere i nomi dei sovrani a causa dell’imprecisione della traduzione

nella sua lingua o a causa dell’uso frequente di soprannomi, col risultato che si poteva venire a

creare un’altra dinastia. Così, per esempio, una concreta dinastia M., nelle descrizioni riportate in

annali diversi da cronisti diversi, poteva sdoppiarsi e dare origine a dinastie “immaginarie”, a

“duplicati” venutisi a formare per errore d’interpretazione di un calcolo o diversità di denominazione

di uno stesso personaggio storico.

Gli Autori della NC propongono di utilizzare le sequenze di numeri, indicanti la durata dei regni

di ogni re, per individuare, nelle dinastie, i “duplicati”, ovverossia quelle dinastie immaginarie,

erroneamente attribuite dai vari cronisti a certe epoche storiche o a certi Paesi, e a volte allineate

negli annali in successione, una dopo l’altra, nonostante in realtà esse siano la descrizione di

un’unica concreta dinastia. Misteriose coincidenze, ovvero incongruenze, si possono cogliere a

occhio nudo. Si tratta davvero di una coincidenza o piuttosto di un “duplicato”? Per rispondere a

questa domanda gli Autori si avvalgono della statistica matematica, una scienza che si occupa del

calcolo delle probabilità di esistenza di tali coincidenze. Grazie all’utilizzo degli strumenti della

statistica matematica, Fomenko e i suoi collaboratori sono stati in grado di distinguere, con sicurezza,

le dinastie autentiche dai loro duplicati. Nello specifico, il calcolo alla base del grafico (riportato in

fig. 4.19, per esempio) ha dimostrato che la probabilità di coincidenze casuali è piuttosto bassa (il

grafico menzionato è praticamente simmetrico).

Anche ai testi non contenenti descrizioni dinastiche si possono applicare i metodi matematici. In

questo caso, gli Autori della NC ragionano nel modo seguente: supponiamo che sia stato rinvenuto un

testo, per esempio un annale sconosciuto che riporti la descrizione di eventi ignoti e avvenuti in un

ampio arco di tempo e contenga anche datazioni ottenute secondo un calcolo sconosciuto. La

valutazione tipica considera che le date degli eventi descritti nel manoscritto siano state fissate a

partire da un evento locale più importante, la fondazione di una città o l’ascesa al trono di un certo

re, per fare solo degli esempi.

Ciò premesso, si pone la questione di come ristabilire le date assolute degli eventi descritti

nell’antico documento. Per esempio, come calcolare la data giuliana della fondazione di una città,

fondazione presa come punto di partenza per il calcolo degli eventi successivi che ci interessano.

Ovviamente, se alcuni degli eventi descritti in una determinata cronaca sono già a noi noti attraverso

altre cronache, ciò permette di “legarli” in una linea moderna del tempo. Ma se questa identificazione

risultasse impossibile, il problema della datazione si complica. Potrebbe anche darsi che gli eventi

descritti siano di fatto noti ma in una determinata descrizione non vengano riconosciuti come tali,

essendo la cronaca scritta in un’altra lingua e avendo il cronista usato nomi, soprannomi,

denominazioni geografiche completamente diverse ecc. Certo, se gli annali contenessero informazioni

quantitative (invarianti), indipendenti dalle caratteristiche dell’uso linguistico e uguali per tutti gli

annali, descriventi gli stessi eventi, tali caratteristiche (invarianti) potrebbero essere utilizzate per

confrontare la cronaca sconosciuta con quelle conosciute e ciò permetterebbe di riconoscere

determinati eventi e posizionarli nel tempo. A questo proposito gli Autori della NC suggeriscono di

utilizzare, come elementi invarianti, i dati seguenti: il numero di pagine di un annale, dedicate all’uno

o all’altro episodio; il numero di citazioni di un determinato anno in una determinata cronaca; il

numero di menzioni di un concreto personaggio nel capitolo della cronaca dedicato all’uno o all’altro

anno e analoghi dati quantitativi.

I metodi matematici elaborati dagli Autori, sfruttando questi dati, hanno permesso loro

d’individuare i testi che descrivono lo stesso episodio storico, anche se i nomi propri dei personaggi,

i nomi geografici e le date di tali fonti a prima vista non sembrano legati tra di loro (vedi i grafici

inseriti nel capitolo 3 “I metodi matematico-statistici”).

Con l’aiuto di queste tecniche, dunque, è stata studiata e analizzata la maggior parte delle fonti

storiche disponibili ed è stato estrapolato un primo fatto importante: l’applicazione di tutti i metodi

di datazione elaborati su uno stesso campione di studio dà gli stessi risultati.

Il culmine di questa ricerca è stata la constatazione che il manuale classico di Storia antica,

attualmente adottato, figura essere un annale composto da quattro parti praticamente identiche,

“incollate” e disposte in successione, e che l’asse cronologico comunemente seguito ospita in

realtà tre grandi slittamenti, di 330, 1050 e 1800 anni. Questo sarebbe la conseguenza

dell’attività dei cronologisti Scaligero e Petavius, vissuti a cavallo dei secoli XVI e XVII, che,

erroneamente e/o intenzionalmente, “invecchiarono” la storia, facendo risalire alla Storia antica degli

eventi di fatto avvenuti nel Medioevo (vedi capitoli 1 e 4).

Secondo Fomenko e i suoi collaboratori, dunque, la storia descritta nei manoscritti giunti fino a

noi e che noi consideriamo antichi, di fatto si è svolta in tempi molto più recenti, nei secoli X e XI

d.C. “L’epoca antica è dunque il Medioevo?”, si sono chiesti gli Autori. Al fine di convalidare

questa ipotesi, apparentemente stravagante, gli artefici della NC hanno condotto una scrupolosa

ricerca su documenti, testimonianze e manufatti giunti fino a noi. Nei loro libri, discutono

dettagliatamente sui “secoli bui” della storia, sulla misteriosa rinascita della “Antichità” nell’Europa

medievale, avanzano dei paralleli tra la Grecia “antica” e medievale e parlano delle città che

venivano chiamate Roma (vedi capitolo 4).

Si viene a scoprire così che esistono non pochi fatti che la cronologia ufficialmente adottata oggi

non è in grado di spiegare o che spiega con argomenti assai poco convincenti. Allo stesso tempo,

questi fatti si conformano bene all’interpretazione degli eventi proposta dalla NC.

Curiosa, a questo proposito, l’osservazione degli Autori rispetto all’ambiguità

dell’interpretazione delle date che s’incontrano nelle incisioni e nei disegni di epoca medievale. Gli

artisti di questa epoca spesso registravano la data delle loro creazioni nel modo seguente: i.595,

j548, cioè scrivevano all’inizio le lettere “i” o “j”, separandole a volte dalle cifre con un punto

(Iesus-Jesus). In una delle opere di Albrecht Dürer è indicata la data: “i.524”. Dal punto di vista

della storia ufficiale questo tipo di scrittura corrisponde alla data 1524 dalla nascita di Gesù Cristo:

“i” o “j” sarebbero, infatti, l’iniziale del nome di Cristo. Ma non sarebbe più logico trattare la data

“i.524”, come 524 anni da Cristo? Cioè pensare che Dürer ritenesse che Cristo fosse nato non nel

1524 ma 524 anni prima della creazione del suo lavoro? Tale interpretazione è assurda dal punto di

vista della cronologia ufficiale (cioè di matrice scaligeriana), tuttavia s’inscrive bene nell’ipotesi

della NC che rileva, rispetto all’asse cronologico ufficiale, uno slittamento di 1054 anni (vedi

capitolo 4).

Fomenko e la sua équipe riportano numerosi esempi che, interpretati alla luce della NC,

“scagionano” dall’accusa di falsificazione alcuni documenti antichi, come per esempio i “Privilegi”

dati dagli “antichi” imperatori Cesare e Nerone alla casa ducale austriaca medievale. Gli storici

moderni scartano semplicemente questi documenti ritenendoli dei falsi e ciò solo in ragione del fatto

che essi non s’inscrivono nella cronologia attualmente accettata (scaligeriana).

Gli avvenimenti biblici, le piramidi, Troia, l’origine e la caduta di Roma, la nascita e la

crocefissione di Cristo, la Sacra Sindone, Pompei, Costantinopoli, le Crociate, la Riforma, tutti i

grandi eventi vengono confrontati, calcolati, letti, interpretati e ricostruiti in questa ipotesi

sconvolgente e affascinante che il professor Fomenko e i suoi collaboratori hanno elaborato nel corso

di molti anni di ricerca. O meglio continuato: perché, come ci fanno sapere gli stessi, prima di loro, a

lanciarsi in quest’avventura ci furono altri studiosi eminenti, sir Isaac Newton compreso (vedi

capitolo 1).

Spinti dall’intenzione di offrire una spiegazione alle tante incongruenze emergenti nello studio

della storia e della cronologia, questi scienziati del passato avevano intrapreso una revisione della

versione storico-cronologica imperante (scaligeriana), ma, per mancanza di mezzi d’informazione ed

elaborazione, erano giunti a parziali conclusioni. Sono queste conclusioni che riescono a portare a

termine e a inserire in un quadro unitario il professor Fomenko e i suoi assistenti, grazie al loro

profondo interesse scientifico, alla loro straordinaria curiosità, alla loro abilità, alle possibilità

offerte dalle tecnologie informatiche moderne e sicuramente grazie al loro coraggio di ricerca della

verità al di là di un quadro apparentemente solido ma colmo di fatti insicuri.

La conoscenza, senza pregiudizio, del percorso e delle conclusioni della NC, porterà

inevitabilmente a cambiare il modo di vedere la realtà circostante. Dopo questa lettura i monumenti

dell’“Antichità”, le grandi personalità del passato, i reperti dei musei, le città d’arte, i manuali di

storia, le tavole sinottiche, le guide turistiche non potranno più essere osservati e fruiti allo stesso

modo: il tarlo del dubbio, in modo più o meno sommesso, comunque si farà sentire. D’altro canto,

più consapevole diventerà l’utilizzo dei documenti storici, sia del passato che del presente.

Concludo, riportando una citazione che, pur riferendosi a un campo completamente diverso da

quello qui esposto, mi sembra che colga piuttosto bene, la sostanza del lavoro di Fomenko e dei suoi.

A suo tempo, Carl Gustav Jung, ricordando l’attività di alcuni studiosi che avevano riabilitato la

credenza negli spiriti, così si espresse:

«[...] persino se l’attendibilità delle loro osservazioni può essere messa in forse, se li si può accusare di aver errato o di essersi

ingannati, tuttavia questi ricercatori hanno acquistato l’imperituro merito morale di aver gettato tutto il peso della loro autorità e del

loro grande prestigio scientifico in questa impresa destinata a far luce nelle tenebre, superando ogni timore e ogni considerazione di

ordine personale [...]»3.

E questo vale senz’altro anche per i nostri matematici, con la differenza che l’attendibilità

statistico-matematica delle loro osservazioni è quanto di più inattaccabile essi presentino.

V.G. Bani

NOTE

* Si forniscono le abbreviazioni dei Libri della Bibbia (di cui si fa riferimento all’interno dell’opera) secondo le disposizioni ufficiali della

Cei (Conferenza episcopale italiana). Gn (Genesi); Es (Esodo); Lv (Levitico); Nm (Numeri); Dt (Deuteronomio); Gs (Giosuè); Gdc

(Giudici); Rt (Rut); 1 Sam (1 Samuele); 2 Sam (2 Sam); 1 Re (Primo libro dei Re); 2 Re (Secondo libro dei Re); 1 Cr (Primo libro delle

Cronache); 2 Cr (Secondo libro delle Cronache); Esd (Esdra); Ne (Neemia); Tb (Tobia); Gdt (Giuditta); Est (Ester); 1 Mac (Primo

libro dei Maccabei); 2 Mac (Secondo libro dei Maccabei); Gb (Giobbe); Sal (Salmi); Prv (Proverbi); Qo (Qoelet); Ct (Cantico); Sap

(Sapienza); Sir (Siracide); Is (Isaia); Ger (Geremia); Lam (Lamentazioni di Geremia profeta); Bar (Baruc); Ez (Ezechiele); Dn

(Daniele); Os (Osea); Gl (Gioele); Am (Amos); Abd (Abdia); Gio (Giona); Mic (Michea), Na (Naum); Ab (Abacuc); Sof (Sofonia);

Ag (Aggeo); Zc (Zaccaria); Ml (Malachia).

1. Nella fattispecie gli studiosi hanno dedicato una scrupolosa ricerca ai seguenti testi: la Bibbia (Antico e Nuovo Testamento), il Talmud,

la Torah, apocrifi neotestamentari e veterotestamentari, il Corano, la Bibbia dei Mormoni, l’epos indiano Mahabaratha, l’epos persiano

Sachname, l’epos antico-tedesco e antico-scandinavo, le leggende di Alessandro il macedone, le leggende di Troia, i testi di Erodoto,

Tito Livio, Claudio Tolomeo, Omero, Gaio Svetonio Tranquillo, Cornelio Tacito, Marco Tullio Cicerone, Plutarco, Tucidide, Senofonte,

Platone, Aristofane, Ovidio, Polibio, Virgilio, Seneca, Dodoro Siciliano, Ammiano Marcellino, Apollodoro, Giulio Capitolino, le principali

cronache antiche russe, la cronaca anglosassone, i libri di autori bizantini (Procopio di Cesarea, Anna Komnina), Mauro Orbini, le opere

dei padri della Chiesa, le opere di cronologia di Scaligero, Petavius e molti altri (vedi anche “Bibliografia”).

2. Nell’ambito della riunione del Presidium del Consiglio di Stato della Federazione Russa e del Consiglio per la Cultura e l’Arte in

occasione dei 1150 anni dalla fondazione di Novgorod – 18 settembre 2009 presso la città di Velikij Novgorod (videocronaca trasmessa

dal canale televisivo «RBK»). I materiali mi sono stati forniti dall’Autore.

3. Vedi Jung, C.G., Psicologia dei fenomeni occulti, ed. Grandi tascabili economici Newton, Roma 2005, pp. 123-124.

AVVERTENZA

Come si scriveva in apertura, il progetto “NC” è costituito da varie serie di libri più o meno

divulgativi, pubblicati in edizioni singole e anche raccolti in un’opera generale in 7 tomi (vedi

“Bibliografia”).

Alla luce di quanto sopra, i lettori comprenderanno le difficoltà connesse alla selezione del

materiale. L’opzione conclusiva ha portato a prescegliere alcuni dei materiali esposti nei due volumi

singoli, 400 let obmana (400 anni d’inganni) e Istinu možno vyčislit’ (La verità si può calcolare),

che in versione ampliata e riveduta vanno a costituire fondamentalmente il primo tomo dell’opera

globale in sette tomi Čisla protiv lži (I numeri contro la menzogna, di recente edizione AST, 2011).

Non essendo stato possibile, in quest’anteprima italiana dei materiali della NC, procedere alla

traduzione integrale dei due testi sopra citati, si è ritenuto, tuttavia, necessario presentarne

integralmente quanto meno gli indici dei contenuti: ci sembra che essi siano sufficienti a dare la

visione globale del progetto.

Si raccomanda vivamente una lettura paziente e attenta dei due sommari presentati. Essa permetterà

ai lettori d’intuire anche i temi delle pagine che non sono state tradotte e di seguire con maggior

facilità il percorso intrapreso dal professor Fomenko nella sua ricerca: dalle origini (risoluzione di

un’incongruenza in una datazione astronomica), agli sviluppi (elaborazione di metodi statisticomatematici

da applicare alla storia per verificarne l’esatta cronologia), alle conclusioni: la revisione

della Carta Cronologica Globale e la ricostruzione della storia proposta dalla NC.

Si avverte il lettore che i numeri indicati entro parentesi quadre fanno riferimento alla Bibliografia

generale riportata alla fine del testo (vedi “Bibliografia”). L’Autore, nel testo originale, ricorre a

quest’opzione per facilitare la lettura dei suoi materiali che, per impostazione, sovrabbondano

necessariamente di citazioni alle fonti. Nella traduzione si è deciso di seguire fedelmente l’opzione

dell’Autore, ragion per cui i riferimenti bibliografici, a volte anche con l’indicazione della pagina,

non vengono indicati in nota ma direttamente di seguito al testo. Si nota inoltre che le citazioni dei

testi di autori italiani (per esempio da La Storia della chimica di Michele Giua) risultano essere la

traduzione in italiano della traduzione russa. Lo stesso dicasi per autori latini e greci.

Fomenko, A.T., 400 let obmana (400 anni d’inganni), ed. AST, Mosca 2007, pp. 350.

INDICE DEI CONTENUTI

(I capitoli o i sottocapitoli indicati tra parentesi quadre [ ] ed evidenziati in corsivo, [o in neretto],

non sono stati tradotti nella presente selezione).

Capitolo 1. Il problema cronologico della storia antica e medievale

1. La cronologia romana come fondamento della cronologia europea

2. Scaligero, Petavius e gli altri cronologi ecclesiastici. La creazione, nei secoli XVI e XVII d.C.,

della versione attualmente adottata della cronologia dell’Antichità e del Medioevo

3. La cronologia di Scaligero-Petavius, messa in dubbio già nel XVI secolo

3.1. critica della cronologia di Scaligero: De Arcilla, Robert Baldauf, Jean Hardouin, Edwin

Johnson, Wilhelm Kammeyer

3.2. Isaac Newton

3.3. Nikolaj Aleksandrovic Morozov

3.4. Lavori recenti di studiosi tedeschi aventi per oggetto la critica della cronologia scaligeriana

3.5. Il problema dell’attendibilità della cronologia e della storia romana. L’ipercriticismo del

secolo XIX

4. Difficoltà nella fissazione dell’esatta cronologia dell’antico Egitto

5. Il problema della datazione delle “antiche” fonti originali. Tacito e Poggio. Cicerone e Barzizza.

Vitruvio e Alberti

6. La misurazione del tempo nel Medioevo. “Il caos delle datazioni medievali”. Strani “anacronismi

medievali”

7. Le datazioni dei testi biblici

8. Difficoltà e ambiguità nella lettura di testi antichi. Il problema della vocalizzazione

8.1. Come leggere un testo antico scritto solo con le consonanti? Il problema della

vocalizzazione

8.2. Nel Medioevo i suoni R e L venivano spesso confusi

9. La geografia scaligeriana degli eventi biblici e i problemi ad essa legati

9.1. L’archeologia e il Vecchio Testamento

9.2. L’archeologia e il Nuovo Testamento

10. Difficoltà di localizzazione geografica di molti eventi dell’“Antichità”

10.1. Dove si trovavano Troia e Babilonia

10.2. La geografia di Erodoto combacia a malapena con la versione scaligeriana

10.3. Le carte medievali “girate”

11. Analisi moderna della geografia biblica

12. L’epoca misteriosa del “Rinascimento”, come conseguenza dell’errata cronologia scaligeriana

13. L’inesatta cronologia scaligeriana alla base dei metodi archeologici di datazione

13.1. L’ambiguità delle datazioni archeologiche e la loro dipendenza dalla cronologia

comunemente adottata

13.2. Gli scavi di Pompei. Quando venne distrutta la città?

13.3. La distruzione dei “vecchi” monumenti, considerata attualmente in crescente accelerazione

13.4. Quando fu iniziata la costruzione del famoso Duomo di Colonia?

13.5. I metodi archeologici di datazione poggiano sulla scala cronologica scaligeriana

13.6. Come si poteva “nell’età del bronzo” produrre il bronzo, senza conoscere lo stagno? Questo

è uno dei problemi che pone la storia scaligeriana

14. Le difficoltà del metodo dendrologico e di altri metodi di datazione

14.1. La curva continua della datazione dendrocronologica si estende nel passato non oltre il

decimo secolo dell’era cristiana

14.2. Le datazioni ottenute sulla base del metodo al radio-uranio, al radio-attinio e sulla base

dell’analisi dello strato sedimentario

15. Quanto sono esatte le datazioni stabilite con il metodo del radiocarbonio? Lo spettro caotico

delle datazioni al radiocarbonio ottenute su reperti “antichi”, medievali e moderni

15.1 L’idea iniziale di Libby. I primi fallimenti

15.2. Critica dell’applicazione del metodo del radiocarbonio su reperti archeologici

15.3. La datazione della Sacra Sindone di Torino

[15.4. L’analisi moderna al radiocarbonio delle antichità egiziane palesa serie incongruenze]

[16. Analisi critica delle ipotesi alla base del metodo del radiocarbonio]

[16.1. L’idea di partenza di Willard Frank Libby]

[16.2. Le basi fisiche del metodo del radiocarbonio]

[16.3. Le ipotesi alla base del metodo del radiocarbonio]

[16.4. Il momento dell’uscita dell’oggetto dal serbatoio di scambio]

[16.5. Cambiamenti del contenuto di radio-carbonio nel fondo di scambio]

[16.6. Variazioni del contenuto di carbonio negli organismi viventi]

[17. Conclusioni]

18. La datazione numismatica

Capitolo 2. Le datazioni astronomiche

1. Il misterioso salto del parametro D’’ nella teoria del movimento della Luna

2. Quanto sono esatte le datazioni delle eclissi dell’“Antichità” e del Medioevo?

2.1. Alcune nozioni di astronomia

2.2. Una datazione indipendente sposta “le antiche” eclissi all’epoca del Medioevo

2.3. Le tre eclissi descritte da Tucidide

2.4. Le eclissi descritte da Tito Livio

3. Lo slittamento in avanti, in epoca medioevale, delle date delle “antiche” eclissi elimina

l’incongruenza nel comportamento del parametro D’’

4. L’astronomia fa slittare “gli antichi” oroscopi in epoca medievale

4.1. L’astronomia medievale

4.2. Il metodo di datazione astronomica indipendente

4.3. I dati astronomici delle fonti scritte potevano essere calcolati da astronomi medievali. Quali

fonti possono essere considerate attendibili e quali no

5. Breve nota su alcuni zodiaci egiziani

5.1. Note generali

5.2. Gli zodiaci di Dendera

5.3. Gli zodiaci di Brugsch e Flinders Petrie

5.4. Datazioni definitive degli zodiaci egiziani sulla base della loro completa decifrazione

ottenuta da G.V. Nosovkij e A.T. Fomenko nel 2001

[5.5. Sugli errori commessi da E.S. Golubcova e J.A. Zavenjagin]

[6. L’astronomia nel Nuovo Testamento]

[Capitolo 3. La datazione astronomica del libro biblico L’Apocalisse in base alla descrizione del

cielo stellato in essa celata]

[1. L’idea del metodo]

[2. Quando fu scritta l’Apocalisse? Informazioni generali]

[3. L’oroscopo astronomico nell’Apocalisse]

[4. La datazione astronomica dell’Apocalisse in base al suo oroscopo]

[5. La nostra ricostruzione del contenuto originario dell’Apocalisse]

[Capitolo 4. L’astronomia nell’Antico Testamento]

[1. L’astronomia medievale nel libro di Ezechiele]

[1.1. La descrizione della Via Lattea e della costellazione del Serpente]

[1.2.La descrizione biblica dei settori/ali biblici nella sfera celeste]

[1.3. Le costellazioni del Leone, dell’Ariete e dell’Aquila]

[1.4. La descrizione biblica delle orbite/ruote dei pianeti]

[1.5. Affinità con il simbolismo astronomico dell’Apocalisse]

[1.6. I carri/cherubini biblici e le orbite/ruote medievali dei pianeti]

[1.7. La descrizione biblica del sistema medievale del mondo in forma di templo celeste]

[2. Quando è stata scritta la profezia biblica veterotestamentaria di Zaccaria]

[3. Quando è stata scritta la profezia biblica veterotestamentaria di Geremia]

[4. Quando è stata scritta la profezia biblica veterotestamentaria di Isaia]

[5. Quando è stata scritta la profezia biblica veterotestamentaria di Daniele]

Bibliografia

Fomenko, A.T., Istinu možno vyčislit’ (La verità si può calcolare), ed. AST, Mosca 2007, pp. 479.

INDICE DEI CONTENUTI

(I capitoli o i sottocapitoli tra parentesi [ ] ed evidenziati in corsivo non sono stati tradotti nella

presente selezione).

Introduzione

Capitolo 1. Metodi matematici di datazione di eventi antichi

1. Il metodo dei massimi locali

1.1. La funzione del volume del testo storico

1.2. Il principio di correlazione dei minimi

1.3. Il modello statistico

1.4. Verifica sperimentale del principio di correlazione dei massimi. Esempi di testi storici

dipendenti e indipendenti

1.5. Il metodo di datazione degli eventi storici

2. Il metodo di riconoscimento e datazione delle dinastie dei regnanti. Il principio delle piccole

alterazioni dinastiche

2.1. La formulazione del principio delle piccole alterazioni dinastiche

[2.2. Il modello statistico]

[2.3. La precisione del modello e l’esperimento di computo]

[2.4. Il risultato dell’esperimento: il coefficiente c (a, b) fa una netta distinzione tra le

dinastie dipendenti e indipendenti]

2.5. Il metodo di datazione delle antiche dinastie e il metodo d’individuazione dei duplicatifantasma

di antiche dinastie

3. Il principio di smorzamento delle frequenze. Il metodo di allineamento dei testi storici nel tempo

4. L’applicazione del metodo ad alcuni concreti testi storici

[5. Il metodo di datazione sulla base del principio di smorzamento delle frequenze]

6. Il principio di duplicazione delle frequenze. Il metodo dell’individuazione dei duplicati

[7. L’analisi statistica della Bibbia]

[7.1. La frammentazione della Bibbia in 218 “capitolo-generazioni”]

[7.2. L’individuazione di duplicati precedentemente noti con l’aiuto del principio dello

smorzamento delle frequenze]

[7.3. Duplicati nuovi, prima non conosciuti, individuati da noi nella Bibbia. Schema generale

della loro collocazione all’interno della Bibbia]

[7.4. La datazione statistica sposta gli eventi]

8. Il metodo dei moduli-codici. Il confronto di flussi piuttosto lunghi di biografie dinastiche

9. Il metodo del giusto allineamento cronologico e della datazione di antiche carte geografiche

Capitolo 2(6). La Carta Cronologica Globale (CCG). I risultati dell’applicazione di metodi

matematici alla storia antica e medievale

1. “Il manuale di storia antica e medievale” nelle datazioni di Scaligero-Petavius

2. Misteriose ripetizioni di cronache nel “manuale Scaligero-Petavius”

3. Misteriose ripetizioni di dinastie nel “manuale Scaligero-Petavius”

4. Breve descrizione di curiose sovrapposizioni dinastiche

5. Concordanza di risultati cronologici ottenuti con metodi diversi

5.1. Affermazione importante

5.2. Concordanza di vari metodi sull’esempio della sovrapposizione del regno biblico di Giuda

con il Sacro romano impero presumibilmente nei secoli X-XIII d.C.

6. Quadro generale della disposizione delle “ripetizioni” nel “manuale Scaligero-Petavius”.

Individuazione dei tre slittamenti cronologici fondamentali

7. “Il manuale scaligeriano di storia antica” è formato da quattro duplicati di una breve cronaca

originale, “incollati” tra di loro

8. Elenco degli eventi “antichi” fantasma cioè dei duplicati fantasma, riflesso degli originali

medievali

[9. La sovrapposizione dell’“antica” storia biblica sulla storia europea medievale]

10. La storia descritta negli “antichi” annali pervenutici si è svolta dopo il X secolo d.C. Non

sappiamo nulla degli eventi accaduti prima del X secolo d.C.

11. La storia attendibile comincia solo a partire dal XVII secolo d.C.

[12. La differenza radicale tra la NC ricostruita da noi e la versione di N.A. Morozov]

13. Un’ipotesi sulla causa dell’insorgenza di slittamenti cronologici erronei nella stesura della storia

dell’Antichità

13.1. Lo slittamento cronologico di 1000 o 1100 anni come conseguenza dell’errata datazione

dell’epoca di Cristo

13.2. La lettera X nelle date un tempo porbabilmente indicava “Cristo”, ma in seguito è stata

decifrata come il numero romano X. La Lettera I, nelle date, indicava probabilmente “Iesus”

13.3. Fino al XVIII secolo, in alcune aree dell’Europa, per le date venivano usate, in qualità di

unità, le lettere latine I o J, cioè l’iniziale di Iesus (Jesus)

13.4. Come si è potuto produrre uno slittamento cronologico di 330 o 360 anni

13.5. Cosa indicavano, probabilmente, nel Medioevo le lettere latine M, D, C nella trascrizione

delle date romane?

[13.6. Un esempio: la data sulla tomba dell’imperatrice Gisele]

[13.7. Un altro esempio: la data sulla lapide dell’imperatore Rodolfo di Asburgo]

13.8. La scrittura delle date medievali non era stata unificata nemmeno nel XVIII secolo

[14. Le date di pubblicazione di alcuni testi stampati del XV-XVII secolo sono probabilmente

indicate in modo inesatto. Di fatto sono posteriori di almeno 50 anni]

15. Quando fu fondata Roma, in Italia

16. La confusione successiva tra le date di fondazione delle due Rome: quella sul Bosforo e quella in

Italia

17. Scaligero e il Concilio di Trento. La creazione, nei secoli XVI-XVII, della versione cronologica

attualmente avallata

[18. Due “antichi” riflessi fantasmi del cronologo medievale del XVII secolo Dionigi Petavius]

19. La concordanza delle nuove datazioni astronomiche con le identificazioni delle dinastie

[20. Lo strano “gap” che abbiamo individuato nella cronologia scaligeriana dell’inizio circa

dell’era cristiana viene spiegato sotto una nuova luce]

[21. Due conseguenze inaspettate e molto importanti, derivanti dagli slittamenti cronologici]

[Capitolo 3. “Sui secoli bui” della storia]

[1. La misteriosa rinascita dell’“Antichità” nella Roma medievale]

[1.1. I tristi secoli bui in Europa, subentrati alla meravigliosa “Antichità”]

[1.2. I paralleli tra l’“Antichità” e i secoli di mezzo sono stati notati ma non esattamente

spiegati dagli storici]

[1.3. I legislatori romani medievali in riunione nel Campidoglio “anticamente” distrutto]

[1.4. Quando fu realizzata la famosa statua “antica” di Marco Aurelio]

[1.5. L’artista medievale Tintoretto disegnò veramente nel XVI secolo “l’antico” imperatore

Vitellio dal vivo]

[1.6. Quanto tempo serve per preparare un foglio di pergamena]

[1.7. “L’antico” imperatore romano Augusto era un cristiano, poiché portava la corona

medievale con una croce cristiana]

[2. “L’antico” storico Tacito e il famoso scrittore di epoca rinascimentale Poggio Bracciolini]

[3. Il culto cristiano nell’Europa occidentale del Medioevo e le “antiche” celebrazioni pagane in

onore di Bacco]

[4. Petrarca (“l’antico” Plutarco?) e “la rinascita dell’Antichità”]

[4.1. Come Petrarca fondò la leggenda infondata della grandezza della Roma italiana]

[4.2. Petrarca scrisse lettere personali a personaggi, oggi considerati “antichi”]

[5. “L’antica Grecia” e la Grecia medievale nei secoli XIII-XVI]

[5.1. Si ritiene che fino al XVI secolo la storia medievale della città di Atene fosse velata dalle

tenebre]

[5.2. La Grecia e le crociate]

[5.3. L’inizio, relativamente recente, della ricerca archeologica ad Atene e in Grecia]

[5.4. L’alterazione intenzionale del volto dell’Atene medievale durante “i restauri” dei secoli

XIX-XX]

[6. Strani paralleli nella storia scaligeriana delle religioni]

[6.1. Il cristianesimo medievale e il suo riflesso nell’“antichità pagana” scaligeriana]

[6.2. Il cristianesimo medievale e “il mitraismo” antico]

[6.3. Cristo nei monumenti “dell’antico Egitto”]

[6.4. Gli storici della religione sulla strana comunanza tra i culti “antichi” e medievali]

[6.5. Mosè, Aaron e la loro sorella Maria nelle pagine del Corano]

[7. “L’antico Egitto” e il Medioevo]

[7.1. Lo strano grafico delle datazioni dei testi demotici]

[7.2. Le strane “rinascite” periodiche nella storia “dell’antico Egitto”]

[7.3. “Gli antichi” hittiti e i goti medievali]

[8. Il problema della cronologia scaligeriana dell’India]

[9. Quanto intenzionalmente è stata allungata la storia dell’Antichità?]

I

LA “NUOVA CRONOLOGIA” (NC) DI FOMENKO-NOSOVSKIJ:

STORIA DEL PROGETTO, DELLE CONTROVERSIE CHE HA

INNESCATO, DELLE PROSPETTIVE CHE HA APERTO

(G.V. NOSOVSKIJ, A.T. FOMENKO)

nnanzitutto spieghiamo il termine stesso: “NC di Fomenko-Nosovskij”. Può sembrare poco

modesto, ma una ragione c’è: nel 1995, nel titolo del libro Novaja chronologija i koncepcija

drevnej istorii Rusi, Anglii i Rima (La Nuova Cronologia e la concezione della nuova storia

della Rus’, dell’Inghilterra e di Roma, Mosca, MGU, 1995) abbiamo introdotto per la prima volta il

termine “NC”, senza indicare i nostri cognomi, per designare la versione corretta della cronologia

universale dell’Antichità, costruita sulla base di una larga applicazione di metodi moderni delle

scienze naturali. Per lungo tempo questo termine è rimasto legato ai nostri lavori, anche se a volte

veniva utilizzato per designare, a posteriori, i lavori dei nostri precursori in questo campo: N.A.

Morozov, Edwin Johnson, Jean d’Hardouin, Isaac Newton e altri.

Nel frattempo, però, nella letteratura di lingua inglese, solo dal 2001, il termine “NC” fu

associato ai lavori dell’egittologo David Rohl, che nel suo libro, A Test of Time, pubblicato nel

1995, propose d’introdurre alcuni piccoli cambiamenti, dell’ordine di trecento anni, nella cronologia

dell’antico Egitto. In una delle illustrazioni incluse nel suo libro egli nominò en passant la sua

versione di “NC”.

Riteniamo che questo passo sia stato elaborato dagli storici intenzionalmente, al fine di “toglierci

da sotto i piedi” il termine da noi introdotto, riempiendolo peraltro di un altro senso e associandolo

ai nomi di altri autori.

Non è facile lottare contro questi “metodi scientifici” e non avevamo alcuna intenzione di farlo,

ragion per cui abbiamo deciso di risolvere la situazione in modo diverso, chiamando la nostra teoria

non semplicemente “NC” ma “NC di Fomenko-Nosovskij”, anche per aiutare il lettore a orientarsi in

mezzo alle proposte apparentemente simili ma provenienti da fonti molto diverse.

Nel complesso la storia della NC in Occidente si può descrivere con l’espressione seguente: lotta

degli storici contro i tentativi di far luce sulla cronologia convenzionale al fine di trasformarla da

demagogia a scienza.

In questa lotta, una delle tecniche favorite è risultata essere quella di sostituire i concetti e

confondere i nomi degli autori al fine di pilotare i pensieri del lettore nell’alveo sbagliato. Che cosa

intendiamo con questo? Facciamo un esempio illuminante.

All’inizio del XX secolo in Russia furono pubblicate le opere di N.A. Morozov aventi per oggetto

lo studio della cronologia. Un suo libro, peraltro quello introduttivo, fu a suo tempo tradotto in

tedesco, pur con tiratura assai modesta. Nei suoi libri Morozov faceva un’analisi critica severa della

cronologia scaligeriana convenzionale e proponeva dei metodi scientifici per una sua correzione.

Sottolineiamo che l’approccio di Morozov era rigorosamente scientifico, e non pseudo-scientifico.

Non si fondava su fantasie. Morozov per primo individuò “le ripetizioni” presenti nella versione

scaligeriana della storia e dichiarò che alcune dinastie di “antichi” regnanti risultavano essere delle

immagini riflesse, nelle pagine di vari annali, di una stessa concreta dinastia, solo molto più

posteriore. Dichiarò inoltre che per ripristinare la giusta cronologia occorreva identificare,

“incollare” alcuni regnantifantasma l’uno sull’altro. Si trattava di un pensiero nuovo, in linea di

principio, mai proposto dai precursori di Morozov, cioè Jean Hardouin, Isaac Newton e pochi altri.

Gli studiosi occidentali che si sono dedicati alla cronologia hanno fatto finta di “non aver letto” le

opere di N.A. Morozov. Questa non è una nostra supposizione ma una constatazione, di cui abbiamo

avuto più volte conferma. Allo stesso modo oggi molti storici fanno finta “di non aver letto” i nostri

lavori e solo “casualmente” fanno circolare il termine “NC” (New Chronology), che in Russia,

risuona da molto tempo e peraltro fortemente.

Invece di far tradurre i libri originali di N.A. Morozov, in Occidente sono stati scritti e pubblicati

altri libri dal tema affine, libri che, a differenza delle opere di N.A. Morozov, non possono essere

considerati scientifici, ma solo pseudo-scientifici e di conseguenza facili da criticare.

Siccome le conclusioni cui giungono questi lavori ricordano le conclusioni di Morozov, non

stupisce se nel lettore occidentale il nome stesso di Morozov, qualora capitasse sotto gli occhi, possa

suscitare un moto di repulsione: «Oh, ecco ancora un rappresentante del catastrofismo che cerca di

convincerci che l’asse terrestre un tempo si è ribaltata (non si capisce quando e perché) e per questo

motivo qualcosa è successo nella storia. Non val la pena di perder tempo nella lettura di simili

sciocchezze».

È una reazione umana assolutamente naturale e comprensibile. E proprio su di essa si fa conto.

Quali ne sono le origini?

A suo tempo, nella comunità degli storici occidentali, sorse un intero filone “scientifico”, legato

al nome dell’emigrante russo Immanuil Velikovskij (dove il nome di Morozov, in relazione a questo

filone, non venne mai menzionato).

Velikovskij (1895-1979) era un eminente medico-psicanalista. Nato in Russia, visse e lavorò in

Russia, Inghilterra, Palestina, Germania, Stati Uniti. Fondandosi per buona parte sulle prime opere di

N.A. Morozov, SENZA peraltro mai nominarlo, scrisse una serie di libri sulla storia antica, nei quali,

seguendo l’approccio di N.A. Morozov (ma, ribadiamo, senza tuttavia menzionarlo), elencò una serie

di contraddizioni e incongruenze nella storia arcaica e antica.

Senza riferirsi mai a Morozov, Velikovskij prese a prestito da lui l’importante idea

dell’identificazione di alcune antiche dinastie, che faceva conseguire la necessità di ridurre nel

tempo la storia scritta. Nel suo libro Ramses and his time, Velikovskij dichiarò, per esempio, che la

dinastia degli Hittiti duplicava la dinastia dei Caldei. Velikovskij fece anche un tentativo di

“spiegare” le discrepanze individuate da Morozov (ribadiamo, senza far alcun riferimento a

quest’ultimo) elaborando “la teoria del catastrofismo”.

In Occidente Velikovskij è considerato il fondatore della scuola critica sulla cronologia, anche se,

in sostanza, egli cercò solo di difendere la cronologia di Scaligero dal rischio di trasformazioni

troppo massicce, sostituendo le idee radicali di N.A. Morozov con un loro “debole surrogato”. Il

fatto che in Occidente le opere di storia di I. Velikovskij si conoscano molto meglio dei lavori di

Morozov, di gran lunga precedenti e di spessore contenutistico molto maggiore, ha ostacolato

notevolmente lo sviluppo della NC nell’Europa occidentale del XX secolo.

Perché per lottare contro le idee di N.A. Morozov fu usata proprio l’idea del catastrofismo? Oltre

alle cause sopra indicate, ci fu un’altra circostanza: molte teorie di Morozov sono fondate su calcoli

astronomici, nella fattispecie sulle datazioni di antiche eclissi, descritte in alcuni annali. Datando

queste eclissi in modo autonomo, senza far riferimento alla cronologia convenzionale, scaligeriana,

Morozov ottenne non le date antiche, proposte dagli storici, ma delle date molto più posteriori,

medievali.

“Come lottare contro queste scomode scoperte?” si chiesero gli storici. Argomenti scientifici non

ne avevano, perciò la via più semplice era quella di ricorrere alla demagogia e alle alterazioni.

Agirono così: all’inizio, fondandosi sulle scoperte di Morozov ma senza menzionare il suo nome,

fecero il riassunto di alcune contraddizioni da lui trovate nelle “antiche” dinastie-fantasma. Ciò

facendo, tuttavia, presero a prestito solo le affermazioni “più morbide” di Morozov, quelle che

sembravano introdurre degli slittamenti cronologici irrilevanti nel contesto della cronologia generale,

sottacendo sui cambiamenti più radicali sostenuti da Morozov. Tra l’altro i nostri risultati hanno

dimostrato che persino N.A. Morozov non si era reso conto fino in fondo delle reali dimensioni dei

cambiamenti richiesti necessariamente da una ricostruzione generale della cronologia. La nostra

concezione, infatti, si differenzia da quella di N.A. Morozov per la riduzione della cronologia

dell’Antichità di come minimo mille anni e, per certi annali, anche di 1500-2000 anni.

In seguito fu abilmente creata “una teoria”, assolutamente infondata, secondo la quale pare che nel

Medioevo si fosse prodotta una certa catastrofe nel sistema solare, a causa della quale si sarebbe

spostato l’asse terrestre che avrebbe cominciato a muoversi secondo leggi diverse rispetto alle

precedenti. Di quali nuove leggi si trattasse, “i catastrofisti” non lo precisavano. Per loro non era

importante. Il risultato importante che essi “ottennero” e che iniziarono subito a utilizzare per

distogliere l’attenzione dai risultati astronomici di Morozov, era che è impossibile calcolare,

secondo la teoria astronomica contemporanea, le eclissi lunari e solari relative a epoche anteriori

all’anno della presunta catastrofe, “anno della catastrofe” che tra l’altro viene collocato ogni volta lì

dove fa più comodo. Per esempio, ultimamente, probabilmente dopo l’uscita dei nostri lavori, i

sostenitori del “catastrofismo” lo collocano nei secoli XIV-XV, al fine di evitare un dibattito critico

non solo sull’Antichità ma persino sul Medioevo.

È logico che la posizione dell’asse terrestre influenzi effettivamente, e anche sostanzialmente, il

fatto della visibilità delle eclissi in una regione o in un’altra della Terra. Volendo si può dichiarare

addirittura che “la terribile catastrofe” spostò la traiettoria della Luna nello spazio, circostanza che,

ovviamente, avrebbe cambiato completamente “l’orario delle eclissi”. Dopo di che è ovviamente

molto comodo affermare che i calcoli di Morozov, e di conseguenza anche i nostri, non possono

essere estesi alla profondità dei secoli. In questo modo la cronologia scaligeriana finisce per ottenere

“un potente scudo protettivo” contro il metodo astronomico di Morozov.

Va detto che dopo l’uscita del nostro lavoro sulla datazione del catalogo stellare “Almagesto” di

Tolomeo, i “catastrofisti”, nella fattispecie Christopher Marx, patriarca del catastrofismo ed ex

collaboratore dello stesso I. Velikovskij, essendo assolutamente certi della validità del loro

“metodo”, dichiararono che tutti i nostri calcoli perdevano di valore alla luce della loro

meravigliosa “teoria del catastrofismo”. Poiché, affermavano, nei secoli XIV-XV si produsse “una

catastrofe” e l’asse terrestre si spostò, il sistema solare cambiò di conseguenza, ragion per cui fare

dei calcoli astronomici relativamente a un periodo anteriore al XIV secolo non è possibile.

Ovviamente noi abbiamo risposto. Per i catastrofisti è risultato assai spiacevole rendersi conto

che i moti propri delle stelle, su cui si basava la nostra analisi, non sarebbero stati in nessun modo

toccati dalle catastrofi che essi presumevano fossero avvenute nel sistema solare, di qualunque entità

esse potessero essere state. Anche se la Terra si fosse scambiata di posto con Giove, ciò non avrebbe

prodotto nessun effetto sul moto proprio delle stelle lontane, che si spostano sullo sfondo immobile

di stelle ancora più lontane. Da Giove avremmo ottenuto lo stesso risultato.

La preoccupazione dei “catastrofisti” si può comprendere. La datazione che noi abbiamo ottenuto

per il catalogo stellare Almagesto, cioè l’intervallo dal 600 al 1300 d.C., mina uno dei capisaldi

della cronologia scaligeriana e in sostanza la disintegra.

Tra l’altro i nostri articoli scientifici sono apparsi non solo nella stampa russa ma anche in quella

inglese, essendo stati pubblicati in alcune riviste a partire dal 1988. Nel 1993, negli Stati Uniti, è

uscito un nostro libro su questo tema per le edizioni scientifiche CRS-Press.

Come che sia, gli storici insistono a far finta di non aver letto i nostri lavori, per questo la NC, ai

loro occhi, non è più che le riflessioni di David Rohl sui trecento anni d’incongruenze nella

“antichissima” storia dell’Egitto del presunto secondo millennio a.C. Ed evidentemente per tutti è più

comodo così: è chiaro che i discorsi su simili irrilevanti errori non mettono a rischio la cronologia

scaligeriana, e per questo essi vengono ammessi, anzi, addirittura incentivati, dato che, grazie ad

essi, si riesce a distogliere l’attenzione dai più seri problemi di cronologia.

Va detto che David Rohl di fatto agisce nella stessa chiave dei suoi precursori, che hanno tentato e

tentano di occultare o mistificare le opere di Morozov e ora anche le nostre ricerche sul tema. David

Rohl, per esempio, ragiona sulla necessità di “incollare” alcuni regnanti dell’Antico Egitto,

considerandoli dei duplicati. E presenta quest’idea come sua personale, fatto che non corrisponde a

verità. Innanzitutto, lo ricordiamo, ancora all’inizio del XX secolo, questa proposta fu avanzata da

N.A. Morozov, tra l’altro in scala molto più ampia e con fondamenti scientifici di gran lunga più seri

di quanto ha osato scrivere David Rohl (attingendo dai libri di Morozov, ovviamente senza nemmeno

citarlo). In secondo luogo, questi pensieri “originali” che David Rohl si attribuisce furono pubblicati

da lui stesso nel 1995, cioè 15 anni dopo che, nel 1980, erano apparsi i primi studi di A.T. Fomenko

e poi quelli congiunti, di Fomenko-Nosovskij, sulla cronologia, nei quali veniva dimostrato che

l’identificazione dei “duplicati storici” ha per conseguenza il fatto che la storia scritta dell’umanità si

accorcia radicalmente di alcune migliaia di anni, ci diventa nota solo a partire dai secoli X-XI d.C. e

in sostanza risulta essere molto più vicina a noi.

Ripetiamo: i nostri lavori scientifici su questo tema sono stati pubblicati in russo e in inglese.

Intorno ad essi si è acceso un vivo dibattito, non solo nella stampa russa, ma anche in quella inglese,

e non esclusivamente nelle riviste scientifiche ma anche in quelle divulgative, estendendosi ai

quotidiani e alla televisione.

David Rohl e alcuni altri autori, però, fanno finta di non sapere nulla di questi eventi e di non aver

letto nulla dei nostri lavori, sebbene se ne servano per riassumere alcuni risultati di Morozov e

nostri, peraltro scegliendo con cura, dal fondo aperto dei nostri materiali, solo le affermazioni più

“morbide”, evitando intenzionalmente quelle più radicali e più pericolose per la cronologia

scaligeriana.

A partire dal 2001, cioè dal momento in cui i nostri lavori hanno acquisito una certa notorietà,

certuni hanno cercato di sfruttare il termine New Chronology, collegandolo astutamente al nome di

David Rohl. L’idea, del resto, è semplice ed efficace: vaccinare i lettori contro la NC. Così si fa in

medicina: s’inocula a priori una piccola dose di veleno, per indurre l’organismo a reagire e a

elaborare l’immunità contro le possibili successive dosi più forti. Analogamente si è operato con la

storia: “sono state iniettate” piccole dosi dell’idea di Morozov e della nostra NC in

un’interpretazione alterata e per di più con i nomi di altri autori, giusto per sviluppare nella società

l’immunità contro il pensiero stesso della necessità di una rivisitazione della storia antica.

Rileviamo anche un altro fatto interessante. Proprio Morozov, per primo, propose di datare gli

“antichi” zodiaci egizi in base al loro contenuto astronomico, senza riferirsi alla cronologia

scaligeriana. I ricercatori che avevano lavorato in questa direzione prima di Morozov, avevano

cercato con tutte le loro forze di ottenere una soluzione astronomica che s’inscrivesse nell’intervallo

di tempo noto a priori, e vicino all’inizio dell’era cristiana. Ma senza riuscirci od ottenendo scarsi

risultati, che li inducevano a ricorrere a forzature e aggiustamenti.

Che si sia trattato di un caso o no, resta il fatto che i tentativi, probabilmente sinceri, degli

egittologi di applicare l’astronomia per la datazione degli zodiaci egizi in sostanza s’interruppero

subito dopo la comparsa dei lavori di Morozov. E comunque sia molti egittologi e storici continuano

a tutt’oggi a far finta di “non aver letto” gli studi di Morozov. Si capisce bene il perché.

Morozov dimostrava nei suoi lavori che la datazione astronomica degli zodiaci egizi non poteva

dare le date “antiche” così necessarie agli egittologi, ma offrire solo date medievali, ovviamente non

corrispondenti alla cronologia dell’Egitto comunemente accettata [...].

Per questo poniamo ancora una volta la nostra domanda: è un caso che, proprio dopo la comparsa

dei lavori di N.A. Morozov, gli egittologi abbiano bruscamente ridotto la loro attività nel campo

della datazione degli zodiaci egizi? Oggigiorno essi cercano i tutti i modi di evitare l’astronomia

nelle discussioni che hanno per oggetto gli antichi zodiaci egizi. La conversazione, caso strano, viene

sempre fatta deviare su un’altra direzione, mentre la soluzione di un compito preciso, cioè le

decifrazioni del contenuto astronomico degli zodiaci e la loro rigorosa datazione, vengono sostituite

da ragionamenti vaghi e inoffensivi (per la cronologia scaligeriana) sulla religione degli antichi

Egizi. Si cerca di presentare la questione sotto un altro profilo e ci lasciano credere che se i simboli

degli zodiaci egizi hanno una qualche relazione con l’astronomia, essa è sicuramente ingenua e

fantastica. E in questa forma appena velata viene portata avanti ancora una direzione di lotta contro la

NC. Soffermiamoci ora più dettagliatamente sulla storia dello sviluppo della NC. La si può

suddividere in sei tappe.

PRIMA TAPPA – Dal XVI al XX secolo – In questi secoli diversi ricercatori individuano in varie

fonti originali grosse contraddizioni e incongruenze rispetto alla costruzione cronologica proposta

da Giuseppe Scaligero e comunemente adottata. Elenchiamo di seguito i nomi degli studiosi che

misero in dubbio la cosiddetta cronologia di Scaligero-Petavius, ritenendo che l’autentica

cronologia dell’Antichità e del Medioevo fosse significativamente differente da quella

comunemente accettata:

1. De Arcilla, XVI secolo, professore dell’Università di Salamanca. Le informazioni sulle sue

ricerche sulla cronologia sono piuttosto vaghe. N.A. Morozov (vedi punto 7) ne venne a

conoscenza per caso. Sappiamo solo che de Arcilla sosteneva che la storia “antica” fosse stata

composta nel Medioevo. Purtroppo, a tutt’oggi, non si è riusciti a trovare i suoi lavori.

L’Università di Salamanca non ci ha potuto dare alcun riferimento sulle opere di de Arcilla

(vedi dettagli nella nostra “opera omnia” CHRON 1, capitolo 1).

2. Isaac Newton (1643-1727), eminente scienziato inglese, matematico e fisico. Per molti anni si

occupò anche di studi sulla cronologia, riuscendo a pubblicare un’opera importante, The

Chronology of Ancient Kingdoms amended. To which is Prefix’d, A Short Chronicle from the

First Memory of Things in Europe, to the Conquest of Persia by Alexander the Great, CM.

[1298]. Nel 2007, su nostra iniziativa, la casa editrice russa RIMIS (Mosca) ha pubblicato la

prima traduzione in russo di questo libro [613:8].

3. Jean Hardouin (1646-1729), grande studioso francese e autore di numerose opere di filologia,

teologia, storia, archeologia, numismatica. Direttore della Biblioteca Reale Francese. Scrisse

diversi libri sulla cronologia, dove mosse una forte critica all’intera costruzione della storia

scaligeriana. Hardouin riteneva che la maggior parte dei “monumenti dell’Antichità”, fosse

d’epoca molto più tarda o addirittura dei falsi (vedi dettagli nella nostra “opera omnia” CHRON

7, Appendice 3).

4. Petr Nikiforovič Krekšin (1684-1763), segretario personale di Pietro I. Scrisse un libro in cui

sottopose a critica la versione convenzionale della storia romana. All’epoca di Krekšin era

considerata ancora “molto fresca” e non contemplata come qualcosa di ovvio e scontato, come

lo è oggi (vedi dettagli nella nostra “opera omnia” CHRON 4, capitolo 14).

5. Robert Baldauf, filologo tedesco vissuto nella seconda metà del secolo XIX - inizio XX.

Professore dell’Università di Basilea. Autore dell’opera Storia e Critica, in quattro volumi

[1025:1]. Sulla base di considerazioni filologiche, giunse alla conclusione che i monumenti

della letteratura “antica” fossero molto più recenti di quanto comunemente si credesse. Baldauf

dimostrò che erano stati creati nel Medioevo (vedi dettagli nella nostra “opera omnia” CHRON

7, Appendice 3).

6. Edwin Johnson (1842-1901), storico britannico del XIX secolo. Nei suoi scritti sottopose a

dura critica la cronologia di Scaligero, ritenendo che dovesse essere significativamente ridotta

(vedi dettagli nell’“opera omnia” CHRON 1 e in questo libro, capitolo 1).

7. Nikolaj Aleksandrovič Morozov (1854-1946), eminente studioso-enciclopedista russo, grazie

al quale lo studio sulla cronologia poté compiere un enorme passo in avanti. Morozov sottopose

la versione scaligeriana della cronologia e della storia a un’ampia e circostanziata critica e

propose l’applicazione di nuovi metodi scientifici di analisi della cronologia. Morozov, di fatto,

trasformò la cronologia in una scienza (vedi dettagli in CHRON 1 e in questo libro, capitolo 1).

8. Wilhelm Ferdinand Kammeyer (1889-1959), scienziato tedesco, giurista. Elaborò una

metodologia per la definizione dell’autenticità degli antichi documenti ufficiali. Scoprì che

quasi tutti i documenti europei antichi e risalenti al primo Medioevo erano di fatto dei falsi o

delle copie posteriori. Postulò la falsificazione della storia antica e medievale. Scrisse alcuni

libri su questo tema (vedi dettagli nell’“opera omnia” CHRON 7, Allegato 3).

9. Immanuil Velikovskij (1895-1979), famoso medico-psicanalista nato in Russia e vissuto in

Russia, Inghilterra, Palestina, Germania e Usa. Autore di una serie di libri dedicati alla storia

antica dove, fondandosi sulle ricerche di Morozov (ma senza mai menzionarlo), rilevò certe

incongruenze e stranezze che egli cercò di motivare con l’aiuto della “teoria del catastrofismo”.

In Occidente Velikovskij è considerato il fondatore della scuola critica della cronologia,

nonostante egli di fatto cercò di difendere la cronologia scaligeriana da radicali revisioni.In

questo senso lo si può annoverare solo lontanamente tra i precursori della NC. Ci sembra che il

fatto che nell’Europa occidentale le opere di Velikovskij siano conosciute molto meglio di

quelle di Morozov (di gran lunga anteriori e scientificamente molto più rigorose), possa aver

frenato lo sviluppo della NC nell’Europa occidentale del XX secolo (vedi dettagli nell’“opera

omnia” CHRON 7, Allegato 3).

In sintesi, l’infondatezza della cronologia scaligeriana fu chiaramente indicata nei lavori

d’importanti studiosi operanti nei secoli XVII-XIX, che sottoposero a una critica circostanziata

la storia convenzionale, formulando la tesi della falsificazione dei documenti e delle fonti

antiche. Tra questi studiosi Morozov per primo riuscì a individuare una linea per la costruzione

di un’esatta cronologia, senza tuttavia riuscire a crearne una versione fondata. La sua versione

risultò stentata, ereditando anche una serie di errori significativi provenienti dalla cronologia di

Scaligero-Petavius.

SECONDA TAPPA – Prima metà del XX secolo – Questa fase dev’essere indubbiamente associata

al nome di N.A. Morozov, che per primo capì e formulò l’idea fondamentale in base alla quale si

dovesse sottoporre a una ristrutturazione radicale la cronologia scaligeriana non solo

dell’“Antichità”, ma anche del periodo successivo e fino al VI secolo d.C. N.A. Morozov utilizzò

una serie di nuovi metodi scientifici per analizzare la cronologia e avanzò molti argomenti

inoppugnabili a favore della sua idea. Nel periodo dal 1907 al 1932 N.A Morozov pubblicò le sue

opere principali sulla rivisitazione della storia dell’Antichità [542], [543], [544]. Il suo errore fu

di ritenere che la cronologia successiva al VI secolo d.C. fosse più o meno corretta. N.A.

Morozov, si fermò molto prima di arrivare a una conclusione logica (vedi dettagli in questo libro,

capitolo 1).

TERZA TAPPA – Periodo dal 1945 al 1973 – Lo si può connotare come un “periodo di silenzio”. La

scienza storica cerca di far cadere nell’oblio le ricerche di Morozov e dei suoi precursori sulla

cronologia: in Russia il dibattito su questo tema si arresta e attorno alle opere di Morozov si viene

a creare una cortina di silenzio. In Occidente, per contro, il dibattito si circoscrive entro i limiti

dell’ipotesi di Velikovskij (vedi sopra al punto 9) sul “catastrofismo”.

QUARTA TAPPA – 1973-1980 – Questa fase comincia nel 1973, quando A.T. Fomenko, allora

ricercatore della facoltà di matematica meccanica dell’Università di Mosca, occupandosi di

questioni di matematica celeste, prestò attenzione a un articolo dell’astrofisico americano Robert

Newton, pubblicato nel 1972, e dedicato a uno strano salto dell’accelerazione lunare, il cosiddetto

parametro D”. Il salto sarebbe avvenuto intorno al X secolo d.C. Facendo riferimento alle

datazioni scaligeriane degli appunti sulle eclissi di sole e di luna, R. Newton aveva calcolato

l’accelerazione della Luna come una funzione del tempo nell’intervallo dall’inizio dell’era

cristiana al XX secolo. Siccome l’inaspettato salto del parametro D” non veniva in nessun modo

spiegato dalla teoria gravitazionale, esso suscitò un’animata discussione scientifica che sfociò in

un aperto dibattito, organizzato nel 1972 dalla Società Reale di Londra e dall’Accademia

britannica delle Scienze. Il dibattito non portò a un chiarimento della situazione e R. Newton

propose di considerare, come causa dell’insolito salto, l’azione di misteriose forze non

gravitazionali esistenti nel sistema Terra-Luna. A.T. Fomenko notò che nessuno dei tentativi di

spiegazione della variazione nel comportamento del parametro D’’ teneva conto dell’esattezza

delle datazioni delle eclissi su cui R. Newton aveva basato i suoi calcoli. Nonostante A.T.

Fomenko allora fosse piuttosto lontano da ricerche di storia, aveva sentito parlare di Morozov e

aveva saputo che all’inizio del secolo, nell’opera Christos (pubblicata nel 1924-1932), Morozov

aveva proposto alcune nuove datazioni di “antiche” eclissi. Va detto che, nel 1973, Fomenko aveva

una posizione piuttosto scettica nei confronti delle opere di N.A. Morozov, oggetto di racconti

nebulosi nei corridoi della facoltà di matematica meccanica dell’U-niversità di Mosca. Superando

il suo scetticismo, Fomenko decise di ricercare la tavola astronomica di Morozov, contenente

nuove datazioni di “antiche” eclissi e di calcolare nuovamente il parametro D”, utilizzando lo

stesso algoritmo di R. Newton. Così operando scoprì che il misterioso salto non c’era più e il

grafico del D” si era trasformato in una linea dritta e orizzontale. Il lavoro di Fomenko su questo

tema fu pubblicato in rivista nel 1980.

La rimozione di un mistero della meccanica celeste originò tuttavia una questione importantissima:

se nuove datazioni di eclissi risistemavano il quadro scientifico, cosa si sarebbe dovuto fare con

la cronologia dell’Antichità, considerando che le date delle eclissi erano state utilizzate per datare

periodi storici ed erano dunque saldamente legate a una massa di documenti storici diversi? Dal

momento che i risultati di N.A. Morozov avevano permesso di risolvere un difficile compito di

meccanica celeste, A.T. Fomenko decise di procedere a una conoscenza più approfondita degli

scritti di N.A. Morozov. L’unico professore della facoltà di matematica meccanica dell’Università

statale di Mosca in possesso dell’opera Christos di Morozov, diventata già una rarità, era il

professor M.M. Postnikov. Egli s’interessava da tempo degli studi di N.A. Morozov, e qualche

volta ne parlava ai colleghi. Nel 1974, A.T. Fomenko chiese a Postnikov di fargli qualche lezione

sulle opere di Nikolaj Morozov e il professore, dopo qualche esitazione, acconsentì. In questo

stesso 1974 Postnikov fece cinque lezioni su Morozov a un gruppo di matematici della facoltà di

matematica meccanica dell’Università statale di Mosca. Il risultato fu che il gruppo cominciò a

interessarsi ai problemi legati alla cronologia, osservandoli dal punto di vista della matematica

applicata.

Apparve chiaro che in questo difficile campo non sarebbe stato possibile operare senza

l’elaborazione di nuovi e indipendenti metodi di datazione. Pertanto, durante gli anni 1973-1980

l’attenzione fu focalizzata sulla creazione di metodi matematici e statistici per l’analisi di testi

storici: tra il 1975 e il 1979 A.T. Fomenko fu in grado di proporre e sviluppare alcuni di questi

nuovi metodi. Sulla base di essi gli fu possibile individuare un quadro globale di ridatazione della

versione cronologica di Scaligero, ridatazione che permise di eliminare gli errori che detta

versione presenta.

In particolare egli individuò, nella cronologia scaligeriana, tre slittamenti cronologici

fondamentali, all’incirca di 300, 1050 e 1800 anni.

Questi slittamenti, ovviamente, esistevano non nella cronologia reale ma nella versione errata

proposta da Scaligero e dal suo continuatore Petavius. Fomenko scoprì inoltre, che il “manuale di

Scaligero” risultava costituito da quattro copie incollate insieme di una stessa breve cronaca.

Secondo la concezione di Fomenko, la storia scritta diventa nota solo a partire dai secoli X-XI

d.C.

I risultati della ricerca di A.T. Fomenko furono pubblicati in una serie di riviste scientifiche, sia in

Russia che in Occidente.

È evidente che per tutto il tempo durante il quale i lavori di Morozov giacevano dimenticati, gli

storici erano preoccupati dal problema di una possibile loro riesumazione. Diversamente è

difficile spiegare un fatto curioso: nel 1977, cioè in un’epoca in cui le ricerche di Fomenko e dei

suoi colleghi matematici dell’Università di Mosca si trovavano ancora agli albori, quando ancora

non esisteva pubblicazione alcuna su questo tema, nel giornale «Kommunist» era già apparso

l’articolo di uno storico, il professor A. Manfred, contenente un duro giudizio sui “nuovi metodi

matematici” applicati allo studio della storia. I cognomi degli autori dei metodi non erano stati

nominati, ma si capiva benissimo di chi si trattava. A. Manfred scrisse: «Se si lasciasse fare a

questi “giovani” studiosi, essi sarebbero capaci di ricoprire di cifre il mercato del libro [...]. Le

nuove tendenze richiedono un’accurata analisi critica e un superamento. Esse ostacolano il

progresso della scienza storica mondiale» (in «Kommunist», n. 10, luglio 1977, pp. 106-114).

QUINTA TAPPA – Anni 1980-1990 – In questo periodo nella stampa scientifica e su riviste

specialistiche di matematica (pura e applicata) cominciarono ad apparire degli articoli contenenti

la presentazione dei nuovi metodi di datazione e l’illustrazione dei risultati ottenuti grazie ad essi

nel campo della cronologia. Le prime pubblicazioni su questo argomento furono due articoli di

Fomenko, pubblicati nel 1980, e un preprint di M.M. Postnikov e Fomenko, pubblicato anch’esso

nel 1980. Nel 1981, alla ricerca iniziata da Fomenko sulla NC si associò attivamente G.V.

Nosovskij, un giovane matematico esperto di teoria delle probabilità e di statistica matematica.

Durante questo periodo furono pubblicate alcune decine di articoli dedicati ai metodi indipendenti

empirico-statistici e astronomici applicati allo studio della cronologia. Alcuni di essi furono scritti

esclusivamente da Fomenko, altri furono elaborati dallo stesso Fomenko insieme ai matematici

G.V. Nosovskij, V.V. Kalašnikov, S.T. Račev, V.V. Fedorov, N.S. Kellin (vedi “Bibliografia”). Va

detto che questi articoli furono sostenuti dal fisico e accademico E.P. Velichov, che presentò i due

articoli di Fomenko (contenenti la descrizione dei metodi e del quadro globale delle datazione

cronologiche) nelle relazioni dell’Accademia delle Scienze dell’URSS, nonché dal matematico e

accademico Ju.V. Prochorov, che presentò due articoli scritti da V.V. Kalašnikov-G.V. Nosovskij-

A.T. Fomenko (sulla datazione dell’Almagesto di Tolomeo) nella stessa sede. Alcuni importanti

risultati furono ottenuti anche con la partecipazione di Tat’jana N. Fomenko. A.T. Fomenko lesse le

sue relazioni sui nuovi metodi di datazione nei seminari di ricerca matematica dell’accademico

V.S. Vladimirov, dell’accademico A.A Samarskij, dell’accademico O.A Olejnikov, del membro

corrispondente S.V. Jablonskij, nonché presso il Seminario scientifico di storia dell’accademico

I.M. Koval’čenko. Va aggiunto che l’accademico I.D. Koval’čenko, esperto di applicazione di

metodi matematici alla storia, dimostrò un grande interesse nei confronti dei nuovi metodi esposti

e sostenne che la comunità degli storici avrebbe dovuto cercare di comprendere più a fondo i

problemi legati alla cronologia. Negli anni 1980-1990 Fomenko, Nosovskij e Kalašnikov lessero

le loro relazioni sui nuovi metodi di datazione indipendente in varie occasioni, durante alcune

conferenze scientifiche di matematica.

Curiosa la posizione dell’accademico A.N. Kolmogorov durante la terza Conferenza

Internazionale sulla teoria delle probabilità e statistica matematica, tenutasi a Vilnjus nel 1981:

Kolmogorov arrivò alla Conferenza quando A.T. Fomenko doveva iniziare a esporre la sua

relazione sui nuovi metodi di datazione. Per tutta la durata della relazione, circa 40 minuti,

Kolmogorov rimase in piedi nel corridoio, in un posto che non lo rendeva visibile ma che gli

permetteva di vedere e seguire quello che veniva spiegato alla lavagna. Subito dopo la relazione

di Fomenko, Kolmogorov se ne andò in silenzio, senza avvicinare il relatore. Qui va detto che

Kolmogorov allora aveva già una salute debole e per lui stare in piedi tutto quel tempo fu

sicuramente uno sforzo non indifferente. Una volta giunto a Mosca, Kolmogorov invitò Fomenko a

casa sua e gli chiese di leggergli qualcosa dei suoi lavori sulla cronologia. Fomenko gli lasciò una

tesina di 100 pagine, che aveva scritto nel 1979 e stava preparando per le stampe, nonché un

manoscritto dettagliato di 500 pagine dedicato interamente al tema. Due settimane dopo

Kolgomorov invitò nuovamente Fomenko per una conversazione che durò due ore. Kolmogorov

aveva letto attentamente i materiali di Fomenko e aveva molte domande da porgli. Lo

interessavano soprattutto i parallelismi dinastici tra le dinastie “antiche”, comprese quelle

bibliche, e le dinastie medievali. Disse anche che lo spaventava la prospettiva di una revisione

radicale di molte idee moderne basate sulla storia antica. Non manifestò, però, nessuna obiezione

sui metodi. Riconsegnò il manoscritto di 500 pagine ma chiese in regalo la tesina di 100 pagine.

Ciò va letto sullo sfondo di un’informazione successiva, che Fomenko rice-vette da uno dei

partecipanti alla conversazione di cui si parla sotto. Qualche tempo prima il professor M.M.

Postnikov aveva proposto la pubblicazione, nella rivista «Uspechi matematičeskich nauk» («I

progressi delle scienze matematiche»), di un articolo con una rassegna delle ricerche condotte da

N.A. Morozov nel campo della cronologia. Dopo questo fatto, tra i membri della redazione della

rivista, tra cui il professor P.S. Aleksandrov e il già citato accademico A.N. Kolmogorov, ci fu una

conversazione, durante la quale Kolmogorov si rifiutò addirittura di prendere in mano detto

articolo, riferendo a proposito che l’articolo doveva essere cassato, che di forze contro Morozov,

a suo tempo, ne aveva spese molte e che avrebbero rischiato di fare la figura degli stupidi se alla

fine fosse emerso che Morozov aveva ragione. L’articolo fu cassato.

Questo fatto alza un lembo del sipario che nasconde degli eventi di anni già passati, di un’epoca in

cui su Morozov fu praticamente posto il veto. Oggi cercano di convincerci che “tutto allora

successe automaticamente”, come se le ricerche di Morozov fossero così poco interessanti da

finire presto e naturalmente nel dimenticatoio. In realtà, come si comincia a intuire, nella lotta

contro l’approccio di N.A. Morozov furono investite tante forze, comprese quelle dell’accademico

A.N. Kolmogorov. È interessante, comunque, che A.N. Kolmogorov ammettesse la probabilità di

correttezza della versione di Morozov.

Nel 1981, subito dopo le nostre prime pubblicazioni sulla cronologia, ebbe luogo una riunione del

Dipartimento di Storia dell’Accademia delle Scienze dell’Unione Sovietica (29 giugno 1981),

appositamente dedicata alla critica del nostro lavoro. In una lettera ufficiale inviata a A.T.

Fomenko, il professor Volkov, segretario scientifico del Dipartimento di Storia dell’Accademia

delle Scienze dell’Unione Sovietica, e N.D. Luckov, segretario scientifico del Consiglio

scientifico Osnovnye zakonomernosti razvitija čelovečeskogo obščestva (Le regole basilari di

sviluppo della società umana) presso il Dipartimento di Storia dell’Accademia delle Scienze

dell’URSS, sottolinearono:

«Il 29 giugno 1981 sotto la presidenza del vice-segretario del Dipartimento, Ju.V. Bromlej, ha avuto luogo una riunione del

Dipartimento […]. Le vostre conclusioni sono state fortemente criticate dagli esperti di sei istituzioni umanitarie, nonché dai membri

dell’Osservatorio Astronomico dell’Istituto Sternberg».

Particolarmente feroci furono le relazioni della storica Z.V. Udalcova, membro corrispondente

dell’Accademia delle Scienze dell’URSS e di E.S. Golubcova, presidente di una Commissione

speciale preposta all’analisi dei nostri lavori. A partire da questo momento, nelle riviste

specializzate di storia, iniziò la pubblicazione di una serie di articoli tutti accomunati da un duro

giudizio nei confronti del nostro lavoro. Una simile “valutazione scientifica” si ripeterà più tardi,

negli anni 1998-1999 (vedi sotto).

SESTA TAPPA – Dopo il 1990: questo periodo può essere connotato come “fase dei libri sulla NC”.

A partire da questo momento cominciano ad apparire libri illustranti sia il percorso della nostra

ricerca sia le nostre ipotesi sul vero volto della storia prima del secolo XVII.

Il primo a essere pubblicato fu il libro di A.T. Fomenko, Metody statističeskogo analiza

narrativnych tekstov i ich priloženija k chronologii (Metodi di analisi statistica dei testi

narrativi e applicazioni alla cronologia), edito dalla casa editrice dell’Università statale di

Mosca MGU nel 1990. Il libro uscì con una prefazione di Širjaev, presidente (negli anni 1989-

1991) della Società internazionale di Statistica matematica e di Teoria delle probabilità

“Bernulli”, e capo del Dipartimento di Teoria delle probabilità e di Statistica matematica

dell’Istituto di Matematica “V.A. Steklov”, in seguito direttore della Cattedra di Teoria delle

probabilità presso la Facoltà di Matematica meccanica dell’Università di Mosca.

A onor del vero il libro sarebbe dovuto uscire prima, essendo stato preparato per le stampe già nel

1983-1984. Tuttavia, nel giugno del 1984, l’editore che si apprestava a pubblicare il libro fu

frenato dalla lettera di alcuni storici leningradesi […] che accusavano la nostra ricerca di «essere

indirizzata contro i princìpi fondamentali della scienza storica marxista […]» e che richiesero

categoricamente di bloccarne la pubblicazione. […] Un simile destino toccò anche ad altri testi di

Fomenko-Nosovskij-Kalašnikov […], tra cui Geometričeskij i statističeskij analiz zvezdnych

konfiguracij. Datirovanie zvezdnogo kataloga “Almagest” (Analisi geometrica e statistica delle

configurazioni stellari. La datazione del catalogo stellare “Almagesto”), bloccato nel 1991.

Dunque, dopo l’uscita, nel 1990, del primo libro di A.T. Fomenko, Metody statističeskogo analiza

[...] (I metodi di analisi statistica[...]), nel 1990, e dei successivi Kritika tradicionnoj

chronologii antičnosti i srednevekov’ja (La critica della cronologia tradizionale dell’Antichità

e del Medioevo) nel 1993 e Global’naja chronologija (La cronologia globale) sempre nel 1993,

si registrò una pausa dopo la quale presero a uscire via via i libri contenenti i risultati progressivi

della nostra ricerca.

Proprio in questo periodo nacque il termine “NC” così come l’intendiamo noi, cioè come la

cronologia risultante dall’applicazione dei nostri metodi matematici di datazione. Essa è nuova,

nel senso che si differenzia dalla versione, oggi comunemente accettata, della cronologia di

Scaligero-Petavius. Di fatto la si dovrebbe chiamare “Giusta cronologia”, giacché essa corregge

gli errori della versione scaligeriana.

Un grande contributo allo sviluppo della NC è stato offerto da T.N. Fomenko, ricercatrice in

scienze fisico-matematiche, coautrice delle nostre indagini, nella fattispecie inerenti alla

datazione, attraverso metodi astronomici, degli antichi zodiaci e all’analisi della storia della

battaglia di Kulikovo. Non meno prezioso l’apporto della medesima, nella stesura dei nostri libri

Astronomičeskij analiz chronologii (L’analisi astronomica della cronologia) e Russkij kak

osnova latyni i evropejskich jazykov (tom: Rekonstrukcija, kn. 2), Il russo come base del latino e

delle lingue europee (tomo: La ricostruzione, libro 2).

Della pubblicazione delle opere sulla NC si occuparono da subito numerose case editrici

moscovite: l’editrice universitaria MGU, l’editrice Nauka, la Faktorial, la Kraft, la Olimp, la

Anvik, la Delovoj Ekspress, la AST. All’estero i nostri libri furono pubblicati in russo e in inglese

dalla Kluwer Academic Press (Olanda), CRC-Press (USA), Edwin Mellen Press (USA). Nel

2000-2003 l’intero materiale è stato sottoposto a revisione, rinnovato e articolato nell’opera in

sette tomi Chronologija (edizione RIMIS), uscita anche in versione inglese (History: Fiction or

Science? Chronology 1, Delamere Publishing, Paris, London, New York). Una nuova edizione,

riveduta e ampliata della suddetta opera è uscita, di recente, per i tipi della AST (vedi

“Bibliografia”).

A partire dal 1995-1996, vari giornali e riviste hanno cominciato a pubblicare numerosi articoli

dedicati ai nostri libri sulla NC e contenenti sia dure critiche che grandi elogi. Di articoli simili ne

sono apparsi non meno di un centinaio all’anno, con una punta massima nel periodo 1999-2000.

Nel 1998, nel canale televisivo «TVC», lo studio Avtorskoe televidenie (Televisione d’autore),

nell’ambito del famoso programma Nočnoj polet (Volo notturno) ha organizzato sette incontri con

il noto economista A.V. Podojnicyn, membro del gruppo informale “Nuova Cronologia”, che ha

risposto in diretta alle numerose domande dei telespettatori sul nostro progetto. Gli incontri hanno

riscosso un notevole successo.

Negli anni 1999-2001, nell’ambito di alcuni interventi sulla stampa e alla televisione, il campione

del mondo di scacchi G.K. Kasparov ha sostenuto la parte critica della NC, per la qual cosa gli

siamo molto riconoscenti. A lui appartiene una serie di osservazioni interessanti che sono state

utilizzate nei nostri libri, con il dovuto riferimento a Kasparov. La nostra collaborazione con

Kasparov, tuttavia, non si è successivamente sviluppata.

Nel 1999 siamo stati contattati dal famoso scrittore, sociologo, logico e filosofo, docente

dell’università di Mosca, professor A.A. Zinov’ev, rientrato in Russia dopo un lungo periodo di

emigrazione all’estero. Dopo aver letto i nostri lavori, Zinov’ev era arrivato alla piena

accettazione della nostra concezione, che tra l’altro coincideva con alcune ricerche sulla storia e

sulle falsificazioni storiche da lui stesso condotte. Della sua idea Zinov’ev parla nella prefazione

alla nuova edizione del nostro Vvedenie v Novuju Chronologiju (Introduzione alla NC), uscito nel

2001 (edizione Kraft, Mosca).

A partire dal 1996 i nostri lavori hanno cominciato ad apparire su Internet, in una serie di siti

diversi (10 in Russia, almeno 1 in Germania). Vorremmo sottolineare il ruolo che ebbe il professor

Gabovič nell’organizzazione del sito tedesco oltre che nell’organizzazione, in Germania, del

Nuovo Salone Storico, molto aperto alle idee e agli stimoli della NC […].

Il sito www.chronologia.org, ormai popolare in Russia, ospita il vivo dibattito che si è acceso

intorno alla Nuova (corretta) Cronologia. Qui si possono leggere gli interventi sia dei sostenitori

che dei critici. Attualmente lo consideriamo il sito ufficiale della NC. [Di recente è stata qui

inaugurata la pagina italiana; N.d.T]. Negli anni 1990-1998, la reazione degli storici rispetto ai

risultati della nostra ricerca fu piuttosto debole. In questo periodo su giornali e riviste apparvero

solo un paio di articoli, tra l’altro privi di argomenti scientifici, semplice espressione di un mero

dissenso.

Nel 1998 la situazione cambiò. Una delle riunioni del Presidio dell’Accademia delle Scienze fu

appositamente dedicata alla discussione della nostra ricerca. In seguito fu convocata una riunione

straordinaria dell’Ufficio di presidenza del Dipartimento di Storia dell’Accademia delle Scienze,

quindi fu indetto un dibattito presso il Dipartimento di Matematica. Nel corso di una riunione

dell’Ufficio del Dipartimento di Storia fu avanzato un “programma di lotta” contro la NC,

programma che s’incarnò in modo chiaro già nel dicembre del 1999, quando, presso la Facoltà di

Storia dell’Università di Mosca, fu organizzata una grande conferenza dal titolo significativo “I

Miti della NC”. La conferenza, ovviamente, era all’insegna della condanna categorica della nostra

ricerca. Materiali tratti da questa conferenza furono pubblicati con vari nomi e con varie copertine,

ripetendosi nei contenuti, forse per creare un’impressione di voluminosità delle “obiezioni

scientifiche” (di questi libri ripetitivi ne abbiamo contati quasi una decina e può darsi che il loro

numero sia destinato ad aumentare! (Vedi dettagli nel nostro Antičnost’ – eto srednevekov’e

[L’Antichità è il Medioevo; N.d.A.]) […].

Valutando attentamente la critica esposta in questi testi, abbiamo rilevato che di nuove idee i nostri

oppositori non ne presentavano. Tuttavia la forma in cui essi ora esponevano il materiale risultava

essere sicuramente “più evoluta” e d’impronta più scientifica. Si era anche affinata l’arte

dell’attribuzione di etichette. La nostra dettagliata risposta alla loro critica è inclusa nel nostro

Antičnost’ – eto srednevekov’e (L’Antichità è il Medioevo), addendum 4, nonché nella prima

pagina del nostro sito (www.chronologia.org).

Dal 1996 in Germania sono cominciati ad apparire libri di storici tedeschi, dedicati agli errori

della cronologia medievale dell’Europa occidentale, si vedano per esempio i libri di Herbert Illig.

A dire il vero si tratta di lavori che dimostrano di non riconoscere l’autentica entità del problema:

i loro autori suppongono che ci si possa districare con una revisione locale della cronologia

scaligeriana, inserendo ragguagli in un punto o in un altro. Ciò è un errore. Al contempo, degno di

nota è la loro parte critica. Sottolineiamo il libro di Uwe Topper Die Große Aktion: Europas

erfundene Geschichte, dedicato alla falsificazione della storia, nonché il testo di Christian Bloss e

Hans Ulrich Niemitz C14-Crash (Il fallimento del C-14), dedicato all’analisi al radiocarbonio

(vedi “Bibliografia”).

Ultimamente sono apparsi testi dedicati alla ricostruzione della storia sulla base dei risultati

esposti nei nostri libri sulla NC. Ricordiamo in primo luogo i lavori di V.A. Nikerov, I. Tabov,

E.Ja. Gabovič, N.I. Chodakovskij, N.A. Miljach, L.I. Bočarov, N.N. Efimov, I.M. Čačuch, I.Ju.

Černišov. […] Nei lavori degli autori elencati sono illustrate le idee della NC e sono riportate una

serie di nuove considerazioni e aggiunte. Risultati importanti ha raggiunto I.I. Kurinnoj […]. Nel

sito (www.chronologia.org) è pubblicata la raccolta elettronica degli articoli sulla NC curati da

noi […].

In linea di massima accogliamo positivamente queste iniziative.

D’altra parte i nostri lavori hanno generato una moltitudine di imitazioni e “ricostruzioni”, spesso

assolutamente infondate, sebbene a volte offrano spunti interessanti. Per esempio, utilizzando i

risultati dei nostri lavori, scrive i suoi libri A.M. Žabinskij. Alcuni dei suoi testi sono interessanti,

d’altra parte richiamano l’attenzione gli strani tentativi dell’autore di presentarsi come il creatore

di un nuovo metodo per lo studio della cronologia, designato col nome altisonante “la sinusoide di

Žabinskij”, che altro non è che l’applicazione dei nostri risultati alla storia dell’arte,

accompagnata da una certa rappresentazione grafica che viene spacciata per “scoperta”.

Nella categoria dei testi prettamente critici, non contenenti seri tentativi di correzione della

cronologia, ma indicanti alcuni errori localizzati e alcune incongruenze all’interno della versione

scaligeriana, possiamo collocare i libri dello storico tedesco Uwe Topper. Questi tipi di libri sono

comunque utili, sebbene noi li consideriamo una tappa già superata.

Una menzione a parte meritano i lavori di S.I. Valjanskij e D.V. Kaljužnyj sulla cosiddetta

“Chronotronika”, un termine di sentore scientifico inventato dagli stessi autori. Riteniamo che la

loro attività porti alla NC più danni che vantaggi. I primi libri di questi autori, che essi stessi

considerano un’evoluzione delle teorie di N.A. Morozov, di fatto sono un riassunto, peraltro

piuttosto arbitrario e spesso non corretto, delle idee di N.A. Morozov […]. Ovviamente è molto

più utile leggere i libri dello stesso Morozov che un simile “riassunto”. È vero, del resto, che le

opere di Morozov non sono adatte al largo pubblico ma a specialisti e ricercatori.

A questo proposito aggiungiamo che un interessante sunto dei libri di Morozov, adattato per il

largo pubblico, fu invece quello offerto a suo tempo dal matematico M.M. Postnikov, Kritičeskoe

issledovanie chronologii drevnego mira (Ricerca critica della cronologia del mondo antico). Si

tratta di un libro basato su un testo scritto da A.T. Fomenko e A.S. Miščenko […].

Ricordiamo ancora una serie di libri, i cui autori forse credono sinceramente di occuparsi di NC

ma che di fatto dimostrano di aver scarsa relazione con la cronologia scientifica: i libri del

matematico A.K. Guc con la sua teoria sulla “storia a più varianti” […] che pare riferirsi più alla

filosofia che alla cronologia […]; i libri del geologo I.V. Davydenko (propagandista della NC e

autore di osservazioni importanti, da noi utilizzate con i dovuti riferimenti). Fu proprio I.V.

Davydenko a richiamare la nostra attenzione sull’utilizzo del cemento nelle costruzioni dell’antico

Egitto e a segnalarci i lavori di J. Davidovič sul tema. Tuttavia nei libri e nelle affermazioni di I.V.

Davydenko, accanto a idee preziose, ce ne sono di infondate, come quella del diluvio, che, secondo

lui, nel TARDO Medioevo avrebbe quasi interamente sommerso l’Eurasia. Si avvicinano molto al

filone del “catastrofismo” sviluppatosi in occidente, e possono venire demagogicamente utilizzate

contro la Nuova Cronologia, anche se non mettiamo in dubbio la buona fede di I.V. Davydenko.

Una posizione particolare occupa il sito www.newchrono.ru, facente parte del progetto

“Civilizacija” (Civiltà), diretto dal professor Ja.A. Kesler. Questo sito fu inizialmente creato da noi

stessi al fine di sviluppare via Internet un dibattito su questioni di cronologia e a questo si deve il

nome che ha. Purtroppo però, nell’arco di 1-2 anni, il sito è fuoriuscito dal nostro controllo ed è stato

occupato da persone aventi fini completamente diversi dai nostri. Qui va sottolineato il ruolo di Ja.A.

Kesler. I suoi libri, caratterizzati da una miscela di citazioni latenti, mutuate dai nostri lavori

(ovviamente, senza riferimento a noi) e sue considerazioni personali, un po’ crude e nebulose,

vengono proposti come “l’ultima parola” non solo della NC, ma di un più vasto (quanto improbabile)

progetto dal nome “Civilizacija” (Civiltà). Secondo noi si tratta di un progetto non scientifico e

fuorviante. Purtroppo esso si presenta come una sorta di “trappola” per coloro che sinceramente

vorrebbero partecipare alla ricerca sulla cronologia.Va ancora detto che, rispetto per esempio ai

tentativi di S.I. Valjanskij e D.V. Kaljužnyj con la loro teoria “Chronotronika”, l’attività di Kesler e il

progetto “Civilizacija” (Civiltà) sono molto ben organizzati e molto più sofisticati.

Ora ospita un progetto d’ampio respiro, consapevolmente finalizzato ad attaccare la “NC” sotto la

maschera di contesto affine (e prova di ciò è il rifiuto, da parte della direzione, della nostra proposta

di cambiare il nome del sito) […].

Negli ultimi anni alcune nostre idee sono state recepite da alcuni storici “particolarmente

evoluti”. È vero, però, che ciò ha prodotto fenomeni interessanti: assimilando le nostre idee, alcuni

di questi storici hanno cominciato a impadronirsene e a pubblicare libri, nei quali al contempo

attribuiscono a se stessi i nostri risultati, senza tuttavia mancare di condannarci. Ne è un esempio il

libro Zagadki Drevnej Rusi (I misteri dell’antica Rus’), uscito alla fine del 2000, per le edizioni

Veče e scritto da tre archeologi professionisti, A.A. Byčkov, A.Ju. Nizovskij e P.Ju. Černosvitov. Gli

archeologi descrivono dettagliatamente il posto nella regione di Tula che gli storici oggi considerano

“il campo di Kulikovo” e spiegano che non esiste alcun reperto archeologico che confermi

l’avvenimento, in questo luogo, della battaglia di Kulikovo o di una qualsiasi altra vasta battaglia

medievale. Più avanti menzionano la nostra ricostruzione dei fatti, che sposta la battaglia di Kulikovo

nel territorio di Mosca. In seguito dichiarano, “con la loro autorità di archeologi”, che la nostra

ricostruzione “non è convincente”, e subito ne avanzano un’altra, “la loro personale ricostruzione”

(la versione di A.A. Byčkov) che, anch’essa come la nostra, sposta gli avvenimenti nel territorio di

Mosca. […] Ripetiamo: gli storici o ci coprono d’infamia, o s’impadroniscono delle nostre

conclusioni. Peraltro, a volte fanno questo e quello con grande perizia.

Va detto, a onor del vero, che a volte, nei libri del sopracitato A.A. Byčkov si trovano

effettivamente dei materiali interessanti estratti da fonti antiche o altro. Tuttavia, quando egli cerca di

far luce sugli avvenimenti storici e di proporre una sua ricostruzione, le sue considerazioni si

presentano alquanto nebulose e poco convincenti.

Da ciò si deduce che alcuni storici, e soprattutto gli archeologi, che lavorano direttamente con i

materiali originali e i reperti dagli scavi, a volte riconoscono l’inesattezza della cronologia

scaligeriana e intuiscono la correttezza dalla nostra ricostruzione. Tuttavia fanno fatica a riconoscerlo

ad alta voce, forse per motivi strettamente corporativi […].

Un ulteriore tentativo di screditare la NC si coglie nella tendenza a riempire il mercato librario

con testi di bassa lega sul tema, sul genere storico-poliziesco. Ne sono un esempio i libri polizieschi

del popolare autore contemporaneo A.A. Buškov. Fingendosi un ricercatore indipendente questo

scrittore s’ingegna a ricopiare dei frammenti dei nostri libri e al contempo s’impegna a convincere il

lettore del nostro errato approccio complessivo. […]

In progressivo aumento è anche un altro importante fronte di lotta contro la NC, costituito

dall’alterazione intenzionale delle idee principali della NC, in forma sostanzialmente caricaturale

anche se apparentemente accademica.

In modo particolarmente morboso viene percepita la nostra scoperta dell’esistenza del Grande

impero russo medievale dei secoli XIII-XVI. Si tratta di una scoperta chiave nella comprensione

della storia del passato, che ribalta molti stereotipi profondamente radicati nella coscienza

dell’uomo contemporaneo. In molti, però, essa suscita disappunto, e ciò si coglie bene nella serie di

libri apparsi in Russia negli anni 2004-2006, che di fatto sono delle parodie mascherate della nostra

ricostruzione del Grande impero. […]. A questo contesto appartiene il libro di A.A. Makarenko

Otkuda pošla Rus’? Novaja geografija Drevnego mira (Da dove è venuta la Rus’. Una nuova

geografia del mondo Antico), un volume di 650 pagine pieno di tabelle e altro materiale di forma

scientifica. È un libro scritto chiaramente sulla falsariga dei nostri lavori e con un fine provocatore,

quello di confondere il lettore proponendogli una ricostruzione della storia apparentemente simile

alla nostra ma di fatto non avente assolutamente nulla in comune. Qui si parla molto d’impero e viene

utilizzata la nostra stessa terminologia, però con senso alterato […].

Noi, ovviamente, siamo lusingati dal fatto che per lottare contro la NC vengano investiti notevoli

sforzi: pubblicare un volume simile, 650 pagine piene di sciocchezze, probabilmente non è stato così

semplice. Evidentemente abbiamo urtato fortemente la sensibilità di qualcuno. In questo senso ci

permettiamo un consiglio: non vale la pena di prendersela così tanto.

Alla categoria dei libri che alterano la nostra ricostruzione della storia del Grande impero si

riferisce anche la recente opera di A.Z. Sinel’nikov, dal titolo altisonante Srednevekovaja imperija

evreev (L’impero medievale degli ebrei), che richiama chiaramente il nostro Imperija (L’impero).

L’Autore si dichiara un nostro sostenitore e dimostra anche di difendere la Nuova Cronologia dagli

attacchi degli storici tradizionalisti. Ma poi comincia a “sviluppare” alcune idee da noi espresse […]

in una “chiave giusta”. […] L’Autore ha il pieno diritto di esporre le proprie considerazioni, tuttavia

dovrebbe farlo distinguendole bene dalla NC. […]

Non elencheremo ancora altri più deboli tentativi di lottare in un modo o nell’altro contro la NC

per mezzo di sostituzioni, brogli, sovrapposizioni, e simili tecniche fuorvianti (vedi V.T. Poljakovskij

e altri).

Riteniamo assolutamente inaccettabile che ci vengano attribuite delle affermazioni, assenti nei

nostri libri, o che si parli a nome della NC senza il nostro consenso.

Ci opponiamo categoricamente all’utilizzo del termine da noi introdotto e della concezione stessa

della NC per la propaganda di fini a noi estranei.

I tentativi di sostituire le fondamenta della nuova (giusta) cronologia con osservazioni secondarie

di carattere linguistico o storico possono confondere e contribuire a creare l’illusione che siano esse

a costituire il contenuto o le dimostrazioni della NC. E ciò è errato. LA NOSTRA CONCEZIONE SI

BASA INNANZITUTTO SUI METODI MATEMATICO-STATISTICI E ASTRONOMICI DI

DATAZIONE.

«M

Capitolo 1

PROBLEMI DI CRONOLOGIA STORICA

olto spesso viene menzionato uno SCALPELLO IN ACCIAIO, rinvenuto nella muratura

esterna della Piramide di Chufu (Cheope, inizio del XXX secolo a.C.), tuttavia è molto più

probabile che questo strumento sia capitato là in epoca molto più tarda, quando le pietre della

piramide venivano portate via per essere usate come materiale da costruzione».

Michele Giua, Istorii Chimii (Storia della Chimica), Mosca, 1975, p. 27, commento 23

1. La cronologia romana come fondamento della cronologia europea

Cominceremo con una breve panoramica dello stato attualmente esistente della cronologia

dell’epoca antica e medievale. La cronologia, trattandosi di una disciplina importante per la storia,

consente di determinare l’intervallo di tempo intercorso tra un fatto storico e il tempo presente a

condizione che si riesca a convertire i dati cronologici del documento, descrivente un determinato

fatto, in unità della nostra cronologia, cioè in date anteriori e posteriori alla nascita di Cristo (a.C. e

d.C.).

Praticamente tutte le conclusioni storiche fondamentali dipendono dalla data attribuita agli eventi

descritti nelle antiche fonti. Se si modificano le date, cambiano di conseguenza anche le

interpretazioni e le valutazioni degli eventi. La storia dipende dalla cronologia: a seconda della

cronologia si ha una determinata storia.

Al momento presente, grazie ai risultati del lungo lavoro di diverse generazioni di cronologisti,

operanti nei secoli XVII-XIX, si è giunti a comporre una cronologia globale, all’interno della quale a

tutti i principali eventi della storia antica sono state attribuite date secondo il sistema cronologico

moderno. Oggi come oggi la datazione dei fatti contenuti in un qualsiasi documento di nuova scoperta

si basa principalmente sulla cronologia romana, poiché si ritiene che «tutte le altre datazioni

dell’antica cronologia possano essere associate alla nostra cronologia per mezzo di sincronismi

diretti o indiretti con le date romane» ([72], p. 77). In altri termini, la cronologia romana e la storia

figurano essere la spina dorsale della cronologia globale e della storia attualmente adottate. Proprio

per questo la nostra ricerca presterà particolare attenzione alla cronologia romana.

2. Scaligero, Petavius e gli altri cronologisti ecclesiastici. La creazione nei secoli

XVI-XVII d.C. della versione attualmente adottata della cronologia

dell’Antichità e del Medioevo

La cronologia della storia antica e medievale nella forma in cui ci è attualmente pervenuta è stata

creata e in gran parte completata nella serie delle opere fondamentali scritte nei secoli XVI-XVII, a

cominciare dalle opere di Giuseppe Scaligero (1540-1609) (Josephus Iustus Scaliger), «il fondatore

della cronologia moderna intesa come scienza» ([72], p. 82), come lo definisce il cronologista

contemporaneo E.J. Bickerman. Il ritratto medievale di G. Scaligero è riportato nella fig. 1.1. Si

tratta di un’incisione contenuta nel libro di Johann Mersius ([35], p. 25). Le opere principali di

Scaligero, relative alla cronologia, sono le seguenti: 1. G. Scaligero, Opus novum de emendatione

temporum, Lutetiac, Parigi 1583 [1387] e 2. G. Scaligero, Thesaurus temporum, 1606 [1387].

Fig. 1.1. Il cronologista Giuseppe Scaligero. Ritratto di Giuseppe Giusto Scaligero (1540-1609), famoso filologo e critico dei

secoli XVI-XVII. Incisione tratta dal libro di Johann Mersius, Athina Batavia, p. 167 (tratto da [35], p. 8).

Fig. 1.2. Frontespizio del libro di D. Petavius, Rationarium Temporum, 1652 (tratto da [1338]).

La ricerca di G. Scaligero fu fondamentalmente ultimata dal cronologista Dionigi Petavius (1583-

1652). Il più famoso dei suoi lavori è il De doctrina temporum, Parigi, 1627 [1337]. Nelle figg. 1.2,

1.3 e 1.4 si vedono la prima pagina del libro di Petavius, Rationarium Temporum, un’edizione del

1652 [1338] e i titoli del primo e del secondo volume.

Seguendo lo schema proposto da Scaligero, Gerard Frederick Miller (1705-1783), nel XVIII

secolo, “rielaborò” la storia russa e la sua cronologia. Il ritratto di Miller è riportato in figura 1.5.

Informazioni più dettagliate sulla “attività” di Miller e dei suoi colleghi tedeschi sono contenute nel

nostro libro Novaja chronologija Rusi (La NC della Rus’), t. 1, capitolo 1.

Indichiamo di seguito le opere di cronologia più significative e risalenti ai secoli XVIII-XIX

[1155] [1205] [1236] [1275]. Si tratta di testi che riteniamo importanti al fine del nostro lavoro

perché registrano lo stato della cronologia in un’epoca più vicina a quella di Scaligero e Petavius e

di conseguenza propongono un materiale più originale, primario e non “intonacato” dai successivi

ritocchi. Osserviamo, al contempo, che la serie di queste e altre opere sulla cronologia di fatto qui

non si conclude, giacché, come sottolinea il famoso cronologista contemporaneo E.J. Bickerman,

«non esiste uno studio sufficientemente completo, in grado di rispondere alle esigenze moderne

relative alla cronologia antica» ([72], p. 90), commento 1. Per questo motivo sarebbe più corretto

definire la cronologia dell’epoca antica e medievale attualmente adottata come “versione di

Scaligero-Petavius”. Per praticità la chiameremo a volte, più semplicemente, cronologia

scaligeriana. Come vedremo, nei secoli XVII-XVIII questa versione era lungi dall’essere l’unica.

Sulla sua veridicità avevano dubbi eminenti scienziati.

Fig. 1.3. Frontespizio del primo tomo del libro di D. Petavius, Rationarium Temporum, 1652, (tratto da [1338]).

Fig. 1.4. Frontespizio del secondo tomo del libro di D. Petavius Rationarium Temporum, 1652, (tratto da [1338]).

Nelle opere fondamentali di Scaligero e Petavius, scritte nei secoli XVI-XVII, la cronologia

dell’Antichità è riportata in forma di tabelle di date prive di fondamento, di cui si dichiara, come

base, la tradizione ecclesiastica. Del resto in ciò non vi è nulla di sorprendente, dato che «nel corso

dei secoli la storia è stata fondamentalmente storia della Chiesa e veniva scritta, di norma, dai suoi

rappresentanti» ([217], p. 105).

Oggi si ritiene che le basi della cronologia siano state gettate da Eusebio Panfilo presumibilmente

nel IV secolo d.C. e dal beato Girolamo. Nella figura 1.6 riportiamo un’antica raffigurazione di

Eusebio Panfilo di Cesarea, datata 1455. Notiamo per inciso che in essa Eusebio di Cesarea è ritratto

nei tipici abiti medievali del Rinascimento, probabilmente perché è vissuto non prima del

Rinascimento.

Nonostante la cronologia scaligeriana faccia risalire i lavori di Eusebio al IV secolo (verso gli

anni 260-340, [936], t. 1, p. 519), la sua famosa opera Storia dei tempi dall’inizio del mondo al

Concilio di Nicea, la cosiddetta Cronaca, così come anche l’opera del beato Girolamo, furono

scoperte solo nel tardo Medioevo. Non solo, ma come scrivono gli storici «l’originale greco [cioè

Eusebio; N.d.A.] ora esiste solo in frammenti e viene compensato dalla libera traduzione in latino del

beato Girolamo» ([267], p. VIII). Curiosamente, Niceforo Callisto, nel XIV secolo, intraprese il

tentativo di scrivere una nuova storia dei primi tre secoli, cioè di “ripetere” la Storia di Eusebio,

«ma non potè fare altro che ripetere quanto era stato detto da Eusebio» ([267], p. XI). Considerando

che il lavoro di Eusebio fu pubblicato solo nel 1544 (si veda [267], p. XIII), cioè molto più tardi del

lavoro di Niceforo, non sarebbe retorico porsi una domanda: siamo sicuri che il libro

“dell’antico”Eusebio non si basi piuttosto sull’opera medievale di Niceforo Callisto?

In fig. 1.7 è riportato il quadro degli artisti Cesare Nebbia e Giovanni Guerra, creato, come si

ritiene, negli anni 1585-1590. Come scrivono gli storici, nella scena raffigurata, «San Girolamo e il

suo leone addomesticato visitano la biblioteca di Eusebio (di cui Girolamo aveva tradotto la

Cronaca), a Cesarea» ([1374], p. 45). Quello che si vede, però, è una tipica scena del Rinascimento

o addirittura di un’epoca più tarda, forse dei secoli XVI-XVII: gli scaffali della biblioteca sono

ricolmi di libri quasi della stessa forma di quelli diffusi nei secoli XVI-XVII, con rilegatura rigida e

larghe fibbie. Non è da escludere che gli artisti dei secoli XVIXVII abbiano qui ritratto alcuni eventi

e personaggi medievali allora recenti, eventi e personaggi relegati nel “lontano passato” dai più tardi

cronologisti della scuola scaligeriana dei secoli XVII-XVIII.

Fig. 1.5. Ritratto dello storico tedesco Herard Friedrich Miller (1705-1783), tratto dal giornale «Vestnik Rossijskoj Akademii

nauk» («Il Messaggero dell’Accademia Russa delle Scienze»), ([129], p. 880).

Fig. 1.6. Eusebio di Cesarea, annalista e biografo di Costantino il Grande. Dettaglio di un affresco del ciclo “La leggenda

della Vera Croce” di Piero della Francesca nella basilica di San Francesco (Arezzo, Italia) 1455 ([140], p. 80). Si osservi che

il divario tra la datazione scaligeriana della vita di Eusebio (IV secolo circa d.C.) e l’epoca di creazione del ritratto di Eusebio

è di più di mille anni. Probabilmente ciò è una conseguenza dello slittamento cronologico di circa 1053 anni che ha “spedito”

Eusebio di Cesarea, vissuto nel XV secolo d.C., nel IV secolo “fantasma” di origine scaligeriana (il dettaglio è tratto da [140],

p. 80).

Si è legittimati nel ritenere che la cronologia scaligeriana si fosse fondata, nella fattispecie,

sull’interpretazione di eterogenei dati numerici raccolti nella Bibbia. Come risultato di esercitazioni

scolastiche con i numeri, era saltata fuori, ad esempio, una serie di “date base”, che servirono da

punto di partenza di tutta la cronologia della storia antica. Per esempio, secondo l’opinione del

famoso cronologista G. Asher (conosciuto anche come Usserio e Usher), il mondo fu creato la

mattina di domenica 23 ottobre 4004 a.C. Una precisione stupefacente. A questo proposito vale la

pena ricordare che la cronologia “laica” oggi comunemente adottata si fonda in gran parte sulla

cronologia biblica scolastica medievale. Lo storico contemporaneo E.J. Bickerman a questo

proposito osserva, senz’altro giustamente: «[...] gli storici cristiani hanno messo la cronologia del

mondo al servizio della storia sacra [...]. La compilazione di Girolamo é servita da base delle

conoscenze cronologiche in Occidente» ([72], p. 82). Tuttavia, nota E.J. Bickerman, nonostante «G.

Scaligero, fondatore della cronologia moderna intesa come scienza, abbia cercato di ripristinare tutto

il lavoro di Eusebio, le datazioni di Eusebio [che spesso nei manoscritti non venivano trasmesse con

fedeltà; N.d.A.], attualmente ci sono di poca utilità» ([72], p. 82). A causa della sostanziale

equivocabilità e delle ambiguità di tutti questi calcoli medievali, “la data della creazione del

mondo”, per esempio, varia nei diversi documenti, oscillando entro limiti considerevoli. A questo

proposito ci limitiamo a indicare solo i principali esempi presi da varie fonti originali:

5969 a.C. – data di Antiochia, secondo Teofilo (vedi sotto l’altra sua versione);

5508 a.C. – data Bizantina, o cosiddetta Costantinopoliana;

5493 a.C. – data Alessandrina, dell’era di Anniano, anche 5472 a.C. o 5624 a.C.;

4004 a.C. – secondo Asher, data ebraica;

5872 a.C. – la cosiddetta datazione dei 70 interpreti;

4700 a.C. – datazione di Samaria;

3761 a.C. – datazione Giudaica;

3491 a.C. – datazione secondo Girolamo;

5199 a.C. – datazione secondo Eusebio di Cesarea;

5500 a.C. – datazione secondo Ippolito e Sesto Giulio l’Africano;

5515 a.C. e 5507 a.C. – datazione secondo Teofilo;

5551 a.C. – datazione secondo Agostino.

(Alcune di queste datazioni sono discusse in [72], pp. 68-69).

L’ampiezza di oscillazione di questo punto di partenza, considerato fondamentale per la

cronologia antica è, come si può facilmente vedere, di circa 2100 anni. Abbiamo citato solo alcuni

degli esempi più famosi, tuttavia sarebbe utile sapere che di “date della creazione del mondo” ne

esistono circa 200 in diverse versioni. In fig. 1.8 riportiamo una vecchia rappresentazione dei 70

traduttori e interpreti della Bibbia, chiamati oggi “i 70 interpreti”.

Fig. 1.7. Dipinto degli artisti Cesare Nebbia e Giovanni Guerra, datato 1585-1590. Nel dipinto è raffigurata la visita di san

Geronimo alla biblioteca di Eugenio Panfilo di Cesarea. Davanti a noi c’è una scena tipicamente medievale di epoca

rinascimentale o addirittura posteriore. La storia contemporanea, per contro, ci assicura che tutto ciò è successo mille anni

addietro, presumibilmente nel IV secolo d.C. (il dipinto è tratto da [1374], p. 45).

La questione della “corretta datazione della creazione del mondo”, in realtà, non era affatto

scolastica, e non è un caso che nei secoli XVII-XVIII ad essa si prestasse così tanta attenzione. Il

fatto è che un gran numero di vecchi documenti data gli eventi “a partire da Adamo” o “a partire

dalla creazione del mondo”. Pertanto le differenze di migliaia di anni esistenti nella scelta di questo

punto di partenza si riflettono significativamente sulla datazione di molti documenti antichi.

G. Scaligero e in seguito D. Petavius, applicarono per primi il metodo astronomico per

confermare (non certo per verificare criticamente) la loro versione della cronologia dei secoli

precedenti e ciò, secondo quanto ritengono i commentatori moderni, trasformò la cronologia di allora

in “cronologia scientifica”. Questa patina di “scientificità” fu sufficiente, per i cronologisti dei secoli

XVII-XVIII, per confidare pienamente nella griglia cronologica di date pervenuta fino a loro e già

considerevolmente cristallizzata.

Di non minor importanza è inoltre il fatto che la cronologia scaligeriana fu originariamente creata

nel contesto della chiesa cattolica dell’Europa occidentale, sotto il cui totale controllo si trovò per

molti anni. A. Olejnikov scrive:

«Trattando dati diversi, raccolti nelle Antiche Scritture, i teologi medievali cercavano ripetutamente di calcolare l’età della Terra.

Dopo aver studiato il testo della Bibbia, l’arcivescovo Girolamo giunse alla conclusione che il mondo era stato creato 3941 anni

prima dell’inizio della cronologia moderna. Il suo collega Teofilo, vescovo di Antiochia, prorogò tale termine fino all’anno 5515. Il

Beato Agostino ci aggiunse altri 36 anni, e l’arcivescovo irlandese James Usher, evidentemente non indifferente al fascino dei

numeri esatti, avanzò la supposizione che il mondo fosse stato creato nelle prime ore del mattino del 23 ottobre dell’anno 4004

prima della nascita di Cristo» ([616], p. 8).

In Europa occidentale molti cronologisti famosi dei secoli XVI-XVII occupavano spesso delle

posizioni ufficiali in seno alla Chiesa: G. Scaligero (1540-1609) era un teologo, Tischendorf (1815-

1874), fondatore della paleografia, era un dottore in teologia, Dionigi Petavio (Petavius) (1583-

1652) era un gesuita nonché autore di opere teologiche ([82], p. 320, nota 5).

Fig. 1.8. Antica miniatura della Bibbia di Ostrog, raffigurante i 70 traduttori e interpreti della Bibbia, oggi definiti “i 70

interpreti”. Si ritiene che, nella fattispecie, essi abbiano fissato la data della creazione del mondo al 5872 a.C. (tratta da [623],

p. 165; vedi anche [745], t. 9, p. 17).

La fede assoluta nell’attendibilità di quello che veniva comunicato dalla versione cronologica

ecclesiastica era alla base della visione del mondo di questi cronologisti. Per questo motivo essi,

persino in tempi moderni, valutavano i dati provenienti dalle altre scienze alla stregua di avvocati,

chiamati a difendere l’uno o l’altro dei loro assunti, basati su una cronologia fissata dalla Chiesa

dell’Europa occidentale e rinominata poi cronologia scientifica.

La deificazione, da parte dei cronologisti ecclesiastici della Chiesa d’Occidente, dell’attività dei

loro predecessori dei secoli XV-XVI, considerati autorità religiose, escludeva nel modo più assoluto

la possibilità stessa di una qualsiasi, seppur minima, critica dei fondamenti della cronologia. G.

Scaligero, per esempio, non poteva nemmeno essere sfiorato dal pensiero “eretico” di verificare il

materiale cronologico dei Padri della Chiesa (Eusebio e gli altri), e non a caso «Scaligero chiama

questo lavoro di Eusebio, divino» [qui si tratta della “preparazione evangelica”; N.d.A.] ([267], p.

VIII).

Prostrandosi incondizionatamente all’autorità dei predecessori, i cronologisti reagivano

duramente alle critiche provenienti dall’esterno. Lo stesso G. Scaligero, nell’episodio seguente,

dimostra chiaramente la sua posizione rispetto a una critica scientifica obiettiva: «L’eminente

studioso Joseph de Scaligero, autore di una cronologia molto apprezzata nel mondo accademico, è

diventato un appassionato quadraturista» ([458], p. 130).

Ricordiamo che con il termine “quadraturista” venivano designati gli studiosi che cercavano, con

l’aiuto di riga e compasso, di costruire un quadrato, equivalente per superficie a un cerchio dato. Si

tratta di un problema matematico essenzialmente irrisolvibile, come viene dimostrato in geometria.

Comunque sia G. Scaligero aveva pubblicato un libro in cui affermava di aver trovato “l’autentica

quadratura”, cioè affermava di essere riuscito a risolvere il problema. «Per quanto i migliori

matematici del tempo, François Viète, Cristoforo Clavio avessero provato a dimostrargli che il suo

ragionamento era sbagliato, fu tutto inutile» ([458], p. 130). Il fatto è che dalla “dimostrazione” non

corretta di Scaligero risultava facilmente che il perimetro di un poligono regolare di 196 lati era

superiore alla lunghezza del cerchio ad esso circoscritto, cosa, ovviamente, assurda. Come che sia,

«Scaligero e i suoi sostenitori, difendendo con veemenza la loro opinione, non vollero riconoscere

nulla risposero con insulti ed epiteti sprezzanti, e finirono col dichiarare tutti gli esperti di geometria

degli emeriti ignoranti in materia di geometria» ([458], p. 130).

Da questo episodio ci si può facilmente immaginare come avrebbero potuto reagire queste

persone ai tentativi di analisi critica della versione della cronologia da essi stessi fissata.

In pochi sanno che Scaligero e Petavius hanno portato la cronologia “al massimo della

perfezione”, arrivando a stabilire “date assolutamente corrette”, indicando l’anno, il giorno, il mese e

a volte anche l’ora di tutti i principali eventi della storia dell’umanità. Le monografie e i manuali di

storia oggi in uso si limitano a riportare, di norma, solo gli anni degli eventi secondo la cronologia di

Scaligero e Petavius, tralasciando con pudore il mese, l’anno e l’ora del giorno e ciò è senza dubbio

una mancanza, che spoglia la cronologia calcolata nei secoli XVII e XVIII del suo originario fulgore

e del suo spessore.

Avanzando verso il XIX secolo, il volume totale del materiale cronologico crebbe così tanto da

evocare un rispetto a priori solo per la sua entità. Non per caso i cronologisti del XIX secolo si

prefissero solo il compito di chiarirne alcuni dettagli.

Nel XX secolo, la questione fu considerata praticamente già risolta: la cronologia dell’Antichità

si presentava definitivamente cristallizzata nelle forme fuoriuscite dalle opere di Eusebio, Girolamo,

Teofilo, S. Agostino, Ippolito, Clemente d’Alessandria, Usher, Scaligero, Petavius. Per un uomo del

nostro tempo solo l’idea che per circa 300 anni gli storici abbiano seguito una cronologia errata,

sembra un’assurdità, che entra in contraddizione con la tradizione già affermatasi e consolidatasi.

È pur vero che, con il progressivo sviluppo della cronologia, gli studiosi si sono scontrati con

serie difficoltà nel tentativo di conciliare molti dati storici provenienti da fonti antiche con quelli

proposti dalla ormai consolidata versione scaligeriana. Si è scoperto, per citare solo qualche

esempio, che Girolamo si sbagliava di 100 anni, descrivendo alcune vicende del suo tempo ([72], p.

83); si è scoperto che esiste un’incongruenza di più di 300 anni nella datazione della cosiddetta

“tradizione sassanide”: secondo i calcoli degli storici moderni 557 anni ([72], p. 83) separano

Alessandro il Macedone dai Sassanidi, e non 226 anni, come si riteneva prima; «anche gli ebrei

assegnano al periodo persiano della loro storia 52 anni in tutto, nonostante Ciro II sia separato da

Alessandro il Macedone da 206 anni di storia» [secondo la cronologia di Scaligero; N.d.T.], ([72], p.

83). Anche i fondamenti della cronologia egizia sono giunti sino a noi, passando attraverso il filtro

della storia cristiana: «L’elenco dei re, composto da Manetho (Manetone), si è conservato solo in

estratti presi da autori cristiani» ([72], p. 77).

Forse non tutti i lettori sanno che «la Chiesa d’Oriente ha a lungo evitato di usare l’era della

nascita di Cristo, giacché le controversie intorno alla data della sua nascita durarono a

Costantinopoli fino al XIV secolo» ([72], p. 69).

3. La cronologia di Scaligero-Petavius, messa in dubbio già nel XVI secolo

3.1. I critici della cronologia di Scaligero: De Arcilla, Robert Baldauf, Jean

Hardouin, Edwin Johnson

Dubbi sulla correttezza della versione attualmente accettata non sono comparsi solo oggi, anzi,

hanno una grande tradizione. A questo proposito N.A. Morozov scriveva che

«De Arcilla, professore dell’Università di Salamanca, già nel XVI secolo, aveva pubblicato due sue opere, Programma

Historiae Universalis e Divinae Florac Historicae, in cui dimostrava che tutta la storia antica era stata composta nel Medioevo,

e alle stesse conclusioni era giunto uno storico gesuita e archeologo, Jean Hardouin, (1646-1724), che considerava la letteratura

classica opera dei monaci del precedente secolo XVI anche il docente tedesco Robert Baldauf, nel suo Storia e critica composto

nel 1902-1903, dimostrava, sulla base di argomentazioni puramente filologiche, che non solo la storia antica, ma anche quella del

basso Medioevo era una falsificazione di epoca rinascimentale e dei secoli successivi» ([544], t. 7, pp. VII-VIII, Introduzione).

Fig. 1.9. Frontespizio di uno dei libri di Jean Hardouin, 1766.

Nella 1.9 riportiamo il frontespizio di un libro di Jean Hardouin, e nella fig. 1.10 il frontespizio

della traduzione di questo libro, fatta da Edwin Johnson. La fig. 1.11 mostra il frontespizio di uno dei

libri di Robert Baldauf.

La cronologia scaligeriana fu oggetto della dura critica del famoso scienziato inglese Edwin

Johnson (1842-1901), autore di alcuni studi critici molti interessanti sulla storia antica e medievale,

fig. 1.12.

La conclusione principale, avanzata da E. Johnson in seguito alle sue pluriennali ricerche nel

campo della cronologia, fu da lui formulata nei termini seguenti: «Siamo molto più vicini all’epoca

degli antichi greci e dei romani di quanto non sia scritto nelle tavole cronologiche» ([1214], p.

XXX). Johnson, così affermando, lanciava un appello in direzione della revisione di tutta la

cronologia dell’Antichità e del Medioevo. I lavori principali di E. Johnson sono stati pubblicati a

cavallo del XIX e XX secolo, [1214] [1215].

Fig. 1.10. Frontespizio di uno dei libri di Jean Hardouin nella traduzione inglese di E. Johnson, 1909.

3.2. Isaac Newton

«Isaac Newton (1642-1727), matematico inglese, ingegnere, astronomo e fisico, fondatore della meccanica classica, membro

(nel 1672) e presidente (dal 1703) della Royal Society di Londra [...] sviluppò (indipendentemente da G. Leibniz), il calcolo

differenziale e integrale. Scoprì la dispersione della luce, l’aberrazione cromatica, studiò l’interferenza e la diffrazione, sviluppò la

teoria corpuscolare della luce, avanzò l’ipotesi della combinazione della natura corpuscolare e ondulatoria della luce. Costruì il

telescopio a specchio, formulò le leggi fondamentali della meccanica classica, scoprì la legge di gravitazione universale, formulò una

teoria del moto dei corpi celesti, gettando le basi della meccanica celeste» (Sovetskij enciklopedičeskij slovar’, Dizionario

enciclopedico sovietico, Mosca 1979, p. 903).

Fig. 1.11. Frontespizio di uno dei libri di R. Baldauf, 1902.

Fig. 1.12. Frontespizio di uno dei libri di E. Johnson, 1904.

Fig. 1.13. Ritratto di Isaac Newton (tratto da [336], t. 6, tavola fuori testo inserita tra le pp. 646-647).

Il ritratto di Newton è riportato nella fig. 1.13.

Isaac Newton occupa un posto speciale tra i critici della versione scaligeriana. Nei suoi lavori

fondamentali dedicati alla cronologia, giunse alla conclusione dell’inesattezza della versione

scaligeriana in alcune sue importanti sezioni. Questi suoi lavori sono poco noti al lettore

contemporaneo, nonostante in altri tempi essi siano stati oggetto di un animato dibattito. Le opere

principali di Newton dedicate alla cronologia [1298] sono le seguenti:

1. A Short Chronicle from the First Memory of Things in Europe to the Conquest of Persia by

Alexander the Great (Breve cronaca delle vicende storiche a cominciare dalle prime vicende in

Europa e fino alla conquista della Persia da parte di Alessandro il Macedone);

2. The Chronology of Ancients Kingdoms Amended (Cronologia emendata degli Antichi Regni), fig.

1.14.

Di questi libri, l’editore RIMIS (Mosca), su nostra iniziativa, ha pubblicato nel 2007 la prima, in

assoluto, traduzione russa [613:8].

Partendo da idee naturalistico-scientifiche, Newton sottopose la cronologia dell’Antichità a una

forte trasformazione. Alcuni eventi, anche se molto pochi, furono da lui resi più antichi: il viaggio

leggendario degli argonauti, per esempio, secondo Newton avvenne non nel X secolo a.C., com’era

opinione invalsa al suo tempo, ma nel XIV a.C. La datazione di questa vicenda sarà peraltro destinata

a rimanere ambigua anche nelle ricerche fatte da cronologisti successivi.

In generale, comunque, la NC proposta da Newton risultò significativamente più breve di quella

scaligeriana, attualmente adottata. La maggior parte degli eventi, oggi fatti risalire a un’epoca

antecedente a quella di Alessandro il Macedone, secondo Newton era più recente, più vicina a noi.

La revisione di Newton comunque non risulta così radicale come sarà invece quella operata, più

tardi, da N.A. Morozov, che considerava la versione scaligeriana dell’Antichità fondata solo a

partire dal IV secolo d.C. Osserviamo anche che, nelle sue ricerche cronologiche, Isaac Newton non

avanzò oltre il limite dell’era cristiana.

Ma ecco cosa scrivono gli storici di oggi in merito ai citati lavori di Isaac Newton:

«Si tratta del frutto di uno studio quarantennale, di ricerche appassionate e di un’enorme erudizione. In sostanza Newton ha

rivisitato tutta la bibliografia esistente sulla storia antica e tutte le fonti, a partire dalla mitologia antica e da quella orientale» ([619],

pp. 104-105).

Fig. 1.14. Frontespizio di uno dei libri del grande matematico inglese: Newton, Isaac, The Chronology of Ancient Kingdoms

amended. To which is Prefix’d, A Short Chronicle from the First Memory of Things in Europe, to the Conquest of Persia by

Alexander the Great, J. Tonson, London 1728 (tratto da [1298]).

Tuttavia, mettendo a confronto le argomentazioni di Newton sulla cronologia con quelle proposte

dalla versione scaligeriana attualmente accettata, i commentatori moderni arrivano inevitabilmente

alla conclusione che Isaac Newton si era sbagliato. Scrivono:

«[...] ovviamente, non disponendo della decodificazione della scrittura cuneiforme e geroglifica, non potendo usufruire delle

risorse fornite dall’archeologia, allora inesistente, bloccato dalla presunzione di veridicità della cronologia biblica e dalla fede nella

realtà raccontata dai miti, Newton si sbagliava non di dieci e neanche di cent’anni, ma di millenni, pertanto la sua cronologia è

lontana dalla verità anche per quello che riguarda la realtà stessa di alcuni fatti. V. Winston, nelle sue memorie, scriveva infatti: “Sir

Isaac, nel campo della matematica, non di rado coglieva la verità per mezzo d’intuizioni, persino senza dimostrazioni [...] ma questo

stesso sir Isaac Newton ha composto una cronologia [...] e la sua cronologia convince non più di un arguto romanzo storico, come

ho dimostrato definitivamente nella mia confutazione di questa cronologia. Oh, quanto debole, quanto estremamente debole può

essere in certe questioni il più illustre dei mortali”» ([619], pp. 106-107).

Che cosa proponeva dunque I. Newton? Nei suoi lavori, pubblicati nell’ultimo anno della sua

vita, egli fondamentalmente analizzava la cronologia dell’Antico Egitto e quella dell’Antica Grecia

prima dell’inizio dell’era cristiana. Probabilmente non gli era bastato il tempo per procedere

all’analisi delle epoche “più giovani”.

Nella sua ricerca, lo scienziato era giunto a importanti conclusioni: rispetto al regno del primo

faraone Menes, che la versione scaligeriana oggi accettata fa risalire circa al 3000 a.C. [1298],

Newton sosteneva che fosse da datare solo all’anno 946 a.C. [1298], individuando uno slittamento

temporale in avanti di circa 2000 anni; rispetto alle vicende narrate nel mito di Teseo, attualmente

fatto risalire dagli storici al XV secolo a.C., Newton affermava che si trattava di eventi che avevano

avuto luogo orientativamente nell’anno 936 a.C. [1298], rilevando quindi uno slittamento di date in

avanti di circa 700 anni. Secondo Newton, ancora, la famosa guerra di Troia, oggi fatta risalire al

1225 a.C. circa [72], avrebbe invece avuto luogo nell’anno 904 a.C. [1298], con un conseguente

slittamento di date in avanti di circa 330 anni. E così via.

In sintesi, le conclusioni principali cui arriva Newton possono essere formulate nel modo

seguente: una parte della storia dell’Antica Grecia viene anticipata mediamente di 300 anni, e quindi

avvicinata al nostro tempo; la storia dell’Antico Egitto, che secondo la versione scaligeriana si

sviluppa nell’arco di alcune migliaia di anni, più o meno dal 3000 a.C. e oltre, viene anticipata e

compressa da Newton in un breve segmento di tempo della durata complessiva di 330 anni,

precisamente dal 946 a.C. al 617 a.C. Alcune date fondamentali dell’“antica” cronologia egiziana

vengono spostate in avanti di circa 1800 anni [1298].

Isaac Newton sottopose a revisione solo le date antecedenti l’era cristiana di circa 200 anni, non

solo, ma portò avanti le sue osservazioni in modo piuttosto incompleto e tale per cui non riuscì a

comporre in un sistema i suoi calcoli, a prima vista caotici.

La storia della pubblicazione dei lavori di Newton, così come viene raccontata nel libro [1141] è

assai istruttiva. Newton, evidentemente, temeva che la pubblicazione della sua opera sulla cronologia

potesse recargli molti fastidi. Questo studio era iniziato molti anni prima del 1727 ed egli l’aveva

più volte riscritto, lavorandoci sopra praticamente fino a poco prima della morte, avvenuta nel 1727.

Il fatto curioso è che Newton non aveva intenzione di preparare per le stampe la Breve Cronaca, ma

le voci sulle sue ricerche cronologiche si erano già largamente diffuse, al punto tale che la

principessa di Wales esternò il desiderio di venirne a conoscenza. Isaac Newton le diede il

manoscritto a condizione che non finisse in mano a terzi. La stessa cosa fece con l’Abate Conti, ma il

risultato fu che l’Abate, ritornato a Parigi, trasmise il manoscritto a degli studiosi interessati.

M.Freret tradusse il manoscritto in francese, aggiungendoci le proprie osservazioni storiche e questo

manoscritto finì presto nelle mani del libraio G. Gavelier, il quale, sognando di pubblicare l’opera di

Newton, scrisse a quest’ultimo una lettera nel maggio del 1724. Newton alla lettera non rispose e

Gavelier giunse a scrivergli una seconda volta nel marzo del 1725, comunicandogli che avrebbe

interpretato il suo silenzio come un segnale di consenso alla pubblicazione del libro, che lui

intendeva proporre con le osservazioni di Freret. Gavelier nuovamente non ricevette risposta e

decise di rivolgersi a un suo amico londinese al fine di ottenere una risposta direttamente da I.

Newton. L’incontro tra i due avvenne il 27 maggio del 1725 e in quest’occasione Newton diede una

risposta negativa. Ormai, però, era troppo tardi. Il libro aveva già visto la luce sotto il titolo

seguente: Abrégé de Chronologie de M. Le Chevalier Newton, fait par lui-meme, et traduit sur le

manuscript Angelois. (With observation by M.Freret). Edited by the Abbé Conti, 1725.

I. Newton ricevette una copia del libro l’11 novembre 1725 dopodiché, negli Atti Filosofici della

Società Reale (Transactions of the Royal Society, vol. 33, 1725, p. 315), pubblicò una lettera in cui

accusava l’Abate Conti di aver violato la promessa fatta e di aver proceduto con la pubblicazione

dell’opera malgrado la sua volontà. Rispondendo poi agli attacchi provenienti da padre Souciet nel

1726, Newton comunicò di star lavorando alla pubblicazione di un libro più dettagliato e

approfondito sul tema della cronologia antica.

Tutte queste vicende si svilupparono poco prima della morte di Isaac Newton, e purtroppo egli

non fece in tempo a pubblicare il libro che menzionava nella sua lettera e di cui fu perduta ogni

traccia. I. Newton morì nel 1727 senza riuscire a portare a termine le sue ricerche sulla storia antica.

Fu forse il timore di attacchi infondati a giustificare tutta questa complessa vicenda legata alla

pubblicazione della Breve Cronaca? Quale fu la reazione dei contemporanei alla pubblicazione del

libro di I. Newton?

Nella stampa della metà del XVIII secolo comparvero numerosi riscontri, per lo più scritti da

storici e filologi e connotati da carattere negativo, sul genere: «errori di un illustre dilettante». A

onor del vero furono pubblicati anche alcuni lavori a sostegno della tesi di Newton, ma questi di fatto

risultarono pochi. In seguito l’ondata delle reazioni venne meno e il libro di Newton passò

praticamente sotto silenzio, finendo per uscire dalla circolazione.

Nel XIX secolo F. Arago, autore dello studio critico [30:1], a proposito delle ricerche di Newton

sulla cronologia, si espresse con una mera critica, nel passaggio sprezzante che segue:

«In generale, nelle materie non attinenti alla matematica e alle sue applicazioni, Newton non rivelò una corretta valutazione [...].

Oltre alle composizioni teologiche, a dimostrazione della nostra opinione indicheremo la sua cronologia, che Freret ha smentito al

momento stesso della sua comparsa alla luce» ([30:1], t. 1, p. 113).

È probabile che F. Arago non fosse più di tanto entrato nel merito della questione e si fosse

sconsideratamente appellato all’opinione di Freret.

Cesare Lombroso invece, nel suo famoso libro Il genio e la pazzia tentò di mettere un punto alla

questione sostenendo:

«Anche Newton, che conquistò con il suo ingegno l’intera umanità, come giustamente scrissero di lui i suoi contemporanei, in

vecchiaia soffrì di un autentico disturbo psichico, pur non molto accentuato, così come è successo ad altre personalità geniali. Fu

probabilmente allora che scrisse la Cronologia, l’Apocalisse e la Lettera a Bentel, opere nebulose, confuse e assolutamente non

assomiglianti a quanto da lui stesso scritto negli anni giovanili» ([462:1], p. 63).

Accuse simili risuoneranno più tardi all’indirizzo di N.A. Morozov, colpevole di aver osato

occuparsi della revisione della cronologia ufficialmente adottata. Si tratta di accuse che suonano

strane in un contesto di dibattito scientifico, e che probabilmente celano un’incapacità di base di

avanzare obiezioni con cognizioni di causa.

Fig. 1.15. Ritratto di N.A. Morozov, nel 1878 (tratto da [687], t. 1).

3.3. Nikolaj Aleksandrovič Morozov

S.I. Vavilov su N.A. Morozov scrisse quanto segue:

«[...] nella persona di N.A. Morozov si trovavano riuniti indissolubilmente un alto senso del servizio sociale e rivoluzionario alla

causa del popolo e una passione assolutamente stupefacente per il lavoro scientifico. Quest’entusiasmo scientifico, quest’amore del

tutto disinteressato e passionale per la ricerca scientifica devono servire da esempio e modello per ogni studioso, giovane o vecchio

che sia» (Sergej Ivanovič Vavilov: Očerki i vospominanija [Saggi e memorie], ed. Nauka, Mosca 1981, p. 284).

Fig. 1.16. Ritratto di N.A. Morozov ([687], t. 2).

Ai giorni nostri, il primo ricercatore che in modo radicale e ampio sollevò la questione della

fondatezza scientifica della cronologia attualmente accettata fu Nikolaj Aleksandrovič Morozov, figg.

1.15, 1.16 e 1.17. La fig. 1.18 mostra il monumento dedicato a N.A. Morozov, mentre nella fig. 1.19

si può vedere la casa-museo a lui dedicata nella città di Bork, regione di Jaroslavl’.

Fig. 1.17. Ritratto di N.A. Morozov (tratto da [583]).

N.A. Morozov (1854-1946) eminente studioso-enciclopedista russo, ebbe un destino non facile.

Suo padre, Petr Alekseevič Ščepočkin, era un ricco possidente, discendente dal vecchio casato

nobile dei Ščepočkin, fig. 1.20. Il bisnonno di N.A. Morozov aveva addirittura un rapporto di

parentela con Pietro I. La madre di N.A. Morozov era invece una semplice contadina, la serva della

gleba Anna Vasil’evna Morozova, fig. 1.21.

Fig. 1.18. Monumento a N.A. Morozov presso la sua tomba nel villaggio di Bork, regione di Jaroslav (tratto da [583], p. 27).

Fig. 1.19. Casa-museo di N.A. Morozov a Bork, regione di Jaroslav (tratto da [583], p. 223).

P.A. Ščepočkin, si sposò con A.V. Morozova, dopo averle concesso la libertà, ma non celebrò il

matrimonio in chiesa e per questo i figli presero il cognome della madre.

Fig. 1.20. Petr Alekseevič Ščepočkin, padre di N.A. Morozov (tratto da [141], p. 6).

Fig. 1.21. Anna Vasil’evna Morozova, madre di N.A. Morozov (tratto da [141], p. 7).

A vent’anni N.A. Morozov divenne un membro del movimento rivoluzionario antizarista

Narodnaja Volja (Volontà popolare) e nel 1881 venne condannato a reclusione a tempo indeterminato

nel carcere di Schlusselburg. In questo luogo di pena si dedicò da autodidatta allo studio della

chimica, della fisica, dell’astronomia, della matematica e della storia. Nel 1905 fu liberato, dopo

aver passato in reclusione 25 anni. Tornato in libertà, si occupò attivamente di scienza e di attività

scientifico-didattica. D’interesse considerevole sono, in questo senso, le sue Memorie, fig. 1.22. Su

Morozov scrissero in molti. Degna di nota la biografia narrativa di N.A. Morozov scritta da M.A.

Popovskij [675].

Fig. 1.22. Frontespizio delle Memuary (Memorie) di N.A. Morozov.

Dopo la rivoluzione d’ottobre, Morozov fu chiamato a occupare l’incarico di direttore

dell’istituto di scienze naturali “Lesgaft” a Petrogrado [attuale San Pietroburgo; N.d.T.]. Qui egli

portò avanti la parte fondamentale delle sue famose ricerche sulla cronologia antica e sui metodi

delle scienze naturali, sostenuto da un gruppo di entusiasti e di collaboratori dell’istituto.

Dopo l’allontanamento di Morozov dall’incarico di direttore, l’istituto fu completamente

riformato, probabilmente non senza il proposito di condannare all’oblio le importanti ricerche sulla

storia condotte qui da Morozov e dal suo gruppo.

Fig. 1.23. Copertina del primo tomo di Christos (Cristo) di N.A. Morozov, 1927.

Fig. 1.24. Frontespizio del primo tomo di Christos (Cristo) di N.A. Morozov, uscito nel 1927 per le Edizioni Statali, Mosca-

Leningrado.

Dal 1932 egli fu membro onorario dell’Accademia Russa delle Scienze (dal 1925 chiamata

Accademia delle Scienze dell’URSS), cavaliere dell’ordine di Lenin e dell’ordine della Bandiera

Rossa del Lavoro. Sui contributi di Morozov alla chimica e ad altre discipline scientifiche si vedano

ad esempio le pubblicazioni [146], [147], [582], [583], [584]. Nell’elenco ufficiale dell’Accademia

delle Scienze dell’URSS, pubblicato nel 1945 [811], egli figura come uno dei tre nominati

accademici onorari dell’Accademia delle Scienze dell’URSS per il 1945: Gamaleja N.F., Morozov

N.A. e Stalin I.V. ([811], pp. 37-38). Di Nikolaj Morozov qui viene detto, nella fattispecie, quanto

segue:

«Eletto nel 1932. Famoso per i suoi lavori nel campo dell’astronomia, della metereologia, della fisica e della chimica. Esponente

autorevole delle scienze della RSFSR (Repubblica socialista federativa sovietica russa) membro onorario della società Moscovita

dei Naturalisti. Membro permanente della società astronomica francese (Société Astronomique de France) e della Società

Astronomica britannica (British Astronomical Association)» ([811], p. 37).

Nel 1907 N.A. Morozov pubblicò il libro Otkrovenie v groze i bure (Rivelazione nella tempesta

e nella bufera) [542], in cui, analizzando le date del libro dell’Apocalisse, arriva a delle conclusioni

contrapposte a quelle della cronologia scaligeriana. Nel 1914 pubblicò il libro Proroki (I Profeti)

[543], dove, sulla base di un metodo astronomico di datazione, rivide radicalmente la cronologia

scaligeriana delle profezie bibliche. Negli anni 1924-1932 N.A. Morozov pubblicò un’opera

fondamentale in sette tomi, Christos (Cristo), ([544] vedi figg. 1.23 e 1.24), dal titolo originario

Istorija čelovečeskoj kul’tury v estestvennonaučnom osveščenii (Storia della cultura umana alla

luce delle scienze naturali).

È proprio in quest’opera che N.A. Morozov illustra la sua critica articolata della cronologia

scaligeriana. Il fatto importante che mette in rilievo riguarda l’infondatezza della concezione posta

alla base della cronologia scaligeriana, oggi comunemente adottata.

Passando in rassegna una quantità enorme di materiali, N.A. Morozov avanza e giustifica

parzialmente l’ipotesi fondamentale in base alla quale la cronologia scaligeriana dell’Antichità

risulta essere artificialmente diluita nel tempo e allungata rispetto alla realtà storica. Quest’idea si

basava sulla rilevazione, da parte di Morozov, di “ripetizioni”, cioè di testi riportanti,

probabilmente, la descrizione degli stessi fatti ma datati in seguito con date diverse e considerati

oggi assolutamente distinti. La pubblicazione di quest’opera di N.A. Morozov suscitò un’animata

polemica nella stampa, con strascichi riecheggianti anche nella letteratura specialistica del tempo.

Nonostante furono espresse delle obiezioni giuste, nessuno fu in grado, in generale, di controbattere

la parte critica del Christos.

A giudicare dal contenuto del suo libro, N.A. Morozov non era al corrente dell’esistenza dei

lavori simili scritti da I. Newton e da E. Johnson, praticamente dimenticati all’epoca in cui egli

operava. In quest’ottica risulta ancora più stupefacente il fatto che molte conclusioni di N.A.

Morozov si accordino bene con le affermazioni di I. Newton e E. Johnson anche se, a differenza di

questi ultimi, N.A. Morozov aveva posto la questione in termini fondamentalmente più ampi e

profondi, estendendo l’analisi critica fino al VI secolo dell’era cristiana e rilevando qui la necessità

di una revisione radicale delle datazioni.

Nonostante il fatto che N.A. Morozov non sia riuscito a estrapolare un sistema dal caos delle

datazioni via via rivedute, le sue ricerche si trovano già a un livello qualitativamente molto più alto

di quanto non sia l’analisi di Newton. N.A. Morozov fu il primo studioso a capire chiaramente che

necessitavano di revisione cronologica non solo gli eventi della storia “antica” ma anche quelli della

storia medievale. Egli tuttavia non avanzò oltre il VI secolo d.C., ritenendo che la versione

cronologica relativa ai secoli VI-XIII, oggi adottata, fosse più o meno fedele alla realtà dei fatti.

Vedremo in seguito che la sua opinione era profondamente sbagliata.

Dunque, le questioni che proponiamo nei nostri studi, risultano essere state avanzate non per la

prima volta. Il fatto che di secolo in secolo siano praticamente le stesse, che sorgano in continuazione

e ogni volta con crescente rumore è segno che il problema esiste veramente. Il fatto poi che le

modifiche proposte per esempio da Newton, E. Johnson e Morozov, l’uno indipendentemente

dall’altro, siano in linea di principio affini, testimonia a favore dell’ipotesi che proprio in questa

direzione si trovi la soluzione del problema che stiamo affrontando.

Val la pena raccontare in breve la storia della pubblicazione dell’opera di N.A. Morozov,

Christos, a nostro avviso istruttiva.

Le idee di N.A. Morozov furono accolte da una furiosa reazione già in fase di pubblicazione. N.A.

Morozov, nel 1921, dovette addirittura rivolgersi per un sostegno a V.I. Lenin, allora capo dello stato.

V.I. Lenin incaricò Lunačarskij [all’epoca, commissario del popolo all’istruzione; N.d.T.] di studiare

la questione ed ecco quale fu la risposta che Lunačarskij diede a Lenin il 13 aprile del 1921:

«Lunačarskij a Lenin.

13 aprile 1921

Compagno Lenin.

Ho ricevuto dal compagno Gorbunov la Sua richiesta relativa al libro di Morozov Christos. Incarico con piacere il collegio di

redazione di verificare di che libro si tratti. Io personalmente conosco il libro. È una cosa folle, che cerca di dimostrare sulla base di

calcoli assurdi, a che giorno si possono far risalire le eclissi di Sole e di Luna indicate nel Vangelo e avvenute durante la

crocefissione di Cristo, che ha avuto luogo, secondo il Vangelo, un venerdi; un libro che cerca di dimostrare che Cristo non è vissuto

nel primo secolo ma nel quinto e che nega, su questa base, l’esistenza di personalità come Cesare, che in questo libro risulta essere

Giuliano l’Apostata, o come Augusto ecc.; un libro che sospetta di falsificazione le opere di Cicerone, Orazio ecc. sostenendo che

esse risalgano al Medioevo ecc. ecc. Apprezzo molto e stimo Morozov, ma questo suo libro è così bizzarro che la sua pubblicazione

procurerà senz’ombra di dubbio un danno considerevole sia all’autore che all’editore statale.

Se la comunità scientifica ha già reagito con grande scetticismo ai calcoli di Morozov relativamente all’Apocalisse, accoglierà il

libro Christos come una assurdità bell’e buona, sulla base della stessa unilateralità scientifica.

Se questo mio riscontro non Le sembrerà sufficientemente competetente, darò volentieri il libro all’esame degli esperti.

Il Commissario del Popolo A. Lunačarskij» ([488], pp. 271-272).

Tuttavia, subito dopo un incontro con N.A. Morozov, nel corso del quale quest’ultimo lesse una

dettagliata relazione scientifica inerente la sua opera, A.V. Lunačarskij cambiò radicalmente la sua

opinione in merito e già nell’agosto del 1921 si rivolse a Lenin con un riscontro nettamente

contrapposto:

«Lunačarskij a Lenin

12 agosto 1921

Al Gosizdat con una copia per conoscenza all’Ufficio del Sovnarkom

Nonostante non abbia potuto leggere il manoscritto stesso del corposo lavoro di Morozov Christos i ego vremja (Cristo e il suo

tempo), dopo la relazione orale dell’autore sul contenuto dell’opera, con la dimostrazione di alcune tavole cronologiche, ritengo

estremamente auspicabile e addirittura necessario affrettare nella misura del possibile la pubblicazione di questo libro.

Trattandosi di un’opera corposa (tre tomi, cinquanta fogli in totale) e considerando che non siamo ancora usciti dalla forte crisi

cartacea, proporrei alla sezione peterburghese del Gosizdat [editore di Stato; N.d.T.], al fine di scongiurare dei contrattempi nella

pubblicazione di detta opera, di ridurne la quantità di copie a 4000.

Il Commissario del popolo per l’Istruzione Lunačarskij» ([488], p. 308).

Curioso è il commento degli editori del libro [488]:

«La contraddizione tra la lettera scritta da Lunačarskij a Lenin il 13 aprile e quella scritta il 12 agosto da Lunačarskij al Gosizdat

si può motivare con il fatto che Lunačarskij ha rivisto il suo riscontro iniziale. Nell’“opera omnia” di Lenin (t. 53, p. 403, nota 145)

erroneamente è indicato che Lunačarskij successivamente si sia espresso sul lavoro di Morozov giudicandolo antiscientifico»

([488], p. 310).

Il primo tomo del Christos, uscì, tuttavia, solo tre anni dopo, nel 1924, e anche in quest’occasione

N.A. Morozov dovette rivolgersi nuovamente allo stato con una richiesta di sostegno. Questa volta fu

richiesto l’intervento di F.E. Dzeržinskij. Ecco un frammento della lettera di F.E. Dzeržinskij a N.A.

Morozov, datata 14 agosto 1924:

«Caro Nikolaj Aleksandrovič!

Sono pronto a fornire qualsiasi tipo di collaborazione riguardo alla pubblicazione del Suo lavoro. Mi faccia solo sapere cosa devo

fare, quali ostacoli devo eliminare e con chi devo parlare. Sarò molto felice di esserLe in qualche modo d’aiuto.

14/VIII. Con I miei migliori auguri.

F. Dzeržinskij».

Tuttavia nel 1932, dopo l’uscita del settimo tomo del Christos, i nemici di N.A. Morozov

riuscirono finalmente a fermare la pubblicazione dei suoi materiali successivi sul tema. [...]

3.4. Lavori recenti di studiosi tedeschi aventi per oggetto la critica della cronologia

scaligeriana

Circa quindici anni dopo la pubblicazione, a partire dal 1980, dei nostri lavori sulla cronologia,

sono apparse, a cominciare dal 1996, delle ricerche interessanti ad opera di studiosi tedeschi, aventi

per oggetto la critica della versione scaligeriana. Come esempio citiamo il libro di Uwe Topper

[1462], [1463] e quello di Heribert Illig dal titolo Ma è veramente vissuto Carlo Magno? [1208]. In

quest’ultimo libro si afferma che molti documenti, oggi fatti risalire all’epoca di Carlo Magno, sono

delle falsificazioni di epoca più tarda. Sulla base di questa affermazione si avanza l’ipotesi che dalla

storia del Medioevo si debbano “cancellare” circa trecento anni, comprendenti l’epoca di Carlo

Magno.

Va notato che la decurtazione della cronologia scaligeriana proposta da Heribert Illig ha un

carattere esclusivamente locale, cioè Illig e i suoi colleghi tedeschi ritengono che le contraddizioni

da essi rilevate nella storia scaligeriana si possano eliminare con delle precisazioni relativamente

esigue e riguardanti solo alcune sezioni della storia scaligeriana stessa. Secondo l’opinione di questi

studiosi, infatti, sarebbe sufficiente “depennare” trecento anni di storia dell’Europa medievale per

rimettere tutto a posto. Tuttavia, come risulta dai nostri lavori, decurtazioni locali e brevi di questo

tipo sono assolutamente insufficienti. Affermiamo ancora una volta che l’intera costruzione della

cronologia e della storia scaligeriana anteriore ai secoli XIII-XIV d.C. necessita di una radicale

rivisitazione.

Nel libro di Gunnar Heinsohn e Heribert Illig, dal titolo Quando sono vissuti i faraoni? [1186],

si pone la questione dell’esattezza della cronologia scaligeriana relativa all’“antico” Egitto. Va

sottolineato che questi autori hanno evitato di citare i lavori di N.A. Morozov (usciti già all’inizio

del XX secolo) e nella fattispecie la sua opera Christos, pubblicata nel 1924-1932 [544] e nella

quale N.A. Morozov non solo metteva in dubbio tutta la cronologia dell’“antico” Egitto ma indicava

anche i numerosi “incollamenti” di diverse dinastie egizie, rilevando la necessità di una sostanziale

decurtazione della storia dell’“antico” Egitto. Purtroppo le opere di Morozov non sono state

tempestivamente tradotte in inglese e tedesco, se si fa eccezione per la traduzione tedesca del suo

libro Rivelazione nella tempesta e nella bufera. Comunque sia, nei citati lavori degli storici

tedeschi non si fa menzione alcuna all’operato di N.A. Morozov, e ciò nonostante noi stessi avessimo

ripetutamente rivolto la loro attenzione sulle opere dello studioso sovietico.

Purtroppo, Heribert Illig e i suoi colleghi continuano ostinatamente a ignorare N.A. Morozov

anche oggi, e solo grazie alla recente fondazione, in Germania, del Salone storico alternativo, diretto

dal professor E.Ja. Gabovič, il nome di Morozov ha cominciato a risuonare nei dibattiti degli storici

tedeschi.

Menzioniamo qui anche il libro di Gunnar Heinsohn [1185] I re assiri come i re persiani: in esso

l’autore elenca (di nuovo, senza citare N.A. Morozov) alcuni paralleli tra la storia “dell’antico”

regno assiro e l’“antico” Impero persiano, tuttavia, non pone la questione dello spostamento di questi

fatti all’epoca medievale, continuando a considerare sia la monarchia assira che quella persiana in un

contesto di “profonda antichità”. Erroneamente.

Degno d’interesse è, infine, anche il libro di Christian Bloss e Hans-Ulrich Niemitz, dal

significativo titolo Il fallimento del 14C [1038]. In esso gli autori riportano numerose testimonianze

che mettono in dubbio la possibilità stessa di utilizzo del metodo al carbonio radioattivo (al suo stato

attuale) nonché del metodo dendrocronologico per la datazione di reperti storici (si veda a questo

proposito anche il bollettino [1491]).

3.5. Il problema dell’attendibilità della cronologia e della storia romana.

L’ipercriticismo del secolo XIX

Descriveremo ora la situazione relativa alla cronologia romana in considerazione del suo ruolo

centrale nella cronologia globale dell’Antichità. Una larga critica della “tradizione” cominciò già nel

XVIII secolo, nella sede della “Accademia delle iscrizioni e delle belle arti”, fondata a Parigi nel

1701, dove negli anni Venti (del Settecento) si animò un dibattito intorno all’attendibilità della

tradizione romana in generale (Pouilly, Freret e altri). Il materiale accumulatosi nel tempo servì poi

da base per la critica ancora più approfondita che si sviluppò nel XIX secolo.

Uno degli esponenti di punta di quest’importante orientamento scientifico, denominato

ipercriticismo, fu il famoso storico tedesco Theodor Mommsen. Sue sono le parole che seguono:

«Nonostante Tarquinio Secondo fosse già maggiorenne al momento della morte di suo padre e regnò 39 anni dopo, quando si

sedette sul trono lo fece da adolescente. Pitagora, giunto in Italia quasi un’intera generazione prima della cacciata dei re [si ritiene

verso il 509 a.C. circa; N.d.A.], viene purtuttavia ritenuto dagli storici romani un amico del saggio Numa» ([538], p. 876).

Gli storici ritengono che Numa sia morto verso il 673 a.C. di conseguenza l’incongruenza qui è

dell’ordine di almeno 100 anni. Continua T. Mommsen:

«Gli ambasciatori di stato, inviati a Siracusa nel 262 dalla data di fondazione di Roma, portano avanti le trattative con Dionigi il

Vecchio che era salito al trono ottantasei anni dopo questo evento (nel 348)» ([538], p. 876).

E qui la differenza è di circa 80 anni. La cronologia scaligeriana di Roma si erge su basi alquanto

fragili. Basti pensare che tra le differenti datazioni di un evento così importante quale fu la

fondazione di Roma esiste una divergenza di almeno 500 anni ([538], p. 876 o [579], pp. 23-24).

Fig. 1.25. Antica miniatura estratta dal libro di Jean de Courcy, Chronique de la Bouquechardière o Chronique d’histoire

ancienne (British library) dal titolo “I Troiani fondano le città: Venezia, Cycambre, Cartagine e Roma” [1485], p. 164. In questo

modo la guerra di Troia e la fondazione della Roma italiana vengono praticamente a coincidere nel tempo, mentre secondo

la cronologia di Scaligero tra questi eventi ci sarebbe un vuoto di circa 500 anni (tratto da [1485] ill. 201).

Il fatto è che, secondo l’opinione di Ellanico di Mitilene e Damaste di Sigeo, vissuti, come si

dice, nel IV secolo a.C., opinione sostenuta più tardi da Aristotele, Roma fu fondata da Enea e

Odisseo (Ulisse) e chiamata così in onore di una fanciulla troiana che si chiamava Roma ([579], pp.

23-24). La stessa opinione viene condivisa da alcuni autori medievali. Nel libro di Jean de Courcy

Chronique de la Bouquechardière (Cronaca Mondiale) si vede una miniatura dal titolo significativo

“I Troiani fondano le città: Venezia, Cycambre, Cartagine e Roma” ([1485], pp. 164, 165).

Riportiamo quest’interessante miniatura in fig. 1.25.

Val la pena di prestare attenzione al particolare che tutto il contesto rappresentato in questa

miniatura è tipico dell’epoca medievale. Tra l’altro i due re troiani, giunti a visitare la costruzione

delle città, portano dei caldi copricapi invernali, di pelo e con paraorecchi vedi figg. 1.26 e 1.27.

Dunque, la fondazione di Roma sarebbe avvenuta subito dopo la fine della Guerra di Troia, cui

parteciparono sia Enea che Ulisse. Nella versione scaligeriana attualmente accettata però, la Guerra

di Troia viene fatta risalire al XIII a.C. circa ed è quindi in ritardo di circa 500 anni dalla fondazione

di Roma, avvenuta, come si ritiene, nell’VIII secolo a.C. Stando così le cose risulta quindi che:

– o Roma è stata fondata 500 anni prima;

– o la Guerra di Troia è avvenuta 500 anni più tardi;

– o gli annali comunicano una clamorosa falsità a proposito del fatto che Enea e Ulisse abbiano

fondato Roma.

A proposito, e che ne fu allora di Romolo? O Romolo era il secondo nome di Ulisse? In breve,

sono molte le questioni che sorgono e più innanzi si procede nella ricerca più frequenti esse

diventano. Secondo un’altra versione, solo per fare un esempio, il nome Roma era stato attribuito da

Rom, figlio di Ulisse e Circe. Ciò forse significa che Rom (o Remo, fratello di Romolo) fosse il

figlio di Ulisse? Dal punto di vista della cronologia scaligeriana ciò, ovviamente, non era possibile.

Ecco come si esprime a questo proposito lo storico Benedictus Niese:

«Si riteneva che Roma, così come altre città italiche, fosse stata fondata dagli eroi troiani e greci approdati in Italia dopo la

distruzione di Troia, fatto di cui raccontano narrazioni di origine diversa. Secondo una delle più antiche, apparsa già all’inizio del IV

a.C. e diffusa da Ellanico di Mitilene e Damaste di Sigeo e più tardi da Aristotele, la città fu fondata da Enea e Ulisse e chiamata

col nome della troiana Roma […] secondo un’altra leggenda il nome alla città fu dato dal figlio di Ulisse e Circe, Romolo» ([579], p.

23).

Fig. 1.26. Frammento della fig. 1.25. Dettaglio interessante: sulla testa di uno dei re troiani si nota un copricapo invernale

con paraorecchi. Questi copricapi sono tipici della Russia, caratterizzata da inverni freddi (tratto da [1485], ill. 201).

Ripetiamo nuovamente che questa versione si differenzia di 500 anni da quella attualmente

accettata.

Un’oscillazione così significativa relativamente all’importante data della fondazione di Roma si

ripercuote considerevolmente sulla datazione di un gran numero di documenti basati su anni calcolati

«a far data dalla fondazione di Roma (ab Urbe condita)», come per esempio la famosa Storia di Tito

Livio. Tra l’altro, l’identificazione dell’Urbe proprio con la Roma italiana, è solo una delle ipotesi

della cronologia scaligeriana. Non è infatti da escludere che, con il nome di Urbe, si potesse

intendere un’altra città, come per esempio la Roma orientale sul Bosforo, cioè Costantinopoli, (Zargrad).

In generale, come comunicano gli storici, «la storia tradizionale romana è giunta a noi attraverso

gli scritti di un numero assai esiguo di autori. In questo senso l’opera più seria è senza dubbio la

Storia di Tito Livio» ([719], p. 3). Si ritiene che Tito Livio sia nato verso il 59 a.C. e abbia descritto

circa 700 anni di storia di Roma. Dei 144 libri di cui si compone la Storia, se ne sono conservati 35.

La prima pubblicazione di quest’opera avvenne nel 1469 in base a un manoscritto disperso di origine

sconosciuta. Solo dopo quest’avvenimento, a Essen fu scoperto un manoscritto contenente altri 5 libri

[544].

T. Mommsen scrisse:

«Rispetto [...] alla cronistoria universale le cose versavano in uno stato ancor peggiore. [...] Lo sviluppo dell’archeologia

scientifica permetteva di covare la speranza che la storia tradizionale venisse verificata nei suoi documenti originali e attraverso

altre fonti attendibili. Purtroppo però questa speranza non si realizzò: quanto più numerosi diventavano gli studi e quanto più profondi

essi si facevano, tanto più chiaramente si definivano le difficoltà legate alla stesura di una storia critica di Roma» ([539], p. 512).

Fig. 1.27. Ancora un frammento: copricapo invernale con paraorecchi sulla testa di un altro re troiano (tratto da [1485], ill.

201).

Non solo, continua Mommsen:

«La menzogna nei dati numerici è stata da lui [Valerio Anziate; N.d.A.] sistematicamente utilizzata fino all’epoca

contemporanea […]. Egli [Alessandro Poliistore; N.d.A.] aveva dato un esempio di come sistemare i cinquecento anni che

mancavano dalla caduta di Troia alla fondazione di Roma in una catena cronologica (ricordiamo qui i dati riportati in alto e in base ai

quali, secondo un’altra versione cronologica, diversa dalla scaligeriana, assunta attualmente, la caduta di Troia sarebbe avvenuta

immediatamente prima della fondazione di Roma e non 500 anni prima di quest’evento [vedi [579], pp. 23-24; N.d.A.] [...] e di

come riempire quest’intervallo temporale con uno degli insensati elenchi di re che purtroppo erano frequenti sia presso i cronisti

egiziani che quelli greci; a giudicare dai dati fu proprio lui a chiamare alla luce i re Aventino e Tiberino e la stirpe albana dei Silvi,

che in seguito i discendenti non mancarono di fornire di nomi propri, determinati periodi di regno e, per maggior convinzione, persino

di ritratti» ([539], pp. 513-514).

Per lo studio di questa critica vedi anche Benedictus Niese ([579], pp. 4-6).

Theodor Mommsen non fu l’unico studioso a proporre di cominciare la revisione delle datazioni

importanti dell’“Antichità”. Una dettagliata illustrazione del punto di vista ultrascettico (come lo

definirono in seguito gli storici) che metteva in dubbio la cronologia della “Roma dei re” e in

generale l’attendibilità delle nostre conoscenze sui primi cinque secoli della storia romana è

riportata in [92], [498]. Sulle difficoltà di concordanza dei documenti romani con la cronologia

scaligeriana si veda [1481].

Lo storico N. Radzig, scrive:

«Il problema è che gli annali romani non ci sono pervenuti, pertanto possiamo ricavare tutte le nostre presupposizioni sulla base

dei materiali degli storiciannalisti romani. Ma anche qui […] ci scontriamo con grandi difficoltà, la più importante delle quali è che

anche le memorie degli annalisti ci sono pervenute in stato assai scadente» ([719], p. 23).

I Grandi Annali romani sono andati perduti ([512], pp. 6-7).

Si ritiene che nei Fasti romani si portasse cronologicamente avanti il registro annuale, cioè per

anni, di tutte le cariche ufficiali dell’antica Roma. Queste tavole, in linea di principio, sarebbero

potute servire da “ossatura” attendibile della cronologia. Tuttavia, lo storico G. Martynov avverte:

«Ma come si può far concordare con questo tutte le contraddizioni che, leggendo Livio, incontriamo ad ogni passo nei nomi dei

consoli, non solo, ma anche la frequente omissione e, in generale, il più completo arbitrio nella scelta dei nomi? [...] come si può

concordare con questo l’impossibile confusione nei nomi dei tribuni militari? [...] i fasti abbondano d’inesattezze in cui spesso non è

possibile raccapezzarsi. Già Livio riconosceva l’instabilità di questa base fondamentale della sua cronologia» ([512], pp. 6-7, 14).

Come riassume Martynov, bisogna

«Riconoscere che né Diodoro, né Livio presentano una giusta cronologia […]. Non possiamo fidarci dei Fasti, che non sapevano

chi fosse il console e in quale anno fosse stato eletto, non possiamo fidarci dei libri, sulla base dei quali Marco Licinio e Quinto Elio

Tuberone danno indicazioni assolutamente contrapposte. Anche quei documenti che sembrano evidentemente più veritieri, sono

risultati essere, a un esame più accurato, dei falsi fabbricati molto tempo dopo» ([512], pp. 20, 27-28).

Per questo è strano che il cronologista moderno E.J. Bickerman ci rassicuri nel modo seguente:

«Siccome si hanno a disposizione gli elenchi completi dei consoli romani del 1050 […] si può

facilmente definire la data giuliana per ognuno di loro a condizione che le date antiche siano

attendibili» ([72], p. 76). E ciò dicendo presuppone tacitamente che la data di fondazione di Roma

relativamente al calendario giuliano ci sia attendibilmente nota mentre invece le oscillazioni di 500

anni su questa data, da noi sopra dichiarate, comportano oscillazioni analoghe dell’intero elenco

consolare, fatto che fa di conseguenza oscillare tutta la storia di Roma “antica”, “inanellata” proprio

attorno a quest’elenco.

Anche la monografia dello stesso E. Bickerman [72], purtroppo, non contiene nemmeno

un’allusione alla base delle date fondamentali della “antica” cronologia. Invece d’illustrare le basi di

riferimento delle datazioni, nel libro [72] si riportano solo esempi singoli che presuppongono,

apertamente o latentemente, lo schema, già precedentemente noto, della versione scaligeriana, cioè

quella attualmente adottata.

4. Difficoltà nella fissazione dell’esatta cronologia dell’Egitto “antico”

Le incongruenze sostanziali tra i dati cronologici delle antiche fonti e la cronologia globale

dell’Antichità, fissata nel secolo XVII, sono state rilevate anche in altre sezioni storiche. Difficoltà

significative hanno accompagnato la fissazione della cronologia dell’Egitto: molti documenti relativi

ad essa si contraddicono tra di loro in senso cronologico. Nell’esempio che riportiamo si vede in che

modo la famosa Storia di Erodoto interagisse con la cronologia scaligeriana. Illustrando in modo

consequenziale e scorrevole la storia dell’Egitto, Erodoto chiama Cheope l’erede di Rampsinit

(Ramsete) ([163], 2:124, p. 119). Un commentatore moderno “corregge” immediatamente Erodoto:

«Erodoto confonde la cronologia dell’Egitto: Rampsinit (Ramsete II) è un re della XIX dinastia

(1345-1200 a.C.), mentre Cheope è della IV dinastia (2600-2480 a.C.)» ([163], p. 513, commento

136).

Questo “errore” è né più né meno che di 1200 anni. Pensate un po’: 1200 anni. Ma andiamo

avanti. Erodoto nomina, subito dopo Asichis, Anisis ([163], 2:136-137, p. 123). E nuovamente

risuona l’immediato commento moderno: «Erodoto qui fa un salto dalla fine della IV dinastia (circa

2480 a.C.) all’inizio del dominio etiope in Egitto (715 circa a.C.)» ([163], p. 514), commento 150.

Ma si tratta di un salto dell’ordine di milleottocento anni! In generale risulta che «la cronologia dei

re proposta da Erodoto non corrisponde alla cronologia reale che emerge dai frammenti degli elenchi

di Manetho (Manetone)» ([163], p. 512, commento 108). Di solito la cronologia di Erodoto è

sostanzialmente più breve di quella scaligeriana. Gli intervalli temporali tra alcuni faraoni, in

Erodoto sono a volte più brevi di mille anni [(!); N.d.A], rispetto ai loro equivalenti secondo

Manetho.

Anche “i piccoli errori” di 30-40 anni esistenti nella cronologia di Erodoto ed emergenti solo nel

tentativo d’inscrivere la sua Storia nella cronologia scaligeriana, riempiono fittamente l’opera di

Erodoto stesso. Eccone alcuni tra i numerosi esempi. Un commentatore moderno scrive: «Erodoto

confonde il re Sesostri con il re Psammetico I» ([163], p. 512), e più avanti: «Pittaco di Mitilene non

poteva incontrarsi con Creso nel 560 a.C. [tra l’altro in Erodoto non esistono date in questi termini;

N.d.A.] essendo morto nel 570 a.C.» ([163], p. 502). A proposito di un’altra comunicazione di

Erodoto si scrive ancora così: «[…] qui c’è un errore di Erodoto [...] Solone non poteva incontrarsi

con Creso» ([163], p. 502).

Ma com’è possibile? In Erodoto c’è un’intera pagina dedicata alla descrizione dei contatti tra

Creso e Solone ([163], 1:29-31, p. 19), mentre la cronologia scaligeriana ci assicura che questi

contatti non potevano aver avuto luogo. I commentatori accusano Erodoto di non aver esattamente

datato le eclissi di sole ([163], pp. 504, 534).

Facciamo notare che non sempre e anzi, di rado, è evidente la scelta di una o di un’altra versione

cronologica tra quelle che si contraddicono tra di loro. Ciò si è riflettuto, per esempio, nella lotta,

sviluppatasi nel XIX secolo, tra la cosiddetta cronologia lunga e quella breve dell’Egitto.

Attualmente è convenzionalmente accettata la cronologia breve, che tuttavia contiene profonde

contraddizioni a tutt’oggi rimaste irrisolte.

Un quotato egittologo tedesco, Henry Brush-Bey, ha scritto:

«Quando la curiosità del lettore si ferma davanti alla domanda se è possibile considerare definitivamente stabilite in senso

cronologico certe epoche e certi momenti della storia dei faraoni e quando lo stesso lettore, per chiarimenti, decide di consultare le

tavole cronologiche composte da vari studiosi, si fermerà con stupore davanti alle opinioni più diverse nei calcoli degli anni faraonici

ottenuti dai rappresentanti dell’ultima scuola. Per esempio, gli storici tedeschi così hanno determinato l’insediamento al trono di

Menes, il primo faraone:

Bochk fa risalire quest’evento al 5702 a.C.;

Unger al 5613 a.C.;

Brusch-Bey al 4455 a.C.;

Timor-Laut al 4157 a.C.;

Lepsius al 3892 a.C.;

Bunsen al 3623 a.C.

La differenza tra le conclusioni più estreme di questa fila di cifre è sconvolgente, continua Brusch-Bey, ed è dell’ordine di 2079

anni [...] Gli studi e le ricerche fondamentali, condotte da studiosi competenti al fine di verificare la successione cronologica dei

regni dei faraoni e l’ordine di successione d’intere dinastie, hanno dimostrato l’inevitabile necessità di ammettere nell’elenco di

Manetho regni contemporanei e paralleli, fatto che diminuisce sensibilmente la somma di tempo utilizzata per il dominio sul Paese di

trenta dinastie, come secondo Manetho.

Nonostante le tante scoperte che si sono fatte in questo campo dell’egittologia i dati numerici versano sinora [e siamo alla fine

del XIX secolo; N.d.A.] in uno stato assai insoddisfacente» ([99], pp. 95-97).

La situazione non è migliore oggi. Anche le tavole contemporanee stimano in modo diverso la

data dell’insediamento di Menes e precisamente la fanno risalire all’anno 3100, verso il 3000 e altre

varianti ancora, con un’oscillazione che raggiunge 2700 anni. Se poi si prende in considerazione

l’opinione degli egittologi francesi (vedi [544], p. 6), la situazione appare ancora più ambigua:

Champollion propone la data 5867 a.C.;

Lesueur, il 5770 a.C.;

Mariette, il 5004 a.C.;

Chaba, il 4000 a.C.;

Meyer, il 3180 a.C.;

Andzeevskij, il 2850 a.C.;

Wilkinson, il 2320 a.C.;

Palmer, il 2224 a.C. ecc.

La differenza tra la “datazione” proposta da Champollion e quella proposta da Palmer è né più né

meno di 3643 anni. Tremilaseicento anni. Tremilaseicento anni! Ogni commento è superfluo.

In generale, risulta che «l’egittologia, scienza grazie alla quale per la prima volta s’iniziò a

dissipare il buio che ricopriva l’antichità egizia, è nata solo 80 anni fa», scriveva alla fine del XIX

secolo Chantepie de la Saussaye ([965], p. 95). E continuava:

«Per molto tempo essa è stata patrimonio solo di pochi studiosi e [...] i risultati delle ricerche sono stati divulgati, ahime, troppo

tempestivamente [...] Per questo motivo si sono diffuse molte false concezioni con conseguenze inevitabili: il calo d’interesse verso

l’egittologia e una perdita di esagerata fiducia nei risultati delle ricerche [...] per il momento è ancora impossibile costruire una

cronologia egizia» ([966], pp. 97-98; [965], p. 95).

Una situazione ancora più complessa si è sviluppata attorno all’elenco dei re, compilato dai

sacerdoti sumeri. «Si trattava di una sorta di ossatura della storia, simile alle nostre tavole

cronologiche [...]. Purtroppo, però c’è ben poco da ricavare da quest’elenco [...]». «La cronologia

dell’elenco dei re» scrive il famoso archeologo L. Woolley, «è in generale un’evidente assurdità»

([154], p. 15). Non solo, ma risulta che «la successione delle dinastie è stata fissata in modo

arbitrario» ([154], p. 107).

Risulta quindi che l’enorme antichità, attribuita oggi a questi elenchi, contraddice i dati

archeologici contemporanei. Per averne un’idea riporteremo solo un esempio, piuttosto eloquente.

Dando informazioni sugli scavi, in Mesopotamia, di tombe reali sumere presunte antiche e fatte

risalire oggi circa al terzo millennio a.C., il famoso archelogo L. Woolley descrisse una serie di

reperti, più precisamente accessori d’oro per l’igiene personale. Ma qui, inaspettatamente, come

scrisse lo stesso L. Woolley «uno dei migliori esperti dichiarò trattarsi di oggetti di lavorazione

araba e risalenti al XIII secolo d.C.» [tredicesimo secolo dopo Cristo!; N.d.A.]. «E biasimarlo per

quest’errore non si può» dice con tono indulgente L. Woolley, «perché infatti nessuno sospettava che

una tale sopraffina arte orafa potesse esistere nel III millennio a.C.» ([154], p. 61).

Purtroppo lo sviluppo di tutta questa concezione critica, l’ipercriticismo del XIX secolo e

dell’inizio del XX secolo, non si è concluso a causa dell’assenza, a quel tempo, di metodi oggettivi

di carattere statistico, che permettessero di verificare le precedenti identificazioni cronologiche e

fissare date in modo indipendente e oggettivo.

5. Il problema della datazione delle “antiche” fonti originali. Tacito e Poggio.

Cicerone e Barzizza. Vitruvio e Alberti

Il nerbo della cronologia scaligeriana globale fu costruito attraverso l’analisi delle indicazioni

cronologiche delle antiche fonti. In relazione a ciò si presenta d’interesse la questione relativa alla

loro provenienza. Nella storiografia contemporanea manca la rassegna completa delle circostanze

legate alla comparsa degli “antichi” manoscritti. Si sottolinea solo il fatto generale che la

maggiorparte di questi documenti emerse in superficie solo all’epoca del Rinascimento, dopo il

periodo dei “secoli bui”. La comparsa di manoscritti spesso avveniva in circostanze che non

favorivano l’analisi critica della datazione delle scoperte.

Nel XIX secolo, nel 1882-1885 e nel 1878, i due famosi storici Hochart e Ross pubblicarono i

risultati delle loro ricerche in cui dimostravano che la famosa Storia “antica” di Cornelio Tacito, in

realtà, apparteneva alla penna del famoso umanista Poggio Bracciolini ([21], [1195] e [1379].

[Rimandiamo il lettore al libro [21], dove si racconta dettagliatamente questo fatto]).

Secondo la nostra opinione, la Storia di Tacito è un originale rielaborato cioè un falso parziale,

non integrale. Comunque sia, la cosa importante da notare è che i fatti reali descritti nella Storia sono

stati datati in seguito in maniera inesatta, spostati dal Medioevo a un periodo di profonda antichità.

La storia della scoperta dei libri di Cornelio Tacito suscita effettivamente molte domande [21]. Fu

proprio Poggio a scoprire e a far circolare le opere di Quintiliano, Valerio Flacco, Asconio Pediano,

Nonio Marcello, Probo, alcuni trattati di Cicerone, Lucrezio, Petronio, Plauto, Tertulliano,

Marcellino, Calpurnio Siculo ecc. [21]. Nessuno ha mai chiarito le circostanze di questi rinvenimenti

e la datazione dei manoscritti (per ulteriori dettagli sui libri di C. Tacito si veda il nostro libro

Antičnost’eto srednevekov’e [L’Antichità è il Medioevo; N.d.T.] t. 1, capitolo 1).

Nel XV secolo in Italia giunsero famosi umanisti bizantini: Emanuele Crisolora, Giorgio Gemisto

Pletone, Basilio (Giovanni) Bessarione, arcivescovo di Nicea e altri. Furono loro a diffondere in

Europa le conquiste dell’“antico pensiero greco”. Bisanzio a quel tempo aveva dato all’Occidente

quasi tutti i manoscritti greci oggi famosi del tempo “antico”. Otto Neigebauer scrive: «La maggior

parte dei manoscritti su cui si basa il nostro sapere della scienza greca è costituita da elenchi

bizantini preparati 500-1500 anni dopo la morte dei loro autori» ([571], p. 69).

Conformemente alla storia scaligeriana [120], tutta la letteratura “classica antica” è emersa in

superficie solo nel Rinascimento. Come dimostra l’analisi, la provenienza oscura dei manoscritti,

l’assenza di dati documentati sul loro destino nei secoli precedenti, i cosiddetti “secoli bui”, obbliga

a supporre l’assenza di questi testi in epoca antecedente la vigilia del Rinascimento [544]. Per

esempio, vengono considerati elenchi antichissimi del cosiddetto codice incompleto di Cicerone,

degli elenchi che si presume risalgano ai secoli IX-X a.C. […] anche se si puntualizza subito che

l’archetipo del codice incompleto «è andato perduto da tanto tempo» [949].

Nei secoli XIV-XV, l’interesse verso Cicerone aumenta e

«[...] si arriva al punto che, nel 1420 circa, il professor milanese Gasparino Barzizza [...] decise d’intraprendere un lavoro

rischioso: riempire le lacune del “codice incompleto” con aggiunte personali per una lettura scorrevole [(!); N.d.A.], ma non riuscì a

concludere il suo lavoro che avvenne un miracolo: in una sperduta cittadina italiana, Lodi, venne ritrovato un manoscritto

abbandonato con il testo completo di tutte le opere retoriche di Cicerone [...]. Barzizza e i suoi discepoli si gettarono sul nuovo

reperto, riuscirono a fatica a decifrare i suoi “antichi” caratteri (probabilmente del XIII secolo) e prepararono, finalmente, una copia

leggibile. Da questa copia vengono presi gli elenchi, che nel loro complesso costituiscono “il codice completo” [...]. Nel frattempo

avviene l’irreparabile: l’archetipo di questo codice, il manoscritto di Lodi, viene abbandonato e rimandato a Lodi, giacché nessuno

aveva più intenzione di confrontarsi col suo difficile testo. E a Lodi il manoscritto scompare senza lasciare traccia: a partire dal

1428 della sua sorte non si sa più nulla. I filologi europei ancora oggi rimpiangono questa perdita» ([949], pp. 387-388).

Nelle figg. 1.28 e 1.29 sono riportate due antiche miniature del libro di Cicerone, pubblicato

presumibilmente alla fine del secolo XV ([1485], p. 162).

Fig. 1.28. Miniatura che viene fatta risalire al secolo XV: in essa l’“antico” Cicerone è raffigurato come uno scrittore

medievale. Commento contemporaneo: «Catone e, di fronte a lui, Scipione e Lelio. A sinistra: Cicerone intento a scrivere il

trattato Sulla vecchiaia» ([1485], p. 163). Tutto l’ambiente è di foggia tipicamente medievale (tratta da [1485], ill. 195).

Fig. 1.29. Miniatura che si presume risalire al secolo XV: in essa l’“antico” Cicerone e gli altri “antichi” personaggi sono

raffigurati come uomini del Medioevo in un ambiente medievale. Commento contemporaneo: «Lelio (a sinistra), Ennio e

Scevola (al centro); Cicerone intento a scrivere il trattato Sull’amicizia» ([1485], p. 163).

In fig. 1.28 Cicerone è mostrato a sinistra, mentre sta scrivendo il trattato Sulla vecchiaia. In fig.

1.29 Cicerone è raffigurato sulla destra, mentre sta scrivendo il trattato Sull’amicizia. Il contesto di

raffigurazione è tipicamente medievale. Sia Cicerone che i suoi interlocutori sono vestiti in abiti

medievali, la qual cosa fa supporre che l’autore di miniature del XV secolo (o di un’epoca più

tarda), evidentemente non aveva dubbi sul fatto che Cicerone fosse vissuto nella sua stessa epoca

storica, cioè tra i secoli XIII-XV.

In fig. 1.30 è riportata ancora una vecchia raffigurazione dell’“antico” Cicerone in un affresco

italiano fatto risalire al XIV secolo. Degno di nota il fatto che Cicerone qui è raffigurato con tre mani.

La mano destra è alzata quasi a richiamare l’attenzione con il dito indice o in segno di benedizione

cristiana (fig. 1.31). Con la mano sinistra Cicerone tiene un grosso libro. La terza mano, invece, è

appoggiata al mento, rappresentando una posa di perplessità. Non è da escludere che ci si scontri qui

con un esempio di banale negligenza artistica: può essere che l’autore dell’affresco, provando le

varianti di raffigurazioni di Cicerone, si sia dimenticato in seguito di cancellare la variante superflua,

“la mano venuta male”. Del resto val la pena di dire che questo grande e ricco affresco di Andrea da

Firenze adorna la famosa cappella Spagnola della chiesa di Santa Maria Novella a Firenze. Si sa che

allora gli affreschi venivano eseguiti con serietà e cura e per questo motivo tutti i dettagli del quadro

venivano dettagliatamente pensati e verificati. Non è nemmeno da escludere che qui ci si trovi di

fronte a un esempio di “cartone animato” di tradizione medievale, che mostrava, in una stessa

rappresentazione, lo svolgimento dei movimenti nel tempo. Un metodo analogo veniva impiegato

anche nell’arte della “antica” India, basti pensare alle numerose raffigurazioni di Shiva, con le sue

tante braccia, e di altre divinità. Può anche darsi, tuttavia, che qui ci si trovi di fronte a tracce di

ritocchi successivi, risalenti forse ai secoli XVII-XVIII quando i riformatori ricorsero a cambiamenti

per adeguare le vecchie raffigurazioni alle nuove tendenze politiche. Racconteremo nel nostro libro

Načalo Ordynskoj Rusi (L’inizio della Rus’ dell’Orda), chi è il personaggio medievale del XII

secolo a.C., descritto nei più recenti annali sotto il nome di Cicerone.

Fig. 1.30. Frammento dell’affresco di Andrea di Bonaiuto da Firenze, Il trionfo di san Tommaso d’Aquino (Firenze, chiesa di

Santa Maria Novella, Cappellone degli Spagnoli). Sono seduti: a sinistra Aristotele, a destra Cicerone. È curioso che

Cicerone sia stato raffigurato con tre mani (tratto da [643:2], p. 211, ill. 2).

Anche il libro di Svetonio De vita Caesarum (Vita di dodici cesari) è contenuto solo in raccolte

molto tarde, “che risalgono a un unico manoscritto antico” [760], e che si dice fossero a disposizione

di Eginardo, presumibilmente intorno al 818 d.C. il quale, creando la sua Vita di Carlo Magno

riprodusse con zelo quelli che oggi sono considerati “gli schemi biografici di Svetonio” [(760], pp.

280-281). Si tratta del cosiddetto manoscritto di Fulda, e “le prime liste di questo manoscritto non ci

sono pervenute” ([760], p. 281). La lista più antica del libro di Svetonio è ritenuto un testo

presumibilmente del IX secolo a.C., rinvenuto tuttavia solo nel XVI secolo. Le altre liste risalgono,

nella storia scaligeriana, a non prima dell’XI secolo d.C. Anche i frammenti del libro di Svetonio De

viris illustribus (I personaggi famosi), sono apparsi molto tardi: il frammento più antico risale

apparentemente al secolo IX a.C. «Questo manoscritto fu scoperto in Germania da Poggio Bracciolini

nel 1425 [...] il manoscritto di Hersfeld è andato perduto (si sono conservati solo pochi fogli della

sezione di Tacito), ma ci sono circa 20 liste da questo manoscritto fatte in Italia nel secolo XV»

([760], p. 337).

La datazione delle cosiddette “antiche” fonti fu dunque effettuata nei secoli XVI-XVII sulla base

di criteri che non ci sono noti.

Ancora: solo nel 1497 [544] fu scoperto il libro De architectura di Vitruvio. Secondo N.A.

Morozov (in [544], vol. 4, p. 624), nella sezione del libro di Vitruvio dedicata all’astronomia con

incredibile precisione sono indicati i periodi delle circolazioni eliocentriche dei pianeti. A quanto

risulta, l’architetto Vitruvio, che si ritiene vissuto nel I-II secolo a.C., conosceva questi numeri

meglio dell’astronomo Copernico! Non solo, ma nel periodo di rivoluzione di Saturno si sbagliò solo

di 0,00007 unità rispetto al valore del periodo calcolato in tempi moderni. Per Marte, l’errore è di

0,006, e per Giove è di solo 0,003 (si veda l’analisi in [544], vol. 4, pp. 625-626). Si notino i

paralleli, che portano assai lontano, tra il trattato del Vitruvio “antico”e quello dell’eccellente

umanista del secolo XV Leon Battista Alberti ([18], vedi fig. 1.32). Detto per inciso, non passa

inosservata una certa assonanza tra i nomi Alberti e Vitruvio, nella fattispecie il passaggio frequente

del suono B in V e viceversa: Alb(v)erti si converte facilmente in Vitruvio.

Fig. 1.31. Cicerone “con tre mani” nell’affresco di Andrea di Bonaiuto Il trionfo di san Tommaso d’Aquino (Firenze, chiesa di

Santa Maria Novella, Cappellone degli Spagnoli). Può darsi che l’artista, nel tentativo di raffigurare il movimento della mano

nel tempo, abbia disegnato una sorta di “cartone animato” o può darsi che questo tipo d’immagine sia traccia del rifacimento

posteriore di una raffigurazione antica (tratto da [643:2], p. 211, ill. 2).

Leon Battista Alberti (1404-1472) conosciuto come il più grande architetto del Quattrocento, fu

autore di un’opera fondamentale di teoria dell’architettura, molto simile all’analoga teoria del

Vitruvio “antico”([18], pp. 3-4) e come il Vitruvio “antico”, anche il medievale Alberti, nel suo

studio, tratta non solo di teoria dell’architettura, ma anche di aspetti di matematica, ottica e

meccanica. Il nome dell’opera medievale in dieci libri dell’Alberti, De re aedificatoria, coincide

con il nome della “antica” opera di Vitruvio, De architectura. Oggi si ritiene che il Vitruvio

“antico”fosse stato, per il medievale Alberti «un modello da imitare nella composizione del proprio

trattato» ([18], p. 152). Tra l’altro l’intera opera di Alberti mantiene “i toni antichi”. Nelle tavole

sinottiche preparate tempo fa dagli esperti, si confrontano frammenti dell’opera dell’Alberti e di

quella di Vitruvio e in alcuni casi il testo coincide alla lettera! Gli storici commentano questa

circostanza nel modo seguente: «Tutti questi numerosi paralleli [...] rivelano l’atmosfera ellenisticoromana

in cui si formarono i pensieri dell’Alberti» ([18], p. 89).

Dunque, il libro del Vitruvio “antico”s’inscrive in modo assolutamente naturale nell’atmosfera

medievale e nell’ideologia del XV secolo d.C. Inoltre, la maggior parte degli edifici medievali

dell’Alberti fu realizzata in “stile antico” ([18], pp. 165, 167, 173). Un suo palazzo fu creato «a

immagine e somiglianza dell’anfiteatro romano» ([18], p. 179). Risulta quindi che l’architetto di

punta dell’epoca medievale riempie le città italiane di edifici “antichi” che ora, ma non certo nel XV

secolo d.C., vengono considerate “imitazioni dell’Antichità”. Alberti scrive libri in “stile antico”,

senza sospettare che in seguito verranno dichiarati “imitazione dell’antichità”. E solo dopo tutto ciò,

nel 1497 d.C. verrà scoperto il libro dell’antico architetto Vitruvio, che a volte coincide quasi alla

lettera con l’analoga opera del medievale Alberti.

In realtà si ha la sensazione che gli architetti dei secoli XVI-XV non considerassero la loro

attività “un’imitazione dell’Antichità”, ma semplicemente un lavoro da fare. La teoria della

“imitazione” si farà strada molto più tardi, nelle opere degli storici scaligeriani, costretti a spiegare

le numerose corrispondenze tra il Medioevo e l’Antichità. Una situazione analoga s’incontra con la

letteratura scientifica. Qui è opportuno ricordare la storia di come gli studiosi europei vennero a

conoscenza degli scritti di Euclide, Archimede e Apollonio, giacché, come si vede dalla rassegna

precedentemente esposta, proprio nel Medioevo rinacquero quasi tutti “gli antichi risultati

scientifici”.

Fig. 1.32. Leon Battista Alberti. Autoritratto. Medaglione di bronzo del 1430 circa, Galleria nazionale, Washington (tratto da

[18], p. 60).

Fig. 1.33. Veduta panoramica di Roma dall’“antica” Geometria di Euclide in un’edizione che si presume risalga al 1457. Si

noti la raffigurazione della Roma medievale, la basilica cristiana gotica e altri dettagli. (tratta da [1374], p. 103).

Lo storico della scienza M.J. Vygodskii ha scritto: «Non ci è pervenuto alcun antico manoscritto

dei Principi di Euclide [...] il manoscritto più antico conosciuto è una copia che risale all’888 [...].

Esistono molti manoscritti che risalgono ai secoli X-XIII» ([321], p. 224).

In fig. 1.33 è riportata una meravigliosa pagina della Geometria di Euclide, fatta risalire al 1457.

In essa è collocato un disegno, una vista panoramica di Roma, ([1374], p. 103). È interessante

notare che nel libro dell’Euclide “antico”sia stato inserito il disegno di uno scorcio non della Roma

“antica” ma della Roma medievale: ben visibile in primo piano una cattedrale cristiana gotica. Come

dicono i commentatori, sono qui illustrati «i monumenti cristiani, come l’Ara Coeli» ([1374], p.

103). Vien immediatamente da pensare che Euclide fosse un autore medievale (della vera identità di

Euclide parliamo nel nostro libro Car’ Slavjan [Lo Zar degli slavi; N.d.T.]). In fig. 1.34 riportiamo

un’antica raffigurazione di Pitagora (a sinistra), Euclide (al centro) e Tolomeo (a destra).

La studiosa I.G. Bašmakova, storico della matematica, ha detto che anche prima della

pubblicazione della prima traduzione latina dell’Arithmetica di Diofanto di Alessandria, gli studiosi

europei «usavano i metodi algebrici di Diofanto, pur non essendo a conoscenza delle sue opere»

([250], p. 25). La Bašmakova si limita a definire questa situazione come “un po’ paradossale”. La

prima edizione dell’Arithmetica è datata 1575 d.C.

Se l’Almagesto di Tolomeo fu immediatamente continuato da Copernico (ricordiamo che

l’esplosione d’interesse verso la pubblicazione dell’Almagesto cominciò immediatamente prima

dell’epoca di Copernico [vedi il nostro Astronomičeskij analiz chronologii (L’Analisi astronomica

della cronologia); N.d.A.], t. 1, cap. 11), Diofante, altrettanto immediatamente, fu ripreso da Pierre

de Fermat (1601-1665).

Fig. 1.34. Frammento dell’affresco di Andrea di Bonaiuto Il trionfo di san Tommaso d’Aquino (Firenze, chiesa di Santa Maria

Novella, Cappellone degli Spagnoli) che si presume risalga alla fine del XIV secolo. Da sinistra a destra sono raffigurati,

seduti, Pitagora, Euclide e Tolomeo. Sulla testa di Tolomeo è visibile la corona reale (tratto da [643:2], p. 210, ill. 2).

La storia dei manoscritti e delle edizioni a stampa “dell’antico”Archimede segue lo schema che ci

è già noto. I.N. Veselovskij comunica che la matrice di tutte le edizioni moderne di Archimede è un

manoscritto perduto del XV secolo e un palinsesto costantinopoliano, scoperto solo nel 1907. Si

ritiene che i manoscritti “dell’antico”Archimede siano arrivati per la prima volta in Europa solo nel

1204, che la loro prima traduzione risalga presumibilmente al 1269, ma che il testo completo sia

stato rinvenuto solo nel 1884, cioè nel XIX secolo. La prima edizione a stampa apparve

presumibilmente nel 1503, la prima edizione in greco solo nel 1544, e solo «in seguito i lavori di

Archimede entrano in uso nel mondo scientifico» ([40], pp. 54-56).

In fig. 1.35 si vede un antico ritratto di Archimede tratto dal suo libro Opera, fatto risalire al XV

secolo.

Davanti a noi c’è un tipico studioso medievale nel suo studio, una circostanza che non è passata

inosservata ai commentatori: «L’ambiente di studio è stato rappresentato in stile rinascimentale»

([1229], p. 87). Ancora: il libro Sezioni coniche “dell’antico” Apollonio, fu pubblicato solo nel

1537. Inoltre, «Keplero, che scoprì per primo il valore delle sezioni coniche (ellissi) in astronomia,

non riuscì a vedere, in vita, la pubblicazione dell’“opera omnia” di Apollonio. I tre libri successivi

[...] furono pubblicati per la prima volta in traduzione latina [di nuovo una traduzione; N.d.A.] nel

1631» ([740], p. 54). Quindi l’intero lavoro “dell’antico” Apollonio uscì alla luce solo dopo che,

nell’epoca di Keplero cioè nei secoli XVI-XVII, fu scoperto il valore degli oggetti, alla cui

descrizione questo stesso “antico” studio è dedicato. A proposito, non è che le opere “dell’antico”

Apollonio siano le composizioni redatte dal polacco Copernico? Il nome Apollonio è molto simile a

Polonio, cioè polacco, originario della Polonia. L’astronomo Copernico (1473-1543) visse

immediatamente prima dell’astronomo Keplero (1571-1630). Su Copernico, Tycho Brahe e Keplero

abbiamo scritto in modo dettagliato nel nostro Astronomičeskij analiz chronologii (Analisi

astronomica della cronologia), (t. 1, capitoli 10-11).

6. La misurazione del tempo nel Medioevo. Gli storici parlano di “caos delle

datazioni medievali”. Strani “anacronismi medievali”

La versione cronologica di Scaligero non fu affatto l’unica. Esistevano versioni concorrenti e

notevolmente differenti. Lo storico E.J. Bickerman con rammarico parla del «caos delle datazioni

medievali» ([72], p. 73). Tra l’altro, l’analisi dei documenti antichi mostra che le rappresentazioni

del tempo in uso in epoche passate erano nettamente diverse da quelle moderne.

Fig. 1.35. Antica miniatura raffigurante l’“antico” Archimede come uno scienziato medievale, Biblioteca Apostolica Vaticana,

Città del Vaticano (tratto da [1229], p. 87).

Prima dei secoli XIII-XIV secolo gli strumenti per la misurazione del tempo erano rari, erano considerati oggetti di lusso [...].

Non sempre li avevano persino gli scienziati. L’inglese Walcher [...] si lamentava del fatto che la precisione delle sue osservazioni

dell’eclissi di luna nel 1091 fu ostacolata dalla mancanza di un orologio» ([1461], p. 68).

«Gli orologi normali nell’Europa medievale erano le meridiane (fig. 1.36) [...], le clessidre e gli orologi ad acqua. Le meridiane,

tuttavia, andavano bene solo quando c’era bel tempo mentre le clessidre rimanevano una rarità» ([217], p. 94).

Alla fine del IX secolo d.C. per calcolare il tempo venivano ampiamente utilizzate le candele. Ad

esempio, il re inglese Alfred, durante i suoi viaggi, portava con sé candele di uguale lunghezza, e

ordinava di accenderle una dopo l’altra ([217], p. 94). Questo stesso tipo di misurazione del tempo

era diffuso ancora nei secoli XIII-XIV, sotto Carlo V, per esempio. Nella fig. 1.37 è riportata una

vecchia immagine di uno dei modelli di orologi ad acqua.

«I monaci si orientavano con la quantità di pagine lette di libri sacri o con la quantità di salmi che

riuscivano a pronunciare tra due osservazioni del cielo [...]. Per la maggior parte della popolazione

il punto di riferimento durante il giorno era il suono delle campane» ([217], p. 94). Per le

osservazioni astronomiche, però, sono necessari orologi con la lancetta dei secondi! Ma qui si

scopre che «anche dopo l’invenzione e la diffusione in Europa dell’orologio meccanico esso per

molto tempo non fu dotato della lancetta dei minuti» ([217], p. 95). Nella fig. 1.38 si vede un

orologio meccanico, raffigurato in un libro che viene fatto risalire al 1454.

Fig. 1.36. Orologio solare anglosassone proveniente dallo Yorkshire e fatto risalire al 1060. Manca l’asta verticale

(gnomone), che proietta l’ombra (tratto da [643:2], p. 198, ill. 2).

Fig. 1.37. Orologio ad acqua, raffigurato ne Il libro delle Macchine, fatto risalire al 1264 (tratto da [1075:1], p. 184).

In contrasto paradossale con l’inesattezza della misurazione del tempo reale, si sviluppa nel

Medioevo una Kabbalah cronologica massimamente raffinata. Nella fattispecie,

«quegli stessi periodi di tempo, che venivano usati per la misurazione del tempo terrestre [...] acquistano una lunghezza

assolutamente diversa [...] quando vengono applicati per misurare eventi biblici [...] Agostino equiparava ogni giorno della

creazione a un millennio [(!); N.d.A.] e cercava di determinare la lunghezza della storia dell’umanità» ([217], pp. 109-110).

Per noi è importante

«quell’aspetto integrante della storiografia medievale costituito dall’anacronismo. Il passato viene rappresentato nelle stesse

categorie della contemporaneità [...] i personaggi biblici e antichi sono raffigurati in costumi medievali [...] un moralista medievale

[...] ascrive agli antichi romani “la cortesia” una specifica dote cavalleresca [...] le epoche del vecchio e del nuovo testamento non

si trovano in una semplice consequenzialità temporale. Ad ogni evento e personaggio dell’Antico Testamento corrisponde un

analogo fenomeno nell’era del Nuovo Testamento [...]. La vicinanza, nei portali delle cattedrali, di re e patriarchi dell’Antico

Testamento agli antichi saggi e ai personaggi del Vangelo rivela nel modo migliore l’atteggiamento anacronistico nei riguardi della

storia [...]. I crociati alla fine del secolo XI erano convinti [217], di castigare non i discendenti dei carnefici del salvatore ma i

carnefici stessi» ([217], pp. 117-118).

Questo fatto è abbastanza significativo e ad esso ritorneremo. In realtà questi eventi avevano

avuto luogo un secolo più tardi, alla fine del XII e all’inizio del XIII secolo (si vedano i nostri studi

Car’ Slavjan (Lo Zar degli slavi) e Načalo Ordynskoj Rusi (L’inizio della Rus’ dell’Orda).

Gli storici moderni, ponendo alla base dei loro studi la cronologia scaligeriana, credono che il

Medioevo abbia confuso epoche e concetti in grande scala, che gli autori medievali, solo per la loro

ignoranza hanno identificato l’epoca “antica” e biblica con l’epoca medievale.

Gli artisti medievali, per esempio, ovunque raffiguravano i personaggi biblici e “antichi” in

costumi tipicamente medievali. Ma oltre alla spiegazione tradizionale, cioè lo strano “amore per gli

anacronismi”, è possibile anche un altro punto di vista, completamente diverso, vale a dire, che tutte

queste affermazioni dei cronisti medievali nonché le raffigurazioni degli artisti corrispondessero alla

realtà, e gli storici le ritengano degli “anacronismi” solo perché oggi essi seguono la cronologia

scaligeriana, errata, come vogliamo dimostrare.

Fig. 1.38. Orologio meccanico raffigurato nel libro di Christine de Pizan, L’epistre Othea, presumibilmente risalente al 1454.

Dal cielo scende sulla terra la “Moderazione” per regolare il meccanismo dell’orologio (tratto da [643:2], p. 194).

La versione cronologica di Scaligero rappresenta solo una delle tante concezioni cronologiche

medievali. Insieme ad essa, oggi convenzionalmente adottata, esistevano altre versioni cronologiche.

Per esempio, si riteneva che il Sacro romano impero della nazione tedesca dei secoli X-XIII d.C.

fosse una continuazione diretta dell’“antico” Impero romano, crollato, come si presume secondo la

versione di Scaligero, nel VI secolo d.C. ([270], vol. 1, p. 16). Ecco, per esempio, le tracce di un

dibattito medievale assai strano, dal punto di vista moderno: «Petrarca [...] basandosi

presumibilmente su una serie di osservazioni psicologiche e filologiche, sosteneva che i privilegi

dati da Cesare e da Nerone alla Casa Ducale austriaca [nel XIII secolo d.C.; N.d.A.] fossero falsi.

Questo allora doveva essere ancora dimostrato» ([270], vol. 1, p. 32). Per uno storico moderno, si

veda [270], l’idea che “gli antichi” Cesare e Nerone fossero dei contemporanei della casa ducale

austriaca medievale, che aveva cominciato a regnare solo nel 1273 d.C., cioè presumibilmente 1200

anni dopo Cesare e Nerone, è ovviamente assurda. Ma, come vediamo, non la pensavano così gli

avversari medievali del Petrarca nel XIV secolo d.C.: «Questo allora doveva essere ancora

dimostrato» ([270], vol. 1, p. 32).

A proposito di questi famosi documenti, E. Prister nota: «Tutte le persone coinvolte sapevano

benissimo che si trattava di falsi chiari e spudorati [questa è l’interpretazione attuale di questo fatto;

N.d.A.], eppure tutti avevano “educatamente” chiuso un occhio su questa circostanza» ([691], p. 26).

Un enorme e anomala quantità di “anacronismi”, che trasferiscono eventi “antichi” all’epoca dei

secoli XI-XVI, è contenuta in testi e cronache medievali tedesche. Per dettagli si veda, ad esempio

[469].

Il lettore, per esempio, è abituato a pensare che i famosi combattimenti dei gladiatori avessero

avuto luogo solo nel “lontano passato antico”. Ma così non è. V. Klassovskij [389], descrivendo le

battaglie dei gladiatori nell’“Antica” Roma, aggiunge subito che queste lotte si svolgevano anche

nell’Europa medievale del XIV secolo d.C. Per esempio, nomina un combattimento di gladiatori

avvenuto a Napoli verso il 1344 d.C., cui presero parte Giovanni di Napoli e Andrea l’Ungherese

([389], p. 212). Queste lotte medievali, così come nell’“Antichità”, si concludevano con la morte del

lottatore [389].

7. Cronologia e datazione dei testi biblici

Le datazioni di fonti religiose sono oscure e confuse. La cronologia dei libri biblici e la loro

datazione è molto incerta, e poggia sull’autorità dei teologi della Scolastica del tardo Medioevo.

Scrivono gli storici:

«Anche la vera storia delle origini dei Libri del Nuovo Testamento non coincide con quella sostenuta dalla Chiesa [...]. L’ordine

[di alcuni; N.d.A.] libri del Nuovo Testamento, approvato oggi, è l’esatto opposto dell’ordine stabilito dalla tradizione ecclesiastica

[...]. I nomi autentici degli autori dei libri del Nuovo Testamento [...] rimangono sconosciuti» ([444], p. 264).

Come vedremo, anche il punto di vista adottato oggi, secondo il quale i libri del Vecchio

Testamento precedano quelli del Nuovo Testamento, solleva molti dubbi e contraddice i risultati

ottenuti dall’applicazione dei nuovi metodi empirico-statistici di datazione. In relazione a ciò risulta

opportuno riconsiderare la questione dell’antichità dei manoscritti biblici pervenuti fino ai nostri

giorni. Risulta infatti che si tratta di manoscritti di origine medievale.

«I più antichi e più o meno completi esemplari della Bibbia [greca; N.d.A.] tra quelli conservati sono i manoscritti di Alessandria,

del Vaticano e del Sinai [...] Tutti e tre i manoscritti [...] sono datati [paleograficamente, cioè in base a un concetto vago qual è “lo

stile della grafia”; N.d.A.] [...] la seconda metà del IV d.C. La lingua dei codici è il greco [...] Meno di tutto si sa sul Codice

Vaticano, nella fattispecie non è chiaro come e da dove sia giunto in Vaticano, nel 1475, questo documento [...] sul Codex

Alexandrinus è noto che nel 1628 [...] il Patriarca Cirillo Lucaris lo regalò al re inglese Carlo I ([444], pp. 267-268). Il Codex

Sinaiticus è stato scoperto solo nel XIX secolo da C. Tischendorf» ([444], pp. 268-270).

Ebbene, tutti i tre antichissimi codici della Bibbia fecero la loro comparsa solo dopo il XV

secolo d.C. La reputazione di antichità di questi documenti fu creata nel XIX secolo dall’autorità di

C. Tischendorf, che si basava sullo “stile della grafia”. Tuttavia, l’idea stessa di datazione

paleografica presuppone una già nota cronologia globale di altri documenti, pertanto non può essere

in nessun modo considerata un modo indipendente di datazione. Conosciamo solo un fatto attendibile:

la storia di questi manoscritti biblici si può seguire dai giorni nostri in giù solo fino al 1475 d.C. Non

esistono altri manoscritti più o meno completi di “antiche” Bibbie in greco [444].

Tra le singole composizioni bibliche, le più antiche sono considerate il manoscritto della profezia

di Zaccaria e quello di Malachia, fatti risalire al VI secolo d.C., e datati anch’essi secondo il metodo

paleografico ([444], p. 270).

«I manoscritti più antichi della Bibbia tra quelli conservatisi sono in greco [444]. Non esiste nessun manoscritto ebraico della

Bibbia anteriore al IX secolo d.C., anche se manoscritti di epoca più tarda, soprattutto probabilmente della metà del XIII secolo

d.C., sono conservati in molti archivi di stato.

Il più antico manoscritto ebraico, un frammento dei libri dei Profeti, è datato presumibilmente 859 d.C. ([444], p. 270). I

manoscritti successivi, per antichità, sono due: il primo, datato 916 d.C. comprende i libri dei Profeti, il secondo, datato 1008 d.C.,

contiene l’intero Testo dell’Antico Testamento» ([444], p. 270).

Tuttavia il primo manoscritto è provvisto di data, scritta dall’amanuense e cioè 1228. In base alla

cosiddetta punteggiatura babilonese delle lettere, qui presente, questa data è segnata oggi secondo

“l’era seleucide”, che fa risultare circa l’anno 916 d.C. Eppure, motivi fondati di una tale

affermazione non sono riportati pertanto è plausibile ritenere che il 1228 sia stato segnato secondo

l’epoca successiva alla nascita di Cristo ([543], pp. 263-264) e se così fosse, risulta che il

manoscritto non è del X secolo d.C. ma del XIII secolo d.C.

Il manoscritto ebraico più antico, contenente l’intero Antico Testamento, risalirebbe solo al 1008

d.C. ([444], p. 270).

Si presume che il canone della Bibbia sia stato fissato dal concilio di Laodicea presumibilmente

nel 363 d.C. tuttavia non si sono conservati gli atti né di questo né di altri concilii precedenti ([765],

p. 148). Di fatto il canone fu formalmente istituito solo a partire dal nuovo Consiglio di Trento,

convocato durante la Riforma nel 1545 e perdurato fino al 1563. La fig. 1.39 mostra un quadro di

Tiziano raffigurante la riunione di questo famoso concilio.

Per ordine del Concilio di Trento fu distrutta una massa di libri, riconosciuti apocrifi, in

particolare gli Annali dei re dei Giudei e d’Israele [765]. Ormai non potremo più leggere questi libri

ma una cosa si può affermare con sicurezza: essi furono distrutti proprio perché contenevano la

descrizione della storia antica non com’era indicata nei libri della fazione vincente, quella degli

storici scaligeriani. Notiamo che gli Apocrifi «erano molto più numerosi delle opere riconosciute

[...] come canoniche» ([471], p. 76). Sottolineiamo che la stragrande maggioranza delle datazioni

bibliche dei manoscritti è basata sulla paleografia e, come abbiamo osservato, questo “metodo di

datazione” è direttamente dipendente dalla cronologia scaligeriana, che era presumibilmente nota a

priori. Modificando la cronologia, cambiano automaticamente tutte le “datazioni paleografiche”.

Riportiamo un esempio importante: «Nel 1902, l’inglese Nash acquistò in Egitto un frammento di

manoscritto ebraico su papiro, sulla cui datazione a tutt’oggi gli studiosi non riescono ad arrivare a

un’opinione comune» ([444], p. 273). Successivamente a un accordo finalmente si arrivò ad

assumere che il testo si riferisse all’inizio dell’era cristiana, ma ecco che «in seguito, dopo la

scoperta dei manoscritti di Qumran, proprio il confronto tra le “scritture”, quella del papiro Nash e

quella dei manoscritti di Qumran, diede da subito la possibilità di stabilire la maggior antichità degli

ultimi» ([444], pp. 272-273). Dunque, un frammento di papiro, sulla cui datazione «non si riesce ad

arrivare a un’opinione comune» si trascina dietro un’intera massa di altri documenti. E comunque sia,

anche «per quanto riguarda la datazione dei rotoli [di Qumran; N.d.A.] tra gli studiosi sorsero grandi

divergenze (dal II secolo a.C. al tempo delle Crociate)» ([471], p. 47).

La datazione dei manoscritti di Qumran allo inizio “dell’era cristiana” risulta confermata dopo il

1962, cioè dopo che furono sottoposti all’analisi al radiocarbonio. Tuttavia, come scriveremo più

avanti, il metodo del radiocarbonio è in realtà inapplicabile a reperti distanti 2-3 mila anni dalla

nostra epoca e ciò a causa dell’enorme spettro delle datazioni risultanti. Si tratta di uno spettro che

raggiunge i mille-duemila anni per campioni di età pari a mille-duemila anni.

Nonostante nel libro [444] s’indichi, per i manoscritti di Qumram, l’anno 68 d.C., lo storico

americano S. Tseitlin insiste categoricamente «sull’origine MEDIEVALE di questi testi» ([444], p.

27).

Fig. 1.39. Il Concilio di Trento (1545-1563), in un quadro del Tiziano conservato al museo del Louvre, Parigi (tratto da [328],

p. 238).

Circa i manoscritti biblici scriviamo in modo dettagliato nel nostro Biblejskaja Rus’ (La Rus’

biblica), vol. 1, cap. 2.

8. Difficoltà e ambiguità nella lettura dei testi antichi. Il problema della

vocalizzazione

8.1. Come leggere un testo antico scritto solo con le consonanti?

Le datazioni di altri frammenti di testi biblici pervenuti fino a noi richiedono altresì un’attenta

analisi aggiuntiva. Nel tentativo di leggere la maggior parte dei manoscritti antichi, biblici e

dell’antico Egitto, spesso sorgono difficoltà di principio.

«Fin dall’inizio della nostra indagine sulla lingua originale dell’Antico Testamento ci scontriamo con un fatto di significato enorme

e addirittura impressionante. Il fatto è che l’ebraico scritto, in origine non aveva né vocali, né segni che le sostituissero [...]. I libri

del Vecchio Testamento sono stati scritti con sole consonanti» ([765], p. 155).

È una situazione tipica. Per esempio, il testo antico slavo è una sequenza di consonanti, a volte

addirittura senza “i segni con valore vocalico” e la separazione delle parole, è insomma un flusso

continuo di consonanti.

Di sole consonanti sono altresì composti gli antichi testi egizi. «I nomi dei re [egiziani; N.d.A.]

[...] sono dati [nella bibliografia moderna; N.d.A.] in una versione convenzionale, assolutamente

arbitraria, cosiddetta scolastica, adottata nei libri di testo [...]. Queste forme spesso differiscono di

molto l’una dall’altra e sistematizzarle in qualche modo è impossibile, essendo esse risultato di una

lettura arbitraria [(!); N.d.A.], diventata poi tradizionale» ([72], p. 176).

Probabilmente, nei tempi antichi, il costo e la rarità dei materiali per la scrittura costringeva gli

scribi a economizzare il materiale e a tralasciare le vocali.

«In verità, se oggi prendiamo in mano la Bibbia ebraica o un manoscritto ci troviamo di fronte a un’ossatura di consonanti,

riempite di punti e altri segni indicanti le vocali mancanti. Questi segni non appartenevano alla Bibbia anticoebraica [...]. I libri

venivano letti solo sulle consonanti, che venivano riempite con le vocali [...] nella misura della capacità (del lettore) e in conformità

alle esigenze emergenti del senso e alle tradizioni orali» ([765], p. 155).

Del resto, provate a immaginare quanto potrebbe essere esatta, anche ai tempi nostri, una lettera

scritta con sole consonanti, quando, per esempio, la combinazione KRV può stare a indicare krov’

(sangue), krivoj (curvo), krov (rifugio), korova (mucca), korjavyj (ruvido), kurevo (fumo), karavaj

(pagnotta di forma rotonda) ecc.; la combinazione RK può stare a significare reka (fiume), ruka

(mano), rok (fato) ecc.

L’arbitrarietà della vocalizzazione in ebraico antico e in altre lingue antiche è dunque

estremamente forte. Molte combinazioni di consonanti possono essere vocalizzate in decine di modi

diversi [765]. Wilhelm Gesenius ha scritto: «È facile vedere quanto sia imperfetto e incerto questo

modo di scrittura» (op. cit. [765]).

Anche T.F. Curtis ha osservato: «Anche per gli ecclesiastici il significato delle lettere rimaneva

molto incerto e poteva essere compreso solo con l’aiuto dell’autorità della tradizione» (op. cit.

[765], p. 155). Robertson Smith aggiunge: «Oltre al testo nudo [...] spesso ambiguo, gli amanuensi

non avevano altre guide, fatta eccezione per la lettura orale. Non avevano regole grammaticali da

poter seguire. L’ebraico che usavano essi stessi per scrivere permetteva spesso delle locuzioni, che

erano impossibili nella lingua antica» (op. cit. [765], p. 156). Nella storia scaligeriana si ritiene che

tale situazione si sia conservata per molte centinaia di anni [765].

Si presuppone inoltre che

«questo serio difetto della Bibbia ebraica sia stato eliminato non prima del VII o dell’VIII secolo d.C. quando i masoreti

risistemarono il testo biblico “aggiungendovi” [...] dei segni in sostituzione delle vocali; tuttavia essi non avevano nessun’altra guida

a eccezione del proprio giudizio e di una tradizione molto imperfetta; questo fatto non è un mistero per i conoscitori della lingua

ebraica» ([765], pp. 156-157).

Driver ha sottolineato:

«Dal tempo [...] dei masoreti nei secoli VII e VIII [...] gli ebrei hanno cominciato a proteggere i loro libri sacri con diligenza

straordinaria ma già quand’era ormai troppo tardi per correggere [...] i danni già arrecati. Così operando, quindi, i masoreti non

hanno fatto che immortalare le distorsioni esistenti che ora venivano poste, grazie alla loro autorità, [...] assolutamente allo stesso

livello del testo originale» (cit. da [765], p. 157).

Prima si riteneva che le vocali fossero state introdotte nel testo ebraico da Esdra, nel V secolo a.C. [...]. Quando nei secoli XVI

e XVII Levit e Capellus in Francia smentirono questa opinione, dimostrando che i segni vocalici erano stati introdotti solo dai

masoreti [...] questa scoperta produsse una grande sensazione in tutta l’Europa protestante. A molti era sembrato che la nuova

teoria potesse comportare il totale rovesciamento della religione. Se i segni vocalici non erano un fatto della rivelazione divina ma

semplicemente un’invenzione umana, peraltro di un’epoca molto più tarda, come si poteva fare affidamento sul testo della

Scrittura? [...]. Il dibattito suscitato da questa scoperta fu uno dei più accesi nella storia della nuova critica biblica, e durò per più di

un secolo. Infine cessò: la fedeltà della nuova lettura fu riconosciuta da tutti» ([765] pp. 157-158).

Ma a questo punto si fa strada una domanda legittima. Se simili accese discussioni intorno alla

vocalizzazione dei testi biblici scoppiarono e continuarono nei secoli XV-XVII d.C., non ne consegue

forse che queste stesse vocalizzazioni potessero essere state fatte in epoca molto più recente, magari

nei secoli XV-XVI? E forse fu proprio perché, a quanto pare, non tutti erano d’accordo con una tale

versione della vocalizzazione, che essa suscitò una certa resistenza, resistenza che si dovette

superare e probabilmente a fatica. E solo successivamente questa «decifrazione masoretica della

Bibbia» fu respinta (da Levit e Kapellus?) nei fantasmi dei secoli VII-VIII d.C. per conferire

l’autorità dell’antichità ai testi biblici.

Un’analoga situazione, evidentemente, riguarda anche il Corano. Si dice che

«le lettere arabe [...] furono ulteriormente sviluppate nella metà del VII secolo, durante il periodo della trascrizione del Corano

[651]. Nella seconda metà del VII secolo furono introdotti ulteriori segni in apice, sovrascritti e sottoscritti per la differenziazione di

lettere simili, per l’indicazione [...] di vocali e raddoppiamento di vocali» ([485], p. 41).

Secondo altre fonti, la vocalizzazione fu introdotta solo nella seconda metà dell’VIII secolo da al-

Khalil ibn Ahmad ([485], p. 39). Ma tutta quest’attività non potrebbe forse risalire ai secoli XV e

XVI secolo?

8.2. Nel Medioevo i suoni R e L venivano spesso confusi

Dimostreremo ora con esempi concreti che nel Medioevo i suoni R e L spesso venivano usati

l’uno al posto dell’altro. Nella fattispecie questa confusione era frequente nel nome medioevale della

famosa città europea Amsterdam, che veniva chiamata a volte AmsteRdam, a volte AmsteLdam, a

volte ancora AmsteLodami (si veda [35], p. XLI). Ecco ancora una curiosità: in fig. 1.40 è riportato

il frontespizio di un libro sulla navigazione pubblicato nel 1625 ad Amsterdam. Qui il nome della

città è indicato come AMSTERDAM, cioè già nell’accezione attuale, con il suono R, mentre nella

vecchia incisione riprodotta appena sotto il frontespizio si legge il vecchio nome della città in una

forma interessante: AMSTELREDAM (vedi fig. 1.41). Qui, dunque, le due lettere R e L, spesso

confuse, sono contemporaneamente presenti nella curiosa combinazione AmsteLRedam.

Fig. 1.40. Frontespizio di un libro del 1625, pubblicato ad Amsterdam. La città è qui chiamata AmsteRdam, con il suono

(lettera) R. Però, sull’incisione antica riprodotta più sotto, la stessa città è chiamata AmsteLRedam, che contiene i due suoni

(lettere) spesso confusi tra di loro R e L (tratto da [1160], p. 287).

Fig. 1.41. Frammento di un incisione antica recante una versione interessante del nome Amsterdam, ovvero AmsteLRedam

(tratto da [1160], p. 287).

Sottolineiamo, quindi, che in tempi relativamente recenti, molti nomi, per esempio i nomi delle

città europee, “fluttuavano” ancora e cambiavano notevolmente il loro suono, finché, finalmente, non

furono definitivamente registrati dalla stampa, in epoca più tarda. Numerosi altri esempi di questo

tipo verranno analizzati in seguito.

9. La geografia scaligeriana degli eventi biblici e i problemi ad essa legati

9.1. L’archeologia e il Vecchio Testamento

Se la vocalizzazione delle parole di uso quotidiano non è così importante, la situazione cambia

radicalmente quando nel testo antico compare una combinazione, indicante il nome di una città, di un

paese, il nome di un re ecc. Esistono decine e centinaia di varianti di vocalizzazione di uno stesso

termine ma la storia scaligeriana “identifica” i nomi biblici non vocalizzati di città, paesi e regnanti,

partendo dalla cronologia fissata da Scaligero e da un’ipotetica localizzazione che fa riferire gli

eventi biblici esclusivamente in Medio Oriente.

L’archeologo Millar Burrows, certo della correttezza della geografia scaligeriana, scrive: «In

linea generale [...] il lavoro archeologico dà indubitabilmente una fortissima sicurezza

sull’attendibilità delle informazioni bibliche» ([444], p. 16).

A questo proposito uno dei più autorevoli studiosi moderni di archeologia biblica, l’americano

William Albright, scriveva, francamente in modo nebuloso: «Non possono esserci dubbi sul fatto che

l’archeologia [qui si faceva riferimento agli scavi eseguiti nella moderna Palestina; N.d.A.] conferma

la storicità sostanziale della tradizione dell’Antico Testamento» ([444] p. 16 e anche [1003],

[1443]).

Del resto Albright riconosce che, all’inizio del periodo 1919-1949, nel campo degli studi

sull’archeologia biblica, regnava una gran confusione, che le opinioni erano diverse ed era

impossibile giungere a un denominatore comune e che «in una situazione simile, effettivamente, era

impossibile utilizzare i dati archeologici esistenti sulla Palestina per l’illustrazione dell’Antico

Testamento» ([444], p. 16).

Anche il direttore del British Museum, F. Cannon, insiste molto categoricamente sul fatto che

l’archeologia ha smentito «lo scetticismo distruttivo della seconda metà del XIX secolo» [444]. V.

Keller ha addirittura pubblicato un libro dal titolo significativo E tuttavia la Bibbia ha ragione!

[1219], in cui cerca di convincere il lettore sulla correttezza proprio dell’interpretazione scaligeriana

delle informazioni contenute nella Bibbia.

Ed ecco cosa dice il famoso archeologo, L. Wright, anch’egli, tra l’altro, ardente sostenitore della

correttezza della localizzazione scaligeriana e della datazione degli eventi biblici:

«La stragrande maggioranza dei reperti non dimostra e non smentisce alcunché; i reperti riempiono lo sfondo e offrono un

background per la storia [...]. Purtroppo, del desiderio di “dimostrare” la Bibbia sono permeati molti lavori accessibili al lettore

medio. Le testimonianze vengono usate in modo inesatto, le conclusioni che ne derivano sono spesso non fedeli, errate o giuste per

metà» ([444], p. 17).

Pionieri dell’archeologia in Mesopotamia furono, nel XIX secolo, K.D. Rich, Austen Henry

Layard e Paul Emile Botta. Per ottenere le sovvenzioni in denaro, necessarie per le loro missioni

archeologiche, essi furono costretti a ricorrere a strategie pubblicitarie e a far sensazione delle loro

scoperte, equiparando, piuttosto arbitrariamente, le città da loro rinvenute con “quelle stesse” città

bibliche. Man mano che si accumulavano i reperti e i materiali reali, però, si rivelavano anche gravi

difficoltà: i risultati concreti dimostravano infatti che nessuno dei libri dell’Antico Testamento

trovava conferme archeologiche certe in merito alla loro localizzazione scaligeriana geografica e

temporale.

Nel secolo XX il famoso archeologo L. Woolley, durante i suoi scavi, portò alla luce una città che

cercò d’identificare con la “biblica Ur”. Tuttavia risultò, che «purtroppo, è impossibile, dal punto di

vista cronologico, datare gli episodi [legati al biblico Abramo; N.d.A.] in modo soddisfacente, nel

quadro della storia del Medio Oriente del II Millennio» ([1484], [444], p. 71).

La storia scaligeriana insiste sul fatto che i patriarchi biblici agirono proprio, nonché

esclusivamente, in Mesopotamia e in Siria.

D’altra parte si riconosce: «Per quanto riguarda l’identità degli stessi patriarchi Abramo, Isacco e

Giacomo, si può solo ripetere che i ricchissimi risultati degli scavi condotti in Siria e in

Mesopotamia hanno sortito, in merito ai patriarchi, esiti scarsissimi, in altre parole, nessun risultato»

([1484], [444], p. 77).

Ma se le cose stanno così, appare legittimo chiedersi: è giusto cercare le tracce dei patriarchi

biblici nell’attuale Mesopotamia?

Non solo, la storia scaligeriana ritiene che il territorio corrispondente a quello dell’attuale Egitto

fosse stato teatro di eventi sensazionali legati ai personaggi biblici Abramo e Mosè. Nondimeno, gli

studiosi scrivono: «L’archeologia non ha stabilito lo spessore storico di queste narrazioni, però ha

mostrato la loro veridicità storica e ha persino delineato l’ambiente in cui i patriarchi potevano

vivere e, forse, hanno vissuto» ([444], p. 80). Non solo, ma si avverte che «è necessario osservare

un’estrema cautela nell’applicazione d’indici culturali e sociali al fine della datazione: siccome

abbiamo a disposizione delle impostazioni di principio sull’era patriarcale, occorre una massima

flessibilità nella fissazione della cronologia» ([444], p. 82). Come vedremo presto, questa

flessibilità arriverà a raggiungere centinaia e addirittura migliaia di anni.

Più avanti W. Keller scrive: «L’Egitto è in debito rispetto ai ricercatori. Non solo non è stato

trovato alcunché su Giuseppe, ma non sono stati scoperti né documenti, né reperti del suo tempo»

[1219]. Analogamente, «l’Egitto non paga il suo debito» anche rispetto a Mosè ([444], p. 91).

Ma se così stanno le cose, di nuovo s’impone una domanda: siamo sicuri che questi eventi biblici

si siano svolti proprio nel territorio dell’attuale Egitto? Non può essere che l’Egitto biblico

corrisponda a un Paese completamente diverso?

L’archeologo William Albright, ardente sostenitore dell’interpretazione scaligeriana della Bibbia,

fu costretto ad ammettere che «la vecchia idea dell’esodo da Ur dei caldei verso Caran non ha

trovato alcuna conferma archeologica, a eccezione della città stessa[...]» ([444], p. 84). Ancora:

«È risultato praticamente impossibile stabilire persino il luogo in cui si trova il famoso monte Sinai. La difficoltà di tale

individuazione viene aggravata dal fatto che nella Bibbia, viene spesso citato, come luogo, teatro della rivelazione, non il monte Sinai

ma l’Oreb. Se si prendono sul serio le descrizioni bibliche di quei terribili fenomeni naturali che hanno accompagnato il processo

della rivelazione presso il monte Sinai, bisogna supporre che questa montagna fosse in realtà un vulcano [...] ma il problema è che il

monte che oggi si chiama Sinai, non è mai stato un vulcano» ([444], p. 133).

Alcuni archeologi collocano il Sinai nel nord dell’Arabia, in Media, vicino a Kades ([444], p.

133). Ma anche le montagne che si trovano in questa zona non sono mai state vulcani. Nella Bibbia si

dice: «Allora l’Eterno fece piovere dai cieli su Sodoma e Gomorra zolfo e fuoco, da parte

dell’Eterno» (Gn 19,24). La storia scaligeriana colloca quest’episodio in qualche località della

moderna Mesopotamia. «La prima cosa che si potrebbe utilizzare in questo caso è l’ipotesi di

eruzioni vulcaniche. Ma di vulcani in quest’area non ce ne sono» ([444], p. 86).

Sembrerebbe allora che la soluzione più logica possa essere quella di ricercare queste città in

zone caratterizzate dalla presenza di vulcani [...] invece no, si continua ostinatamente e senza risultati

a ricercare in Mesopotamia.

A un certo punto, tuttavia, viene trovata “la soluzione”! Sulla punta meridionale del Mar Morto, in

un’acqua salatissima e torbida, a una profondità di circa 400 m, vengono avvistati dei frammenti di

qualcosa di simile a tronchi d’albero ([444], p. 86). Secondo l’archeologo americano D. Finnegan e,

a ruota, secondo W. Keller, questo ritrovamento è considerato sufficiente per dichiarare che la

catastrofe di Sodoma e Gomorra si era conclusa in modo tale che “la valle di Siddim”, insieme ai

resti carbonizzati di entrambe le città, era sprofondata nel fondo marino ([444], p. 86).

Lo storico ed esperto di Bibbia Martin Noth afferma apertamente che non c’è alcun fondamento

per collegare le città distrutte scoperte in Palestina dagli archeologi all’invasione israeliana legata

alla ricerca della cosiddetta terra promessa [1312]. Come viene osservato più avanti, dal punto di

vista archeologico, tutta l’interpretazione scaligeriana della conquista di Canaan da parte

dell’esercito di Gesù Navin è priva di fondamento ([1312] [1486]).

Ma se è così, siamo sicuri che la terra biblica di Canaan e la terra promessa si stiano cercando

nel posto giusto? Non può essere che l’esercito di Gesù Navin abbia agito in altri luoghi?

Successivamente, si legge:

«Sull’epoca dei giudici nessuna delle informazioni contenute nella Bibbia ha trovato finora conferma archeologica. Tutti i nomi

dei giudici che figurano nell’Antico Testamento ci sono noti solo in base al testo di quest’ultimo, e non s’incontrano in nessuno degli

altri documenti archeologici provenienti dalla Palestina o da altri Paesi. Questo vale anche per i nomi dei primi re, Saul, David e

Salomone» ([444], p. 158).

Ancora un esempio: la storia scaligeriana ci assicura che l’Arca di Noè si arenò sul Monte

Ararat, nel Caucaso. Werner Keller [1219] sostiene che nel villaggio armeno di Bayzit ancora oggi si

parla della leggenda di un pastore, che un giorno aveva visto sull’Ararat una grande nave di legno.

Anche una spedizione turca, nel 1833, menzionava «una nave di legno che sovrastava il ghiacciaio a

sud». Più oltre W. Keller scrive che nel 1892 un certo dottor Nuri aveva intrapreso una spedizione

per individuare le sorgenti dell’Eufrate e sulla via del ritorno pare abbia visto i relitti di una nave

intrappolati nei ghiacci eterni: «All’interno era pieno di neve; l’esterno era di colore rosso scuro».

Pare anche che, durante la prima guerra mondiale un aviatore russo, Roskovickij, sorvolando il

versante sud del monte, avesse visto il relitto dell’arca e si dice che lo Zar Nicola II avesse inviato

sul posto una spedizione che non solo vide ma addirittura fotografò i resti dell’arca.

Lo storico americano e missionario Aaron Smith, di Greensboro, esperto di diluvio, scrisse una

storia dell’Arca di Noè, citando 80.000 pubblicazioni sull’argomento.

Per la ricerca sul posto egli organizzò alcune spedizioni scientifiche. Nel 1951, Smith, con 40

membri della spedizione, passò 12 giorni in cima al Monte Ararat ma non trovò nulla. Ciò comunque

non gli impedì di affermare: «Anche se non abbiamo trovato traccia alcuna di Noè, la mia fiducia nel

racconto biblico del diluvio è solo rafforzata. Ci ritorneremo» [444].

Nel 1952 ebbe luogo un’altra spedizione, questa volta organizzata da Jean de Rica. L’esito fu lo

stesso, ovvero nessun risultato.

Questa storia curiosa è solo un frammento del problema, spinoso per la storia scaligeriana,

dell’individuazione dei luoghi geografici menzionati nella Bibbia.

Herbert Haag nella sua prefazione allo studio di Cyrus Gordon, Le basi storiche del Vecchio

Testamento, ascrive ai meriti dell’autore il fatto che «il suo scopo non è apologetico, come nel caso

di autori di altre opere che hanno inondato con pubblicazioni di massa il mercato librario e che

cercano di provare la verità della parola di Dio sventagliando sconvolgenti “conferme” della Bibbia

tratte da fonti dell’antico Oriente» ([444], p. 18).

Sono tanti i musei, gli istituti e le università che finanziano missioni archeologiche in Medio

Oriente finalizzate a organizzare “scavi biblici”, e sono tanti i soldi che vengono devoluti a questi

progetti. Sono stati organizzati anche enti speciali e fondazioni aventi per obiettivo principale quello

di gestire delle ricerche archeologiche nei Paesi biblici indicati dalla versione scaligeriana.

La prima di queste istituzioni fu il Fondo di ricerca per la Palestina, creato nel 1865. Attualmente,

di simili organizzazioni se ne contano circa venti [444], tra cui l’Istituto americano di studi orientali,

la filiale di Gerusalemme dell’Istituto biblico del Vaticano, la società di ricerca Israeliana.

Nessun’altra delle regioni del globo è stata mai oggetto di una così intensa ricerca archeologica,

come il territorio biblico “scaligeriano”. Ovviamente, l’archeologia biblica è anche divulgata dalle

numerose riviste specializzate, dalle tante monografie, dagli atlanti e dagli album sul tema.

In archeologia, i temi biblici non di rado limitano tutti gli altri. L’accademico V.V. Struve,

eccezionale storico sovietico esperto del periodo antico, scrisse a questo proposito:

«Gli scavi in Egitto e a Babilonia interessavano la comunità scientifica borghese solo perché entravano in contatto con la

Palestina. Solo grazie a queste considerazioni, gli studiosi riuscirono a trovare i fondi necessari per gli scavi. Prima, però, essi

dovettero dimostrare che in Palestina erano stati deportati gli ebrei, che durante gli scavi c’era la possibilità concreta di trovare

un’antica copia della Bibbia o i sandali di Mosè, e sulla base di queste motivazioni riuscirono a recuperare i mezzi finanziari» ([444],

p. 44).

Ecco un esempio eloquente. All’inizio del XX secolo a Ummah, in Mesopotamia, fu rinvenuto un

archivio di tavolette. Tuttavia, siccome Ummah non è menzionata nella Bibbia e nessun

intraprendente storico appassionato era riuscito a identificare questa città con uno dei nomi indicati

nella Bibbia, gli scavi a Ummah furono interrotti. L’archivio rinvenuto fu disperso senza nemmeno

esser stato studiato! «A Parigi le tavolette venivano vendute ai collezionisti al prezzo di 1 franco al

pezzo» [444].

«L’archeologia e in generale la scienza storica non trovano conferme della leggenda biblica sulla

permanenza degli ebrei in schiavitù in Egitto» ([444], p. 102). L’egittologo William Spielberg dice:

«Ciò che la Bibbia comunica sulla presenza di Israele in Egitto, non è più un fatto storico delle

narrazioni contenute in Erodoto nella sua descrizione del passato storico degli antichi Egizi» ([444],

p. 103). Ancora nel 1887 W. Stade, scriveva: «In ogni caso, è chiaro che le ricerche sul Faraone,

durante il regno del quale Israele si trasferì in Egitto e da esso se ne andò, sono un gioco sterile di

date e nomi» (op. cit. a [444], p. 103).

Ripetiamo ancora una volta la nostra domanda: forse nella Bibbia sotto il nome “Egitto” è

descritto un Paese completamente diverso da quello attuale?

La Bibbia elenca un gran numero di punti geografici toccati dagli Israeliani nel loro errare

quarantennale, seguito all’esodo “dall’Egitto”. Tuttavia gli archeologi a tutt’oggi non sono riusciti a

scoprire le tracce di questi insediamenti nei luoghi che la versione scaligeriana considera

corrispondenti a quelli descritti nella Bibbia.

Wright scrive: «Alcuni insediamenti possono essere identificati con un certo grado di probabilità

sulla strada che porta al Monte Sinai» ([444], p. 128). V. Stade, scrive: «Verificare il percorso scelto

da Israele ha lo stesso significato che avrebbe, nella canzone dei Nibelunghi, indagare sulla strada di

ritorno scelta dai burgundi durante il loro viaggio verso il re Etsel (Attila)».

L’egittologo Vladimir Spielberg, citando questa dichiarazione, aggiunge che «ancora oggi

possiamo mettere la firma sotto l’opinione di Stade» e che «la raffigurazione degli eventi seguiti

all’esodo, l’elenco dei singoli insediamenti durante il lungo vagabondaggio, il passaggio attraverso il

deserto è tutto una finzione» ([444], p. 132). In molti luoghi, considerati dagli studiosi con una certa

probabilità tappe del percorso degli Israeliti, da tempo si effettuano scavi intensivi e accurati, ma

[...] di documenti nessuna traccia!

L’episodio biblico della distruzione di Gerico è molto noto. Uno degli insediamenti arabi in

Medio Oriente fu identificato, infondatamente, con la famosa Gerico, le cui mura, secondo il testo

biblico, furono distrutte dal suono delle trombe. A partire dal secolo XIX in questa zona

cominciarono scrupolosi scavi effettuati da Zellin, Vattsinger, Garstang, il risultato, però, fu nullo.

Nel 1952, una spedizione archeologica anglo-americana sotto la guida di Kathleen Kenyon continuò

la ricerca di Garstang, ma, nuovamente, non furono trovati indizi che permettessero d’identificare il

sito archeologico con la biblica città di Gerico. Wright disse: «Le informazioni su Gerico furono

definite deludenti, ed è vero: non solo è difficile interpretare il racconto biblico su Gerico, ma è

anche impossibile identificare la storia della tradizione [...]. Il problema di Gerico rimane ora più

che mai un problema» [444].

Dopo Gerico, secondo quanto detto nella Bibbia, gli Israeliti presero la città di Ai. Anche il luogo

dove secondo i “calcoli” degli storici dovrebbe trovarsi Ai fu esaminato con grande cura ma i

risultati furono comunque scarsi. L’archeologo tedesco e biblista Anton Jirku [1213], esprimendo

rammarico per gli esiti infruttuosi della ricerca di Gerico, passa a commentare gli scavi presso la

presunta “Ai” affermando: «Lo scollamento tra le informazioni sull’allora successiva conquista di Ai

e i dati degli scavi è ancora peggiore» ([444], pp. 145-151). Secondo la Bibbia, capitale della

Giudea durante il regno di Saul era la città di Gabaon, o Hybe. Gli storici hanno ipotizzato che questa

città potesse essere identificata con le rovine emerse dagli scavi effettuati in prossimità della collina

di Tell el-Full, a 6 km a nord della moderna Gerusalemme. Tuttavia, come essi stessi ammettono,

«nella città riportata alla luce non si è conservata né una sola iscrizione, né alcun’altra chiara prova

che le rovine rinvenute siano i resti del palazzo di Saul o di una fortezza da quest’ultimo eretta»

([444], p. 158). Ci si chiede allora: ma il palazzo di Saul si trovava proprio lì?

Conclusione

Gli studi archeologici dimostrano che i libri dell’Antico Testamento non hanno trovato

testimonianze archeologiche certe della localizzazione geografica e temporale secondo la versione

proposta da Scaligero. Tutta la teoria “mesopotamica” della Bibbia è dunque in dubbio [544].

9.2. L’archeologia e il Nuovo Testamento

La situazione non è migliore con la localizzazione, accettata attualmente, degli eventi descritti nel

Nuovo Testamento e collocati in prossimità della moderna Gerusalemme. L’assenza di testimonianze

archeologiche relative al Nuovo Testamento e corrispondenti alla localizzazione scaligeriana degli

eventi viene motivata oggi dal fatto che presumibilmente negli anni 66-73 d.C. Gerusalemme fu rasa

al suolo e “agli ebrei fu vietato [...] circolare in prossimità della città [...]” ([444], p. 196). La storia

scaligeriana ritiene che in seguito, in questo luogo desolato, sorse l’insediamento di El-Quds (nome

locale), detto anche Elia Capitolina. E solo più tardi, progressivamente, «risorse l’antica

Gerusalemme».

«I resti storici risalenti ai tempi biblici», come per esempio il Muro del Pianto, mostrati oggi ai

turisti e ai pellegrini, non resistono nemmeno a una critica minima, data l’assenza totale di

testimonianze archeologiche e storiche.

In fig. 1.42 è mostrata un’antica miniatura, presumibilmente del 1470, raffigurante il saccheggio di

Gerusalemme da parte del re siriano Antioco Epifane. Come si vede, l’autore medievale della

miniatura ha raffigurato con disinvoltura la “Vecchia” Gerusalemme rappresentandola come una

tipica città medievale gotica, con i suoi edifici e le sue torri medievali, e con soldati anch’essi in

tipica armatura medievale.

Fig. 1.42. Antica miniatura, fatta risalire al 1470, tratta dal libro di Jean de Courcy, Chronique de la Bouquechardière o

Chronique d’histoire ancienne (British library): “Il saccheggio di Gerusalemme da parte del re siriano Antioco Epifane”. Qui

Gerusalemme è raffigurata come una città medievale gotica. Sulla guglia di una delle torri si vede la mezzaluna ottomana

(tratto da [1485], pp. 164-165, ill. 200).

Va notato qui che esistono altri punti di vista, oltre a quello di Scaligero. Per esempio, la Chiesa

cattolica, a partire presumibilmente dal XIII secolo d.C., ha dichiarato che nella città italiana di

Loreto si trova “la stessa casa”, dove era vissuta la Vergine Maria, e dove «le apparve l’Arcangelo

Gabriele» ([444], p. 198). Così affermando la versione cattolica trasferisce almeno una parte degli

eventi evangelici in Italia. Il documento più antico relativo alla “casa di Loreto” è la bolla di Urbano

VI, datata anno 1387. Nel 1891, il Papa Leone XIII, pubblicò un’enciclica in occasione del “600°

anniversario del miracolo di Loreto”. Considerando quest’anniversario, “il miracolo viene datato”

XIII secolo d.C. «Gli storici osservano che a tutt’oggi, Loreto è un luogo di pellegrinaggio [...] dei

credenti cattolici» ([970], p. 37).

A.Ja. Lencman riporta quanto segue sulle ricerche relative alla sepoltura, per esempio,

dell’apostolo Pietro:

«A partire dal 1940, e in particolare negli anni del dopoguerra, a Roma furono effettuati degli scavi sotto le cripte del Vaticano,

iniziati su richiesta di papa Pio XII. Alla fine degli anni Quaranta nella stampa, soprattutto cattolica, si diede ampio spazio alla

notizia che l’obiettivo era stato finalmente raggiunto [gli scavi probabilmente erano molto costosi; N.d.A.], e cioè che non solo era

stato rinvenuto il luogo di sepoltura dell’Apostolo Pietro ma erano stati scoperti anche dei resti del suo corpo [...].Tuttavia,

un’analisi obiettiva degli scavi Vaticani rivelò che tutte queste dichiarazioni [...] erano false. Si arrivò al punto che lo stesso Pio XII,

nel radiomessaggio del 23 dicembre 1950 fu costretto a riconoscere che “i resti di ossa umane ritrovati nella zona della tomba non

potevano essere identificati con sicurezza con le reliquie dell’Apostolo” ([471], pp. 45-49). “[...]Al margine del sepolcro furono

trovati resti di ossa umane, dei quali però non è possibile di provare con certezza che appartenessero alla spoglia mortale

dell’Apostolo” [radiomessaggio di Pio XII, 23 dicembre 1950; N.d.T.].

Non si può stabilire in nessun modo dove si trovi la città di Emmaus, dove presumibilmente Gesù apparve ai suoi discepoli dopo

la risurrezione, e nemmeno il punto geografico esatto del Monte Tabor, luogo della “trasfigurazione” di Gesù. Per gli archeologi è in

dubbio persino il Golgota» ([444], p. 201).

Otto Seeck nel suo libro Geschichte des Untergangs Antiken der Welt (Storia della caduta del

mondo antico, III, 1900) ha scritto: «Non abbiamo intenzione [...] di tracciare il Suo [di Gesù;

N.d.A.] destino terreno [...]. Tutte le questioni concernenti l’origine del cristianesimo sono così

difficili da trattare che siamo contenti dell’occasione e del diritto di evitarle» ([259], p. 46). È una

posizione comoda, che non ha niente in comune con la scienza.

L’archeologo A. Schwegler così riassume la situazione: «Qui comincia la tragedia del credente, la

cui prima necessità è sapere dove si trovi quel luogo sulla terra dove il suo Salvatore aveva vissuto e

sofferto. Purtroppo, però, dal punto di vista archeologico, il luogo della Sua [di Cristo; N.d.A.]

morte, è avvolto nel buio più profondo» ([444], p. 202).

È emerso che non c’è alcuna possibilità di stabilire con certezza la posizione, nel territorio della

Palestina moderna, della città di Nazareth, del Monte Golgota (Calvario), della città di Cafarnao,

ecc. ([444], pp. 204-205).

In conclusione, citiamo un’interessante sintesi della situazione:

«La lettura di testi dedicati all’archeologia del Nuovo Testamento fa una strana impressione. Decine e centinaia di pagine

ospitano le descrizioni dell’organizzazione degli scavi e dei siti archeologici, l’aspetto dei luoghi di scavo e degli oggetti rinvenuti, lo

sfondo storico e biblico di un certo soggetto, ma in conclusione, quando si arriva al momento della relazione sui risultati di tutto il

lavoro, si legge uno scioglilingua di frasi vaghe e chiaramente confuse da cui si evince che il problema non è ancora risolto, ma che

si spera di arrivare a una sua futura risoluzione ecc. Si può affermare con la massima sicurezza e in forma categorica che nessuno,

letteralmente nessuno dei soggetti del Nuovo Testamento abbia finora trovato una convincente conferma archeologica [secondo la

versione cronologica e la localizzazione scaligeriane; N.d.A.]. Ciò riguarda pienamente, nella fattispecie, la personalità e la biografia

di Gesù Cristo. Nessun luogo, considerato per tradizione scena di uno o dell’altro degli eventi del Nuovo Testamento, può essere

indicato come autentico con una minima percentuale di affidabilità» ([444], pp. 200-201).

E di nuovo la domanda sorge spontanea: ma è giusto cercare le tracce degli avvenimenti descritti

nel Nuovo Testamento in Palestina, in Medio Oriente? Forse hanno avuto luogo altrove?

10. Difficoltà della localizzazione geografica di molti eventi dell’“Antichità”

10.1. Dove si trovavano Troia e Babilonia

Notevoli difficoltà accompagnano i tentativi di fissare la corretta ubicazione geografica di molti

eventi antichi.

A titolo d’esempio, Napoli, nel senso letterale, della sua traduzione dal greco come “città nuova”,

è presente in antiche cronache in più varianti di città:

1. la Napoli italiana, che esiste oggi;

2. Cartagine, che in traduzione significa “città nuova” ([938], p. 13, B,162-165);

3. Napoli in Palestina ([268], p. 130);

4. la Napoli degli Sciti (vedi la raccolta del Museo Storico Statale di Mosca);

5. la Nuova Roma, cioè Costantinopoli o Zar-Grad (anch’essa poteva venire chiamata Città Nuova,

cioè Napoli).

Pertanto, quando in una cronaca si racconta di eventi avvenuti a “Napoli”, si dovrebbe chiarire

precisamente di quale Napoli si tratti.

Facciamo un altro esempio: Troia. Una delle ubicazioni geografiche attualmente adottate e

relativa alla famosa Troia omerica, colloca la città nei pressi dello stretto di Ellesponto. Anche per

quanto riguarda l’Ellesponto, tuttavia, esistono varie versioni di localizzazione. Sulla base di questa

ipotesi, e cioè che presumibilmente le rovine di Troia si trovino presso l’Ellesponto, H. Schliemann

nel XIX secolo, senza seri fondamenti, assegnò il clamoroso nome di “Troia” a uno scarso

insediamento di circa 100 per 100 m, da lui portato alla luce nell’area dell’Ellesponto ([443], p.

107). Nel dettaglio la questione è trattata nel nostro Antičnost’ – eto srednevekov’e, (L’Antichità è il

Medioevo, t. 1, capitoli 5, 11).

Nella cronologia di Scaligero si ritiene che la Troia omerica sia stata definitivamente distrutta tra

i secoli XII-XIII a.C. [72]. Tuttavia, nel Medioevo, godeva di un’ottima reputazione, per esempio, la

città di Troia, attualmente comune della provincia di Foggia, in Puglia [196]. Questa cittadina

medievale ebbe a suo tempo un ruolo importante in molti conflitti medievali, soprattutto nella famosa

guerra del XIII secolo d.C. Di Troia, intesa come città medievale esistente, parlano anche alcuni

storici medievali bizantini, come per esempio Niceta Coniata ([934] vedi 5, p. 360), e Niceforo

Gregorio ([200], vol. 6, p. 126).

Tito Livio, nondimeno, indica il luogo di “Troia” e “della regione di Troia” in Italia ([482], vedi

1, pp. 3-4, libro 1, n. 1) e scrive che i Troiani sopravvissuti alla caduta di Troia, sbarcarono in Italia

e il luogo in cui sbarcarono per la prima volta, fu chiamato Troia, da cui prese il nome anche la zona

limitrofa. «Enea [...] si trasferì [...] in Sicilia e di lì approdò con la sua flotta nell’agro Laurente. E

anche questo posto ricevette il nome di Troia» ([482], vedi Tito Livio, Storia di Roma, libro I; in

traduz. russa 1, pp. 3-4, libro 1, n. 1).

Alcuni storici medievali identificano Troia con Gerusalemme (per esempio [10], pp. 88, 235,

162, 207). È un fatto che confonde gli storici moderni, che scrivono: «E il libro stesso di Omero si è

inaspettatamente trasformato [nel testo medievale, al momento della descrizione dell’arrivo di

Alessandro a Troia; N.d.A.] [...] in un libro “sulla distruzione di Gerusalemme dall’inizio alla fine”»

([10], [162]).

L’autrice bizantina Anne Komnene, parlando di Itaca, patria dell’Ulisse omerico, uno degli eroi

principali della guerra di Troia, dichiara inaspettatamente che, nell’isola di Itaca, «fu fondata una

grande città chiamata Gerusalemme» ([419], t. 2, pp. 274-285). Com’è da intendere

quest’informazione? La Gerusalemme attuale, infatti, non è ubicata in un’isola.

Il secondo nome di Troia è Ilio. Il secondo nome di Gerusalemme, invece, è Elia Capitolina

([544], vol. 7). Quindi, nei nomi di entrambe le città è presente uno stesso termine: Elia-Ilio. Può

darsi che nel Medioevo una stessa città venisse chiamata da alcuni Troia-Ilio, e da altri

Gerusalemme-Elia. Eusebio Panfilo ha scritto: «Piccole città della Frigia, Petuzu [Pepuzu; N.d.A.] e

Timion le chiamava Gerusalemme [N.d.A.] [...]» ([544], p. 893).

Tutti questi fatti indicano che il nome di Troia “si è moltiplicato” nel Medioevo e veniva

applicato a diverse città. Forse in origine esisteva un unico “originale” medievale? A questo

proposito non si può non prestare attenzione ai dati seguenti, conservati nella storia scaligeriana e

sufficienti per permettere d’ipotizzare che la Troia omerica fosse probabilmente la città di

Costantinopoli (Zar-Grad), ben nota a tutti.

Dai dati a disposizione, per esempio, emerge che l’imperatore romano Costantino il Grande,

fondando la Nuova Roma, la futura Costantinopoli, cercava di andare incontro alla volontà dei suoi

cittadini e “scelse all’inizio il posto dell’antico Ilio, patria dei primi fondatori di Roma”. Così infatti

riporta il famoso storico turco Jalal Essad nel suo libro Costantinopoli ([240], p. 25). Ma Ilio, come

si sa bene dalla storia scaligeriana, è solo un altro nome per Troia. Come dicono ancora gli storici,

l’Imperatore Costantino però “cambiò idea” e decise di spostare un po’ la nuova capitale e di

fondare la Nuova Roma non lontano, nella città di Bisanzio. Evidentemente ci si scontra qui con le

tracce del fatto che nel Medioevo, la stessa famosa città ubicata sul golfo del Bosforo veniva

chiamata con nomi diversi: Troia, Nuova Roma, Zar-Grad, Gerusalemme [...]. Dopo tutto, anche il

nome stesso di Napoli si traduce semplicemente come “Città Nuova”. Forse anche la Nuova Roma

era stata chiamata in precedenza Città Nuova cioè Napoli?

Ricordiamo che il sud dell’Italia nel Medioevo era chiamato Magna Grecia (Eusebio Panfilo),

([267], pp. 282-283).

Oggi si ritiene che la città di “Babilonia” sia situata nella moderna Mesopotamia, ma di tutt’altra

opinione erano alcuni testi medievali. Ad esempio, il famoso libro Serbskaja Aleksandrija

(L’Alessandria serba) colloca Babilonia in Egitto, non solo, ma localizza in Egitto anche la morte di

Alessandro il Macedone. Secondo la versione di Scaligero, invece, Alessandro il Macedone sarebbe

morto in Mesopotamia ([10], p. 255).

Risulta inoltre che: «Babilonia è il nome greco di un insediamento, situato di fronte alle piramidi

[la Torre di Babele?; N.d.A.]. [...] In epoca medievale con questo nome veniva a volte designato Il

Cairo [...]» ([464], p. 45). Il nome Babilonia ha una traduzione dotata di senso, così come molti nomi

di altre città, perciò questo termine poteva essere applicato a città differenti.

Fig. 1.43. Antica miniatura fatta risalire al 1470, tratta dal libro di Jean de Courcy, Chronique de la Bouquechardiére o

Chronique d’histoire ancienne (British library): “L’antichissimo” re Nimrod “nell’antica” Babilonia. Babilonia è raffigurata come

unà città medievale gotica con elementi di architettura musulmana, come osservano i commentatori moderni (tratto da

[1485], pp. 164-165, ill. 199).

Che Roma venisse chiamata Babilonia ce lo comunica Eusebio ([267], p. 85). Non solo, ma

«sotto il nome di “Babilonia” gli storici bizantini [nel Medioevo; N.d.A.] nella maggior parte dei casi

intendono Bagdad» ([702], p. 266, commento 14).

Come di una città esistente e non affatto distrutta parla Michail Psellus, autore medievale,

presumibilmente vissuto nell’XI secolo ([702], p. 9).

Nella fig. 1.43 è riportata un’antica miniatura, fatta risalire al 1470, raffigurante “l’antica”

Babilonia come una tipica città gotica medievale. Sulla destra si può vedere un momento della

costruzione della Torre di Babele. Anche “l’antico” re Nimrod è raffigurato come un cavaliere

medievale, in armatura. I commentatori moderni cercano di convincerci che l’autore medievale abbia

semplicemente dato libero sfogo alla sua fantasia e abbia disegnato “quello che non c’era”. Così

scrivono: «Sulla sinistra si vede Babilonia, presentata come una fantastica città gotica con elementi

di architettura musulmana. Il gigante in posizione centrale è Nimrod. A destra si vede la

raffigurazione di un momento della costruzione della Torre di Babele» ([1485], p. 164). Tuttavia, è

probabile che non si tratti di fantasie ma di un riflesso più o meno fedele di una realtà medievale.

L’artista capiva quello che stava disegnando.

10.2. La geografia di Erodoto combacia a malapena con la versione scaligeriana

Ecco alcuni esempi tratti da Erodoto. Il significato dell’opera di Erodoto, per la storia

scaligeriana è enorme. Ebbene, Erodoto scrive che il fiume africano Nilo scorre parallelamente al

fiume Istra, che attualmente è identificato con il Danubio, ([163], p. 492) e per qualche ragione non

con il Dnestr, per esempio. In seguito però si scopre che «l’idea che il Danubio fosse parallelo al

Nilo era diffusa nell’Europa medievale fino alla fine del XIII secolo d.C.» ([163], p. 493). In questo

contesto “l’errore di Erodoto” risulta medioevale.

Erodoto scrive ancora: «I Persiani abitano l’Asia fino al Mare del Sud, chiamato Rosso» ([163],

allegato, libro 4, commento 37, p. 196). Secondo la geografia scaligeriana oggi adottata, il Mare del

Sud è il Golfo Persico. Descrivendo la penisola, considerata oggi dagli storici Penisola Arabica,

Erodoto scrive: «Questa penisola comincia in terra persiana e si estende fino al Mar Rosso» ([163]

libro 4:39, p. 196). Qui sembra tutto corretto, ma ciò entra in contraddizione con l’opinione degli

storici in base alla quale il Mar Rosso corrisponderebbe al Golfo Persico in Erodoto [163]. Proprio

per questo un commentatore moderno “corregge” Erodoto scrivendo: «Qui [il Mar Rosso; N.d.A.], è

il Golfo Persico» ([163], libro 4:34).

Andiamo avanti. Il Mar Rosso, nella sua accezione moderna, potrebbe «estendersi sopra i

Persiani, secondo quanto scrive Erodoto» ([163], libro 4:40) solo a una condizione e cioè solo nel

caso in cui la carta geografica di Erodoto sia capovolta rispetto alla carta geografica moderna. Tra

l’altro in molte carte geografiche medievali il Nord e il Sud sono invertiti, come spiegheremo nel

paragrafo successivo. Per questo motivo gli storici moderni sono stati costretti a identificare il Mar

Rosso con il Golfo Persico ([163], allegato, libro 4, commento 36) anche se va detto che il Golfo

Persico si trova più in basso o più a oriente rispetto alla terra persiana ma in nessun modo più in

alto. Questo stesso mare, (citato da Erodoto nel suo libro 2:102), è stato identificato dagli storici con

tutto l’Oceano Indiano (vedi [163], allegato, libro 2, commento 110). E di nuovo vediamo la

sostituzione dell’Est con l’Ovest. Ciò significa che la carta di Erodoto è girata? Nel suo libro 4:37

Erodoto identifica il Mar Rosso con quello del Sud, come si diceva sopra e ciò ha definitivamente

confuso i commentatori moderni, che cercavano d’inscrivere Erodoto nel quadro della geografia

scaligeriana nonché nella disposizione della carta attualmente adottata. Gli studiosi sono quindi ora

costretti a identificare (vedi libro 4:13) il Mar Rosso, cioè il Mare del Sud, con il Mar Nero [163,

allegato libro 4, commento 12]. E di nuovo vediamo una sostituzione dell’Oriente con l’Occidente

rispetto ai Persiani.

Abbiamo quindi visto che l’identificazione dei dati geografici di Erodoto con quelli emergenti

dalla carta scaligeriana si scontra con notevoli difficoltà. Nella fattispecie, i numerosi emendamenti

che gli storici moderni sono costretti a fare in queste identificazioni, dimostrano che la carta di

Erodoto presumibilmente è invertita rispetto a quella contemporanea cioè confonde l’est con l’ovest,

curiosamente in linea con l’orientamento invertito tipico di molte carte medievali [1468].

Abbiamo inoltre visto che i commentatori sono stati costretti a ritenere che in diversi passaggi

della sua Storia, Erodoto indica con gli stessi nomi bacini d’acqua completamente diversi. Per

esempio, secondo gli storici contemporanei si è costretti a pensare che Erodoto abbia identificato i

seguenti mari: il Mar Rosso = Mare del Sud = Mar Nero = Mare del Nord = Mar Mediterraneo =

Golfo Persico = Mare Nostrum = Oceano Indiano ([163], allegato, commenti 34, 36, 110).

Suonano stranamente, nelle pagine della Storia “dell’antico” Erodoto, i ripetuti riferimenti ai

“crestonei” e “crestoni”, alla città di Creston, alla regione di Crossea ([163], 01:57, p. 27; 5:3, p.

239, 5-5, p. 240; 7:123, p. 344, 7:124, pp. 344-345, 7:127, p. 345; 8:116, p. 408, p. 571). È difficile

ignorare l’impressione che qui si stia trattando dei crociati medievali [krest, in russo significa croce;

N.d.T.]. Detto per inciso, “cross” (croce), è un termine medievale, “crociato”.

Fig. 1.44. Antica carta girata del Mar Nero. Portolano del genovese Pietro Vesconte, fatto risalire al 1318 ([1468], p. 3). Sono

stati evidenziati i punti sulla costa del Mar Nero. Al centro della carta è scritto Pontus Exinus (Ponto Eusino). Il Nord si trova

in basso, il Sud in alto, l’Oriente a sinistra. [...]. Sulla carta di Vesconte la penisola di Crimea, nella fattispecie, è raffigurata al

contrario rispetto alla posizione che siamo soliti rappresentare oggi, in una carta moderna (tratto da [1468], carta 3).

Fig. 1.45. Vecchia carta girata di una parte del mar Mediterraneo. Portolano di Pietro Vesconte fatto risalire al XIV [1468]. Il

Nord è in basso, l’Oriente è a sinistra (tratto da [1468], carta 4).

Siamo dunque sicuri che gli eventi descritti da Erodoto siano stati correttamente datati? Sul

soggetto in realtà raccontato da Erodoto scriviamo nei nostri libri Christos i Rossija glazami

drevnych grekov (Cristo e la Russia visti con gli occhi degli “antichi greci”) e Zavoevanie Ameriki

Ermakom-Kortesom i mjatež Reformacij glazami “drevnych” grekov (La Conquista dell’America

da parte di Ermak-Cortes e la ribellione della Riforma viste con gli occhi degli “antichi greci”).

10.3. Le carte medievali “girate”

In una carta moderna l’Oriente è posto a destra e l’Occidente a sinistra. Molte carte medievali,

invece, erano invertite, ovvero, più precisamente, l’Oriente veniva raffigurato a sinistra mentre

l’Occidente era a destra. Così appaiono molte carte nautiche medievali, fatte risalire al XIV secolo,

come quelle di Pietro Vesconte, presentate nell’atlante [1468]. Riportiamo alcune delle vecchie

carte genovesi “girate” (nelle figg. 1.44, 1.45, 1.46 e 1.47). È probabile che queste carte nautiche

venissero usate a scopi militari e commerciali.

Perché le vecchie mappe, soprattutto quelle nautiche, spesso rappresentavano l’Oriente (Est) a

sinistra, e l’Occidente (Ovest) a destra, di conseguenza con il Sud in alto e il Nord in basso?

Potrebbe darsi che così fosse perché i primi navigatori europei uscivano in mare da porti situati sulla

sponda europea del Mar Nero, del Mar d’Azov e del Mar Mediterraneo, cioè da una direzione da

Nord a Sud: davanti si estendeva il sud e dietro, allontanandosi, rimaneva il nord. Il capitano della

nave che usciva dal Bosforo verso il Mediterraneo, guardava avvicinarsi le coste dell’Africa. Per

questo a sinistra aveva l’Oriente e a destra l’Occidente.

Forse dunque per questo motivo molte delle prime carte militari e commerciali collocavano

l’Oriente a sinistra, mentre i territori che si trovavano davanti venivano per comodità rappresentati

sulla carta in alto. In questo modo la direzione del movimento coincideva con la direzione dello

sguardo sulla carta.

Fig. 1.46. Vecchia carta girata della Spagna e di una parte dell’Africa. L’Africa è in alto, la Spagna è in basso. Il Nord è in

basso e l’Oriente è a sinistra. Portolano del genovese Pietro Vesconte fatto risalire al XIV secolo circa [1468]. Probabilmente

si tratta di carte risalenti ai secoli XV-XVI (tratta da [1468], carta 8).

11. Analisi moderna della geografia biblica

Il fatto che molti testi biblici descrivano chiaramente dei fenomeni vulcanici è stato osservato da

tempo. Il termine biblico “Sion” è stato interpretato dai biblisti come colonna ([544, vol. 2]).

L’identificazione dei monti Sion, Sinai e Horib è ben nota sia in teologia che negli studi biblici. In

particolare, Geronimo ha detto: «Penso che una stessa montagna sia chiamata con due nomi, a volte

Sinai, a volte Horiv» ([268], p. 129).

I. Pomjalovskij ha scritto: «Nell’Antico Testamento ci sono molti passaggi in cui esso [il monte

Horib; N.d.A.] è identificato con il Sinai» ([268], p. 326). È possibile intendere la traduzione del

termine “montagna Sion” come una “Montagna colonnata” o “montagna della colonna” ([544], vol.

2). Le descrizioni bibliche indicano inequivocabilmente il monte Sion-Sinai-Horib come un vulcano.

In questo caso, “la montagna della colonna” acquisterebbe un significato chiaro e presumibilmente

quello di una colonna di fumo sopra il vulcano. Impieghiamo a volte l’apposizione Tonante, in

relazione a Dio, (vedi più in basso, [544], v.2), dove viene analizzata la questione di detta traduzione

del nome biblico corrispondente.

Fig. 1.47. Vecchia carta girata dell’Inghilterra e della Francia. La Francia è in alto, l’Inghilterra è in basso. L’Oriente è a

sinistra. Portolano del genovese Pietro Vesconte fatto risalire al XIV secolo circa ([1468] tratto da [1468], carta 10).

Nella Bibbia si legge:

«E l’Eterno disse a Mosè: “Ecco, io verrò a te in una folta nuvola[...]. Sul monte Sinai [...] quando il corno suonerà a distesa

(quando la nuvola si allontanerà dal monte), allora [le genti; N.d.A.] salgano pure sul monte” [...]. Come fu mattino, cominciaron

de’ tuoni, de’ lampi, apparve una folta nuvola sul monte (Sinai), e s’udì un fortissimo suon di tromba [...] or il monte Sinai era tutto

fumante, perché l’eterno v’era disceso in mezzo al fuoco; e il fumo ne saliva come il fumo d’una fornace e tutto il monte tremava

forte [...] il suon della tromba s’andava facendo sempre più forte. Mosè parlava, e Dio gli rispondeva con una voce» (Es

19,9.11.13.16.18-19) e più avanti: «Or tutto il popolo udiva i tuoni, il suon della tromba e vedeva i lampi e il monte fumante» (Es

20,18).

In fig. 1.48 è riportata un’antica stampa tratta da una Bibbia fatta risalire al 1558 (Biblia Sacra).

L’autore medievale ha rappresentato Mosè che sale la montagna in fiamme.

Fig. 1.48. Mosè sale sulla cima di una montagna fumante, disegno tratto da una Bibbia fatta risalire al 1558 (Biblia Sacra,

tratto da [544], t. 2, p. 210, ill. 94).

E ancora:

«[...] comparisti davanti all’Eterno, all’Iddio tuo, in Horeb [...] e il monte era tutto in fiamme, che s’innalzavano fino al cielo; e

v’eran tenebre, nuvole e oscurità. E l’Eterno vi parlò di mezzo al fuoco; voi udiste il suono delle (Sue) parole, ma non vedeste

alcuna figura; non udiste che una voce» (Dt 4,10-12).

La fine delle città bibliche di Sodoma e Gomorra già da tempo è considerata nella storia la

conseguenza di un’eruzione vulcanica. La Bibbia dice:

«Allora l’Eterno fece piovere dai cieli su Sodoma e Gomorra zolfo e fuoco [...] ed ecco vide un fumo che si levava dalla terra,

come il fumo d’una fornace» (Gn 19,24.28).

Fig. 1.49. Incisione di A. Durer, La distruzione di Sodoma e Gomorra. Come c’era da aspettarsi qui è raffigurata la potente

eruzione vulcanica che distrusse le città bibliche (tratto da [1234], xilografia 40).

Nell’incisione dell’artista medievale A. Durer, La distruzione di Sodoma e Gomorra è

rappresentata abbastanza chiaramente la forte eruzione vulcanica che distrusse le città, (vedi fig.

1.49): si vede bene la montagna e, sulla sua sommità, il cratere da cui fuoriesce una fontana di fuoco

e pietre. Ai piedi del vulcano sono raffigurate le città morenti.

Prendiamo ancora ad esempio le Lamentazioni di Geremia, dove si descrive la distruzione di

Gerusalemme. Gli studiosi ritengono che qui sia stato descritto l’attacco dei nemici alla città,

nonostante numerosi siano, nelle Lamentazioni, i frammenti del genere:

«[...] il Signore nella sua collera! Dall’alto del cielo ha gettato a terra, lei, gloria d’Israele (Sion). Quando la sua collera si è

abbattuta su Gerusalemme egli ha dimenticato che essa era lo sgabello per i suoi piedi. Il Signore ha distrutto senza pietà tutti i

villaggi del suo popolo, ha demolito con ira [...] nel suo popolo ha acceso un fuoco che ha divorato tutto all’intorno» (Lam 2,1-3).

E più avanti, nei capitoli 3 e 4:

«[...] Io sono l’uomo che ha conosciuto la miseria sotto i colpi furiosi del Signore. Egli mi ha fatto camminare nelle tenebre, non

nella luce. Continua a colpirmi un giorno dopo l’altro. 4Mi ha ridotto a uno scheletro e ha rotto le mie ossa. [...] Mi ha gettato

nell’oscurità come chi è morto da lungo tempo. [...] Mi ha fatto sbattere i denti sulla sabbia, e mi ha schiacciato nella polvere [...].Ti

sei nascosto dietro una nuvola [...] per non essere raggiunto dalle nostre preghiere [...]. Come mai le pietre del tempio sono

sparpagliate ad ogni angolo di strada? [...] I peccati del mio popolo sono più grandi di quelli commessi a Sodoma, distrutta in un

attimo senza il tempo di reagire [...]. Ora [i sopravvissuti; N d.A.] sembrano più neri della fuliggine, non si riconoscono più per le

strade. Hanno solo pelle raggrinzita sulle ossa, pelle secca come corteccia d’albero. Il Signore è giunto al colmo della sua ira, ha

riversato la sua collera ardente. Ha acceso in Sion un incendio che ha divorato le sue fondamenta [cioè le montagne ai suoi piedi;

N.d.A.]» (Lam 3,1-2; 3,4.9.16.43-44; 4,1.6.8.11).

I teologi insistono sulla natura allegorica di questo lavoro, ciononostante si può leggere il testo in

senso letterale, cioè parola per parola e cogliere quindi, tra le altre cose, la descrizione della

distruzione di una grande città (capitale?) per effetto di una potente eruzione vulcanica. Di tali

“fenomeni vulcanici” nella Bibbia se ne contano abbastanza. Eccone l’elenco, compilato da V.P.

Fomenko e T.G. Fomenko:

Gn 19,18.24; Es 13,21-22; Es 14,18; Es 20,15; Es 24,15-17; Nm 14,14; Nm 21,28; Nm 26,10; Dt

4,11.36; Dt 5,19-21; Dt 9,15.21; Dt 10,4; Dt 32,22; 2 Sam 22,8-10.13; 1 Re 18,38-39; 1 Re 19,11-12;

2 Re 1,10-12.14; Ne 9,12.19; Sal (Sal 2, v. 6; Sal 106, v. 17; Sal 106, v. 18); Ez 38,22; Ger 48,45;

Lam 2,3; Lam 4,11; Is 4,5; Is 5,25; Is 9,17-18; Is 10,17; Is 30,30; Gi 2,3.5.10. Qui usiamo i nomi dei

libri della Bibbia adottati presso “gli Ebrei”.

L’attribuzione di queste descrizioni al Monte Sinai e a Gerusalemme in Palestina è quanto meno

strana, giacchè “il monte Sinai” ubicato nell’attuale penisola del Sinai non è mai stato un vulcano. E

allora dove sono avvenuti questi eventi?

È sufficiente studiare la carta geologica dei dintorni del Mediterraneo ([440], pp. 380-381, 461).

Nella penisola del Sinai, in Siria e in Palestina non ci sono vulcani attivi. Ci sono solo zone “di

vulcanismo terziario e quaternario”, come nei dintorni, per esempio, di Parigi. In epoca storica, dopo

l’inizio dell’era cristiana, in queste zone, non è stato registrato nessun tipo di attività vulcanica.

L’unica zona vulcanica potente e a tutt’oggi attiva è quella dell’Italia e della Sicilia. L’Egitto e il

Nord Africa non hanno vulcani [440]. Quindi, per capire la situazione, dobbiamo individuare:

1) un vulcano potente, che si trovasse in epoca storica in uno stato di attività;

2) una capitale in rovina, nei pressi del vulcano (vedi le lamentazioni di Geremia);

3) altre due città distrutte da un vulcano, Sodoma e Gomorra, nei pressi dello stesso.

Ebbene, nella regione del Mediterraneo un vulcano con tali caratteristiche esiste ed è proprio uno:

il Vesuvio. È uno dei vulcani più attivi dell’epoca storica. Ai suoi piedi si trova la famosa città di

Pompei, sepolta dall’eruzione [...] (era forse la capitale?), nonché due città distrutte: Stabia (forse

Sodoma?) ed Ercolano (forse Gomorra?).

Morozov riteneva che il nome Sinai per il Vesuvio derivasse dal latino antico sino, in latino

sinus, cioè “la montagna dell’insenatura”, e il nome Horib dal latino horribilis, orribile. Morozov

[544] fece un’analisi interessante, che permette di leggere il testo senza vocali di alcuni frammenti

della Bibbia, nell’ipotesi di una collocazione del Monte Sinai-Horeb-Sion in Italia. Riportiamo

alcuni singoli esempi. La Bibbia dice: «Il Signore [...] ci ha parlato sull’Horeb: [...] L’Eterno, l’Iddio

nostro, ci parlò in Horeb e ci disse: “Voi avete dimorato abbastanza in queste montagne; voltatevi,

partite e andate [...]. Nel paese di Knun (dei Cananei) [...]» (Dt 1,6-7).

I teologi vocalizzano Knun come Canaan e fanno corrispondere il deserto alle coste del Lago

Morto, però sembra possibile anche un’altra vocalizzazione: Knun-Kenua invece di Genova, cioè la

zona di Genova, in Italia. Inoltre, il termine Canaan richiama anche Khan (terra dei Khan). Nella

Bibbia si dice «nel paese de’ Cananei, e nel Libno [...]» (Dt 1,7). I teologi vocalizzano Lbnun come

Libano, ma Lbnun spesso significa bianco, equivarrebbe cioè a Monte Bianco, montagna Bianca. La

Terra di Canaan, infine, potrebbe anche significare la terra dei Khan.

Nella Bibbia si dice: «[...] voltatevi, partite e andate [...], fino al gran fiume, il fiume Prt [...]». I

teologi hanno vocalizzato Prt come Eufrate, tuttavia, dietro al Monte Bianco, scorre il fiume Danubio

che ha un grande affluente chiamato Prut.

Nella Bibbia si legge: «Poi partimmo dallo Horeb e attraversammo tutto quel grande e

spaventevole deserto [...]» (Dt 1,19).

Infatti, in Italia, accanto al Vesuvio-Horeb, si estendono i famosi Campi Flegrei, vasta area

bruciata piena di piccoli vulcani, fumarole e strati di lava.

Dice la Bibbia: «Poi partimmo dallo Horeb e attraversammo tutto quel grande e spaventevole

deserto che avete veduto [...] e giungemmo a Kds B-rn» (Dt 1,19). Kds B-rn è stato vocalizzato dai

teologi come Kadesh Barnea, ma sono ammissibili altre letture, per esempio Cadix sul Rodano [544.

t. 2. p. 166] che è forse l’attuale Ginevra, oppure anche la città bulgara di Varna.

Dice la Bibbia: «[...] Poi tornammo indietro [...] e girammo attorno al monte Seir per lungo tempo

[...]» (Dt 2,1). La parola Seir è stata lasciata dai teologi senza traduzione, ma se la si traducesse, si

otterrebbe: Dorsale del diavolo, Montagna del Diavolo ([544], vol. 2, p. 166). Ebbene, proprio una

montagna con questo nome si trova nella regione del lago di Ginevra, è il Diablerets, la Montagna del

Diavolo. E i Figli di Lot incontrati per la strada, potrebbero anche essere i Latini, cioè lt senza

vocalizzazione ([544], vol. 2, p. 167).

La Bibbia dice: «Levate l’accampamento e passate la valle dell’Arnn [...]» (Dt 2,24). Nella

traduzione sinodale si riporta: Arnon. Ma potrebbe trattarsi del fiume a tutt’oggi esistente in Italia,

l’Arno.

Nella Bibbia è scritto: «Poi ci voltammo, e salimmo per la via di Basan [...]» (Dt 3,1). La città di

Vassan o Vasan è costantemente menzionata nella Bibbia. Sorprendente ma vero: in Italia esiste la

cittadina di Bassano.

La Bibbia riporta: «[...] e Og, re di Basan, con tutta la sua gente, ci venne incontro per darci

battaglia ad Adrei [Edrei, nella traduzione sinodale; N.d.A.]» (Dt 3,1). Ma Adria esiste a tutt’oggi, e

si trova presso le foci del Po e il fiume Po, detto per inciso, veniva spesso chiamato dagli autori

latini Iordan-Eridanus ([544], t. 2) e ciò combacerebbe perfettamente con la designazione biblica per

il Giordano Irdn ([544], t. 2, p. 167).

La Bibbia dice: «Gli prendemmo in quel tempo tutte le sue città [...] sessanta città [...]» (Dt 3,4).

Effettivamente, in questa regione, già nel Medioevo esistevano tante grandi città: Verona, Padova,

Ferrara, Bologna eccetera.

Nella Bibbia sta scritto: «[...] dal torrente (Arn) Arno [Arnon nella traduzione sinodale; N.d.A.] al

monte Xrmun [“al monte Ermon” secondo la traduzione sinodale; N.d.A.]» (Dt 3,8). I monti Xrmun

potrebbero anche essere vocalizzati come le montagne germaniche.

La Bibbia dice: «Og, re di Basan, era rimasto l’unico superstite [...]. Ecco il suo letto [cioè: bara;

N.d.A.] un letto di ferro, non è forse a Rabba [...] [traduzione sinodale; N.d.A.]» (Dt 3,11). Qui non

solo è citata Ravenna (la Rabba biblica) ma anche il famoso mausoleo del re gotico Teodorico (og

sta per goti?) ubicato per l’appunto a Ravenna. Si ritiene che Teodorico sia vissuto negli anni 493-

526 d.C. sì che questo testo biblico potrebbe essere apparso non prima del VI secolo d.C. anche

tenendo conto della cronologia scaligeriana.

Uno degli accampamenti dei “guerrieri di Dio” cioè degli israeliti durante il loro vagabondaggio

fu chiamato Tbree, “Tabera” secondo la traduzione sinodale (vedi Nm 11,3). Considerando le

precedenti ipotesi d’identificazione, si potrebbe riconoscere nel termine Tbree il famoso fiume

italiano Tevere, Tvr, senza vocalizzazione. Più avanti Zn (Sn) potrebbe essere Siena, a Sud-Est di

Livorno. Il Biblico Ebron (Hev-Rhone? - Hb-Pr) (Gn 23,2) è, forse, Gorgo du Rhone ([544], vol. 2,

pp. 229-237). Le vallate del Viso, sono chiamate nella Bibbia Vus o Iebus (Gdc 19,10). La città di

Roma è nominata nella Bibbia come Rama (Gdc 19,13). E tutto questo, tra l’altro,è contenuto nella

traduzione sinodale.

Non è dunque da escludere che alcuni degli eventi descritti nella Bibbia e precisamente il viaggio

degli Israeliti guidati da Mosè e la successiva conquista da parte loro della “terra promessa”, sotto la

guida di Gesù Navin, si siano verificati non nella moderna Palestina ma in Europa, nella fattispecie

in Italia. Molte domande sorgono per quanto riguarda la posizione geografica degli “antichi” Stati

menzionati nella Bibbia. Nella Bibbia, per esempio, si parla molto dell’antica Fenicia e delle sue

città Tiro e Sidone. Tuttavia, tenendo in considerazione l’ipotesi di una lettura (interpretazione)

medievale di molti nomi biblici, non si può non prestare attenzione al fatto che Venecia poteva essere

letta come Venezia, nella versione romanica, ma anche come Fenekia o Finicia nella versione

germanica. Ricordiamo che V è fau la pronuncia in tedesco della lettera V, mentre i suoni Z e K

venivano spesso scambiati, pensiamo anche a Cesare nell’accezione latina con il suono duro

“Kaesar” e Cesare (in russo si evolve in C (pronuncia italiana Z) da cui Zar (traslitterazione dal

cirillico “car’). Pertanto si fa strada l’ipotesi che la Fenicia Biblica fosse la Venezia medievale, la

potente e famosa Repubblica Marinara.

In effetti, secondo la Bibbia, “l’antica” Fenicia era una potenza marittima, che regnava su tutto il

Mediterraneo e che aveva fondato una serie di colonie in Sicilia, Spagna e Africa. “Gli antichi”

Fenici avevano estesi rapporti commerciali con Paesi lontani, si legga, ad esempio, il libro di

Ezechiele, cap. 27. A tutti questi dati biblici corrispondeva perfettamente la potente Repubblica

medievale di Venezia. La storia scaligeriana, però, sostiene che le grandi città “dell’Antica Fenicia”

erano le moderne città di Tiro e Sidone (Saida). Vediamo allora se queste città corrispondono alle

lussureggianti descrizioni bibliche. A questo fine prendiamo in esame un portolano del XIX secolo,

una guida per i naviganti [494]. Su Saida (Seida) si dice:

«Nel 1818 la città aveva 1600 persone [...]. A Sud della città c’è una piccola baia [...]. Il molo, appena visibile oggi, era in

precedenza un piccolo porto, attualmente interamente coperto dalla sabbia [...]. La peste infuria qui a volte con una forza terribile

[...]. A Seida non si sono conservati i resti della sua precedente grandezza [...]. Dal bordo meridionale si estende una barriera,

mentre il margine settentrionale è caratterizzato da un basso fondo [...]. Tra la città e l’isola la profondità è irregolare [...]il

passaggio è stretto e il terreno è roccioso. In città non si può far rifornimento di acqua, perché una scialuppa di grandi dimensioni

non può avvicinarsi alla riva» ([494], Op. A [544], vol. 2, p. 637).

La cittadina è situata presso la foce di un piccolo fiume non navigabile; la principale fonte di

sopravvivenza nel XIX secolo era costituita da frutteti. La posizione strategica è senza speranza.

Durante le Crociate la città era passata liberamente di mano in mano e non era mai stata famosa come

centro indipendente di scambi e commerci ([544], vol. 2). Tutto ciò, dunque, non corrisponde

minimamente alle descrizioni della Bibbia sulla Grande Sidone e sulla Fenicia. Una situazione

analoga riguarda Tiro ([494] [544], vol. 2). Sembra che la Bibbia, trattando di Sidone e della

Fenicia, intendesse tutt’altre regioni e città.

12. L’epoca misteriosa del “Rinascimento”, come conseguenza dell’errata

cronologia scaligeriana

Nella cronologia scaligeriana è chiaramente espresso “l’effetto della rinascita” nel senso di

“ripetizione dell’antichità”.

L’antico Platone è considerato il fondatore del “platonismo”. Il suo insegnamento però a un certo

punto muore per rinascere dopo alcune centinaia di anni in un altro famoso “neoplatonico”, Plotino,

vissuto presumibilmente negli anni 205-270 d.C. e avente un nome, “guarda caso”, praticamente

identico al nome del suo maestro spirituale Platone. Poi anche il neoplatonismo muore e dopo

qualche centinaio di anni, ma questa volta già nel XV secolo d.C., riemerge di nuovo con la stessa

forza in un altro famoso “platonico”, Pletone, dotato ancora una volta “casualmente” di un nome

quasi identico al nome “dell’antico” maestro Platone. Tra l’altro, la prima comparsa dal nulla dei

manoscritti “dell’antico” Platone avviene proprio nel XV secolo d.C. ([247], pp. 143-147), vale a

dire, proprio nel culmine dell’attività di Giorgio Gemista Pletone.

Giorgio Gemista Pletone aveva organizzato a Firenze “l’accademia pletonica”, analoga

“all’antica” Accademia platonica [247].

A.A. Vasiliev scrive: «Il suo [di Pletone; N.d.A.] soggiorno a Firenze [...] è uno dei momenti più

importanti nella storia del trapianto della scienza greca antica in Italia, e in particolare della

comparsa della filosofia platonica in Occidente» ([657], vol. 3, parte 2 [120]). Sia “l’antico” Platone

che il medievale Pletone hanno scritto delle utopie. Si dice che Gemista Pletone sia stato l’autore del

celebre trattato Sull’Utopia delle leggi, purtroppo, non pervenutoci nella sua interezza, anche se in

compenso è giunto fino a noi il testo integrale del trattato sulle Leggi dell’“antico” Platone. Come

“l’antico Platone”, il medievale Pletone del XV secolo, aveva avanzato l’idea di uno stato ideale,

peraltro con un programma estremamente vicino al programma “dell’antico” Platone. “Imitando”

entrambi, anche Plotino, vissuto presumibilmente negli anni 205-270 d.C., sperava che l’imperatore

lo aiutasse a fondare in Campania (e di nuovo in Italia) la città di Platonopoli, per introdurre (e

sviluppare) comunità aristocratiche “di stampo platonico” ([122], vol. 4, pp. 394-397).

Nella storia scaligeriana “si sdoppiano” anche alcune delle figure più importanti della Chiesa.

Per esempio, Eusebio, nella Storia Ecclesiastica [267], parla molto del vescovo Victor, che aveva

avuto un ruolo centrale nella cosiddetta disputa Pasquale, sorta intorno alle regole relative

all’istituzione della Pasqua ([267], p. 306). Effettivamente, la storia ha registrato una “controversia

sulla Pasqua”, nell’ambito della quale un ruolo centrale era stato svolto da un vescovo Victor. È stata

addirittura coniata una definizione speciale, il ciclo Pasquale di Victor [76], tabella 17. Tuttavia,

l’attività di Victor, e quindi il periodo di detta disputa, risale presumibilmente al 463 d.C. mentre

Eusebio, che tratta di tale controversia, era vissuto presumibilmente tra la fine del III e l’inizio del IV

secolo d.C. Risulta dunque che qui la cronologia di Scaligero, “è capovolta”. Non solo, ma Eusebio

[267] parla di un certo Dionigi, che avrebbe stabilito le regole per la Pasqua, collegandole

all’equinozio di primavera, e quindi alle “sofferenze del Salvatore”.

Eusebio fa risalire la morte di Dionigi al XII anno di Gallieno, cioè presumibilmente al 265 d.C.

secondo la cronologia scaligeriana. A questo punto è da notare che presumibilmente nel VI secolo

d.C. di nuovo agisce un Dionigi, questa volta connotato come Dionigi il Piccolo. Si ritiene che

Dionigi il Piccolo si fosse occupato per molto tempo del problema della Pasqua e che avesse fissato,

forse per la prima volta, la data di nascita di Gesù Cristo. Pare anche che avesse istituito le regole

per il calcolo della Pasqua di lì a molti anni e che l’avesse collegata all’equinozio di primavera

([76], tav. 18).

La coincidenza è un po’ strana: due Dionigi, entrambi famosi, si occupano entrambi della

questione pasquale, esaminano entrambi il legame tra la Pasqua e l’equinozio di primavera, entrambi,

nella loro attività, proseguono l’attività del vescovo Victor, già sdoppiatosi in precedenza, ma,

nonostante questi aspetti comuni, secondo i calcoli della cronologia scaligeriana, essi sono separati

nel tempo da circa tre secoli. Che si tratti di un errore è praticamente evidente. In realtà c’è stato un

solo Dionigi, che si è sdoppiato solo sulla carta. Detto per inciso, più avanti faremo la conoscenza di

un altro Dionigi il Piccolo, molto probabilmente, l’originale da cui hanno preso forma gli altri due

Dionigi: si tratta di Dionigi Petavius, vissuto nel XVII secolo.

Cogliamo strani sdoppiamenti anche nella storia scaligeriana del famoso diritto romano [5]. F.

Shupfert scrive: «Una serie di grandi giuristi romani finisce con Erennio Modestino, morto nel 244

d.C. In seguito, pare che la Scienza giuridica fosse caduta in un sonno letargico [...] per risvegliarsi

improvvisamente in tutta la sua [...] bellezza originale a Bologna, novecento anni dopo; N.d.A.] grazie

a Irnerio [“doppio” di Erennio non solo nel nome, ma anche nell’attività; N.d.A.] ([879], p. 187). Il

medievale Irnerio (“l’antico” Erennio?), fondatore a Bologna di una scuola di diritto, intorno al 1088

d.C. cominciò a tenere lezioni di diritto romano, stranamente “rinato”, come si presume, dopo

novecento anni di oblio. Nella sua attività Irnerio faceva riferimento agli antichi codici di

Giustiniano, che egli “aveva riunito”.

Nella storia scaligeriana si trovano anche due famosi Omero: uno è “l’antico” poeta e l’altro è un

poeta medievale, Angilberto Omero, vissuto nella corte di Carlo Magno presumibilmente nel IX

secolo d.C. «Il nome accademico “OMERO” gli era stato probabilmente dato, presuppone G. Weber,

per le sue opere poetiche [...]. Delle poesie di Angilberto ci è pervenuto poco [...]» ([122], t. 5, p.

391). Questo Omero medievale era “il membro più importante della cerchia di studiosi riunita

attorno alla corte di Carlo Magno, ad Aquisgrana” ([122], vol. 5, p. 391). Si noti per inciso, che la

designazione per noi familiare Carlo Magno non è affatto un nome proprio nell’accezione moderna

del termine. Molto più probabilmente essa significava semplicemente “Re Grande”. La questione

relativa al soggetto di tale designazione, in altre parole, a chi veniva chiamato con questo nome,

richiederebbe uno studio speciale e su questo tema ritorneremo più avanti. In fig. 1.50 riportiamo il

ritratto di Carlo Magno, eseguito nel XVI secolo da Albrecht Dürer.

Oggi si ritiene che il calcolo antico-romano delle idi e delle calende fosse già inutilizzato nei

secoli VI-VII d.C. Tuttavia, sembrerebbe che i cronisti medievali del XIV secolo d.C., ignari di

questo fatto, avessero continuato a contare secondo le idi e le calende ([229], p. 415), che si

ritenevano dimenticate da tempo.

Nella storia scaligeriana il numero di questi strani duplicati è notevole. Gli esempi sopra riportati

non devono essere considerati come una prova di un’affermazione azzardata fine a se stessa. Di tali

singole e isolate coincidenze se ne possono individuare parecchie, anzi, come presto vedremo, questi

paralleli e duplicati hanno un carattere massiccio e rientrano in un regime generale di slittamenti e

spostamenti cronologici, nei quali simili situazioni di rifrazioneparallelismo procedono “fianco a

fianco” per la durata di centinaia di anni.

Uno dei momenti salienti, che indicano apertamente la forte probabilità di datazione medievale

dei documenti considerati “antichi”, è la presenza dell’Epoca Rinascimentale, durante la quale pare

che “fossero rinati” tutti gli “antichi” orientamenti della scienza, della filosofia, della cultura, della

pittura ecc.

Si ritiene che all’inizio del Medioevo, “l’antico, splendente latino” fosse degradato ai livelli di

un linguaggio rozzo e grossolano, che solo nel Rinascimento cominciò a riacquistare e riacquistò il

suo antico splendore. Questa “rinascita” del latino, come, del resto anche dell’antico greco, comincia

non prima dei secoli VIII-IX d.C. ([335], p. 23).

Si scopre che i famosi trovieri medievali avrebbero iniziato presumibilmente intorno al X-XI

secolo d.C. a elaborare i soggetti che gli storici chiamano ora “una mascherata delle memorie dei

classici” ([335], p. 83). Nell’XI secolo comparve “la storia di Ulisse” (Odissea), nella quale il

presumibilmente noto racconto omerico viene presentato in “chiave medievale”, con i cavalieri, le

dame, i duelli cavallereschi, ecc. ma anche con tutti gli elementi, che in seguito verranno considerati

il nucleo “dell’antica” trama ([335], pp. 83-84).

«A partire dalla fine del XII secolo e dall’inizio del XIII secolo i trovieri parlavano con un certo orgoglio: questa storia [cioè la

guerra di Troia; N.d.A.] non è trita e ritrita, nessuno l’aveva ancora composta o scritta. I trovieri [...] si erano innanzitutto

interessati alla guerra di Troia, per loro era quasi una storia nazionale» ([335], pp. 85-86).

Fig. 1.50. Ritratto di Carlo Magno (742-814), eseguito da A. Dürer, 1514 Germania, museo tedesco di Norimberga (tratto da

[328], p. 25, ill. 3).

Quanto citato si spiega con il fatto che i Franchi si consideravano i discendenti di Troia, e un

autore che si presume vissuto nel VII secolo d.C., Fredegario Scolastico tratta il re Priamo come se

fosse un personaggio della generazione precedente ([335], pp. 85-86). In fig. 1.51 è riportata

un’antica immagine dei menestrelli-troubadours (trovieri).

Fig. 1.51. Trovatori o menestrelli in Germania. I trovatori cantavano le ballate sulle gesta dei cavalieri e sull’amore. Miniatura

tedesca fatta risalire al 1304 (tratto da [643:2], p. 124, ill. 1).

Non solo, ma: «[...] con la guerra di Troia fondevano in un tutt’unico il viaggio degli Argonauti

[...] quando i crociati-conquistatori [evidentemente gli originali medievali degli “antichi” Argonauti;

N.d.A.] partivano per le lontane contrade dell’Asia» ([335], pp. 85-86). Nei testi medievali,

«“l’antico” Alessandro il Macedone, fa i complimenti alla Francia» ([335], pp. 85-86).

Alcuni testi del Medioevo, riferendosi “all’antica” guerra di Troia, chiamano Paride con il nome

di Parigi, cioè (proveniente) da Parigi ([10], p. 234, commento 76).

In fig. 1.52 è riportata una miniatura antica tratta dalla Grande Cronaca francese,

presumibilmente del XV secolo, che mostra la discendenza diretta dei Franchi dai Troiani. Nel

commento moderno si legge: «La miniatura illustra l’idea della discendenza dei francesi da

Franzione, figlio di Ettore e nipote del re di Troia Priamo. Per questo, nella raffigurazione

dell’assedio di Troia, vediamo la fondazione di Parigi» ([1485], p. 104). Come dire: Troia è caduta,

Parigi viene fondata! Notiamo ancora che “l’antica” Troia è raffigurata qui come una città medievale.

Fig. 1.52. Miniatura dal libro Les Grandes Chroniques de France, Paris, fatta risalire all’inizio del XV secolo. In alto si vede

l’assedio di Troia, in basso la fondazione di Parigi. La miniatura illustra la diretta discendenza dei francesi dai troiani. Gli

“antichi” Greci e Troiani sono qui rappresentati come cavalieri medievali, vestiti di pesanti armature di ferro. Allo stesso

modo, come cavalieri medievali, sono raffigurati nella parte inferiore della miniatura, mentre fondano Parigi (tratto da [1485],

ill. 115).

Nella cronologia di Scaligero si ritiene che i cosiddetti popoli apocalittici di Gog e Magog,

menzionati nell’Apocalisse biblica, fossero scomparsi dalla scena storica senza lasciar traccia,

all’inizio del Medioevo.

Tuttavia, così si legge in un commento moderno al testo medievale Aleksandrija (Alessandria)

[10]: «Nei nomi Gotti e Magotti le rappresentazioni sui popoli apocalittici Gog e Magog

(L’Apocalisse di Giovanni, 20, 7) si sono evidentemente associate a quelle sui ben noti, in epoca

medievale, Goti e Mongoli» ([10], p. 248, commento 165).

Sotto la pressione della cronologia di Scaligero e di tutte queste stranezze gli storici sono stati

costretti a credere che nel Medioevo

«[...] si fosse quasi persa l’idea di una consequenzialità cronologica: al funerale di Alessandro il Macedone sono presenti monaci

con croci e incensieri; Catilina ascolta la Messa [...] Orfeo diventa un contemporaneo di Enea, Sardanapalo diventa un re della

Grecia, Giuliano l’Apostata è un cappellano papale. Tutto in questo mondo, si meravigliano gli storici moderni, acquista una

coloritura fantastica: gli anacronismi più grossolani sembrano convivere con le più strane fantasie» ([879], pp. 237-238).

Questi e migliaia di altri fatti vengono oggi respinti dagli storici come “ovviamente assurdi” solo

per il fatto che essi contraddicono la cronologia scaligeriana diffusamente adottata.

Nelle cattedrali gotiche i santi cristiani sono raffigurati a fianco di “antichi personaggi pagani”,

(vedi ad esempio, la fig. 1.53 che riporta le sculture degli “antichi” Aristotele e Pitagora, accanto ai

santi cristiani sulla facciata ovest della famosa cattedrale di Chartres). Gli storici cercano di

“spiegarci” questa vicinanza, che contraddice la cronologia scaligeriana, con queste parole vaghe:

«Aristotele e Pitagora [...] la raffigurazione dei due filosofi pagani nella Chiesa cristiana testimonia

l’importanza che veniva attribuita ai saperi» ([930], p. 169).

La più antica biografia “dell’antico” Aristotele è del 1300 d.C. e si tratta di un manoscritto che

«si sta progressivamente rovinando, al punto tale che alcuni passi che si riuscivano a leggere nel XIX

secolo, ora si leggono con gran difficoltà» ([300], p. 29).

Stranamente, secondo la cronologia scaligeriana, molti manoscritti, fatti risalire a più di mille

anni, come per esempio i Codici della Bibbia, mantengono la flessibilità della pergamena. Pare che,

in centinaia e addirittura migliaia di anni, si siano conservati ottimamente, si veda il nostro

Biblejskaja Rus’ (La Rus’ biblica t. 1, capitolo 2). Molto probabilmente, l’evidente velocità di

distruzione, sottolineata sopra dagli storici, di un manoscritto del XIV secolo è tipica dei testi

antichi, e ciò perché essi non sono affatto così antichi come oggi si suppone.

Fig. 1.53. “Gli antichi pagani” Aristotele e Pitagora nella cattedrale di Chartres, vicino ai santi cristiani. Facciata occidentale,

fatta risalire agli anni 1145-1170. Aristotele e Pitagora rappresentano, rispettivamente, la musica e la dialettica ([930], p. 169).

Tale vicinanza di personaggi “antichi” e medievali nei bassorilievi e negli affreschi delle chiese cristiane in Europa e in Russia

è un fenomeno diffuso (tratto da [930], p. 169).

Si ritiene inoltre che «i migliori codici greci pervenutici dagli scritti di Aristotele si riferiscano ai

secoli X-XII» ([300], p. 206). Nell’“Antichità” si era sviluppata la famosa controversia tra

platonismo e aristotelismo e anche nel XV secolo d.C., esattamente «come in epoca antica», scoppia

una simile disputa tra il platonico Gemisto Pletone, e l’aristotelico Gennadio Scolario [300]. Di

nuovo ci troviamo di fronte a uno strano duplicato: “Antichità” = Medioevo.

Si è iniziato a studiare per la prima volta la storia di quando e come l’Europa conobbe le opere di

Aristotele solo nel XIX secolo [300]. Citiamo: «La filosofia di Aristotele versava in uno stato di

stagnazione e silenzio [...] solo [...] dopo 1230 anni dalla nascita di Cristo [...] la filosofia di

Aristotele diventò famosa presso i Latini» ([300], p. 230). A questo proposito, degna di nota

l’opinione degli storici moderni secondo i quali «presso gli scrittori medievali era in uso fare

riferimento a fonti, spesso non viste» ([333], p. 117).

Nel Medioevo «la controversia tra i realisti e i nominalisti [...] nascondeva, sotto la sua forma per

certi versi barbara, una sorta di Rinascimento delle due scuole immortali, quella dell’idealismo e

quella dell’empirismo. Nominalismo e realismo [...] equivalevano alla seconda comparsa alla luce,

nel XII secolo, degli insegnamenti di Aristotele e Platone» ([335], pp. 167-168). Si presume inoltre

che nel XII secolo d.C. le opere originali di Platone e Aristotele non fossero ancora conosciute in

Europa [335]. Forse non erano state ancora scritte?

Ecco che emerge un altro duplicato: “Antichità” = Medioevo. Nei secoli XIIXIII a Parigi,

«risultava che tre dei quattro principali sistemi filosofici dell’antichità avevano dei rappresentanti

nella scienza medievale» ([335], p. 175). «Lo scontro tra realismo e nominalismo [...] [...] generò,

infine, lo scetticismo [...]. Restava da far rinascere un altro sistema che pure in Grecia era sorto dopo

gli altri e sembrava inevitabile anche ora [...] e cioè il misticismo» ([335, p. 175]). E infatti, ben

presto il misticismo fu “ripreso” da Bonaventura [335].

Dunque, l’evoluzione della filosofia medievale, persino in piccoli dettagli cronologici, riproduce

“il suo antico modello”. Proviamo a riunire tutte queste informazioni in un quadro unico:

Medioevo “Antichità”

1. Realismo 1. Idealismo

2. Nominalismo 2. Empirismo

3. Pletone, “restauratore” del Platonismo 3. Platone, instauratore del Platonismo

4. G. Scolario, “restauratore” dell’aristotelismo 4. Aristotele, instauratore dell’aristotelismo

5. Lotta tra la prima e la seconda corente 5. Lotta tra la prima e la seconda corrente

6. Lotta tra Pletone e Scolario 6. Lotta tra platonici e aristotelici

7. Comparsa dello scetticismo 7. Comparsa dello scetticismo

8. Dopo le prime tre correnti compare il

misticismo

8. Dopo le prime tre correnti compare il

misticismo

9. Conclusioni: quattro principali correnti

medievali

9. Conclusioni: quattro principali dottrine

“antiche”

Molto prima della scoperta del presunto “antico” manoscritto della storia dell’Asino d’oro, “il

tema dell’asino” era stato sviluppato in modo molto dettagliato nelle opere dei trovieri medievali

[335]. Inoltre, “l’antica storia dell’asino”, emersa in superficie solo in epoca rinascimentale, era di

fatto la conclusione naturale di tutto questo ciclo medievale. Siamo di fronte a un fatto comune: nel

Medioevo, molto prima della scoperta di “originali antichi” era sorta e si era sviluppata in linea

ascendente tutta una serie di presunti “soggetti antichi”, non solo, ma gli “antichi originali”, comparsi

in epoca rinascimentale, seguono cronologicamente ed evolutivamente i loro predecessori medievali

([335], pp. 142-143). Molto prima della scoperta delle “antiche” favole di Esopo, soggetti simili si

erano sviluppati nel Medioevo, presumibilmente nei secoli XI-XII d.C. [335].

È importante tener presente che, nell’Antichità, le persone non avevano un nome, nel senso

moderno del termine, ma un soprannome, con un’interpretazione significativa nella lingua in cui tale

soprannome era stato originariamente coniato. Tali nomignoli potevano alludere alle qualità fisiche o

morali delle persone e quanto maggiore era il numero dei tratti distintivi di una persona tanti più

soprannomi le venivano assegnati. A questo proposito B.L. Smirnov ha scritto: «Raramente si

trovano nomi senza significato» ([519], vol. 6, p. 526, commenti 126, 31; vedi anche i lavori di D.

Fraser [917] [918] [919] [920]). Per esempio, annalisti diversi attribuivano all’imperatore quei

soprannomi con cui egli era conosciuto in una determinata località geografica. Succedeva pertanto

che uno stesso sovrano potesse essere designato in cronache diverse con nomi diversi. I faraoni

egiziani portavano un nome prima dell’incoronazione, e altri dopo quest’evento, e siccome venivano

incoronati più di una volta, peraltro con corone di aree geografiche diverse, il numero dei loro

“nomi” aumentava di volta in volta. Questi nomi-soprannomi si traducono spesso come “il forte”, “lo

splendido” ecc. Il padre di un console romano, presumibilmente del 169 d.C., aveva 13 nomi diversi,

mentre suo figlio arrivò ad averne 38 ([872], t. 6, p. 101). I talmudisti riportano 94 nomi designanti il

Dio biblico ([544], t. 6, p. 978).

La stessa cosa è avvenuta nella storia russa. «Lo Zar Ivan III portava anche il nome Timoteo; lo

zar Vasilij III era anche Gavriil [...] lo zarevič (il principino) Dmitrij (ucciso a Uglič), in verità non

si chiamava solo Dmitrij ma anche Uar, avendo un nome reale e uno ecclesiastico» ([586], p. 22),

anche se, detto per inciso, Uar forse stava semplicemente per Zar.

Oggi si ha l’impressione che nel Medioevo fossero diffusi nomi molto differenti da quelli

“antichi”, tuttavia, l’analisi dei testi dimostra che i nomi “antichi” erano sempre stati usati nell’arco

di tutto il Medioevo. Per esempio, Nil del Sinai, morto presumibilmente nel 450 d.C., scriveva

lettere ai suoi contemporanei, monaci medievali che portavano nomi evidentemente “antichi”:

Apollodoro, Anfictione, Attico, Anassagora, Demostene, Asclepio, Aristocle, Aristarco, Alcibiade,

Apollo ecc. [836].

Un gran numero di nomi, oggi considerati “esclusivamente antichi” era comune a Bisanzio nei

secoli XII-XIV d.C., si vedano ad esempio i nomi usati dal medievale Georgius Phrantzae [1344]

nella sua Storia (1258-1476 d.C.): Amorim, Antiochio, Argo, Calliope, Cleopa, Critopul, Demetrio,

Dionigi, Dioscoro, Epidauro, Germetsian, Laconia, Macrobio, Minosse ecc., nomi evidentemente

“antichi” che però venivano portati dalla gente dei secoli XIII-XV. Il libro scritto a mano visse per

lungo tempo dopo la scoperta della stampa. I manoscritti erano largamente prodotti durante tutto il

periodo che va dal XV al XVIII secolo. Si tratta di una circostanza registrata in tutta l’Europa ([740],

pp. 13, 25). Nei Balcani, ancora nel XIX secolo, «il libro manoscritto era in aperta concorrenza con

quello stampato» ([740], p. 26). Salvo poche eccezioni, quasi tutta la letteratura irlandese dei secoli

VII-XVII d.C. «esiste solo in forma di manoscritto» ([740], p. 28).

Fino al 1500 d.C., il 77% di tutti i libri stampati era presumibilmente in latino, e ciò è forse

dovuto al fatto che i caratteri dell’alfabeto latino erano facili da fare. I caratteri rappresentanti le

lettere alfabetiche delle altre lingue furono introdotti nella stampa seguendo un processo molto lento.

Risultava molto complessa la tecnologia di preparazione dei segni in apice, designanti gli accenti, la

vocalizzazione ecc. pertanto per centinaia di anni dopo l’invenzione della stampa «i copisti di

manoscritti in greco, arabo ed ebraico non avevano concorrenti» ([740], p. 57).

È quindi possibile che molti manoscritti in greco, arabo ed ebraico, ora considerati “molto

antichi”, siano stati di fatto trascritti già nell’epoca della stampa. Non è da escludere che tali siano

molti testi classici “antichi”, i Codici biblici di Tischendorf ecc. (tema trattato nel nostro La Rus’

Biblica, libro 1, capitolo 2).

Particolarmente attiva era, nell’epoca della stampa, la produzione di libri manoscritti in Grecia,

cioè nel Paese considerato oggi “molto antico” e patria di tanti “manoscritti antichi”. Gli storici

scrivono che: «[...] a causa dell’assenza di macchine da stampa in Grecia i libri venivano copiati a

mano» ([740], p. 106). Quanti di questi manoscritti dei secoli XV-XIX, sono stati in seguito

dichiarati “antichi”?

Ecco dei dati che dimostrano chiaramente l’assenza di un attendibile fondamento scientifico dietro

l’idea stessa della cosiddetta datazione paleografica, cioè della datazione “in base allo stile di

scrittura”. A quanto pare «i lussuosi codici greci con i testi di autori antichi venivano commissionati

dagli umanisti e dai mecenati-collezionisti» ([740], p. 109).

Ripetiamo la domanda: quanti di questi codici medievali sono stati poi dichiarati “molto antichi”?

A questo proposito, si può proporre un metodo per l’individuazione di simili tardi manoscritti,

risalenti all’epoca tipografica, ma spacciati come “antichi”: bisogna raccogliere gli errori nel testo

manoscritto e confrontarli con quelli dei libri stampati. Il fatto è che, durante il processo di copiatura

e trascrizione a mano dei testi stampati, i copisti, con tutta probabilità, copiavano anche la

maggiorparte degli errori di stampa. I fondamenti della cronologia scaligeriana furono fissati

attraverso l’analisi delle fonti scritte. L’analisi reiterata di queste datazioni, non vincolata da ipotesi

aprioristiche circa l’antichità dei documenti, rivela, come abbiamo avuto modo di vedere, delle

contraddizioni significative.

13. L’inesatta cronologia scaligeriana alla base dei metodi archeologici di

datazione

“Ma la battaglia non ci fu?”.

«I risultati degli scavi effettuati in Italia dall’antropologo svizzero Georg Glowatzki si sono rivelati sensazionali. Lo scienziato ha

scoperto che nella zona dove, secondo la leggenda, ebbe luogo la famosa battaglia presso Canne in cui le truppe di Annibale

sconfissero le legioni romane, in realtà non ci fu nessuna battaglia. Esaminando i tumuli, lo studioso ha scoperto che in essi non

giacciono i resti di soldati romani ma quelli di persone, morte nel XIII secolo durante un’epidemia di peste» (giornale «Sovetskaja

Rossija», 28 novembre 1984).

13.1. L’ambiguità delle datazioni archeologiche e la loro dipendenza da una

cronologia precedentemente adottata

Il lettore può chiedersi: ma com’è la situazione sul fronte degli altri metodi attualmente accettati

di datazione delle fonti e dei documenti? Gli archeologi moderni parlano con dolore dei “tombaroli

ignoranti” dei secoli precedenti, autori, nel loro processo di ricerca di oggetti di valore, di

deturpazioni irreversibili a danno di numerosi monumenti storici. Negli anni 1851-1854 il conte

Uvarov, archeologo, fece degli scavi su 7729 tumuli scoperti nel territorio di Vladimir-Suzdal’. A

questo proposito Spicyn scrisse:

«Quando i reperti [dagli scavi del 1851-1854; N.d.A.] pervennero al Museo Rumjancev non erano più che un cumulo disordinato

di materiali, privi d’inventario e d’indicazioni relative al tumulo di appartenenza [...]. I grandiosi scavi degli anni 1851-1854 [...]

saranno a lungo ricordati dalla comunità archeologica» ([19], pp. 12-13).

Maggiori informazioni “sull’attività” di Uvarov, si possono trovare nel nostro libro Carskij Rim v

meždureč’e Oki i Volgi (La Roma Imperiale tra i fiumi Oka e Volga, capitolo 9).

Attualmente i metodi di scavo sono migliorati, ma, purtroppo, applicarli agli scavi “antichi”

riesce di rado, questi ultimi essendo stati già “trattati” dai primi “cercatori” [389]. Ecco, brevemente

esposti, i criteri di base della datazione archeologica. Citiamo: «Il modo più affidabile per

determinare l’età di una o dell’altra cultura europea è scoprire con quali delle dinastie egiziane

queste tribù europee avevano intrapreso dei rapporti di scambio commerciale» ([390], p. 55). Ad

esempio, nelle tombe dell’Egitto della XVIII-XIX dinastia furono trovati dei vasi greci di cultura

micenea. Queste dinastie e questa cultura furono quindi considerate dagli archeologi contemporanee.

Poi, vasi uguali o “simili” furono rinvenuti insieme a fibbie di un particolare tipo a Micene, e spille

analoghe furono poi ritrovate in Germania, accanto a delle urne. Un’urna simile venne trovata vicino

a Fangera e in quest’urna venne rinvenuta una spilla di un nuovo tipo. Questo stesso tipo di spilla

simile fu poi trovato in Svezia, nel cosiddetto “Tumulo del Re Bjorn”. In questo modo, seguendo gli

anelli di questa “catena”, questo tumulo fu fatto risalire ai tempi della XVIII-XIX dinastia egizia

[390]. Tra l’altro si è stabilito che il tumulo di Bjorn «non può in nessun caso riferirsi al Re vichingo

Bjorn [al noto personaggio del Medioevo; N.d.A.], ma fu costruito duemila anni prima» ([390], pp.

55-56).

In primo luogo, non è chiaro cosa si dovrebbe intendere per “somiglianza” dei reperti. In secondo

luogo, molto più importante, tutta questa “tecnica” dipende sostanzialmente da una datazione a priori

delle “antiche” dinastie dei faraoni d’Egitto. Pertanto questo metodo, cosiddetto “metodo domino” e

tutte le tecniche analoghe ad esso, si regge su un incontrastato soggettivismo e, fatto fondamentale,

sulla cronologia scaligeriana: i reperti trovati di fresco vengono confrontati con reperti “simili”

precedentemente datati sulla base della cronologia scaligeriana. È ovvio che il cambiamento della

scala cronologica cambia automaticamente la cronologia dei nuovi reperti archeologici. Se la

cronologia è inesatta, tutti questi “metodi” crollano di conseguenza, come un castello di carte. Non è

sorprendente che gli archeologi che utilizzano con fiducia tali metodi, si scontrino con molte

circostanze strane. Risulta, per esempio, che «nelle regioni lontane d’Europa in una stessa cultura si

possono combinare fatti, i cui prototipi in Oriente sono separati l’un l’altro da secoli» ([390], pp. 55-

56). Seguendo questa linea, L.S. Klein, [390] nega con sicurezza l’appartenenza “del tumulo di Bjorn”

al medievale Bjorn re vichingo. Tuttavia, se è vero che il “metodo” qui descritto ha stabilito

qualcosa, questo qualcosa è solo la contemporaneità della costruzione di questo tumulo alla XVIIIXIX

dinastia d’Egitto. Quando, in che periodo di tempo, abbiano governato queste dinastie è tutta

un’altra faccenda. Peraltro assai complessa, al punto tale che non è da escludere che le dinastie

egiziane fossero in realtà medievali. Così come il vichingo Bjorn.

Citiamo: «I primi schemi della cronologia egizia furono basati sul lavoro di Manetone [...] che

[presumibilmente nel III secolo d.C.; N.d.A.] [...] compilò le liste dei faraoni, raggruppandole in 30

dinastie, e, riunendo gli anni di regno [assumendo che tutti avessero governato consecutivamente;

N.d.A.], stimò la durata dello stato egiziano». Vennero fuori delle cifre enormi. Sulla base di esse,

Flinders Petrie, L. Borchardt e altri egittologi stimarono la durata della storia dell’Antico Egitto in 5-

6000 anni. Così è nata “la lunga cronologia” dell’Egitto e della prima Europa, a lungo dominante

nella scienza storica. E. Meyer e i suoi allievi le contrapposero una cronologia “breve”. Il fatto è che

i faraoni non di rado regnavano contemporaneamente (come co-governanti), e non solo i faraoni, ma

intere dinastie [...] parallelamente in parti diverse del Paese. Manetone, dal canto suo, partendo

dall’idea di autocrazia e d’integrità dello stato, sistemò tutti i faraoni in una catena, allungando di

molto la durata totale della storia dello stato» ([390], pp. 54-55).

Aggiungiamo da parte nostra che anche la cronologia “breve” dell’Egitto è comunque molto lunga,

pertanto la si dovrebbe definire solo “un po’ meno lunga” rispetto a quella “lunga”. Come abbiamo

detto sopra (si vedano i dati riportati dall’egittologo G. Brugsh) la cosiddetta cronologia “breve”

dell’Egitto si fonda anch’essa su basi assai dubbie. Risulta che il suo creatore, E. Meyer «aveva

posto alle basi delle sue costruzioni gli annali e i memorabilia degli stessi Faraoni. Ma [...] questa

catena d’informazioni ci è pervenuta frammentata, con molte lacune e omissioni» ([390], pp. 54-58).

Per questo motivo, collegare il materiale archeologico alla “scala egiziana” non risolve il

problema della datazione esatta, e del resto non risolve nemmeno quello di una datazione relativa.

13.2. Gli scavi di Pompei. Quando venne distrutta la città

Un esempio lampante dei problemi che s’incontrano nel processo di datazione del materiale

archeologico viene offerto dagli scavi “dell’antica” Pompei. In particolare, non è ancora chiaro a

causa di quale eruzione la città fu distrutta. Un autore napoletano del XV secolo, Jacopo Sannazaro

scrisse: «Ci siamo avvicinati alla città (Pompei), e già si potevano vedere le sue torri, le case, i

teatri e le chiese, non toccate dai secoli» [cit. da 389, p. 31; N.d.A.]. È un po’ strano, se si ritiene che

Pompei sia stata completamente distrutta e coperta dalle ceneri dell’eruzione avvenuta nel 79 d.C.

Per questo motivo, gli archeologi hanno dovuto interpretare le parole del Sannazaro così: «Nel

secolo XV alcuni degli edifici di Pompei emergevano più in alto dei sedimenti» ([389], p. 31). Si

ritiene, di conseguenza, che Pompei poi fu ancora “massicciamente ricoperta dalla terra”, sì che solo

nel 1748, in modo del tutto casuale, ci s’imbattè nei resti di Pompei. Ercolano, invece, fu scoperta

nel 1711 ([389], pp. 31-32). Oggi sulla storia della scoperta di Pompei così si scrive, con

riferimento a vecchie memorie: «Durante la costruzione del canale del fiume Sarno (1594-1600),

vicino a Napoli, emersero le rovine di un’antica città. A quel tempo nessuno sapeva che si trattasse

proprio di Pompei [...]. Solo a partire dal 1860 Giuseppe Fiorelli iniziò gli scavi sistematici e

scientifici di Pompei. Il suo lavoro, però, era in verità poco coerente con i metodi esemplari di

scavo» ([443], p. 49).

Gli scavi furono effettivamente eseguiti in modo barbaro.

«Ora è difficile determinare l’entità del danno apportato dal vandalismo di quel tempo [...] se un disegno sembrava a qualcuno

non troppo bello, veniva rotto in mille pezzi e gettato via come spazzatura [...]. Se venivano trovate delle lastre di marmo con

iscrizione in bronzo, singole lettere venivano tolte e gettate nel cesto [...]. Dai frammenti delle sculture venivano fabbricati i

souvenir per i turisti, spesso raffiguranti santi» ([434], pp. 224-225).

Non è da escludere che alcuni di questi presunti “falsi cristiani” fossero degli originali medievali,

che, non iscrivendosi nella cronologia scaligeriana, furono poi smerciati come souvenir invece di

essere archiviati nei musei.

Stupisce, nel contesto della cronologia scaligeriana, l’altissimo livello dell’arte pittoricoraffigurativa

di Pompei (affreschi, mosaici, sculture) combinato con l’elevato livello di progresso

scientifico del tipo manifestatosi in età rinascimentale: è stato rinvenuto, per esempio, un orologio

solare suddiviso in “ore uguali” cioè un dispositivo che era di difficile creazione persino per il tardo

Medioevo. L’analisi di questo reperto fu eseguita da N.A. Morozov. Un’antica raffigurazione di un

dettaglio di uno strumento simile è stata trovata in una villa “antica” nei pressi di Pompei, presentata

in fig. 1.54.

Fig. 1.54. “Antico” affresco nella villa di Boscoreale, nei pressi di Pompei. Si vede chiaramente un globo disegnato in una

prospettiva approssimativa ([1177], ill. 4, tavola fuori testo inserita tra le pp. 106-107; tratto da [1177], p. 4).

V. Klassovskij, nel 1848, scrisse: «È stato scoperto un assortimento di strumenti chirurgici tanto

più degni della massima attenzione per il fatto che, tra essi, ce ne sono alcuni che sono stati inventati

solo recentemente dai luminari della nuovissima medicina operativa» ([389], p. 126).

Tra i graffiti, cioè disegni sui muri, se ne incontrano alcuni di evidente impronta medievale, come

ad esempio, il boia incappucciato ([389], p. 161).

Fig. 1.55. Disegno di un boia medievale che trascina con una corda la sua vittima (tratto da [389], p. 161).

La fig. 1.55. raffigura un boia medievale, che trascina con una corda su un’alta piattaforma di

legno la sua vittima, un uomo in mantello.

Fig. 1.56. Raffigurazione di un cavaliere medievale con elmo e visiera, rinvenuto “nell’antica” Pompei (tratto da [389], p. 161).

L’uomo sale la scala, appoggiata al patibolo. Il commento di V. Klassovskij a proposito è il

seguente: «L’immagine è stata incisa con un punteruolo su un intonaco antico». Vicino a questa

incisione sulla parete ne vediamo un’altra, non meno interessante. Davanti a noi c’è un guerriero

vestito in foggia evidentemente medievale, bardato di un casco con visiera! ([389], p. 161, vedi figg.

1.56 e 1.60).

Di simili raffigurazioni d’impronta chiaramente medievale a Pompei ne sono state scoperte molte,

si vedano ad esempio i materiali inclusi nel libro [873]. Colpisce in modo particolare il disegno

riportato in [873] (p. 44., vedi fig. 1.57 e fig. 1.60). Oggi, gli studiosi ci garantiscono che si tratta di

raffigurazioni di “antichi” gladiatori ([873], p. 44), nonostante qui sia stato chiaramente

rappresentato un cavaliere medievale col casco e la visiera, il tipico equipaggiamento medievale ben

noto a tutti. In fig. 1.58, per un confronto, è riportata l’armatura di un cavaliere medievale del 1400

circa.

V. Klassovskij riassume in questi termini le impressioni generali suscitate dagli scavi di Pompei

«[...] più volte ho sentito su di me l’effetto delle antichità di Pompei simili a oggetti

(cronologicamente) molto più posteriori come due gocce d’acqua» ([389], p. 133). Risulterà più

avanti, come scrive V. Klassovskij, che alcuni famosi mosaici “dell’antica” Pompei sono

sorprendentemente simili, per composizione, colore e stile, agli affreschi di Raffaello e Giulio

Romano ([389], p. 171, commento A), cioè ad affreschi di epoca rinascimentale. Un esempio di una

di queste “antiche” raffigurazioni musive è riportato in fig. 1.59. Si ritiene che qui sia rappresentata

una scena “dell’antica” battaglia di Alessandro il Macedone (a sinistra) contro il re persiano Dario

(a destra). Il mosaico è stato scoperto nel 1831 ed è ora conservato nel Museo Nazionale di Napoli

([304], vol. 1, pp. 232-233).

Fig. 1.57. Disegni dell’epoca di Nerone eseguiti con la pittura sulla parete di una casa “nell’antica” Pompei. Gli “antichi”

gladiatori sono raffigurati qui come cavalieri medievali. Sono chiaramente visibili gli elmi e le visiere, invenzione medievale

(tratto da [389], p. 44).

Fig. 1.58. Armatura cavalleresca di epoca medievale, risalente presumibilmente al 1400 (tratto da [643:2], p. 113, ill. 5).

Così V. Klassovskij ha commentato questo celebre mosaico:

«Nel pavimento del triclinio, in una piattaforma di pietra è incastonato un famoso mosaico fatto di pezzi di pietra di vario colore,

oggi la migliore decorazione del museo napoletano. Dal punto di vista cromatico e tecnico, il mosaico è inimitabile, mentre dal punto

di vista della composizione può essere messo tranquillamente a confronto con opere di prima classe anche di Raffaello e di Giulio

Romano [...] è assai curioso che tra il manufatto di uno sconosciuto artista antico e l’opera di Raffaello “la battaglia di Costantino e

Massenzio”, “ci siano certe somiglianze nello stile e nella composizione del gruppo principale. Raffaello è riuscito anche ad

avvicinarsi in alcuni affreschi vaticani ai pittoreschi ornamenti delle terme romane di Tito”» ([389], p. 171).

La storia scaligeriana, che segue qui V. Klassovskij, ci assicura che tutte queste lussose

raffigurazioni “antiche” in stile Rinascimento sono state create non più tardi del I secolo d.C. e sono

rimaste a giacere nel terreno fino a poco tempo fa, cioè fino al momento in cui a Pompei finalmente

iniziarono gli scavi. La stessa storia scaligeriana ci assicura inoltre che Raffaello, Giulio Romano e

gli altri artisti del Rinascimento dipinsero delle opere molto simili senza aver visto questi “antichi

originali”. Tutto ciò sembra molto strano.

Noi formuleremo la seguente ipotesi: Pompei è una città medievale di epoca rinascimentale. È

probabile che Pompei sia stata distrutta da una delle eruzioni relativamente recenti del Vesuvio. Gli

“antichi” artisti pompeiani erano, più semplicemente, dei contemporanei dell’epoca di Raffaello e di

Giulio Romano perciò non sorprende che lo stile fosse lo stesso. È probabile che Pompei sia stata

distrutta e sepolta dalla cenere durante la famosa eruzione del Vesuvio, avvenuta nel 1500 d.C.

([389], p. 28), o forse anche da un’eruzione più tarda, quella del 1631 (si veda il nostro Antičnost’ –

eto srednevekov’e (L’Antichità è il Medioevo) libro 1, capitolo 7:1).

La maggior parte delle iscrizioni murali e dei graffiti scoperti a Pompei non può essere utilizzata

ai fini della datazione. Si tratta di annunci e avvisi di stile domestico-colloquiale, di espressioni

gergali ecc. Tuttavia, ci sono delle iscrizioni che contraddicono categoricamente la cronologia

scaligeriana. Un esempio di una tale iscrizione è citato da V. Klassovskij [389]. Nella traduzione che

ne fece N.A. Morozov, viene nominato un imperatore con il doppio nome di Valente Nerone, mentre

secondo la storia scaligeriana si tratta di due diversi imperatori, vissuti in periodi separati da circa

300 anni1.

Una versione più lunga di questo stesso annuncio “antico”, risalente a degli spettacoli di

gladiatori avvenuti dal 6 al 12 aprile, è riportata in ([873], n. 73, si veda la fig. 1.57). La traduzione

di quest’iscrizione proposta da V. Fedorova (in [873], p. 74) separa, come c’era da aspettarsi,

Nerone da Valente. Noi non abbiamo avuto l’opportunità di verificare la credibilità di entrambe

queste traduzioni.

Fig. 1.59. “Antico” mosaico rinvenuto a Pompei, raffigurante Alessandro Magno che combatte a Isso contro Dario III (tratto

da [389], p. 172, tav. XII).

Fig. 1.60. “Gli antichi” gladiatori con elmi medievali con visiera. Frammento della fig. 1.57.

“Nell’antica” Ercolano sono state rinvenute delle evidenti testimonianze di epoca cristiana. Per

esempio, in fig. 1.61 è raffigurato un oratorio cristiano di Ercolano, scoperto durante gli scavi. Sulla

parete si trova una grande croce.

13.3. La distruzione dei “vecchi” monumenti considerata attualmente in crescente

accelerazione

Nel XX secolo, gli archeologi e gli storici hanno prestato attenzione a uno strano processo in base

al quale la stragrande maggioranza dei “vecchi” monumenti negli ultimi 200-300 anni, cioè dal

momento in cui si è iniziato a tenerli sotto osservazione con un monitoraggio continuo, per qualche

motivo hanno iniziato a rovinarsi in tempi più veloci e in misura più massiccia rispetto a quanto era

avvenuto nelle precedenti centinaia e migliaia di anni cui viene fatta risalire la loro storia. Gli

esempi sono largamente noti: il teatro di Epidauro, il Partenone, il Colosseo, i palazzi di Venezia,

ecc. ([228] [144] [207] [456]).

Ecco, ad esempio, un articolo del 31 ottobre 1981, tratto dal giornale «Izvestia». «La Sfinge è nei

guai. La famosa Sfinge di Giza (Egitto), ha resistito fermamente per quasi 5000 anni al passare del

tempo, tuttavia, ultimamente, l’inquinamento ambientale ha avuto un impatto negativo sul suo stato di

conservazione e la Sfinge è ora in difficoltà. Dalla statua si è staccato un grosso pezzo (zampa). «La

causa di questo degrado è da ricercare nell’elevata umidità, nella salinizzazione del suolo ma

soprattutto nel ristagno, nella zona in cui è situata la Sfinge, di acque di scolo non sottoposte a

depurazione». È strano, se si pensa che, per 5000 anni, come si presume, la Sfinge se ne stava lì

come se nulla fosse.

Di solito in questi casi si dà la colpa alla «pericolosa industrializzazione moderna» [144] [456].

Tuttavia, per quanto ne sappiamo, finora nessuno ha mai condotto delle valutazioni quantitative circa

l’impatto della “civilizzazione moderna” sui vecchi manufatti di pietra, pertanto vien naturalmente da

supporre che tutte queste costruzioni non siano così antiche come ci vuol lasciar credere la

cronologia scaligeriana. Esse si rovinano in modo naturale e secondo una velocità naturale, più o

meno costante. Abbastanza rapidamente.

Fig. 1.61. Rara raffigurazione di un oratorio cristiano, portato alla luce dagli scavi presso “l’antica” Ercolano.

13.4. Quando fu iniziata la costruzione del famoso Duomo di Colonia?

Oggi ci viene detto che il famoso Duomo (chiesa dei santi Pietro e Maria) di Colonia, in

Germania, è stato costruito in diverse centinaia di anni (vedi fig. 1.62). Si ritiene che la costruzione

sia iniziata ancora nel Medioevo, presumibilmente nel IV secolo d.C. ([1015], p. 3). Poi la cattedrale

sarebbe stata sottoposta più volte a ricostruzione, e pare che di queste “prime chiese” oggi non si sia

conservato più nulla. A quanto pare la costruzione del Duomo gotico avrebbe preso inizio nel 1248 e

precisamente il 15 agosto (1248 [1015], p. 6). Si presume poi che la costruzione, sia stata

“fondamentalmente” completata nel XVI secolo, intorno al 1560 ([1015], p. 8). In seguito

quest’enorme cattedrale medievale, a quanto pare, sarebbe stata solo parzialmente restaurata e

leggermente rinnovata, ma nel complesso avrebbe mantenuto il suo aspetto originario (vedi fig. 1.63).

Fig. 1.62. La costruzione della cattedrale di Colonia nel Medioevo. A sinistra è visibile la torre incompiuta con la gru di legno

sovrastante (tratto da [643:2], p. 161).

Fig. 1.63. Veduta moderna della cattedrale di Colonia, Germania (tratta da [1017], foto 3).

Ma quanto è fondato questo punto di vista? Quando è stata costruita la cattedrale che vediamo

oggi? Vediamo veramente una costruzione medievale, fondata per la maggior parte nei secoli XIIIXVI?

In fig. 1.64 è stato riprodotto lo schema tratto da una brochure tecnica, dove si mostra

chiaramente quali parti della cattedrale risultano fatte con la muratura medievale e quali sono state

costruite negli ultimi due secoli.

Il nome completo della brochure è: Gefahr für den Kölner Dom Bild-Dokumentation zur

Verwitterung. Auszug aus dem Kölner-Dom-Lese e Bilderbuch. Professor Dr. Arnold Wolff

(Pericolo per il Duomo di Colonia / Documentazione fotografica della consunzione dei materiali.

Estratto dell’archivio fotografico). La brochure è rivolta ai professionisti interessati ai dettagli

della conservazione e del restauro delle strutture in pietra. È stata stampata a Colonia e la si può

acquistare all’interno del Duomo stesso. Cosa si capisce da questa carta-schema del Duomo? La

muratura più antica e cioè quella risalente agli anni 1248-1560, è indicata nello schema con un

tratteggio orizzontale. Tutte le altre murature, rappresentate in sette modi diversi (tratteggio obliquo,

punticolare ecc.) risalgono già a un’epoca posteriore al 1826. Sorprendentemente, la più antica

muratura, cioè quella risalente agli anni 1248-1560 e indicata nello schema con un tratteggio

orizzontale, costituisce solo una minima parte del moderno edificio e solo la metà delle fondamenta

della cattedrale. Non solo, ma anche questo frammento medievale conservato consiste di due parti,

piuttosto distanti l’una dall’altra (vedi fig. 1.64). Tutto il resto della muratura, cioè la stragrande

maggioranza del volume dell’edificio moderno risale agli inizi del XIX secolo! Nella fattispecie

nello schema è completamente assente la muratura del periodo compreso tra il 1560 e il 1825.

Questo sta a significare che nell’epoca dal 1560 al 1825, cioè per un periodo di circa 250 anni, non

sia stato fatto nessun tipo di lavoro? Oppure che i lavori fatti non abbiano portato a nessun

significativo cambiamento della struttura delle pareti del duomo? Gli storici e gli archeologi tedeschi

ci dicono dunque senza mezzi termini che il duomo che vediamo oggi è stato di fatto costruito nel

XIX secolo! Ma in questo caso sulla base di quali argomenti la storia scaligeriana ci assicura che

davanti ai nostri occhi si erge una chiesa medievale? Forse qualcuno dirà: va bene, sia pure che la

Cattedrale sia stata quasi completamente costruita nel XIX secolo. Però essa certamente riproduce

l’originale medievale che esisteva in questo luogo a partire dal XIII secolo. Ma quali sono le basi

per formulare un’ipotesi del genere, ci chiediamo noi. Esistono forse dei disegni originali di epoca

medievale, raffiguranti il Duomo di Colonia prima del XVII secolo? A quanto pare, disegni originali

risalenti a un’epoca anteriore al XVII secolo non ne esistono proprio. Comunque sia, nella stessa

brochure di Arnold Wolf è riportata solo un’incisione del Duomo di Colonia risalente agli anni 1834-

1836. Curiosamente, in essa è mostrata una chiesa molto rassomigliante a quella moderna.

Nell’album ([1017] a p. 21) è riportata, evidentemente come esempio più antico, solo un’incisione

del 1809.

Secondo il nostro punto di vista ciò significa che la costruzione della cattedrale nel suo aspetto

attuale è cominciata solo nel XIX secolo, fatto che, a rigore, conferma lo schema della muratura in

pietra che abbiamo riportato sopra. La costruzione fu iniziata intorno al 1810 e completata

fondamentalmente intorno al 1835, per un periodo, dunque, di circa venticinque anni. L’incisione del

1834-1836 ha fissato l’ultima tappa della costruzione del duomo. In seguito, nei secoli XIX e XX,

esso fu effettivamente più volte restaurato e ricostruito, ma senza significativi cambiamenti del suo

aspetto esteriore.

Alcune tracce dell’antica costruzione sul sito dell’attuale Duomo di Colonia probabilmente

c’erano. Sullo schema, infatti, è messa in rilievo una misteriosa muratura in alcune parti delle

fondamenta, muratura risalente presumibilmente al periodo 1248-1560. Tuttavia da questo stesso

schema si deduce inequivocabilmente che quest’antica muratura medievale era stata utilizzata anche

come materiale da costruzione nella successiva costruzione del Duomo nel XIX secolo. Guardate

ancora una volta la fig. 1.64.

La torre cuspidata di sinistra del Duomo, nella sua parte inferiore, è rivestita di pietre del XIX

secolo, in mezzo alle quali, in alcuni punti, sono state infilate pietre dei secoli XIII-XVI secolo!

Invece la metà superiore della torre, come del resto anche la seconda torre cuspidata, è stata

interamente costruita solo nel XIX secolo. Risulta così che un’antica struttura medievale, esistente sul

sito dell’attuale Duomo di Colonia, fu smantellata nel XIX secolo e il materiale che la costituiva è

stato utilizzato per la costruzione di un edificio praticamente nuovo. Alla luce di quanto sopra, ci

rivolgiamo agli storici e agli archeologi con le seguenti domande:

1) esistono disegni medievali autentici raffiguranti il Duomo di Colonia, o l’edificio che si trovava al

suo posto, prima del XVII secolo?

2) È vero che l’attuale Duomo di Colonia “assomiglia” alla chiesa medievale, che si trovava qui

prima del XIX o del XVIII secolo?

Secondo la nostra ipotesi, se anche ci fosse stata in questo posto una chiesa, essa non doveva

assomigliare alla costruzione che vediamo oggi, ma probabilmente era molto più piccola.

3) Perché nelle pareti dell’attuale Duomo di Colonia non ci sono tracce visibili della muratura degli

anni 1560-1825? Non starebbe forse ciò a significare che la costruzione vera e propria sia

effettivamente iniziata solo nel XIX secolo, sul sito di una piccola struttura risalente ai secoli XIIIXVI?

A questo proposito, quant’è affidabile la datazione della muratura, fatta risalire

presumibilmente ai secoli XIII-XVI? Non può essere che queste pietre siano state poste molto più

tardi, diciamo, nei secoli XVII-XVIII? Ecco ancora una domanda a questo proposito: in che modo

esattamente i moderni archeologi datano i frammenti di muratura? Come fanno a sapere che una

determinata pietra è stata posta nel muro della cattedrale in un certo anno piuttosto che in un altro?

Nel concludere questo tema facciamo una considerazione generale sulla strana durata della

costruzione di molti edifici famosi del Medioevo europeo. Secondo la storia scaligeriana questi

monumenti furono costruiti molto a lungo, si presume nell’arco di molte centinaia di anni. Prendiamo

ad esempio il Munster di Strasburgo, a suo tempo l’edificio più alto d’Europa. Ci viene detto che la

sua costruzione ebbe inizio nel 1015 e fu completata solo nel 1275 ([415], vol. 1, p. 333). Ne risulta

che esso fu costruito in 260 anni. La Torre di Erwin von Steinbach, presso il Munster, pare sia stata

eretta in 162 anni. Lo storico Kohlrausch scrive a buon diritto: «Di conseguenza, l’intero edificio

[cioè il Munster; N.d.A.] fu costruito in 424 anni» ([415], vol. 1, p. 333). Quasi mezzo millennio!

Fig. 1.64. Cronologia degli interventi di muratura nella cattedrale di Colonia. Le informazioni sono contenute nella brochure

tecnica, che abbiamo ricevuto nella stessa cattedrale di Colonia. Gefahr fur den Kolner Dom. Bild-Dokumentation

zurVerwitterung. Auszug aus dem Kolner-Dom-Lese- and Bilderbuch. Prof. Dr. Arnold Wolff (Pericolo per il Duomo di

Colonia / Documentazione fotografica della consunzione dei materiali. Estratto dell’archivio fotografico).

Non poteva, il Kohlrausch, lasciare inosservata la presunta lunga costruzione del Duomo di

Colonia. A quanto pare, rendendosi conto che queste durate stranamente lunghe necessitano di

spiegazione, egli offre la seguente teoria: «Il Duomo di Colonia, fondato nel [...] 1248 [...] fu

costruito nell’arco di 250 anni. Tale lentezza – teorizza Kohlrausch – è dovuta al fatto che sulle sue

pietre sono incise migliaia di raffigurazioni» ([415], vol. 1, p. 333). Noi invece capiamo che non è

una questione di raffigurazioni, ma dell’inesatta cronologia scaligeriana, che ha artificialmente

diluito in molti secoli i tempi di costruzione. [...].

13.5. Come si poteva “nell’età del bronzo”, produrre il bronzo, senza conoscere lo

stagno? Questo è uno dei problemi che pone la storia scaligeriana

Dalla nostra ricerca risulta che già da molto tempo alcuni esperti di chimica e metallurgia

avevano prestato attenzione a una curiosa circostanza, cioè al fatto che “nell’antichissima” (secondo

Scaligero) età del bronzo, il bronzo non si potesse fare. Il professor italiano Michele Giua,

«ricercatore eminente e poliedrico nel campo della sintesi organica (biosintesi) e della chimica degli

esplosivi e delle materie plastiche» [245] (dall’annotazione sulla copertina) e autore di una

dettagliata Storia della Chimica, scrive quanto segue (leggendo, si tenga in considerazione che

Michele Giua seguiva, ovviamente, la cronologia scaligeriana): «Il rame [...] è noto fin dalla

preistoria, non solo allo stato libero [...] ma anche sotto forma di bronzo, una lega di rame e stagno.

Nell’epoca preistorica chiamata l’Età del Bronzo, il bronzo, come sappiamo, veniva utilizzato per la

produzione di oggetti domestici, ornamenti e gioielli, armi ecc. Non è del tutto chiara, tuttavia, la

questione della metallurgia dello stagno presso gli antichi. Nell’Età del Bronzo lo stagno come

metallo non veniva usato, nonostante esso fosse necessario per ottenere il bronzo, essendo il bronzo

una lega rame-stagno. Pertanto resta da supporre che in epoca preistorica si riuscisse casualmente a

produrre un metallo piu fusibile [...] attraverso la fusione del rame con minerali contenenti stagno.

Risulta così che il rame era conosciuto prima dello stagno, che presenta una metallurgia piu

complessa. La conclusione che il bronzo fosse conosciuto prima dello stagno non chiarisce, tuttavia,

molti altri problemi relativi all’antichità» [traduzione della traduzione russa; N.d.T.] ([245], pp. 17-

18). Il quadro è perfettamente chiaro. Come possiamo vedere, è ben noto che la metallurgia dello

stagno è più complessa di quella del rame, per questo motivo il bronzo, essendo una lega di rame e

stagno, doveva comparire dopo la scoperta dello stagno. Nella storia proposta da Scaligero risulta

esattamente il contrario: all’inizio pare che sia stato scoperto il bronzo e “il risultato” fu l’Età del

Bronzo. E solo presumibilmente più tardi viene scoperto lo stagno, caratterizzato da una più

complessa produzione. Nella versione della storia proposta da Scaligero emerge quindi una

contraddizione che in realtà si spiega facilmente: i cronologisti scaligeriani non erano né chimici né

metallurgici. Come potevano sapere che, compilando un manuale di storia, dovevano prima

descrivere la scoperta dello stagno e solo dopo quella del bronzo? Gli storici dei secoli XVII-XVIII

hanno seguito dei princìpi completamente diversi nel processo di scrittura della storia “antica”. Lo

stagno non li interessava, e nemmeno la scienza e la verità. A nessuno di loro era venuto in mente di

rivolgersi ai chimici, e il risultato è che gli “antichi” eroi greci si colpiscono l’un l’altro con spade

di bronzo, che dovevano essere prodotte con lo stagno “che non era stato ancora scoperto”. I chimici

moderni, ovviamente, rimangono sorpresi da queste scene scaligeriane e cominciano a chiedersi

onestamente le ragioni delle stranezze che s’incontrano nella storia scaligeriana della chimica e della

metallurgia.

Fig. 1.65. Statuette di bronzo del Luristan (Nord-Ovest dell’Iran) che si presume risalgano a un’età molto antica ([245], p.

19), Museo del Louvre. Probabilmente, però, esse appartengono a un periodo molto più tardo (tratto da [245], p. 19).

La nostra spiegazione è molto semplice. In effetti, l’età del bronzo risale ai secoli XIV-XVI,

quando si era già imparato a produrre lo stagno. Ovviamente, dopo il rame. Date un’occhiata ai

presunti “antichissimi” idoli in bronzo di Luristan, conservati nel Museo del Louvre di Parigi (fig.

1.65). Michele Giua li riporta come esemplari di “antichissime” opere d’arte in bronzo, ma è

probabile che queste fini statuette dell’Età del Bronzo siano state realizzate nei secoli XV-XVII.

Fig. 1.66. Statuetta che si presume “molto antica”, fatta risalire al V secolo a.C. Prabibilmente, però, anche questo

candelabro è un oggetto di epoca posteriore, databile XVI-XVIII secolo (tratto da [1237]).

Lo stesso si può dire per “l’antica” statuettacandelabro fatta risalire al V secolo a.C., conservata

al Louvre (fig. 1.66). Non è escluso che si tratti, in realtà, di un manufatto dei secoli XVI-XVIII. In

fig. 1.67 è riportata un’antica raffigurazione del processo di fusione in un forno di mattoni, dove il

fuoco viene alimentato da due enormi soffietti.

Fig. 1.67. Incisione raffigurante un forno medievale per la fusione dei metalli. Germania presumibilmente XV secolo (tratto da

[643:2], p. 216, ill. 2).

14. Le difficoltà del metodo dendrologico e di altri metodi di datazione

14.1. La curva continua della datazione dendrocronologica si estende nel passato

non oltre il X secolo dell’era cristiana

Quello dendrocronologico è uno dei metodi moderni aventi la pretesa di fornire datazioni

indipendenti dei manufatti storici. Esso è basato su un’idea abbastanza semplice, e cioè sul fatto che

gli anelli di legno degli alberi crescono in modo non uniforme nel corso degli anni. Si ritiene che la

sequenza dell’accrescimento annuale degli alberi sia circa la stessa negli alberi di una stessa

famiglia, che crescono nelle stesse posizioni e a pari condizioni. Affinché questo metodo possa

essere applicato per la datazione, è necessario costruire prima una scala di base dell’accrescimento

annuale degli anelli annuali di una data specie di alberi durante un periodo storico sufficientemente

lungo. Tale scala è definita curva dendrocronologica. Una volta elaborata la curva, col suo aiuto si

può tentare di datare alcuni reperti archeologici, contenenti elementi lignei tronchi. Occorre anche

definire la specie cui appartiene l’albero, fare un carotaggio del materiale, misurare l’ampiezza degli

anelli, costruire il grafico e cercare di trovare, nella scala dendrologica di riferimento, una sequenza

con lo stesso grafico. Ciò premesso, dev’essere anche presa in esame la questione di quali

deviazioni dai grafici di riferimento possano essere trascurate.

L’idea è buona, tuttavia, le scale dendrocronologiche in Europa si estendono a ritroso solo di

qualche secolo, fatto che non permette di datare i manufatti “antichi”.

«Gli scienziati in molti Paesi europei hanno cercato di applicare il metodo dendrocronologico [...] ma alla prova dei fatti sono

emerse delle difficoltà oggettive: gli alberi antichi delle foreste europee contano solo 300-400 anni [...]. Il legno delle latifoglie è

duro da studiare. I suoi anelli indistinti parlano con estrema riluttanza del passato […] il materiale archeologico utile, contrariamente

alle aspettative, è risultato essere non sufficiente» ([616], p. 103).

Di una miglior posizione gode la dendrocronologia americana, che fa riferimento all’abete

Douglas, al pino di alta montagna e al pino giallo ([616], p. 103). L’America, però, non rientra nella

“zona dell’Antichità”. Inoltre, rimangono sempre tanti fattori che non vengono presi in

considerazione: le condizioni climatiche locali di un dato periodo, la composizione del terreno, le

fluttuazioni dell’umidità locale, la topografia ecc. Tutti questi fattori influenzano il grafico

dell’ampiezza degli anelli ([616], pp. 100-101). È importante notare che le curve

dendrocronologiche sono state elaborate sulla base della già esistente cronologia di Scaligero

([616], p. 103), pertanto, una qualsiasi modifica della cronologia dei documenti scritti cambia

automaticamente anche queste curve. Che, dunque, non risultano indipendenti.

Emerge che le curve dendrocronologiche costruite relativamente all’Europa e all’Asia ci portano

indietro, nel passato, solo di qualche centinaio di anni. Diamo di seguito un quadro più preciso dello

stato moderno di queste curve relativamente all’Italia, ai Balcani, alla Grecia e alla Turchia. Nel

diagramma di curve di datazione dendrocronologica relative a questi Paesi, riportato in fig. 1.68, si

vede lo stato della situazione aggiornato alla primavera del 1994. Questo diagramma ci è stato

cortesemente messo a disposizione dal professor M. Kabanov (Mosca). Nel 1994 il professor

Kabanov ha partecipato a una conferenza nell’ambito della quale il professore americano Peter Ian

Kuniholm ha letto una relazione sullo stato moderno della dendrocronologia, e nella fattispecie, ha

illustrato quest’interessante tabella, elaborata dal Laboratorio di Malcolm e Carolyn Wiener per la

Dendrocronologia dell’Egeo e del Vicino Oriente, presso la Cornell University, Ithaca, New York,

USA. In fig. 1.68, sull’asse orizzontale sono stati chiaramente raffigurati i frammenti delle curve

dendrocronologiche ripristinate e riferentesi a specie diverse di alberi: quercia, legno di bosso,

cedro, pino, ginepro, famiglia delle conifere. Si vede chiaramente che tutte le sei curve hanno un gap

di circa 1000 anni in era cristiana. Dunque, nessuna di esse dimostra una successione continua che

dai giorni nostri conduca ininterrottamente sino oltre il decimo secolo dopo Cristo. Tutte le sequenze

delle curve dendrologiche, presunte “antecedenti”, indicate nel diagramma non possono essere

utilizzate per datazioni indipendenti, giacché sono legate all’asse del tempo solo sulla base della

cronologia scaligeriana. Facendo riferimento proprio ad essa, sono stati “datati” alcuni singoli

tronchi “antichi”.

Ad esempio, un tronco proveniente dalla tomba di un faraone è stato fatto risalire a qualche

millennio a.C., sulla base di “considerazioni storiche” fondate, ovviamente, sulla cronologia

scaligeriana. In seguito, a questo “tronco datato”, si è cercato di collegare altri “antichi” tronchi,

ritrovati successivamente. A volte questo sistema sembra avere anche successo. Il risultato è che

sulla base di questa “datazione” primigenia viene costruita una sequenza di curva dendrocronologica.

Ebbene, può anche darsi che la datazione relativa dei diversi reperti “antichi” sia esatta, tuttavia, la

loro datazione assoluta, cioè il collegamento di tutta questa sequenza all’asse del tempo, è sbagliata,

perché inesatta era la datazione di partenza, calcolata sulla base dalla cronologia scaligeriana che,

come cominciamo a capire, è intrinsecamente sbagliata.

Fig. 1.68. Stato attuale delle scale dendrocronologiche. Si vede chiaramente che queste scale sono considerate

“ininterrottamente estese” nel passato solo fino al X secolo d.C. Prima di quest’epoca, la scala rappresenta solo singoli

frammenti, non correlati tra di loro.

Come si dichiara apertamente nel libro [1055],

«se riusciamo a trovare la sovrapposizione giusta (la cucitura) rispetto alla quale siamo assolutamente sicuri che le curve degli

anelli del nuovo campione corrispondono alle curve degli anelli della cronologia di riferimento, il nuovo campione viene definito

datato. Tuttavia, se non si è in grado di trovare questa corrispondenza, il campione rimane non datato, nonostante anche in questo

caso il dendrocronologista può indicare uno o più modi di sovrapposizione, a suo avviso ammissibilmente corrispondenti, buoni ma

non impeccabili. Ovviamente, la comunità dei dendrocronologisti dovrebbe mettersi d’accordo per capire cosa si voglia intendere

per “corrispondenza impeccabile» ([1055], p. 341).

Dunque, in dendrocronologia, può essere presente un’arbitrarietà soggettiva. Le diverse datazioni

dendrocronologiche offrono, in generale, una diversa affidabilità. La loro affidabilità dipende da

quanto è sicura la costruzione della scala dendrocronologica, elaborata prima della data presa in

considerazione. Se sono state ammesse sovrapposizioni discutibili, anche la data stessa diventa

discutibile. Nel libro ([1055], p. 341), per questo tipo di date dubbie è stato introdotto un termine

speciale, “la zona grigia”, cioè a dire la zona che si trova tra la zona “bianca” delle datazioni sicure

e la zona “nera” dove le datazioni sono assenti.

Nel libro, relativamente recente, di Christian Bloss e Hans-Ulrich Niemitz [1038], il metodo

dendrocronologico è stato sottoposto a una critica spietata.

14.2. Le datazioni ottenute sulla base del metodo al radio-uranio, al radio-attinio

e sulla base dell’analisi dello strato sedimentario

La cronologia storica di Scaligero, esplicitamente o implicitamente, si è addentrata anche nelle

scale di valutazione persino dei più grossolani metodi fisici di stima dell’età assoluta dei reperti.

A. Olejnikov scrive:

«Nei 18 secoli passati dall’epoca dell’invasione romana [si sta trattando, qui, del territorio dell’attuale Savoia; N.d.A.], le mura

dell’ingresso della cava si sono ricoperte di uno strato dovuto agli agenti atmosferici, di uno spessore che, come hanno dimostrato le

misurazioni, ha raggiunto i 3 mm. Confrontando lo spessore di questa crosta, formatasi nell’arco di 1800 anni [stando alla cronologia

di Scaligero; N.d.A.], con i 35 cm della crosta che ricopre la superficie delle colline levigate da un ghiacciaio, si può presumere che

la glaciazione abbia abbandonato le regioni locali circa 216.000 anni fa [...]. Ma i sostenitori di questo metodo si rendono

perfettamente conto di quanto sia difficile ottenere delle misure standard del processo di erosione [...]. A seconda delle diverse

condizioni climatiche l’erosione avviene a velocità diverse: uno stesso tipo di roccia si eroderà nei tropici e nelle regioni polari in

modo diverso. La velocità dell’erosione dipende dalla temperatura, dall’umidità dell’aria, dalla quantità delle precipitazioni e dei

giorni di sole.

Questo significa che per ogni area naturale bisogna elaborare dei grafici speciali e comporre delle scale speciali. Ma si può

essere sicuri che le condizioni climatiche siano rimaste immutabili dal momento in cui è venuto allo scoperto lo strato che si sta

prendendo in esame?» ([616], pp. 34-35).

Numerosi sono stati i tentativi di determinare l’età assoluta sulla base del tasso di

sedimentazione, ma si sono rivelati tutti fallimentari. E si capisce il perché.

Scrive ancora Olejnikov:

«Le ricerche in questa direzione sono state fatte contemporaneamente in molti Paesi, ma i risultati, nonostante le aspettative, si

sono rivelati deludenti. È emerso subito che persino pietre identiche a condizioni naturali simili si possono accumulare o erodere alle

velocità più diverse, pertanto stabilire delle costanti esatte di questi processi è praticamente impossibile. Per esempio, da antiche

fonti scritte si sa [e di nuovo, con riferimento alla cronologia di Scaligero; N.d.A.], che il faraone egiziano Ramsete II regnò circa

3000 anni fa. Gli edifici che furono eretti durante il suo regno, ora si trovano sepolti sotto uno strato di sabbia di 3 m, il che significa

che nell’arco di un millennio si è depositato uno strato di sabbia di quasi 1 m. Allo stesso tempo, in alcune aree d’Europa, nell’arco

di mille anni, si accumulano solo tre centimetri di deposito, mentre nel sud dell’Ucraina, nella bocca degli estuari, questa stessa

quantità si accumula in un anno» ([616], p. 39).

Si è cercato di applicare altri metodi. «I metodi al radio-uranio e al radioattinio danno

informazioni nei limiti di 300 mila anni. Sono utili per la datazione delle formazioni geologiche nei

casi in cui la precisione richiesta non superi i 4-10 mila anni» ([616], p. 70). Ma ai fini della

cronologia storica questi metodi approssimativi, purtroppo, non possono praticamente offrire nulla.

15. Quanto sono esatte le datazioni fatte con il metodo del radiocarbonio?

15.1. Lo spettro caotico delle datazioni al radiocarbonio ottenute su reperti

“antichi”, medievali e moderni. L’idea iniziale di Libby. I primi fallimenti

Il metodo più popolare è il metodo del radiocarbonio, che pretende di offrire delle datazioni

indipendenti di reperti “antichi”. Di fatto, però, man mano che si sono venute ad accumulare date al

radiocarbonio, sono venute alla luce alcune gravi difficoltà di applicazione del metodo, nella

fattispecie, come scrive Olejnikov,

«si è dovuto pensare a un ulteriore problema. L’intensità delle radiazioni che penetrano l’atmosfera varia a seconda dell’effetto

di una serie di fattori cosmici. Di conseguenza, la quantità dell’isotopo radioattivo di carbonio formatasi dovrebbe variare nel tempo.

Risulta pertanto necessario trovare un metodo che permetta di prendere in considerazione questi fattori, non solo, ma da quando il

progresso ha incominciato ad avvolgere la Terra con una fitta rete di autocomunicazioni e imprese industriali, nell’atmosfera

vengono continuamente rilasciate enormi quantità di carbonio, derivato dalla combustione del legno, del carbone, del petrolio, della

torba, degli scisti bituminosi e dei loro sottoprodotti. Che effetto ha questa fonte di carbonio atmosferico sull’aumento del contenuto

dell’isotopo radioattivo? Al fine di ottenere la definizione della vera età di un reperto, è necessario tener conto di una serie di

complesse correzioni, che riflettono il cambiamento della composizione dell’atmosfera nell’arco dell’ultimo millennio. Queste

incertezze, insieme ad altre difficoltà di carattere tecnico, hanno fatto sorgere il dubbio sulla precisione di molti dati ottenuti con il

metodo al carbonio» ([616], p. 103).

L’autore del metodo, W.F. Libby, non essendo uno storico, era assolutamente sicuro circa

l’esattezza delle datazioni proposte dalla cronologia scaligeriana, e dal suo libro è chiaro, che il suo

metodo fu aggiustato proprio sulla base di essa. L’archeologo Vladimir Milojcic, del resto, ha

dimostrato in modo convincente che questo metodo, nel suo stato attuale, dà origine a errori caotici

che raggiungono i 1000-2000 anni e nella sua datazione “indipendente” di campioni antichi segue

pedissequamente la datazione proposta dagli storici. Per questo motivo non si può dire che esso la

“confermi” ([391], pp. 94-95).

Riportiamo alcuni dettagli utili ai fini del nostro discorso. Come si è gia detto, W.F. Libby non

dubitava dell’esattezza delle datazioni proposte dalla cronologia scaligeriana rispetto agli eventi

dell’Antichità. Egli scrisse:

«Non sono emerse divergenze con gli storici riguardo all’antica Roma e all’antico Egitto. Non abbiamo fatto molte analisi su

queste epoche [(!); N.d.A.], dal momento che, in generale, gli archeologi conoscono la cronologia relativa a questi momenti storici

meglio di quanto possiamo stabilirla noi con i nostri metodi, quindi, mettendo a nostra disposizione i campioni [che, tra l’altro, si

distruggono durante il processo di misurazione al radiocarbonio; N.d.A.], gli archeologi ci hanno più che altro reso un servizio»

([478], p. 24).

Questo riconoscimento di Libby è molto significativo, giacché le incoerenze della cronologia

scaligeriana emergono proprio relativamente a quelle regioni e a quelle epoche storiche, rispetto alle

quali, come dichiara apertamente Libby, «non sono state fatte molte analisi».

Vediamo dunque che il metodo di datazione al radiocarbonio poco volentieri fu applicato dagli

archeologi di matrice scaligeriana ai “periodi storici sicuri” della storia scaligeriana. E se questo

metodo mettesse in luce “qualcosa che non va” e non s’inscrivesse nella posizione assunta? Che

venga pure applicato oltre i limiti della storia scaligeriana, dove mancano documenti scritti anche in

accordo alla versione di Scaligero. In questo campo non c’è motivo di aver paura.

Per quanto riguarda l’esiguo numero di misurazioni di controllo effettuate sui reperti

dell’“Antichità”, la situazione è la seguente: nella datazione al radiocarbonio della collezione egizia

di J. H.Brastedd, «si è scoperto, improvvisamente», dichiara Libby, «che il terzo oggetto sottoposto

ad analisi, è risultato essere moderno! Era un reperto che si considerava [...] appartenente alla V

dinastia [cioè agli anni 2563-2423 a.C., circa quattro mila anni fa; N.d.A.]. Sì, è stato un duro colpo»

([478], p. 24).

Ci chiediamo: perché «è stato un duro colpo?». In fondo, i fisici hanno stabilito la verità, hanno

scoperto che la datazione del reperto egizio proposta prima delle loro analisi era inesatta. Cosa c’è

di male in tutto ciò? Di male c’è che veniva minacciata e messa in dubbio la cronologia scaligeriana.

È ovvio che Libby non poteva continuare “su questa stessa linea” e “denigrare la storia dell’Antico

Egitto”. Si fu costretti a lasciare il reperto che Libby definì moderno. Esso fu dichiarato un falso

([478], p. 24), e ciò fu una cosa naturale, giacché gli archeologi non potevano ammettere il pensiero

che il ritrovamento, che si riteneva appartenesse al periodo “dell’Antico Egitto”, fosse in realtà un

manufatto risalente a un periodo non antecedente ai secoli XVI-XVII d.C. (tenendo conto della

precisione del metodo).

«A sostegno delle loro ipotesi di base essi [i sostenitori del metodo; N.d.A.], riportano una serie di prove indirette, osservazioni e

calcoli di dubbia precisione, che offrono un’interpretazione discutibile, e come prova principale si rimettono alle determinazioni fatte

con il metodo del radiocarbonio su campioni di età già nota a priori [...]. Però, non appena si parla di datazioni di controllo su

campioni storici, tutti menzionano i primi esperimenti, cioè i risultati ottenuti su una serie esigua [(!); N.d.A.] di campioni» ([391], p.

104).

L’assenza, come riconosce anche Libby, di un’ampia statistica di controllo di riferimento, peraltro

in presenza di discrepanze, nella datazione, dell’ordine di millenni, goffamente liquidate “come

falsificazioni”, mette in discussione la possibilità stessa di applicare il metodo all’intervallo di

tempo che ci interessa, e cioè a un periodo di 1000-2000 anni addietro rispetto al nostro secolo. Ciò

non riguarda l’applicazione del metodo ai fini della geologia, dove errori dell’ordine di qualche

migliaio di anni risultano insignificanti.

W.F. Libby scrisse: «Tuttavia, non ci sono mancati materiali risalenti a un’epoca distante da noi

3700 anni, materiali su cui si potrebbe testare la precisione e l’affidabilità del metodo» ([478], pp.

24-25). Ma qui non c’è nulla con cui si possano confrontare le datazioni al radiocarbonio, non

esistendo fonti scritte datate risalenti a questi periodi. Libby continua: «Storici che conosco bene,

sono pronti a scommettere sull’esattezza [delle datazioni; N.d.A.] nei limiti degli ultimi 3750 anni,

tuttavia, quando si parla di eventi più antichi, la loro sicurezza viene meno» ([478], pp. 24-25).

In altre parole, il metodo del radiocarbonio è stato ampiamente applicato laddove, con un sospiro

di sollievo, era difficile e praticamente impossibile verificare i risultati ottenuti con altri metodi

indipendenti. Ecco qui un ottimo esempio:

«La datazione con il metodo del radiocarbonio di tre tavolette con iscrizioni rinvenute in Romania ha messo gli archeologici di

fronte a un mistero emozionante [...]. La datazione con il metodo del radiocarbonio della cenere, in cui sono state trovate le

tavolette, ha dimostrato che esse risalgono a un periodo non inferiore a 6000 anni. Dunque, è possibile che la scrittura non sia stata

inventata presso la civiltà colta ed evoluta dei Sumeri, ma in una comunità rurale europea, appena uscita dall’età della Pietra?

[Quanto spazio per un volo di fantasia; N.d.A.]. Gli scienziati ritengono che sia improbabile [...]. Molte teorie sono state avanzate

per spiegare questa scoperta, che, a quanto pare, smentisce tutte le opinioni esistenti sull’origine della scrittura. Alcuni archeologi,

pur non dubitando della scientificità dei princìpi alla base del metodo del radiocarbonio, hanno suggerito l’ipotesi che il metodo celi la

possibilità di errori significativi, dovuti a effetti ancora sconosciuti» ([478], p. 29).

Ma forse si può ammettere che questi errori di metodo siano poco significativi e non siano

d’ostacolo a una datazione quanto meno approssimativa di campioni in un intervallo di 2000-3000

anni “in giù” a partire dai giorni nostri? In realtà la situazione risulta molto più seria di quanto

sembri in apparenza. Gli errori nelle datazioni ottenute con il metodo del radiocarbonio sono troppo

grandi e caotici. Possono raggiungere valori dell’ordine di 1000-2000 anni nella datazione di oggetti

dei tempi nostri e di epoca medievale (vedi sotto). Nel 1984 la rivista «Tecnologia e scienza»,

numero 3, pagina 9, ha riferito i risultati di un dibattito sviluppatosi intorno al metodo del

radiocarbonio nell’ambito di due simposi scientifici, uno svoltosi a Edimburgo e l’altro a Stoccolma.

«A Edimburgo, sono stati illustrati i risultati di centinaia [(!); N.d.A.] di analisi, che presentavano errori di datazione dell’ordine di

600-1800 anni. A Stoccolma, gli scienziati hanno rilevato il fatto che il metodo del radiocarbonio per qualche ragione, distorce e

altera soprattutto la storia dell’Antico Egitto, in un’epoca lontana da noi 4000 anni. Sono stati evidenziati però anche altri casi, come

per esempio quelli relativi alla storia delle civiltà Balcaniche [...]. Gli specialisti hanno dichiarato all’unanimità che il metodo del

radiocarbonio è a tutt’oggi discutibile mancando di calibrazione. Senza calibrazione è inaccettabile, giacché non permette di

estrapolare date autentiche in una scala di calendario».

15.2. La datazione della Sacra Sindone di Torino

Nel 1988 ebbe enorme risonanza la notizia della datazione al radiocarbonio di una famosa

reliquia della cristianità, la Sacra Sindone di Torino, si vedano le figg. 1.69, 1.70, 1.71, ottenuta

dall’analisi effettuata in tre Laboratori diversi, quello dell’Università di Oxford, quello

dell’Università dell’Arizona e quello dell’Istituto svizzero di tecnologia (Zurigo, [769], p. 80).

Secondo la versione tradizionale, questo pezzo di tessuto conserverebbe le tracce del corpo di Cristo

crocifisso e risalirebbe presumibilmente al I secolo d.C. L’età del tessuto sarebbe dunque

apparentemente di circa duemila anni. La datazione al radiocarbonio, tuttavia, ha sortito una data

completamente diversa e cioè circa XI-XIII secolo d.C.

In un testo scientifico specialistico [1055] si dichiara, sulla base della datazione al radiocarbonio

del materiale proveniente dalla Sacra Sindone, che il tessuto di lino della Sindone, è stato realizzato

tra il 1050 e il 1350 anni dopo Cristo ([1055], p. 141). Gli autori del libro [1055] fanno riferimento

ai risultati dell’analisi su un frammento di tessuto della Sindone, effettuata nel laboratorio di Oxford

([1055], p. 140). I laboratori dell’Arizona e di Zurigo avevano fornito, invece, date posteriori,

precisamente il 1304, con più o meno 31 anni, e il 1274, con più o meno 27 anni ([769], p. 82). Nel

nostro libro, Car’ Slavjan (Lo Zar degli Slavi) trattiamo nel dettaglio la datazione al radiocarbonio

della Sacra Sindone e dichiariamo che, sulla base della nostra ricerca, la data più probabile è la

seconda metà del XII secolo.

L’attribuzione alla Sindone di una data compresa tra i secoli XI e XIII, suscitò in molti un effetto

shock.

«Nel settembre del 1988 [...] è apparsa la notizia che l’analisi ha fatto risalire senza dubbi la realizzazione del tessuto della

Sindone a una data compresa in un periodo di tempo di 1000 anni posteriore alla data presupposta della morte di Cristo [...] anche

nel caso in cui la Sindone fosse datata XI secolo [...]» ([46], p. 25).

Fig. 1.69. Fotografia della famosa Sacra Sindone conservata a Torino (tratta da [358], pp. 16-17).

Fig. 1.70. Frammento della Sacra Sindone (tratto da [46], vedi anche [1055], p. 138, ill. 7.1 e [358], pp. 16-17).

L’autore [46], evitando la discussione sulla datazione, discute sull’autenticità o meno

dell’immagine di Cristo impressa sulla Sindone.

Com’è dunque la questione? Ovviamente si arriva alle seguenti conclusioni:

1. o la Sindone di Torino è un falso;

2. o gli errori della datazione al radiocarbonio possono raggiungere molte centinaia o addirittura

migliaia di anni;

3. o la Sindone di Torino è un originale, ma datato non I secolo d.C. bensì XI-XIII secolo d.C. In

questo caso si fa strada una domanda di tutt’altro tipo: in quale secolo è vissuto Cristo? È

ammissibile che sia vissuto nel XII secolo?

Come abbiamo dimostrato nel nostro libro Lo Zar degli Slavi, la datazione al radiocarbonio della

Sindone alla metà del secolo XII è coerente con altre datazioni indipendenti relative alla vita di

Cristo, ottenute nella nostra ricerca. Secondo noi, infatti, Cristo è nato probabilmente nel 1152 ed è

stato crocifisso a Zar-Grad (Costantinopoli) nel 1185. Diciamo subito che abbiamo una posizione

piuttosto critica rispetto ai risultati della datazione al radiocarbonio vedi in seguito [questa

dettagliata trattazione della questione non è stata tradotta; N.d.T.]. Tuttavia, nel caso della datazione

della Sindone, la situazione si presenta diversa. Campioni di tessuto provenienti dalla Sindone sono

stati datati da laboratori diversi, e ciò permette di far riferimento con un certo grado di affidabilità ai

dati ottenuti.

I risultati della datazione al radiocarbonio della Sindone di Torino, e cioè l’attribuzione della

reliquia ai secoli XI-XIII, gettò nello scompiglio la comunità degli storici. Subito dopo la diffusione

della notizia, furono intrapresi dei tentativi per smentirne il contenuto. Per esempio, A. Agureev,

corrispondente dell’Itar-tass, segnalò da New York (vedi articolo del 4 aprile 1988 nel giornale

«Gudok») che la datazione al radiocarbonio della Sacra Sindone «contraddiceva completamente le

leggende bibliche». Secondo i ricercatori dell’Università del Texas, i loro omologhi italiani non

avrebbero dovuto applicare il metodo dell’analisi al carbonio. Infatti, si scrive nell’articolo, la

Sindone, nei secoli XI-XIII, «potrebbe essere stata attaccata da un fungo», che potrebbe aver alterato

la datazione al radiocarbonio. «Comunque sia, gli scienziati non hanno modo di continuare le loro

ricerche, dal momento che la Chiesa cattolica non solo si è rifiutata di fornire un numero maggiore di

campioni, ma ha anche costretto gli scienziati a restituire tutti quelli che erano stati messi

precedentemente a loro disposizione».

Fig. 1.71. Immagine negativa e positiva della Sacra Sindone conservata a Torino (tratta da [358], pp. 16-17).

Quando la datazione al radiocarbonio della Sindone di Torino diede dei risultati fortemente

divergenti dalla datazione della vita di Cristo proposta da Scaligero, l’attenzione del pubblico fu

nuovamente pilotata verso il metodo del radiocarbonio. Pertanto, al fine di proteggere la datazione

scaligeriana della Sindone di Torino, furono resi noti importanti fatti nuovi, che aumentavano i dubbi,

già seri di per sé, sull’esattezza dell’applicazione pratica dell’idea della datazione al radiocarbonio

ai fini della cronologia storica. Ecco una raccolta di materiali critici, raccolti sull’argomento dai

sostenitori della versione scaligeriana della datazione della vita di Cristo [358]. La pubblicazione

del 1998 [358] è stata scritta da padre Gleb Kaleda, un eminente geologo, professore e ricercatore

scientifico (per i materiali critici si veda anche [717]).

«Vi è una serie di fattori che a livello planetario o locale influenzano la concentrazione di 14C nell’atmosfera, nell’idrosfera, nei

tessuti vegetali e in altri tessuti, e che di conseguenza complicano e limitano l’applicazione del metodo del radiocarbonio alla

cronologia:

– l’emissione radio artificiale o naturale. I neutroni che si liberano nelle reazioni atomiche di fissione e fusione, così come i raggi

cosmici, agendo sul 14N, lo trasformano in radiocarbonio 14C. Dal 1956 all’agosto 1963 il contenuto di 14C nell’atmosfera è

raddoppiato. Il forte incremento del 14C è iniziato dopo le esplosioni termonucleari del 1962 […].

– L’influenza dei gas vulcanici in prossimità dei posti della loro fuoriuscita, sul contenuto specifico del 14C è stato segnalato da

L.D. Suleržickij e V.V. Čerdancev [717] […].

In una serie di casi, le stime dell’età ottenute con le analisi al radiocarbonio offrono valori palesemente assurdi, in netta

contraddizione con l’insieme di dati geologici e paleontologici disponibili. In questi casi non si possono prendere in considerazione le

cifre ottenute “di una cronologia assoluta”, essendo evidentemente inattendibili. A volte le differenze tra le determinazioni

geocronologiche ottenute con diversi metodi del radioisotopo raggiungono valori decuplicati.

Nel 1989, il Concilio britannico per la Scienza e la Tecnologia condusse delle ricerche per verificare l’attendibilità del metodo del

radiocarbonio (vedi rivista “New Scientists”, 1989, 8), coinvolgendo 38 laboratori di tutto il mondo, che effettuarono analisi su

campioni di legno, torba, carbonati, la cui età era nota solo agli organizzatori dell’esperimento, e non agli analisti. Risultati

soddisfacenti furono ottenuti solo in 7 laboratori [su 38 (!); N.d.A.] mentre negli altri gli errori erano dell’ordine di due, tre e più di

tre volte. Confrontando i dati ottenuti dai diversi ricercatori e con l’utilizzo di diverse variazioni di tecnologia dei lavori di

determinazione, è apparso evidente che gli errori nella determinazione dell’età erano dovuti non solo alle inesattezze della

determinazione della radioattività del campione, come si pensava prima, ma anche alla preparazione del campione per l’analisi.

Alterazioni della diagnosi emergono infatti quando il campione viene riscaldato e anche in alcune fasi del trattamento chimico

preliminare. Tutto ciò porta a concludere che i calcoli dell’età di un campione ottenuti con il metodo del radiocarbonio vanno valutati

con cautela» ([358], pp. 14-16).

In tempi relativamente recenti, nel 1997, è uscito il libro degli autori tedeschi Christian Bloss e

Hans-Ulrich Niemitz, dal titolo significativo: Il fallimento del 14C [1038]. Nel testo, che raccoglie

un vasto materiale di epoca moderna, si dimostra chiaramente che il metodo del radiocarbonio al suo

stato attuale non può servire da base per la datazione assoluta di reperti storici (su questo tema si

veda anche il bollettino [1491], ove sono pubblicati interessanti lavori critici degli anni 1991-1995):

a) Christian Bloss und Hans-Ulrich Niemitz (1996), «Der Selbstbetrug von C14-Methode und

Dendrochronologie».

b) Hans-Ulrich Niemitz (1995), «Die “magic dates” und “secret procedures” der

Dendrochronologie».

c) Heribert Illig (1991), «Dendrochronologische Zirkelschusse».

Come vediamo, la datazione al radiocarbonio può essere più o meno efficace solo nell’analisi di

oggetti estremamente antichi, di età dell’ordine di decine o centinaia di migliaia di anni. In questo

contesto gli errori propri del metodo, dell’ordine di 1000 anni, non sono molto significativi, anche se

comunque dipende dal caso. Sicuramente, l’applicazione meccanica del metodo per la datazione di

oggetti di età non superiore ai 2000 anni (ed è proprio questo periodo storico il più interessante per

il ripristino dell’autentica cronologia della storia delle civiltà dotate di scrittura), ci sembra

impensabile in assenza di dettagliati studi preliminari di statistiche e di calibrazione su campioni di

età attendibilmente nota. Per quanto ne sappiamo, a tutt’oggi non esiste un tipo simile di “statistica

radiocarbonica” di riferimento, non solo, ma non è assolutamente chiaro se sia possibile, anche in

linea di principio, ottimizzare la precisione del metodo fino ai limiti necessari (vedi anche [718]).

Del resto ci sono altri metodi fisici di datazione. Purtroppo, però, la sfera della loro applicazione

è molto più ristretta rispetto al metodo del radiocarbonio, e la loro precisione è nondimeno

insufficiente per le epoche storiche che ci interessano. Già all’inizio del secolo, per esempio, fu

avanzata la proposta di misurare l’età degli edifici in base al loro grado di abbassamento o al grado

di deformazione delle colonne. Tuttavia, questa idea non è stata ancora realizzata giacché non è

assolutamente chiaro come sia possibile calibrare questo metodo, cioè come si possa valutare

concretamente la velocità di abbassamento e di deformazione.

Per la datazione della ceramica, inoltre, furono proposti due metodi: quello archeomagnetico e

quello termoluminescente. Ma anche qui sussistono difficoltà di calibrazione. Per una serie di motivi,

la datazione archeologica sulla base di questi metodi, per esempio in Europa orientale, è anch’essa

limitata al Medioevo.

Tornando per un attimo alla Sindone di Torino, esprimiamo qui il seguente pensiero sulla natura

dell’immagine umana, che essa può contenere impressa. Non è escluso che in questo tessuto sia stato

davvero avvolto un corpo imbalsamato e che per un po’ di tempo il tessuto sia stato in stretto contatto

con esso. Ricordiamo che, durante l’imbalsamazione, anche “nell’antico” Egitto, il corpo veniva

strettamente avvolto in un panno in diversi strati e veniva trattato con soluzioni speciali. Come

risultato, dopo un certo tempo, sul tessuto poteva apparire “l’impronta del corpo”. Poi, per qualche

ragione, il tessuto veniva rimosso e conservato con cura. Questo tema è stato approfondito nel nostro

Lo Zar degli Slavi.

Ma ecco alcune informazioni più recenti sul tema. Nel 2008, ci è capitata sotto gli occhi

un’intervista rilasciata da L. Suleržickij e Boris Pokrovskij, specialisti di datazione al radiocarbonio

(giornale panrusso «Versija» («Versione»), 8-14 settembre 2008, n. 34 (159), p. 18). Il titolo

dell’intervista era: La patria dei mammut. I fossili vivevano in Russia durante l’Impero romano.

Così scriveva il corrispondente: «Leopold Suleržickij, fondatore e primo direttore del laboratorio

di datazione al radiocarbonio è chiamato il padre della ricerca al radiocarbonio nel nostro Paese

[...]. Proprio lui ebbe l’onore di scoprire il mammut “più giovane” della storia dell’umanità».

Domanda del corrispondente: «Dalla storia studiata a scuola sappiamo che i mammut si sono

estinti prima della nostra era in seguito a un periodo di riscaldamento globale del clima».

Risposta: «Risulta che non è proprio così. I mammut, rinvenuti nel nord del nostro paese,

nell’isola di Wrangel, sono molto “giovani” [...] il più “giovane”, di cui ho datato le ossa, è vissuto

2700 anni fa. Il mondo intero in un primo momento non ci poteva credere» (p. 18).

Da una parte L. Suleržickij assicura sulla sufficiente precisione della datazione al radiocarbonio

dei campioni di età circa millenaria. D’altra parte, però, mette a nudo fatti strani. Dice lo scienziato:

«Il metodo di datazione al radiocarbonio è molto costoso, complesso e richiede molto tempo. Ci sono laboratori che fanno male

le analisi e ottengono risultati incongruenti. Purtroppo, però, questi risultati evidentemente sbagliati per qualche motivo non vengono

ignorati [...]. In un buon laboratorio dove le analisi si eseguono scrupolosamente, si possono fare errori di datazione che vanno da

30 anni su un’età di 1000 anni a 500 anni in un età di 30-40 mila anni» (p. 18).

Dunque, ci viene detto che “dei laboratori buoni” ci si può fidare. Qui però emerge un altro

aspetto. Il collega di Suleržickij, Boris Pokrovskij, esperto di scienze geologiche, mineralogiche,

Capo del Laboratorio di geochimica degli isotopi e di geocronologia dell’Istituto Geologico

dell’Accademia delle Scienze, non è così ottimista:

Domanda del giornalista: «Quanto esattamente si può determinare l’età di un campione?».

Risposta: «L’esattezza della datazione dipende da molti fattori, di cui il principale è il livello di contaminazione del campione [...].

A volte influenzano la precisione della datazione i più inaspettati fattori. Ebbene, per fare un esempio, recentemente è stato

individuato il cosiddetto “effetto bacino”. Mi spiego: i pesci consumano una certa quantità di carbonio antico. Questo carbonio entra

poi nell’organismo delle persone che mangiano questi stessi pesci. Quando vengono misurati al radiocarbonio resti umani rinvenuti

in siti antichi, si può ottenere un risultato “invecchiato” di 300 anni. Così chiamiamo l’alterazione dell’età di un campione in direzione

del suo aumento. Affinché l’età radiocarbonica di ossa umane corrisponda alla realtà, l’uomo dovrebbe cibarsi di alimenti vegetali e

animali dello stesso peso dell’atmosfera. I pesci, invece, mangiano sostanze del fondo marino, che contiene depositi organici

relativamente antichi (p. 18). Ebbene, un semplice fattore come il consumo di prodotti ittici può alterare i risultati dell’esame al

radiocarbonio di 300 anni o più. E di fattori simili (e spesso anche più seri) ne sono noti già alcuni [...]».

[...] In conclusione, dobbiamo ammettere quanto segue:

1. Il metodo del radiocarbonio al suo stato attuale offre una precisione di più o meno 1000-2000 anni

su campioni la cui età viene stimata in non più di mille anni. Per questo motivo questo metodo è

per il momento inadatto per la datazione di campioni storici di età pari o inferiore a 2000 anni. In

altri termini, questo metodo ha poco da dire circa la cronologia degli eventi prodottisi negli ultimi

due millenni.

2. Il metodo del radiocarbonio, necessita, come minimo, di una ripetuta calibrazione, svincolata dalla

cronologia scaligeriana.

3. Gli altri metodi fisici di datazione sono ancora più grossolani e di conseguenza non possono

offrire informazioni sulla datazione di reperti di età pari o inferiore a 2000 anni.

4. In generale i metodi archeologici, se utilizzati senza fare affidamento alla cronologia delle fonti

scritte, non forniscono date assolute. Solo in rari casi questi metodi possono determinare la

cronologia relativa di alcuni reperti.

5. La cronologia scaligeriana implicitamente o esplicitamente si è inserita nella calibrazione delle

scale di metodi archeologici e anche di metodi fisici, tra cui il metodo del radiocarbonio. Ciò a

maggior ragione mette in discussione l’applicabilità del metodo nella sua forma attuale per la

datazione di reperti storici.

6. Come riconoscono alcuni archeologi (vedi sopra), è diffusa una pratica fortemente viziosa: i

laboratori fisici che si occupano di datazioni al radiocarbonio sono a priori a conoscenza del

parere degli archeologi in merito all’età approssimativa dei reperti.

16. La datazione numismatica

Si ritiene che in alcuni casi si possano datare i reperti archeologici grazie all’aiuto di monete

antiche trovate in prossimità di questi stessi reperti. Tuttavia, si dovrebbe essere consapevoli del

fatto che la cosiddetta datazione numismatica si fonda interamente sulla cronologia scaligeriana. Il

fatto è che all’inizio, nei secoli XVI-XVII, fu creata la cronologia scaligeriana che assegnò ai

regnanti e ai governanti descritti negli annali e in altre fonti scritte determinati posti cronologici, e

solo in seguito, in conformità all’ordine predisposto, furono distribuite sull’asse del tempo le monete

antiche, coniate dai governanti di turno.

Per esempio, le monete con la scritta “Nerone” sono state datate I secolo d.C., mentre le monete

con la scritta “Giustiniano” sono state datate VI secolo d.C. avendo la storia scaligeriana posizionato

gli imperatori romani Nerone e Giustiniano proprio in questi secoli.

Facendo riferimento a questo punto di partenza, tutte le monete “antiche” scoperte in seguito

venivano o “datate” secondo lo stesso “metodo” o confrontate con le “monete datate” di riferimento e

datate di conseguenza. È ovvio che un qualsiasi cambiamento nella cronologia di Scaligero posta alla

base di questo “metodo”, comporta automaticamente un cambiamento “delle date numismatiche”, non

solo, ma un confronto indipendente di monete diverse, totalmente svincolato da criteri cronologici di

sorta, non può dire nulla nemmeno sulla cronologia relativa delle monete messe a confronto, per non

parlare della cronologia assoluta.

Confrontando solo le monete, cioè, trattandole unicamente come oggetti di metallo con delle

raffigurazioni incise, non si può affermare con sicurezza quale delle monete sia la più antica e quale

la più giovane. Analizzando la lega, il metallo di cui è fatta la moneta, si può in alcuni casi indicare

il luogo di provenienza del metallo, ma ricavarne una data, assoluta o relativa che sia, purtroppo per

il momento non è possibile. Può darsi che in futuro si giunga a elaborare un metodo che permetta di

stabilire in modo più o meno attendibile l’età assoluta del metallo o della lega con cui è stata coniata

la moneta. Ora come ora, però, per quanto ne sappiamo, un tale metodo ancora non esiste. Ciò, tra

l’altro, apre un grande campo d’indagine per i fisici, i chimici e i metallurgici.

Gli storici scrivono: «La Numismatica come scienza si è formata in tempi relativamente tardi. Il

momento di passaggio dalla raccolta di monete per collezione ai metodi scientifici di esame delle

monete [...] può essere considerato la fine del XVIII secolo» ([345], pp. 13-14). Pertanto, ribadiamo,

tutta la numismatica poggia sulla cronologia scaligeriana, precedentemente fissata sulla base di fonti

scritte, ragion per cui non la si può considerare un metodo di datazione indipendente.

Molte stranezze emergono oggi quando si mettono a confronto monete cosiddette “antiche” e

medievali. Per esempio enorme è il numero di paralleli tra monete “antiche”, medievali e anche

tardo-medievali, e in alcuni casi la coincidenza è perfetta. Tali corrispondenze sono state riscontrate

da molto tempo e il loro numero è in continuo aumento. Gli storici cercano di spiegarle motivandole

con vaghe teorie basate sulla “imitazione”. Per esempio, i pennies inglesi dell’età di re Edoardo,

presumibilmente quindi degli anni 1042-1066 d.C., sono la copia dei solidi costantinopoliani di

Giustino II, risalenti presumibilmente agli anni 565-578 d.C. ([1163], p. 449). Qui, la differenza

cronologica tra “l’originale” e “la copia” è di più di 450 anni! Nella storia tardo-medievale e

moderna un esempio di una simile strana “riproduzione” di monete, da un originale di 450 anni fa,

per la circolazione di massa non era stato registrato.

Nella storia delle monete è esistito un periodo di “antica fioritura” cui è poi presumibilmente

seguito un periodo di secoli bui e quindi l’epoca del Rinascimento. Si ritiene che, a partire dal

secolo VIII d.C. fino alla metà del XIII secolo d.C. in Italia fossero quasi del tutto scomparse le

monete d’oro di Roma [1070]. Questo strano effetto fu talmente evidente che entrò persino nei titoli

di capitoli particolari di monografie storico-numismatiche. Ecco alcuni esempi di questi titoli: “La

fine delle monete romane (V secolo)” o “L’epoca delle imitazioni (VI secolo)” [1164] o “L’assenza

della moneta d’oro” ([64], p. 151).

Si presti attenzione alle seguenti informazioni, comunicate dagli storici della numismatica: a

quanto pare, nel Medioevo «l’Europa occidentale non provava nemmeno a confrontarsi con i

bizantini e i musulmani in questo campo [cioè nella coniatura delle monete; N.d.A.] e aveva

rinunciato ad ogni tipo di pretesa rispetto all’emissione di monete d’oro, per questo ne coniava

soprattutto d’argento» ([1070], p. 20; [1435]). E più avanti si legge: «L’emissione regolare di monete

d’oro è praticamente cessata in Europa occidentale nell’VIII secolo, e nella penisola italiana nella

seconda metà dello stesso secolo. Persino nella Spagna musulmana non fu coniata nessuna moneta

d’oro tra l’inizio dell’VIII e l’inizio del X secolo» ([1070], p. 20).

Gli esperti di numismatica cercano di dare una spiegazione a questo misterioso “ristagno

medievale” nella storia delle monete. Si propone di ritenere che, presumibilmente per volere di

Pipino, “sia cessata la coniatura di monete d’oro”. Si dice che nella cattedrale di Reims fosse stata

vietata la circolazione di soldi d’oro della Roma imperiale ([64], p. 151). Inoltre il tipo di monete

presumibilmente dell’VIII secolo d.C. «era diventato barbaro» ([64], p. 151).

Non deriva da tutto ciò che “le antiche” monete dell’Europa occidentale risultano essere, più

semplicemente, delle monete medievali, coniate in Europa dopo il XIV secolo d.C. e posizionate in

un passato lontano dalla cronologia scaligeriana? Continuano gli storici:

«Non esistono monete del periodo che va dai tempi di Benedetto VII [morto nel 984 circa; N.d.A.] a quelli di Leone IX [metà

dell’XI secolo circa; N.d.A.]; si tratta probabilmente di una circostanza casuale, perché le monete saranno state sicuramente

coniate [...]. Dei tempi di Leone IX esiste solo una moneta [...] la cosa più sorprendente è che non si è conservata nessuna moneta

dell’epoca di Gregorio VII» ([196], t. 4, p. 74), commento 41.

Dove sono finite tutte queste monete medievali? Proviamo a formulare un’ipotesi: queste monete

non sono state correttamente datate, sono state spostate nel passato e alla fine «si sono trasformate in

monete antiche». Alcune di queste monete sono esposte oggi nei musei e corredate dalla didascalia

«monete molto antiche».

Evidentemente la coniatura di monete d’oro e d’argento, in Europa occidentale, è effettivamente

iniziata non prima del XIII secolo d.C. Trovandosi di fronte al problema dell’assenza di monete

medievali europee in epoca antecedente al XIII secolo, i numismatici sono stati costretti a elaborare

teorie diverse per motivare la debolezza economica dell’Europa occidentale, debolezza instauratasi

dopo la presunta “potente fioritura antica”. Lo strano fenomeno di “ristagno” nella coniatura romana

dall’VIII al XIII secolo d.C. è particolarmente stupefacente dopo il brillante periodo numismatico

dell’Impero romano, fatto riferire ai secoli I-VI d.C. Le monete d’oro di questo impero “antico” per

qualità e finitura delle effigi praticamente non si distinguono dalle analoghe monete medievali

risalenti ai secoli XIII-XVII. La spiegazione di questa stranezza, con tutta probabilità, è semplice: i

cronologi hanno datato in modo inesatto le monete dei secoli XIII-XVII, attribuendole a una lontana

epoca passata.

Sottolineiamo un altro strano effetto: come comunicano gli storici, nei tesori riferibili ai secoli XXIII

d.C., per esempio nel territorio della Rus’, sono praticamente assenti monete italiane, francesi e

spagnole dei secoli X-XIII d.C. [685]. Tra decine di migliaia (!) di monete di questo periodo sono

state rinvenute solo poche unità (!) di monete italiane risalenti ai secoli X-XIII. Per spiegare questa

circostanza gli storici hanno creato la teoria della presumibile assenza di rapporti commerciali ed

economici tra la Rus’ e l’Italia nei secoli X-XIII ([685], pp. 200-211). Ma questa “teoria

numismatica” entra in contrasto con le fonti scritte, che per contro testimoniano dei larghi traffici

commerciali tra i due Paesi ([685], p. 201). Ecco il commento dello storico: «Ma le contraddizioni

tra i dati numismatici e gli altri sono solo apparenti» ([685], pp. 200-201). Di spiegazioni, tuttavia,

non se ne danno.

Si può dunque formulare l’ipotesi seguente: in Europa occidentale, e in Italia in modo particolare,

si coniavano effettivamente poche monete nell’epoca precedente al XIII secolo d.C. e per questo

motivo questi oggetti non sono stati trovati tra i tesori rinvenuti nel territorio della Rus’. Ecco però

che nel 1252, in modo del tutto inaspettato, probabilmente a Roma, “rinasce” alla grande la coniatura

della moneta d’oro piena, che nell’arco di un periodo estremamente breve diventa una valuta

internazionale, tale da togliere dal mercato europeo la moneta bizantina [1070]. Quest’inaspettata

comparsa nel XIII secolo della moneta d’oro italiana viene considerata, nella storia scaligeriana, «un

cambiamento drammatico della situazione che risultava prevalente nella prima metà del Medioevo»

([1070], pp. 20-21).

In realtà, con tutta probabilità, non c’era in questa situazione alcunché di drammatico.

Evidentemente assistiamo qui all’effettivo inizio della coniatura delle moneta europea nei secoli

XIII-XIV come conseguenza di alcuni cambiamenti nella vita dell’Europa occidentale. Sulla natura di

questi cambiamenti vedi il nostro libro Imperija (L’Impero; N.d.T.).

Tra l’altro, dall’idea della coniatura massiccia della moneta con un unico stampo all’idea della

stampa delle incisioni e dei libri, il passo è breve. Perciò l’inizio della coniatura qualificata delle

monete non doveva essere di molto più “vecchio” dell’inizio della stampa. Che oggi viene fatta

risalire al XV secolo [...] ([797], p. 352).

A

Capitolo 2

LE DATAZIONI ASTRONOMICHE

1. Il salto misterioso del parametro D’’ nella teoria del moto della Luna

ttualmente sulla base della teoria del moto della Luna [534] sono state redatte delle tabelle di

calcolo, i cosiddetti canoni, con la data, le fasce di passaggio dell’ombra lunare, la fase e altri

calcoli relativi ad ogni singola eclissi (si veda, per esempio, il famoso canone astronomico di

Ginzel [1154]).

Se un antico documento contiene una descrizione piuttosto dettagliata di una certa eclissi, dal testo

si possono ricavare le caratteristiche osservate di tale fenomeno, nella fattispecie la sua fase, la

fascia di passaggio dell’ombra ecc. Confrontando queste caratteristiche con quelle illustrate nelle

tabelle del canone di cui si diceva sopra, si può tentare di trovare un’eclissi che coincida o abbia

delle caratteristiche molto simili. Se la corrispondenza riesce, si può datare la descrizione contenuta

nel dato documento. Può anche succedere che la descrizione nell’annale soddisfi non una ma più di

un’eclissi del canone astronomico. In questo caso la datazione è non univoca. Al giorno d’oggi, tutte

le eclissi, descritte nelle fonti “antiche” e medievali, sono state datate con il metodo indicato ([1154]

[1155] [1156] [1315] [1316] [1317] ecc.).

Allo stato attuale, la datazione delle “antiche” eclissi viene utilizzata in alcune ricerche

astronomiche. Per esempio, nella teoria del moto della Luna, è noto il parametro D’’, la cosiddetta

derivata seconda dell’elongazione lunare che caratterizza l’accelerazione. Ricordiamo che cos’è

l’elongazione: nella fig. 2.1 è mostrata l’orbita della Terra attorno al Sole e l’orbita della Luna

attorno alla Terra.

L’angolo tra i vettori TS e TL (cioè il valore angolare fra Luna e Sole visto dalla Terra) è definito

“elongazione lunare D”. A causa del moto dei corpi celesti l’elongazione cambia col tempo. Per fare

un esempio, a destra nella fig. 2.1 è mostrata l’elongazione di Venere. L’elongazione massima di

Venere è definita dall’angolo che si forma quando il raggio di visione T’V’ dalla Terra verso Venere

tocca l’orbita di Venere. Va detto che nonostante nella fig. 2.1 le orbite siano mostrate in forma di

circonferenza, di fatto esse sono ellittiche, ma essendo la loro eccentricità poco rilevante, per

semplicità si è convenuto di raffigurarle come circonferenze.

Fig. 2.1. L’elongazione della Luna è data dall’angolo tra i vettori TS e TL. L’elongazione di Venere è l’angolo tra i vettori TS e

TV. L’elongazione massima di Venere è l’angolo tra T’S e T’V’.

Per la risoluzione di alcuni problemi astronomici di calcolo sarà utile sapere com’è cambiata

l’accelerazione della Luna nel tempo. Il problema del calcolo del parametro D’’ su un grande

intervallo di tempo come funzione del tempo è stato il tema di una discussione organizzata nel 1972

dalla Società reale di Londra e dall’Accademia britannica delle Scienze [1453]. Alla base del

calcolo del parametro D’’ era stato posto lo schema seguente: per il calcolo dei parametri di

equazione del moto della Luna, nella fattispecie del D’’, erano stati assunti dei valori moderni che in

seguito erano stati fatti variare in modo tale che le caratteristiche calcolate teoricamente delle antiche

eclissi coincidessero nel modo più preciso possibile con quelle illustrate negli antichi documenti.

Per il calcolo delle date stesse delle eclissi, il parametro D’’ era stato ignorato e ciò era stato

giustificato con il fatto che la data dell’eclissi risulta essere un parametro grossolano, per il calcolo

del quale non si rende necessario conoscere il valore esatto dell’accelerazione della Luna. La

variazione dell’accelerazione della Luna influisce sulle caratteristiche dell’eclissi meno importanti,

per esempio essa può leggermente spostare da una parte o dall’altra la fascia dell’eclissi, cioè quella

linea che l’ombra della Luna segna sulla superficie terrestre durante l’eclissi.

La dipendenza di D’’ dal fattore tempo era stata calcolata dal famoso astronomo americano Robert

Newton [1303]. Secondo la sua opinione, il parametro D’’ ben «si definisce con una grande quantità

di dati, le date dei quali vanno da un intervallo di (-700) ai giorni nostri» ([1303], p. 113). Robert

Newton calcolò 12 valori del parametro D’’, fondandosi su 370 osservazioni di “antiche” eclissi.

Poiché R. Newton si fidava ciecamente della cronologia scaligeriana, nei suoi calcoli fece

riferimento alle date delle eclissi riportate nelle tabelle cronologiche comunemente accettate. I

risultati di R. Newton, insieme a quelli di Martin, che aveva elaborato circa 2000 osservazioni

telescopiche nel periodo dal 1627 al 1860 (26 valori in tutto), permisero di costruire la curva

sperimentale della dipendenza del parametro D’’ dal tempo. La curva è mostrata nella fig. 2.2.

R. Newton scrisse:

«Il fenomeno più sconvolgente è il calo precipitoso di D’’ dal 700 [d.C.; N.d.A.] al 1300 circa. Questa caduta sta a significare

che esiste “un’onda quadrata” nel valore variante di D’’. È impossibile spiegare queste variazioni nel comportamento di D’’ per

questi valori sulla base delle teorie geofisiche moderne» ([1304], p. 114 [1453]).

Fig. 2.2. Il grafico D’’, elaborato da Robert Newton. Il parametro D’’ fa un salto inaspettato nell’intervallo compreso tra quelli

che si ritengono i secoli VI-XI d.C. (tratto da [1303], [1304]). Il parametro D’’ viene qui misurato in “/secolo2”, cioè in

secondi/secolo2.

Anche lo studio specifico Dimostrazioni astronomiche relative alle forze non gravitazionali nel

sistema Terra-Luna [1303] è dedicato ai tentativi di spiegazione di questa misteriosa discrepanza,

ovvero il sensibile salto rilevato nel comportamento di D’’. Va notato che queste misteriose “forze

non gravitazionali”, di cui R. Newton fu obbligato a ipotizzare l’esistenza, non si erano più

manifestate in nessun altro modo e in nessun altro posto.

Studiando il grafico ottenuto, R. Newton fu costretto a notare che «dal (-700) al (+ 500) il valore

di D’’ era probabilmente il più basso rispetto ai valori che D’’ aveva avuto in ogni altro momento

nell’arco degli ultimi 1000 anni» ([1304], p. 114).

Più avanti Newton scriveva:

«Queste valutazioni, considerando i dati moderni, dimostrano che il parametro D’’ può avere dei valori incredibilmente alti e che

inoltre è stato sottoposto a grandi e improvvisi cambiamenti nel corso degli ultimi 2000 anni. Ha persino cambiato di segno verso

l’anno 800» ([1453], p. 115).

Conclusioni: nel V secolo d.C. pare che cominci una brusca caduta del parametro D’’, un salto,

per di più di una certa rilevanza.

A partire dall’XI secolo e oltre i valori del parametro D’’ diventano più o meno costanti e vicini

ai suoi valori contemporanei.

Nell’intervallo presumibilmente tra i secoli V e XI si osserva un diapason sensibile di valori del

D’’.

Questo fenomeno strano, tuttavia, finisce per ottenere una spiegazione naturale nel quadro della

Nuova Cronologia.

2. Quanto correttamente sono state datate le eclissi dell’“Antichità” e del

Medioevo?

2.1. Alcune nozioni di astronomia

Daremo di seguito una serie d’informazioni utili per una migliore comprensione del presente

capitolo. Per delucidazioni più dettagliate si veda [534].

Quando la Luna, nel suo moto attorno alla Terra, finisce nel cono d’ombra della Terra e più

precisamente nel suo emisfero notturno, rivolto verso la Luna, ha inizio l’eclissi di Luna.

Quest’ultima si osserva da un punto qualsiasi dell’emisfero notturno della Terra. L’eclissi dura per

non più di tre ore ed è possibile solo in caso di plenilunio anche se, a causa delle inesattezze del

moto lunare, non si produce ad ogni plenilunio. Nella ripetitività delle eclissi lunari c’è una

periodicità approssimativa, grossolana, chiamata Saros (ciclo caldeo). Il periodo di Saros

corrisponde a 18 anni circa. Durante questo periodo di tempo avvengono circa 28 eclissi di Luna, in

modo tale che, praticamente, in prossimità di ogni anno si può registrare almeno un’eclissi di Luna. Il

Saros s’individua piuttosto facilmente in 50-60 anni di osservazioni sistematiche, per questo motivo

poteva essere noto già agli albori dell’astronomia. La predizione delle eclissi di Luna secondo il

Saros non è comunque molto attendibile, e non solo a causa dell’inesattezza del Saros ma soprattutto

a causa del fatto che l’eclissi può prodursi in un momento in cui in un determinato punto della

superficie terrestre è giorno e pertanto la Luna non è visibile.

L’eclissi di Sole avviene quando l’osservatore si trova nel cono d’ombra della Luna. Se la Luna

copre completamente il disco solare, nel posto d’osservazione è buio e le stelle diventano visibili. Si

tratta di un’eclissi totale. La durata di un’eclissi totale di Sole nel punto di osservazione non supera

gli 8 minuti all’equatore e i 6 minuti alle latitudini medie. L’ombra della Luna si muove lungo la

superficie della Terra a una velocità di circa 110 m/sec, tracciando una stretta fascia. La larghezza di

questa fascia non supera i 4º. La fascia dell’ombra totale è bordata da una fascia di penombra, la cui

larghezza da un lato alla metà della fascia dell’ombra totale, l’asse d’eclissi, è di circa 30º alle

latitudini medie e di circa 15º all’equatore. L’osservatore che si trova nella fascia di penombra vede

il disco solare appena parzialmente coperto dalla Luna. Si tratta di un’eclissi parziale. Il grado

massimo di copertura del disco solare da parte della Luna si chiama profondità d’eclissi o fase. La

fase normalmente viene misurata in gradi b, che si calcolano secondo la formula b = 12 h, dove h è il

rapporto tra la parte di diametro del Sole coperta dall’ombra e l’intero diametro. Un’eclissi totale di

Sole ha, di conseguenza, una fase di 12º. L’eclissi di Sole viene fissata dall’occhio come

l’oscuramento del disco a partire dalla fase 3’’- 4’’ di grado.

Le fasi dell’eclissi di Luna si calcolano un pò diversamente, nella fattispecie alla fase 12’’ di

eclissi totale si aggiunge un addendo, proporzionale alla durata dell’eclissi, se l’eclissi è più che

totale. In questo modo la fase dell’eclissi lunare può raggiungere i 22,7’’.

In caso di eclissi solare si producono delle situazioni in cui il cono dell’ombra piena della Luna

non raggiunge la Terra. In questo caso è possibile un’eclissi anulare di Sole, in presenza della quale,

così come in presenza di qualsiasi altra eclissi parziale, le stelle non sono visibili. L’eclissi di Sole è

possibile solo in novilunio, tuttavia non tutti i noviluni sono accompagnati da un’eclissi solare,

giacché, a causa dell’inclinazione dell’orbita lunare verso l’eclittica (cioè la superficie dell’orbita

della Terra), la Terra può scivolare oltre il cono dell’ombra lunare. Per questo ogni anno sulla Terra

avvengono solo da due a sette eclissi solari. Qualunque località sulla Terra registra in media

un’eclissi solare con una fase non inferiore a 6º nell’arco di 10-20 anni prima o dopo una qualsiasi

data.

La previsione delle eclissi solari è estremamente difficile, a causa della complessità del moto

della Luna, determinato da molti fattori devianti esterni. Si può provare a prevedere le eclissi solari

secondo il Saros, durante il quale avvengono oltre 43 eclissi di Sole, 15 parziali, 14 anulari, 2

cosiddette anulari-totali e 12 totali. Tuttavia queste eclissi, suddivise da un Saros, avvengono, in

generale, in regioni diverse della Terra e per questo la previsione per un determinato posto si

giustifica in media in 1 caso su 400, ovvero, detto in parole povere, la probabilità di una giusta

predizione sulla base del Saros è pari a 1/400 ([544], t. 4, p. 415). Teoricamente, i migliori risultati

dovrebbero provenire dal cosiddetto Saros triplo della durata di 24 anni. Tuttavia la probabilità di

previsione con l’aiuto di un Saros è uguale a circa 1/99, e per questo anch’essa non è applicabile.

Dal punto di vista della storia dell’astronomia il triplo Saros empirico può essere scoperto solo in

seguito a osservazioni prolungate delle eclissi solari. In ragione della ripetibilità relativamente bassa

delle eclissi solari divise dal triplo Saros questa scoperta (per non parlare già delle difficoltà

dell’elaborazione matematica, necessaria per l’individuazione della periodicità sconosciuta) diventa

possibile solo in presenza di un sistema di scienze esatte fortemente sviluppato.

Una previsione più o meno attendibile delle eclissi solari, com’è emerso, è possibile solo sulla

base di una teoria sufficientemente avanzata del moto della Luna, che consideri quanto meno le sue

principali disuguaglianze. Per questo, persino 100 anni dopo Copernico, gli scienziati non erano in

grado di prevedere le eclissi solari. In forza di ciò si dovrebbero trattare con estrema cautela e

persino con sospetto, tutte le informazioni riguardanti le previsioni delle eclissi solari in epoca

precedente i secoli XVI-XVII d.C.

2.2. Una datazione astronomica indipendente sposta le “antiche” eclissi al

Medioevo

All’inizio degli anni Settanta, mentre si occupava di certe questioni di meccanica celeste, A.T.

Fomenko nel 1973 prestò attenzione a un possibile legame tra la strana incongruenza del parametro

D’’ e i risultati cui era giunto N.A. Morozov [544], nei suoi studi relativi alla datazione delle antiche

eclissi. Lo studio approfondito della questione e i nuovi calcoli del parametro D’’ mostrarono,

inaspettatamente, che, considerando anche i risultati di N.A. Morozov, la curva del cambiamento del

parametro D’’ acquistava un aspetto quantitativamente diverso. Nella fattispecie, spariva

completamente il misterioso salto che tanto aveva preoccupato gli astronomi. Risultava infatti che il

parametro D’’ effettivamente oscillava intorno a uno stesso valore, coincidente con quello moderno

[si vedano gli articoli di A.T. Fomenko [1128] [883]; N.d.T.]. In sintesi, la sostanza dei risultati

ottenuti nel 1973 da A.T. Fomenko si riduce a quanto segue: alla base dei precedenti calcoli del

parametro D’’ erano state prese le date di antiche eclissi calcolate secondo la cronologia

scaligeriana. Tutti i tentativi degli astronomi di spiegare lo strano salto di D’’ non prendevano

minimamente in considerazione il punto di partenza, ossia: quanto correttamente erano state fissate le

date delle eclissi considerate oggi “antiche” o risalenti al primo Medioevo? Quanto precisamente

corrispondono l’un l’altro i parametri di un’eclissi descritti in un annale e i parametri calcolati di una

certa eclissi reale che la cronologia scaligeriana propone di considerare descritta in questo annale?

In [544] è stato proposto il seguente metodo di datazione astronomica indipendente, non

aprioristica. Da un certo annale preso in esame vengono estratte tutte le caratteristiche descritte e

relative all’eclissi: la sua fase, il tempo, il luogo geografico d’osservazione eccetera. Poi, dalle

tabelle astronomiche di calcolo vengono meccanicamente trascritte di seguito le date di tutte le

eclissi aventi queste stesse caratteristiche. N.A. Morozov, in [544], aveva scoperto che, operando

sotto l’influsso della cronologia scaligeriana già consolidatasi, gli astronomi erano stati costretti a

considerare, nella datazione dell’eclissi (e dell’annale) non tutti i dati ottenuti ma solo quelli che

finivano nell’intervallo di tempo già precedentemente prefissato dalla cronologia scaligeriana per

l’eclissi in questione e gli eventi ad essa legati. Ciò fece sì che, come emerse poi, in una gran parte

dei casi, gli astronomi non riuscissero semplicemente a trovare, “nel secolo giusto”, un’eclissi che

corrispondesse esattamente alla descrizione contenuta in un determinato annale, ragion per cui essi,

lungi dal mettere in discussione la cronologia scaligeriana, finivano per essere costretti a ricorrere a

forzature. Per esempio, indicavano un’eclissi solo parzialmente soddisfacente la descrizione

contenuta in un annale.

Facendo la revisione delle datazioni delle eclissi considerate “antiche”, N.A. Morozov scoprì che

le informazioni relative a queste eclissi facevano capo alle seguenti due categorie:

1. informazioni brevi e nebulose, prive di dettagli e a volte oscure al punto da non far capire se si

trattasse di dati relativi a eclissi o ad altro (in questa categoria di descrizioni, la datazione

astronomica si presentava o assurda in generale, o così ricca di dati da dare adito a una quantità

talmente varia di soluzioni da rendere plausibile la collocazione di un determinato fenomeno

praticamente in una qualsiasi epoca storica);

2. informazioni dettagliate (in questo caso la soluzione astronomica si presenta spesso inequivocabile

o con un massimo di due-tre varianti).

È emerso che tutte le eclissi descritte bene e dettagliatamente, nel processo di datazione

astronomica indipendente, ottengono non delle date scaligeriane, collocate nell’intervallo che va dal

1000 a.C. al 500 d.C. ma delle date sensibilmente più tarde, a volte dell’ordine di molti secoli. Non

solo, ma tutte queste nuove soluzioni cadono nell’intervallo dal 500 al 1700 d.C. Ritenendo

generalmente valida la cronologia scaligeriana nell’intervallo dal 300 al 1800 d.C., N.A. Morozov

aveva tralasciato di analizzare le eclissi medievali dal 500 al 1700 d.C. presupponendo di non

trovare delle contraddizioni. Su questo momento ci fermeremo più dettagliatamente.

N.A. Morozov, probabilmente, non aveva avuto la determinazione di riconoscere che la

cronologia scaligeriana era inesatta addirittura fino ai secoli XIXIII d.C. Si era fermato al IV secolo

d.C. ritenendo che, a partire dal V secolo la cronologia di Scaligero-Petavius fosse

fondamentalmente giusta. La sua non corretta posizione si ripercosse nell’analisi delle antiche

eclissi. L’analisi effettuata da N.A. Morozov non fu, come comprendiamo ora, del tutto imparziale.

N.A. Morozov intenzionalmente non voleva toccare la cronologia posteriore al IV secolo d.C. e la

cosa è comprensibile. Evidentemente, era troppo difficile passare dalla cronologia scaligera,

allungata artificialmente per millenni, a una cronologia che cominciava solo a partire dall’XI secolo

d.C. Ciò appariva assurdo persino a N.A. Morozov.

In [544] (t. 4, parte II, cap. 2), per esempio, N.A. Morozov discute una delle eclissi fatta risalire

oggi al V secolo d.C., ritenendo che la sua datazione scaligeriana fosse confermata. Da questa

discussione, tuttavia, è chiaramente evidente che non si può parlare neanche lontanamente di

conferma della cronologia scaligeriana. La descrizione dell’eclissi è assai nebulosa, e utilizzare le

comete per la datazione non si rende possibile per i motivi di cui abbiamo trattato specificatamente

nel nostro libro Imperija (L’impero). Convinto che la storia scaligeriana posteriore ai secoli IV-V

d.C. fosse fondata su una cronologia giusta, N.A. Morozov non fu consequenziale nella sua analisi

delle eclissi delle epoche posteriori al V secolo d.C. Se avesse incontrato una vaga descrizione

precedente al IV secolo d.C. l’averbbe giustamente fatta riferire alle descrizioni non confermate

astronomicamente.

N.A. Morozov compì questo stesso errore anche rispetto alle altre descrizioni di eclissi, fatte

risalire oggi a un’epoca compresa tra il V e il VI secolo d.C. Morozov analizzò queste eclissi con

maggior apertura di quanto aveva dimostrato nella sua analisi delle descrizioni delle eclissi fatte

risalire al IV secolo d.C., mentre non verificò le eclissi comunemente fatte risalire ai secoli VI-XI

d.C., ritenendo, erroneamente, che le datazioni scaligeriane fossero soddisfacenti.

A differenza di N.A. Morozov, A.T. Fomenko estese la sua analisi critica anche all’epoca

posteriore al V secolo d.C. e fino al XVII secolo, scoprendo che Morozov invano aveva limitato la

sua ricerca ai secoli IV-V d.C. È emerso, infatti, che le datazioni delle descrizioni delle eclissi, fatte

risalire oggi a un periodo anteriore ai secoli X-XIII d.C., contraddicono l’astronomia tanto quanto le

datazioni delle eclissi anteriori al IV secolo d.C. e nei casi in cui si riscontra una certa concordanza,

quasi sempre sono presenti chiari indizi di un calcolo a posteriori, cioè un calcolo della data

all’indietro, nel passato, fatto appositamente dai cronologisti medievali del XVI-XVII secolo a

conferma della cronologia scaligeriana fondata da loro stessi in quest’epoca. Calcolando nel passato,

per esempio, alcune eclissi di Luna, i cronologisti del XVI e del XVII secolo in seguito le

inscrivevano nelle cronache “antiche” da loro create al fine di “confermare con sicurezza” la loro

cronologia errata.

Non è da escludere, certamente, che alcune rare descrizioni attendibili di eclissi lunari e solari

avvenute tra i secoli VI-XIII potessero essere pervenute ai cronologisti dei secoli XVI-XVII. Ma

queste rare descrizioni furono comunque successivamente fatte passare attraverso il filtro della

versione scaligeriana della storia e “fatte corrispondere” alle date “giuste”.

Dunque, continuando le indagini iniziate in [544], l’Autore del presente libro ha esteso la sua

analisi anche alle altre eclissi medievali avvenute nell’intervallo tra il 400 e il 1600 d.C. scoprendo

che l’effetto dello spostamento, scoperto in [544] per “le antiche” eclissi, riguardava anche le eclissi

solitamente fatte risalire agli anni dal 400 al 900 d.C.

Questo fatto sta a significare che, o esistono tante soluzioni astronomiche aventi pari diritto e in

forza delle quali la datazione risulta non univoca, o che di soluzioni ce ne sono una, al massimo due,

ma in quest’ultimo caso esse cadrebbero nell’intervallo 900-1700 d.C. e solo a partire all’incirca

dall’anno 1000 d.C., e non dal 400 d.C., come supposto da N.A. Morozov in [544], la concordanza

delle date scaligeriane delle eclissi, riportate nel canone astronomico [1154] con i risultati ottenuti

con il metodo di N.A. Morozov diventerebbe soddisfacente. E solo dal 1300 d.C. questa stessa

concordanza diventerebbe più o meno attendibile.

Riportiamo alcuni chiari esempi che dimostrano “lo spostamento in su” delle eclissi e di

conseguenza degli annali che le descrivono, ritenuti “antichi”.

2.3. Le tre eclissi descritte dall’“antico” Tucidide

La versione scaligeriana della storia ci assicura che Tucidide nacque all’incirca nel 460 a.C. o tra

gli anni 456-451 a.C. e morì intorno al 396 a.C. ([924], p. 405). Era un ricco aristocratico ateniese e

un uomo di Stato. Durante la guerra del Peloponneso, Tucidide, nel suo ruolo di stratega, fu al

comando della flotta ateniese, con poco successo. Fu cacciato da Atene per 20 anni e, nel suo esilio

in Tracia, scrisse la sua famosa opera. Pare che prima della fine della guerra egli godette di

un’amnistia e rientrò ad Atene, dove morì poco dopo.

La tradizione storica confida pienamente in Tucidide per quanto riguarda la descrizione degli

eventi bellici, essendone stato testimone e partecipe diretto. Egli stesso scrive: «Ho registrato gli

eventi, di cui fui testimone e di cui raccolsi testimonianza dopo ricerche, per quanto possibile

precise, su ogni fatto descritto. Ho vissuto la guerra [...] l’ho compresa e l’ho osservata con

attenzione» ([923], V:26).

La testimonianza di Tucidide è l’unica fonte esistente sulla storia della guerra del Peloponneso.

Gli storici scrivono: «Dopo Tucidide [...] nessun altro si rivolse alla storia del Peloponneso.

Ciononostante in molti ritenevano lusinghiero agire in qualità di suoi successori e cominciarono a

scrivere le loro opere a partire dal momento in cui s’interruppe l’opera di Tucidide» ([961], p. 171).

Si ritiene che, originariamente, il lavoro di Tucidide o fosse senza titolo ([924], p. 412) o si

chiamasse, in greco, Descrizione collettiva, ma che nelle traduzioni posteriori avesse assunto il

titolo Storia della guerra del Peloponneso [in italiano nota come La guerra del Peloponneso;

N.d.T.]. Tutto il resoconto tucididiano della storia della guerra, durata 27 anni, tra ioni e dorici, è

assolutamente preciso e consequenziale, pur non essendo stato portato a termine.

L’intera opera di Tucidide, che si compone di un volume, in edizione, di quasi 800 pagine [923], è

stata scritta in uno stile meraviglioso. I numerosi commentatori hanno individuato, nel suo libro, le

seguenti caratteristiche:

1. Tucidide manifesta grande erudizione e perizia letteraria;

2. le costruzioni delle sue frasi sono piuttosto complesse e caratterizzate da strutture grammaticali

non triviali;

3. nella sua opera si coglie lo sviluppo preciso di un’idea realistica snella nell’esposizione dei fatti

storici;

4. l’Autore tratta scetticamente ogni elemento soprannaturale nella vita degli uomini.

Ci assicurano che quest’opera risalga al V secolo a.C., quando i materiali necessari per la

scrittura erano rari e costosi, quando in Mesopotamia si scriveva incidendo le tavolette d’argilla con

un punteruolo, i Greci ancora non conoscevano la carta e scrivevano su pezzi di corteccia o su

tavolette ricoperte di cera con bastoncini.

L’esemplare più antico del manoscritto de La guerra di Tucidide è considerato la pergamena

Codex Laurentinianus, conservato a Firenze, fatto risalire al X secolo ([924], p. 403). Tutti gli altri

vecchi manoscritti risalgono presumibilmente ai secoli XI-XII ([924], p. 403). Alcuni frammenti di

papiro del secondo libro di Tucidide sono stati rinvenuti in Egitto nel XIX secolo. Si è conservato

inoltre un commento, su papiro, pubblicato solo nel 1908. Tutti questi frammenti, purtroppo, ci sono

pervenuti in pessime condizioni ([544], t. 4, p. 495). Facciamo subito notare che la datazione di

questi manoscritti ritenuti “antichissimi” si basa esclusivamente su ipotesi paleografiche, ragion per

cui non risulta particolarmente attendibile. Una qualsiasi variazione della cronologia cambierebbe

infatti, automaticamente, tutte queste “date paleografiche”.

Ne La guerra di Tucidide non sono menzionate date di calendario, non si parla di oroscopi

planetari, però c’è la descrizione di tre eclissi, due di Sole e una di Luna. Chiameremo questa

combinazione triade. Inoltre, nel primo libro I:23 si fa menzione di alcune eclissi di Sole, ma si tratta

di riferimenti vaghi e imprecisi, che non possono servire per una datazione astronomica. Per contro,

le descrizioni della triade sono pienamente sufficienti per ottenere una risposta inequivocabile. Di

queste parleremo ora.

Nel secondo libro de La guerra, l’eclissi solare è descritta in modo piuttosto dettagliato. Al fine

del nostro lavoro ci gioveremo della famosa traduzione dal greco al russo eseguita nel XIX da F.G.

Miščenko [923] [si precisa che i frammenti dei testi di Tucidide qui presentati in italiano sono stati

ottenuti da detta traduzione dal greco al russo; N.d.T.] Tucidide scrive: «Nella stessa estate gli

ateniesi cacciarono da Egina gli abitanti, con le donne e i bambini [si tratta qui del primo anno di

guerra; N.d.A.]. Nella stessa estate, nel novilunio, pare che solo in questo caso sia possibile, il Sole

eclissò dopo mezzogiorno e nuovamente riapparve, assumendo l’aspetto di una mezzaluna, e

comparvero alcune stelle» ([923], II:27-28, il testo greco è riportato nella fig. 2.3)1.

Facciamo notare che l’Autore capisce bene il meccanismo dell’eclissi, menzionando, come

conditio necessaria, il novilunio. In ogni caso questa indicazione denota una lunga pratica di

osservazione dei fenomeni di eclissi all’epoca di Tucidide.

Fig. 2.3. Il testo, in greco, di Tucidide, con la descrizione della prima eclissi, quella solare, della “triade di Tucidide” (tratto da

[1154], p. 176).

La seconda eclissi della triade, anche questa solare, avviene nell’ottavo anno della guerra del

Peloponneso, tra l’altro all’inizio dell’estate. Tucidide scrive, nel quarto libro: «Finì l’inverno e il

settimo anno di questa guerra, di cui Tucidide ha scritto la storia. All’inizio dell’estate successiva,

verso il novilunio, avvenne un’eclissi parziale di sole» ([923] IV:51-52; il testo greco è riportato

nella fig. 2.4).

Evidentemente, il mese estivo menzionato, l’inizio della campagna estiva, è marzo, il mese di

Marte, durante il quale solitamente cominciavano le spedizioni belliche. Sarà interessante verificare

quest’osservazione dopo che otterremo la soluzione finale del nostro compito.

La terza eclissi di Luna è descritta nel settimo libro: «L’inverno si avvicinava alla fine, volgeva al

termine anche il diciottesimo anno di guerra, di cui Tucidide ha scritto la storia. Non appena iniziò la

primavera successiva, i lacedemoni e i loro alleati iniziarono l’invasione dell’Attica al mattino

presto» ([923], VII:18-19). In seguito vengono illustrati gli eventi estivi. L’analisi della durata delle

mobilitazioni belliche descritte dimostra che le sezioni seguenti del testo, 50-51, descrivono,

probabilmente, già la fine dell’estate. E qui Tucidide scrive: «Quando era tutto pronto e gli ateniesi

erano già intenzionati ad allontanarsi nelle loro imbarcazioni, si produsse un’eclissi di Luna; allora

era il plenilunio» ([923], VII:50; il testo greco è riportato nella fig. 2.5).

Tiriamo le conclusioni. Dal testo di Tucidide emergono, inequivocabilmente, le seguenti

informazioni:

1. tutte e tre le eclissi ebbero luogo nel quadrato avente approssimativamente le seguenti coordinate

geografiche: longitudine da 15 a 30, latitudine da 30 a 42;

2. la prima eclissi è solare;

3. la seconda eclissi è solare;

4. la terza eclissi è lunare;

5. l’intervallo di tempo tra la prima e la seconda eclissi è di 7 anni;

6. l’intervallo tra la seconda e la terza eclissi è di 11 anni;

7. la prima eclissi avviene in estate;

8. poiché sono visibili le stelle, la prima eclissi di Sole è totale, e la sua fase è di 12º. Ricordiamo

che in caso di eclissi parziale, le stelle non sono visibili;

9. la prima eclissi di Sole avviene dopo mezzogiorno, ora locale;

10. la seconda eclissi di Sole avviene all’inizio dell’estate;

11. l’eclissi di Luna avviene alla fine dell’estate;

12. la seconda eclissi di Sole ha luogo all’incirca in marzo. Questa osservazione, tra l’altro, può

essere trascurata e non inclusa nell’elenco delle condizioni.

Fig. 2.4. Il testo greco di Tucidide, che descrive la seconda eclissi, solare, della “triade di Tucidide” (tratto da [1154], p. 178).

Compito: trovare una soluzione astronomica che soddisfi tutte le condizioni esposte nei punti

dall’1 all’11.

Ovviamente, la dettagliata descrizione delle tre eclissi, contenuta nell’opera “antica” di Tucidide,

non era sfuggita all’attenzione degli storici e dei cronologisti che hanno anche cercato di datare

questi fenomeni, finendo, tuttavia, con l’incappare in una serie di difficoltà che la cronologia

scaligeriana non aveva ancora superato. Racconteremo del problema della datazione della triade di

Tucidide più dettagliatamente, facendo riferimento, nella fattispecie, al famoso studio di astronomia

di Ginzel ([1154], pp. 176-177).

Nel XVI secolo il cronologista Dionisio Petavius individuò, per la prima eclissi, la data 3 agosto

431 a.C. Johannes Keplero in seguito affermò che in questa data effettivamente avvenne un’eclissi di

Sole e fu così che venne fissata la data scaligeriana dell’inizio della guerra del Peloponneso: 431

a.C. Per la seconda eclissi D. Petavius indicò la data 21 marzo 424 a.C. Anche J. Keplero affermò che

in questa data avvenne un’eclissi di sole.

Per la terza eclissi D. Petavius individuò invece la data 27 agosto 413 a.C.

Procedendo in questo modo l’astronomia fece risalire al V secolo a.C. gli eventi descritti da

Tucidide.

Tuttavia, analizzando ripetutamente la “soluzione astronomica” proposta da Petavius, vennero alla

luce delle serie difficoltà che, nel periodo dal XVIII al XX secolo impegnarono astronomi e

cronologisti: nelle pagine delle pubblicazioni specialistiche tali incongruenze diedero vita a un

dibattito dai toni alterni, ora animato e ora spento. Va detto che su questa prolungata e difficile

discussione gli storici moderni preferiscono tacere, facendo finta che la questione «non sia esistita e

non esiste».

I problemi principali relativi alla datazione misero in difficoltà i cronologisti fin dalla prima

eclissi. Il fatto è che l’eclissi del 3 agosto 431 a.C., proposta da Petavius, era risultata anulare,

ragion per cui da nessuna parte sulla terra poteva essere totale. Ciò emerse subito dopo che “la data

astronomica” scaligeriana dell’inizio della guerra del Peloponneso fu inclusa nelle tabelle

cronologiche scaligeriane. Quest’eclissi fu indicata come anulare anche nel canone di Ginzel ([1154],

p. 176). L’anularietà dell’eclissi attualmente è oggetto di studio e verifica anche con l’utilizzo dei

programmi di computer esistenti per il calcolo delle eclissi. Noi l’abbiamo verificata utilizzando un

programma semplice e comodo per i calcoli approssimativi, il Turbo-Sky, creato nel 1995

dall’astronomo moscovita A. Volynkin. Ebbene, secondo la nostra verifica, l’eclissi del 3 agosto 431

a.C. era veramente anulare. Del resto Tucidide scrive chiaramente che, al momento dell’eclissi, le

stelle erano visibili. Ma, come abbiamo già scritto, in caso di eclissi parziale le stelle non sono

visibili. Non solo: è emerso che la fase dell’eclissi “petaviusiana” del 431 a.C. ad Atene era assai

poco rilevante. Come si è compreso successivamente, anche J. Keplero si era sbagliato, dichiarando

nella sua Ottica, che la fase di quest’eclissi era di 12º cioè che si era trattato di un’eclissi totale. È

probabile che questa dichiarazione di Keplero trovi spiegazione nell’imprecisione, frequente a quel

tempo, dei metodi di calcolo delle eclissi. Il calcolo delle fasi di un’eclissi è un’operazione piuttosto

delicata. Del resto non è da escludere che l’astronomo Keplero, che si occupava intensamente di

cronologia e sapeva bene che le stelle sono visibili solo in caso di eclissi totale, avesse deciso di

alterare leggermente la soluzione del 431 a.C. e di far astutamente passare per eclissi totale

un’eclissi parziale, magari per soddisfare la descrizione di Tucidide e non introdurre note di

dissonanza nell’edificio della cronologia scaligeriana, che veniva eretto proprio nella sua epoca. Si

sa, infatti, che Keplero era in costante contatto con Scaligero, con il quale intratteneva una fitta

corrispondenza.

In considerazione delle circostanze sopra illustrate gli astronomi e i cronologisti cominciarono a

rivedere i calcoli relativi alla fase dell’eclissi datata 431 a.C. L’equazione del movimento della Luna

venne addirittura riveduta con l’introduzione di correzioni empiriche, per avvicinare per quanto

possibile ai 12º la fase dell’eclissi, osservata ad Atene e nella sua periferia. Ricordiamo qui alcuni

dei più famosi astronomi di quel tempo, impegnati nel “problema della triade di Tucidide”: Petavius,

Zech, Heis, Struyck, Keplero, Riccioli, Hofman, Ginzel, Johnson, Lynn, Stockwell, Seyffarth.

In base a quanto affermato da Petavius, ad Atene la fase di eclissi era stata di 10’’25 ([1337], p.

792). Secondo Struyck la fase era stata pari a 11’’, secondo Zech invece era stata pari a 10’’38,

secondo Hofman a 10’’72, secondo Heis solo a 7’’9 ([1154], pp. 176-177). A occuparsi in modo

particolarmente dettagliato del problema delle “stelle di Tucidide” fu Ginzel. Secondo i suoi calcoli,

la fase era stata pari a 10’’([1154], pp. 176-177). In seguito a tutti questi studi divenne chiaro che

l’eclissi non solo era stata anulare, ma era stata osservata da Atene come parziale con una fase

piuttosto piccola. La fascia del moto dell’ombra lunare lungo la superficie terrestre durante l’eclissi

del 3 agosto 431 a.C. è mostrata nella fig. 2.6. con una linea tratteggiata, a indicare l’anularietà

dell’eclissi di Sole. In nessun luogo ci fu ombra totale.

Fig. 2.5. Il testo greco di Tucidide, che descrive la terza eclissi della “triade di Tucidide”, quella lunare (tratto da [1154], p.

178).

Fig. 2.6. La “soluzione” astronomica sbagliata per la triade delle eclissi di Tucidide, proposta da D. Petavius. Con una linea

tratteggiata è indicata la fascia dell’ombra lunare relativa alla prima eclissi anulare di Sole, datata 431 a.C.; con una linea

continua è indicata la fascia della seconda eclissi di Sole, datata 424 a.C., mentre con una linea punteggiata in grassetto è

indicata il punto di zenit dell’eclissi di Luna del 413 a.C. (tratto da [544]. t. 4, p. 505).

Il fatto che la fase dell’eclissi del 431 a.C. ad Atene corrispondesse al 10º sta a significare che

1/6 del disco solare è scoperto cioè che si tratta praticamente di una giornata chiara, in presenza

della quale non sono visibili né le stelle né i pianeti. Non solo, ma come risulta evidente dalla fig.

2.6, quest’eclissi attraversò la Crimea solo verso le 17 h, 22 min ora locale e secondo Heis

addirittura alle 17 h, 54 min. In forza di quanto detto a fatica la si può considerare postmeridiana,

come è chiaramente scritto da Tucidide. Si tratterebbe piuttosto di un’eclissi già serale.

Utilizzando il moderno programma Turbo-Sky, comodo per i calcoli approssimativi, abbiamo

calcolato le posizioni della Luna e del Sole al momento della fase massima per il punto

d’osservazione, cioè la città di Atene e la sua periferia. Il risultato è indicato nella fig. 2.7, dove è

stata riprodotta la raffigurazione dallo schermo di computer. È evidente che una parte consistente del

disco solare è scoperta, ragion per cui non si può nemmeno lontanamente parlare di visibilità di

stelle o pianeti.

Dunque, l’eclissi del 3 agosto 431 a.C. proposta da Petavius non può essere l’eclissi descritta da

Tucidide, giacché non soddisfa le condizioni esposte ai punti 8 e 9 sopra elencati.

La scoperta di questa circostanza era, ovviamente, assai poco piacevole per i cronologisti e gli

storici di scuola scaligeriana. L’astronomo Ginzel, a questo proposito, arrivò a scrivere:

«L’irrilevanza della fase dell’eclissi, che, secondo i nuovi calcoli è risultata uguale a 10’’ per Atene,

ha suscitato un certo shock e dei dubbi circa il fatto che “erano visibili le stelle”, come sostiene

Tucidide» ([1154], p. 176).

Siccome le stelle, durante l’eclissi del 431 a.C., evidentemente non erano visibili, Heis e Lynn

decisero di calcolare la posizione dei pianeti luminosi, nella speranza che almeno questo potesse

salvare la situazione. Tuttavia risultò che Marte era solo a 3º sopra l’orizzonte, Venere era in alto, a

circa 30º sopra l’orizzonte. A proposito di Venere e Marte, Ginzel si esprime con cautela, dicendo

che «è possibile che questi due pianeti fossero visibili» ([1154], p. 176), fatto poco probabile in un

giorno praticamente chiaro. Tutte le speranze furono dunque riposte in Giove e Saturno, ma risultò

che Giove, al momento dell’eclissi, si trovava sotto l’orizzonte e per questo non era visibile, mentre

Saturno, pur trovandosi sopra l’orizzonte, si trovava nella costellazione della Bilancia, a una distanza

consistente, a sud, e, come dice Ginzel, la sua «visibilità era estremamente dubbia [sehr zweifelhaft;

N.d.A.]» ([1154], p. 176).

Fig. 2.7. Il disco solare al momento della fase massima ad Atene durante l’eclissi del 431 a.C. Il Sole è, per la sua maggior

parte, scoperto. Non potevano essere visibili né le stelle né i pianeti. Calcolo ottenuto con il programma Turbo-Sky.

Utilizzando il programma Turbo-Sky, comodo per i calcoli approssimativi, abbiamo calcolato la

posizione dei pianeti al momento dell’eclissi del 3 agosto 431 a.C. Nella fig. 2.8 è mostrato l’aspetto

del cielo ad Atene al momento della fase massima dell’eclissi alle 14 h, 57 min secondo Greenwich.

Si vede chiaramente che Venere, Marte e il più scialbo Mercurio si trovavano non lontano dal Sole,

per questo si erano persi nei raggi dell’astro coperto solo parzialmente. Cosicché effettivamente, in

caso di giorno chiaro, la loro visibilità era davvero poco probabile.

Nella situazione effettivamente difficile che si era venuta a creare per la cronologia scaligeriana,

Johnson propose un’altra eclissi, quella avvenuta il 30 marzo del 433 a.C., ma che tuttavia non

s’inscrive in alcuna triade. Le triadi più vicine sono quelle del 447, 441, 430 a.C. e del 412, 405,

394 a.C., ma esse non corrispondono già per altri motivi. Inoltre la fase di eclissi, proposta da

Johnson, era risultata di soli 7’’8 cioè persino inferiore dell’eclissi “sbagliata” indicata da Petavius

([1154], p. 177). Allora Stockwell cercò di rivedere il calcolo della fase al fine di cercare la

possibilità di “tirarla al massimo”. Tuttavia, nonostante tutti i suoi sforzi, riuscì a ottenere solo

11’’06. Del resto Ginzel trattava i calcoli di Stockwell con grande scetticismo.

Nel tentativo di trovare una via d’uscita, Seyffarth avanzò l’ipotesi che Tucidide intendesse

l’eclissi del 27 gennaio 430 a.C. ([1154], p. 177). Ciononostante, senza contare che quest’eclissi non

corrisponde già alla descrizione di Tucidide (per esempio, non s’inscrive in alcuna triade), la

verifica dimostrò che quest’eclissi non era visibile in prossimità di Atene ([1154], p. 177).

Alla fine, lo shock di cui parlava Ginzel, lasciò il posto a un certo smarrimento, e allora entrarono

in circolo altre considerazioni sempre più lontane dall’astronomia, anche di pura demagogia. Zech,

ad esempio, tentò di “risolvere il problema” facendo dei riferimenti «al chiaro cielo di Atene e alla

vista acuta degli antichi» (cit. [1154], p. 177), lasciando capire che l’uomo moderno non avrebbe

visto nulla mentre gli antichi sì, trattandosi di persone di tempra diversa, con una vista di gran lunga

migliore nonché capaci di correre più velocemente.

Fig. 2.8. La disposizione dei pianeti al momento dell’eclissi del 431 a.C. Venere e Marte si trovavano vicini al Sole e

considerando il disco solare notevolmente aperto i due pianeti probabilmente non erano visibili. Mercurio è un pianeta poco

luminoso. Giove era sotto l’orizzonte. Saturno si trovava lontano, a sud, e, come giustamente nota Ginzel, la sua visibilità era

“assai dubbia”. Calcolo ottenuto con il programma Turbo-Sky.

Hofman andò addirittura oltre e propose di ritenere che le stelle di Tucidide fossero solo un

ornamento retorico ([1154], p. 177), quasi a dire che in tutto si poteva credere a Tucidide a

eccezione di questo passaggio. Non solo, ma Hofman cercava di fondare il suo pensiero su

considerazioni di ordine linguistico. Secondo lui, infatti, Tucidide parla della comparsa delle stelle

nel momento in cui il Sole aveva già la forma di mezzaluna.

Ci siamo rivolti alla filologa E.V. Alekseeva (Facoltà di Filologia dell’Università di Stato di

Mosca, MGU), per un’analisi filologica del testo greco ed è emerso che, dal punto di vista

linguistico, Tucidide dà informazioni dei seguenti quattro eventi:

1. il Sole si è eclissato;

2. il Sole ha assunto la forma di una mezzaluna;

3. sono comparse le stelle;

4. il Sole è nuovamente comparso.

In questo modo viene chiaramente descritto il processo dell’intera eclissi. All’inizio si rileva

l’oscuramento del disco solare, quindi la sua trasformazione in mezzaluna, quindi la comparsa delle

stelle (fenomeno che accade solo in caso di massima fase di eclissi totale) e solo in seguito il disco

solare riappare pienamente. La consequenzialità degli eventi 1-4 è del tutto naturale e viene

inequivocabilmente definita dalla struttura grammaticale della frase. In sostanza, proprio secondo

quest’ordine, nel XIX secolo, il già citato F.G. Miščenko, traduttore dal greco “antico” ([923], II:27-

28) tradusse il testo di Tucidide. L’analisi del testo, ripetuta da E.V. Alekseeva ha semplicemente

confermato ulteriormente la correttezza di questa traduzione classica, fatto che nessuno avrebbe

messo in dubbio se non fosse sorto il problema della datazione astronomica.

Per questo motivo l’opinione di Hofman, condivisa anche dall’astronomo contemporaneo Robert

Newton, si basa non sulla traduzione ma sul desiderio di salvare a tutti i costi la versione

scaligeriana della cronologia.

Abbiamo visto che il tentativo di sostituire all’astronomia la linguistica non risolve il problema.

Nonostante tutto ciò, la data errata proposta da Petavius non venne cambiata e in qualsivoglia

manuale di storia, ancora oggi, l’inizio della guerra del Peloponneso viene fatto risalire al 431 a.C.,

sebbene non vi sia fondamento alcuno a conferma di questo fatto, eccezion fatta per l’opinione di

Petavius.

Fu così che venne legalizzata una grossolana divergenza dalla chiara e non ambigua descrizione di

Tucidide.

La precisione e la fondatezza del testo dell’autore greco rende inoltre poco seri i vari tentativi di

correggere la questione a spese del cambiamento del testo stesso. Così è stato, per esempio, oltre che

con la proposta di Hofman, con un’altra “soluzione” avanzata, quella di cambiare la durata degli

intervalli di tempo tra le eclissi vicine, che, conformemente alla testimonianza di Tucidide, sarebbero

di 7 e 11 anni. Tuttavia persino gli autori di questa proposta, alla fine, si rifiutarono di concretizzarla.

È difficile dubitare che Tucidide, descrivendo la prima eclissi, intendesse proprio un’eclissi

totale. Infatti, nel caso della seconda eclissi, che fu parziale, egli scrisse chiaramente che «intorno al

novilunio avvenne un’eclissi parziale di sole» ([923], IV:52), utilizzando proprio il termine

“parziale”. Evidentemente l’Autore capiva già bene la differenza tra eclissi parziale e totale e per

questo nel primo caso sottolineò, appositamente, che erano comparse le stelle, fatto che si produce

solo in caso di eclissi totale.

Arriviamo alle conclusioni: nell’intervallo compreso tra il 600 e il 200 a.C. gli astronomi non

sono riusciti a trovare soluzioni astronomiche più soddisfacenti, purtuttavia a nessuno di essi è

venuto in mente di estendere al Medioevo l’intervallo di ricerca. E si capisce anche perché: tutti

erano stati educati ed erano cresciuti sotto l’ala della scuola scaligeriana di cronologia e in essi

confidavano, quanto meno in linea di massima. Risultò così che la triade “secondo Petavius”, errata,

fu mantenuta nonostante le contraddizioni tra questa “soluzione” e il testo di Tucidide, ripetutamente

discusse negli ambienti specialistici.

L’applicazione di un metodo di datazione indipendente a tutto l’intervallo dal 900 a.C. al 1700

d.C. ha permesso tuttavia di scoprire che una soluzione astronomica precisa comunque esiste, non

solo, ma di soluzioni precise ce ne sono due. La prima fu individuata da N.A. Morozov in [544] (t. 4,

p. 509), mentre la seconda fu trovata da A.T. Fomenko, dopo una ripetuta analisi delle eclissi

“antiche” e medievali.

• Prima soluzione (N.A. Morozov):

1133 d.C., 2 agosto (eclissi di Sole totale);

1140 d.C., 20 marzo (eclissi di Sole totale);

1151 d.C., 28 agosto (eclissi di Luna).

• Seconda soluzione (A.T. Fomenko):

1039 d.C., 22 agosto (eclissi di Sole totale);

1046 d.C., 9 aprile (eclissi di Sole parziale);

1057 d.C., 15 settembre (eclissi di Luna).

Viene soddisfatta persino la condizione al punto 12. Risulta che la prima eclissi era veramente

totale, come descritto da Tucidide. In questo modo, rinunciando ai vincoli imposti agli astronomi

dalla cronologia scaligeriana, si è riusciti a dare una risposta alla domanda che da tempo inquietava

gli astronomi rispetto alle descrizioni astronomiche contenute nel libro di Tucidide.

Considerando tutti i fatti a noi noti, bisogna concludere che, evidentemente, tra le due soluzioni

ottenute, quella proposta da Morozov risponde meglio alla realtà storica, cioè la triade più tarda di

eclissi, quella della metà del XII secolo e più precisamente: 2 agosto 1133 d.C., 20 marzo 1140 d.C.

e 28 agosto 1151 d.C. La soluzione dell’XI secolo risulta, con tutta probabilità, troppo anteriore.

Nella fig. 2.9 è indicata la soluzione 1133, 1140 e 1151 d.C., individuata da N.A. Morozov. Sono

state raffigurate le traiettorie dell’ombra lunare sulla superficie terrestre per le eclissi di Sole totali

del 1133 d.C. e del 1140 d.C., nonché il punto della visibilità dello zenit dell’eclissi di luna del 1151

d.C.

Abbiamo verificato ancora una volta la coppia indicata di soluzioni con l’aiuto del programma di

computer Turbo-Sky. Riportiamo di seguito i dati peculiari delle eclissi totali del 22 agosto 1039 e

del 2 agosto 1133. Esse sono state indicate come totali nel canone delle eclissi di Theodor von

Oppolzer [544], t. 5, pp. 77-141, e come eclissi totali le riconosce anche il programma Turbo-Sky.

Indicheremo le coordinate geografiche dell’inizio, della metà e della fine della traiettoria dell’ombra

lunare sulla superficie terrestre per l’eclissi totale del 2 agosto 1133. Nella prima riga è indicata la

longitudine, in seconda riga la latitudine:

-89 + 8 +72

+52 +53 +9

Nel punto centrale della traiettoria (cioè al Sole di mezzogiorno), l’ombra della Luna, che copre

interamente il Sole, risultava all’incirca tra le 11 h, 15 min e le 11 h, 17 min ora di Greenwich

(programma Turbo-Sky).

Fig. 2.9. La triade di eclissi descritta “dall’antico” Tucidide: 1133, 1140 e 1151 d.C. La soluzione è stata individuata da N.A.

Morozov. Sono indicate le fasce di passaggio dell’ombra della Luna per le prime due eclissi e il punto di visibilità dello zenit

per l’eclissi di Luna del 1151 (tratto da [544], t. 4, p. 509).

Per l’eclissi del 22 agosto 1039 della triade dell’XI secolo, nel punto centrale della traiettoria

(cioè al Sole di mezzogiorno), l’ombra della Luna, che copre interamente il Sole, è risultata

approssimativamente alle 11 h, 15 min ora di Greenwich. Le coordinate di questo punto sono le

seguenti: 7º di longitudine est e 47º di latitudine nord (programma Turbo-Sky).

A proposito dell’eclissi totale del 2 agosto 1133 nella triade del XII secolo, N.A. Morozov

scriveva giustamente quanto segue: «Il Sole risultò sorgente in piena eclissi totale sulla costa

meridionale del golfo di Hudson; ugualmente premeridiano risultò in Inghilterra, meridiano fu in

Olanda, post-meridiano fu in Germania, in Austria, sul Bosforo, in Mesopotamia, nel golfo d’Arabia,

mentre era tramontante in piena eclissi sull’oceano indiano» ([544], t. 4, p. 508). L’eclissi totale fu

profonda, diventò buio e in cielo ovviamente comparvero le stelle.

Ecco la triade del XII secolo, individuata da N.A. Morozov:

1. la prima eclissi totale di Sole del 2 agosto 1133 d.C. aveva le seguenti caratteristiche:

-89 +8 +72

+52 +53 +9

Il punto centrale della traiettoria dell’ombra della Luna sulla superficie terrestre fu superato

all’incirca dalle 11 h, 15 min alle 11 h, 17 min ora di Greenwich (fig. 2.9; si veda anche [544], t.

4, p. 122).

2. La seconda eclissi totale del 20 marzo 1140 d.C. ebbe le seguenti caratteristiche:

-96 -30 +48

+20 +42 +55

Il punto centrale della traiettoria dell’ombra della Luna sulla superficie terrestre fu superato

all’incirca alle 13 h, 40 min ora di Greenwich (canone di Oppolzer [544], t. 5, p. 123: si veda la

fig. 2.9).

3. L’eclissi parziale di Luna del 28 agosto 1151 d.C. aveva una fase massima pari a 4º alle 23 h, 25

min ora di Greenwich. Alla visibilità dello zenit la Luna si trovava sopra il punto con le

coordinate 8º di longitudine est e 7º di latitudine Sud ([544], t. 5, p. 51).

Questa triade del XII secolo corrisponde perfettamente sotto tutti gli aspetti. Tra l’altro la seconda

eclissi è effettivamente avvenuta in marzo, come ci si poteva aspettare in seguito alla descrizione di

Tucidide.

Ecco la triade che si riferisce all’XI secolo, individuata da A.T. Fomenko:

1. la prima eclissi totale di Sole del 22 agosto 1039 d.C. aveva le seguenti caratteristiche:

-82 +7 +64

+55 +45 +2

Il punto centrale della traiettoria dell’ombra della Luna sulla superficie terrestre fu superato

all’incirca alle 11 h, 15 min ora di Greenwich (si veda anche [544], t. 5, p. 118).

2. La seconda eclissi di Sole del 9 aprile 1046 d.C. (parziale) aveva le seguenti caratteristiche:

+22 +87 +170

+19 +47 +50

Il punto centrale della traiettoria dell’ombra della Luna sulla superficie terrestre fu superato

all’incirca alle 5 h, 46 min ora di Greenwich (canone di Oppolzer, [544], t. 5, p. 123).

3. L’eclissi parziale di Luna del 15 settembre 1057 d.C. aveva una fase massima pari a 5º alle 18 h, 9

min ora di Greenwich. Alla visibilità dello zenit la Luna si trovava sopra il punto con le

coordinate 86º di longitudine est e 1º di latitudine Sud ([544], t. 5, p. 49).

La triade delle eclissi di Tucidide è un argomento molto importante a favore della ipotesi che la

Storia della guerra del Peloponneso di Tucidide sia stata scritta non prima dell’XI secolo d.C. è

assai poco probabile che la triade sia stata inventata dall’autore, poiché in questo caso,

probabilmente, la soluzione astronomica sarebbe stata semplicemente assente. Accanto a ciò, è

difficile considerare queste eclissi degli inserimenti posteriori nel testo “antico”, giacché esse

s’iscrivono troppo bene nel racconto continuo e dettagliato.

Evidentemente N. Morozov giustamente scriveva: «Il libro di Tucidide non è un’opera antica, non

è un’opera medievale ma risale almeno al XIII secolo dell’era cristiana, cioè all’epoca

Rinascimentale» ([544], t. 4, p. 531).

2.4. Le eclissi descritte dall’“antico” Tito Livio

Riportiamo ancora un esempio. Senza scendere in dettagli, diciamo che anche l’eclissi della

Storia di Tito Livio (XXXVII, 4, 4), oggi fatta risalire dai cronologisti al 190 a.C. o al 188 a.C, non

soddisfa la descrizione della fonte (cioè di Tito Livio). Si ripete la situazione già incontrata con le

eclissi di Tucidide. Una datazione astronomica indipendente fa emergere l’unica soluzione certa

nell’intervallo dal 900 a.C. al 1600 d.C. La soluzione è: l’anno 967 d.C. [544].

Una situazione analoga riguarda l’eclissi di Luna, descritta da Tito Livio nella sua Storia (LIV,

36,1). I cronologisti scaligeriani propongono di ritenere che Tito Livio avesse descritto l’eclissi del

168 a.C. Tuttavia, com’è emerso dalla nostra analisi, le caratteristiche di quest’eclissi non

combaciano con la descrizione di Tito Livio. In realtà, l’eclissi descritta da Tito Livio, avvenne in

una delle tre date seguenti:

o nel 415 d.C., nella notte tra il 4 e il 5 settembre;

o nel 955 d.C., nella notte tra il 4 e il 5 settembre;

o nel 1020 d.C., nella notte tra il 4 e il 5 settembre.

E così via. L’elenco degli esempi di questo tipo copre tutte le eclissi “antiche” dettagliatamente

descritte. Riportiamo più sotto il quadro completo di quest’effetto “di spostamento in su” delle date

delle antiche eclissi.

3. Lo spostamento “in su” delle date delle “antiche” eclissi nel Medioevo elimina

il mistero del comportamento del parametro D’’

L’Autore di questo libro ha ricalcolato i valori del parametro D’’ sulla base delle nuove date

attribuite alle antiche eclissi e ottenute grazie all’applicazione del metodo descritto sopra. L’effetto

individuato di “spostamento in su” delle date delle eclissi ha fatto si che molte “antiche” eclissi si

siano identificate con delle eclissi medievali. Ciò ha comportato il cambiamento e l’estensione

dell’elenco delle caratteristiche di queste eclissi medievali. Alle descrizioni note da prima delle

eclissi medievali, sono stati aggiunti nuovi dati, estrapolati dalle descrizioni delle eclissi ritenute

“antiche”. Tuttavia, come hanno dimostrato le ricerche, i valori precedenti del parametro D’’

nell’intervallo 500-1900 d.C. non sono praticamente cambiati. La nuova curva per il parametro D’’ è

illustrata nella fig. 2.10.

La nuova curva risultante si differenzia qualitativamente dalla precedente. Nell’intervallo 1000-

1900 d.C. il parametro D’’ cambia lungo una curva lineare, praticamente orizzontale, oscillante

attorno a uno stesso valore costante. Emerge che il parametro non ha subìto alcun brusco salto,

mantenendo sempre approssimativamente il valore contemporaneo. Per questo non c’è alcun motivo

d’inventare misteriose teorie non gravitazionali.

Il diapason di valori del parametro D’’, insignificante nell’intervallo 1000-1900 d.C. aumenta

sensibilmente muovendosi verso sinistra dall’anno 1000 al 500 d.C. e ciò può stare a significare una

delle due ipotesi: o le rare descrizioni astronomiche pervenuteci, contenute negli annali che i

cronologisti oggi fanno risalire a questo periodo, sono assai imprecise; oppure, e più probabilmente,

anche questi stessi annali non sono stati datati correttamente e gli eventi in essi descritti

necessiterebbero quindi di una ri-datazione. Tuttavia, a causa dell’estrema nebulosità delle

descrizioni astronomiche qui rimaste, esse non possono essere utilizzate ai fini della datazione

perchè si otterrebbero troppe soluzioni. Pertanto la ridatazione degli eventi avvenuti in epoche

anteriori all’XI secolo dev’essere affrontata su basi e metodi diversi. Di alcuni di essi parleremo più

avanti.

A sinistra del 500 d.C. si estende una zona priva di dati osservabili. Da quest’epoca ai giorni

nostri non ci è pervenuta alcuna informazione.

Il quadro ottenuto riflette la distribuzione naturale dei dati di osservazione nel tempo.

La precisione originaria delle osservazioni medievali dei secoli IX-X non era certamente di

grado elevato. In seguito essa aumentò, in conformità al miglioramento e al perfezionamento delle

tecniche di osservazione, fatto che si è riflesso sulla graduale diminuzione del diapason di D’’.

Fig. 2.10. Confronto dei grafici relativi al parametro D’’, calcolati da Newton e da Fomenko. Il nuovo grafico D’’ (Fomenko)

non presenta né discrepanze né salti e oscilla intorno a un valore costante. Il parametro D’’ è misurato qui in ’’/secolo2, cioè

in secondi/secolo2.

4. L’astronomia sposta gli “antichi” oroscopi nel Medioevo

4.1. L’astronomia medievale

A occhio nudo si possono vedere cinque pianeti: Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno. Le

traiettorie visibili del loro moto passano attraverso l’eclittica, il percorso apparente del Sole durante

l’anno. La parola stessa “pianeta” significa “stella errante”. A differenza delle stelle, che non

cambiano praticamente posizione l’una rispetto all’altra, i pianeti si muovono in mezzo alle stelle

piuttosto velocemente. Nell’immaginaria “sfera delle stelle fisse” con centro nella Terra (o nel Sole,

è la stessa cosa, giacché il raggio di questa sfera immaginaria è considerato molto grande) il moto

dei pianeti non risulta uniforme, poiché il loro percorso osservato dalla Terra risulta dalla somma del

moto della Terra e dei pianeti attorno al Sole. La posizione di un pianeta, visto dalla Terra, nella

sfera delle stelle fisse, è definito in ogni momento dalla direzione del raggio che parte dalla Terra e

passa attraverso il dato pianeta. Il punto d’intersezione di questo raggio e della sfera delle stelle fisse

determina proprio la posizione istantanea del pianeta in essa. La maggior parte dei pianeti, se li si

osserva dalla Terra, si sposta dietro al Sole, tuttavia, a determinati e noti intervalli di tempo (diversi,

a seconda dei pianeti), essi cominciano a muoversi in direzione opposta. Si tratta del cosiddetto moto

retrogrado di un pianeta. Facciamo notare che Venere e Mercurio, nel loro moto osservato dalla

Terra, non si allontanano dal Sole, mentre gli altri pianeti possono allontanarsene, essendo disposti

fuori dell’orbita terrestre, a differenza di Venere e Mercurio.

I pianeti disegnano nel cielo più o meno una stessa traiettoria. Il cerchio del loro movimento lungo

la superficie dell’eclittica è chiamato Zodiaco. Esso è suddiviso in 12 parti-costellazioni [571].

L’astrologia riteneva che esistesse un legame particolare tra i pianeti e ognuna delle costellazioni

dello Zodiaco [470], e su quest’ipotesi fu costruita una teoria dettagliata. Nella fattispecie, ogni

costellazione e ogni pianeta furono connotati “di un carattere”, per esempio, Marte fu considerato

“bellicoso”, Giove “divino”, Saturno “foriero di morte” ecc. Nei cosiddetti “Quattro libri” degli

astrologi medievali si dice: «Marte secca e brucia, il suo colore è il colore del fuoco (rosso)», cit.

da [470]. Ad ogni pianeta veniva, inoltre, attribuito un colore: Marte era ritenuto rosso, Saturno era

considerato di colore pallido ecc. [470]. Un’attenzione particolare veniva attribuita all’associazione

tra i pianeti e le costellazioni. Per esempio, l’entrata del feroce Marte nel segno del Leone, era

considerata estremamente pericolosa, foriera di conflitti e spargimenti di sangue. L’entrata del

nefasto Saturno, “dio della morte”, nel segno dello Scorpione, veniva interpretata come un annuncio

di stermini, distruzioni, peste. In generale si riteneva che Saturno e lo Scorpione fossero simboli di

morte [470].

Come già si diceva, nel moto della Terra attorno al Sole le proiezioni dei pianeti sulla sfera

immobile delle stelle si spostano a salti.

Nel moto generale da ovest a est ogni pianeta, collocato fuori dell’orbita della Terra, in un

determinato momento rallenta, poi si ferma, quindi riprende con un moto retrogrado, quindi ancora si

ferma e, infine, rinnova il suo moto da ovest a est. Ne risulta un tracciato di nodo allungato, la

proiezione dell’orbita terrestre attraverso il pianeta sulla sfera immobile delle stelle.

Questi salti, erano stati ovviamente notati da tempo, e diedero motivo agli antichi osservatori di

paragonare i pianeti ai cavalli, galoppanti per il cielo.

Oroscopo è chiamata la disposizione dei pianeti nelle costellazioni dello Zodiaco, per esempio

Marte in Vergine, Saturno nei Pesci ecc. Gli oroscopi si possono calcolare. La questione della

posizione di un pianeta in una costellazione piuttosto che in un’altra è di fatto la questione del suo

transito in un settore di larghezza pari a circa 30º. Peraltro, per molti problemi è sufficiente una

precisione di più o meno 5º di longitudine. Non solo, ma definire le latitudini del pianeta non è

necessario, poiché le loro inclinazioni dall’eclittica non sono rilevanti dal punto di vista del transito

nella costellazione. Per questo motivo, le antiche fonti scritte, contenenti oroscopi, di norma indicano

solo la posizione zodiacale dei pianeti.

Una volta fissata, in un certo momento temporale, per esempio oggi, la posizione dei pianeti

secondo le costellazioni e conoscendo i valori numerici dei periodi di rivoluzione dei pianeti attorno

al Sole, si possono, riportando all’indietro o in avanti i multipli interi di questi periodi, ottenere le

posizioni dei pianeti dello Zodiaco relative al passato o al futuro. Oggi come oggi sono state

composte tabelle e programmi di computer di varia precisione, in grado di determinare le posizioni

dei pianeti secondo le costellazioni dello Zodiaco. Di questo tipo sono le tavole di P. Neugebauer,

Newcombe, Leverrier, Morozov ecc. [1293]. Queste tavole rispondono alla domanda: quale era, in

un determinato giorno di un determinato anno, la posizione dei pianeti nello Zodiaco?

N.A. Morozov e M.A. Vil’ev elaborarono anche le tavole inverse, che mostrano in quali anni si

era realizzata una certa posizione dei pianeti ([544], t. 4). In tempi relativamente recenti sono stati

elaborati buoni programi di computer di varia precisione, per il calcolo degli oroscopi. Nel nostro

lavoro di ricerca ne abbiamo utilizzati alcuni, e abbiamo anche scritto un nostro programma di

computer per la datazione degli oroscopi antichi.

Oggi come oggi ci immaginiamo a fatica lo stile del pensiero di un astronomo medievale. Il

colorito astrologico del mondo circostante permeava la visione del mondo degli scienziati medievali,

e non solo degli astronomi. I libri medievali di astronomia sono fitti di simboli astrologici,

nonostante descrivessero dei fenomeni celesti realmente prodottisi. Tutti questi libri erano, per i loro

autori e i loro lettori, non un codice ma una forma abituale di trascrizione delle osservazioni dei

fenomeni celesti. Per esempio, le date relative a qualche ricorrenza o le date di morte, incise sulle

lapidi, delle persone, venivano espresse in forma di oroscopo, cioè in forma di disegno veniva

raffigurata la posizione dei pianeti nel cielo nel momento in cui si era prodotto un certo evento.

Per noi questo tipo di approccio si è sensibilmente perduto, e per questo, al fine di comprendere

questi testi medievali, siamo costretti a studiare il linguaggio dei simboli. Una rassegna

dell’ideologia dell’astrologia medievale è contenuta nel libro di Troels-Lund [849]. Lo storico

religioso Troels-Lund ha dato un chiaro quadro della visione del mondo dello scienziato medievale

dell’Europa occidentale. A quel tempo l’astrologia, intesa come scienza fondamentale sull’Universo,

aveva un ruolo di massima importanza. Ecco, nella fattispecie, cosa scrive l’autore sui pianeti:

«Questi strani moti potevano essere interpretati solo in un modo: come la manifestazione di qualcosa di arbitrario, come la

dimostrazione di una via autonoma [...]. E sopra tutto ciò ruota l’opaca Volta celeste, in cui “si trovano le stelle, in configurazioni

simili ad animali” [...]. Non era altro che astronomia trasformata in religione [...]. Così sono nate la scienza e l’arte e quest’ultima,

nell’arco di molti secoli [fino al XVIII secolo; N.d.A.] ha inchiodato irresistibilmente a sé l’attenzione generale, essendo ritenuta il

culmine del sapere umano» ([849], pp. 24-26).

Nel libro [849] sono riportati dei frammenti della Bibbia, aventi, secondo Troels-Lund, un

carattere astronomico. A questo tema ritorneremo ancora.

La fioritura dell’astronomia scientifica produsse inevitabilmente una diramazione al suo interno,

la cosiddetta astronomia applicata, cioè la scienza sulla predizione dei destini degli uomini, degli

stati, dei re, secondo il moto dei pianeti, “secondo le stelle”. Nel Medioevo, in Europa occidentale,

l’astrologia si reggeva sull’appoggio statale [849]. All’astronomia, mescolata all’astrologia,

dedicava grande attenzione anche la chiesa di Roma, utilizzandola, nella fattispecie, per il suo

calendario.

«L’astrologia era diventata la scienza principale di quell’epoca, la base di tutte le altre. Se proviamo oggi a guardare senza

pregiudizio all’astrologia del XVI secolo [...] la prima sensazione che proviamo è lo stupore per l’enorme ruolo che rivestiva, a quei

tempi, la fede nell’influsso delle stelle. Non ci credeva solo la massa ignorante, ma, seguendo l’esempio di quest’ultima, ci

credevano anche le persone eminenti [...]. Sarà sufficiente prestare attenzione alla gran quantità di opere sull’astrologia, apparse

nel XV e nel XVI sec. Le opere, conservate unicamente nelle due biblioteche principali di Copenhagen, formano una pila

voluminosa[...]» ([849], p. 166).

Scrivevano queste opere non persone sconosciute, ma gli intelletti più fini di quel tempo. «Nella

Scandinavia del XVI secolo, ad esempio, non c’è alcun nome che si possa mettere al fianco

dell’insigne rappresentante della scienza esatta Tycho Brahe [...], dell’umanista e uomo di stato

Heinrich Rantzau [...]» [849, p. 169].

Su Tycho Brahe l’autore scrive: «Tutta la sua attività scientifica era notoriamente dedicata allo

sviluppo di essa [cioè dell’astrologia; N.d.A.]» ([849], p. 169).

In Germania, la stessa cosa si può dire di Melanchthon (Filippo Melantone) e Keplero.

L’astrologia trionfava nelle corti dei monarchi e dei principi europei, in Francia, in Inghilterra, in

Italia. È noto che Rodolfo II, Luisa di Savoia, Caterina de’ Medici, Carlo IX, Enrico IV, e altri

governanti europei sostenevano attivamente l’astrologia ([849], pp. 170-171).

Melanchthon affermava che la Bibbia indicava direttamente l’origine divina dell’astrologia

([849], p. 175)]. Nel Medioevo si riteneva fuor di dubbio che molti frammenti, per esempio i libri

dei profeti contenuti nella Bibbia, fossero astronomici e contenessero degli oroscopi cifrati ([849], p.

180).

Si ritiene che l’influenza dell’astrologia sia stata interrotta da Copernico, Newton e Laplace, e

per questo il simbolismo astronomico di molti testi antichi perse la sua enigmaticità e la sua

importanza, si spense e presto cadde nell’oblio.

Oggigiorno esso risulta per molti versi incomprensibile alla maggior parte dei lettori.

L’invenzione dell’orologio e di altri strumenti tolse valore alle osservazioni del cielo stellato, e ciò

privò l’ideologia astronomica del suo fondamento.

«In nessuna epoca precedente le impressioni dirette del cielo non sono mai state così scarse [qui

s’intende il XIX-XX secolo; N.d.A.]. A Londra, Parigi, Copenhagen ecc. Forse una persona su cento

sa se oggi è plenilunio o novilunio o qual è ora la posizione dell’Orsa Maggiore. La luce del cielo

notturno ha assunto un valore prettamente decorativo» ([849], pp. 212-213).

A differenza dei Paesi dell’Europa occidentale, la Chiesa ortodossa russa aveva un rapporto

fortemente negativo nei riguardi dell’astrologia: un episodio caratteristico avvenne al Cremlino nel

1559, quando Ivan il Terribile restituì agli ambasciatori danesi un orologio originale, decorato con le

raffigurazioni mobili dei pianeti celesti, che essi gli avevano portato in dono. Agli ambasciatori fu

detto: «Per uno zar cristiano, che crede in Dio e non ha tempo da perdere con pianeti e segni

(celesti), il regalo non è adatto» ([775], pp. 125-126). D’altro verso, però, l’astronomia veniva

utilizzata, anche nella Rus’, per il calcolo delle date della Pasqua. Nel nostro libro La Rus’ biblica

abbiamo esposto le nostre spiegazioni rispetto all’atteggiamento fortemente negativo della Chiesa

ortodossa nei riguardi dell’astrologia, a partire quanto meno dalla metà del XVI secolo.

4.2. Il metodo di datazione astronomica indipendente

L’idea di utilizzare gli oroscopi contenuti negli antichi testi per la datazione astronomica degli

eventi in essi descritti sorse già nel XVI secolo, e da allora, di tanto in tanto, viene sfruttata dagli

astronomi e dai cronologisti. Se un certo documento contiene la descrizione di un oroscopo, allora,

utilizzando le tavole teoriche di calcolo, si può tentare d’individuare l’oroscopo giusto, cioè

l’oroscopo avente delle caratteristiche astronomiche corrispondenti alla descrizione della vecchia

fonte. In questo caso si può calcolare la data dell’oroscopo o altre date possibili, se le soluzioni

astronomiche sono più di una, fatto che si produce quando il contenuto astronomico della fonte è

incompleto o nebuloso.

L’applicazione di quest’idea, all’apparenza semplice, si scontra, tuttavia, con grandi difficoltà, la

cui causa è da ricercare non nell’astronomia sebbene nella cronologia comunemente accettata che gli

storici non vogliono in nessun modo mettere in discussione.

Nel suo libro [544] Morozov ha dimostrato che, condizionati dalla cronologia scaligeriana, gli

astronomi dei secoli XVII-XIX erano continuamente costretti a ricorrere a forzature di misura diversa

al fine di far concordare “la tradizione storica” (cui essi credevano ciecamente) con i risultati dei

calcoli astronomici. Il fatto è che gli astronomi dei secoli XVII-XVIII vivevano in un’epoca in cui la

cronologia scaligeriana aveva già messo profonde radici nella coscienza collettiva. Gli antichi regni,

i conflitti, i protagonisti della storia, tutto ciò era già stato “scientificamente” distribuito lungo l’asse

del tempo, pertanto, affrontando la datazione astronomica di un testo antico contenente un oroscopo,

gli astronomi “conoscevano” già la data approssimativa di riferimento che dovevano calcolare. Il

loro ruolo, di fatto, veniva ridotto a una mera conferma delle datazioni storiche, nulla di più. Se gli

astronomi per qualche motivo non riuscivano a trovare la soluzione astronomica che garbava agli

storici, preferivano mettere in discussione non la cronologia storica ma la precisione delle

descrizioni astronomiche del vecchio documento. In questi casi si diceva pressappoco così:

«Probabilmente l’annalista ha fatto confusione, indicando Saturno nei Pesci. Affinché gli eventi

descritti s’iscrivano nel V secolo a.C., Saturno doveva essere nella Vergine». “Correggendo” una

costellazione con un’altra, gli astronomi «con successo confermavano scientificamente» la

cronologia scaligeriana, guadagnandosi gli elogi degli storici.

Il merito di N.A. Morozov fu quello di aver per primo messo in discussione non le testimonianze

astronomiche dei vecchi documenti, sibbene la cronologia assunta dagli storici. Egli propose di

allargare l’intervallo di ricerca delle soluzioni astronomiche estendendolo a tutta l’epoca storica,

arrivando fino al Medioevo. Ma persino N.A. Morozov non fu coerente fino in fondo, preferendo non

inoltrarsi nei suoi calcoli oltre il VI sec. d.C. Per questo i risultati astronomici di Morozov non sono

da considerarsi definitivi. Essendo convinto che inattendibile fosse solo la cronologia del mondo

“antico”, egli confidò stranamente e invano nella cronologia del Medioevo, a partire all’incirca dagli

anni 300-500 d.C. Ricercando l’una o l’altra soluzione astronomica, si limitava nella maggior parte

dei casi all’intervallo dal 2000 a.C. al 600 d.C., studiando solo raramente periodi posteriori.

Per quanto riguarda l’epoca dal XIV al XVIII secolo, N.A. Morozov nella maggior parte dei casi

non la prendeva praticamente in considerazione, ritenendo che “le antiche” eclissi e gli oroscopi non

potessero avere delle soluzioni sensate in questa epoca (per lui, molto tarda). Per questo,

muovendosi in avanti lungo l’asse del tempo alla ricerca di soluzioni astronomiche, egli, di norma, si

fermava prima del tempo, dopo aver trovato delle soluzioni più o meno adatte.

Sottolineiamo ancora una volta che le datazioni astronomiche di N.A. Morozov, nonostante il loro

grande valore per la storia della scienza (egli infatti realizzò davvero molto in questa direzione) non

risultano definitive. Sono solo dati preliminari, ancorché ragionamenti assai preziosi sulla datazione

astronomica. Il lettore deve aver ben chiaro questo fatto, mentre legge il presente capitolo.

Le nostre ricerche hanno dimostrato che, la corretta applicazione del metodo astronomico porta a

ottenere delle date sensibilmente posteriori, rispetto a quelle individuate da Morozov (per non

parlare poi della versione scaligeriana). In molti casi queste date risultano risalire al tardo

Medioevo.

4.3. Molte “antiche” osservazioni astronomiche potevano essere state

teoricamente calcolate dagli astronomi del tardo Medioevo e successivamente

inscritte da loro stessi e fatte passare come “osservazioni reali” in annali

presunti “antichi”

Non va dimenticato che, mentre scrivevano “la giusta storia scaligeriana”, i cronologisti dei

secoli XVI-XVII si rivolgevano continuamente agli astronomi, chiedendo loro di eseguire i calcoli

che gli servivano. Abbiamo già parlato del forte influsso dell’astrologia sulla scienza medievale. È

probabile che nelle scuole astrologiche dei secoli XV-XVII venissero risolti dei compiti “scientifici”

come gli esercizi per l’apprendimento dei metodi di astronomia-astrologia. Ad esempio, venisse

richiesto di calcolare la posizione dei pianeti al momento dell’ascesa al trono dell’”antico”

imperatore Giustiniano I che visse, secondo la visione erronea dei cronologisti medievali, nel VI

secolo a.C. Oppure, in quali giorni si fossero verificate le eclissi lunari all’epoca dell’Impero

romano, già erroneamente fatto risalire dai cronologisti medievali ai secoli III-VI d.C. Oppure in

quale giorno fosse caduta la Pasqua nell’anno del Consiglio di Nicea, erroneamente datato IV secolo

d.C. Tutto ciò veniva “teoricamente calcolato” nei secoli XVI-XVII.

Tutti questi “calcoli astronomici” venivano in seguito “astutamente” inscritti nelle redazioni finali

delle antiche cronache. Tutto ciò accadeva probabilmente nei secoli XVI-XVII e persino nel XVIII

secolo. Si trattava di un grande lavoro, che si sarebbe rivelato utile se la cronologia creata dagli

storici medievali fosse stata corretta. Ma questa cronologia è risultata sbagliata e fu per questo che

gli astronomi medievali aggravarono l’errore degli storici, calcolando le posizioni dei pianeti per

esempio nel secolo VI d.C. (quando si riteneva fosse vissuto Giustiniano I) e inscrivendo

successivamente una nota del tipo: «Il giorno dell’ascesa di Giustiniano I, i pianeti si trovavano in

determinate costellazioni». Il risultato fu che gli annali si riempirono di errori cronologici e di uno

“scheletro” astronomico che era, evidentemente, solo il risultato dei calcoli medievali posteriori,

presentati nelle cronache ritoccate e spacciati come i risultati di autentiche osservazioni “antiche”.

Col tempo questo materiale, in parte sbagliato e in parte falsificato, si è fossilizzato, si è riempito

della polvere dell’autorità e in questo stato è pervenuto ai giorni nostri. I nostri contemporanei,

storici e astronomi, leggendo gli annali antichi, si rallegrano di trovare in essi “informazioni

astronomiche” e facendo riferimento alla moderna astronomia, datano le eclissi e gli oroscopi,

ritenendoli frutto delle osservazioni antiche anche se in realtà sono i prodotti dei calcoli teorici dei

secoli XVI-XVIII. Ed è poi con soddisfazione che scoprono come, a volte, i loro risultati sono

coerenti con la cronologia di Scaligero, finendo per confermarla ancora una volta. Ecco come si

viene a creare un circolo vizioso.

Naturalmente a volte si riscontrano delle discrepanze con la moderna astronomia. Tali

incongruenze possono emergere perché i metodi di calcolo astronomico dei secoli XVI-XVIII secolo

erano ancora imperfetti e notevolmente peggiori rispetto a quelli contemporanei. Quando incappano

in tali divergenze, i moderni storici dell’astronomia correggono con condiscendenza “l’osservatore

antico” e tutto ciò accresce l’illusione di autenticità della cronologia scaligeriana.

Ma che fare quando i risultati dei calcoli astronomici moderni divergono radicalmente dalla

cronologia scaligeriana? In questi casi gli studiosi moderni si limitano a disquisire «sull’ignoranza

degli antichi osservatori».

I nostri risultati dimostrano che la cronologia medievale risulta attendibile solo a partire dal XVII

secolo e che serve ancora un enorme lavoro di datazione indipendente delle eclissi e degli oroscopi

descritti nelle fonti scritte.

I nostri calcoli hanno dimostrato che soluzioni astronomiche corrette si trovano nell’intervallo

dall’XI al XVIII secolo. Si veda il nostro Astronomičeskij analiz chronologii (Analisi astronomica

della cronologia), libro 2.

4.4. Quali osservazioni astronomiche degli “antichi” potevano essere il risultato

dei calcoli teorici del tardo Medioevo

Sulla base di quanto sopra affermato, il quadro che si è venuto a formare è pertanto il seguente:

all’inizio i cronologisti della scuola di Scaligero-Petavius crearono una cronologia errata della

storia antica e medievale, allontanando nel passato la storia reale dei secoli XI-XVII.

Successivamente, nei secoli XVI-XVIII, prese inizio un enorme lavoro di calcolo finalizzato a

rivestire di “aspetto scientifico” tutte le interpolazioni e a questo fine furono riveduti i calcoli

astronomici. Dunque, a voler chiamare le cose col nome giusto, si può dire che ebbe luogo un

processo intenzionale di falsificazione della storia.

Furono create “le teorie degli antichi calendari”. I cronologisti dei secoli XVIXVIII cominciarono

a “ripristinare” gli antichi sistemi dei calendari, che si riteneva venissero utilizzati dagli uomini in un

lontano passato e per centinaia e addirittura migliaia di anni!

Furono teoricamente calcolati “i punti d’inizio” dei calendari, “furono calcolate” le date di eventi

come la creazione del mondo, il diluvio universale ecc. I risultati dei calcoli venivano sfrontatamente

inscritti nelle “antiche” cronache per «ristabilirne l’ordine cronologico». Nella realtà dei fatti

vennero consolidati gli errori o le dirette contraffazioni della scuola di Scaligero-Petavius. Gli

eventi autentici del Medioevo acquisirono delle date inesatte, che facevano risalire i fatti a tempi

lontani nel passato.

Ciononostante oggi gli storici accolgono per vere queste date “antiche”, calcolate teoricamente, e

le ritengono una conferma della storia scaligeriana, senza sospettare che molte “osservazioni di

calendario” sono state calcolate dai cronologisti solo nei secoli XVI-XVII d.C. Ecco come si viene a

creare un circolo vizioso (ne abbiamo scritto nel nostro Biblejskaja Rus’ [La Rus’ biblica; N.d.T.],

libro 3).

Ancora: in passato potevano essere stati calcolati alcuni oroscopi. Si consideri, infatti, che,

seppur in modo grossolano, la disposizione dei pianeti poteva essere tranquillamente calcolata già

nel tardo Medioevo. Successivamente gli annali venivano sottoposti a una revisione speciale, che

poteva comportare iscrizioni del tipo: «nel secolo VIII dalla fondazione di Roma, nel giorno

dell’uccisione di Giulio Cesare, i pianeti si trovavano in un certo punto [...]» e la disposizione dei

pianeti veniva calcolata nel secolo I a.C. giacché l’astronomo dei secoli XVI-XVII già “sapeva”,

fidandosi erroneamente di Scaligero-Petavius, che Cesare era vissuto nel I secolo a.C. Oggi gli

storici accettano come vere queste “osservazioni astronomiche” e cercano di riportarle a

dimostrazione della correttezza della cronologia scaligeriana. Ecco come si crea il circolo vizioso.

Ancora: nel passato potevano essere state calcolate delle eclissi di Luna. Le eclissi lunari sono

piuttosto facili da calcolare, e ciò veniva fatto con successo già nei secoli XVI-XVII (a differenza

delle eclissi solari, molto più difficili da computare).

Nel XVII secolo, e a maggior ragione nel secolo XVIII, gli astronomi avevano già imparato a

calcolare a posteriori le eclissi di sole. Le eclissi di Luna e di Sole “calcolate” potevano essere

aggiunte come “osservazioni astronomiche” nelle pagine dell’errata storia di Scaligero-Petavius, più

o meno in questa forma: «Nel giorno della morte di un certo imperatore avvenne un’eclissi». Ed

evidentemente l’approccio era proprio questo. Calcolando che, per esempio, all’inizio del II secolo

d.C., in un determinato anno, era avvenuta un’eclissi, l’astronomo prendeva “il manuale di Petavius”

e controllava sotto quale governo di quale imperatore ricorreva l’eclissi da lui calcolata. [...] Esempi

di calcoli medievali, dichiarati a posteriori “osservazioni antiche”, sono stati riportati

dall’astronomo contemporaneo Robert R. Newton nel suo famoso libro The Crime of Claudius

Ptolemy [614].

Ancora: in epoca passata potevano essere stati calcolati i periodi di comparsa di alcune comete.

Fondandosi su date attendibili di comparse di comete, fissate in epoca tardomedievale a partire da

Tycho Brahe e Keplero, si era già imparato a calcolare i periodi della loro apparizione, si prenda ad

esempio la cometa di Halley. Poi, mettendo da parte il periodo calcolato, si ottenevano le date

presupposte di apparizione delle comete nel passato. Si prendeva il manuale inesatto di Petavius, si

guardava sotto il governo di quale imperatore apparivano queste “comete calcolate” e s’iscrivevano

negli antichi annali delle frasi del tipo: «Nell’anno di governo di un certo imperatore nel cielo era

comparsa una luminosa cometa».

Ma oggi ci vogliono convincere del fatto che gli antichi astronomi, in un remoto passato, avessero

veramente osservato nel cielo “queste apparizioni della cometa di Halley”, non solo, ma che queste

“osservazioni” andrebbero a confermare il manuale di Scaligero-Petavius. Più dettagliatamente sulle

“datazioni” delle comete e nella fattispecie sulla cometa di Halley (ne abbiamo scritto nel nostro

Imperija [L’impero; N.d.T.], libro 1, cap. 5).

Nei secoli XIX-XX, a volte persino gli astronomi professionisti, pensando di avere a che fare con

materiale di osservazione autentico dei tempi antichi, cominciavano a costruire sconsideratamente

delle teorie, “precisando” il moto della cometa di Halley sulla base di queste false “osservazioni

antiche”. Ma il problema è che in queste “ricostruzioni” si snatura inevitabilmente anche la stessa

teoria matematica del moto della cometa, poiché alcune costanti nelle equazioni del moto devono

essere desunte solo da osservazioni sperimentali. Se le osservazioni sono sbagliate, o più

semplicemente, falsificate, anche i valori delle costanti che si ottengono non sono quelli che

dovrebbero essere nella realtà delle cose.

Da qui si deduce quante serie conseguenze per la storia della scienza possono aver comportato

simili calcoli cronologici tardomedievali, surrettiziamente spacciati per “autentiche osservazioni

astronomiche”.

Queste considerazioni vanno applicate in primo luogo alle fonti scritte. Non era così difficile

prendere penna e calamaio e aggiungere nella pagina dell’annale: «antica osservazione».

In misura inferiore questi sospetti vanno riferiti ai reperti archeologici certi o all’antica

architettura monumentale, nonostante il fatto che anche in questo campo la cautela dev’essere

massima. In ogni caso, se l’oroscopo è raffigurato come un grande bassorilievo sul soffitto di un

antico tempio o sul coperchio del sarcofago di un’antica tomba, ci sono buoni motivi per ritenere che

ci si trovi di fronte a un originale, a un’osservazione astronomica medievale autentica, e non al frutto

di un calcolo posteriore, basato a priori sulla cronologia di Scaligero-Petavius.

5. Brevi osservazioni su alcuni Zodiaci egizi

In questo capitolo descriveremo brevemente i risultati della nostra ricerca, dettagliatamente

illustrata in Astronomičeskij analiz chronologii (Analisi astronomica della cronologia), libro 2.

5.1. Osservazioni generali

Gli antichi oroscopi sono preziosi per la cronologia. L’oroscopo può essere datato sulla base

della moderna teoria astronomica. Le soluzioni astronomiche possono essere tante, ma spesso ce n’è

solo una nei limiti di un determinato intervallo storico di tempo. Allora si ottiene la data precisa

dell’oroscopo.

L’idea di utilizzare l’astronomia per la datazione dei vecchi documenti era già nota a Scaligero e

agli altri cronologisti dei secoli XVI-XVIII, per questo i falsificatori della storia potevano sfruttare

(e hanno sfruttato) quest’idea.

Siccome le fonti scritte, come cerchiamo di far capire, erano state contaminate nei secoli XVIIXVIII,

anche le informazioni astronomiche in esse contenute potevano essere falsificate, specialmente

se ciò non richiedeva un grande dispendio di tempo e di energie, come per esempio nel caso degli

oroscopi trascritti negli annali.

Nei secoli XVI-XVII gli astronomi conoscevano già bene i periodi di circolazione dei pianeti e

potevano calcolare gli oroscopi relativi a una qualsiasi data fornita in precedenza, anche riguardante

il lontano passato.

Per questo motivo, ai fini del nostro lavoro di ricostruzione cronologica, ha senso occuparsi solo

di quegli oroscopi che difficilmente potevano essere stati calcolati nei secoli XVI-XVIII con lo

scopo di falsificare “l’Antichità”. Da questo punto di vista l’oroscopo inciso sul soffitto di un tempio

antico è sicuramente più attendibile di un oroscopo inserito in un certo “antico” manoscritto. Scolpire

sulla pietra un bassorilievo in tutti i suoi dettagli è un’operazione difficile. Non solo, ma la

costruzione stessa del tempio è il prodotto di un’opera collettiva, che coinvolge molta gente, mentre

invece scrivere su un foglio di carta in quale costellazione si trovavano i pianeti in una certa “antica”

data non è una gran fatica. È una mera questione d’ufficio e proprio di ciò si occupavano i

falsificatori. Una cosa è correggere e rimaneggiare un oroscopo sulla pagina di un manoscritto, e

tutt’altra cosa metter mano a un oroscopo inciso nel soffitto di un tempio. La prima cosa è facile da

fare; la seconda è difficile, se non addirittura impossibile.

Pertanto, dal punto di vista di un processo di datazione indipendente, gli oroscopi delle fonti

scritte non presentano un particolare interesse, e ciò riguarda anche gli oroscopi “dell’antica”

Grecia, raccolti nel famoso libro di O. Nugebauer, Van Hoesen H.B., Greek Horoscopes [1290].

5.2. Gli Zodiaci di Dendera

Nel tempio di Dendera in Egitto sono state rinvenute della raffigurazioni oggi chiamate Zodiaco

circolare e lungo.

I tentativi degli astronomi dei secoli XIX-XX di trovare “nell’Antichità” una soluzione adeguata

agli oroscopi raffigurati negli Zodiaci, non furono coronati da successo.

Di questi Zodiaci si occuparono scienziati famosi come Laplace, Fourier, Letron, Biot, Helm.

Alla fine la ricerca di soluzioni astronomiche cessò. Oggi, sulla base della cronologia

scaligeriana, il tempio stesso e gli oroscopi che conserva sono stati datati rispettivamente 30 a.C. e

14-37 d.C. ([1453], n. 4, p. 64). Ma si tratta di una datazione che non regge la critica. Le soluzioni

astronomiche precise per questi Zodiaci, tuttavia, esistono (si veda Astronomičeskij analiz

chronologii [Analisi astronomica della cronologia; N.d.T.], libro 2).

Dendera è una città in Egitto, a nord di Tebe, presso le rive del Nilo. Vicino a Dendera si trovano

le rovine dell’antica città di Tentera, con i resti di un meraviglioso tempio (Tempio di Hathor).

Riportiamo alcuni dei vecchi disegni, unici nel loro genere, eseguiti dagli artisti francesi al

seguito di Napoleone dopo la sua campagna d’Egitto alla fine del XVIII secolo.

Gli artisti avevano accompagnato le guarnigioni di soldati francesi che, a spese di battaglie

sanguinarie, stavano conquistando l’Egitto. Queste preziosissime testimonianze grafiche risultano

essere dei documenti importantissimi, giacché illustrano l’aspetto e lo stato dei monumenti egizi alla

fine del XVIII secolo, cioè esattamente nel momento in cui attraverso questi luoghi erano passati, con

furore, gli eserciti e l’artiglieria di Napoleone.

Sono come delle “fotografie” dell’Egitto a cavallo tra i secoli XVIII-XIX. Ovviamente non si

tratta di fotografie vere e proprie, ma di disegni dettagliati attraverso cui gli artisti di Napoleone si

erano impegnati a trasmettere quanto visto con i loro occhi.

Fig. 2.11. Vecchio disegno che rappresenta un arco semidistrutto oltre il quale si vede il grande Tempio di Dendera, visto

dalla parte dell’entrata centrale, settentrionale. Il disegno è stato eseguito dagli artisti francesi che accompagnavano le

truppe di Napoleone durante la sua campagna d’Egitto (tratto da [1000], A, vol. IV, PL. 5).

Nel disegno 2.11 si vede un arco semidistrutto, oltre il quale si apre il panorama sull’entrata

principale, settentrionale del tempio di Dendera.

Tutte le architetture appaiono fortemente distrutte. Per fare un confronto nella fig. 2.12 è riportata

la “ricostruzione” del tempio, realizzata dagli artisti di Napoleone. Qui vediamo la loro

rappresentazione di come appariva il tempio prima della sua distruzione.

Fig. 2.12. Ricostruzione del Tempio di Dendera, eseguita dagli artisti francesi della fine del XVIII - inizio XIX secolo. Qui è

mostrata solo la parte destra della facciata “ricostruita”. Nel complesso la ricostruzione è eseguita con criterio, sebbene i

volti delle statue siano raffigurati in modo sostanzialmente diverso rispetto al disegno originale ([1100], A, vol. IV). I volti di

pietra originali, con gli zigomi pronunciati e i nasi danneggiati non appaiono così come li hanno voluti rappresentare gli artisti

francesi, “restaurando” la storia egiziana. Perché mai hanno disegnato visi regolari dai tratti “greco-romani” invece dei volti

originali dagli zigomi pronunciati? (Tratto da [1100], A, vol. IV, PL. 29).

Nelle figg. 2.13 e 2.14 sono mostrate le immagini del grande Tempio di Dendera visto da dietro,

così come lo videro gli artisti di Napoleone dopo che la battaglia si spostò più avanti e la

retroguardia di Napoleone potè entrare a Dendera. È ovvio che il tempio fu danneggiato «non dagli

effetti rovinosi del tempo», ma a causa delle devastazioni della battaglia. È probabile che le

costruzioni siano state danneggiate dai colpi dell’artiglieria o siano state fatte saltare in aria dai

soldati. Nelle figg. 2.15, 2.16 e 2.17 sono riportate le fotografie contemporanee del Tempio di

Dendera. Si presti attenzione al muro perfettamente eretto attorno al tempio (si veda la fig. 2.15). Si

possono notare bene i sostegni fatti per la maggior resistenza delle fondamenta di una delle

costruzioni che prima si trovava di fronte al tempio. Questa costruzione è distrutta (si veda la fig.

2.16).

La qualità dell’opera in muratura e le soluzioni ingegneristiche denotano l’alto livello di

conoscenza degli “antichi” costruttori del tempio. Nella fig. 2.17 il Tempio di Dendera è visto

dall’alto. Sono ben visibili gli spazi circostanti e in particolare l’alto muro che racchiude un vasto

territorio dove sono situate, attorno al tempio, le rovine di certe costruzioni.

Fig. 2.13. Il grande Tempio di Dendera visto da dietro: un panorama di distruzione totale. È probabile che si trattasse degli

effetti dei colpi dell’artiglieria o di esplosivi piazzati sotto le fondamenta delle costruzioni (tratto da [1100], A, vol. IV, PL. 3).

Fig. 2.14. Il grande Tempio di Dendera visto da dietro. Non si deve credere che queste distruzioni siano tutte da attribuire ai

francesi. È possibile che ci siano le tracce dell’occupazione ottomana-atamana dei secoli XV-XVI, quando le truppe di Mosè,

uscite dalla Rus’ dell’Orda o le colonne di Gesù Navin, giunte dalla Osmania-Atamania si ripresero di nuovo “il loro Egitto”,

ripulendolo dalle epidemie (ne abbiamo parlato in Biblejskaja Rus’, libro 1, cap. 4-5). Da allora le rovine sono state coperte

dalla sabbia dei vicini deserti egiziani. Tra l’altro la sabbia avrebbe potuto coprire tutto in poche decine di anni o addirittura

all’epoca di Napoleone. I forti venti dell’Egitto alzano ininterrottamente la sabbia (tratto da [1100], A, vol. IV, PL. 3).

Fig. 2.15. Il Tempio di Dendera com’è oggi. Il muro basso attorno al tempio è costituito da grandi blocchi di pietra

accuratamente disposti (tratto da [1062], p. 10).

Fig. 2.16. Il Tempio di Dendera com’è oggi (tratto da [1062], p. 10).

Si ha la sensazione che l’intero complesso fosse stato costruito come un monastero cristiano.

Forse molto posteriore.

Nel soffitto del grande Tempio di Dendera si sono conservati dei bassorilievi di pietra, i

cosiddetti Zodiaco circolare e Zodiaco lungo. La misura dello Zodiaco circolare è di circa 2,5 x 2,5

m ([1177], t. 1, p. 121). Nella fig. 2.18 è riportato lo schizzo dello Zodiaco circolare, eseguito dagli

artisti di Napoleone e pubblicato nell’opera fondamentale Déscription de l’Egypte (La descrizione

dell’Egitto) [1100], composta dagli archeologi e dagli artisti che accompagnarono le truppe di

Napoleone in Egitto. L’opera fu pubblicata su ordine diretto di Napoleone, com’è scritto in apertura:

Publiée sous les ordres de Napoléon de Bonaparte.

Fig. 2.17. Fotografia del Tempio di Dendera e del territorio limitrofo visti dall’alto. È probabile che il tempio e le costruzioni

che lo circondano fossero stati eretti come monastero cristiano. Si vede l’alto muro che circonda il grande territorio attorno

al tempio (tratto da [1062], p. 64).

In entrambi gli Zodiaci, il Circolare e il Lungo, i pianeti sono rappresentati in forma di figure

umane, disposte nelle costellazioni dello Zodiaco. Abbiamo quindi davanti a noi due oroscopi che

possono essere datati astronomicamente.

Questo ritrovamento unico, degli oroscopi in un antico tempio, suscitò un enorme interesse nella

comunità degli astronomi. Tuttavia, come abbiamo già detto, le ricerche dimostrarono che da un

lontano passato e fino al III secolo d.C. i pianeti non formavano nel cielo la configurazione

raffigurata negli Zodiaci di Dendera. Allora gli astronomi dichiararono che i bassorilievi erano il

frutto di una visione fantastica, non legata a osservazioni reali del cielo. Ulteriori tentativi di datare

astronomicamente gli Zodiaci non ci furono. Non dubitando dell’esattezza delle cronologia

scaligeriana dell’Egitto, nessuno degli astronomi continuò i calcoli in tempi posteriori, oltre il III

secolo d.C.

Fig. 2.18. Schizzo dello Zodiaco circolare, eseguito dagli artisti della campagna egiziana di Napoleone (tratto da [1000], A,

vol. IV, PL. 21, foglio sinistro).

I tentativi di decifrare in modo più dettagliato lo Zodiaco circolare cominciarono tanto tempo fa:

vi si dedicarono Brugsh, Morozov, Turaev. Le costellazioni zodiacali sono raffigurate perfettamente,

e si differenziano di poco da quelle riportate, per esempio, nelle mappe astronomiche di Johann

Bayer e persino nei trattati di astronomia dei secoli XVIII-XIX. Tuttavia l’identificazione dei pianeti

risultò essere un compito assai arduo.

N.A. Morozov propose una decifrazione parziale dello Zodiaco circolare ([544], t. 6) e provò a

datarlo. Il pensiero di Morozov era semplice e al contempo rivoluzionario: se quest’associazione di

pianeti non era presente prima del III secolo d.C. se ne deduce che bisognava continuare la ricerca in

epoche più vicine a noi. Morozov fece dei calcoli dal III secolo fino al XIII d.C. ([544], t. 6, pp. 662,

667), e individuò una sola soluzione astronomica soddisfacente: il 15 marzo 568 d.C.

Nel 1992 un nuovo tentativo di datazione dello Zodiaco circolare fu intrapresa dai fisici

moscoviti N.S. Kellin e D.V. Denisenko ([376]; si veda anche [MET2]:1; [MET1]:6, pp. 315-329). Il

risultato che ottennero fu: 22 marzo (del vecchio stile) 1422.

Nel 1999 una nuova decifrazione parziale e datazione dello Zodiaco circolare, sulla base di altre

idee, fu affrontata da T.N. Fomenko ([MET3]:3). Il risultato che ottenne la studiosa fu: 15 marzo 568

o 22 marzo 1422 ([MET3]:3).

La risposta definitiva ottenuta da G.V. Nosovskij e A.T. Fomenko nel 2001 verrà formulata più

sotto.

Nell’identificazione delle figure dello Zodiaco circolare e lungo con i simboli astronomici oggi

adottati, nel libro ([MET1]:6) è stato usato il seguente metodo: le figure negli Zodiaci di Dendera

sono state confrontate con le raffigurazioni delle costellazioni e dei pianeti note oggi dagli atlanti

medievali, ed è emerso che in entrambi gli Zodiaci di Dendera è stata utilizzata praticamente la

stessa simbologia.

Fig. 2.19. Raffigurazione dello Zodiaco e dei pianeti in un manoscritto astronomico francese del Medioevo. I pianeti sono

rappresentati in forma di figure umane. Per esempio, vicino alla figura del guerriero con lo scudo e la spada è scritto

apertamente: Mars (Marte). Come si vede, una simbologia molto simile, quella dei viandanti con il bastone, era stata usata

anche per la raffigurazione dei pianeti “nell’antico” Oroscopo circolare egizio (si veda anche [1046] ill. 80).

Negli Zodiaci di Dendera i pianeti sono raffigurati in forma di figure umane, uomini col bastone.

Praticamente in questo stesso modo venivano rappresentati i pianeti in certi libri astronomici

medievali europei. Nella fig. 2.19 è riportato lo Zodiaco tratto da un manoscritto francese di

astrologia [1046]. I pianeti sono raffigurati come pellegrini, in movimento per il cielo. Marte, per

esempio, è un guerriero con lo scudo e il braccio alzato con la mano che regge la spada (si veda la

fig. 2.20). Vicino al disegno è indicato Mars.

In alcuni casi l’identificazione delle figure con i pianeti non crea difficoltà. Per esempio, nelle

raffigurazioni medievali dei pianeti, Giove veniva spesso rappresentato come il dio superiore della

mitologia romana. Il suo simbolo era la corona. Una di queste rappresentazioni è visibile nella fig.

2.21.

In mano Giove ha una folgore, in testa ha una corona e vicino alla folgore c’è il simbolo di Giove.

Un’altra dettagliata immagine di Giove è riportata nella fig. 2.22.

Fig. 2.20. Un frammento ingrandito con la raffigurazione del pianeta Marte in forma di guerriero (tratto da [643:2], p. 199, ill.

5; si veda anche [1046] ill. 80).

Le rappresentazioni medievali del pianeta Saturno lo presentavano spesso in veste di dio della

morte (nella mitologia romana). L’immagine classica di Saturno è quella di un uomo con la falce in

mano ([543], pp. 181, 241, 157). Il segno astronomico di Saturno è una falce. Nel famoso libro di

Leopoldo, fatto risalire al 1489 [1247], è rappresentata una falce, accompagnata dalla scritta

“Saturno” (si veda la fig. 2.23).

Fig. 2.21. Raffigurazione medievale del pianeta Giove. Il dio tonante tiene in mano una folgore, in capo porta la corona reale.

Il carro di Giove corre per le costellazioni zodiacali (tratta dal libro di Ioanne Tesnierio Opus Matematicum Octolibrum,

Coloniae Agrippinae, 1562, Archivio dell’osservatorio di Pulkovo [San Pietroburgo]; si veda anche [543], p. 71).

Nel libro di Tesnierio del 1562, il pianeta Saturno, con la falce, mangia un bambino [1440]. La

falce fienaia a volte veniva raffigurata sopra la testa di Saturno e ricorda molto una mezzaluna

ottomana (si veda la fig. 2.24).

Può essere che in alcuni Paesi dell’Europa occidentale medievale il timore-rispetto di fronte agli

ottomani-atamani venisse percepito come un simbolo punitivo di castigo. L’identificazione del dio

Anubis con Saturno, dio romano, è stata avanzata dall’egittologo Brugsh [99] e dallo storico delle

religioni J. Frazer [918], [919]. Il dio egizio Anubis veniva spesso rappresentato con le lunghe

orecchie di sciacallo, appuntite e leggermente piegate (si vedano le figg. 2.25 e 2.26).

Non è da escludere che la mezzaluna ottomana venisse confrontata a volte con le orecchie aguzze

dello sciacallo. Nel libro di Tesnierio, il carro di Saturno è trainato da un grifone e da un’aspide, i

mostri della morte.

Fig. 2.22. Raffigurazione medievale del pianeta Giove (tratta dal libro di Albumasar, De Astrù Sciencia, 1515, Archivio

dell’osservatorio di Pulkovo [San Pietroburgo]; si veda anche [543], p. 241, ill. 121-123).

Fig. 2.23. Raffigurazione medievale del pianeta Saturno con la falce della morte in mano. La lama della falce sovrasta la

testa di Saturno e ricorda una mezzaluna ottomana (tratta dal libro medievale di Leopoldus de Austria, Compilatio de

Astrorum Scientia, 1489 [1247], Archivio dell’osservatorio di Pulkovo [San Pietroburgo]; si veda anche [543], p. 181, ill. 92).

Fig. 2.24. Raffigurazione medievale del pianeta Saturno con la falce sovrastante la sua testa. La lama ha la forma della

mezzaluna ottomana (tratta dal libro medievale di Albumasar, De Astrù Sciencia, 1515, Archivio dell’osservatorio di Pulkovo

[San Pietroburgo]; si veda anche [543], p. 241, ill. 123).

Fig. 2.25. Raffigurazione egizia “antica” del dio della morte Anubis, con la testa di sciacallo e le orecchie aguzze, simili a

mezzelune ottomane, “corna”. Gli storici delle religioni commentano il disegno in questo modo: «La mummia di Osiride

preparata per la sepoltura da Anubis» (tratto da [1415], p. 100; si veda anche [966], t. 1, p. 128).

Fig. 2.26. Raffigurazione di Anubis, dall’“antico” Libro dei Morti. Le orecchie aguzze sulla testa di sciacallo di Anubis sono

disegnate in modo da ricordare la mezzaluna ottomana, “le corna” (tratto da [1448], PL. 3).

Fig. 2.27. Antica raffigurazione della costellazione della Vergine tratta dal libro astronomico di Bacharach. La vergine tiene in

mano un fascio di spighe. Vicino alla mano è disegnata una stella, che così si chiama La spiga della Vergine (tratto da

[1021]; si veda anche [543], p. 81, ill. 44).

Fig. 2.28. Tratto “dall’antico” Libro dei Morti. Il dio Anubis pesa sulla bilancia gli atti buoni e malvagi degli uomini. È

evidentemente un soggetto cristiano, molto popolare nel Medioevo (tratto da [1448], PL. 3; si veda anche la fotografia sul

retro di copertina in [1448]).

Ecco, per esempio, come è raffigurato il pianeta Saturno nello Zodiaco circolare: dietro il pianeta

si vede la costellazione della Vergine e sotto si osservano due figure maschili con una mezzaluna in

testa. Una ha un bastone, l’altra regge una grande falce. Nessun’altra figura dello Zodiaco circolare,

costellazioni comprese, regge in mano una falce mortifera.

La costellazione della Vergine è qui raffigurata come nelle carte europee medievali: una donna

con una spiga in mano (fig. 2.27). Ricordiamo che in questa costellazione c’è Spica, una stella

famosa, la spiga di Venere.

La figura di Saturno è una testa di sciacallo. Sono note numerose raffigurazioni di Anubis, dio dei

morti, accompagnatore degli uomini nel regno dell’Oltretomba (figg. 2.28, 2.29, 2.30, 2.31). Tra

l’altro le raffigurazioni “antico-egizie” nelle figg. 2.30 e 2.31, rappresentano evidentemente il

Giudizio universale, ben conosciuto dal mondo cristiano, uno dei soggetti più diffusi della pittura

cristiana: Cristo è seduto sul trono, uno scriba davanti a lui legge un rotolo o il Libro dei Destini,

dove sono elencate le azioni dei morti. Il dio Anubis nel frattempo pesa sulla bilancia gli atti buoni e

cattivi e decide dove indirizzare l’uomo, se in paradiso o in inferno. È una chiara illustrazione

dell’Apocalisse cristiana. Tutte le analoghe raffigurazioni “antico-egizie” sono state fatte in epoca

cristiana, cioè, in base alla nuova cronologia, non prima del XII d.C.

Fig. 2.29. Un’altra raffigurazione tratta dall’“antico” Libro dei Morti. È lo stesso soggetto cristiano: Anubis pesa sulla bilancia

gli atti buoni e malvagi degli uomini durante il Giudizio Universale (tratto da [1448], PL. 31).

Le raffigurazioni medievali del pianeta Venere sottolineano che Venere è l’unica donna tra i

pianeti, senza contare, naturalmente, la Luna e il Sole. Nelle carte astronomiche Venere è quasi

sempre rappresentata da una donna. I simboli medievali del pianeta Venere si vedono nelle figg. 2.32

e 2.33. La prima immagine è un frammento tratto da un manoscritto astronomico francese (si veda la

fig. 2.19). Nella fig. 2.33 è riportata la miniatura Il pianeta Venere. Anche qui Venere è rappresentata

da una donna, e sopra la sua testa si nota la scritta Venus (fig. 2.34). Venere non si allontana mai dal

Sole, così come Mercurio.

Fig. 2.30. Raffigurazione “antico-egizia” del Giudizio universale cristiano, descritto nell’Apocalisse biblica: Cristo giudica gli

uomini. Davanti a lui c’è uno scriba con un rotolo. Ancora, Anubis che pesa sulla bilancia gli atti degli uomini. Questo

bassorilievo, evidentemente cristiano, si trova nell’egiziana Thebes, Memnonium (tratto da [1100], A, vol. II, PL. 36).

Fig. 2.31. Il Giudizio universale cristiano raffigurato in un papiro egizio “antico”: Cristo giudica gli uomini e il dio Anubis pesa i

loro atti sulla bilancia. Disegni simili apparvero in epoca cristiana, dopo la stesura dell’Apocalisse, e non in “un’antichità

lontanissima” (tratto da [1100], A, vol. II, PL.67).

Fig. 2.32. Frammento con la raffigurazione del pianeta Venere, in un’antica miniatura francese, Lo Zodiaco e i pianeti (si

veda fig. 2.19). Il pianeta Venere è qui raffigurato in veste di donna in cammino. Sopra la sua testa è scritto Venus (Venere)

(tratto da [643:2], p. 199, ill. 5; si veda anche [1046], ill. 80).

Fig. 2.33. Antica miniatura dal nome Il pianeta Venere, tratta dal libro Livre des échecs amoureux. Il pianeta Venere è

raffigurato come una donna, sopra la cui testa è scritto Venus (tratto da [1046], ill. 71).

Fig. 2.34. Frammento ingrandito della raffigurazione di Venere in 2.33 (tratto da [1046], ill. 71).

Il segno astronomico del Sole nei libri medievali è un grande disco con un punto nel suo centro, si

veda, per esempio, i libri medievali di Tesnierio ([1440] fig. 2.35) e di Albumazar [1004]. Il

simbolo astronomico abituale della Luna è una sottilissima falce, una mezzaluna (fig. 2.36).

Fig. 2.35. Raffigurazione del Sole tratta dal libro medievale di Tesnierio del 1562. Il simbolo del Sole, un disco con un punto

al centro, è raffigurato vicino allo scettro tenuto in mano dal Sole (tratto da [1440]; si veda anche [543], p. 71, ill. 31).

Fig. 2.36. Raffigurazione della Luna tratta dal libro medievale di Tesnierio del 1562 [1440]. Il suo simbolo astronomico è una

mezzaluna.Questo disegno è interessante anche perché il simbolo della Luna è raffigurato anche sulla testa della donna-

Luna, ma in forma di due corna. Allo stesso modo, con due corna in testa, veniva rappresentato Mosè nei disegni contenuti

nelle vecchie Bibbie. Come abbiamo notato [CHRON 6] ciò significa che gli artisti medievali hanno portato fino a noi la

tradizione di rappresentare la mezzaluna sulla testa del Mosè biblico (tratto da [1440]; si veda anche [543], p. 71, ill. 32).

Come raffiguravano il Sole e la Luna “gli antichi” egizi? Nello Zodiaco circolare, direttamente

sopra la costellazione dei Pesci, è rappresentato un disco, all’interno del quale è disegnato un

occhio. Nella costellazione dell’Ariete, una stella luminosa si chiama Occhio, ed è per questo che il

disco con l’occhio potrebbe indicare la posizione del Sole o della Luna nella costellazione

dell’Ariete. Simili simboli egizi si possono vedere nelle figg. 2.37, 2.38, 2.39.

La nostra identificazione del “disco con l’occhio” con la Luna o il Sole coincide con le proposte

avanzate dagli egittologi di scuola scaligeriana. Secondo la loro opinione il dio Osiride portava un

doppio nome, Osiride-Luna, e uno dei suoi simboli era il “disco del gallo” ([1062], pp. 22, 68, 69; si

vedano le figg. 2.40 e 2.41).

Non va dimenticato, tuttavia, che Osiride era considerato anche il simbolo del Sole. Il fatto che i

simboli del Sole e della Luna potevano sostituirsi l’un l’altro è ben visibile in una vecchia miniatura

(si veda la fig. 2.42). I commentatori scrivono: «La lotta del Sole e della Luna [...] ma gli emblemi

sugli scudi mostrano che ognuno dei contraenti contiene in sé un pezzetto del nemico» ([643:2], p.

202).

È possibile identificare definitivamente la raffigurazione dell’uno o dell’altro disco nello Zodiaco

egizio con la Luna o il Sole solo dopo un esteso esame di tutte le possibili varianti e di tutti i

possibili calcoli astronomici. Di questo ci siamo occupati nel nostro Astronomičeskij analiz

chronologii (Analisi astronomica della cronologia), libro 2.

Fig. 2.37. Frammento del bassorilievo sul soffitto del grande Tempio di Dendera. Due dischi raffigurano una stessa divinità

celeste, cui si prostrano le figure circostanti. Il primo disco con l’occhio è inscritto in una mezzaluna. Sono i simboli della

Luna e del Sole, vicino alla stella Occhio nella costellazione dell’Ariete. Disegno degli artisti di Napoleone (tratto da [1100], A,

vol. IV, PL. 19).

Fig. 2.38. Frammento del bassorilievo nel Tempio di Dendera, con la raffigurazione del disco della Luna e del Sole, inscritto

in una mezzaluna (tratto da [1100], A, vol. IV, PL. 19).

Fig. 2.39. Frammento del bassorilievo presso l’entrata del Tempio di Dendera. Disco lunare o solare (tratto da [1100], A, vol.

IV, PL. 19).

Fig. 2.40. “L’antico-egizio” Osiride-Luna (o il Sole) e il suo simbolo, un disco con l’occhio (tratto da [1062], p. 22).

Fig. 2.41. “L’antico-egizio” Osiride-Luna (o il Sole) e il suo simbolo, un disco con l’occhio (tratto da [1062], p. 69).

Fig. 2.42. La lotta del Sole e della Luna. Sullo scudo del Sole vediamo delle mezzelune, simbolo della Luna, mentre sullo

scudo della Luna vediamo la raffigurazione del Sole. Miniatura fatta risalire al secolo XIV. In questo modo, nell’astronomia

medievale, il Sole e la Luna potevano a volte essere confusi (tratto da [643:2], ill. 2).

Le rappresentazioni medievali del pianeta Mercurio si reggevano sul fatto che Mercurio-Ermes e

il suo sosia Giano erano considerati gli dei del commercio, i protettori delle trattative ([533], t. 2, p.

684). Giano bifronte è mostrato nelle figg. 2.43 e 2.44.

Fig. 2.43. Raffigurazione antica del dio “antico” romano bifronte Giano (tratto da [966], t. 2, p. 339).

Fig. 2.44. Giano, il dio romano che controlla le porte dall’interno e dall’esterno (tratto da [1425], p. 3).

Il pianeta Mercurio si trova sempre vicino al Sole e spunta ora da una parte ora dall’altra. Nel

libro di Tesnierio [1440] nelle mani di Mercurio si vede il suo famoso bastone, simile a un tridente

(si veda la fig. 2.45). Un’altra immagine di Mercurio, fatta risalire al secolo XVI, si vede nella fig.

2.46.

Fig. 2.45. Antica raffigurazione del pianeta Mercurio con lo scettro, dal libro di Tesnierio del 1562 [1440] (tratto da [543], p.

71, ill. 33).

Fig. 2.46. Scultura in bronzo raffigurante Mercurio, con uno scettro a forma di lettera greca “psi” (ψ). Scultura del

Giambologna, fatta risalire al 1564, museo di Bologna. In realtà la scultura è stata fatta non prima dei secoli XVII-XVIII: la

finitura è meravigliosa, lo stile di rappresentazione della figura alata è praticamente moderno (tratto da [533], t. 2, p. 140).

Non bisogna pensare che gli Zodiaci egizi rappresentino con sicurezza i risultati registrati di

osservazioni astronomiche reali.

Nel Medioevo le ricorrenze o le date memorabili venivano a volte registrate in forma di quadrioroscopi,

cioè in forma di date del “calendario celeste”.

Quando, nei secoli XVI-XVIII, veniva eretto un tempio in onore di un determinato evento antico,

si potevano tranquillamente usare degli antichi appunti astronomici, o calcolare a posteriori, nel

passato, la posizione dei pianeti secondo lo Zodiaco relativamente a una certa “antica data” e in

seguito raffigurarla sul soffitto del tempio.

Parleremo ora delle datazioni dell’oroscopo dello Zodiaco lungo di Dendera. N.A. Morozov,

fondandosi sulla sua parziale decifrazione, propose la soluzione: 6 aprile 540 d.C. ([544], t. 6). N.S.

Kellin e D.V. Denisenko ne approfondirono l’analisi e arrivarono a proporre un’altra soluzione: 14

aprile 1394. Una decifrazione più dettagliata dell’oroscopo dello Zodiaco lungo ma comunque

parziale è stata proposta da T.N. Fomenko, con il seguente risultato: 7-8 aprile 1727 ([MET3]:3).

La risposta definitiva, ottenuta da G.B. Nosovskij e A.T. Fomenko nel 2001 verrà proposta più

avanti.

5.3. Gli oroscopi di Brugsh e Flinders Petrie

Nel 1857, il famoso egittologo Henry Brugsh scoprì in Egitto un sarcofago “antico” di legno,

perfettamente conservatosi (si veda la fig. 2.47) e contenente “un’antica” mummia egizia [1054]. Nel

lato interno del coperchio era raffigurato il cielo stellato con i pianeti nelle costellazioni, cioè un

oroscopo (ne abbiamo scritto dettagliatamente nel nostro Astronomičeskij analiz chronologii, libro

2).

Le caratteristiche della sepoltura e soprattutto le iscrizioni in demotico erano indice, senz’ombra

di dubbio, secondo i cronologisti di scuola scaligeriana, dell’antichità del meraviglioso reperto. Lo

stesso Brugsh lo fece risalire a un periodo non anteriore al I secolo d.C. [1054]. Le iscrizioni in

demotico, vicino alle figure di alcune costellazioni, definiscono i pianeti, che si trovano in esse. Tutti

i ricercatori, incantati dalla supposta antichità dei caratteri in demotico (decifrato per la prima volta

nel 1802 da Ackerblad, 20 anni prima che Champollion decifrasse i geroglifici), fecero risalire il

sarcofago più o meno all’inizio dell’era cristiana. Successivamente iniziarono i tentativi degli

astronomi di trovare l’oroscopo disegnato proprio nell’epoca storica suggerita, soddisfacente la

cronologia scaligeriana dell’Egitto. I risultati, tuttavia, non ci furono! Come nel caso degli Zodiaci di

Dendera, l’antico cielo stellato, dall’Antichità ai tempi nostri, non fu mai quello raffigurato

all’interno del coperchio del sarcofago.

Fig. 2.47. Sarcofago egizio “antico”, rinvenuto da Brugsh a Tebe nel 1857 e fatto risalire al 93 d.C. (tratto dal libro di Henry

Brugsh Recueil de monuments égyptiens, dessinés sur lieux, 1862; si veda anche [543], p. 297, ill. 148).

Un po’ più avanti nell’asse del tempo, rispetto agli altri astronomi, si spinse M.A. Vil’ev, ma

nemmeno i suoi tentativi furono coronati da successo, poiché non si era inoltrato oltre i primi secoli

dell’era cristiana. È interessante notare che, nonostante le proposte insistenti di Morozov, Vil’ev si

rifiutò categoricamente di continuare i suoi calcoli ed estenderli al Medioevo, ritenendo ciò in aperta

contraddizione con la cronologia scaligeriana, che lo studioso non metteva in dubbio ([544], t. 6).

Della decifrazione e dei calcoli si occupò quindi lo stesso N.A. Morozov, che si mosse in avanti

lungo l’asse del tempo ([544], t. 6, pp. 694-728). Fondandosi sulla sua parziale decifrazione dello

Zodiaco di Brugsh, N.A. Morozov giunse a una soluzione astronomica: 17 novembre 1682.

La risposta definitiva ottenuta da G.V. Nosovskij e A.T. Fomenko nel 2001 verrà formulata più

avanti.

Nel 1901 il famoso egittologo V.M. Flinders Petrie scoprì, nei pressi di Sohag, nell’alto Egitto,

una caverna artificiale, luogo di una sepoltura “antico-egizia”.

La pareti della caverna erano coperte da pitture e scritte antiche e sul soffitto furono scoperti due

oroscopi colorati (ne abbiamo parlato in in Astronomičeskij analiz chronologii, libro 2 e W.M.

Flinders Petrie, Athribi, t. 14, British school of Archaelogy in Egypt, 1902).

Nel 1919 l’accademico B.A. Turaev propose a N.A. Morozov di datare astronomicamente gli

oroscopi rinvenuti da Flinders-Petrie, già precedentemente studiati e decifrati in Inghilterra da E.B.

Knobel [1224] che aveva ottenuto le date: 20 maggio 52 d.C. e 20 gennaio 59 d.C.

Knobel aveva notato che nel secondo oroscopo lo disorientava fortemente la posizione di

Mercurio, e la soluzione da lui proposta per quest’oroscopo lo soddisfaceva appena. A proposito del

primo oroscopo, egli sostenne addirittura l’ipotesi che le posizioni dei pianeti non corrispondessero

all’osservazione reale dell’artista-astronomo, ma fossero state calcolate teoricamente. Il fatto è che il

20 gennaio 59 d.C. i pianeti si trovavano in posizioni piuttosto lontane rispetto a quelle indicate nel

disegno [1224]. Oltre riguardo alla posizione di Mercurio, lo studioso si mostrava perplesso anche

circa la posizione di Venere nel primo oroscopo. In ragione delle sue perplessità, E.B. Knobel

individuò ancora alcune varianti “nell’Antichità”, epoca cui gli egittologi avevano a priori fatto

risalire questo ritrovamento.

Ogni tentativo di Knobel di migliorare le soluzioni astronomiche ottenute non diede tuttavia alcun

risultato. Anzi, emerse che tutte le altre alternative erano addirittura peggiori. Non solo, ma quando

M.A. Vil’ev verificò i calcoli di E.B. Knobel, scoprì che quest’ultimo aveva forzato i suoi calcoli

anche relativamente a Marte e a Saturno e questa circostanza mise in discussione entrambe le date

avanzate da Knobel: 52 d.C. e 59 d.C.

Allora M.A. Vil’ev intraprese un nuovo lavoro di calcolo, arrivando a proporre la soluzione: 186

a.C. e 179 a.C., cioè II secolo a.C. Tuttavia, come si chiarì presto, il desiderio inconscio (o conscio)

di M.A. Vil’ev di “sistemare” ad ogni costo la soluzione in un intervallo storico già suggerito a

priori dagli storici per “l’antico” Egitto, indusse anche lui a ricorrere a delle forzature (in [544], t. 6,

pp. 733-736, sono indicati tutti i difetti della sua “soluzione”). Ecco a cosa portò il desiderio di

salvare ad ogni costo la cronologia scaligeriana. Allora M.A. Vil’ev suppose che fossero più adatte

le date: 349 e 355 d.C. Ma dopo dettagliate e ripetute verifiche emerse che tale coppia di date si

rivelava peggiore delle precedenti.

Della questione si occupò N.A. Morozov, ma anche costui non poté trovare una soluzione

astronomica adeguata. La faccenda cominciava a diventare estremamente strana. Il carattere del

disegno mostrava che l’antico artista non aveva lavorato di fantasia e capiva benissimo quello che

stava disegnando.

Morozov ebbe allora il sospetto che fosse stato commesso un errore nella decifrazione

dell’oroscopo. Analizzò la raffigurazione e propose un’altra interpretazione. Emerse che a una nuova

lettura (ma ancora parziale) dell’oroscopo, la soluzione astronomica era la seguente: 6 maggio 1049

d.C. per l’oroscopo superiore e 9 febbraio 1065 d.C. per quello inferiore. Ma anche questa soluzione

risultò essere errata.

La risposta definitiva, ottenuta da G.V. Nosovskij e A.T. Fomenko nel 2001 verrà formulata più

avanti.

5.4. Le datazioni definitive degli Zodiaci egizi sulla base della loro decifrazione

intera, ottenuta nel 2001 da G.V. Nosovskij e A.T. Fomenko

Le prime datazioni degli “antichi” Zodiaci egizi, proposte da Morozov, N.S. Kellin, D.V.

Denisenko e T.N. Fomenko, erano parziali, cioè riuscivano a identificare astronomicamente molte ma

non tutte le raffigurazioni presenti negli Zodiaci. La difficoltà è assolutamente comprensibile: si

trattava di verificare e selezionare un numero gigantesco di decifrazioni, operazione che non è

possibile eseguire a mano. La datazione che abbiamo ottenuto nel 2001 è, per la prima volta, intera,

ed è cioè il risultato di una ricerca esaustiva fatta al computer e basata su tutte le possibili varianti

d’interpretazione astronomica di tutti i simboli ambiguamente trattati negli Zodiaci. In

quest’operazione è emersa, inoltre, un’unica trascrizione completa che considera, innanzitutto, tutte le

raffigurazioni contenute negli Zodiaci e, in secondo luogo, consente una soluzione astronomica.

Questo fatto è molto importante. L’esistenza di tale decifrazione completa, e per di più datata, non

risulta assolutamente evidente in anticipo. Non solo, ma la soluzione astronomica ottenuta è risultata

essere l’unica possibile. In questo senso la nostra decifrazione va intesa come definitiva.

Le decifrazioni complete ottenute al computer hanno incluso le parziali decifrazioni ottenute da

N.A. Morozov e T.N. Fomenko, differenziandosi tuttavia nei dettagli.

Le precisazioni sorgevano in quelle situazioni complesse, quando ci si trovava costretti a

scegliere tra le varianti multinumeriche, per esempio nelle frequentemente confondibili designazioni

del Sole e della Luna. Ciò motiva il fatto che le datazioni precisate da noi ottenute si differenziano

dalle precedenti ottenute da Morozov, N.S. Kellin, D.V. Denisenko e T.N. Fomenko, nonostante (fatto

importante) tutte le date precise siano rimaste, come prima, medievali. Nessuna soluzione

astronomica definitiva per gli Zodiaci egizi è scesa a un periodo anteriore all’XI secolo d.C. Le

nostre datazioni, ottenute al computer, sono le seguenti:

1) Zodiaco circolare di Dendera: mattino del 20 marzo 1185 d.C.

2) Zodiaco lungo di Dendera: 22-26 aprile 1168 d.C.

3) Zodiaco del Tempio grande di Esne: 31 marzo - 3 aprile 1394 d.C.

4) Zodiaco del Tempio piccolo di Esne: 6-8 maggio 1404 d.C.

Oroscopi “Athribi” di Flinders Petrie:

5) Zodiaco superiore: 15-16 maggio 1230 d.C.

6) Zodiaco inferiore: 9-10 febbraio 1268 d.C.

7) Oroscopo colorato di Tebe (Luksor): 5-8 settembre 1182 d.C.

Oroscopo di Tebe di J. Brugsh (tre oroscopi):

8) Oroscopo delle iscrizioni in demotico: 6 novembre (del vecchio stile) 1861 d.C.

9) Oroscopo senza i bastoni: 6-7 ottobre (del vecchio stile) 1841 d.C.

10) Oroscopo nelle barche: 15 febbraio (del vecchio stile) 1853 d.C.

La nostra indagine, voluminosa e complessa, è stata illustrata in Astronomičeskij analiz

chronologii, libro 2.

6. L’astronomia nel Nuovo Testamento

Esempio 1: l’oroscopo nell’Apocalisse

Si può comporre un vocabolario dei termini e dei modelli utilizzati nella letteratura astronomica

medievale per la designazione dei pianeti e delle costellazioni. Quindi, incontrando in un vecchio

testo una descrizione verbale espressa in termini simili, si può cercare di datarla, interpretandola

come un oroscopo e decifrandola con l’aiuto di questo vocabolario.

Probabilmente, il primo studioso ad accorgersi che il libro biblico dell’Apocalisse conteneva la

descrizione verbale di un oroscopo fu E. Renan [725]. Non essendo un astronomo, E. Renan non datò

l’oroscopo, nonostante la soluzione di questo compito fosse di enorme interesse, essendo connessa

col problema della datazione dell’Apocalisse ([765], c.135). La soluzione astronomica precisa per

l’oroscopo contenuto nell’Apocalisse, comunque, esiste ed è unica: anno 1486 d.C., 1 ottobre (i

dettagli sono riportati nei capitoli successivi, non tradotti: si veda Indice integrale nell’Introduzione).

Esempio 2: l’eclissi evangelica

Si tratta qui della famosa eclissi che, secondo i primi autori cristiani accompagnò la crocifissione

di Cristo. Di quest’eclissi scrissero Giorgio Sinciello, Flegone, Africano, Eusebio. Si ritiene che

dalle descrizioni evangeliche non sia molto chiaro di quale eclissi si trattasse, se di Sole o di Luna.

La cronologia scaligeriana è solita ritenere che nei vangeli sia riportata la descrizione di un’eclissi

di Luna, ma questa posizione è assai discutibile: nella tradizione ecclesiastica si sono conservate

testimonianze in favore di un’eclissi di sole. Per esempio, nel Vangelo di Luca, è scritto in modo

assolutamente inequivocabile: «Era verso mezzogiorno, quando il Sole si eclissò e si fece buio su

tutta la terra fino alle tre del pomeriggio» (Lc 23,45, nota sulla Bibbia consultata).

Nel Vangelo di Nicodemo, dichiarato apocrifo dagli storici, è detto quanto segue: «[...] riunendo

tutti i Giudei in una volta disse loro: “Avete voi visti i segni comparsi nel Sole e tutti i prodigi

avvenuti mentre Gesù moriva?”. I Giudei ciò udendo, risposero: l’eclissi di Sole è arrivato come di

antico costume» (Nicodemo, XI; [29], p. 83). Tra l’altro l’ultima frase potrebbe indicare che

all’epoca della stesura del Vangelo di Nicodemo la gente sapeva già bene che le eclissi del Sole

avvengono secondo una precisa legge astronomica, non solo, ma questa legge viene definita “come di

antico costume”, cioè come se fosse stata facilmente comprensibile. È probabile che ciò fosse un

riflesso delle rappresentazioni astronomiche già medievali.

La soluzione astronomica scaligeriana dell’eclissi legata alla crocefissione di Cristo, oggi

comunemente adottata, e precisamente l’eclissi di Luna del 3 aprile 33 d.C. [1154], non regge la

minima critica astronomica. Ed è un fatto noto, nonostante non lo si voglia accentuare e si preferisca

far finta che il problema non esista (si veda la discussione in [544], t. 1).

Nonostante la discutibilità delle caratteristiche “dell’eclissi evangelica”, tratte dai primi testi

cristiani, più volte discussi nella letteratura cronologica, si può tentare di datare quest’eclissi. In

quest’indagine è doveroso inoltre considerare entrambe le varianti di eclissi, cioè sia di Sole che di

Luna. Dalla nostra ricerca è emerso che, nell’intervallo dal 200 a.C. e fino all’800 d.C. una soluzione

astronomica adatta esiste. Si tratta dell’eclissi di Luna del 368 d.C., individuata da N.A. Morozov

([544], t. 1). Tuttavia Morozov non aveva esteso i suoi calcoli a periodi posteriori, in forza dei

motivi già indicati e cioè la sua eccessiva fiducia nella cronologia scaligeriana a partire dal VI d.C.

L’autore di questo libro continuò invece i calcoli, estendendoli a tutto il periodo storico fino al

1600 d.C., e arrivando a scoprire inaspettatamente una seconda soluzione astronomica precisa:

l’eclissi di Luna del 3 aprile 1075 d.C. La nostra soluzione si differenzia di 1000 anni dalla

“soluzione” scaligeriana e di 700 anni da quella proposta da N.A. Morozov [i dettagli sono stati

riportati nei capitolo successivi, purtroppo non inclusi in questa raccolta; N.d.T.].

Ritenendo invece che l’eclissi di cui si parla nei vangeli fosse stata di sole, va allora detto che

nel 1086, il 16 febbraio, avvenne veramente un’eclissi totale di sole, la cui fascia passò attraverso

l’Italia e Bisanzio. Più dettagliatamente, sulla concordanza tra quest’eclissi di Sole e l’antica

tradizione ecclesiastica, che fa riferire la crocefissione di Cristo all’XI secolo (ne abbiamo parlato

nel nostro Biblejskaja Rus’ [La Rus’ biblica; N.d.T.], libro 3, cap. 2). Questa tradizione medievale,

come abbiamo dimostrato nel nostro Car’ Slavjan (Lo zar degli Slavi), si sbagliava comunque di 100

anni. È emerso che corrisponde molto di più all’autentica data di crocefissione di Cristo (1185 d.C.)

l’eclissi di Sole del primo maggio 1185. Questa data concorda perfettamente con gli altri calcoli

indipendenti della data di crocefissione.

I

Capitolo 3

I METODI MATEMATICO-STATISTICI

(Capitoli tratti da: Fomenko, A.T. Istinu mozno vyčislit’, La verità si può calcolare, 2007. Si

ricorda, che i numeri riportati tra parentesi quadre fanno riferimento ai testi menzionati

nella Bibliografia, riportata alla fine dell’opera).

I METODI MATEMATICO-STATISTICI

Metodi matematico-statistici di datazione di eventi antichi

l compito principale nell’analisi della cronologia è la creazione di nuovi metodi statistici

indipendenti per la datazione di eventi antichi.

Solo in un momento successivo e sulla base dei risultati ottenuti si potrà procedere alla

ricostruzione di tutta la cronologia nel suo intero. Una tecnica sola, seppur così efficace come quella

astronomica già descritta [vedi capitoli precedenti e altri libri dell’Autore; N.d.T.] è assolutamente

insufficiente per indagare esaustivamente sul problema della datazione, poiché esso è estremamente

complesso e richiede una serie di verifiche incrociate delle date con l’utilizzo di metodi diversi. La

moderna statistica matematica ci permette di adottare un nuovo approccio al problema della

datazione degli eventi descritti negli antichi manoscritti.

Questo capitolo riassume i nuovi metodi empirico-statistici elaborati dall’Autore e dai suoi

colleghi, nonché alcune loro applicazioni nell’analisi della cronologia:

1) L’elaborazione di nuovi metodi empirico-statistici di datazione di eventi antichi si basa su alcuni

princìpi (modelli) statistici, proposti da A.T. Fomenko in una serie di pubblicazioni scientifiche

[884] [885] [886] [888] [889] [890], [891] [895] [896] [897] [898] [899] [900] [901] [902]

[903], [904] [905], [1129] [1130] [1131] [1132] [1135], [MET1], [MET2].

I princìpi fondamentali e i modelli su di essi basati furono formulati da A.T. Fomenko in una

relazione letta nel 1981, nel corso della III Conferenza internazionale di Vilnjus sulla teoria e il

calcolo delle probabilità e sulla Statistica matematica [885]. In essa l’Autore illustrava:

• il principio di correlazione dei (picchi) massimi;

• il principio delle piccole alterazioni (per le dinastie dei governanti);

• il principio dello smorzamento delle frequenze;

• il principio della duplicazione delle frequenze;

• il principio del “miglioramento” delle carte geografiche.

Lo sviluppo di questi metodi fu in seguito illustrato sempre da A.T. Fomenko nella relazione letta

nel 1985, nell’ambito della suaccennata IV Conferenza Internazionale di Vilnjus [901], e in quella

esposta al primo Congresso mondiale della Società di Statistica matematica e Teoria e calcolo

delle probabilità dedicato a Bernoulli [1130] nel 1986. I nuovi modelli empirico-statistici furono

successivamente esposti e sperimentalmente verificati in una serie di lavori scritti da A.T.

Fomenko e dai suoi colleghi V.V. Kalašnikov, G.V. Nosovskij, S.T. Račev, V.V. Fedorov, [357]

[590] [591] [592] [593] [594] [595] [596] [597] [598][600] [611] [723], [1140], [868].

2) Questi princìpi e modelli, nonché la loro efficacia, sono stati quindi verificati su una quantità

consistente di materiali originali di epoca medievale e moderna e risalenti ai secoli XVI-XX. Tale

verifica ha confermato la correttezza dei risultati ottenuti con l’ausilio dei metodi in oggetto.

3) Questi stessi metodi, in seguito, sono stati applicati su materiale cronologico relativo alla storia

antica, normalmente datato X-XVI secolo d.C. Si veda [884] [886] [887], [888] [891] [895] [897]

[898] [900] [903], [905]. Qui si sono riscontrate inaspettatamente delle strane “ripetizioni”, delle

“periodicità” nella versione scaligeriana della storia antica e medievale. Tali costanti sono state

convenzionalmente definite dagli autori “duplicati fantasma”.

4) Tali “duplicati fantasma” sono stati raccolti e sistematizzati nella Carta Cronologica Globale

(CCG), brevemente descritta negli articoli di A.T. Fomenko [886] [888] [894] [896] [905]. Gli

Autori non concepiscono affatto i metodi che qui propongono come metodi universali. Tutti hanno

limiti ben definiti di applicabilità (si veda sotto). Come unico criterio per verificare la correttezza

dei risultati ottenuti può essere d’ausilio la concordanza, estrapolata dagli autori, delle date,

calcolate con l’applicazione di metodi diversi, tra cui quello della datazione astronomica,

descritto nei capitoli precedenti.

5) Sulla base della Carta Cronologica Globale (CCG), raffigurante «il manuale scaligeriano di storia

antica», A.T. Fomenko è stato in grado di ricostruire l’ipotetico meccanismo di formazione della

versione scaligeriana circa la storia antica e medievale.

Di seguito descriveremo brevemente il concetto essenziale di alcuni di questi metodi.

1. Il metodo dei massimi locali

1.1. La funzione del volume di un testo storico

Il principio della correlazione dei (picchi) massimi e il metodo di datazione relativa delle

cronache storiche, basato su di esso, sono stati proposti ed elaborati da A.T. Fomenko in [884] [885]

[888], [1129].

Sia dato un testo storico qualsiasi, X, ad esempio, un annale in precedenza sconosciuto,

contenente la descrizione di eventi a noi sconosciuti prodottisi in un intervallo temporale

significativo, da un certo anno A a un certo anno B.

Supponiamo anche che i dati eventi possano essere stati registrati secondo un calcolo cronologico

per noi sconosciuto.

Indichiamo questo intervallo di tempo come (A, B). La situazione tipica prevede che le date degli

eventi, descritti nelle cronache, vengano calcolate a partire da un evento di importanza locale, come

ad esempio, la fondazione di una città o l’inizio del governo di un re. In questi casi diremo che la

datazione degli eventi viene riportata negli annali secondo una cronologia RELATIVA, un termine che

ci consentirà di distinguere tra queste datazioni e le date ASSOLUTE in termini di anni avanti Cristo

o dopo la nascita di Cristo. A questo punto sorge una domanda logica: come ripristinare le date

ASSOLUTE degli eventi descritti negli antichi documenti? Ossia, come calcolare la data giuliana

della fondazione di una città, a partire dalla quale vengono calcolate le date degli eventi che ci

interessano?

Evidentemente, se alcuni degli eventi descritti ci sono già noti sulla base di altri annali, già datati,

ciò permette di “legare” l’evento alla scala moderna di calcolo cronologico. Ma se tale

identificazione non risultasse possibile, il compito di datazione si complica. Può anche essere che gli

eventi descritti nell’annale rinvenuto ci siano di fatto già noti, ma la loro descrizione sia

esternamente irriconoscibile, essendo stata la cronaca scritta in un’altra lingua ed essendo stati i

nomi propri, gli appellativi e le designazioni geografiche indicati dal cronista in modo

completamente diverso. È quindi utile poter disporre di un metodo empiricostatistico che permetta a

volte di datare eventi sulla base di elementi quantitativi formali del testo preso in esame.

Supponiamo che un testo storico X sia suddiviso in pezzi, nei frammenti X (t), ognuno dei quali

descrive un intervallo di tempo relativamente breve, per esempio un anno (o un decennio), indicato

con il numero “t”. Esempi di questi testi sono numerosi: basti pensare, ad esempio, agli annali

ANNUALI, che descrivono gli eventi ANNO DOPO ANNO, “per anni”, oppure ai diari, a molte

opere storiche, a manuali e monografie di storia. Chiameremo convenzionalmente i pezzi, frammenti

di X (t), “capitoli”. Ovviamente i “capitoli” sono disposti in sequenza cronologica, secondo la

cronologia relativa intrinseca della data cronaca. In molti testi storici questa “ripartizione in

capitoli”, ognuno dei quali descrive un singolo anno, è presente in forma esplicita. Ne sono un

esempio molte cronache russe [671] [672], tra cui la famosa Povest’ vremennych let (Cronaca degli

anni passati - Cronaca di Radzivilovskij) [715] e il noto libro Liber Pontificalis riportato

nell’edizione di T. Mommsen Gestorum Pontificum Romanorum (1898).

Le varie caratteristiche del volume delle informazioni, riportate nell’annale X sull’anno designato

con il numero “t”, possono essere misurate, ad esempio, in questo modo:

1. vol. X (t) = numero di pagine nel “capitolo” X (t). Chiameremo questo numero volume del

“capitolo” X (t). Il volume può essere uguale a zero, se l’anno “t” non viene in nessun modo

descritto nell’annale X, cioè se l’anno viene ignorato. Al posto di contare il numero di pagine si

può calcolare il numero di righe o di segni ecc. e ciò non influisce sull’idea e sull’applicazione

del metodo.

2. Il numero di riferimenti all’anno “t” in tutto l’annale X.

3. Il numero dei nomi di tutti i personaggi storici, menzionati nel “capitolo” X (t).

4. Il numero di riferimenti a un personaggio (nome) concreto nel “capitolo” X (t).

5. Il numero di riferimenti, nel “capitolo” X (t), a qualche altro testo.

La riserva di simili elementi (caratteristiche) quantitativi è piuttosto consistente e assai

importante. Ogni caratteristica (elemento), come vediamo, assegna ad ogni anno “t”, descritto

nell’annale, un determinato numero. Ad anni diversi fanno riferimento, per dirla in termini generali,

numeri diversi.

Pertanto, i volumi dei “capitoli” X (t) cambieranno con il cambiamento del numero (anno) “t”.

Chiameremo la sequenza dei volumi X (A),..., X (B) FUNZIONE DEL VOLUME di un dato testo

annuale X.

1.2. Il principio di correlazione dei massimi

Supponiamo, dunque, che un certo periodo storico dall’anno A all’anno B nella storia di uno stato

S sia stato descritto in una cronaca annuale X piuttosto ampia.

X è già ripartita o può essere ripartita in pezzi, i “capitoli” X (t), ognuno dei quali descrive un

proprio anno “t”. Calcoliamo il volume di ognuno dei pezzi, per esempio, il numero di parole o di

caratteri o di pagine ecc. Poi raffiguriamo i numeri risultanti in forma di grafico, indicando sull’asse

orizzontale gli anni “t”, e su quello verticale il volume dei “capitoli”, cioè vol. X (t) (si veda fig.

3.1). Come risultato abbiamo disegnato la funzione del volume della data cronaca X in forma di

grafico.

Per un’altra cronaca annuale Y, anch’essa contenente “un flusso di eventi” relativi alla stessa

epoca (A, B) per anni, il relativo grafico della funzione del volume, avrà, parlando in termini

generali, una forma diversa (fig. 3.1).

Il fatto è che un ruolo importante nella distribuzione dei volumi è svolto dagli interessi personali

dei cronisti di X e Y.

Fig. 3.1. I grafici dei volumi di due annali X e Y, contenenti la descrizione di una stessa epoca storica.

Per esempio, una cronaca X di storia dell’arte e un annale militare Y accentuano gli eventi e

distribuiscono le informazioni per anni secondo dei criteri completamente diversi. Ad esempio, il

cronista di X “parte perdente” descriverà la sconfitta del suo esercito durante la guerra in termini

contenuti e avari, limitandosi a poche righe. Al contrario, il cronista di Y “parte vincente” racconterà

la stessa battaglia con generosa profusione di dettagli, parole solenni e in tante pagine.

Quanto sono significative queste differenze? In altri termini, esistono delle caratteristiche dei

grafici del volume, che vengono definite solo dall’intervallo di tempo (A, B), dalla storia dello stato

S e che caratterizzano inequivocabilmente tutti o quasi tutti gli annali contenenti le descrizioni di dato

periodo di tempo e di dato Stato?

Risulta che una caratteristica importante del grafico del volume vol. X (t) è costituita da tutti

quegli anni “t” in cui il grafico presenta un “picco”, cioè raggiunge I SUOI MASSIMI LOCALI. La

circostanza che in un certo punto “t” il grafico registri un picco significa che quest’anno è descritto

nell’annale “in modo più dettagliato”, per esempio, tramite un numero di pagine superiore rispetto

agli anni vicini. Di conseguenza, i picchi del grafico, cioè i suoi massimi locali, ci indicano gli anni

dettagliatamente descritti dal cronista nel segmento di tempo (A, B). Nelle diverse cronache X e Y

“dettagliatamente descritti” possono essere, in generale, anni differenti.

Come si spiega una tale irregolarità nella descrizione degli anni? Una delle spiegazioni è la

seguente. Il cronista ha dettagliatamente descritto un dato “anno antico” poiché di questo “anno

antico” gli sono pervenute informazioni più intatte, meglio conservate, per esempio, una quantità di

vecchi documenti maggiore rispetto a quella relativa agli anni vicini.

Lo schema del nostro ulteriore ragionamento è il seguente:

1. formuleremo UN MODELLO TEORICO, cioè UN’IPOTESI STATISTICA che permetta di

prevedere nella fattispecie quali anni compresi nell’intervallo di tempo (A, B) verranno descritti

nel dettaglio da un cronista posteriore, non più contemporaneo degli eventi antichi da lui descritti.

2. Successivamente, formalizzeremo matematicamente questo modello statistico, cioè un’ipotesi.

3. Verificheremo la sua correttezza su una quantità piuttosto consistente di materiali storici attendibili

risalenti ai secoli XVI-XX.

4. Riscontrando che il modello teorico viene confermato nell’esperimento di calcolo, proporremo il

metodo per la datazione di eventi antichi.

Sia C (t) il volume di tutti i testi scritti sull’anno “t” dai contemporanei di tale anno (si veda fig.

3.2).

Fig. 3.2. Il grafico del “fondo originario di informazioni” C (t) e il grafico del “fondo di informazione conservatosi” (cioè dei testi

conservatisi fino all’epoca M) registrano dei picchi praticamente allo stesso tempo.

Come già fatto sopra, costruiremo un grafico del volume nell’intervallo di tempo (A, B).

Ovviamente, l’aspetto esatto di questo grafico C (t) oggi ci è SCONOSCIUTO. Il fatto è che col

passare del tempo i testi originali, primari, scritti dai contemporanei degli eventi dell’anno “t”,

gradualmente si sono perduti e ai giorni nostri ne è pervenuta solo una certa parte. La curva passante

per il punto C (t) può essere definita Grafico del fondo primario (originario) di informazioni.

Supponiamo che, del periodo (A, B) i contemporanei abbiano dettagliatamente descritto alcuni anni,

abbiano cioè registrato di questi anni una quantità consistente di informazioni. Non discuteremo qui

le cause di questa “disuniformità primaria (originaria)”, poiché per noi adesso sono irrilevanti. Nel

linguaggio del grafico del volume C (t) questi anni “dettagliatamente descritti dai contemporanei” si

distingueranno per il fatto che proprio in questi anni il grafico presenta dei picchi.

La domanda che si pone è la seguente: qual è il meccanismo di perdita e di oblìo delle

informazioni scritte, che porta nel tempo alla diminuzione dell’altezza del grafico C (t) e alla sua

alterazione? Formuliamo UN MODELLO DI PERDITA DELL’INFORMAZIONE.

Sebbene col passare del tempo l’altezza del grafico C (t) diminuisce, tuttavia, DI QUEGLI

ANNI DURANTE I QUALI I CRONISTI CONTEMPORANEI HANNO SCRITTO UNA

QUANTITÀ PARTICOLARMENTE ABBONDANTE DI TESTI, DI TESTI NE RIMANGONO

DI PIÙ.

Per la riformulazione di questo modello sarà utile procedere nel modo seguente: fissiamo M, un

certo momento di tempo a destra del punto B (si veda fig. 3.2) e costruiamo il grafico CM (t), che

indica il volume dei testi, “sopravvissuti” fino al momento M e contenenti la descrizione degli eventi

dell’anno “t” dell’epoca storica (A, B).

In altre parole, il valore assunto dalla curva nel punto CM (t) indica il volume degli antichi testi

primari (originari) dell’anno “t”, conservatisi fino “al momento dell’osservazione del fondo”

nell’anno M. La curva passante per CM (t) può essere convenzionalmente chiamata il grafico del

“fondo residuo d’informazione”, conservatosi dall’epoca (A, B) fino all’anno M. Ora il nostro

modello può essere riformulato in questo modo:

IL GRAFICO DEL VOLUME DEL FONDO RESIDUO CM (t) DEVE PRESENTARE DEI

PICCHI ORIENTATIVAMENTE NEGLI STESSI ANNI DELL’INTERVALLO DI TEMPO (A, B) IN

CUI LI PRESENTA IL GRAFICO DI PARTENZA DEL FONDO PRIMARIO (ORIGINARIO)

D’INFORMAZIONE C (t).

Ovviamente, verificare il modello nella forma in cui si presenta è difficile, poiché il grafico C (t)

del fondo primario (originario) d’informazione oggi ci è sicuramente sconosciuto. Ma una delle

conseguenze del modello teorico (ipotesi) si può tuttavia verificare.

Siccome i cronisti posteriori di X e Y, descrivendo lo stesso periodo storico (A, B) e lo stesso

“flusso di eventi”, non risultavano più essere dei contemporanei di queste epoche antiche, essi

saranno stati costretti ad attingere allo stesso o quasi repertorio di testi pervenuti fino a loro. Di

conseguenza, essi avranno dovuto “in media” descrivere più dettagliatamente proprio quegli anni di

cui si era conservata una maggior quantità di testi e soffermarsi meno dettagliatamente sugli anni di

cui erano pervenute meno informazioni. In altre parole, i cronisti avranno dovuto arricchire con

maggiori dettagli proprio la descrizione degli anni, di cui era pervenuta fino a loro una maggior

quantità di testi antichi.

Nel linguaggio dei grafici del volume questo modello si presenta nel modo seguente: se il cronista

di X vive all’epoca M, egli attingerà al fondo residuo CM (t). Se il cronista di Y vive in un’epoca N,

diversa, in generale, dall’epoca M, egli attingerà al fondo conservatosi d’informazione CN (t) (si

veda fig. 3.3).

È ragionevole aspettarsi che “in media” i cronisti di X e Y abbiano lavorato più o meno

coscienziosamente, ragion per cui avranno dovuto descrivere con maggiori dettagli quegli anni

dell’epoca (per loro) antica (A, B), dei quali erano pervenute loro maggiori informazioni, cioè una

maggior quantità di testi antichi.

In altre parole, il grafico del vol. X (t) avrà dei picchi all’incirca negli stessi anni in cui registra

dei picchi il grafico CM (t). A sua volta, il grafico vol. Y (t) avrà dei picchi all’incirca negli stessi

anni, in cui presenta dei picchi il grafico CN (t) (si veda fig. 3.3).

Ma i punti dei picchi del grafico del fondo residuo CM (t) sono vicini ai punti dei picchi del

grafico di partenza, quello primario (originario) C (t). Analogamente, anche i punti dei picchi del

grafico del fondo residuo CN (t) sono vicini ai punti dei picchi del grafico primario C (t). Di

conseguenza, i grafici dei volumi degli annali X e Y, cioè i grafici vol X (t) e vol Y (t), devono fare

dei picchi quasi contemporaneamente, “negli stessi” punti sull’asse del tempo. In altre parole, i punti

dei loro massimi locali devono essere notevolmente correlati (fig. 3.1).

In tutto ciò, ovviamente, le ampiezze dei grafici vol X (t) e vol Y (t) possono essere sensibilmente

diverse (si veda fig. 3.4), fatto che, evidentemente, non influisce sulle considerazioni qui illustrate.

Fig. 3.3. I grafici dei fondi d’informazione che si sono conservati registrano picchi praticamente negli stessi punti del grafico

del fondo primario (originario) C(t). Le funzioni dei volumi degli annali X e Y fanno dei picchi praticamente negli stessi punti in

cui li fanno i grafici del volume dell’informazione che si è conservata fino al tempo di X e Y.

Fig. 3.4. I grafici dei volumi degli annali dipendenti X e Y, cioè descriventi all’incirca la stessa epoca storica, fanno dei picchi

praticamente allo stesso tempo. Tuttavia le grandezze dei picchi possono essere sensibilmente diverse.

In modo definitivo, il principio di correlazione dei massimi viene formulato nel modo seguente (i

ragionamenti precedenti possono essere adesso considerati solo come dei procedimenti euristici):

IL PRINCIPIO DI CORRELAZIONE DEI MASSIMI

a. Se due cronache (testi) X e Y SONO OVVIAMENTE DIPENDENTI cioè descrivono lo stesso

“flusso di eventi” relativi a un periodo storico (A, B) e a uno stesso stato S, i grafici dei

volumi delle cronache X e Y DOVRANNO RAGGIUNGERE I MASSIMI LOCALI

(registrare dei picchi) CONTEMPORANEAMENTE nel segmento di tempo (A, B). In altri

termini, gli anni, “dettagliatamente descritti nella cronaca X”, e gli anni “dettagliatamente

descritti nella cronaca Y”, dovranno essere vicini o coincidere (fig. 3.4).

b. Al contrario, se le cronache X e Y SONO OVVIAMENTE INDIPENDENTI cioè descrivono o

periodi storici diversi (A, B) e (C, D), o diversi “flussi di eventi” relativi a stati o regioni

geografiche diverse, i grafici dei volumi per gli annali X e Y raggiungeranno i (picchi) massimi

locali IN PUNTI DIVERSI.

In altre parole i punti dei picchi dei grafici vol X (t) e vol Y (t) non dovranno essere correlati

(fig. 3.5). Tra l’altro si sottintende, evidentemente, che per confrontare i due grafici, dobbiamo

precedentemente far combaciare i segmenti (A, B) e (C, D), di uguale lunghezza.

Conveniamo nel definire “neutrali” tutte le altre coppie di testi, cioè i documenti che non risultano

né ovviamente dipendenti, né ovviamente indipendenti. Rispetto ad essi non viene fatta nessuna

affermazione.

Questo principio sarà confermato, se per la maggior parte delle coppie di cronache reali

DIPENDENTI piuttosto consistenti X e Y, cioè contenenti la descrizione di uno stesso “flusso di

eventi”, i grafici del volume per X e Y presentano realmente dei picchi quasi contemporaneamente,

negli stessi anni.

Peraltro, L’ALTEZZA DI QUESTI PICCHI PUÒ ESSERE NOTEVOLMENTE DIVERSA.

Al contrario, per le cronache reali indipendenti una qualsiasi correlazione dei punti dei picchi

dovrebbe essere assente. Naturalmente, per certe concrete cronache dipendenti la contemporaneità

dei picchi dei grafici del volume può aver luogo solo approssimativamente.

Fig. 3.5. I grafici dei volumi degli annali indipendenti X e Y, cioè descriventi epoche sostanzialmente diverse, fanno picchi in

punti diversi dopo che i segmenti di tempo (A, B) e (C, D) sono stati fatti combaciare.

1.3. Il modello statistico

L’idea di base è la seguente. Per la valutazione quantitativa della vicinanza dei picchi

procederemo come segue. Conveniamo che il numero di massimi locali dei grafici del volume dei

due annali sia lo stesso. Calcoleremo il numero f (X, Y), la somma dei quadrati dei numeri f [k],

dove f [k] è la distanza in anni dal punto di picco col numero “k” del grafico del volume X fino al

punto di picco con il numero “k” del grafico del volume Y. Se entrambi i grafici registrano dei picchi

nello stesso tempo, i momenti dei picchi con gli stessi numeri coincidono e tutti i numeri f [k] sono

pari a zero. Esaminando una riserva fissa piuttosto consistente di differenti testi reali H e calcolando

per ciascuno di essi il numero f (X, H), selezioneremo solo quei testi H, per i quali questo numero

non risulta maggiore di f (X, Y). Calcolando la quota di questo tipo di testi all’interno dell’intera

riserva di testi H, otterremo un coefficiente che, sulla base dell’ipotesi di una distribuzione

omogenea del vettore casuale H, si può interpretare come probabilità p (X, Y) [904], [908], [1137],

[884]. Se il coefficiente di p (X, Y) è basso, significa che le cronache X e Y sono dipendenti,

descrivono cioè approssimativamente lo stesso “flusso di eventi”. Se invece il coefficiente è alto, le

cronache X e Y sono indipendenti, riportano cioè informazioni su “flussi di eventi” diversi.

Passiamo ora a una descrizione più dettagliata del modello statistico.

Naturalmente, per i grafici reali del volume, la contemporaneità dei loro picchi può verificarsi

solo approssimativamente. Per valutare quanto contemporaneamente i due grafici presentino dei

picchi, l’apparato matematico della statistica permette di determinare un certo numero p (X, Y) che

misura la non coincidenza degli anni, dettagliatamente descritti nella cronaca X, e degli anni

dettagliatamente descritti in Y. Risulta che se si prende in esame la vicinanza osservata dei picchi di

entrambi i grafici come un evento casuale, il numero p (X, Y) può essere considerato come una

probabilità di questo evento (fatto che, detto per inciso, non è affatto obbligatorio ai fini

dell’efficacia del metodo). Tanto minore è questo numero, tanto meglio coincidono gli anni

dettagliatamente descritti in X con gli anni dettagliatamente descritti in Y. Diamo una definizione

matematica del coefficiente p (X, Y).

Consideriamo l’intervallo di tempo (A, B) e il grafico del volume vol X (t), che raggiunge i

picchi massimi locali in alcuni punti m1, ..., mn-1.

Consideriamo, per semplicità, che ogni massimo locale (picco) venga raggiunto esattamente in un

punto. Questi punti, cioè anni, mi, dividono l’intervallo (A, B), in alcuni segmenti, in generale, di

diverse lunghezze (si veda fig. 3.6).

Fig. 3.6. I punti dei picchi del grafico del volume dell’annale suddividono il segmento di tempo (A, B) in intervalli.

Misurando le lunghezze dei segmenti ottenuti in anni, cioè, misurando le distanze tra i punti dei

massimi locali adiacenti mi e mi + 1, otteniamo una sequenza di numeri interi a (X) = (x1, ..., xn), dove

il numero x1 è la distanza dal punto A al primo massimo locale, il numero x2 è la distanza dal primo

massimo locale al secondo, e così via. Il numero xn è la distanza dall’ultimo picco massimo locale

mn-1 al punto B.

Questa sequenza può essere rappresentata dal vettore a (X) nello spazio euclideo Rn di

dimensione n. Ad esempio, nel caso di due picchi massimi locali, cioè se n = 3, otteniamo il vettore

intero a (X) = (x1, x2, x3) in uno spazio tridimensionale. Chiameremo il vettore a (X) = (x1, ..., xn)

VETTORE DEI MASSIMI LOCALI dell’annale X.

Per l’altro annale Y, si otterrà, in termini generali, un altro vettore a (Y) = (y1, ..., ym).

Supponiamo che la cronaca Y descriva gli eventi nell’intervallo di tempo (C, D), la cui lunghezza è

uguale alla lunghezza dell’intervallo (A, B), cioè, B - A = D - C. Per confrontare i grafici dei volumi

delle cronache X e Y, faremo preventivamente combaciare i due segmenti di tempo (A, B) e (C, D) di

uguale lunghezza, mettendoli uno sopra l’altro. Ovviamente, il numero dei massimi locali dei grafici

vol. X (t) e vol. Y (t) potrebbe essere diverso. Tuttavia, senza perdita di generalità, possiamo

assumere che il numero dei massimi sia lo stesso e che perciò i vettori a (X) e a (Y) delle due

cronache X e Y messe a confronto abbiano lo stesso numero di coordinate. Di fatto, se il numero dei

massimi nei due grafici messi a confronto è diverso, si può procedere in questo modo.

Considereremo alcuni massimi MULTIPLI, cioè supporremo che in questo punto si siano fusi insieme

alcuni massimi locali. In questo caso, le lunghezze dei segmenti corrispondenti che rispondono a

questi massimi multipli possono essere considerate pari allo zero. Utilizzando questa convenzione, si

può evidentemente equiparare il numero dei massimi locali nei grafici dei volumi delle cronache X e

Y. Naturalmente, una tale operazione, cioè l’introduzione di massimi multipli, non è univoca.

Fissiamo per il momento una qualche variante d’introduzione dei massimi multipli. Successivamente

ci sbarazzeremo di questa non univocità, minimizzando i coefficienti di vicinanza che ci servono

secondo tutti i modi possibili d’introduzione di massimi multipli. Notiamo che l’introduzione di

massimi multipli sta a significare che il vettore a (X) in alcuni luoghi avrà dei componenti nulli, cioè

dei segmenti di lunghezza pari allo zero.

Dunque, confrontando le cronache X e Y, si può supporre che entrambi i vettori a (X) = (x1, ..., xn)

e a (Y) = (y1, ..., yn) abbiano lo stesso numero di coordinate e quindi si trovino nello stesso spazio

euclideo Rn. Facciamo notare che in ognuno di questi vettori la somma delle sue coordinate è la

stessa ed è uguale a B - A = D - C, cioè alla lunghezza dell’intervallo di tempo (A, B).

Quindi: x1 + ... + xn = y1 + ... + yn = B - A.

Consideriamo ora l’insieme di tutti i vettori interi c = (c1, ..., cn), le cui coordinate non sono

negative e la cui somma c1 +...+ cn è pari allo stesso numero e precisamente a B - A, cioè alla

lunghezza dell’intervallo di tempo (A, B).

Indichiamo con S l’insieme di tutti questi vettori. Geometricamente, questi vettori possono essere

rappresentati come segue. Supponiamo che essi escano dal punto di origine delle coordinate, cioè dal

punto O in Rn. Consideriamo le estremità di tutti questi vettori c = (c1, ..., cn). Tutti si trovano nel

simplesso multidimensionale L, definito nello spazio Rn da un’equazione:

c1 + ... + cn = B - A

dove tutte le coordinate c1, ..., cn sono numeri reali non negativi. L’insieme S è geometricamente

rappresentato come l’insieme “di tutti i punti interi” nel simplesso L, cioè l’insieme di tutti i punti di

L aventi coordinate intere.

È chiaro che le estremità dei vettori dei massimi locali di a (X) e a (Y) per le cronache X e Y

appartengono all’insieme S (si veda fig. 3.7).

Fissiamo ora il vettore a (X) = (x1, ..., xn), e consideriamo tutti i vettori c = (c1, ..., cn) con

coordinate reali appartenenti al simplesso L, e tali da soddisfare anche un altro rapporto

supplementare:

(c1 - x1)2 + ... + (cn - xn)2 < (y1 - x1)2 + ... + (yn – xn)2

Indicheremo con K l’insieme di tutti questi vettori c = (c1, ..., cn).

Matematicamente, questi vettori sono descritti come vettori lontani dal vettore fissato a (X) a una

distanza non superiore alla distanza r (X, Y) che separa il vettore a (X) dal vettore a (Y). Parlando

qui di distanza tra i vettori, intendiamo la distanza tra le loro estremità. Ricordiamo che la grandezza

(y1 - x1)2 + ... + (yn - xn)2 è uguale al quadrato della distanza r (X, Y) tra i vettori a (X) e a (Y).

Pertanto l’insieme K è una parte del simplesso L, finita nella sfera “n-dimensionale” del raggio r (X,

Y) col centro nel punto a (X).

Calcoliamo ora quanti “vettori interi” sono contenuti nell’insieme K, e quanti nell’insieme L.

Indicheremo i numeri risultanti rispettivamente con m (K) e m (L).

In qualità di “coefficiente preventivo” p’ (X, Y) prendiamo il rapporto tra questi due numeri, cioè:

Siccome l’insieme K è solo una parte dell’insieme L, allora il numero p’ (X, Y) è incluso nel

segmento [0, 1].

Fig. 3.7. I vettori dei massimi locali a (X) e a (Y) di due annali confrontati X e Y possono essere convenzionalmente

rappresentati da due vettori nello spazio euclideo.

Se i vettori a (X) e a (Y) coincidono, allora p’ (X, Y) = 0. Se i vettori, al contrario, sono distanti

tra loro, il numero p’ (X, Y) è prossimo all’unità e può anche essere pari all’unità.

Notiamo qui un’utile, quant’anche non necessaria per il prosieguo, interpretazione del numero p’

(X, Y). Supponiamo che il vettore c = (c1, ..., cn) in modo casuale trasli per tutti i vettori dell’insieme

S e che con uguale probabilità possa trovarsi in un punto qualsiasi di quest’insieme. In questo caso si

dice che il vettore casuale c = (c1, ..., cn) è distribuito UNIFORMEMENTE sull’insieme S, cioè

sull’insieme dei “punti interi” del simplesso (n-1)-dimensionale L. Pertanto il numero p’ (X, Y) da

noi definito ammette un’interpretazione probabilistica. Esso è semplicemente uguale alla probabilità

di un evento casuale, che consiste nel fatto che il vettore casuale c = (c1, ..., cn) si è trovato a una

distanza dal vettore fissato a (X), non superiore alla distanza tra i vettori a (X) e a (Y). Quanto

minore è questa probabilità, tanto meno casuale è la vicinanza da noi osservata dei vettori a (X) e

a(Y). In altre parole, in questo caso, la loro vicinanza indica la presenza di una certa dipendenza tra

loro. E tale dipendenza è tanto maggiore, quanto minore risulta essere il numero p’ (X, Y).

L’uniformità di distribuzione del vettore casuale c = (c1, ..., cn) sul simplesso L, o, più

precisamente, sull’insieme S dei suoi “punti interi”, può essere fondata sul fatto che questo vettore

rappresenta le distanze tra i massimi locali vicini della funzione del volume “dei capitoli” delle

cronache storiche o di qualche altro testo analogo, contenente la descrizione del dato periodo di

tempo (A, B). Nell’esame di tutte le cronache possibili, contenenti la descrizione della storia di tutti

gli stati possibili in tutti i possibili periodi storici, è naturale supporre che il massimo locale possa

“con uguale probabilità” comparire in un punto arbitrario dell’intervallo di tempo (A, B).

La costruzione descritta è stata eseguita a partire dal presupposto che abbiamo fissato una certa

variante di introduzione di massimi multipli nei grafici del volume delle cronache. Varianti di questo

tipo, ovviamente, ce ne sono molte.

Consideriamo tutte queste varianti e calcoliamo per ciascuna di esse il numero p’ (X, Y),

dopodiché prenderemo il numero più piccolo tra tutti quelli ottenuti e lo indicheremo con p’’ (X, Y),

cioè, minimizzeremo il coefficiente p’ (X, Y) in tutti i modi d’introduzione dei massimi locali nei

grafici vol. X (t) e vol. Y (t).

Infine, ricorderemo che nel calcolo del coefficiente p’’ (X, Y), le cronache X e Y si erano trovate

in una condizione di disparità. Il fatto è che prima abbiamo considerato una sfera di n-dimensioni di

raggio r (X, Y), con centro nel punto a (X).

Per eliminare la disparità emersa tra le cronache X e Y, basta scambiarle di posto e ripetere la

costruzione sopra descritta, prendendo però questa volta come centro della sfera “n-dimensionale” il

punto a (Y). Come risultato otterremo un certo numero, che indicheremo con p’’(Y, X). In qualità di

“coefficiente simmetrico” definitivo p (X, Y) prenderemo la media aritmetica dei numeri p’’ (X, Y) e

p’’ (Y, X), cioè:

Per chiarezza, spieghiamo il significato del coefficiente preliminare p’ (X, Y) sull’esempio dei

grafici del volume con appena due massimi locali. In questo caso entrambi i vettori:

a (X) = (x1, x2, x3) e a (Y) = (y1, y2, y3)

risultano vettori nello spazio euclideo tridimensionale. Le loro estremità giacciono sul triangolo

equilatero bidimensionale L, che lascia fuori dagli assi delle coordinate nello spazio R3 lo stesso

numero B - A (fig. 3.8).

Se si indica la distanza dal punto a (X) al punto a (Y) con |a (X) - a (Y)|, allora l’insieme K è

l’intersezione del triangolo L con la sfera tridimensionale avente il centro nel punto a (X) e un raggio

pari a |a (X) - a (Y)|. Successivamente bisogna calcolare il numero di “punti interi”, cioè dei punti

con coordinate intere nell’insieme K e nel triangolo L. Facendo il rapporto tra i numeri ottenuti,

ricaviamo il coefficiente p’ (X, Y).

In calcoli concreti è comodo utilizzare il metodo approssimativo di calcolo del coefficiente p (X,

Y). Il fatto è che il calcolo del numero dei punti interi nell’insieme K è piuttosto complicato.

Tuttavia, questa difficoltà si può evitare passando dal “modello discreto” al “modello continuo”. È

noto che se l’insieme (n-1)-dimensionale K nel simplesso (n-1)-dimensionale L è sufficientemente

grande, il numero dei punti interi in K è approssimativamente uguale al volume (n-1)-dimensionale

dell’insieme K. Per questo fin dall’inizio in qualità di coefficiente preliminare p’ (X, Y) può essere

assunto semplicemente il rapporto del volume (n-1)-dimensionale K rispetto al volume (n-1)-

dimensionale L, cioè:

Per esempio, nel caso di due massimi locali in qualità di coefficiente p’ (X, Y) occorre prendere

il rapporto:

Naturalmente, per piccoli valori di B - A, “il coefficiente discreto” e “il coefficiente continuo”

sono differenti. Ma nei nostri studi avremo a che fare con intervalli di tempo B - A di diverse decine

e anche centinaia di anni, quindi, per i fini che ci interessano si può, senza temere di fare un grosso

errore, utilizzare tranquillamente “il modello continuo” p’ (X, Y). Le formule matematiche esatte per

calcolare “il coefficiente continuo” p’ (X, Y), per la sua valutazione dall’alto e dal basso, sono

riportate in [884], p. 107.

Fig. 3.8. I vettori a (X) e a (Y) definiscono “una sfera”, di cui una parte finisce nel simplesso L.

Indichiamo ancora una precisazione del modello statistico descritto. Quando si lavora con i

grafici concreti del volume dei testi storici occorre “smussare” questi grafici per rimuovere i picchi

casuali irrilevanti. Noi abbiamo operato un tale “smussamento” del grafico, “appianandolo in

conformità agli elementi adiacenti”, cioè sostituendo il valore della funzione del volume in ogni

punto t con la media matematica dei tre valori della funzione, e precisamente nei punti t-1, t, t+1. In

qualità di “coefficiente definitivo” p (X, Y) bisogna prendere il suo valore calcolato per questi

“grafici smussati”.

Il principio di correlazione dei massimi sopra formulato sarà confermato, se per la maggior parte

delle coppie dei testi ovviamente dipendenti X e Y, il coefficiente p (X, Y) risulterà “piccolo”,

mentre per la maggior parte delle coppie dei testi ovviamente indipendenti, al contrario, questo

coefficiente risulterà “grande”.

1.4. Verifica sperimentale del principio di correlazione dei massimi. Esempi di testi

storici dipendenti e indipendenti

Negli anni 1978-1985 l’Autore ha effettuato il primo esperimento estensivo per calcolare i numeri

p (X, Y) per alcune decine di coppie di testi storici concreti, cioè cronache, annali ecc. Per maggiori

dettagli si veda [904], [908], [1137], [884].

Nel corso di quest’esperimento è emerso che il coefficiente p (X, Y) distingue piuttosto

chiaramente le coppie di testi storici ovviamente dipendenti da quelli evidentemente indipendenti. Si

è riscontrato che per tutte le coppie di annali reali X e Y da noi studiati e contenenti la descrizione di

eventi ovviamente diversi (diversi periodi storici, o stati diversi) cioè, per i testi indipendenti, il

numero p (X, Y) varia da 1 a 1/100 con una quantità di massimi locali da 10 a 15. Al contrario, se gli

annali storici, X e Y sono ovviamente dipendenti, cioè descrivono gli stessi eventi, il numero p (X,

Y) non supera il 10-8 per lo stesso numero di massimi.

In questo modo, tra i valori del coefficiente per i testi dipendenti e indipendenti si individua un

divario di parecchi ordini di grandezza. Sottolineiamo che qui sono importanti non i valori assoluti

dei coefficienti ottenuti, ma il fatto che “la zona dei coefficienti per i testi ovviamente dipendenti” è

separata DA DIVERSI ORDINI dalla “zona dei coefficienti per i testi ovviamente indipendenti”.

Riporteremo di seguito alcuni esempi tipici.

[I valori esatti delle funzioni dei volumi relativi a cronache e annali particolarmente interessanti

sono stati riportati nell’allegato incluso nel volume I dell’Opera completa originale in 7 tomi,

allegato che non abbiamo incluso nella presente antologia in lingua italiana. Per quanto riguarda gli

esempi, si è scelto di riportarne, in questa sede, solo alcuni, a titolo dimostrativo: l’esempio 1,

l’esempio 4 e l’esempio 5, relativi alla storia antica e medievale di Roma; N.d.T.].

ESEMPIO 1. Nelle figg. 3.9-3.11 sono riportati i grafici dei volumi di due testi storici

evidentemente dipendenti. In qualità di testo X abbiamo preso una monografia storica di un autore

contemporaneo, V.S. Sergeev, Očerki po istorii Drevnego Mira (Saggi sulla storia di Roma

antica) (tomi 1-2, OGIZ, Mosca 1938), e in qualità di testo Y abbiamo preso una fonte “antica”,

ovverossia La storia di Roma di Tito Livio (voll. 1-6, Mosca, 1897-1899 [edizione italiana a cura

di G.D. Mazzocato, Newton Compton, Milano 1997; N.d.R.]).

Secondo la cronologia di Scaligero, questi testi descrivono eventi avvenuti nell’intervallo di

tempo che andrebbe dal 757 al 287 a.C. Ebbene, qui

A = 757 a.C.

B = 287 a.C.

Fig. 3.9. Le funzioni del volume dell’annale “dell’antico” Tito Livio e del manuale contemporaneo scritto da Sergeev. Siamo in

presenza di una palese correlazione. Prima parte.

Fig. 3.10. Le funzioni del volume dell’annale “dell’antico” Tito Livio e del manuale contemporaneo scritto da Sergeev. Siamo

in presenza di una palese correlazione. Seconda parte.

Fig. 3.11. Le funzioni del volume dell’annale “dell’antico” Tito Livio e del manuale contemporaneo scritto da Sergeev. Siamo

in presenza di una palese correlazione. Terza parte.

Entrambi i testi descrivono la stessa epoca storica e approssimativamente gli stessi eventi. Si vede

chiaramente che i grafici dei volumi presentano i loro “picchi principali” quasi

contemporaneamente. Per il confronto quantitativo delle funzioni occorre smussare

preventivamente “le increspature irrilevanti”, cioè i picchi di secondaria importanza che si

sovrappongono alle oscillazioni primarie e principali dei grafici. Nel calcolo del coefficiente p

(X, Y) abbiamo smussato e livellato questi grafici per mettere in rilievo solo i loro massimi locali

principali, in una quantità non superiore a quindici.

È risultato che qui p (X, Y) = 2x10-12. Il basso valore del coefficiente indica una dipendenza dei

testi paragonati. In questo caso specifico la cosa non sorprende. Come abbiamo già fatto notare, i

due testi descrivono uno stesso periodo della storia dell’“antica” Roma. Il basso valore del

coefficiente p (X, Y) dimostra che se si considera la vicinanza osservata dei punti dei picchi di

entrambi i grafici come un evento casuale, la sua probabilità è estremamente bassa. Come

possiamo vedere, l’autore moderno V.S. Sergeev ha riportato in modo piuttosto preciso e fedele

nel suo libro l’originale “antico”. Ovviamente Sergeev ha integrato il suo lavoro con opinioni e

commenti personali, ma come si vede, essi non incidono più di tanto sul carattere di dipendenza di

questi due testi. Ora, in qualità di “cronaca” X’ prenderemo di nuovo il libro di V.S. Sergeev,

mentre in qualità di “cronaca” Y’ prenderemo lo stesso ma cambiando l’ordine degli anni nel testo

e utilizzando l’ordine invertito. In altri termini, leggeremo il testo di Sergeev «alla rovescia, da

indietro in avanti». In questo caso risulterà che p (X’, Y’) sarà pari a ⅓.

In questo modo si otterrà un valore di gran lunga molto più vicino all’unità rispetto a quello

precedente e testimoniante dell’indipendenza dei testi messi a confronto. Ciò non sorprende, dal

momento che l’operazione di “inversione della cronaca” dà ovviamente due testi ovviamente

indipendenti.

[ESEMPIO 2]

[ESEMPIO 3]

ESEMPIO 4. Riportiamo un altro esempio tratto dalla storia medioevale romana. Con X indichiamo

la monografia fondamentale dello storico tedesco Ferdinand Gregorovius Istorija Rima v srednie

veka. Toma 1-5 (Storia di Roma nel Medioevo, voll. 1-5 [196]). Si tratta di un libro scritto nel

XIX secolo sulla base di un’enorme quantità di documenti medievali laici e religiosi.

Con Y indicheremo il Liber Pontificalis (T. Mommsen, Gestorum Pontificum Romanorum, 1898).

Questo “libro dei Pontefici” contenente l’elenco e le biografie dei papi romani del Medioevo, fu

ripristinato dallo storico tedesco del XIX secolo, Theodor Mommsen, sulla base di testi medievali

romani. Qui risulta che p (X, Y) = 10-10, fatto che indica la netta dipendenza di questi due testi.

Nella supposizione di casualità, una tale vicinanza si sarebbe realizzata con una probabilità su 10

miliardi.

In tutte le decine di esempi di testi storici sia ovviamente dipendenti che ovviamente indipendenti

da noi elaborati, il nostro modello teorico è stato confermato. In questo modo siamo stati in grado

di rilevare alcune costanti che permettono di caratterizzare statisticamente i testi storici dipendenti,

cioè contenenti la descrizione di uno stesso periodo di tempo, di stessi “flussi di eventi” nella

storia di una stessa regione o di uno stesso Stato. Allo stesso tempo, come hanno dimostrato gli

esperimenti, se due testi storici X e Y, invece, sono indipendenti, cioè descrivono periodi storici

ovviamente diversi, o diverse regioni, o “flussi di eventi” sostanzialmente diversi, i grafici dei

volumi vol X (t) e vol Y (t) registrano picchi in anni sostanzialmente differenti, cioè non si osserva

alcuna correlazione di sorta. In quest’ultimo caso il valore tipico per il coefficiente p (X, Y), con

un numero di massimi locali da 10 a 15, oscilla da 1 a 1/100. Riportiamo un tipico esempio.

ESEMPIO 5. Ancora una volta ci rivolgiamo alla storia “antica” di Roma. In qualità di testi

confrontati X e Y abbiamo preso i seguenti due brani tratti dal già citato libro di V.S. Sergeev,

Očerki po istorii Drevnego Rima (Saggi sulla storia di Roma antica) [767]. Il primo frammento

descrive il periodo intercorso tra i presumibili anni 520 e 380 a.C., mentre il secondo frammento

tratta il periodo trascorso tra i presumibili anni dal 380 al 240 a.C. Si ritiene che questi periodi

siano indipendenti. Il calcolo del coefficiente p (X, Y) mostra che esso qui è pari a 1/5. Questo

valore si differenzia sensibilmente, per diversi ordini di grandezza, dai tipici valori che vanno da

10-12 a 10-6 per i testi ovviamente dipendenti, con una quantità analoga di massimi locali. Quindi,

questi due testi, queste “due metà” dello stesso libro di V.S. Sergeev risultano essere davvero

indipendenti.

Sopra, abbiamo usato come caratteristica numerica del “capitolo”, il suo volume. Tuttavia, come

hanno mostrato i nostri studi, analoghe regolarità statistiche per testi storici piuttosto consistenti, si

riscontrano anche utilizzando altre caratteristiche numeriche. Per esempio, si può calcolare il

numero dei nomi in ciascun “capitolo”, o il numero dei riferimenti ad altri annali ecc.

Nel corso del nostro esperimento di calcolo abbiamo confrontato:

a) testi antichi con testi antichi;

b) testi antichi con testi moderni;

c) testi moderni con testi moderni.

Come abbiamo detto, oltre ai grafici dei volumi dei “capitoli”, abbiamo indagato anche su altre

caratteristiche quantitative dei testi, per esempio sui grafici dei nomi citati, sui grafici del numero di

citazioni di un dato anno in un dato testo, sui grafici delle frequenze dei riferimenti a qualche altro

testo chiave ecc. [904], [908], [1137], [884].

Si è scoperto che per tutte queste caratteristiche si realizza lo stesso principio della correlazione

dei massimi, cioè, proprio i grafici dei testi dipendenti registrano picchi praticamente negli stessi

periodi di tempo, mentre per i testi indipendenti i punti dei picchi dei grafici non sono correlati.

Formuliamo di seguito ancora una conseguenza del nostro modello principale, della nostra ipotesi

statistica, cioè:

se due testi storici sono ovviamente dipendenti, cioè descrivono uno stesso “flusso di eventi”

nello stesso intervallo di tempo e nella storia di uno stesso stato, allora per qualsiasi coppia

di caratteristiche numeriche sopra indicate i grafici ad esse corrispondenti fanno picchi

all’incirca negli stessi anni. In altre parole, se in entrambi gli annali messi a confronto un

certo anno è descritto in modo più dettagliato rispetto agli anni adiacenti, allora aumenta

(localmente) il numero di citazioni di quest’anno in entrambi gli annali, aumenta il numero

dei nomi dei personaggi menzionati in questo anno in entrambi gli annali, e così via. Al

contrario, se i testi sono ovviamente indipendenti, non ci dev’essere alcuna correlazione tra

le caratteristiche numeriche indicate.

La verifica di questo “principio secondario di correlazione dei massimi” ha confermato la sua

validità in testi storici concreti, evidentemente dipendenti [884], pp. 110-111.

1.5. Metodi di datazione di eventi storici

Poiché il nostro modello teorico ha trovato conferma su materiali sperimentali, possiamo

proporre un nuovo metodo di datazione degli eventi antichi, anche se non certamente universale.

Descriviamo l’idea del metodo.

Sia Y un testo storico che descrive un “flusso di eventi” a noi sconosciuto con datazioni assolute

andate perdute. Assumiamo che gli anni t vengano calcolati nel testo a partire da un evento di

importanza locale, per esempio, la fondazione di una città o il momento dell’insediamento di un re, di

cui è ignota la datazione assoluta. Calcoliamo per il testo Y il suo grafico del volume di “capitoli” e

confrontiamolo con i grafici del volume di altri testi, di cui conosciamo la datazione assoluta degli

eventi in essi descritti. Se tra questi testi scopriamo un testo X, avente un numero p (X, Y) basso cioè

un ordine di grandezza uguale a quello delle coppie di testi dipendenti (che non supera, ad esempio,

il numero 10-8 per la quantità corrispondente di massimi locali), allora si può concludere con una

buona probabilità che i “flussi di eventi” descritti in questi testi coincidano o siano molto vicini. Non

solo, ma che questa probabilità è tanto maggiore quanto minore è il numero p (X, Y).

I due testi confrontati, tra l’altro, potrebbero essere esternamente anche assolutamente diversi, per

esempio, potrebbero essere due varianti di uno stesso annale ma scritte in Paesi diversi, da annalisti

diversi e in lingue diverse.

Questo metodo di datazione è stato verificato sperimentalmente su testi medievali aventi una

datazione precedentemente conosciuta. Le date ottenute dall’analisi sono risultate coincidenti con

quelle note. Riportiamo degli esempi concreti.

[ESEMPIO 6, ESEMPIO 7: non tradotti, entrambi riferentisi ad annali russi; N.d.T.]

2. Il metodo del riconoscimento e della datazione delle dinastie dei regnanti. Il

principio delle piccole alterazioni dinastiche

2.1. Formulazione del principio delle piccole alterazioni dinastiche

Il principio delle piccole alterazioni dinastiche e il metodo basato su di esso fu da me proposto ed

elaborato in [884], [885], [888], [1129], [895], [1130].

Supponiamo che venga rinvenuto un testo storico che descriva una dinastia di regnanti a noi

sconosciuta, con l’indicazione della durata dei regni di ciascun regnante. La domanda che si pone è:

si tratta di una dinastia nuova, per noi sconosciuta fino a ora e di conseguenza necessitante di una

datazione o si tratta invece di una dinastia conosciuta ma descritta in termini insoliti (per esempio

con i nomi dei regnanti modificati)? La risposta viene offerta dal metodo illustrato sotto [904], [908],

[1137], [885], [886].

Consideriamo una sequenza k di concreti regnanti o re nella storia di un certo stato o di una certa

regione. Definiamo convenzionalmente questa sequenza DINASTIA REALE [qui e oltre “reale” è

inteso nel senso di “realmente esistita”, non attinente ai re; N.d.T.], tenendo presente che i suoi

membri non sono obbligati a essere legati da vincoli di parentela. Spesso, una stessa dinastia reale,

viene descritta in documenti diversi e da cronisti diversi. Non solo, ma viene descritta da punti di

vista diversi: per esempio, possono essere diversamente valutati l’attività dei regnanti, il loro valore

personale, le loro qualità individuali ecc. Al di là di questi aspetti soggettivi, esistono tuttavia dei

fatti “invarianti”, la cui descrizione dipende in misura minore dalle simpatie o dalle antipatie dei

cronisti. A questa categoria di “fatti invarianti” fa riferimento, ad esempio, LA DURATA DEL

REGNO DI UN RE. Si ritiene che difficilmente potessero esistere cause particolari che inducessero

il cronista ad alterare significativamente e intenzionalmente questo dato. Purtuttavia spesso gli

annalisti potevano avere delle ovvie difficoltà a calcolare la durata del regno di un certo re, ovvie

difficoltà dovute, per esempio alla carenza di informazioni o alla presenza di una documentazione

inesatta o alterata.

Queste difficoltà, talvolta, facevano sì che i diversi cronisti riportassero nei loro manoscritti o

nelle tavole numeri diversi, che secondo loro rappresentavano la durata del governo di uno stesso re.

Tali incongruenze a volte sono consistenti, si veda, ad esempio, la cronologia dei faraoni in Henry

Brugsch [99] e nelle “Tavole cronologiche” di J. Blair [76]. Per esempio, nelle tavole di

quest’ultimo, compilate fino all’inizio del XIX secolo, sono raccolte tutte le principali dinastie

storiche con le date dei governi di cui ci è giunta informazione. Le tavole di J. Blair sono per noi

preziose per il fatto che sono state composte in un’epoca abbastanza vicina al periodo a cui risale la

cronologia scaligeriana e perciò recano in sé le impronte profonde dell’“attività scaligeriana”,

impronte successivamente stuccate e intonacate dagli storici dei secoli XIX-XX.

Ogni cronista, dunque, descrivendo una certa dinastia reale M a modo proprio, a seconda delle

sue capacità e possibilità, calcolava la durata dei regni dei suoi re, ottenendo, come risultato, una

certa successione di numeri a = (a1, a2, a3... ak), dove il numero ai raffigura, pur anche erroneamente,

la durata reale del governo del re con il numero i. Ricordiamo che il numero k è il numero

complessivo dei re in una data dinastia. Conveniamo di definire questa sequenza di numeri, estratta

da un annale, DINASTIA ANNALISTICA. È comodo raffigurarla in forma di vettore a nello spazio

euclideo Rk.

Un altro annalista, descrivendo la stessa dinastia reale M, poteva invece ascrivere agli stessi re

regni con durate differenti, ottenendo alla fine un’altra dinastia annalistica, la dinastia b = (b1, b2, …,

bk). In questo modo una stessa dinastia reale M, ma descritta in cronache diverse, può essere

raffigurata in esse da diverse dinastie annalistiche, a e b. La domanda che sorge è: quanto sono

grandi le alterazioni che emergono? Un ruolo sostanziale lo svolgono qui gli errori e le difficoltà

oggettive che ostacolano la precisa definizione delle durate reali dei regni. Descriveremo sotto i tipi

fondamentali di sbagli.

Formuliamo un modello statistico, un’ipotesi, che chiameremo convenzionalmente PRINCIPIO

DELLE PICCOLE ALTERAZIONI.

IL PRINCIPIO DELLE PICCOLE ALTERAZIONI DELLE DURATE DEI REGNI

Se due dinastie annalistiche a e b si differenziano “poco” l’una dall’altra esse rappresentano

una stessa dinastia reale M cioè risultano essere due varianti della sua descrizione in annali

diversi. In questo caso chiameremo le dinastie annalistiche DIPENDENTI.

Al contrario, se due dinastie annalistiche a e b raffigurano due diverse dinastie concrete M e

N, esse si differenziano “notevolmente” l’una dall’altra. In questo caso le definiremo

INDIPENDENTI. Definiremo NEUTRE tutte le altre coppie di dinastie.

In altre parole, in conformità a quest’ipotesi-modello, CRONISTI DIVERSI HANNO ALTERATO

“UN POCO” UNA STESSA DINASTIA REALE ALL’ATTO DELLA STESURA DEI LORO

ANNALI. In ogni caso, le differenti letture così createsi sono risultate essere “in media” inferiori

rispetto alle differenze esistenti tra dinastie reali ovviamente diverse cioè indipendenti.

L’ipotesi-modello sopra formulata necessita di una verifica sperimentale. Se si rivela valida,

scopriamo una proprietà importante e assolutamente non evidente, caratterizzante l’attività degli

antichi annalisti e cioè: le dinastie annalistiche sorte all’atto della descrizione di una stessa

dinastia reale si differenziano l’una dall’altra e dal loro prototipo meno di quanto si differenzino,

l’una dall’altra, due dinastie reali effettivamente diverse.

Esiste un coefficiente numerico naturale c (a, b), calcolato per ogni coppia di dinastie annalistiche

a e b e avente la proprietà di essere “piccolo” per le dinastie dipendenti e, al contrario, “grande” per

le dinastie indipendenti (in altre parole, un coefficiente che deve differenziare le dinastie dipendenti

e indipendenti)? Sì, esiste, noi l’abbiamo trovato.

Si scopre che per la valutazione della “vicinanza” di due dinastie a e b si può introdurre il

coefficiente numerico c (a, b), analogo a quello descritto sopra [nel paragrafo precedente, qui non

incluso; N.d.T.], cioè analogo al PCCA (Probabilità della Coincidenza Casuale degli Anni): PCCA =

p (X, Y). Anche questo coefficiente c (a, b) ha un senso di probabilità. All’inizio descriviamo l’idea

grezza della definizione del coefficiente (a, b). È comodo rappresentare la dinastia annalistica in

forma di grafico, scrivendo in orizzontale il numero dei re e in verticale la durata dei loro regni.

Diremo che la dinastia q “assomiglia” alle dinastie a non meno della dinastia b se il grafico della

dinastia q si differenzia da quello della dinastia a non più di quanto il grafico della dinastia b si

differenzi dal grafico della dinastia a (si vedano dettagli sotto e in [904], [1137], [885], [886], [884].

In qualità di c (a, b) viene presa la quota che le dinastie “assomiglianti” alla dinastia a non meno

di b compongono nell’insieme di tutte le dinastie. In altre parole, viene calcolato il seguente

rapporto:

Le durate dei regni dei re possono essere state definite dai cronisti con degli errori. Di fatto

estraiamo dagli annali solo alcuni loro valori approssimativi. Si possono descrivere

matematicamente dei meccanismi probabilistici che hanno portato alla comparsa di questi errori. Non

solo, nella nostra analisi abbiamo considerato due possibili errori degli annalisti: lo scambio di due

re vicini e la sostituzione di due re vicini con un solo re cui viene attribuito un regno con una durata

risultante dalla somma delle durate singole dei regni.

Il coefficiente c (a, b) si può convenzionalmente definire PCCD (Probabilità della Coincidenza

Casuale delle Dinastie a e b)

2.2. Il modello statistico

Daremo ora una definizione formale del coefficiente c (a, b). Indichiamo con D l’insieme di tutte

le dinastie reali di lunghezza k, cioè composte da k re successivi. Di fatto per insieme D dovremo

prendere quelle dinastie storiche, di cui sono giunte fino a noi delle informazioni contenute nelle

cronache conservatesi. Abbiamo compilato la lista praticamente completa di tutte queste dinastie

sulla base di un gran numero di fonti cronologiche diverse, elencate sotto.

Sulla base di esse, abbiamo composto l’elenco di tutti i gruppi di 15 re successivi che hanno

governato secondo la cronologia scaligeriana, nell’intervallo che va dal 4000 a.C. al 1900 a.C. in

Europa, nel Mediterraneo, nel vicino Oriente, in Egitto e in Asia.

Ogni dinastia annalistica può essere convenzionalmente raffigurata da un vettore nello spazio

euclideo Rk di dimensione k. Nel nostro concreto esperimento abbiamo assunto k = 15 (si veda

sopra). Considereremo due dinastie sostanzialmente diverse se il numero dei re, o dei governanti

effettivi inclusi contemporaneamente in entrambe queste dinastie, non supera k/2, vale a dire la metà

del numero dei membri dell’intera dinastia. Due dinastie reali prese a caso possono intersecarsi,

avere membri in comune, poiché ogni volta possiamo arbitrariamente dichiarare questo o quel re

“l’inizio della dinastia”. Insieme alle dinastie dipendenti e indipendenti ci sono anche coppie di

dinastie “intermedie”, “neutre”, in cui il numero di re o di governanti reali comuni supera k/2 (ma le

dinastie non risultano dipendenti). È chiaro che se il numero totale delle dinastie studiate è alto, la

quantità di coppie di dinastie intermedie, neutre è relativamente piccola. Pertanto si può concentrare

l’attenzione principale sulle coppie di dinastie dipendenti e indipendenti.

Il principio delle piccole alterazioni sopra formulato sta a significare che, in pratica, i cronisti “in

media” si sono sbagliati tutto sommato di poco, cioè non hanno fortemente distorto i dati numerici

reali.

Discutiamo ora gli errori che hanno fatto più spesso i cronisti calcolando le durate dei regni degli

antichi re. Questi tre tipi di errori sono stati da noi individuati nel corso dell’esame di un gran

numero di testi storici concreti. È emerso che proprio questi errori hanno portato più spesso

all’alterazione delle durate reali dei governi dei re.

Errore primo: permutazione, confusione di due re vicini.

Errore secondo: sostituzione di due re con uno, cui viene attribuito un governo di durata pari alla

somma delle durate dei governi dei due singoli re.

Errore terzo: imprecisione nel calcolo della durata stessa del periodo di governo di un re. Maggiore

è la durata, maggiore è l’errore commesso di solito dal cronista nella sua definizione.

Questi tre tipi di errori possono essere descritti e modellati matematicamente. Cominciamo con

l’errore (1) e (2). Si consideri una dinastia qualunque p = (p1, p2, ..., pk) della serie D. Chiameremo

il vettore q = (q1, q2, ..., qk) VARIAZIONE VIRTUALE del vettore (dinastia) p, e l’indicheremo con

q = vir (p), se ogni coordinata qi del vettore q si ottiene dalle coordinate del vettore p attraverso una

delle due procedure seguenti.

1) O qi = pi (cioè la coordinata non cambia), o pi si cambia di posto con pi-1, o pi si cambia di

posto con pi + 1 cioè con una delle “coordinate vicine” del vettore p.

2) O qi = pi, oppure qi coincide con il numero pi + pi + 1

È chiaro che ogni vettore (dinastia) q può essere considerato una dinastia annalistica, risultante da

una dinastia reale p in seguito alla “sua moltiplicazione” sotto l’influenza degli errori (1) e (2) dei

cronisti. In altri termini, prendiamo ogni dinastia reale p = (p1, p2, ..., pk) dell’elenco D e

applichiamo a ognuna “i fattori disturbanti” (1) e (2).

Ossia, o scambiamo di posto i due numeri adiacenti pi e pi+1, oppure sostituiamo un certo numero

pi con la somma pi e pi+1, oppure con la somma pi-1 + pi. Per ciascun numero i applichiamo le

operazioni indicate solo una volta, cioè, non consideriamo “le lunghe iterazioni” di operazioni sullo

stesso posto i.

Come risultato, di una dinastia p otteniamo un certo numero di dinastie virtuali {q = vir (p)}. La

quantità di tali dinastie virtuali si può facilmente contare.

In questo modo ogni “punto” dell’insieme D “si moltiplica” e genera un certo insieme di “punti

virtuali” che lo circondano, una sorta di “nube di vicinanza”, “di ammasso globulare” (si veda fig.

3.12). Alcune delle dinastie virtuali risultanti si possono incontrare in un concreto annale (e in questo

caso saranno delle dinastie annalistiche), alcune sono solo “teoricamente possibili” cioè “virtuali”.

Fig. 3.12. Ogni dinastia p genera un certo insieme vir (p) di dinastie virtuali. Geometricamente esse vengono rappresentate

in forma di “nube”, di”ammasso globulare”, che circonda il punto p nello spazio.

Combinando tutte le dinastie virtuali ottenute da tutte le dinastie reali p, componenti il nostro

elenco di dinastie D, otteniamo un certo insieme vir (D), cioè, “la nube avvolgente” dell’insieme di

dinastie di partenza D.

Così, per ogni dinastia reale M, l’insieme di dinastie annalistiche che la rappresentano può essere

immaginato come “l’ammasso globulare” vir (M). Siano date ora due dinastie reali M e N. Se il

principio delle piccole alterazioni (distorsioni) che abbiamo formulato è corretto, gli ammassi

gobulari vir (M) e vir (N), corrispondenti alle due diverse dinastie reali ovviamente indipendenti M

e N, non si intersecano nello spazio Rk. Cioè, esse dovrebbero trovarsi a una distanza

sufficientemente lontana l’una dall’altra (si veda fig. 3.13).

Fig. 3.13. Gli “ammassi globulari”vir (M) e vir (N) rispondenti a due dinastie reali diverse ovviamente indipendenti M e N sono

lontani l’uno dall’altro.

Siano ora a e b due certe dinastie dell’insieme vir (D), per esempio due dinastie annalistiche (si

veda fig. 3.14).

Fig. 3.14. Rappresentazione visiva in forma di grafico della durata dei regni delle due dinastie a e b.

Vogliamo introdurre una certa misura quantitativa tra le due dinastie, cioè “misurare la distanza tra

di esse”, valutare quanto sono distanti l’una dall’altra. Il modo più semplice sarebbe questo:

esaminando entrambe le dinastie come vettori nello spazio Rk, si potrebbe semplicemente prendere la

distanza euclidea tra esse, cioè calcolare il numero r (a, b), che al quadrato sarebbe:

(a1 - b1)2 + ... + (ak - bk)2

Tuttavia, gli esperimenti numerici con dinastie annalistiche concrete dimostrano che questa

distanza non permette di separare con sicurezza le une dalle altre le coppie di dinastie dipendenti e

indipendenti. In altre parole, le distanze tra dinastie annalistiche ovviamente dipendenti e le distanze

tra dinastie annalistiche ovviamente indipendenti in alcuni casi risultano confrontabili tra loro.

Emerge che talvolta hanno “lo stesso ordine”.

Non solo, ma non si può definire la “somiglianza” o “la non somiglianza” delle due dinastie, più

precisamente, dei grafici dei loro governi, “a occhio”. La somiglianza visiva dei due grafici può

anche non dire nulla. Si possono riportare degli esempi di dinastie ovviamente indipendenti, che

presentano dei grafici di governo “molto simili” e comunque viene esclusa ogni dipendenza. Come è

emerso, la vicinanza(prossimità) visuale può essere facilmente fuorviante, pertanto si ritiene

necessaria una valutazione quantitativa affidabile, che elimini le fragili considerazioni soggettive

appartenenti alla categoria “simili”, “non simili”.

Dunque, il nostro compito è quello di chiarire se in generale esista una misura naturale di

prossimità sull’insieme di tutte le dinastie virtuali che permetta con sicurezza di separare le dinastie

dipendenti da quelle indipendenti, cioè che la “distanza” tra le dinastie ovviamente dipendenti sia

“piccola” e la “distanza” tra le dinastie ovviamente indipendenti sia “grande”. Inoltre, si richiede che

questi “piccoli” e “grandi” valori si differenzino significativamente tra di loro, ad esempio, che siano

separati da uno o più ordini.

Risulta che una tale misura di prossimità, cioè “la distanza tra le dinastie”, esiste realmente.

Passiamo ora alla descrizione di questo fattore c (a, b).

Ebbene, abbiamo costruito nello spazio R15, un certo insieme di dinastie D. Sono stati modellati

due degli errori più comuni fatti dai cronisti. Ogni dinastia dell’insieme D è stato sottoposta alle

perturbazioni del tipo (1) e (2). Ogni punto di D si è moltiplicato in vari punti, comportando un

aumento dell’insieme. Abbiamo indicato con vir (D) l’insieme risultante. È emerso che l’insieme vir

(D) consiste di circa 15x1011 punti.

Considereremo “vettore dinastico” a un vettore casuale in Rk, che attraversa l’insieme vir (D).

Allora, sull’insieme vir (D) possiamo costruire la funzione z della densità delle probabilità. A questo

fine l’intero spazio R15 è stato diviso in cubi standard di misura piuttosto piccola e in modo tale che

nessun punto dell’insieme vir (D) finisca sul bordo di uno qualsiasi dei cubi. Se x è un punto interno

del cubo, abbiamo:

È chiaro che per un punto x, che giace sul bordo di un qualsiasi cubo si può assumere che z (x) =

0. La funzione z (x) raggiunge un massimo nella regione in cui sono concentrate particolarmente tante

dinastie dell’insieme vir (D), e scende allo zero lì, dove non ci sono i punti dell’insieme vir (D) (si

veda fig. 3.15).

Con ciò stesso il grafico della funzione z (x) mostra chiaramente come è precisamente distribuito

l’insieme delle dinastie virtuali vir (D) per lo spazio Rk, in altre parole, indica dove questo insieme

è “fitto”, “denso”, e dove è rado.

Ora siano date due dinastie:

a = (a1 ... ak) e b = (b1 ... bk)

Vogliamo valutare quanto esse siano vicine o lontane. Costruiamo il parallelepipedo kdimensionale

P’ (a, b) con centro nel punto a e avente in qualità di diagonale il vettore a-b (fig. 3.16).

Se si proietta il parallelepipedo P’ (a, b) sull’asse di coordinata i, si otterrà un segmento dalle

estremità

[ai - |ai - bi|, ai + |ai - bi|].

In qualità di coefficiente preliminare c’ (a, b) prenderemo il numero

È chiaro che il numero c’ (a, b) è un intervallo della funzione della densità z (x) del

parallelepipedo P’ (a, b).

Il senso di questo coefficiente preliminare c’ (a, b) è chiaro. È naturale chiamare le dinastie, cioè

i vettori di vir (D), finiti nel parallelepipedo P’ (a, b), “simili” alla dinastia “a” non meno che a “b”.

Di fatto, ciascuna di queste dinastie dista dalla dinastia a non più di quanto disti dalla dinastia a la

dinastia b. Di conseguenza, in qualità di misura di prossimità delle due dinastie a e b, prenderemo

quella quota di dinastie “simili” ad “a” non meno che a “b”, nell’insieme di tutte le dinastie vir (D).

Fig. 3.15. La funzione della densità indicante la distribuzione dei punti dell’insieme vir (D).

Fig. 3.16. I parallelepipedi P’ (a, b) e P (a, b).

Tuttavia questo coefficiente c’ (a, b) non è per il momento sufficientemente buono, poiché esso

non considera minimamente la circostanza che i cronisti hanno determinato la durata dei governi dei

re con una certa percentuale d’errore, peraltro tanto maggiore quanto più lunga è la durata del

governo. In altri termini dovremo considerare l’errore dei cronisti (3), discusso sopra.

Passiamo alla simulazione-modellazione dell’errore (3). Sia T la lunghezza di governo. È chiaro

che la lunghezza di governo può essere considerata come una variabile casuale, definita

sull’“insieme di tutti i re”. Indichiamo con g (T) il numero dei re che hanno governato T anni. Nel

lavoro [884] l’Autore di questo libro aveva calcolato sperimentalmente questo istogramma delle

frequenze g (T) (densità di distribuzione di detta variabile casuale) sulla base dei dati riportati nelle

“Tavole cronologiche” di Blair [76]. Sia h (T) = 1/g (T) e chiamiamo h (T) la funzione degli errori

dei cronisti. L’errore h (T) nella determinazione della durata T è tanto maggiore quanto con minore

probabilità la variabile casuale – ossia la durata di governo – assume il valore T. In altre parole,

piccole, “corte” durate di governo dei re si sottopongono meglio al calcolo dei cronisti. In questi casi

il cronista si sbaglia di poco. Al contrario, il cronista di solito calcola con grosso margine di errore

le durate di governo dei re più lunghe. Quanto più lunga è la durata di governo, tanto più grande è

l’errore che egli può compiere nel calcolarla.

La funzione degli errori h (T) per la densità indicata di probabilità di valore casuale (di durata di

governo) è stata definita sperimentalmente [884], c. 115. Suddividiamo il segmento [0, 100] dell’asse

T in 10 segmenti di uguale lunghezza, e precisamente: [0, 9], [10, 19], [20, 29], [30, 39], ... [90, 99].

Allora risulta che:

h (T) = 2, se T cambia da 0 a 19,

h (T) = 3, se T cambia da 20 a 29,

h (T) = 5 ([T/10]-1), se T cambia da 30 a 99

Qui con [] è indicata l’intera parte del numero (si veda fig. 3.17).

Consideriamo ora gli errori dei cronisti nella costruzione della “vicinanza” del punto a. A questo

fine allarghiamo il parallelepipedo P’ (a, b) fino al più grande parallelepipedo P (a,b), avente come

prima il centro nel punto a e avente come proiezioni ortogonali sulle coordinate dell’asse i segmenti

c con le estremità

[ai - |ai - bi| - h (ai), ai + |ai - bi| + h (ai)].

È chiaro che il parallelepipedo P’ (a, b) giace interamente all’interno del più grande

parallelepipedo P (a, b) (fig. 3.16). Diagonale di questo più grande parallelepipedo è il vettore a – b

+ h (a), dove il vettore h (a) appare come: h (a) = (h (a1), … h (ak)).

Fig. 3.17. La funzione degli “errori dei cronisti”, calcolata sperimentalmente.

Lo si può chiamare VETTORE DEGLI ERRORI DEI CRONISTI.

Abbiamo così modellato i tre tipi principali di errori fatti dai cronisti nel calcolo delle date dei

governi dei re. In qualità di coefficiente definitivo c (a, b), misurante la vicinanza o lontananza l’una

dall’altra delle due dinastie a e b, assumeremo il seguente numero:

È chiaro che il numero c (a, b) risulta l’integrale della funzione della densità z (x) del (sul)

parallelepipedo P (a, b).

In fig. 3.18 il numero c (a, b) viene convenzionalmente rappresentato con il volume di un prisma

avente in qualità di base il parallelepipedo P (a, b) e limitato dall’alto dal grafico della funzione z. Il

numero c (a, b) può essere interpretato, volendo, come una probabilità del fatto che un “vettore

dinastico” casuale, distribuito nello spazio Rk con la funzione della densità z, sia risultato a una

distanza dal punto a non superiore della distanza tra i punti a e b, considerando l’errore h (a). In altri

termini, il vettore “dinastico” casuale, distribuito con la funzione della densità z, è finito nella

vicinanza P (a, b) del punto a, avente “raggio” a - b + h (a).

Da quanto precede è evidente che il ruolo delle dinastie a e b nel calcolo del coefficiente c (a, b)

varia. La dinastia a è stata posta al centro del parallelepipedo P (a, b), mentre la dinastia b

determinava la sua diagonale. Certamente, si potevano “uguagliare nei diritti” le dinastie a e b, in

analogia al precedente coefficiente p (X, Y). Cioè, si possono scambiare le dinastie a e b, calcolare

il coefficiente c (b, a), e poi prendere la media aritmetica dei numeri c (a, b) e c (b, a). Non

l’abbiamo fatto per due ragioni. In primo luogo perché, come hanno dimostrato gli esperimenti

specifici, la sostituzione del coefficiente c (a, b) con la sua “simmetrizzazione” di fatto non cambia i

risultati ottenuti. In secondo luogo, in alcuni casi le dinastie a e b possono essere effettivamente

disuguali nel senso che una di esse può essere la dinastia originale mentre la seconda può esserne

solo il suo duplicato, la sua immagine riflessa fantasma. In questo caso è naturale porre al centro del

parallelepipedo la dinastia a, candidata al ruolo di “originale”, e per contro esaminare la “sua

immagine fantasma” b come “una perturbazione” della dinastia

a. Le differenze che emergono tra i coefficienti c (a, b) e c (b, a), per quanto piccole, possono servire

da materiale utile per ulteriori indagini, più sofisticate, che non abbiamo ancora effettuato.

Fig. 3.18. La rappresentazione del coefficiente c (a, b) in forma di volume di un “prisma”, cioè di integrale della funzione z (x)

per il parallelepipedo P (a, b).

Fig. 3.19. Il coefficiente c (a, b) permette di distinguere le coppie di dinastie dipendenti e indipendenti.

2.3. Il metodo di datazione delle dinastie reali e il metodo di individuazione dei

duplicati dinastici fantasma

Così, grazie al coefficiente c (a, b) si possono distinguere con sufficiente sicurezza le coppie

dipendenti e indipendenti di dinastie annalistiche. Un importante elemento sperimentale consiste nel

fatto che i cronisti si sbagliano “non troppo fortemente”. In ogni caso, i loro errori sono molto più

piccoli del valore che distingue le dinastie indipendenti. Ciò consente, nell’ambito dell’esperimento

fatto, di suggerire un nuovo metodo di riconoscimento delle dinastie annalistiche dipendenti e un

metodo di datazione delle dinastie sconosciute. Procedendo per analogia con il punto precedente

[2.4. non tradotto; N.d.T.] calcoliamo per la dinastia sconosciuta d il coefficiente c (a, d), dove a

indica le dinastie annalistiche note, già datate.

Supponiamo di aver trovato la dinastia a, per la quale il coefficiente c (a, d) è piccolo, cioè non è

maggiore di 10-8. Questo ci dà il motivo di affermare che le dinastie a e d sono dipendenti con la

probabilità di 1 - c (a, d), cioè le dinastie annalistiche a e d corrispondono evidentemente a una

stessa dinastia reale M, di cui è già conosciuta la datazione. Con ciò stesso datiamo la dinastia

annalistica d.

Questo metodo è stato verificato su dinastie medievali con datazione nota in anticipo. La validità

del metodo è stata pienamente confermata [904], [908].

Questo stesso metodo permette di scoprire nel “manuale scaligeriano di storia” i duplicati

fantasma. Nella fattispecie, se troviamo due dinastie annalistiche a e b, per le quali il coefficiente c

(a, b) non supera 10-8, ciò dà il motivo di presupporre di trovarci di fronte a due copie, due versioni

di descrizioni di UNA STESSA CONCRETA DINASTIA M, moltiplicatasi nelle pagine di cronache

diverse successivamente collocate in punti diversi del “manuale scaligeriano”.

Ribadiamo, ancora una volta, che qualsiasi conclusione o ipotesi che si appellano alla

“somiglianza” o “non somiglianza” delle dinastie, possono essere considerate sensate solo se sono

basate su un’ampia verifica numerica, simile agli esperimenti condotti da noi. Diversamente si fanno

strada delle nebulose considerazioni soggettive che non vale nemmeno la pena di discutere.

3. Il principio di smorzamento delle frequenze. Il metodo dell’allineamento dei

testi storici nel tempo

Il principio di smorzamento delle frequenze e il metodo che su di esso si basa sono stati proposti

dall’Autore in [884], [886], [888], [1129], [891], [895], [898], [901], [1130]. Questo metodo

permette di trovare il corretto ordine cronologico di singoli frammenti di testo e di scoprire in esso

dei duplicati sulla base dell’analisi, ad esempio, della totalità dei nomi propri in esso citati. Come

nei metodi precedenti, anche qui miriamo a elaborare un metodo di datazione, fondato su

caratteristiche QUANTITATIVE dei testi, più che su un’analisi semantica di essi, equivoca e vaga.

Se il documento cita dei personaggi “famosi”, a noi noti precedentemente, magari per essere stati

descritti in altre cronache, già datate, ciò permette di datare gli eventi descritti nel testo. Tuttavia, se

questa identificazione non è immediatamente possibile e se, inoltre, sono descritti eventi coinvolgenti

un gran numero di personaggi non conosciuti precedentemente, il compito di stabilire la coincidenza

tra essi e quelli noti si complica. Per brevità, definiremo un frammento di testo contenente gli eventi

di una generazione “capitolo-generazione”.

Stabiliremo che la durata media di questa “generazione” rappresenta la durata media del regno di

concreti re, fissati negli annali giunti fino a noi. Questa DURATA MEDIA DEL REGNO DEI RE è

stata calcolata dall’Autore sulla base dell’elaborazione delle tavole di Blair [76] ed è risultata pari a

17,1 anno [884].

Lavorando con testi storici reali, la rilevazione in essi di “capitoli-generazione” crea a volte dei

problemi. In questi casi ci siamo limitati a un’approssimata suddivisione dei testi in frammenti

successivi.

Sia X una cronaca che descrive gli eventi in un intervallo di tempo piuttosto ampio (A, B)

nell’arco del quale si sono succedute almeno alcune generazioni di personaggi. Sia X suddivisa in

“capitoli-generazione” X (T), dove T è il numero d’ordine delle generazione descritta nel frammento

X (T) nella stessa numerazione dei “capitoli” fissata nel testo.

La domanda che si pone è la seguente: quanto correttamente sono numerati, allineati nell’annale

questi “capitoli-generazione”? Ovvero, se la numerazione è andata perduta, come bisogna disporre

esattamente i capitoli nel tempo, l’uno rispetto all’altro? Per i testi storici reali, nella maggior parte

dei casi, si realizza la seguente “regola-formula”: nome completo = personaggio.

Questo significa quanto segue: sia l’intervallo di tempo descritto dal cronista, abbastanza grande,

supponiamo che consista di alcune decine o centinaia di anni. In questo caso, come abbiamo

verificato in seguito all’analisi di un gran numero di documenti storici, nella maggior parte dei casi,

PERSONAGGI DIVERSI hanno, nello stesso testo, NOMI COMPLETI DIVERSI. Il nome completo

può essere costituito da più parole, come Carlo il calvo. In altri termini, IL NUMERO DI PERSONE

DIVERSE CON NOMI COMPLETI UGUALI È SIGNIFICATIVAMENTE PICCOLO RISPETTO

ALLA QUANTITÀ DI TUTTI I PERSONAGGI.

Questo è risultato vero per tutte le centinaia di testi storici che abbiamo analizzato e che

contengono la descrizione di Roma, della Grecia, della Germania, dell’Italia, della Russia,

dell’Inghilterra ecc. In ciò non vi è nulla di sorprendente, infatti il cronista è interessato a distinguere

i vari personaggi per evitare di fare confusione e il modo più semplice per farlo è attribuire a

persone diverse nomi completi diversi. Questa semplice circostanza psicologica è confermata dai

calcoli.

Formuliamo ora il PRINCIPIO DI SMORZAMENTO DELLE FREQUENZE, che descrive

l’ordine cronologico esatto “dei capitoli-generazione”.

PASSANDO DALLA DESCRIZIONE DI UNA GENERAZIONE A UN’ALTRA IL CRONISTA

CAMBIA I PERSONAGGI. Più precisamente, nella descrizione delle generazioni, precedenti

alla generazione con il numero Q, non dice nulla dei personaggi di quest’ultima generazione,

non essendo essi ancora nati. Quindi, descrivendo la generazione Q, il cronista parla

soprattutto dei personaggi di questa generazione giacché ad essi sono legati gli eventi

descritti da lui. Infine, passando alla descrizione delle generazioni successive, il cronista

nomina sempre più raramente i personaggi precedenti essendo impegnato a rappresentare

eventi con protagonisti nuovi, subentrati agli altri già non esistenti.

È importante notare che qui intendiamo non nomi isolati, ma il serbatoio completo di tutti i nomi

utilizzati dalla generazione designata col numero Q.

In parole povere, il nostro modello si formula nel modo seguente. OGNI GENERAZIONE

GENERA NUOVI VOLTI STORICI, E AD OGNI CAMBIO GENERAZIONALE, CAMBIANO

ANCHE I VOLTI.

Nonostante l’apparente semplicità, questo principio ci è risultato molto utile al momento

dell’elaborazione del metodo di datazione. Il principio di smorzamento delle frequenze ha una

riformulazione equivalente. Dal momento che i personaggi vengono definiti quasi inequivocabilmente

con i loro nomi completi (nome = personaggio), ci basterà studiare il serbatoio di tutti i nomi

completi del testo. Conveniamo di tralasciare l’aggettivo “completo” e di sottintenderlo sempre nel

nostro discorso. Non solo, la maggior parte dei nomi storici è “semplice”, consistendo di un nome

solo, per questo, nell’elaborazione di grandi testi storici contenenti una riserva consistente di nomi,

si possono considerare, come mattoni, soltanto “i nomi elementari”, spezzando i rari nomi completi

nelle loro singole componenti.

Identifichiamo il gruppo di tutti i nomi comparsi per la prima volta nel testo, nel “capitologenerazione”

col numero Q. Conveniamo di definire questi nomi Q-nomi, e i personaggi che essi

designano come Q-personaggi. Designiamo con K (Q, Q) la quantità di tutte le citazioni (con i loro

multipli) di tutti questi nomi in un certo “capitolo”. Calcoliamo quindi quante volte questi stessi nomi

vengono nominati nel capitolo al numero T. Indicheremo la cifra ottenuta con K (Q, T). Così

operando, se uno stesso nome è menzionato più volte, ha cioè dei multipli, allora TUTTE queste

menzioni vengono contate. Costruiamo quindi un grafico, scrivendo in orizzontale il numero dei

“capitoli” e in verticale il numero K (Q, T), dove il numero Q è fisso mentre T cambia. Per ogni Q

otteniamo un grafico individuale. Il principio di smorzamento delle frequenze viene quindi formulato

nel modo seguente:

In presenza di una numerazione cronologicamente esatta dei “capitoli-generazione” ogni

grafico K (Q, T) deve avere il seguente aspetto: A SINISTRA DEL PUNTO Q IL GRAFICO È

UGUALE A ZERO, NEL PUNTO Q SI RAGGIUNGE IL MASSIMO ASSOLUTO POI LA CURVA

DECRESCE GRADUALMENTE CIOÈ SI SMORZA IN MODO PIÙ O MENO MONOTÒNO (si

veda fig. 3.20).

Fig. 3.20 Il grafico teorico “ideale” dello smorzamento delle frequenze.

Chiameremo “ideale” il grafico indicato in fig. 3.20. Il principio così formulato dovrà essere

verificato sperimentalmente. Se risulterà vero, e se “i capitoli” nell’annale risulteranno allineati

secondo l’esatto ordine cronologico, significa che tutti i grafici sperimentali dovranno essere vicini a

quello ideale. La verifica sperimentale che abbiamo eseguito ha pienamente confermato il principio

dello smorzamento delle frequenze [904], [908]. Riportiamo alcuni esempi tipici.

4. Applicazione del metodo ad alcuni testi storici concreti

ESEMPIO 1. Rimskaja istorija (La storia di Roma), tomi 1-6 di Tito Livio, Mosca, 1887-1889.

Tutti i grafici K (Q, T) per le parti della Storia che descrivono i periodi dal 750 al 500 a.C. e dal

510 al 293 a.C. sono risultati praticamente identici al grafico ideale. In altri termini, la maggior

parte dei nomi che compaiono per la prima volta nella descrizione di Tito Livio in qualcuna delle

generazioni, viene nominata più spesso da Tito Livio proprio nella descrizione di questa

generazione, mentre in seguito viene gradualmente dimenticata, dispersa.

Ne consegue che il principio di smorzamento delle frequenze trova conferma, e l’ordine relativo

dei “capitoli-generazione” all’interno delle parti indicate della Storia di Tito Livio è, con tutta

probabilità, cronologicamente giusto. Al contrario, facendo un confronto tra le due parti citate del

testo di Tito Livio tra di loro, si scopre che qui il principio di smorzamento delle frequenze NON

SI REALIZZA. Ciò può essere indice del fatto che all’interno della Storia di Tito Livio esistono

duplicati e ripetizioni.

ESEMPIO 2. Il Liber Pontificalis [196], (si veda la pubblicazione del libro di T. Mommsen

Gestorum Pontificum Romanorum, 1898). Si tratta di un famoso libro sui papi di Roma.

Suddividiamolo in parti, contenenti le descrizioni dei seguenti periodi:

1. 300-560 d.C.

2. 560-900 d.C.

3. 900-1250 d.C.

4. 1250-1500 d.C.

Risulta che tutti i grafici di frequenza K (Q, T) per i testi sopra citati 1-4 coincidono praticamente

con il grafico ideale, fatto che conferma il principio di smorzamento delle frequenze e la validità

della disposizione relativa dei “capitoli” all’interno di ognuno dei frammenti storici elencati.

Rileviamo una delle conseguenze dell’esperimento verificato. Per intervalli di tempo piuttosto

consistenti, a quanto risulta, NON C’ERA “LA MODA DEI NOMI ANTICHI”. Fatto di per sé non

evidente. Certo, SINGOLI nomi antichi vengono usati anche oggi, si pensi a Pietro, Maria ecc.

Tuttavia, come abbiamo scoperto, o questi nomi non risultano completi o la percentuale di questi

“nomi antichi sopravvissuti” È MOLTO PICCOLA rispetto ALLA GRANDE MASSA DEI NOMI “IN

VIA DI ESTINZIONE”. La presenza di nomi antichi “sopravvissuti” sta a significare che i grafici

sperimentali K (Q, T) cadono nel movimento da sinistra a destra non fino allo zero ma fino a una

certa costante non pari allo zero.

[ESEMPIO 3]

ESEMPIO 4. F. Gregorovius, Istorija goroda Rima v srednie veka (Storia della città di Roma nel

Medioevo), tomi 1-6, Sankt-Peterburg 1902-1912. Da questo testo sono stati estrapolati dei brani

descriventi i periodi:

1. 300-560 d.C.

2. 560-900 d.C.

3. 900-1250 d.C.

4. 1250-1500 d.C.

Ognuno dei frammenti è stato suddiviso in “capitoli-generazione”, all’interno dei quali abbiamo

messo in rilievo tutti i nomi propri e seguito la frequenza delle loro menzioni. Il serbatoio

completo di nomi conta qui alcune decine di migliaia di citazioni. Il principio di smorzamento

anche qui è risultato valido e l’allineamento dei “capitoli” in ognuno dei testi 1-4 è

cronologicamente valido.

Un risultato analogo è stato ottenuto con la monografia di F. Kohlrausch Istoria Germanii (La

storia della Germania) tomi 1-2, Mosca 1860, all’interno della quale sono stati studiati i

frammenti relativi ai periodi:

1. 1600-1000 d.C.

2. 1000-1273 d.C

3. 1273-1700 d.C.

[…]

5. Il principio di duplicazione delle frequenze. Il metodo di rilevamento dei

duplicati

Il presente metodo è in un certo senso un caso particolare del precedente, ma considerando la sua

importanza ai fini della datazione, abbiamo deciso di dedicare ad esso un capitolo singolo. Questo

metodo è stato proposto da A.T. Fomenko in [884], [886], [888], [1129], [891], [895], [898], [901],

[1130].

Sia l’intervallo di tempo (A, B) descritto nell’annale X, suddiviso in “capitoligenerazione” X (T).

Siano essi generalmente numerati in modo cronologicamente corretto MA SUPPONIAMO CHE TRA

ESSI VI SIANO DUE DUPLICATI, cioè due “capitoli” che descrivano la stessa generazione e che si

doppino, ripetano l’un l’altro. Consideriamo una situazione semplicissima, quando uno stesso

“capitolo” si incontra nell’annale X esattamente due volte, precisamente con il numero Q e il numero

R. Supponiamo che Q sia inferiore di R. Il nostro metodo permette di individuare e identificare

questi duplicati. Di fatto è chiaro che i due grafici di frequenza K (Q, T) e K (R, T) hanno l’aspetto

mostrato in fig. 3.21.

Il primo grafico evidentemente non soddisfa il principio di smorzamento delle frequenze, per

questo bisogna risistemare “i capitoli” all’interno dell’annale X per ottenere una migliore

corrispondenza al grafico ideale, teorico. Tutti i numeri K (R, T) sono pari allo zero, giacché nel

“capitolo” X (R) non c’è alcun “nuovo nome”, tutti erano già apparsi in X (Q). È chiaro che la

miglior coincidenza con il grafico ideale riportato in fig. 3.20 si otterrà quando giustapporremo i due

duplicati o semplicemente li identificheremo.

Fig. 3.21. Aspetto dei grafici di frequenza in caso di presenza di una coppia di duplicati.

Fig. 3.22. Aspetto approssimativo della matrice di frequenza relativa a Istorija Florencii (La storia di Firenze) di Machiavelli.

Sono evidenti i duplicati-ripetizione.

Ebbene, se tra “I capitoli” dell’annale, generalmente numerati correttamente, si individuano due

“capitoli” i cui grafici hanno all’incirca l’aspetto dei grafici riportati in fig. 3.21, questi “capitoli”

con tutta probabilità risulteranno dei duplicati, cioè parleranno all’incirca degli stessi avvenimenti e

dovranno pertanto essere considerati identici. Quanto detto si estende anche ai casi in cui si

individuano vari duplicati, tre e più.

Anche questo metodo è stato verificato su materiale sperimen-tale. In qualità di semplice esempio

è stata presa in esame l’edizione del 1973 de Istorija Florencii (La storia di Firenze), Leningrado,

di Niccolò Machiavelli, corredata da un ampio commento. È chiaro che il commento può essere

considerato come una serie di “capitoli”, duplicanti il testo fondamentale di Machiavelli. Il testo

fondamentale è stato suddiviso in “capitoli-generazione”, fatto che ha permesso di costruire la

matrice di frequenze quadrata KT, estesa anche al commento relativo a La Storia di Firenze. Questa

matrice ha l’aspetto convenzionalmente riprodotto in fig. 3.22, dove i segmenti obliqui in neretto

sono composti da quadretti riempiti di massimi.

Ciò significa che il nostro metodo individua con successo i duplicati conosciuti, in questo caso il

commento al testo fondamentale de La storia di Firenze di Machiavelli.

6. Il metodo dei questionari-codice. Confronto di due lunghi flussi di biografie

reali

Questo metodo è stato elaborato e proposto dall’Autore di questo libro in [884] e [885].

Nella storia secondo la versione di Scaligero sono diffusi prestiti e stereotipi usati, per esempio,

nella descrizione dei regnanti. Si ritiene che i cronisti a volte attribuissero ai governanti loro

contemporanei delle qualità o delle imprese di fatto appartenenti ad altri regnanti, morti da tempo. La

storia scaligeriana ci assicura che questo tipo di strana attrazione per “i vecchi tempi”, cui

soccombevano i cronisti, fosse ampiamente diffusa e cioè che, non sapendo presumibilmente nulla di

fondato sulla vita dei re loro contemporanei, i cronisti si sarebbero arrangiàti molto semplicemente,

caricando i loro re di “biografie altisonanti”, di fatto relative a grandi governanti morti da tempo e su

cui sapevano molto di più che non dei loro stessi contemporanei. Il fatto è già di per sé strano. È

probabile che casi del genere fossero effettivamente avvenuti, ma è altrettanto probabile che essi

fossero una rarità, non una norma. Le nostre ricerche hanno dimostrato che questo strano “effetto

scaligeriano” è degno di attenzione, giacché esso lascia intravvedere qualcosa di più serio che non

un banale “amore dei cronisti verso stereotipi letterari”.

Per l’individuazione e lo studio di questi stereotipi, ripetizioni e duplicati, abbiamo introdotto il

concetto di QUESTIONARI-CODICE o BIOGRAFIA FORMALIZZATA [904] [908]. Premettiamo

che un certo governante concreto, venendo descritto negli annali, acquista con ciò stesso

“un’agiografia storico-annalistica” che potrebbe anche non aver nulla a che vedere con la sua reale

biografia e che potrebbe anche avere tutte le caratteristiche della leggenda. Non abbiamo qui

intenzione di discutere quanto esattamente la biografia annalistica di un re rifletta la realtà, tanto più

che questa realtà passata oggi non ci è più nota e per questo è improbabile che si possano ripristinare

le autentiche biografie di personaggi antichi. E del resto non ne abbiamo bisogno. Il nostro fine è un

altro, più precisamente cercare di individuare, tra la moltitudine di testi biografici, quelli tra essi che

descrivono di fatto UNA STESSA PERSONA, ma che essendo stati scritti da persone diverse non

sono stati riconosciuti dai più tardi cronisti e cronologisti medievali come biografie di uno stesso

personaggio e per questo motivo sono stati da essi collocati in settori diversi del “manuale

scaligeriano di storia”. E persino in epoche storiche diverse, come se si trattasse di biografie di

persone completamente diverse. È così che un personaggio concreto, alla fine, “si è moltiplicato”,

(ma solo sulla carta!) e ha dato origine a una serie DI SUE IMMAGINI RIFLESSE FANTASMA.

Sulla base dello studio di un gran numero di biografie storiche abbiamo elaborato un database,

una tabella, denominata questionario-codice (QC). Il “questionario” riordina gerarchicamente i fatti

della “biografia” a misura della diminuzione delle invarianti relativamente alle valutazioni soggettive

dei cronisti. Il QC è costituito da 34 punti, ognuno dei quali contiene a sua volta dei sotto-punti:

1.

SESSO:

a. maschile;

b. femminile.

2. DURATA DELLA VITA

3.

DURATA DEL PERIODO DI GOVERNO:

la fine del governo di norma è fissata inequivocabilmente, e di solito corrisponde alla morte

del re. L’inizio del governo presenta invece più varianti (si veda sotto). Tutte le varianti

sono considerate come aventi pari diritto.

4.

STATUS SOCIALE E CARICA OCCUPATA:

a. zar, imperatore, re;

b. condottiero;

c. esponente politico, uomo pubblico;

d. uomo di scienza o di cultura, scienziato, scrittore ecc.;

e. capo religioso, papa, vescovo.

5.

MORTE DEL REGNANTE:

a. morte naturale in un contesto di pace;

b. ucciso o mortalmente ferito dai nemici sul campo di battaglia;

c. ucciso in un complotto, senza guerra;

d. ucciso in un complotto, in un contesto di guerra;

e. circostanze di morte “esotiche”, particolari.

6.

CALAMITÀ NATURALI O SCIAGURE DURANTE IL REGNO:

a. carestia;

b. alluvioni, inondazioni;

c. epidemie;

d. terremoti;

e. eruzioni vulcaniche (qui si considera la durata dell’evento catastrofico e l’anno e gli anni in

cui ha/hanno avuto luogo).

7.

FENOMENI ASTRONOMICI NEL PERIODO DEL REGNO:

a. hanno avuto luogo (quali precisamente, con l’indicazione della data);

b. non hanno avuto luogo;

c. eclissi;

d. comete;

e. “esplosioni di stelle”.

8.

GUERRE E CONFLITTI DURANTE IL PERIODO DI REGNO:

a. hanno avuto luogo;

b. non hanno avuto luogo.

9. G = NUMERO DI GUERRE.

10.

PRINCIPALI CARATTERISTICHE TEMPORANEE DELLE GUERRE G1, ..., Gp. E

precisamente, ak = in quale anno di regno ha avuto luogo o è cominciata la guerra Gk; ck,X =

distanza temporale dalla guerra Gk alla guerra GX.

11.

“FORZA”, “TENSIONE” della guerra Gk, conformemente all’annale, per ogni numero “k”:

a. forte;

b. debole. Più precisamente, in quante righe è stata descritta una certa guerra in un

determinato annale.

12.

NUMERO DEI PARTECIPANTI ALLA GUERRA Gk E SCHEMA DELLE LORO

INTERRELAZIONI:

alleati, nemici, forze neutrali, intermediari ecc.

13.

LOCALIZZAZIONE GEOGRAFICA DELLA GUERRA Gk:

a. vicino alla capitale;

b. all’interno dello Stato;

c. extra-territorio dello Stato, guerra esterna, dove precisamente;

d. guerra interna ed esterna contemporaneamente.

14.

RISULTATO DELLA GUERRA:

a. vittoria;

b. sconfitta;

c. esito indeterminato.

15.

ACCORDI DI PACE:

a. firma di un trattato di pace in un contesto di esito indeterminato;

b. firma di un trattato di pace dopo una sconfitta.

16.

CONQUISTA DELLA CAPITALE:

a. capitale conquistata;

b. capitale non conquistata.

17.

DESTINO DEL TRATTATO DI PACE:

a. non rispettato (da chi);

b. rispettato durante il periodo di regno.

18. CIRCOSTANZE DELLA CONQUISTA, DELLA CADUTA DELLA CAPITALE.

19. SCHEMA DEI PERCORSI DELLE SPEDIZIONI MILITARI DURANTE LA GUERRA.

20.

PARTECIPAZIONE DEL REGNANTE ALLA GUERRA:

a. partecipazione;

b. non partecipazione.

21.

COMPLOTTI DURANTE LA VITA DEL REGNANTE:

a. avvenuti;

b. assenti.

22. LOCALIZZAZIONE GEOGRAFICA DEI COMPLOTTI, DEI CONFLITTI, DELLE

RIVOLUZIONI.

23. NOME DELLA CAPITALE (e sua traduzione in lingue diverse).

24. NOME DELLO STATO E DEL POPOLO (con traduzione in lingue diverse).

25. LOCALIZZAZIONE GEOGRAFICA DELLA CAPITALE.

26. LOCALIZZAZIONE GEOGRAFICA DELLO STATO.

27.

ATTIVITÀ LEGISLATIVA DEL REGNANTE:

a. riforme e loro carattere;

b. pubblicazione di un nuovo corpus di leggi;

c. restaurazione di vecchie leggi, precisare quali.

28. ELENCO DI TUTTI I NOMI DEI REGNANTI (con traduzione in lingue diverse).

29. APPARTENENZA ETNICA DEL REGNANTE (nonché dei membri della sua famiglia.

Composizione della famiglia).

30. APPARTENENZA ETNICA DEL POPOLO, DELLE TRIBÙ, DEL CLAN.

31. FONDAZIONE DI NUOVE CITTÀ, CAPITALI ECC.

32.

SITUAZIONE RELIGIOSA:

a. introduzione di una nuova religione;

b. lotta di sette, precisare quali;

c. rivoluzioni e guerre di religione;

d. assemblee ecclesiastiche, riunioni religiose.

33. LOTTA DINASTICA ALL’INTERNO DEL CLAN DEL REGNANTE (uccisione di parenti,

nemici, pretendenti al trono ecc.).

34. VARI ED EVENTUALI FATTI DELLA “BIOGRAFIA”. (Non differenzieremo in modo

dettagliato questi fatti, e generalizzeremo questo punto 34 definendolo “resto della biografia”).

Designeremo le voci elencate QC-1, QC-2, ..., QC-34. In questo modo, ogni “biografia

annalistica” si potrà registrare in forma di “questionari”, aventi anche delle voci vuote nel caso in cui

le informazioni a proposito fossero assenti. Supponiamo che una certa dinastia concreta sia stata

descritta in un determinato annale. Numeriamo i regnanti e, sulla base dell’annale, compiliamo per

ognuno di essi un questionario-codice QC. Otterremo così una sequenza di questionaricodice che

chiameremo FLUSSO DEI QUESTIONARI-CODICE DELLA DINASTIA. Siccome una stessa

dinastia concreta può essere descritta in annali diversi, può essere rappresentata da flussi diversi di

questionari-codice.

Come possiamo sapere se due diversi annali descrivono una stessa concreta dinastia o se le

descrizioni in essi contenute fanno riferimento a dinastie effettivamente diverse? Se negli annali sono

indicate le durate del regno dei re, si può applicare il metodo del riconoscimento delle dinastie

annalistiche, sopra esposto. Tuttavia, se questi dati numerici risultano assenti, il compito si complica.

E allora, come si potrebbe individuare una stessa concreta dinastia di regnanti, nella moltitudine di

tutti i flussi di questionari-codice? Per risolvere questo problema abbiamo elaborato un metodo

basato su un principio analogo a quello delle “piccole alterazioni dinastiche”, che nel caso concreto

viene formulato nel modo seguente:

Se i flussi dei questionari-codice di due dinastie SI DIFFERENZIANO “POCO” L’UNO

DALL’ALTRO, allora rappresentano LA STESSA CONCRETA DINASTIA. Se due flussi di

questionari-codice rappresentano DIVERSE DINASTIE, questi flussi di questionari-codice

“SONO LONTANI L’UNO DALL’ALTRO”.

Come si possono confrontare i flussi di questionari-codice di due dinastie e rispondere alla

domanda: “Si assomigliano” o no? E, se “si assomigliano”, che grado di somiglianza presentano?

Siano QC e QC’ i questionari-codici di due regnanti appartenenenti a dinastie diverse e aventi lo

stesso numero ordinale nella propria dinastia. Confrontiamo i due questionari-codici citati in ogni

loro voce [usiamo qui il termine “voce” per indicare i punti 1-34 sopra elencati e per distinguerli dai

“punti” del punteggio di cui ora si tratta; in russo i termini (“punkt” - “ball”) sono diversi e

inequivocabili, in italiano, dove i termini coincidono, è risultato necessario ricorrere alla

disambiguazione (“voce” - “punto”); N.d.T.]. Misureremo in punti la divergenza tra le voci.

Fisseremo punti differenti per voci differenti, a seconda della loro importanza e della quantità di

“invarianti” dei “fatti biografici” messi a confronto, rispetto alle valutazioni soggettive dei cronisti.

In seguito alla sperimentazione con “biografie annalistiche” concrete, abbiamo estrapolato il seguente

sistema di punteggio, che consente di individuare più rapidamente le possibili dipendenze:

• Per le voci 1-10, a eccezione della voce 3 (cioè del periodo di durata del regno), useremo i punti:

0, +1, -1.

• Per le voci 11-21 utilizzeremo i punti: 0, + ½, - ½.

• Per le voci 22-33 utilizzeremo i punti: 0, + ⅓, - ⅓.

Mettendo a confronto le voci dei questionari-codici, sono possibili tre casi. Li illustreremo sulla

base dell’esempio delle voci al numero 5, cioè QC-5, “circostanze della morte del regnante”.

a. Le informazioni messe a confronto COINCIDONO, per esempio, sia in QC sia in QC’ è detto che

entrambi i re descritti nei testi messi a confronto sono morti di morte naturale. In questo caso a

questa coppia di voci abbiamo attribuito il punto +1 (coincidenza). Conveniamo di trascrivere

questa informazione nel modo seguente: E5 = +1.

b. Le informazioni confrontate CHIARAMENTE NON CONCIDONO, SI CONTRADDICONO. Per

esempio in QC è detto che il re è morto di morte naturale, mentre in QC’ è scritto che il re è stato

ucciso in seguito a un complotto. In questo caso attribuiamo ai testi il punto -1 (contraddizione),

che converremo di trascrivere nel modo seguente: E5 = -1.

c. I testi paragonati sono neutri, cioè né coincidono né si contraddicono. Per esempio in QC si dice

che «il re è morto», mentre in QC’ si scrive che «il re è stato ucciso». Qui il punteggio sarà 0,

cioè: E5 = 0.

Pertanto, per ogni coppia di voci con il numero i (questionari-codice confrontati), otterremo un

certo numero Ei. Di conseguenza, per la coppia di questionari-codice QC e QC’ relativi a due

regnanti messi a confronto possiamo calcolare la somma di tutti i numeri Ei ottenuti:

f (QC, QC’) = E1 + E2 + E4 + E5 + ... + E33.

Ricordiamo che in questa analisi trascuriamo il coefficiente E3, giacché per il confronto delle

durate di regno abbiamo elaborato un altro metodo, dettagliatamente esposto sopra.

Gli esperimenti con questionari-codice concreti hanno dimostrato che in molti casi il valore del

coefficiente Ei dev’essere assunto pari allo zero, poiché molto spesso le informazioni relative a due

re, messe a confronto, non coincidono e non si contraddicono. Con ciò stesso aumenta il ruolo di +1 e

-1, quando compaiono. È risultato inoltre che, nella maggior parte dei casi, occorre assumere E34 = 0.

Il fatto è che di solito, confrontando “il resto delle biografie” dei due re, emerge che eventuali altre

informazioni secondarie sono a tal punto di carattere diverso che risulta addirittura difficile

giustapporle. Per esempio, di un re, nel “resto della biografia” QC-34 si dice che amava l’arte e

addirittura si dilettava di canto, mentre dell’altro re si scrive che aveva i capelli neri. Si tratta di dati

che si possono tenere presenti, ma che è assurdo confrontare. In questi casi sarebbe logico assumere

E34 pari allo zero.

Siano ora date due dinastie annalistiche a e b, ognuna delle quali formata da k re successivi.

“Compilando per ognuno di loro un questionario”, cioè componendo per ogni re il suo questionariocodice

identificativo, otteniamo una sequenza, un flusso di questionari-codici QC1, QC2, QC3, ...,

QCk per la dinastia a, e un’altra sequenza, un altro flusso di questionari-codice QC’1, QC’2, QC’3, ...,

QC’k per la dinastia b. È logico chiamare la successione dei questionari-codice dei re (QC1, QC2,

QC3, ..., QCk) FLUSSO DEI QUESTIONARI-CODICE DELLA DINASTIA a, designandola QC (a).

Analogamente, definiremo la sequenza dei “questionari dei re” (QC’1, QC’2, QC’3, ..., QC’k)

FLUSSO DEI QUESTIONARICODICE DELLA DINASTIA b, che designeremo con QC (b).

In altre parole, il flusso dei questionari-codice di una dinastia è semplicemente la sequenza dei

questionari-codice dei re, regnanti effettivi, che la compongono.

Ora vogliamo confrontare i flussi dei questionari-codici QC (a) e QC (b) delle due dinastie a e b.

Per ogni coppia di questionari-codice confrontati calcoliamo il coefficiente f (QCi, QC’i). Finalmente

possiamo definire il numero

e (a, b) = 1/k (f (QC1, QC’1) + f (QC2, QC’2) + ... + f (QCk, QC’k))

cioè, detto più semplicemente, la media aritmetica di tutto i coefficienti f (QCi, QC’i). In altre parole,

passo dopo passo confronteremo ogni coppia di regnanti successivi appartenenti alle due dinastie

messe a confronto, calcoleremo per ogni coppia “la misura (il grado) di vicinanza” f (QCi, QC’i),

dopodiché prenderemo la media aritmetica per tutti i re della dinastia.

In questo modo, la vicinanza o la lontananza l’uno dall’altro dei flussi di questionari-codice delle

due dinastie a e b si potrà valutare con la coppia di numeri (c (a, b), e (a, b)), dove il coefficiente c

(a, b) = PCCD (Probabilità di Coincidenza Casuale delle Dinastie) sopra descritto.

Trascureremo qui la descrizione degli esperimenti numerici con il confronto dei flussi dei

questionari-codice delle dinastie annalistiche e ne comunichiamo solo il risultato, cioè il fatto che il

metodo sopra descritto permette di distinguere in modo sufficientemente sicuro “i questionari-codice

dipendenti”, da quelli “indipendenti” (per dettagli si vedano [904], [908], [884]). La verifica

sperimentale ha confermato la fedeltà al principio delle piccole alterazioni anche in questo caso. È

RISULTATO che i flussi di questionari-codice rappresentanti una stessa dinastia si differenziano tra

di loro in maniera significativamente inferiore rispetto ai questionari-codici descriventi dinastie

concrete diverse È chiaro che ciò permette di datare i flussi dei questionari-codice delle dinastie

seguendo lo schema descritto sopra.

Più sotto riportiamo degli esempi concreti di flussi dipendenti di questionaricodice relativi ad

alcune coppie di dinastie-duplicati. Questo materiale di confronto è estremamente utile poiché

dimostra quanto è a volte evidente e palese la circostanza di trovarsi di fronte a due duplicati, più

semplicemente a due diverse descrizioni annalistiche di una stessa dinastia concreta.

In conclusione ci soffermeremo su un’altra importante circostanza. Il metodo di confronto di

questionari-codice sopra descritto risulta essere non semplicemente “un tributo alla moda statistica”,

ma uno strumento estremamente efficace di ricerca. Va sottolineato che il metodo è finalizzato al

confronto di due lunghe sequenze di biografie, per esempio si possono confrontare venti biografie

consecutive di re appartenenti a una stessa dinastia con venti biografie consecutive di re appartenenti

a un’altra dinastia (si vedano esempi riportati più avanti).

La conclusione sulla dipendenza di due dinastie si potrà fare solo sulla base della vicinanza

di due “lunghi flussi di biografie”.

Notiamo che la vicinanza o “la somiglianza” di solo due biografie singole e isolate relative a

personaggi storici non può dare informazioni su una potenziale duplicazione cronologica. Non è un

gran lavoro selezionare un paio di “biografie simili” relative a due diverse personalità a noi

contemporanee, estraendo dalle loro vite fatti vicini e addirittura stupefacentemente simili, anzi, di

“fatti simili” se ne possono trovare molti. D’altra parte è fuor di dubbio che avanzare delle

conclusioni cronologiche su queste basi non è possibile, giacché queste coincidenze possono essere

semplicemente un gioco del destino. Tutt’altra cosa è individuare DUE LUNGHE SEQUENZE

VICINE, DUE LUNGHI “FLUSSI” DI BIOGRAFIE INCREDIBILMENTE SIMILI.

Quando il metodo statistico formale “pesca”, nel “mare magnum” dei documenti antichi una

coppia di “lunghi flussi di biografie simili”, dove “la somiglianza” non è stata attribuita “a occhio e

croce” ma grazie all’aiuto di metodi formali, allora diventa evidente che ci si trova di fronte a un

fenomeno di gran lunga più serio. Tanto più che i nostri metodi permettono, seppur in modo

grossolano, di valutare la probabilità di quanto casuale sia “la vicinanza”. Se risulta che la

probabilità di coincidenza casuale è bassa, ciò rafforza i sospetti di trovarsi di fronte “alla

moltiplicazione” di una stessa dinastia concreta descritta in annali diversi.

Sottolineiamo ancora una volta il fatto che in tutti gli esempi di coppie di dinastie dipendenti a e

b, da noi individuate e la cui vicinanza ci apprestiamo a dimostrare, è stata inequivocabilmente

seguita una circostanza importante. Sia per esempio a una dinastia romana, e b una dinastia

germanica. Risulta che: la biografia del primo re romano “è simile” alla biografia del primo re

germanico; la biografia del secondo re romano è stranamente “somigliante” a quella del secondo re

germanico, la biografia del terzo re romano è stranamente “somigliante” a quella del terzo re

germanico e così via, fino ad arrivare alla fine di tutta la dinastia, formata da quindici o venti re. Va

notato inoltre che in tutto ciò, all’interno della stessa dinastia romana (così come all’interno di quella

germanica) le biografie dei singoli re risultano essere assai individuali e non somigliantisi l’una con

l’altra. Vale a dire che, tra 15 o 20 biografie di re germanici non vi è una coppia di “simili”, mentre

invece il flusso di biografie romane risulta incredibilmente “simile” al flusso di quelle germaniche.

Se questa somiglianza, valutata statisticamente, risulta “assai forte”, significa che ci troviamo di

fronte a una coppia di dinastie-duplicato e al contempo di fronte a una seria contraddizione

all’interno della versione scaligeriana della storia.

7. Il metodo del giusto allineamento cronologico e della datazione di antiche carte

geografiche

In [908], [904] ho proposto anche un metodo finalizzato al giusto allineamento cronologico della

carte geografiche antiche. Ogni carta geografica è espressione dello stato di conoscenza in cui si

trovava la scienza sulla terra all’epoca in cui tale carta fu prodotta. È chiaro che, man mano che si

evolvevano le conoscenze scientifiche, le carte venivano migliorate, cioè LA QUANTITÀ DI

INFORMAZIONI GEOGRAFICHE SBAGLIATE ANDAVA VIA VIA DIMINUENDO, MENTRE LA

QUANTITÀ DI INFORMAZIONI ESATTE ANDAVA VIA VIA AUMENTANDO.

Sulla base dello studio di concrete carte geografiche del passato abbiamo elaborato un database

per le carte, che permette di rappresentare in forma di tabella identificativa (analoga al QC di cui

sopra) ogni carta rappresentata graficamente o descritta verbalmente. Abbiamo convenzionalmente

chiamato questo “formulario” carta-codice. Esso risponde agli stessi criteri indicati per il QC e

consta di alcune decine di voci, indici. Riportiamo qui solo l’inizio della tabella:

1. ASPETTO DELLA CARTA:

a. globo;

b. planisfero (mappamondo).

2. “SCALA” DELLA CARTA:

a. carta del mondo;

b. carta regionale (di una singola area, precisare quale).

3. IN CASO DI PLANISFERO OCCORRE INDICARE I SEGUENTI PARAMETRI:

a. struttura dei “confini del mondo” (acqua, terraferma ecc.);

b. collocazione dei poli, dell’equatore, dei tropici, delle fasce climatiche.

4. ORIENTAMENTO DELLA CARTA, CIOÈ USO DEI SEGUENTI TERMINI:

a. denominazione dei punti cardinali (nord, sud ecc.);

b. termini “più in alto”, “più in basso” ecc.;

c. posizione del nord nella carta (in alto o in basso), posizione dell’est nella carta (a destra o a

sinistra).

5. RAPPRESENTAZIONE O DESCRIZIONE DEI MARI NELL’ASPETTO SEGUENTE:

a. “fiumi», cioè stretti canali;

b. vasti bacini idrici.

6. ELENCO DEI PRINCIPALI BACINI IDRICI:

a. oceani;

b. mari;

c. laghi;

d. fiumi.

7. PER OGNI BACINO IDRICO:

a. il suo nome, in traduzione;

b. caratteristica descrittiva o visiva della forma del bacino, direzioni della corrente ecc.

La misura geografica di ogni regione descritta in una carta-codice (mare ecc.) non dev’essere

troppo grande, per poter poi intervenire, al momento del confronto delle une con le altre, al fine di

indebolire la possibile influenza di varie proiezioni alteranti, utilizzate dai cartografi nell’esecuzione

delle carte piane. La verifica sperimentale da me condotta negli anni 1979-1980 ha permesso di

formulare e confermare il seguente PRINCIPIO DEL MIGLIORAMENTO DELLE CARTE

GEOGRAFICHE.

Se è data una sequenza ordinata in modo cronologicamente esatto di carte geografiche, nel

passaggio dalle vecchie carte a carte più nuove avvengono i seguenti processi:

a. le caratteristiche INESATTE, cioè non corrispondenti alla geografia reale, SPARISCONO E

NON COMPAIONO PIÙ nelle carte geografiche. In altri termini, “GLI ERRORI SULLE

CARTE NON SI RIPETONO”;

b. una caratteristica ESATTA comparsa sulla carta, per esempio la presenza di uno stretto, di un

fiume o la delineazione più corretta di un fiume SI FISSA E SI MANTIENE IN TUTTE LE

CARTE SUCCESSIVE. Ossia: LE INFORMAZIONI GIUSTE NON VENGONO

DIMENTICATE.

In funzione del ruolo che hanno sempre avuto le carte nella pratica nautica e militare, questo

principio del loro miglioramento è pienamente comprensibile. Esso riflette semplicemente le

necessità sostanziali della pratica. Il principio da noi formulato è stato verificato secondo lo schema

dei punti precedenti. Si fissi un certo allineamento delle carte, poi, per ogni numero Q costruiamo un

grafico delle frequenze L (Q, T), dove il numero L (Q, Q) è uguale al numero delle caratteristiche

geografiche comparse per la prima volta nella carta con il numero Q, mentre il numero L (Q,T)

mostra quante di esse è rimasto sulla carta con il numero T.

Bisognerà riconoscere e intendere l’allineamento delle carte come CRONOLOGICAMENTE

GIUSTO se tutti i grafici L (Q, T) saranno vicini al grafico ideale, smorzantesi (si veda fig. 3.20), e,

invece, riconoscerlo come non corretto nel caso contrario. Nella fattispecie le carte visivamente

simili risultano vicine anche nel tempo. Ogni epoca storica è caratterizzata, come si vede, da un suo

proprio e unico assortimento di carte. La verifica del principio è stata ostacolata dal fatto che fino ai

giorni nostri sono pervenute poche carte autenticamente antiche. Ciononostante siamo riusciti a

raccogliere un numero di carte sufficiente per permettere di verificare il nostro modello teorico.

In questo lavoro è emerso peraltro che la successione delle carte medievali cominciò nei secoli

XI-XII CON CARTE ASSOLUTAMENTE PRIMITIVE molto lontane dalla realtà. In seguito la

qualità delle carte venne migliorata, in modo più o meno monotono, fino a raggiungere, nel XVI

secolo, un livello di precisione tale da rendere le carte e i globi del tempo piuttosto veritieri. È

comunque da notare che questo miglioramento della qualità si è prodotto in tempi piuttosto lunghi.

Le conoscenze geografiche nell’Europa del XVI secolo d.C. erano ancora molto lontane da quelle

contemporanee. Nella carta del 1522 composta da Occupario e conservata presso il Museo Storico

di Stato di Mosca, l’Europa e l’Asia sono rappresentate in proporzioni notevolmente diverse da

quelle moderne. Nella fattispecie, la Groenlandia è rappresentata come una penisola europea, la

penisola scandinava figura come una striscia di terra allungata, i golfi del Bosforo e di Dardanelli

hanno un aspetto allargato e ingrandito, il mar Nero presenta una distorsione in verticale, il mar

Caspio è allungato orizzontalmente ed è letteralmente irriconoscibile ecc.

L’unica area rappresentata in modo più o meno veritiero è la costa mediterranea, anche se la

Grecia è descritta in forma di triangolo, senza il Peloponneso. Le indicazioni etnografiche nella carta

di Occupario e in altre carte del tempo sono ancora più lontane da quelle fissate dalla storia di

Scaligero. Per esempio, la Dacia è collocata in Scandinavia, l’Albania è sulla costa del mar Caspio,

la Gottia (il probabile territorio dei Goti) è localizzata nella penisola scandinava. La Cina è assente,

al nord della Siberia leggiamo Judei ecc. Anche la carta di Wilheimo Bernardo Cornelius Nikolai del

1598 pecca di analoghe imperfezioni, ma in misura minore. Infine, il globo del XVII secolo,

conservato presso il Museo storico di Stato, riflette la realtà già piuttosto bene.

Il metodo sopra descritto permette di datare le carte, comprese quelle “antiche”, seguendo lo

schema indicato. I risultati ottenuti sono assai inaspettati. Riportiamo di seguito alcuni esempi:

1. la famosa carta tratta dalla Geografia di Tolomeo, edizione Basler del 1545 (si veda, per esempio,

[252] p. 97), è oggi considerata “molto antica”, ma, secondo il nostro metodo, è risultata risalire

non al II secolo bensì ai secoli XV-XVI, cioè all’epoca della pubblicazione del libro dell’“antico”

Tolomeo. Questo fatto porta a ricordare una situazione del tutto analoga con l’Almagesto di

Tolomeo (si veda [CHRON3]). Abbiamo riportato questa carta in fig. 3.23.

Fig. 3.23. La carta del mondo “dell’antico” Tolomeo, inserita nella sua Geografia (tratto da [1353], carta 2).

2. La non meno famosa “antica” carta Tabula Pentingeriana, riportata, per esempio, in [544] t. 3, pp.

232-233, secondo la nostra analisi risale non all’inizio dell’era cristiana, all’epoca di Augusto, ma

ai secoli XIII-XV. La divergenza rispetto alla datazione scaligeriana è di più di 1000 anni.

3. Riportiamo anche i risultati relativi a una serie di “antiche” carte, risultanti, a onor del vero, dalle

ricostruzioni più tarde secondo le loro descrizioni verbali contenute in testi “antichi” (si veda

[252]). Si tratta delle seguenti carte:

• la carta di Esiodo, fatta risalire all’VIII secolo a.C.;

• la carta di Ecateo, fatta risalire al VI-V secolo a.C.;

• la carta di Erodoto, fatta risalire al V secolo a.C.;

• la carta di Democrito, fatta risalire al V-VI secolo a.C.;

• la carta di Eratostene, fatta risalire agli anni 276-194 a.C.;

• il “globo” di Cratete, fatto risalire agli anni 168-165 a.C.

Nella datazione con il metodo sopra descritto tutte queste carte risultano cadere non negli

intervalli temporali sopra indicati ma nel periodo compreso tra il XIII e il XVI secolo d.C. [più

dettagliatamente il tema della datazione delle carte geografiche è stato trattato in CHRON 5; N.d.

A.].

In fig. 3.24 riportiamo la famosa carta di Hans Rust del 1480 ([1160] p. 39). Si tratta di una carta

degna di nota per molti aspetti, che dimostra qual era il reale stato delle conoscenze geografiche alla

fine del XV secolo. Ripetiamo: QUINDICESIMO SECOLO! E appare assolutamente evidente quanto

questo livello fosse allora basso e primitivo: più che di carta, si potrebbe parlare di “elenco

disegnato”, di lista di Paesi, popoli con alcune città. Si possono certamente riconoscere alcune

regioni geografiche, ma a fatica. Con tutta probabilità è questo UN ESEMPIO DI CARTOGRAFIA AI

SUOI PRIMI PASSI, passi sicuramente ancora molto incerti. Per questo le cosiddette “antiche” carte

di livello assai più elevato, che oggi vengono fatte risalire ai secoli XIV-XV, “sono finite nel

passato” solo grazie alla cronologia scaligeriana. Il loro autentico posto è un altro: nei secoli XVII e

XVIII.

Fig. 3.24. Carta medievale di Hans Rust, 1480; è evidente il livello assai primitivo delle conoscenze geografiche alla fine del

secolo XV (tratta da [1160], p. 39).

Nelle figg. 3.25 e 3.26 abbiamo riportato un frammento della carta dell’Abissinia e del Congo,

tratto dall’Atlante di Gerard Mercator edito da Judocus Hondius fatto risalire al 1607 ([90] pp. 72-

73). I commentatori contemporanei rilevano:

«Da sinistra a destra, nell’iscrizione del cartiglio, è scritto in latino: “Abissinorum sive Pretiosi Joannis Imperiu – Abissinia o

possedimenti del presbitero Giovanni in Africa”. Le leggende sullo stato “cristiano”, regno beato dei giusti, governato da un

sacerdote, il presbitero Giovanni, giravano per l’Europa a partire dal XII secolo» ([90] p. 73).

Degna di attenzione l’iscrizione riportata nel cartiglio in alto: il Congo africano qui viene definito

stato “cristiano”: «Congi Regni in Africa Christiani. Nova descriptio» (si veda fig. 3.26).

Fig. 3.25. Un frammento della carta dell’Abissinia e del Congo, dall’Atlante di G. Mercator-J. Hondius, anno 1607 (tratto da

[90], pp. 72-73).

Fig. 3.26. Un frammento ingrandito della carta dell’Abissinia e del Congo, dall’Atlante di G. Mercator -J. Hondius, anno 1607

(tratto da [90], pp. 72-73).

Dunque, all’inizio del XVII secolo, i cartografi ritenevano che i possedimenti del presbitero

“cristiano” Giovanni fossero estesi non solo in Asia e in Europa ma anche in Africa (si veda

[CHRON5]).

Riportiamo alcuni altri esempi interessanti di carte medievali. In fig. 3.27 è mostrata la carta del

mondo di Petrus Apianus, che si ritiene disegnata nel 1520 (1459), foglio XXIII, carta 61. Facciamo

notare che l’America è già disegnata.

Le enormi aree della Cina e della Birmania, a oriente dell’India, sono qui chiamate “Judia” (fig.

3.28). L’Estremo Oriente è chiamato “India Superior”. Curiosamente, la Siberia è chiamata “Schitia

extra”. La parte europea della Rus’ è chiamata “Tartaria” (si veda fig. 3.29).

Fig. 3.27. Carta del mondo di Petrus Apianus, fatta risalire al 1520 (tratta da [1459], foglio XXIII, carta 61).

Fig. 3.28. Frammento ingrandito della carta di Apianus con la rappresentazione della Judia, collocata più a oriente dell’India

(tratto da [1459], foglio XXIII, carta 61).

Fig. 3.29. Frammento ingrandito della carta di Apianus con la rappresentazione della Rus’-Tartaria (tratto da [1459], foglio

XXIII, carta 61).

In fig. 3.30 è riportata una carta che si presume risalga al 1538 (Solinus, Basel, [1459], carta 71).

Va notato che tutta l’Europa a nord della Grecia viene chiamata “Moscovia” (si veda fig. 3.31).

Nella carta ci sono altre denominazioni interessanti che poco si prestano all’interpretazione

scaligeriana della storia e della geografia. In fig. 3.32 è raffigurata una rara carta di Gerusalemme,

fatta risalire al XIV secolo ([1177], p. 475).

Sugli edifici di Gerusalemme si notano le croci cristiane, ma va rilevato anche un altro

particolare interessante: a sinistra in basso si vede LA MOSCHEA OTTOMANA CON DUE ALTI

MINARETI (fig. 3.33). È probabile che in questa carta medievale sia rappresentata Zar-grad

(Costantinopoli) che è poi la Gerusalemme evangelica, con le moschee ottomane e i templi cristiani.

Gli storici contemporanei sono evidentemente infastiditi da queste carte medievali, che mal si

inscrivono nella versione scaligeriana della storia. Nel caso specifico, i commentatori hanno

chiamato questa rappresentazione “carta STILIZZATA di Gerusalemme”, quasi un invito a non

credere alle informazioni in essa rappresentate ([1177] p. 475).

Fig. 3.30. Carta fatta risalire al 1538, Basel (tratto da [1459], foglio XXV, carta 71).

Fig. 3.31. Frammento della carta fatta risalire al 1538, Basel (tratto da [1459], foglio XXV, carta 71).

Fig. 3.32. Carta di Gerusalemme, fatta risalire al XIV secolo. Nella Gerusalemme medievale si vedono sia edifici sormontati

dalle croci cristiane, sia la moschea ottomana con i suoi minareti (tratta da [1177], p. 475).

Fig. 3.33. Frammento tratto dalla carta di Gerusalemme (tratto da [1177], p.475.

In fig. 3.34 è rappresentata una carta del mondo composta da Isidoro fatta risalire al VII secolo

d.C. tuttavia pubblicata in un libro presumibilmente del XV secolo ([1177], p. 302). Quella che

vediamo è una carta assai primitiva. Probabilmente essa fu per la prima volta disegnata non prima

del XV secolo e riflette la rappresentazione del mondo che avevano i cartografi del XV secolo.

Fig. 3.34. Carta del mondo.

In fig. 3.35 vediamo un frammento della carta del mondo di Gregor Reisch, fatta risalire al 1515

([1009], p. 5). A giudicare dal livello che evidenzia, pare che essa sia stata creata non all’inizio del

XVI secolo ma più tardi. L’America è indicata. La Russia è chiamata “Tartaria”; al nord della Rus’ è

mostrata la Belaja Rus’ (Russia bianca). Nella carta sono indicate più di una Tartaria (si veda fig.

3.36). In fig. 3.37 è rappresentata la carta del mondo “dell’antico” filosofo tardo-romano Macrobio,

comparsa in libro, però, solo nel 1483 ([1009], p. 16). Anche qui si nota che il livello delle

rappresentazioni geografiche era assai primitivo. È probabile che questa carta rifletta le conoscenze

dei cartografi dei secoli XV-XVI.

Fig. 3.35. La carta del mondo di Gregor Reisch, fatta risalire al 1515 (tratta da [1009], p. 65).

Fig. 3.36. Frammento ingrandito con diverse Tartarie (tratto da [1009], p. 65).

Fig. 3.37. Qui è rappresentata la carta del mondo “dell’antico” filosofo tardo-romano Macrobio, comparsa in libro, però, solo

nel 1483 ([1009], p. 16). Anche qui si nota che il livello delle rappresentazioni geografiche era assai primitivo. È probabile che

questa carta rifletta le conoscenze dei cartografi dei secoli XV-XVI.

In fig. 3.38 è mostrato un frammento della carta della “Terra santa”, probabilmente del 1556

([1189], p. 94). Vicino ad Asur vediamo la città di San Giorgio! Più a sinistra è indicata la città Indi,

cioè forse “la città dell’India”.

Interessanti anche i nomi delle città Scandalium e Scandaria, che contengono la radice, “Scanda”

o “Scandia”.

In fig. 3.39 è riportato il frammento di un’antica carta del 1649 dove il fiume tedesco Mosella è

chiamato “Mosa”, cioè, forse, “fiume di Mosè” ([1189] p. 171). Sul perché e quando nel territorio

dell’Europa occidentale sono comparse denominazioni geografiche ispirate alla Bibbia, più tardi

mascherate, parleremo nel nostro [CHRON 6].

Fig. 3.38. Frammento della carta della “Terra santa”, fatta risalire al 1556 (tratto da [1189], p. 94).

Fig. 3.39. Il fiume tedesco Mosella, chiamato “Mosa” in una carta del 1649 (immagine tratta da [1189], p. 94).

In fig. 3.40 è riportato un frammento della famosa carta del mondo di Schedel, fatta risalire al

1493 ([1459], carta 44). È evidente il livello ancora estremamente basso delle rappresentazioni

geografiche alla fine del XV secolo (fig. 3.41).

Fig. 3.40. La carta del mondo di Schedel fatta risalire al 1493. Si osserva che alla fine del XV secolo le rappresentazioni dei

cartografi sull’autentica geografia erano ben lontane dalla realtà (tratta da [1459], foglio XXII, carta 44).

Fig. 3.41. L’Europa nella carta di Schedel (tratta da [1459], foglio XII, carta 44).

N

Capitolo 4

LA CARTA CRONOLOGICA GLOBALE (CCG). RISULTATI

DELL’APPLICAZIONE DEI METODI MATEMATICI ALLA STORIA

ANTICA E MEDIEVALE

1. “Il manuale di storia antica e medievale” nelle datazioni di Scaligero-Petavius

egli anni 1974-1980 l’Autore del presente testo ha analizzato la cronologia scaligeriana della

storia antica e medievale d’Europa, del bacino del Mediterraneo, dell’Egitto e del vicino

Oriente, sulla base dell’idea esposta di seguito. I dati storici e cronologici delle tavole di Blair

[76] e di altre 14 tavole indicate in bibliografia, furono completati da informazioni provenienti da

più di duecento altri testi, cronache, annali ecc., contenenti nella loro globalità la descrizione

praticamente di tutti i principali eventi che avevano avuto luogo nelle citate regioni geografiche in un

intervallo di tempo che andava, presumibilmente, dal 4000 a.C. fino al 1900 d.C., espressi secondo

datazioni scaligeriane. Tutte queste informazioni (guerre, conflitti, eventi principali, re, imperi ecc.)

furono quindi rapresentate graficamente su una superficie piana, andando a formare la Carta

Cronologica Globale (CCG), sviluppata lungo l’asse verticale del tempo. Alla creazione di questa

carta A.T. Fomenko dedicò qualche anno di lavoro, e in tempi diversi fu aiutato da vari partecipanti

al progetto “Nuova Cronologia statistica”, allora originatosi.

Ogni epoca, con tutti i suoi eventi espressi secondo date scaligeriane, fu dettagliatamente

raffigurata nel posto corrispondente della carta, lungo l’asse del tempo. Ogni evento fu inoltre

rappresentato da un punto o da un segmento orizzontale sulla superficie. La data dell’evento veniva

definita dalla proiezione del punto o del segmento sull’asse del tempo. Il punto iniziale del segmento

indicava l’origine dell’evento, mentre la fine del segmento stava a indicare la fine dell’evento, per

esempio il governo di un re. Se le epoche (A, B) e (C, D), descritte nei diversi annali erano

contemporanee o coincidevano in aree geografiche diverse, esse venivano raffigurate sulla CCG

l’una sopra l’altra in disposizione verticale, per scongiurare il rischio di sovrapposizioni e

confusione.

Dunque, la CCG così costruita si configura come un “manuale” massimamente completo di storia

antica e medievale relativo alle regioni geografiche sopra citate ed espresso in datazioni

scaligeriane.

2. Le misteriose ripetizioni di cronache nel “manuale di Scaligero-Petavius”

La rappresentazione grafica della CCG occupa una superficie di qualche decina di metri quadrati.

Al materiale raccolto in questa carta, l’Autore ha applicato i metodi sopra citati per il

riconoscimento dei duplicati [904], [908], [883], [884], [885], [886]. Nella fattispecie sono stati

calcolati i valori dei coefficienti p (X, Y), per coppie diverse di annali e testi X, Y, comprendenti

intervalli maggiori di tempo. Sono stati calcolati i numeri c (a, b), per le diverse dinastie a e b, i

coefficienti e (a, b), misuranti la vicinanza dei flussi dei moduli-codice delle dinastie a e b; sono

state studiate le carte-codice delle antiche carte geografiche. Il risultato di questo enorme

esperimento di calcolo ha inaspettatamente messo in evidenza delle coppie di epoche che la storia

scaligeriana riteneva diverse e indipendenti ma per le quali i coefficienti p (X, Y), c (a, b) e altri si

sono rivelati estremamente bassi, ovverossia del tipo che caratterizza gli annali, le dinastie e i

questionari-codice OVVIAMENTE DIPENDENTI. Chiariamo questo concetto con un esempio.

Nella nostra ricerca abbiamo scoperto una sovrapposizione della storia dell’ANTICA Roma del

periodo 753-236 a.C. sulla storia della Roma MEDIEVALE, risalente al periodo presumibile dal 300

all’816 d.C. Lo slittamento cronologico, in questo caso, sarebbe di circa 1050 anni. Formuliamo

questo fatto con maggior chiarezza.

ESEMPIO 1

1. L’epoca medievale (A, B) si presume dall’anno 300 all’816 d.C. è descritta, per esempio,

nell’opera fondamentale di F. Gregorovius, Storia della città di Roma nel Medioevo (tomi 1-5,

Sankt Peterburg, 1902-1912; Einaudi 1973). Abbiamo assunto questo testo come “cronaca

medievale X”. In [CHRON 1, allegato 6.1.] riportiamo la suddivisione di questo lavoro [196] in

frammenti, in conformità alle indicazioni cronologiche di F. Gregorovius. Di seguito invece

riportiamo la distribuzione dei volumi coevi.

2. L’Epoca “antica” (C, D) corrispondente, presumibilmente, al periodo che va dall’anno 1 al 517

dalla fondazione di Roma è descrita nella “cronaca Y”, composta da noi sulla base dei due

seguenti testi:

2a. La storia di Roma di Tito Livio (cit., tomi 1-6), contenente la descrizione degli eventi che

risalgono presumibilmente al periodo dall’anno 1 al 459 dalla fondazione di Roma. Il testo di

Tito Livio non va oltre l’anno 459. Gli altri libri di questo Autore sono considerati perduti.

Abbiamo riportato la distribuzione dei volumi coevi nei libri di Tito Livio in [CHRON 1,

allegato 6.2.]. Inoltre occorre far coincidere “l’anno zero” di TITO LIVIO all’incirca con l’anno

300 di F. GREGOROVIUS.

2b. Per completare la fine del periodo “antico” (C, D), cioè gli anni dal 459 al 517 dalla

fondazione di Roma, abbiamo utilizzato i materiali provenienti dalla monografia moderna di

V.S. Sergeev, Oerki istorii drevnego Rima (OGIZ, Mosca 1928) e relativi al periodo in

questione. Ci siamo, inoltre, giovati della forte dipendenza, da noi individuata, tra il libro di

Sergeev e quello di Tito Livio, manifestanti un coefficiente di vicinanza pari a p = 2 x 10-12 (si

vedano figg. 3.9 e 3.10).

Il calcolo del coefficiente p (X, Y), dove X sono i libri di “Gregorovius”, contenenti la

descrizione della Roma medievale, e Y è la somma dei libri di “Tito Livio” e “Sergeev”,

contenenti la descrizione dell’“antica” Roma, indica che p (X, Y) = 6 x 10-11. Si tratta di un

valore molto basso. Se si trascura il testo di Sergeev e si mettono a confronto il testo X’ = parte

del testo di Gregorovius presumibilmente dal 300 al 758 d.C., e il testo Y’ = parte della Storia

di Roma di Livio presumibilmente dall’anno 1 al 459 dalla fondazione di Roma, il calcolo dà p

(X’, Y’) = 6 x 10-10. E anche questo valore è molto basso.

Entrambi questi risultati dimostrano la dipendenza delle due epoche descritte in passaggi diversi

del “manuale scaligeriano”. Più precisamente, rinveniamo una dipendenza tra le fonti originarie

che li descrivono. Si tratta di una dipendenza fortemente espressa e avente lo stesso carattere di

quella tra i testi che descrivono ovviamente “gli stessi” eventi (si vedano figg. 4.1, 4.2, 4.3).

Fig. 4.1. La correlazione dei picchi delle funzioni del volume dell’“antico” Tito Livio [482], contenente la descrizione

dell’“antica” Roma e del lavoro moderno di Gregorovius [196], contenente la descrizione della Roma medievale.

Fig. 4.2. La correlazione dei picchi delle funzioni del volume dell’“antico” Tito Livio [482], contenente la descrizione

dell’“antica” Roma e del lavoro moderno di Gregorovius [196], contenente la descrizione della Roma medievale

(continuazione del grafico).

Fig. 4.3. La correlazione dei picchi delle funzioni del volume dell’“antico” Tito Livio [482], contenente la descrizione

dell’“antica” Roma e del lavoro moderno di Gregorovius [196], contenente la descrizione della Roma medievale (fine del

grafico).

Lo slittamento cronologico, che fa combaciare Antichità e Medioevo, è qui di circa 1050 anni.

ESEMPIO 2

In modo analogo abbiamo messo a confronto i grafici, riferentisi ai volumi degli stessi anni, del

libro di V. Sergeev [767], contenente la descrizione dell’“antica” Roma nell’epoca dall’anno 1

all’anno 510 dalla fondazione dell’Urbe, e del libro di F. Gregorovius [196], che descrive la

Roma medievale nel periodo che va presumibilmente dal 300 a.C. all’817 a.C. Il risultato del

nostro confronto è esposto nei grafici visibili nelle figg. 4.4, 4.5, 4.6. Anche qui si coglie bene la

correlazione dei momenti dei picchi principali di detti testi, fatto che testimonia la forte

dipendenza tra essi. Questo risultato si poteva predire in anticipo, dato che, come abbiamo visto, il

libro di Sergeev segue piuttosto bene l’“antico” Tito Livio. Lo slittamento cronologico è qui di

circa 1050 anni.

Fig. 4.4. La correlazione dei picchi delle funzioni del volume della monografia moderna di V.S. Sergeev [767], contenente la

descrizione dell’“antica” Roma e del lavoro moderno di Gregorovius [196], contenente la descrizione della Roma medievale.

Fig. 4.5. La correlazione dei picchi delle funzioni del volume della monografia moderna di V.S. Sergeev [767], contenente la

descrizione dell’“antica” Roma e del lavoro moderno di Gregorovius [196], contenente la descrizione della Roma medievale

(continuazione del grafico).

Fig. 4.6. La correlazione dei picchi delle funzioni del volume della monografia moderna di V.S. Sergeev [767], contenente la

descrizione dell’“antica” Roma e del lavoro moderno di Gregorovius [196], contenente la descrizione della Roma medievale

(fine del grafico).

ESEMPIO 3

Un risultato analogo, e più precisamente indicativo della dipendenza tra le descrizioni “della

Roma antica” e “della Roma medievale” emerge nel confronto tra i volumi, riferentisi agli stessi

anni, dell’“antica” opera di Tito Livio e l’opera medievale di Cesare Baronius [50].

Abbiamo analizzato il libro di Cesare Baronius Dejanija cerkovnye i graždanskie ot Roždestva

Christova do 1198 goda (Annales ecclesiastici a Christo nato ad annum 1198). Per la prima volta

questo libro fu pubblicato in 12 tomi a Roma, negli anni 1588-1607. In [CHRON 1, allegato 6.3.]

abbiamo riportato la distribuzione dei volumi coevi (riferentisi agli stessi anni) in Baronius.

L’opera “antica” fondamentale di Tito Livio, in vari tomi, descrive la Roma dei re cioè il primo

Impero romano, secondo la nostra terminologia, e l’“antica” Roma repubblicana. Nel complesso

Tito Livio ha descritto gli eventi che si snodano in un periodo di tempo che va dall’anno 1 al 380

dalla fondazione dell’Urbe. Nel calcolo secondo la versione scaligeriana si ottiene l’intervallo dal

753 al 373 a.C.

La prima parte dell’opera “medievale” di Baronius è dedicata al secondo e al terzo Impero

romano, cioè all’epoca che va, presumibilmente, dall’inizio dell’era cristiana al 400 d.C.

Entrambe le opere sono state suddivise in frammenti coevi, cioè in parti (“capitoli”) ognuna delle

quali descrive esattamente un anno, lo stesso anno (si veda [CHRON 1, allegato 6.3]). Calcolando

il volume di ognuna di queste parti (“capitoli”) si ottiene una sequenza di numeri, cioè la funzione

del volume della data opera. Quindi costruiamo per ognuna delle due opere il suo grafico del

volume anno per anno, al fine di individuare il livello di rappresentazione degli eventi relativo ad

ogni singolo anno. Confrontiamo i grafici dei volumi relativi all’“antico” TITO LIVIO e al

medievale CESARE BARONIUS, sovrapponendo tra di loro i grafici, avendo cura di far

combaciare l’anno 1 dalla fondazione di Roma secondo Tito Livio con l’anno 17 d.C. di Baronius.

Il confronto dei grafici di LIVIO e di BARONIUS è illustrato nelle figure 4.7, 4.8, 4.9, 4.10 si

vede bene che i grafici “si assomigliano”. Nella fattispecie, nonostante la quantità differente di

massimi locali, si può chiaramente osservare, nei due grafici, che quando nel grafico di Livio si

formano un picco o un fitto gruppo di picchi, nel grafico di Baronius si innalza “una gobba”

evidente, formata da picchi disposti in stretta vicinanza. In termini più semplici, “le gobbe” del

grafico di Livio e “le gobbe” del grafico di Baronius sono più o meno “contemporanee”.

Fig. 4.7. La correlazione dei picchi delle funzioni del volume dell’“antica” opera di Tito Livio [482], contenente la descrizione

dell’“antica” Roma e del lavoro di Cesare Baronius [50], contenente la descrizione della Roma medievale.

Fig. 4.8. La correlazione dei picchi delle funzioni del volume dell’“antica” opera di Tito Livio [482], contenente la descrizione

dell’“antica” Roma e del lavoro di Cesare Baronius [50], contenente la descrizione della Roma medievale (continuazione del

grafico).

Fig. 4.9. La correlazione dei picchi delle funzioni del volume dell’“antica” opera di Tito Livio [482], contenente la descrizione

dell’“antica” Roma e del lavoro di Cesare Baronius [50], contenente la descrizione della Roma medievale (continuazione del

grafico).

Fig. 4.10. La correlazione dei picchi delle funzioni del volume dell’“antica” opera di Tito Livio [482], contenente la descrizione

dell’“antica” Roma e del lavoro di Cesare Baronius [50], contenente la descrizione della Roma medievale (fine del grafico).

L’applicazione del metodo empirico-statistico, descritto nei capitoli precedenti, conferma che I

PUNTI DEI PICCHI LOCALI DI ENTRAMBI I GRAFICI SONO EFFETTIVAMENTE BEN

CORRELATI. In altre parole, gli annali dell’“antico” Tito Livio e del medievale Cesare Baronius

SONO DIPENDENTI. Evidentemente, essi descrivono UNO STESSO PERIODO STORICO

RELATIVO A UNA STESSA REGIONE. Più semplicemente, la Roma “antica” e la Roma

“medievale” sono “la stessa cosa”. Inoltre, alcune fonti “sono rimaste al loro posto” e sono state

chiamate, più tardi, medievali. Le altre fonti sono state artificialmente allontanate nel passato e

chiamate “antiche”. Ma entrambe descrivono complessivamente gli stessi eventi. Lo slittamento

cronologico che sovrappone “l’Antichità” e il Medioevo è qui di circa 1050 anni.

Sulla CCG sono state poi messe in rilievo tutte le epoche (A, B) e (C, D) risultanti vicine, in

maniera anomala, dal punto di vista del coefficiente p (X, Y). Definiremo tali epoche p-dipendenti.

Sulla CCG le abbiamo raffigurate con gli stessi simboli.

Chiariamo ancora una volta che, parlando di “dipendenza delle epoche storiche” non intendiamo

affatto che determinati periodi storici reali nella storia della civiltà “siano dipendenti” e si ripetano.

Non abbiamo rinvenuto alcuni dati a favore di quest’ipotesi. Parlando di “dipendenza delle epoche

storiche” affermiamo solo che SONO DIPENDENTI ALCUNI ANNALI, i quali, di fatto, contengono

la descrizione di uno stesso periodo storico ma che sono stati inseriti erroneamente nel “manuale

scaligeriano” in epoche diverse.

3. Le misteriose ripetizioni delle dinastie nel “manuale di Scaligero-Petavius”

Uno studio sperimentale indipendente del “manuale scaligeriano”, cioè della CCG, è stato

condotto, successivamente, sulla base del metodo di riconoscimento delle dinastie dipendenti.

Ricordiamo che a questo fine erano stati composti gli elenchi di tutti i governanti nell’intervallo che

va dal presumibile 4000 a.C. al 1900 d.C. e riguardante le aree geografiche sopra citate. In questo

lavoro ci si è giovati, inoltre, delle tavole cronologiche [76]. L’elenco delle altri fonti e dei libri è

stato riportato sopra. A questa selezione delle dinastie annalistiche è stato applicato il metodo del

riconoscimento delle dinastie dipendenti. Il nostro esperimento ha inaspettatamente messo in luce le

coppie particolari di dinastie annalistiche a e b, ritenute prima in tutti i sensi indipendenti ma per le

quali il coefficiente di vicinanza c (a, b) è risultato molto basso, oscillando esso da 10-12 a 10-8, cioè

dell’ordine che caratterizza le dinastie OVVIAMENTE DIPENDENTI.

In conformità ai risultati ottenuti sopra, ciò è indice del fatto che, probabilmente, queste dinastie

annalistiche fanno capo allo stesso “flusso di eventi”. Facciamo qualche esempio [data la

complessità del contenuto, si è deciso di tradurre il testo e riportare i grafici relativi solo ad alcune

delle 20 corrispondenze illustrate nel testo originale; entro parentesi quadre sono indicate le

Corrispondenze non tradotte; N.d.T.]

Esempi di dinastie storiche annalistiche dipendenti

CORRISPONDENZA 1 (illustrata nelle figg. 4.11, 4.12, 4.13)

Fig. 4.11. La correlazione dei governi del secondo Impero romano “antico”, fatto risalire al periodo dall’82 a.C. al 217 d.C., e

del terzo Impero romano “antico”, risalente ai presumibili anni 270-526 d.C.

a = secondo Impero romano “antico”, di fatto fondato da Lucio Silla presumibilmente negli

anni 82-83 a.C. e conclusosi con Caracalla presumibilmente intorno al 217 d.C.

b# = terzo Impero romano “antico”, ripristinato da Lucio Aureliano presumibilmente nel 270

d.C. e conclusosi con Teodorico nel 526 d.C.

Qui c (a, b) = 10-12 e la dinastia a è risultante dalla dinastia b con uno slittamento in giù di

quest’ultima di circa 333 anni.

In questo modo, se si considera la vicinanza che abbiamo individuato tra queste dinastie come una

coincidenza casuale, la sua probabilità è pari a 10-12 cioè è molto bassa. Questa corrispondenza È

SECONDARIA nel senso che entrambe queste dinastie annalistiche non solo si doppiano l’una con

l’altra ma risultano esse stesse dei riflessi fantasma di un originale più tardo, collocato nel tempo più

vicino a noi.

Fig. 4.12. L’abbinamento-combinazione sull’asse del tempo del secondo Impero romano “antico” e del terzo Impero romano

“antico”, con uno slittamento netto di circa 330-360 anni. Schema ridotto. I numeri presenti nel grafico corrispondono a quelli

dei governanti nel parallelismo riportato nel testo del libro.

Fig. 4.13. La sovrapposizione sull’asse del tempo del secondo Impero romano “antico” e del terzo Impero romano “antico”,

con uno slittamento netto di circa 330-360 anni (schema dettagliato, con l’indicazione dei nomi dei governanti).

[CORRISPONDENZA 2; CORRISPONDENZA 3 non tradotte: “antichi” re d’Israele (presunti anni

922-724 a.C.) descritti nei libri della Bibbia 1-4 Re e Paralipomeni / e corrente dinastica

dell’”antico” impero romano (presunti anni 300-476 d.C.)]

CORRISPONDENZA 4 (illustrata in fig. 4.17)

a = i papi romani “del primo Medioevo”, presumibilmente degli anni 140-314 d.C.

b# = i papi romani “del primo Medioevo”, presumibilmente degli anni 324-532 d.C.

Qui c (a, b) = 8,66 x 10-8. Questa corrispondenza concorda perfettamente con il parallelismo

sopra indicato dei due Imperi romani (si veda Esempio 1).

Fig. 4.14. La correlazione dei governi dei due periodi successivi nella storia dei papi romani “del primo Medioevo”.

CORRISPONDENZA 5 (illustrata nelle figg. 4.15 e 4.16)

Fig. 4.15. La correlazione dei governi dell’Impero “medievale” dei Carolingi, fatto risalire agli anni 681-888 d.C. e dell’“antico”

terzo Impero romano fatto risalire agli anni 324-527 d.C.

a = l’impero “medievale” di Carlo Magno da Pipino di Herstal (o Eristallo) a Carlo il

Grosso, fatto risalire agli anni 681-887 d.C.

b# = il flusso dinastico dal secondo Impero romano d’Oriente “del primo Medioevo”, fatto

risalire agli anni 324-527 d.C.

Qui c (a, b) = 8, 25 x 10-9.

Fig. 4.16. L’abbinamento, sull’asse del tempo, dell’Impero carolingio fatto risalire agli anni 681-888 d.C. e dell’“antico” terzo

Impero romano fatto risalire agli anni 324-527 d.C. con un netto slittamento di 360 anni.

CORRISPONDENZA 6 (illustrata nelle figg. 4.17 e 4.18)

Fig. 4.17. La correlazione dei governi del Sacro romano impero medievale dei secoli X-XIII d.C., e dell’“antico” terzo Impero

romano fatto risalire ai secoli III-VI d.C.

a = il Sacro romano impero medievale fatto risalire agli anni 983-1266 d.C.

b# = flusso dinastico dell’“antico” Impero romano fatto risalire agli anni 270-553 d.C.

Qui c (a, b) = 2,3 x 10-10. La dinastia b è risultante dalla dinastia “a” con uno spostamento di

quest’ultima in giù di circa 720 anni.

Fig. 4.18. L’abbinamento, sull’asse del tempo, dell’Impero romano medievale fatto risalire ai secoli X-XIII e dell’Impero

medievale degli Asburgo, fatto risalire ai secoli XIII-XVII.

[CORRISPONDENZA 7. Non tradotta: Sacro romano impero (presunti anni 911-1254 d.C.) / e

Impero medievale germanico-romano degli Asburgo (presunti anni 1273-1637 d.C.)]

CORRISPONDENZA 8 (illustrata nelle figg. 4.19 e 4.20)

a = il Sacro romano impero medievale fatto risalire agli anni 936-1273 d.C.

b# = il secondo Impero romano “antico”, fatto risalire a periodo dall’anno 82 a.C. all’anno 217

d.C.

Qui c (a, b) =1,3 x 10-12.

Fig. 4.19. La correlazione dei governi del Sacro romano impero medievale, fatto risalire ai secoli X-XIII d.C., e del secondo

“antico” Impero romano, fatto risalire al periodo dal I secolo a.C. al III secolo d.C.

Fig. 4.20. L’abbinamento, sull’asse del tempo, del Sacro romano impero medievale fatto risalire ai secoli X-XIII d.C. e del

secondo “antico” Impero romano, fatto risalire al periodo dal I secolo a.C. al III secolo d.C. con uno slittamento di circa 1053

anni.

[CORRISPONDENZA 9. Non tradotta: “Antichi” re giudaici (presunti anni 928-587 a.C) descritti nei

libri della Bibbia 1-4 Re e Paralipomeni / corrente dinastica del Sacro romano impero medievale

(presunti anni 911-1307 d.C)]

[CORRISPONDENZA 10. “Antichi” re d’ Israele (presunti anni 922-724 a.C) / coronazioni romane

medievali di presunti imperatori tedeschi (presunti anni 920-1170 d.C)]

CORRISPONDENZA 11 (illustrata nelle figg. 6.30 e 6.31)

Connessione degli zar-chan russi del periodo 1276-1600 d.C. con i rappresentanti dell’Impero degli

Asburgo, 1273-1600 d.C. Qui non si registra alcuno slittamento cronologico. Si tratta di

un’identificazione assai importante, da cui segue che il pre-modello originale di praticamente tutti i

regni “antichi” e medievali fu il Grande Impero “mongolo” dei secoli XIV-XVI. Ma su questo tema

ritorneremo in altra occasione.

Fig. 4.21. La correlazione dei governi degli zar-chan russi, fatti risalire agli anni 1276-1600, e dei governanti dell’Impero degli

Asburgo presumibilmente vissuti negli anni 1273-1600 d.C. Si tratta di una corrispondenza individuata da G.V. Nosovskij e

A.T. Fomenko.

Fig. 4.22. L’abbinamento, sull’asse del tempo, degli zar-chan dell’Orda degli anni 1276-1600 d.C. e dei governanti

dell’Impero degli Asburgo presumibilmente vissuti negli anni 1273-1600 d.C. Qui non si registra alcuno slittamento

cronologico.

[CORRISPONDENZA 12. Tripla sovrapposizione delle “dinastie” dei katolikos armeni medievali e

dei rappresentanti del Sacro romano-germanico impero medievale (presunti secoli X/XIII). Con gli

“Antichi” re d’Israele descritti nella Bibbia]

[CORRISPONDENZA 13. Il primo Impero medievale Bizantino (presunti anni 527-829 d.C.)/il

Secondo Impero medievale Bizantino (presunti anni 829-1204 d.C.)]

[CORRISPONDENZA 14. Il secondo Impero medievale Bizantino (presunti anni 867-1143 d.C.)./il

terzo Impero medievale Bizantino (presunti anni 1204-1453 d.C.)]

[CORRISPONDENZA 15. Slittamento di 410 anni nella storia medievale russa]

CORRISPONDENZA 16 (illustrata nelle figg. 4.23 e 4.24)

L’abbinamento della storia greca “antica” con la storia greca medievale stante uno slittamento di

1810 anni (si vedano dettagli nei capitoli successivi). Un frammento ingrandito di questo

parallelismo è riportato in fig. 6.42. Tale evidente parallelismo tra eventi identifica un segmento

della storia della Grecia medievale degli anni 1250-1460 d.C. con un segmento della storia

dell’“antica” Grecia presumibilmente degli anni 510-300 a.C.

Fig. 4.23. L’abbinamento della storia medievale greca e della storia greca “antica”, con uno slittamento di circa 1810 anni.

Fig. 4.24. Il frammento ingrandito e più dettagliato della sovrapposizione della storia medievale greca su quella greca

“antica”, stante uno slittamento di circa 1810 anni.

[CORRISPONDENZA 17. Sovrapposizione della storia medievale inglese (presunti anni 640-1330

d.C.). e di quella medievale bizantina (presunti anni 380-1453 d.C.)]

[CORRISPONDENZA 18. Due parallelismi dinastici tra frammenti della storia greca “antica” e

frammenti della storia medievale della Grecia e di Bisanzio]

CORRISPONDENZA 19 (illustrata nelle figg. 4.25 e 4.26)

Nell’Impero romano del primo Medioevo, fatto risalire agli anni 300-552 d.C. si rileva una corrente

dinastica corrispondente “alla Roma dei re” di Tito Livio. Si tratta di un’“antica” dinastia composta

da sette re. Qui c (a, b) = 10-4. Ossia, in assoluto, il valore minore possibile, stante una lunghezza di

dinastia pari a sette re.

Fig. 4.25. Parallelismo tra l’“antico” primo Impero romano (la Roma dei re descritta da Tito Livio) e l’“antico” terzo Impero

romano.

Fig. 4.26. La sovrapposizione dell’“antico” primo Impero romano (la Roma dei re descritta da Tito Livio) e l’“antico” terzo

Impero romano, con uno slittamento di 105 anni.

CORRISPONDENZA 20 (illustrata in fig. 4.27)

Fig. 4.27. Parallelismo dinastico tra l’“antica” Roma dei re descritta da Tito Livio, il Sacro romano impero, fatto risalire ai

secoli X-XIII e la Bisanzio presumibilmente dei secoli X-XIII.

4. Breve descrizione delle sorprendenti sovrapposizioni dinastiche

Abbiamo riportato nelle figure “le ripetizioni statistiche” più rilevanti. Negli elenchi che

facciamo seguire sono elencati i re o i governanti reali “che si sono sovrapposti” l’un l’altro. Entro

parentesi sono elencate le durate dei governi. Nelle figure corrispondenti, i segmenti orizzontali

rappresentano i periodi di governo dei re. Le linee verticali collegano gli inizi e le fini dei governi

dei re sovrappostisi, ovvero identificatisi.

CORRISPONDENZA 1 (si vedano le figg. 4.11, 4.12 e 4.13)

a = b# =

la Roma imperiale “antica”, fondata da Lucio

Silla, presumibilmente negli anni 82-83 a.C. e

la Roma imperiale “antica”, ripristinata da Lucio

Aureliano presumibilmente nel 270 d.C. e

conclusasi con Teodorico re dei Goti

probabilmente nel 526 d.C. Le varianti di

conclusasi con Caracalla verosimilmente nel 217

d.C. Le date scaligeriane di governo dei primi

otto governanti di questa dinastia sono una delle

varianti della corrente dinastica. Sono stati

indicati anche i periodi dei disordini durante

l’impero. Chiameremo convenzionalmente questo

impero “secondo Impero romano”.

governo degli imperatori sono state tratte da [76],

[1057], [72]. Talvolta il calcolo degli anni di

regno di un imperatore veniva fatto a partire dalla

morte del co-regnante. Chiameremo

convenzionalmente questo impero: terzo Impero

romano. Facciamo notare che il terzo Impero è

più ricco di co-regnanti, rispetto al secondo, per

questo qui ci sono più correnti dinastiche.

La dinastia a è risultante dalla dinastia b con uno slittamento di quest’ultima in giù di 333 anni.

1a. LUCIO SILLA 82-78 a.C. (5 anni) #1b. LUCIO AURELIANO 270-275 d.C. (5 anni)

2a. DISORDINI 78-77 a.C. (1 anno) #2b. DISORDINI 275-276 d.C. (1 anno)

3a. SERTORIO 78-72 a.C. (6 anni) #3b. PROBO 276-282 a.C. (6 anni)

4a. DISORDINI 72-71 a.C. (2 anni) #4b. DISORDINI 282-284 d.C. (2 anni)

5a. POMPEO IL GRANDE 70-49 a.C. (21 anni) #5b. DIOCLEZIANO IL GRANDE 284-305 d.C.

(21 anni)

6a. GOVERNO CONGIUNTO DI POMPEO E

CESARE 60-49 a.C. (11 anni)

#6b. GOVERNO CONGIUNTO DI

DIOCLEZIANO E COSTANZO CLORO

293-305 d.C. (12 anni)

7a. DISORDINI 49-45 a.C. (4 anni) #7b. DISORDINI 305-309 d.C. (4 anni)

8a. GIULIO CESARE, vincitore del primo

triumvirato, 45-44 a.C. (1 anno)

#8b. COSTANZO CLORO, vincitore della prima

tetrarchia, 305-306 d.C. (1 anno), la durata

del governo è calcolata a partire dalla fine

del governo di Diocleziano

9a. I TRIUMVIRI E OTTAVIANO AUGUSTO 44-

27 a.C. (17 anni)

#9b. I TETRARCHI E COSTANTINO

AUGUSTO 306-324 d.C. (18 anni)

10a. OTTAVIANO AUGUSTO 27 a.C.-14 d.C.

(41 anni) o (37 anni) se si considera data

d’inizio del governo il 23 a.C.

#10b. COSTANTINO AUGUSTO – 306-337 d.C.

(31 anni). Il governo n. 12 comincia dopo

la morte di Costantino, nel 337

11a. NASCITA DI GESÙ CRISTO nel 27º anno di

regno di Augusto Ottaviano (intervallo di 27

anni)

#11b. NASCITA DI BASILIO IL GRANDE nel

27º anno di regno di Augusto Costantino

(intervallo di 27 anni)

12a. TIBERIO 14-37 (23 anni) #12b. COSTANZIO II 337-361 (24 anni)

13a. GOVERNO CONGIUNTO DI TIBERIO E

GERMANICO, 6-19 (13 anni)

#13b. GOVERNO CONGIUNTO DI

COSTANZIO II E COSTANTE, 337-359

(13 anni). La data d’inizio del regno viene

calcolata a partire dalla fine del governo di

Costantino Augusto (si veda numero 10)

#14b. GIULIANO 361-363 (2 anni). La data

14a. CALIGOLA, 37-41 (4 anni) d’inizio del regno viene calcolata a partire

dalla fine del governo di Costanzo II (si

veda numero 12).

15a. DISORDINI 41 a.C. (1 anno) #15b. DISORDINI 363 d.C. (1 anno)

16a CLAUDIO 41-54 (13 anni) #16b. VALENTINIANO I 364-375 (11 anni)

17a GOVERNO CONGIUNTO DI CLAUDIO E

PALLANTE 41-54 (13 anni)

#17b. GOVERNO CONGIUNTO DI

VALENTINIANO E VALENTE (duplicato

di Pallante?) 364-374 (11 anni)

18a NERONE 54-68 (14 anni) #18b. VALENTE 364-378 (14 anni)

19a GOVERNO CONGIUNTO DI NERONE,

BURRO E SENECA 54-62 (8 anni)

#19b. GOVERNO CONGIUNTO DI VALENTE,

VALENTINIANO E GRAZIANO 364-375

(11 anni)

20a GALBA, 68-69 (1 anno) #20b. GIOVIANO 363-364 (1 anno). Qui si

assiste a un cambiamento dei governanti

21a DISORDINI, 69 d.C. (1 anno) #21b. DISORDINI 378 d.C. (1 anno)

22a DUE TITI VESPASIANI 69-81 (12 anni). I

nomi di questi due imperatori coincidono

#22b. GRAZIANO E VALENTINIANO II dopo il

governo di Valente e i disordini 379-392

(13 anni)

23a DOMIZIANO 81-96 (15 anni) #23b. FEODOSIO I 379-395 (16 anni)

24a NERVA 96-98 (2 anni) #24b. EUGENIO 392-394 (2 anni)

25a GOVERNO CONGIUNTO DI NERVA 96-98

(2 anni)

#25b. GOVERNO CONGIUNTO DI EUGENIO

392-394 (2 anni)

26a TRAIANO 98-117 (19 anni) #26b. ARCADIO 395-408 (13 anni)

27a ADRIANO 117-138 (21 anni) #27b. ONORIO 395-423 (28 anni)

28a TITO ANTONIO PIO 138-161 (23 anni)

#28b. EZIO 423-444 o 423-438, cioè (21 anni) o

(14 anni). Il suo governo è ritenuto

concluso a far data dall’inizio del governo

di Valentiniano III (si veda numero 29)

29a MARCO AURELIO 161-180 (19 anni) #29b. VALENTINIANO III 437-455 (18 anni) o

444-455 (11 anni)

30a LUCIO COMMODO 176-192 (16 anni) #30b. RECIMERO 456-472 (16 anni)

31a PERTINACE 193° anno (1 anno) #31b. OLIBRIO 472° anno (1 anno)

32a DIDIO GIULIANO 193° anno (1 anno) #32b. GLICERIO, 473-474 (1 anno)

33a CLODIO ALBINO 193° anno (1 anno) #33b. GIULIO NEPOTE 474 (1 anno)

34a PESCENNIO NIGRO 193-194 (1 anno) #34b. ROMULO AUGUSTOLO 475-476 (1 anno)

35a SETTIMIO SEVERO 193-211 (18 anni) #35b. ODOACRE 476-493 (17 anni)

36a CARACALLA 193-217 (24 anni). Famose

#36b. TEODORICO 493-526 o 497-526, cioè (33

anni) o (29 anni). Famose riforme nel terzo

riforme nel secondo Impero Impero

37a FINE DEL SECONDO IMPERO ROMANO,

crisi della metà del III secolo d.C. Guerra

gotica. Slittamento di circa 333 anni.

#37b. FINE DEL TERZO IMPERO ROMANO in

Occidente. Famosa guerra gotica fatta

risalire alla metà del VI secolo d.C. Questa

corrispondenza è ritenuta secondaria, cioè

qui entrambe le dinastie a e b che si

sovrappongono l’una sull’altra risultano

essere i riflessifantasma di un originale più

tardo dei secoli XIII-XVI. In entrambe le

correnti dinastiche abbiamo incluso

informazioni aggiuntive importanti, diverse

dalle durate dei governi e non considerate

nel calcolo del coefficiente di vicinanza

delle dinastie c (a, b)

[...]

CORRISPONDENZA 4 (si veda la fig. 4.14)

a = b# =

Papi romani del primo Medioevo,

presumibilmente del periodo 140-314 d.C.

Papi romani del primo Medioevo,

presumibilmente del periodo 324-532 d.C. Le

varianti di governo, in entrambi i casi, sono state

tratte da [76], [492].

1a SAN PIO 141-157 (16 anni) #1b. SILVESTRO 314-336 (22 anni)

2a. SAN ANICETO 157-168 (11 anni) #2b. GIULIO 336-353 (17 anni)

3a. SAN SOTERO (in traduzione “salvatore”)

168-177(9 anni)

#3b. LIBERIO (in traduzione “liberatore”) 352-

367 (15 anni)

4a. SAN ELEUTERIO 177-192 (15 anni) #4b. DAMASCO 367-385 (18 anni)

5a. SAN VITTORE 192-201 (9 anni) #5b. SIRIZIO 385-398 (13 anni)

6a. ZEFFIRINO 201-219 (18 anni) #6b. ANASTASIO, INNOCENZO 398-417 (19

anni)

7a. CALLISTO 219-224 (5 anni) #7b. BONIFACIO 418-423 (5 anni)

8a. URBANO I 224-231(7 anni) #8b. CELESTINO 423-432 (9 anni)

9a. PONZIANO 231-236 (5 anni) #9b. SISTO III 432-440 (8 anni)

10a. FABIANO 236-251 (15 anni) #10b. SAN LEONE = LEONE I 440-461 (21

anni)

11a. DISORDINI 251-259 (8 anni) #11b. DISORDINI E ILARIO 461-467 (6 anni)

12a. DIONIGI 259-271 (12 anni) #12b. SIMPLICIO 467-483 (16 anni)

13a. FELICE I 275-284 (9 anni) o EUTICHIANO #13b. FELICE II 483-492 (9 anni). Qui i nomi dei

duplicati coincidono

14a. EUTICHIANO 271-275 (4 anni) o FELICE I #14b. GELASIO 492-496 (4 anni)

15a. CAIO 283-296 (13 anni) #15b. SIMMACO 498-514 (16 anni)

16a MARCELLINO 296-304 (8 anni) #16b. ORMISDA 514-523 (9 anni)

17a MARCELLO 304-309 (5 anni) #17b. GIOVANNI I 523-526 (3 anni)

18a EUSEBIO 309-312 (3 anni) #18b. FELICE III 526-530 (4 anni)

19a MELCHIADE 311-314 (3 anni)

#19b. BONIFACIO III 530-532 (2 anni). Anche

questa corrispondenza è ritenuta

secondaria, cioè qui le dinastie-duplicato

risultano essere i riflessi-fantasma di un

originale più tardo dei secoli XIII-XVI [...]

[Avendo, la nostra traduzione, il fine di presentare in nuce l’approccio di A.T. Fomenko e dei

suoi collaboratori allo studio della storia e della cronologia, interrompiamo qui gli esempi di

parallelismi dinastici, che l’Autore comunque tratta dettagliatamente nei suoi libri, sperando che, in

futuro, l’interesse del pubblico italiano per la NC sia tale da indurre a pubblicare le pagine ora

tralasciate; N.d.T.].

5. Concordanza dei risultati cronologici ottenuti dai diversi metodi d’indagine

5.1. Affermazione importante

Ci troviamo di fronte a un fatto di eccezionale importanza. L’applicazione “al manuale

scaligeriano di storia antica” cioè alla CCG, di tutti i metodi di datazione da noi elaborati porta A

UNO STESSO RISULTATO. Le NUOVE DATE ottenute concordano bene l’una con l’altra,

nonostante siano state ottenute con metodi sostanzialmente diversi. Nella fattispecie, “le epoche

storiche scaligeriane” vicine al valore del coefficiente p (X, Y) risultano vicine anche al valore del

coefficiente c (a, b) e a quello del coefficiente che misura la vicinanza dei moduli-codice delle

dinastie. Non solo, ma i risultati ottenuti concordano anche con le datazioni ASTRONOMICHE, nella

fattispecie ben si associano all’effetto, scoperto in [544], di spostamento in su delle date delle

“antiche” eclissi (si vedano più dettagliatamente i capitoli successivi).

6. Quadro generale della disposizione “delle ripetizioni” nel “manuale di

Scaligero-Petavius”. Scoperta dei tre slittamenti cronologici fondamentali

Il risultato più importante ottenuto da Fomenko negli anni 1977-1979 consiste in quanto segue: “IL

MANUALE SCALIGERIANO” DI STORIA ANTICA E MEDIEVALE È IL RISULTATO

DELL’“INCOLLATURA” DI QUATTRO ANNALI PIÙ BREVI, PRATICAMENTE IDENTICI,

SPOSTATI, RISPETTO AL LORO ORIGINALE MEDIEVALE, DI CIRCA 333, 105 E 1800 ANNI.

In qualità di esempio descriveremo la parte E della CCG, cioè del “manuale scaligeriano”, nel

segmento di tempo che va dal 1600 a.C. al 1800 d.C. e riguarda la storia dell’Europa, compresa

l’Italia, la Germania e la Grecia. Riporteremo il risultato in forma della riga E, nella quale “le

epoche storiche scaligeriane” vengono convenzionalmente indicate con delle lettere. Con lettere

uguali, inoltre, abbiamo indicato i duplicati che abbiamo scoperto, ossia le epoche, riproducentesi

l’una con l’altra e risultanti vicine dal punto di vista dei metodi sopra descritti. Questi tipi di

duplicati possono anche essere convenzionalmente chiamati “ripetizioni”. Non potendo esporre

l’enorme mole di materiali con cui siamo stati costretti a lavorare, ne daremo qui solo uno schema

grossolano. I limiti degli intervalli temporali sono approssimativi. Le lettere nel numeratore della

frazione indicano le epoche uguali, che risultano, se così si può dire, “coregnanti”. Per raccogliere

nella CCG le informazioni, tradizionalmene fatte riferire a una certa epoca, occorre tracciare sulla

riga E, attraverso l’anno in questione, un segmento verticale e raccogliere insieme i frammenti delle

epoche e degli eventi, tagliati da esso in numeratore e denominatore della frazione. In fig. 4.28 è

riportato un frammento della CCG, che dimostra i princìpi della sua raffigurazione sulla superficie.

Fig. 4.28. Frammento della CCG, cioè del “manuale scaligeriano di storia”, da cui si evince il principio di costruzione di tutta

la CCG.

Ebbene:

(Si veda la fig. 4.29 in cui è mantenuta la scala temporale). Questa riga-cronaca è una parte

importantissima del “manuale scaligeriano”. Come possiamo vedere, essa contiene epoche-duplicati

che si ripetono. Non solo, essa si risolve in una composizione semplice, “la somma” dei seguenti tre

slittamenti cronologici. Rappresentiamo questa disposizione in forma di quattro righe-cronache C1,

C2, C3, C4, mostrate nella seguente tabella:

Nella fig. 4.29 si può vedere questa stessa disposizione della cronaca E rispetto all’asse del

tempo. Il breve annale, cronaca C0 risulta essere L’ORIGINALE che descrive l’epoca dal X al XVII

secolo d.C. Facciamo presente che dell’epoca dall’XI al XIII secolo d.C. CI SONO PERVENUTE

MOLTE POCHE INFORMAZIONI.

Fig. 4.29. CCG (A.T. Fomenko). La rappresentazione del “manuale scaligeriano di storia” in forma di incollamento di quattro

brevi annali praticamente uguali.

7 “Il manuale scaligeriano di storia antica” è costituito da quattro duplicati di

una breve cronaca originale, “incollati” l’uno nell’altro

Disponendo tutte queste “brevi cronache” in verticale e identificandole, “incollando” le lettere

uguali che si trovano l’una sopra l’altra, otteniamo esattamente “la lunga cronaca” E. Pertanto,

possiamo convenire di scrivere che:

E = C1+ C2+ C3+C4.

È importante notare che ciascuna delle quattro righe, ognuna delle quali raffigura una certa breve

cronaca, composta da frammenti “del manuale scaligeriano”, è praticamente uguale.

La cronaca C2 “si incolla” alla cronaca C1 con uno slittamento di 333 anni in giù. La cronaca C3

“si incolla” alle cronache C1+ C2 con uno slittamento di 1053 anni. Infine, la cronaca C4 “si incolla”

alle C1+ C2+ C3 con uno slittamento di 1778 anni. Tutti questi tre slittamenti vengono calcolati a

partire da uno stesso punto. Tali risultati concordano perfettamente con le conclusioni indipendenti,

ottenute dall’Autore in [904], [908] sulla base delle datazioni ASTRONOMICHE delle eclissi e

degli oroscopi.

Una delle spiegazioni di questo importante risultato di A.T. Fomenko è la seguente: “il manuale

scaligeriano” di storia antica e medievale dell’Europa e dell’Asia è risultato essere un annale

stratificato, ottenuto dall’“incollatura” di quattro copie sostanzialmente identiche della breve

cronaca C1. Le restanti tre cronache C2, C3, C4, derivano da questo primigenio C1 con uno

slittamento temporale in giù rispettivamente di 333, 1053 e 1778 anni. I valori indicati degli

slittamenti sono, ovviamente, approssimativi.

In altre parole, “il manuale scaligeriano” e quindi anche il manuale contemporaneo di storia

vengono pienamente ripristinati nella loro minima parte C0, totalmente collocata a destra del 960 d.C.

In altri termini, ogni “epoca storica scaligeriana”, collocata più a sinistra, cioè più in basso del 960

d.C. risulta essere nient’altro che un riflesso-fantasma di un’altra epoca storica più tarda, totalmente

collocata a destra del 960 d.C. È proprio essa a risultare “l’originale” di tutti i duplicati-fantasma

che ha generato. Nell’annale-originale C0 i suoi frammenti (K), (R) e (P) contengono pochissime

informazioni. La parte fondamentale della cronaca C0 è contenuta nei suoi frammenti (T), (C), (H),

collocati più a destra di 1250 anni, cioè più vicino a noi.

Quanto detto sta a significare che “l’epoca scaligeriana”, posizionata a destra del 1000 d.C.

risulta essere una proiezione, un duplicato, un fantasma di un’epoca storica reale più tarda

nell’intervallo di tempo dall’XI al XVII secolo. Questa tarda epoca storica risulta essere il contesto

originale, il prototipo di tutti i duplicati da essa ingenerati.

L’intervallo XVI-XX secolo d.C. non contiene alcun duplicato-fantasma statistico di rilievo.

L’intervallo X-XIII risulta essere “la somma” di due cronache: una reale, contenente la descrizione di

alcuni eventi dei secoli X-XIII, e un duplicatofantasma, giunto qui proveniendo dal periodo dal XIV

al XVII secolo d.C., stante uno slittamento cronologico in giù di circa 300 anni.

Uno degli ultimi avvenimenti, “caduti in giù” dalla sua epoca reale (XVI-XVII sec.) in forza di

uno slittamento cronologico, fu, molto probabilmente, l’attività del famoso cronologista Dionigi

Petavius (1583-1652). Egli “trovò proiezione” nel passato in particolare come Dionigi il Piccolo,

attivo presumibilmente nel VI secolo d.C. È curioso che i nostri metodi empirico-statistici non

abbiano rinvenuto alcun duplicato statistico per gli eventi accaduti già dopo Dionigi Petavius. Si può

assumere che dopo la morte di Dionigi Petavius gli slittamenti cronologici nella storia siano cessati e

questo fatto indicherebbe che proprio Scaligero e il suo successore Petavius avessero inventato

questi slittamenti e “avessero moltiplicato la storia” in vari esemplari. (Argomenteremo nei capitoli

seguenti la nostra ipotesi circa le loro motivazioni).

Il risultato principale della prima tappa delle ricerche di A.T. Fomenko negli anni 1974-1980 è

da considerarsi l’affermazione che la stratificazione del “manuale scaligeriano” si riscontra non

solo per la storia dell’Europa e del Mediterraneo, ma per tutta la CCG, espressa con datazioni

scaligeriane, compresi l’Asia, l’Egitto ecc.

8. L’elenco degli avvenimenti-fantasma “antichi”, risultanti essere dei duplicatifantasma,

proiezioni di originali medievali.

Descriveremo in modo più dettagliato le epoche-blocco della cronaca scaligeriana E,

muovendoci da sinistra a destra lungo l’asse del tempo. Indicheremo anche le corrispondenti pietre

miliari cronologiche, cioè a dire le date scaligeriane che caratterizzano ogni frammento della cronaca

E. Specifichiamo che gli avvenimenti storici o anche le intere epoche, che in fig. 4.29 abbiamo

indicato con uno stesso simbolo, per esempio H, sono risultati essere dei duplicati cronologici, cioè i

riflessi di uno stesso originale medievale. In maniera più dettagliata questa informazione è indicata

nelle figg. 4.30, 4.31 e 4.32.

Dunque: l’annale E =

(T) = le antiche leggende greche su Dardano e “il diluvio di Dardano”.

(K) = il leggendario regno di Troia dei sette re, fatto risalire agli anni 1460-1240 a.C.

(T) = la famosa guerra e la caduta di Troia, fatte risalire al periodo 1236-1226 a.C.

(H) = le dinastie dei re dell’“antica” Grecia dalla caduta di Troia alla fondazione di Roma.

(T) = seconda variante di datazione della caduta di Troia, all’incirca una o due generazioni prima

della fondazione di Roma, e quindi fatta risalire agli anni 850-830 a.C. Questa era l’opinione degli

antichi Ellanico e Damaste ([579], pp. 23-25), vissuti presumibilmente intorno al IV secolo a.C.

Più tardi questa opinione fu avallata da Aristotele. In seguito ci sarebbe stata la fuga di Enea e dei

troiani sopravvissuti dopo la caduta della città. Storia dei loro successori e sbarco in Italia.

(T) = le leggende su Romolo e Remo, la fondazione di Roma, il ratto delle Sabine, eventi fatti

risalire agli anni 760-753 a.C.

(K/R) = la Roma dei sette re, presumibilmente degli anni 753-523 a.C. La Roma dei re è descritta da

Tito Livio. Chiameremo a volte questo regno col termine “primo Impero romano”.

(T) = cacciata dei re da Roma, colpo di stato a Roma, guerra contro i Tarquini, caduta della Roma

dei re, fondazione “dell’antica” repubblica romana presumibilmente negli anni 522-509 a.C.

(H/C) = la Roma “antica” repubblicana e la Grecia “antica”, le guerre grecopersiane, la guerra del

Peloponneso, le guerre puniche di Roma, l’Impero di Alessandro il Macedone, eventi fatti risalire

agli anni 509-82 a.C.

(T) = caduta della Repubblica a Roma; Silla, Pompeo, Cesare, Ottaviano, le guerre civili in Italia,

eventi fatti risalire agli anni 82-23 a.C.

(K/R) = Impero romano presumibilmente dall’82-27 a.C. al 217 d.C.; intorno all’inizio della nuova

era si sviluppa la vicenda di Cristo: la chiameremo a volte “secondo Impero romano”.

(T) = Guerre e crisi in Italia fatte risalire alla metà del III secolo (235-251), guerre contro i goti, i

cosiddetti “imperatori soldati” a Roma, periodo di anarchia dei presumibili anni 217-251 a.C.

(T) = restaurazione del primo Impero romano sotto Aureliano e guerre civili di questo periodo, fatte

risalire agli anni 270-306 d.C.

(K/P/C/R) = Impero romano fatto risalire dal 306 fino al 526 d.C. (chiameremo a volte questo regno

“terzo Impero romano”).

(T) = famosa guerra gotica in Italia, fatta risalire alla metà del VI secolo, caduta dell’Impero romano

di Occidente; Giustiniano, Belisario, eventi fatti risalire agli anni 535-552 d.C.

(H/P/R) = la Roma medievale dei Papi degli anni 553-900 d.C. circa e i Carolingi, l’Impero di Carlo

Magno da Pipino di Eristallo a Carlo il Grosso, presumibili anni 681-887 d.C.

(T) = epoca di Alberico I e Teodoro I a Roma, presumibili anni 901-924 d.C.

(T) = epoca di Alberico II e Teodoro II in Italia, presumibili anni 931-954 d.C.

((K/R/P)/C) = Sacro romano impero, presumibili anni 962-1250 d.C.

(T) = famosa guerra in Italia della metà del XIII secolo d.C., caduta della dinastia degli

Hohenstaufen, avvento della casa D’Angiò, Corrado, Manfredi, Carlo d’Angiò, presumibili anni

1250-1268.

(C/H) = Impero romano-germanico degli Asburgo (Novgorod) presumibili anni 1273-1619; in questo

stesso periodo fioritura della Grecia medievale, Stati crociati nel territorio della Grecia, quindi

invasione ottomana, caduta di Costantinopoli e dell’Impero di Bisanzio, formazione dell’Impero

ottomano (Osmano).

Inoltre, a partire dal 330 d.C. nel “manuale scaligeriano” E sono state collocate le dinastie di

Bisanzio, trascurate in questo elenco. Ricordiamo che le epoche indicate nella fig. 4.29 con lo stesso

simbolo (lettera) sono risultate essere dei duplicati, cioè composti “dagli stessi eventi”. Per esempio,

ciò si riferisce ai seguenti conflitti famosi:

α. la guerra di Troia fatta risalire al XIII secolo a.C.;

β. la guerra contro i Tarquini a Roma, fatta risalire al VI secolo a.C.;

χ. la guerra civile tra Silla, Pompeo e Giulio Cesare in Italia, fatta risalire al I secolo a.C.;

δ. la guerra civile a Roma, fatta risalire al III secolo d.C.;

ε. la guerra gotica in Italia, fatta risalire alla metà del VI secolo d.C.;

φ. la guerra civile a Roma, fatta risalire al 901-924 d.C.;

γ. la guerra civile a Roma, fatta risalire al 931-954 d.C.;

η. la guerra all’inizio del Sacro romano impero nei secoli X-XIII d.C.;

ι. la guerra in Europa, e nella fattispecie in Italia, della metà del XIII sec. d.C.; la presa di

Costantinopoli, la caduta degli Hohenstauf, l’avvento della casa d’Angiò. Quest’ultima guerra del

XIII secolo d.C. è, con tutta probabilità, l’originale medievale di tutte le altre guerre “antiche”

registrate nella cronaca scaligeriana E con il simbolo T (si veda fig. 4.29)

[...].

Fig. 4.30. Rappresentazione più dettagliata della CCG e del sistema di slittamenti cronologici (parte prima).

Fig. 4.31. Rappresentazione più dettagliata della CCG e del sistema di slittamenti cronologici (parte seconda).

Fig. 4.32. Rappresentazione più dettagliata della CCG e del sistema di slittamenti cronologici (parte terza).

9. La nostra ipotesi: la storia descritta negli annali “antichi” giunti fino a noi

comincia all’incirca solo a partire dal X secolo d.C. Non sappiamo nulla degli

eventi avvenuti prima del X secolo d.C.

Tiriamo alcune conclusioni. Dal disgregamento della CCG, cioè del “manuale scaligeriano” di

storia antica, segue un’importante affermazione e cioè: tutta la parte del manuale scaligeriano,

collocata prima del 1000 d.C. (approssimativamente), è composta da duplicati-fantasma. I loro

originali medievali si trovano nell’intervallo 1000-1650 d.C. Nella fattispecie, ogni evento ordinato

nel “manuale scaligeriano” prima del 1000 d.C. è la somma di alcuni (in generale due, tre, quattro)

eventi medievali più tardi. In altre parole il “manuale scaligeriano” è una cronaca stratificata,

formata da quattro parti incollate, spostate l’una rispetto all’altra e praticamente identiche. Il

“manuale scaligeriano” non contiene alcun duplicato inaspettato a partire dal XVI secolo d.C. e in

epoca più vicina a noi. Mentre nell’intervallo dal 1000 al 1300 d.C. i duplicati-fantasma sono già

presenti, per esempio il blocco C. Il suo originale medievale, più precisamente l’Impero degli

Asburgo, è disposto più in alto del 1300 d.C. Nella fattispecie, la parte del “manuale scaligeriano”,

che contiene la descrizione del periodo 1000-1300 d.C., risulta essere “la somma”, “l’incollamento”

di due cronache: di una certa cronaca reale, contenente la descrizione degli eventi reali del periodo

1000-1300 d.C. (probabilmente si trattava di una cronaca stringata), e di una cronaca reale

contenente la descrizione degli eventi dell’epoca degli Asburgo (anni 1300-1600 d.C.).

La cronologia globale d’Europa, nei suoi tratti generali, fu creata alla fine del XVI - inizio XVII

secolo, nei lavori di G. Scaligero e D. Petavius. E proprio qui, fatto importante, finisce l’ultimo

periodo C, “sprofondato in giù” a causa degli errori cronologici e generante “nell’Antichità” i

duplicati-fantasma (si vedano lettere C nella carta cronologica scaligeriana; figg. 4.29, 4.30, 4.31,

4.32). Ripetiamo, ancora una volta che l’intera CCG è di fatto un documento stratificato. Molti

eventi, oggi considerati “antichi”, in realtà si compongono di eventi medievali più tardi, descritti

nelle cronache “sprofondate in giù” C2, C3 e C4, sovrapposti nella cronaca C1. L’applicazione dei

nostri metodi statistico-matematici al periodo 1600-2000 d.C. non ha individuato alcun duplicatofantasma

e ciò è indice dell’attendibilità generale dello schema cronologico relativo agli anni 1600-

2000. Il “manuale scaligeriano” è nato a partire da una più breve cronaca, la C0, in seguito a errori

cronologici di cui parleremo più avanti e, probabilmente, anche in seguito a un’alterazione

intenzionale della cronologia della storia medievale. Sulle cause si vedano i nostri libri Imperija

(L’impero), Biblejskaja Rus’ (La Rus’ biblica) e Rekonstrukcija (La ricostruzione).

Sono possibili due spiegazioni del fenomeno di disgregamento da noi scoperto. Prima

spiegazione: tutti i parallelismi-ripetizioni sono solo un insieme di casualità. Se si assume un tale

punto di vista, analizzando queste coincidenze e intendendole come eventi casuali se ne può valutare

la loro probabilità. È ciò che ha fatto l’Autore con l’ausilio dei metodi statistici, dai quali è emerso

che le probabilità di casualità sono piuttosto basse. Ciò permette di avanzare l’ipotesi che le

ripetizioni-coincidenze individuate sono tutt’altro che casuali. In questo modo arriviamo alla seconda

spiegazione. Essa merita una seria attenzione. La frantumazione individuata del manuale scaligeriano

nella somma di quattro cronache più brevi non è affatto casuale. Ci siamo scontrati con le tracce di

un’attività assolutamente consapevole di stesura di “una storia appositamente lunga”. Di ciò si

occuparono attivamente i cronologisti della fine del XVI secolo e del XVII secolo. Otteniamo così

anche una risposta preliminare alle seguenti due domande fondamentali:

1. qual era la storia reale?

e

2. come e perché di essa si è ottenuto il “manuale scaligeriano”?

Evidentemente, la storia descritta nelle fonti scritte giunte fine a noi, comincia solo verso il X-XI

secolo d.C. ed è più vicina a noi. È probabile che solo nel X secolo sia nata la scrittura. L’epoca

dall’XI al XVII secolo è descritta sia nelle cronache medievali sia nelle “antiche” fonti, che è ora di

risistemare al posto giusto: nell’XI-XVII secolo.

Il risultato di questa risistemazione è che la storia medievale a noi nota diventa più densa e ricca

di informazioni. Di essa si viene a sapere molto di nuovo. Tutta la storia biblica, ossia gli eventi

contenuti nell’Antico e nel Nuovo Testamento, viene compresa nell’intervallo dall’XI sec. d.C. al

XVII sec. d.C.

10. La storia attendibile comincia solo a partire dal XVII secolo d.C. La storia dei

secoli XI-XVI è fortemente alterata. Molte date del periodo XI-XVI secoli

necessitano di correzione

Dalla carta cronologica nella fig. 4.29 si deduce che alcuni avvenimenti dei secoli X-XIII devono

essere “spostati in su” di circa 330 o 360 anni, poiché potrebbero essere avvenimenti risalenti

all’epoca degli Asburgo, secoli XIV-XVII. Dalla fig. 4.29 si arguisce, inoltre, che possiamo fidarci

delle datazioni scaligeriane solo a partire dal XVII (diciassettesimo!) secolo d.C. La storia dei secoli

XIV-XVI è fortemente alterata. Il cambiamento delle date non è qui così significativo, come lo è per

le epoche anteriori, tuttavia le forti alterazioni introdotte dalla scuola di Scaligero riguardano

avvenimenti importanti del periodo XIV-XVII secolo d.C. (si vedano i nostri libri Imperija,

Biblejskaja Rus’ e Rekonstrukcija [precedentemente citati; N.d.T.]). Infine, il calcolo reale degli

“anni dell’era cristiana”, dalla nascita di Cristo nel 1152 d.C. (ovvero, conformemente all’errata

tradizione medievale da noi recuperata, non prima del 1053 d.C.) può aggiungere quanto meno 50 o

150 anni alle date dei libri, che si ritiene siano stati pubblicati nei secoli XV-XVI. Lo stesso riguarda

le vite dei re, dei condottieri, degli scrittori e dei poeti, degli artisti e degli scultori, vissuti, come si

è soliti ritenere, nell’epoca XIV-XVI secc. d.C.

Può darsi che molti di loro siano vissuti in un periodo di 50 o 150 anni più vicino alla nostra

epoca.

11. Ipotesi sulla causa dell’insorgenza di slittamenti cronologici errati nella

stesura della storia dell’Antichità

11.1. Lo spostamento cronologico di 1000 o 1100 anni come conseguenza

dell’errore nella datazione della vita di Gesù Cristo

Gli slittamenti cronologici individuati dall’Autore si possono spiegare con gli errori compiuti dai

cronologisti dei secoli XVI-XVII nel processo di datazione degli eventi medievali. La prima causa

degli errori fu dovuta all’imperfezione della trascrizione delle date nel Medioevo. Un errore

gravissimo dei cronologisti fu quello di datare in modo inesatto la nascita o la crocifissione di

Cristo. L’errore è dell’ordine DI MILLE ANNI, avendo essi spostato la vita di Gesù Cristo dal XII

secolo al I secolo. Lo spostamento individuato, precisamente di 1053 anni, rappresentato nella fig.

4.29 dimostra chiaramente che “l’inizio della nuova era”, in base all’errata tradizione medievale da

noi recuperata, cadeva all’incirca nel 1053 d.C. Tuttavia questa tradizione si sbagliava di circa 100

anni. In base ai nostri calcoli, possiamo affermare che la data autentica della vita di Cristo è ancora

più vicina a noi e risale più precisamente alla seconda metà del XII secolo: 1152-1185 d.C. (si veda

il nostro libro Car’ Slavjan [Il re degli Slavi, opera cui gli Autori fanno spesso riferimento; N.d.T.]).

Quindi, all’inizio i cronologisti si sono sbagliati di 100 anni e hanno spostato la vita di Gesù dal XII

all’XI secolo. In seguito hanno compiuto un nuovo errore (il più serio), spostando le date all’indietro

di altri mille anni. Lo spostamento di 1000 o 1100 anni ha causato una grande confusione nella

datazione di molti documenti, che venivano datati a partire dalla data di nascita di Cristo. Ne è

conseguito che gli eventi medievali dei secoli XII-XVII d.C., descritti in simili annali, sono stati

inesattamente datati e spostati all’indietro di mille anni. Come è potuto sorgere un tale serio errore

nelle date?

Formuliamo di seguito l’idea che può spiegare la causa dell’insorgenza di alcuni spostamenti

cronologici:

1. All’inizio le date venivano scritte in forma di espressioni verbali, “formule”, sottoposte in

seguito ad abbreviazione.

2. Successivamente il senso originario dell’abbreviazione veniva perduto, dimenticato.

3. I cronologisti posteriori proponevano di considerare queste lettere non come abbreviazioni di

certi nomi, ma come una designazione in cifre. Ricordiamo che un tempo le lettere indicavano

anche le cifre.

4. Mettendo al posto delle lettere le cifre (secondo le regole in uso), i cronologisti ottenevano

delle “date” sbagliate, sostanzialmente diverse da quelle autentiche.

5. Dal momento che di formule-abbreviazioni ce n’era più di una, sono insorti alcuni spostamenti

cronologici.

6. Ogni decifrazione sbagliata generava un corrispondente spostamento cronologico.

Chiariamo questo pensiero con degli esempi.

11.2. La lettera X nelle date un tempo indicava il nome di Cristo, ma in seguito fu

interpretata come la cifra “dieci”. La lettera “I” un tempo indicava il nome di

Gesù (Iesus) ma in seguito fu interpretata come la designazione di “mille”

Uno dei principali spostamenti di 1053 o 1153 anni, cioè all’incirca di 1000-1100 anni, poteva

essere sorto in seguito alla giustapposizione, da parte dei cronologisti posteriori, di due diversi modi

di trascrizione delle date.

Primo modo: la forma abbreviata di trascrizione. Per esempio, “III secolo da Cristo” poteva

essere abbreviato come “X.III”, dove X è la prima lettera del nome Cristo, in greco. La lettera “X” è

uno degli anagrammi medievali più diffusi del nome di Cristo. Per questo motivo, l’espressione “di

Cristo il I secolo”, in abbreviazione, poteva acquisire l’aspetto di “X.I”, “di Cristo il II secolo”,

poteva diventare “X.II” ecc. Non è da escludere che proprio da queste abbreviazioni siano nate le

designazioni usate oggi per i secoli.

Comunque sia, a partire da un certo momento, i cronologisti medievali proposero di trattare la

lettera “X”, all’inizio della data, come la cifra “dieci”. Questa interpretazione aggiunge

automaticamente MILLE ANNI alla data originaria, ragion per cui si viene a creare una data

sbagliata, di mille anni più antica di quella reale.

La nostra ricostruzione concorda bene con il noto fatto che “gli italiani medievali” indicavano i

secoli in centinaia: TRECENTO (XIV secolo), QUATTROCENTO (XV secolo), CINQUECENTO

(XVI secolo) ecc. ([242], p. 25). Ma questo tipo di designazione dei secoli INDICA

INEQUIVOCABILMENTE UN INIZIO DI CALCOLO A PARTIRE PROPRIO DALL’XI SECOLO

d.C., poiché viene apertamente ignorata l’aggiunta, oggi per noi consueta, di “mille”. Se ne deduce

che gli italiani medievali non conoscevano alcun “mille”. Come capiamo ora, proprio a causa del

banale fatto che “questo mille superfluo” semplicemente non c’era.

Quando si confrontano con questa “ignorazione di mille anni”, gli storici contemporanei evitano

di fornire una spiegazione ovvero, nella migliore delle ipotesi, prendono semplicemente atto del

fatto, motivandolo a volte con considerazioni “sulla comodità” di una simile designazione: così era

più facile scrivere le date. Il loro ragionamento è questo: «Nei secoli XV-XVI, nelle datazioni, NON

DI RADO, venivano trascurate le migliaia o le centinaia! ([102], p. 117)». Come cominciamo a

capire, i cronologisti medievali riportavano onestamente le date, per esempio: 100 anni da Cristo,

intendendo con ciò, in termini contemporanei di cronologia, o l’anno 1150 (se calcolavano la data a

partire dalla data sbagliata della nascita di Cristo, anno 1050 d.C.) o all’incirca l’anno 1250 (se

calcolavano la data a partire dalla giusta data di nascita di Gesù, cioè il 1152 d.C. Solo in seguito i

cronologisti scaligeriani dichiararono che a tali “piccole date” (cent’anni da Cristo) dovevano essere

assolutamente aggiunti altri mille anni. Così essi finirono per “anticare” gli eventi medievali.

Ancora: la lettera “I”, all’inizio poteva essere l’abbreviatura del nome di IESUS. La “I” è la

prima lettera nella trascrizione greca del nome di Iesus, di conseguenza la trascrizione della data

1300, per esempio, poteva all’inizio indicare I.300, cioè “il trecentesimo anno da Gesù” (Iesus), in

greco. Questo tipo di trascrizione concorda col precedente, giacché 1300 = 300-esimo anno da Gesù

(Iesus) = anno 300 dall’inizio dell’XI secolo (o, più precisamente, dal XII secolo). In relazione a

ciò, riteniamo della massima importanza prestare attenzione alla seguente rilevante circostanza: è

emerso che nei documenti medievali, specialmente dei secoli XVI-XVII, quando si trascrivevano le

date, le prime lettere, indicanti, come si ritiene oggi, “le grandi cifre”, VENIVANO SEPARATE CON

PUNTI dalle ultime, designanti le cifre entro le decine e le centinaia.

Riportiamo di seguito alcuni dei numerosi esempi.

1. Il frontespizio di un libro (Libro di Bene detto Bordone), stampato a Venezia, fatto risalire al

1528. La data è trascritta in forma di M.D.XXVIII., cioè con dei punti, separanti le cifre (si veda

fig. 4.33).

2. La carta del mondo di Joachim von Watt, fatta risalire al 1534. La data è stata trascritta in forma di

M.D.XXXIIII., cioè con dei punti, separanti le cifre (si vedano figg. 4.34 e 4.35).

3. Il frontespizio del libro di Jan Drusius, fatto risalire al 1583. La data è trascritta in forma di

M.D.LXXXIII., cioè con dei punti, separanti le cifre (si veda fig. 4.36).

Fig. 4.33. Qui l’anno 1528 è trascritto in forma «M.D.XXVIII.», con punti separatori (tratto da [1009] p. 69).

Fig. 4.34. Qui l’anno 1534 è trascritto in forma «M.D.XXVIII.», con punti separatori (tratto da [1009] p. 71).

Fig. 4.35. Frammento con l’iscrizione «M.D.XXVIII.», con punti separatori (tratto da [1009] p. 71).

Fig. 4.36. Qui l’anno 1583 è trascritto in forma di «M.D.LXXXIII.», con dei punti separatori (tratto da [35], p. 29).

4. Il marchio di edizioni di Ludovico Elzeviro. La data, ritenuta 1597, è trascritta in forma di

(I).I).XCVII. cioè con dei punti che separano le cifre e con l’utilizzo di parentesi a forma di

piccole mezzelune a destra e a sinistra per la trascrizione delle lettere latine M e D (si veda fig.

4.37). Questo esempio è anche interessante per il fatto che qui, sul nastro di sinistra, esiste anche

la trascrizione della data in cifre “arabe”. La data, ritenuta 1597, è trascritta in forma di I.597 o

I.595, (fig. 4.38). Oltre alla circostanza che la prima “unità” è separata da un punto dalle altre

cifre, vediamo qui che l’“unità” è chiaramente trascritta con la lettera LATINA I, come prima

lettera del nome Iesus.

5. Con l’utilizzo di parentesi a forma di piccole mezzelune è trascritta la data “1630” nei frontespizi

dei libri stampati presentati nelle figg. 4.39 e 4.40. Tra l’altro è interessante il nome del secondo

libro La Russia o la Moscovia, chiamata TARTARIA ([35], p. 55).

Fig. 4.37. Qui l’anno 1597 è scritto in forma di «(I)I).XCVII.», cioè con punti separatori e con l’utilizzo di parentesi a

mezzaluna a destra e a sinistra per la trascrizione delle lettere latine M e D. Sul nastro sinistro è presente la data in cifre

“arabe”. La data indica il 1597 ed è scritta in forma di I.597 (o I.595). L’“unità” è separata con un punto dalle altre cifre ed è

scritta in lettera latina I, cioè, probabilmente l’iniziale di Iesus (tratto da [35], p. 30).

Fig. 4.38. Frammento con la data I.597 (tratto da [35], p. 30).

Fig. 4.39. Con l’utilizzo di parentesi a forma di piccole mezzelune è trascritta la data “1630” nel frontespizio del libro La

repubblica d’Olanda (tratto da [35], p. 49).

6. Di estremo interesse è la trascrizione della data, ritenuta 1506, nell’incisione dell’artista tedesco

Altdorfer (fig. 4.41). La nostra trascrizione (schizzo) di tale data è illustrata nella fig. 4.42. La

prima “unità” è separata da un punto dalle altre cifre ed è visibilmente trascritta come lettera latina

“I”, cioè come prima lettera del nome Iesus. Tra l’altro la cifra, che si ritiene 5, assomiglia molto

alla cifra 7. Può darsi che qui sia scritto 1706 e non 1506? Quanto attendibilmente sono state

datate le incisioni e i quadri attribuiti oggi ad Altdorfer, che si ritiene sia vissuto nel XVI secolo?

È possibile che sia vissuto in epoca più tarda?

Fig. 4.40. Con l’utilizzo di parentesi a forma di piccole mezzelune è trascritta la data “1630” nel frontespizio del libro La

Russia o la Moscovia, chiamata TARTARIA (tratto da [35], p. 55).

Fig. 4.41. La data, che si ritiene 1506, apposta sull’incisione dell’artista tedesco Altdorfer. La prima “unità” è separata da un

punto e indica evidentemente la lettera latina I. Probabilmente stava a indicare l’iniziale di Iesus. La cifra 5 è scritta come un

7. Può darsi che si tratti del 1706 e non del 1506? Può darsi che Altdorfer sia vissuto non nel XVI secolo ma più tardi? (Tratto

da [1203], n. 2).

Fig. 4.42 Il nostro schizzo della data indicata nell’incisione di Altdorfer (tratto da [1203], n. 2).

7. Colpisce molto la trascrizione della data 1524 nell’incisione di Albrecht Durer, riportata in fig.

4.43. La data è trascritta così: «.i.524.» (si vedano le figg. 4.43 e 4.44). Si può notare come la

prima lettera non solo è separata dalle altre cifre da un punto, ma è apertamente trascritta come la

lettera latina “i” con il punto, come la prima lettera del nome “isus”. In questo caso la “i” è

circondata da punti sia a destra che a sinistra.

Un analogo esempio di trascrizione della data con l’utilizzo della lettera latina “i” al posto

dell’unità 1 (usata oggi per designare, come si ritiene, “mille anni”), è riportato nelle figg. 4.45,

4.46. Si tratta di un’antica incisione raffigurante Bertold Schwarz, l’inventore della polvere da

sparo. La fotografia dell’incisione ci è stata gentilmente fornita da A.M. Isakov. A proposito, chi in

realtà fosse Bertold Schwarz, lo raccontiamo nel nostro libro Prorok Zavoevatel’ (Il Profeta

conquistatore).

Fig. 4.43. La trascrizione della data 1524 sull’incisione di Albrecht Durer, in forma di «.i.524.». La prima lettera è chiaramente

scritta come “i” latina, con il punto (tratta da [714], p. 22).

Fig. 4.44 Nostro schizzo della data 1524 sull’incisione di Albrecht Durer (tratto da [714]).

Fig. 4.45. Antica stampa, raffigurante Bertold Schwarz, l’inventore della polvere da sparo. Nella data la lettera latina “i”

minuscola è indicata al posto dell’unità (tratta da [1121:1], inserto dopo il frontespizio del libro).

Fig. 4.46. Raffigurazione ingrandita della data indicata sull’incisione di Bertold Schwarz. Nella data la lettera latina “i”

minuscola è indicata al posto dell’unità (tratta da [1121:1], inserto dopo il frontespizio del libro).

8. Dunque, ripetiamo, ancora una volta, che nelle antiche trascrizioni di date del tipo “1520”, la

prima cifra 1, evidentemente, deriva dalla lettera “I”, prima lettera di Iesus che originariamente

era scritta all’inizio della data. Cioè la data, un tempo, appariva in questo modo: “Iesus 520-esimo

anno” o, in abbreviato, I520. In seguito cioè fu dimenticato o si costrinse a dimenticare e la lettera

“I” fu interpretata come la designazione di “mille”, col risultato che, al posto della frase “da Iesus

il cinquecentoventesimo anno” si cominciò a dire diversamente: “mille cinquecentoventi”. In

questo modo, dopo lo spostamento di cento anni, impercettibilmente “fu confezionato” ancora uno

spostamento cronologico, questa volta della durata di mille anni. Alla fine la data di nascita di

Iesus venne spostata dal XII secolo prima all’XI e poi ancora più in là, al I secolo. Le tracce di

questo precedente significato della prima cifra 1 si sono mantenute fino a oggi. Alcuni esempi ci

sono stati comunicati da N.S. Kellin.

Nella città di Boston (USA), nel territorio dell’università, si trova la chiesa universitaria

ecumenica policonfessionale, con una bandiera a strisce sulla guglia. La lapide memoriale riporta

incisa la scritta:

This stone from the fabric of St. Savior’s Church. Southwark. London now the

Cathedral Church of that Diocese commemorates the Baptism of John Harvard there

on November 6, J607

La data 1607 è trascritta qui come J607, cioè Jesus-607; in altri termini “da Iesus il 607esimo

anno”. Fatto che, nuovamente, indica l’errata datazione medievale della nascita di Gesù Cristo

nell’XI secolo (di fatto, lo ricordiamo, la datazione giusta è: anno 1152). Facciamo notare che la

presenza qui proprio della lettera J – prima lettera di Jesus (al posto della lettera I) – risulta

essere un argomento aggiuntivo in favore della nostra idea.

Un altro esempio individuato da N.S. Kellin riguarda il castello di Closter, New York (USA).

Questo castello medievale fu acquistato da Rockfeller in Francia, nella regione di Roussillon, e

trasportato in America. Le collezioni che si trovano ora nel castello furono acquistate in diversi

Paesi d’Europa. Qui, nella fattispecie, sono esposti dei soggetti biblici e di vita quotidiana

provenienti dalla Germania, disegnati su cerchi di vetro del diametro di 20-25 cm e ben

conservati. Uno di questi lavori è datato J532. Oggi gli storici decifrano questa data come 1532.

Ma la scritta è, di nuovo, J-532, cioè “da Jesus anno 532”.

Esisteva quindi una precisa tradizione medievale di trascrizione delle date di tre cifre, dalla

nascita di Gesù, indicata in forma di J***, che indicava apertamente il nome di Jesus, Iesus. E

automaticamente indicava la data della sua nascita, che era fatta risalire erroneamente all’XI

secolo. Di fatto, ripetiamo, Gesù nacque cento anni più tardi, nel 1152.

9. Un esempio lampante della trascrizione medievale delle date in forma di J*** è riportato in fig.

4.47. Si tratta dell’incisione di Georg Pencz, un artista del XVI secolo. La data 1548 è trascritta in

forma di J548 (si veda la fig. 4.48).

Esisteva comunque un altro modo di trascrizione delle date, quando le parole “dalla nascita di

Cristo” venivano scritte per intero e non venivano sostituite da una lettera. Cioè veniva indicato con

“III secolo dalla nascita di Cristo”, e non con “X.III secolo”.

Col passare del tempo, la comprensione del fatto che le lettere “X” e “I” all’inizio delle

espressioni sopra indicate significassero le prime lettere dei nomi Cristo e Iesus, venne perduta. Al

suo posto i cronologisti ascrivevano a queste lettere i loro valori numerici. Ricordiamo che un tempo

le cifre venivano indicate con le lettere, cioè i cronologisti dichiaravano che X significava “dieci”,

mentre I, era l’unità. Ne risultò che espressioni del tipo “X.III” o “I.300” cominciarono a essere

percepite come “tredicesimo secolo” o “milletrecento anni”.

Secondo la nostra ricostruzione, Cristo visse nel XII secolo d.C., mentre i cronologisti hanno

collocato la sua traccia-fantasma nella storia scaligeriana dell’XI secolo, col nome di papa Gregorio

Ildebrando (“Oro ardente”). Più tardi gli storici gli assegnarono anche “il numero d’ordine VII” e

oggi noi lo conosciamo anche con il nome “Gregorio VII” (si veda la fig. 4.49).

Fig. 4.47. Incisione di Georg Pencz, artista del XVI secolo. La data 1548 in quest’incisione, è indicata come J548, cioè in

qualità di prima “cifra” c’è la prima lettera J, iniziale di Jesus (tratta da [714], p. 30).

Fig. 4.48. Frammento con la data, nell’incisione di G. Pencz.

Fig. 4.49. Antica miniatura con la raffigurazione del papa romano Gregorio VII Ildebrando (tratta da [492], t. 1, p. 59).

Val la pena di notare che a destra della testa di “Gregorio VII” è raffigurata una colomba.

Ricordiamo che la colomba è un diffuso simbolo evangelico: lo Spirito Santo. Dunque, la

raffigurazione di “Gregorio VII” porta in sé le tracce del Vangelo, fatto che, come cominciamo a

capire, è assolutamente normale (si veda il nostro Antičnost’ – eto srednevekov’e [L’Antichità è il

Medioevo], vol. 1, cap. 4).

Si ritiene che “Ildebrando” (“Oro ardente”) sia nato nel 1020 d.C. e sia stato papa dal 1073 al

1085 [196]. Il suo ritratto, probabilmente di origine più tarda, è riportato nelle figg. 4.50 e 4.51.

Ribadiamo che la nascita di Cristo avvenne nel 1152 (si veda il nostro libro Car’ Slavjan) ma in

alcuni documenti potrebbe essere stata spostata per errore all’indietro di circa 100 anni e fatta

riferire alla metà o addirittura all’inizio dell’XI secolo. Poi sorse il secondo spostamento, quello di

circa 1050 o 1000 anni, relativo a quella parte di documenti che utilizzava la trascrizione della data

in forma dettagliata e intera “dalla nascita di Cristo III secolo”, invece della forma abbreviata

“X.III”. In altri termini, lo spostamento di 1050 o 1000 anni è, probabilmente, la differenza tra la

forma piena della trascrizione delle date e quella abbreviata. Lo spostamento cronologico generato

da questo errore doveva corrispondere a 1000 o 1100 anni, e un tale errore nella cronologia di

Scaligero esiste davvero! Non è altro che uno dei suoi spostamenti principali (si veda sopra la

CCG).

Fig. 4.50. Il papa Gregorio “VII”, ovvero Ildebrando, in una raffigurazione più tarda, probabilmente convenzionale (tratta da

[544], t. 5, p. 633, ill. 110).

Fig. 4.51. Anche questa è una raffigurazione molto tarda e assai convenzionale del papa Gregorio “VII”, cioè Ildebrando,

estratta dal libro latino del XVIII secolo Disegni dei santissimi papi (tratta da [578], vol. 1, p. 356, ill. 13).

11.3. Fino al XVIII secolo, in certe regioni d’Europa, per la trascrizione delle date

venivano usate, a indicare l’unità, le lettere latine I o J, cioè la prima lettera

del nome Jesus (Iesus)

Sopra abbiamo espresso il pensiero che, negli antichi documenti, quando si trascrivevano le date,

la prima lettera X un tempo stava a indicare il nome, in greco, di Cristo (Xristos) ma col tempo fu

interpretata come la cifra DIECI. Analogamente, la lettera I o J un tempo indicava il nome di Gesù

(Jesus o Iesus), ma in seguito anch’essa finì per essere interpretata come designazione di MILLE. Ne

risultò che si produsse uno spostamento cronologico di 1000 anni, che allontanò nel tempo molti

eventi dei secoli XII-XVII. Riportiamo nuovi dati relativi a questo tema. Il professor M.Ch. Musin,

accademico dell’Accademia internazionale delle scienze ecologiche e della sicurezza dell’uomo, ci

ha regalato una rara edizione del 1937. Si tratta del libro Annales de la Société Royale

d’Archéologie de Bruxelles [1012], che contiene un lavoro molto interessante di Chanoine F. Crooy,

Les orfèvres de Bois-Le – Duc et leurs poinçons ([1012], pp. 5-41). In questo testo si analizzano

delle tavolette di rame che portano incisi i nomi degli artigiani orafi di Bois-le-Duc dei secoli XVIXVIII,

e sono riportati i loro marchi. Sottolineiamo che le tavolette di rame erano documenti ufficiali,

sulla base delle quali veniva verificata l’autenticità del marchio dell’artigiano. Per questo motivo

queste tavolette costituiscono per noi un interesse particolare, rispecchiando lo stile e la forma dei

documenti statali che erano in circolazione nel territorio dell’odierno Belgio nei secoli XVI-XVIII.

Nel libro in oggetto [1012] sono riportate le foto di tutte queste tavolette. In esse, in colonna, sono

elencati i nomi dei maestri orafi. Accanto ad ogni nome è indicato un anno ed è riportato il marchio

dell’artista. Ai nostri fini è importante il modo di trascrizione delle date.

I nomi dei primi 33 mastri orafi belgi sono elencati senza l’indicazione delle date. Quindi appare

la prima data (si veda fig. 4.52 angolo inferiore destro). Qui, ci dicono gli storici, è indicato l’anno

1642 (si veda fig. 4.53), tuttavia, in qualità di prima “unità”, si legge chiaramente la lettera latina J,

cioè la prima lettera del nome Jesus-Iesus. Dunque, questa data probabilmente indica “da Gesù il

642° anno”. Ma se così fosse, detraendo da 1642, 642 anni, otterremmo, in qualità di data di nascita

di Gesù Cristo, più o meno 1000 d.C. (data che si differenzia di 150 anni dall’autentica data di

nascita, ovvero 1152 d.C.).

Nelle figg. 4.53, 4.54, 4.55, 4.56, 4.57, 4.58, 4.59, 4.60, 4.61, 4.62, 4.63, 4.64, 4.65, 4.66, 4.67,

4.68 elenchiamo tutte le date menzionate consecutivamente nelle tavolette belghe. E più

precisamente:

J642, i607, i607, j607, i.608, i615, i618, I6I8, i620, j620, j620, j624, i628, j63i, j63j, i635,

i635, j637, j637, j64i, j642, J643, J647, J644, J65J, J65J, J65J, j652, J654, J654, j658, j659,

I662, J662, j663, j665, j665, j666, j666, j666, j668, j670, j671, i672, i672, J674, j676, J676.

J649, J677, J678, j679, 1679, j684, j685, j685, j686, j690, J692, J692, J693, J693 oppure J695,

J696, J697, j703, J706, J706, J708, J708, J709, J709, j7j0, j7jj, J7JJ, J7J2, i7j2, j7i2, j725,

j726, j734, i735, i735, i735, j738, i742.

Segue poi una data curiosa: jJ99. Probabimente è 1744, tuttavia l’unità è indicata come j, il sette

come J e il 4 come l’odierno 9 “arabo”.

Più avanti ancora si trovano le date: 1745, i752, i(o j)7-53, J754, j757, J758, J758, J7-59, J7-59,

j760, i(o j)762, i(o la lettera greca Lambda)763, 1764 (qui l’unità è trascritta con “aspetto arabo”,

com’è in uso oggi), j764, j764, j768, j768, j768, J78J, J78J, i783, j785, j789, 1798, j790, j79j, J79J,

J793, J793, j(come la “S” latina)794, J795, J796, J798, 1799.

Facciamo notare che l’ultima data è scritta già con “l’unità araba”: 1799.

Fig. 4.52. Una delle tavolette di rame con i nomi e i marchi degli orafi belgi dei secoli XVI-XVIII (tratta da [1012], Allegato alla

fine del libro).

Fig. 4.53. La primissima data, J642, che s’incontra nelle tabelle belghe con il nome dei maestri orafi dei secoli XV-XVIII. Qui

l’“unità” è indicata con la lettera latina J. L’iniziale di Jesus (tratto da [1012], Allegato Pl.I/2).

Fig. 4.54. Date del XVII nelle tabelle belghe. Qui l’“unità” è indicata con la lettera latina “i” minuscola (si vedano le due date

superiori i607, i607 e le due inferiori i608, i615), e con la “j” (si veda la data in centro j607), (tratto da [1012], allegato, Pl.I/3).

Fig. 4.55. Le date del XVII secolo nelle tabelle belghe indicate con: i618, i620, j620, j620, j624, i628, j63i, j63j, i635, i635, j637,

j637, j64i, j642 (tratto da [1012]).

Si nota chiaramente che, nella maggior parte dei casi, la cifra 1 veniva trascritta o come “I”, o

come “J”. Questa pratica era in vigore fino alla fine del XVIII secolo e ciò si evince bene nella fig.

4.67, dove la penultima data della tavoletta è scritta ancora con la forma j798, cioè 1798,

nell’accezione odierna di questa designazione. Può darsi che la cifra 1 venisse scritta in Belgio in

certi documenti ufficiali in forma di lettera latina “i” o “j” anche nell’epoca più tarda, cioè nel XIX

secolo. Tuttavia l’elenco di nomi di maestri orafi che ci è capitato in mano si interrompe nell’anno

1799. Non possiamo sapere cosa sia successo oltre questa data.

Un fatto curioso è che, in queste tabelle belghe, a partire dalla metà del XVIII secolo prende

inizio UNA FORTE DISCORDANZA NELLA TRASCRIZIONE DELLE DATE (si veda per esempio

la fig. 4.62). Ciò, forse, può stare a indicare che le trascrizioni di date “più anteriori” e più regolari,

cioè “non saltanti”, siano state ulteriormente redatte da qualcuno, ovvero incise, sulla superficie

malleabile di rame precedentemente grattata, a posteriori, già dopo la metà del XVIII secolo, quando

la trascrizione delle cifre si era più o meno consolidata (pur essendo ancora lontana dalla forma

odierna).

Fig. 4.56. Le date del XVII secolo nelle tabelle belghe: J643, J647, J644, J65J, J65J, J65J, j652, J654, J654, j658, j659, I662,

J662 (tratto da [1012]).

Fig. 4.57. Le date del XVII secolo nelle tabelle belghe: j663, j665, j665, j666, j666, j666, j668, j670, j671, i672, i672, J674, j676,

J676 (tratto da [1012]).

Fig. 4.58. Le date del XVII secolo nelle tabelle belghe: J649, J677, J678, j679, 1679. Qui per la prima volta, nelle tabelle, è

comparsa l’unità, scritta come il “numero arabo” che usiamo oggi, cioè come 1. Poi seguono le date: j684, j685, j685, j686,

j690, J692, J692 (tratto da [1012]).

Fig. 4.59. Le date del XVII e dell’inizio del XVIII secolo riportate sulle tabelle belghe: J693, J693 или J695, J696, J697, j703,

J706, J706, J708, J708, J709, J709 (tratto da [1012]).

Fig. 4.60. Le date del XVIII riportate sulle tabelle belghe: j7j0, j7jj, J7JJ, J7J2, i7j2, j7i2, j725, j726 (tratto da [1012]).

Fig. 4.61. Le date del XVIII riportate sulle tabelle belghe: j734, i735, i735, i735, j738, i742. In quest’ultima data la prima cifra

assomiglia alla lettera greca “lambda” con un punto in alto. È evidente che, alla fine del XVIII secolo, la scrittura delle cifre era

ancora molto incerta. Segue poi una trascrizione interessante: jJ99. Probabilmente si trattava di 1744, tuttavia l’unità è scritta

come j, il sette come J, e il quattro come il numero “arabo” usato oggi 9. Seguono le date: 1745 in forma di j (o Lambda

greca)7 (o lettera manoscritta slava “г (g)”)45, далее i752 (tratto da [1012]).

Fig. 4.62. La data 1744, trascritta nell’aspetto per noi inusuale jJ99. E ciò nonostante si tratti della metà del XVIII secolo

(tratto da [1012]).

Fig. 4.63. Le date del XVIII secolo nelle tabelle belghe: i(o j)7-53, J754, j757, J758, J758, J7-59, J7-59, j760, i(o j)762, i(o la

Lambda greca)763 (tratto da [1012]).

Fig. 4.64. Le date del XVIII secolo nelle tabelle belghe: 1764 (qui l’unità è scritta nella forma “araba”, oggi comunemente

adottata), j764, j764, j768, j768, j768 (tratto da [1012]).

Fig. 4.65. Le date del XVIII secolo nelle tabelle belghe: J78J, J78J, i783, j785 (tratto da [1012]).

Fig. 4.66. Le date del XVIII secolo nelle tabelle belghe: j789, 1798, j790, j79j, J79J, J793 (tratto da [1012]).

Infine, nell’ultima data dell’elenco, 1799, si nota già l’unità scritta nella forma per noi abituale,

alla “maniera araba” (fig. 4.68).

Fig. 4.67. Le date della fine del XVIII secolo nelle tabelle belghe: J793, j(come la lettera latina S)794, J795, J796, J798, 1799.

L’ultima data è già scritta con l’“uno arabo” (tratto da [1012]).

Ebbene, torniamo ancora una volta alla primissima data incisa nelle tabelle e ritenuta 1642 (figg.

4.52 e 4.53). Questa data mette in luce una certa stranezza. Il fatto è che in tutti gli altri casi le date

indicate in tabella seguono un ordine crescente, mentre la primissima data appare evidentemente fuor

di posto, giacché è seguita da date notevolmente inferiori, e più precisamente i607, j608, i615 ecc.

Fig. 4.68. L’ultima data nelle tabelle belghe. La prima cifra è scritta già nella forma oggi comunemente usata, “l’uno arabo”

(tratto da [1012]).

Ma come mai il 1642 anticipa le altre date all’incirca di 50 anni? Si può pensare che si sia creata

una semplice confusione e che gli Autori per caso si siano sbagliati con gli anni. E di conseguenza

abbiano confuso anche il nome dell’orafo, o forse anche di molti degli orafi, indicando una data di 50

anni in avanti o all’indietro. È un’ipotesi da non escludere, sebbene in un documento statale ufficiale,

che si può definire valutario, avente un rapporto con la lavorazione dell’oro, una simile eventualità

desta un certo sospetto. Bisogna pensare che, non solo oggi ma anche nei secoli XVI-XVIII si seguiva

con la massima attenzione la compilazione di simili documentazioni di licenza. In considerazione di

ciò, avanziamo la nostra ipotesi dell’accaduto: con tutta probabilità ci troviamo di fronte a un’altra

circostanza, e più precisamente al fatto che, un tempo, il segnosimbolo 6 indicava la cifra CINQUE,

mentre il simbolo 5 indicava la cifra SEI. Le designazioni del 5 e del 6 erano scambiate di posto. Si

tratta di un fatto che avevamo già scoperto prima e descritto nel nostro [PAP]:4, pp. 255-266 e

[CHRON 4] cap. 13, 5 (si veda anche Novaja Chronologija Rusi [La Nuova Cronologia della Rus’],

vol. 2, cap. 1, 5). In altri termini, nei primi documenti la trascrizione 1642 poteva indicare: da Gesù

Cristo CINQUECENTOquarantaduesimo, e non milleSEICENTOquarantaduesimo anno, come si

ritiene oggi. Secondo questa trattazione della trascrizione J642 la stranezza sparirebbe e tutto

tornerebbe al suo posto.

Di fatto, la prima data indicata nelle tabelle belghe risulta 1542, trascritta in forma di J642, dove

il simbolo 6 concorda bene col fatto che, secondo gli storici belgi contemporanei, i primi nomi sulle

tabelle di rame cominciano nel 1538, sebbene questa data, da quanto si constata nelle fotografie

riportate in [1012], non è incisa sulle tabelle [1012], p. 9. Mentre invece è incisa la data: da Gesù

CINQUECENTOquarantaduesimo anno (si veda fig. 4.53). cui seguono le date iJ607, j608, i615 ecc.

L’ordine cronologico corretto viene così ripristinato.

Tiriamo le conclusioni: fino alla fine del XVIII secolo, in alcune zone dell’Europa occidentale si

era mantenuta la vecchia forma di trascrizione delle date con la prima lettera “i” o “j”, che stava a

indicare “da Gesù (Jesus-Iesus) [...] un certo numero di anni”. Il calcolo degli anni veniva fatto a

partire dall’XI o dal XII secolo d.C. Successivamente, nei secoli XVII-XVIII, nella stesura della

storia, le vecchie date furono eliminate da molti annali e libri e sostituite da date nelle designazione

per noi solite, dove al posto della lettera “I” o “J” viene utilizzato la cifra 1=unità. Per contro, in

documenti europei d’archivio poco accessibili, come quest’elenco dei maestri orafi in Belgio, le

vecchie date si sono conservate bene. Questi antichi documenti portano fino a noi l’atmosfera sociale

dei secoli XVI-XVII, fortemente diversa da quella che ci viene disegnata astutamente dagli storici di

oggi.

11.4. Come si è potuto produrre uno spostamento cronologico di 330 o 360 anni

Un meccanismo analogo sta probabilmente alla base dello spostamento approssimativo di circa

333 o 360 anni. I cronisti possono aver trascritto le date della fine del XV e dell’inizio del XVI

secolo in un ordine cronologico relativo, calcolando gli anni a partire, per esempio, dall’ascesa del

famoso imperatore-cesare Massimiliano I (1493-1519). Non ci soffermeremo qui ad analizzare la

questione di chi, realmente, i cronisti avessero chiamato Grande Cesare Primo, cioè KAISER

MAXImiliano Primo (si veda Rekonstrukcija, vol. 1, cap. 3). Qui per noi è importante solo un fatto e

cioè che, datando gli eventi dal primo anno di regno di questo governante, i cronisti potevano aver

usato la trascrizione abbreviata del suo nome in forma di MCL, cioè Maxim Caesar eLin (Ellin). In

questo caso, per esempio, la data “di Massimiliano Cesare terzo anno” avrebbe assunto nell’annale

la forma di MCL.III. Dopo qualche tempo, il significato originario delle lettere MCL sarebbe andato

perduto e i cronologisti avrebbero proposto di considerare semplicemente l’indicazione di cifre.

Mettendo al posto delle lettere latine le cifre, essi, evidentemente, ottennero la data 1153. Questa

data fittizia si differenzia da quella reale (cioè dal 1496) di 343 anni, giacché 1496-1153 = 343.

In questo modo i documenti, che utilizzavano per l’indicazione delle date la trascrizione

abbreviata del tipo MCL [...], furono automaticamente spostati all’indietro di 340 anni dai

cronologisti. Così si è potuto creare uno spostamento di 330 o 360 anni.

11.5. Che cosa significavano originariamente, nel Medioevo, le lettere latine M, D,

C nella trascrizione delle date romane. Idea generale

Molte “date romane” nei vecchi testi, incise sui monumenti o sulle lapidi tombali, ritenute oggi

medievali o “antiche”, cominciano con le lettere latine D, M, C ecc. La nostra idea consiste

nell’ipotesi che queste lettere potessero originariamente essere l’abbreviatura di parole diverse, le

loro inziali. Per esempio:

D = Domini, cioè dio, divino, oppure

D = Dom, nel senso di casato, casa regnante, dinastia; M = Magnus, cioè grande; C = Caesar,

cioè cesare, kaiser, zar.

Si sarebbe trattato cioè di modi diversi di trascrizione di date medievali in una cronologia

relativa. Gli anni potevano venire calcolati a partire dall’inizio dell’XI o del XII secolo (come epoca

della nascita di Gesù), oppure a partire dall’ascesa di un certo re medievale, per esempio vissuto nel

XV secolo.

Ma questo significato originario delle abbreviazioni D, M, C, col tempo, sarebbe andato perduto

e i cronologisti scaligeriani avrebbero attribuito a tali lettere dei valori numerici, dichiarando che la

lettera latina M ha sempre avuto il significato di “mille anni”, la lettera D di “cinquecento anni” ecc.

col risultato che le relativamente “piccole date” giuste precedenti si sono trasformate artificialmente

in “grandi date”. In questo modo gli avvenimenti del Medioevo sono stati forzatamente allontanati in

un profondo passato.

Oggi, la forma latina di trascrizione delle date del tipo anno domini [...] viene decifrata

esclusivamente come “[...] anno dall’incarnazione del Signore”, e il termine domini viene tradotto

esclusivamente come Signore, Dio. Ci viene oggi proposto di ritenere che in tutti i casi si intendesse

la data dall’Incarnazione di Cristo, cioè dalla Sua nascita. Tuttavia domini poteva un tempo

significare anche domus, casa, nel senso di “casa regnante”, “casa reale”. Questo era “il senso

imperiale” della parola dom anche nella Rus’. Ancora oggi le cattedrali centrali nelle città

dell’Europa occidentale, vengono chiamate “duomo”. In questo caso, la data, trascritta nella forma

anno domini [...] poteva tranquillamente indicare “l’anno a partire dall’instaurazione di una certa

Casa reale”, cioè gli anni di determinati avvenimenti potevano essere calcolati a partire dal momento

dell’ascesa di una data Casa reale.

Questa circostanza apporta un contributo di evidente ambiguità nella datazione delle scritte

contenenti questa espressione. Il fatto è che i diversi cronisti potevano intendere anche Case reali

completamente diverse, cioè dinastie reali diverse. Infatti grandi case reali regnavano sia nel XIV

secolo, sia nel XV, sia nel XVI, di conseguenza, traducendo le date di questo tipo in termini di

cronologia contemporanea, otterremo date diverse.

Riassumendo, elenchiamo alcune possibili letture delle trascrizioni latine delle date:

• la data del tipo anno d. [...], o anno domini [...], o anno d.m. può essere letta come ANNO [...]

della CASA (REGNANTE). Facciamo notare che, nella trascrizione della data la parola ANNO,

spesso veniva trascurata e semplicemente sottintesa.

• La data del tipo m.d. [...] poteva stare a significare “l’anno[…] della GRANDE CASA”, e in

questo caso la lettera latina “M” sarebbe l’iniziale della parola magnus, cioè “grande”.

Analogamente, la data del tipo “M.C.” [...] poteva significare “anno [...] del GRANDE CESARE”,

dove “M” sta per magnus e “C” sta per Caesar (= cesare, kajser, zar).

• Anche la data del tipo “C.M.” [...] poteva significare “anno [...] del CESARE GRANDE”, con C =

Cesare e M = magnus (grande).

• La data del tipo “D.” [...] poteva indicare “l’anno [...] della Casa (domus) regnante”.

Ricordiamo che la parola latina domini poteva un tempo indicare non solo il Signore Iddio

(Dominus) ma anche una grande casa. In russo una casa grande a volte viene chiamata domina [in

russo, dom significa “casa”; N.d.T.]. Si tratta di un’espressione oggi considerata non molto letteraria,

ma comunque è quasi uguale al latino dominus.

Infine, notiamo che la lettera “M” poteva indicare Maria, cioè la madre di Cristo. Ricordiamo

che in certe zone dell’Europa occidentale il culto della Vergine Maria era più popolare di quello di

Cristo, pertanto l’uso del suo nome nelle indicazioni cronologiche dell’era cristiana risulta

pienamente motivato.

11.6. La trascrizione delle date medievali non era stata ovunque unificata persino

nel XVIII secolo

Ritorniamo alla data incisa sulla lastra tombale di Rodolfo d’Asburgo (si vedano le figg. 4.69 e

4.70).

Fate attenzione alla forma delle lettere. La lettera latina “M” è scritta qui praticamente allo stesso

modo della lettera greca “Omega”. Sopra questa ”M/Omega” e sopra la lettera “C” seguente è

indicato un cerchietto, assente nella seconda “C” e poi nuovamente presente nella “C” successiva. È

chiaro che questi segni contengono una certa informazione che potrebbe anche cambiare

sostanzialmente il senso delle lettere-abbreviatura.

Quest’esempio illustra palesemente il caos che regnava nella trascrizione delle date medievali.

Non c’era una regola unica. Fino al XVIII secolo, una stessa data poteva essere espressa in modi

sostanzialmente diversi: erano in vigore abbreviature di varia forma, segni convenzionali, cerchietti,

trattini ecc. Solo successivamente, col passare del tempo, si consolidò una trascrizione più o meno

unica delle date.

Riportiamo un esempio illuminante. Oggi, nella piazza centrale del mercato della città tedesca di

Bonn, vicino al Municipio, si può vedere una vecchia colonna di pietra. In essa si è conservata una

lapide con una scritta (si veda fig. 4.71).

Alla fine della scritta è indicata la data: anno 1777 (si veda fig. 6.105). Tuttavia si tratta di una

data scritta in questo modo interessante: (I)I) (LXXVII).

Non è difficile intuire che, di fatto, si tratta di MDCCLXXVII, cioè 1777 in cifre romane. Tuttavia

la lettera M è trascritta come (I), e la lettera D come I), cioè nella trascrizione delle lettere M e D

sono state utilizzate delle piccole mezzelune, a destra e a sinistra. Da qui si capisce che persino alla

fine del XVIII secolo l’unificazione della trascrizione “delle date romane” in Europa non era stata

ancora raggiunta. Ovviamente, nel XVIII secolo erano già state introdotte delle regole generali,

tuttavia le tracce del “caos grafico” precedente sono ancora chiaramente evidenti.

Fig. 4.69. La lastra tombale del re Rodolfo d’Asburgo, che si ritiene morto nel 1291 (si vedano [1408], p. 17 o [1497] p. 13).

Fig. 4.70. Nostro schizzo della scritta incisa sulla lapide del re Rodolfo d’Asburgo.

In questo caso specifico, nella lettura della data, non si fa confusione. Ma è una questione

completamente diversa quando ci si inoltra nel passato di cento, duecento o trecento anni addietro. Il

quadro in questo caso si complica, facendo sortire le più differenti trattazioni di una stessa

trascrizione di una vecchia data.

12. Quando fu fondata Roma, in Italia

Ricordiamo che il risultato principale dell’Autore in questa tappa risulta essere l’individuazione

della struttura stratificata del “manuale scaligeriano di storia”.

In qualità di una delle prime conseguenze di questo risultato, proviamo a rispondere alla

domanda: quando fu fondata Roma, in Italia?

Fig. 4.71. Scritta sulla colonna nel centro di Bonn. La data 1777 è qui riportata in un modo strano, che dimostra come,

persino nel XVIII secolo, l’unificazione della trascrizione delle date non era stata ancora raggiunta. La fotografia è stata fatta

dall’Autore di questo libro nel 1998.

Fig. 4.72. Frammento ingrandito della foto nella fig. 4.71.

La storia scaligeriana ci assicura che questo fatto avvenne nell’VIII secolo a.C. Tuttavia, i

parallelismi dinastici che abbiamo scoperto ci inducono ad avanzare una soluzione diversa. Secondo

Tito Livio, la fondazione di Roma è legata ai nomi di Romolo e Remo ([482], t. 1). Qui Romolo è

considerato il primo re del cosiddetto regno di Roma, cioè di quello che noi chiamiamo primo

Impero romano. Tuttavia, tutti e tre gli Imperi Romani, il primo, il secondo e il terzo, sono risultati

essere dei duplicati, dei fantasmi, delle immagini riflesse del Sacro romano impero medievale dei

secoli X-XIII e nella fattispecie dell’impero degli Asburgo dei secoli XIV-XVI (si vedano le figg.

4.17, 4.18, 4.19, 4.20, 4.25, 4.26).

Di conseguenza, “portando in avanti” la Roma dei re e “collocandola al suo posto”, cioè

sovrapponendola all’Impero degli Asburgo, scopriamo che la fondazione della Roma italiana cade

pressappoco alla fine del XIII - inizio del XIV secolo d.C. In seguito scopriremo numerose conferme

indipendenti della correttezza di questa datazione.

13. La confusione posteriore tra le date di fondazione delle due Rome, quella sul

Bosforo e quella italiana

Una delle conseguenze della confusione nelle datazioni è stata, con tutta probabilità, la

mescolanza di due eventi: la fondazione di Roma sul Bosforo e la fondazione di Roma in Italia.

Ai primi cronologisti dei secoli XVI-XVII erano pervenuti dei documenti approssimativamente

dello stesso contenuto, descriventi la stessa storia di Roma sul Bosforo. Per esempio, alcune versioni

de La storia di Tito Livio.

Scritte da persone diverse, da posizioni diverse, in lingue diverse e con l’uso di differenti nomisoprannomi

per gli stessi personaggi, questi annali all’apparenza si distinguevano fortemente. Nei

secoli XVI-XVII sorse la logica questione relativa al legame di questi documenti fra di loro. Nella

fattispecie, i cronologisti si trovarono ad affrontare il problema: su quali princìpi si basa questo

legame? Uno dei metodi proposti fu, probabilmente, il seguente: in molti annali il conto degli anni

veniva fatto “a partire dalla fondazione dell’Urbe”. Così è, per esempio, ne La Storia di Tito Livio.

Per questo, per capire il rapporto tra questo libro e la cronologia del Medioevo era sufficiente

calcolare la data “della fondazione dell’Urbe”.

Gli storici scaligeriani decisero che per Urbe si intendesse la Roma italiana. Ma questo non è

corretto (si vedano gli slittamenti sulla carta cronologica). La fondazione di Roma = Costantinopoli =

Zar-Grad, in seguito chiamata “Nuova Roma”, si era sdoppiata. Comparve, secondo Scaligero,

ancora “una fondazione di Roma”, avvenuta, come si riteneva, nel 753 a.C., cioè mille anni prima

della fondazione, sempre secondo Scaligero, della “Nuova Roma” sul Bosforo, fatta risalire al 330

d.C.È questa una delle manifestazioni dello spostamento cronologico di mille anni di cui si diceva

sopra, che cominciò a proiettare nel passato certi eventi del Medioevo.

Nella storia di Roma sono note non solo due ma addirittura tre “fondazioni della città”. La prima

è quella che Scaligero fa risalire al 753 a.C. e che chiama “fondazione di Roma in Italia”. La

seconda riguarda la “fondazione” di Roma sul Bosforo, cioè della “Nuova Roma”, fatta erroneamente

risalire dallo stesso Scaligero al 330 d.C. A questo proposito c’è da dire che la Roma sul Bosforo fu

chiamata “Nuova Roma” perché qui venne trasferita la capitale da Alessandria d’Egitto, e non dalla

Roma italiana, che a quell’epoca non esisteva nemmeno.

In molti documenti medievali si fa confusione tra le due Rome, quella sul Bosforo e quella

italiana. Di fatto, si ritiene che Costantino I, verso il 330 d.C., abbia trasferito la capitale da Roma,

in Italia, al Bosforo, nella località nota come Bisanzio, che nel 330 d.C. avrebbe assunto il nome

ufficiale di “Nuova Roma” ([240], p. 26). Più tardi la città venne chiamata Costantinopoli ([240], p.

26). Oggi si ritiene che entrambe le Rome fossero capitali di due grandi Imperi, (quell’Oriente e

quello d’Occidente). Si sa da tempo che gli abitanti della “Nuova Roma” chiamavano se stessi

“Romani”, mentre gli altri popoli li designavano “Romei”. Risulta che l’Impero “romeo”, è l’Impero

romano. Questo termine, probabilmente nei secoli XIV-XV venne poi trasferito (sulla carta) in Italia.

Oltre alla leggenda scaligeriana del trasferimento della capitale dell’Impero dalla Roma italiana a

quella sul Bosforo, si trova una versione contraria. Nella stessa storia scaligeriana si parla del

trasferimento della capitale dell’Impero dalla Roma sul Bosforo alla Roma italiana, secondo un

percorso inverso. È probabile che proprio questa leggenda risponda alla realtà dei fatti. Questo

tentativo sarebbe stato intrapreso presumibilmente nel 663 d.C., ancora dall’imperatore Costantino

ma non I bensì III, che probabilmente non portò a termine il suo piano, essendo stato ucciso in Italia

[544]. Di solito si ritiene che la Roma sul Bosforo sia una capitale greca. Tuttavia una grande

percentuale di monete bizantine è caratterizzata da scritte latine e non greche [196]. Come le monete

italiane.

La nota leggenda sulla fondazione di Roma ci comunica che in realtà furono fondate due città, una

per opera di Romolo e l’altra per opera di Remo (si veda, per esempio, l’inizio de La Storia di Tito

Livio). Entrambi i fondatori hanno nomi simili: Romolo e Remo. Poi Romolo “uccise” Remo e

rimase solo una Romacapitale (Tito Livio, op. cit., vol. 1, cap. 1). Può darsi che questa testimonianza

rifletta la confusione che era sorta tra le due Rome, tanto più che alcune antiche cronache chiamano i

fondatori di entrambe le capitali non Romolo e Remo ma Rom e Rim, che praticamente identifica i

nomi dei fondatori (si veda, per esempio, [938], p. 18.1.B. 170-175).

Oggi si ritiene che con il nome “Urbe”, dalla fondazione della quale prende inizio il conto dei

documenti romani, si intendesse sempre la Roma italiana. Ma alcuni autori medievali dei secoli XIIXIV

avevano un punto di vista nettamente diverso a questo proposito. Per esempio, secondo le parole

del famoso crociato Villehardouin, la Roma sul Bosforo «si elevava su tutte le altre come il loro

signore [...] I BIZANTINI LA CHIAMAVANO VOLENTIERI SEMPLICEMENTE “URBE” [(!);

N.d.A.]... cioè CITTÀ, L’UNICA CITTÀ» ([248], p. 28).

In questo modo il conto degli anni ab Urbe condita in molti vecchi documenti fa riferimento,

probabilmente, alla Roma sul Bosforo, cioè Costantinopoli, che secondo la nostra ricostruzione è

stata fondata prima della Roma italiana.

Si ritiene che Costantino I «abbia trasferito da Roma a Costantinopoli molte amministrazioni...e

ordinò di costruire...palazzi della stessa forma delle loro [dei senatori; N.d.A.] abitazioni romane [...]

l’impero Bizantino continuò a chiamarsi Romano] ([248], p. 28).

Tuttavia “l’influenza” contraria della “Nuova Roma” sulla Roma italiana è ben nota ed era molto

forte. Si scrisse:

«La Roma del VII e dell’VIII secolo era una città SEMIBIZANTINA [!; N.d.A.] il rito GRECO era officiato ovunque; la lingua

GRECA verrà usata ancora a lungo sia negli atti ufficiali che nella vita quotidiana [...]. I re normanni portavano con orgoglio i

meravigliosi paramenti BIZANTINI degli imperatori» ([248], pp. 31-32).

Nella storia scaligeriana si nota con irritazione la cosiddetta

«FINZIONE, su cui i bizantini si ressero tenacemente per interi secoli: I BIZANTINI AFFERMAVANO DI ESSERE I VERI

ROMANI [...]. Gli imperatori bizantini continuavano ad atteggiarsi come gli unici imperatori di diritto [...] Presso tutti gli storici

bizantini, i greci risultavano essere “dei romani” [...]. Per distinguerlo [temevano la confusione; N.d.A.] dall’Impero romano

occidentale, chiamavano arbitrariamente [(?!); N.d.A.] quello bizantino “romeo o romanico”. [...] Il nome Romania [...] da Bisanzio

fu trasferito all’esarcato di Ravenna per indicare questo... Paese d’Italia» ([195], p. 51).

Non a caso abbiamo illustrato nel dettaglio la confusione che era insorta tra le due Rome. Dalla

CCG e la sua disposizione nella somma di quattro cronache, emerge quanto segue: probabilmente,

all’inizio fu fondata la Roma sul Bosforo, e ciò fu circa nei secoli X-XI d.C. e non nel 330 d.C. Solo

in seguito, all’incirca 330 o 360 anni più tardi, in Italia fu fondata Roma.

Se poi il cronista medievale confondeva la fondazione della Roma sul Bosforo nei secoli X-XI

con quella della Roma italiana nel XIV secolo, poteva sorgere uno spostamento cronologico di circa

330 o 360 anni. Alla fine il cronista incollava l’uno con l’altro i due annali ottenendo una storia

erroneamente allungata e contenente duplicati. Duplicati che scopriamo all’interno del “manuale

scaligeriano” solo ora, grazie ai metodi statistici.

Sorge a questo punto una domanda: come dev’essere il manuale di una nuova storia, più corta?

L’organizzazione, individuata dall’Autore, della CCG in una somma di quattro cronache più brevi

permette di dare una risposta.

Lo schema approssimativo della NC e della storia risulta essere il seguente: occorre “innalzare”,

cioè portare in avanti e sovrapporre l’uno sull’altro tutti i periodi storiciduplicati sottolineati nella

CCG con le stesse lettere-simbolo. Nei nostri libri (si veda Opera omnia in sette tomi), esporremo

la nostra ricostruzione della storia universale.

Dopo che le antiche cronache, “portate in giù”, “nell’Antichità” dal periodo medievale dei secoli

X-XVII, saranno state ricollocate al loro posto, otterremo che, dal punto di vista dell’informazione,

la storia dell’Europa, del vicino Oriente e dell’Egitto risulta essere più o meno quella delle

cosiddette “giovani culture”, della Scandinavia, della Russia e del Giappone. Può darsi che un

“allineamento delle culture” rifletta una circostanza naturale: la nascita della civiltà, più o meno

contemporaneamente in regioni diverse, e il loro parallelo sviluppo.

14. Scaligero e il Concilio di Trento. La creazione della cronologia scaligeriana

dell’Antichità nei secoli XVI-XVII

Sopra abbiamo notato che i duplicati-fantasma nella CCG sono stati scoperti solo prima

dell’“epoca di Scaligero”, ma non più tardi. Di nuovo ci siamo scontrati con il fatto che il periodo

dell’attività di Scaligero e Petavius è in qualche modo legato con gli slittamenti cronologici che

abbiamo individuato nell’antica cronologia. Ricordiamo che proprio il gruppo di Scaligero-Petavius

inventò “la tradizione storica” alla base del manuale odierno di storia. È emerso che la loro versione

era nata nel contesto di una viva lotta che si era sviluppata a proposito delle questioni cronologiche

alla fine del XVI - inizio del XVII secolo. È interessante notare che la versione di Scaligero non era

l’unica. Ad essa si contrapponevano altri punti di vista, che finirono per “perdere”. Ecco, per

esempio, alcune notizie su quell’agitato periodo di tempo, l’epoca della guerra dei trent’anni in

Europa, del caos e dell’anarchia.

«È sufficiente ricordare il famoso cronologista Giuseppe Scaligero, CHE INTERVENNE CONTRO LA RIFORMA

GREGORIANA, o il grande Copernico, CHE SI RIFIUTÒ di prendere parte alla sua preparazione, iniziata già nel Congresso

laterano del 1514» ([295], p. 99).

Ora si ritiene che la questione principale, discussa in relazione alla riforma, fosse lo spostamento

della data dell’equinozio primaverile. Ma in realtà si trattava solo di una delle tante questioni

discusse dalla riforma del calendario. Evidentemente, la “nuova concezione” di Scaligero prese vita

in un contesto di forte lotta contro coloro che ancora ricordavano la storia giusta e protestavano conto

l’introduzione della cronologia scaligeriana,

Una lotta che, probabilmente, si riflettè anche nella durata, eccezionale, del famoso Concilio di

Trento, che durò, con intervalli, per 18 anni (!), dal 1545 al 1563. Nella fattispecie proprio durante il

Concilio si discusse SULL’INSTAURAZIONE DEL CANONE DEI LIBRI BIBLICI. Può anche darsi

che queste discussioni fossero più tarde, del XVII secolo, e attribuite a posteriori al Concilio di

Trento per dare lustro di autorevolezza alle decisioni prese nel XVII secolo (si veda Biblejkaja Rus’,

vol. 3, cap. 2).

Uno dei temi centrali attorno a cui si sviluppò la controversia fu il cosiddetto “periodo giuliano”

di Scaligero: la “Grande Indizione”, un periodo di 532 anni, che a Bisanzio, come si ritiene oggi, si

chiamava Indizione e in Occidente “Grande Cerchio”. «È difficile dire con certezza quando e dove

questo periodo fu per la prima volta introdotto» ([295], p. 99). Si suppone, seppure non esistano

documenti originali, che la Grande Indizione fosse nota ai vescovi esperti del calcolo della Pasqua

riunitisi nel Concilio di Nicea, fatto risalire al IV secolo d.C. ([295], c. 99). Esiste anche un’altra

interpretazione della Grande Indizione, e precisamente il periodo di 7980 anni ([295], p. 105). Anche

questo ciclo è ritenuto “antico”, tuttavia, come si verrà a chiarire:

«[…] emerse che nella scienza cronologica quest’antico ciclo entrò solo alla fine del XVI secolo, con il nome di “periodo

Giuliano”. E a introdurlo nella pratica scientifica fu il famoso enciclopedista e cronologista... Giuseppe Scaligero (1540-1609) nel

suo trattato De emendatione temporum [qui fu elaborata la cronologia globale e il calendario del mondo antico; N.d.A.].

Quest’opera vide la luce nel 1583, quasi contemporaneamente [!; N.d.A.] all’introduzione del calendario gregoriano, principale

oppositore della quale lo studioso [Scaligero; N.d.A.] rimase fino alla fine della sua vita. Basandosi sui lavori dei cronologisti

bizantini, eredi della tradizione alessandrina, Scaligero insisteva sul fatto che solo il sistema cronologico del calendario giuliano

potesse assicurare un computo ininterrotto nella cronologia mondiale [...]. UNO DEI PRIMI AD APPREZZARE I PREGI DEL

PERIODO GIULIANO DI SCALIGERO FU... KEPLERO» ([295], p. 106).

È importante a questo punto chiarire quale ruolo giocò Keplero nell’elaborazione e nella

creazione delle “basi scientifiche” della cronologia scaligeriana. Avendo “apprezzato i pregi” della

teoria di Scaligero, ritrovandosi sotto il suo influsso e concordando con la dichiarata “grande

antichità” di molti libri e documenti scientifici, l’astronomo Keplero poteva, in buona fede o no, aver

partecipato al “miglioramento” mirato del materiale astronomico medievale, per esempio

all’Almagesto di Tolomeo, “rendendolo conforme” alle datazioni scaligeriane. Per esempio

aggiungendo una grandezza costante adeguata alle longitudini del catalogo stellare, al fine di

“anticare” il catalogo come se fosse del II secolo d.C. od operazioni simili. Essendo un astronomo

professionista, Keplero poteva capire bene come orientarsi a questi fini (si veda il nostro

Astronomičeskij analiz chronologii [cit.], vol. 1, capp. 10-11).

Abbiamo già sottolineato nel cap. I lo scarso livello della critica scientifica del tempo.

Ricordiamo i metodi anti-scientifici di lotta, usati da Scaligero e dai suoi sostenitori persino in

questioni molto più insignificanti: basti pensare a quando i matematici del XVI secolo gli indicarono

il suo serio errore di “ragionamento” nella soluzione del problema della “quadratura del cerchio”.

Intorno alla cronologia e a tutta la concezione di Scaligero si venne a creare un’aspra lotta.

«Rimane paradossale il fatto che quello stesso periodo [di Scaligero; N.d.A.] di cui non può fare a meno l’astronomia [?; N.d.A.]

e la cronologia dei nostri giorni, fu riconosciuto da Gregorio XIII come inadatto per il calendario» ([295], p. 107).

Sarebbe utile “frugare” negli archivi del Concilio tridentino, o di quello che di essi è rimasto, per

studiare i documenti che portano testimonianze della disputa sorta intorno alla cronologia di

Scaligero.

15. Le nuove datazioni astronomiche concordano con le identificazioni delle

dinastie

Sarà utile descrivere più dettagliatamente la struttura stratificata da noi individuata e costituente

“il manuale di storia di Scaligero”. Abbiamo illustrato in forma di tabella la sovrapposizione dei

quattro “annali” praticamente identici C1, C2, C3, C4 che elencano gli avvenimenti delle epocheblocco

nella fig. 6.59.

“L’innalzamento” delle datazioni astronomiche dall’“Antichità” al Medioevo, come è emerso,

concorda bene con i principali slittamenti cronologici di 330 (o 360) anni, di 1050 (o 1150) anni e di

1800 anni approssimativamente.

Gli slittamenti sono stati messi in luce da altri metodi, non astronomici, e innanzitutto sulla base

dei parallelismi dinastici. Possiamo convenzionalmente chiamare questi tre spostamenti “slittamenti

dinastici”.

Illustreremo ora la concordanza degli slittamenti astronomici e di quelli dinastici sulla base di

alcuni chiari esempi (si veda la fig. 4.73).

1. LA STELLA DI BETLEMME

In conformità ai Vangeli, quado nacque Gesù il cielo fu illuminato da una chiara stella, chiamata

poi la stella di Betlemme. In conformità alla versione cronologica di Scaligero, quest’esplosione

viene datata “anno zero” della nuova era cristiana. Com’è dimostrato nel nostro libro Car’

Slavjan, l’esplosione avvenne in effetti verso la metà del XII secolo, tuttavia essa fu poi

artificialmente spostata all’indietro di 100 anni dai cronologisti scaligeriani. Si ottenne così l’anno

1053. Successivamente questa data fu ulteriormente spostata all’incirca di 1000: dall’XI secolo al

I secolo. Da allora si cominciò a ritenere che nel 1054 fosse avvenuta la famosa esplosione di una

supernova, mentre nel I secolo fosse avvenuta l’esplosione della stella di Betlemme. La differenza

tra l’evento-fantasma del 1054 e l’evento altrettanto fantasma dell’“anno zero” è di 1053 anni, cioè

è precisamente uguale al valore di uno dei principali slittamenti cronologici. Questo spostamento

concorda bene con la sovrapposizione indipendente del secondo Impero romano sul Sacro romano

impero dei secoli X-XIII (si vedano le figg. 4.19 e 4.20). Tuttavia non bisogna pensare che gli

slittamenti da noi individuati descrivano delle periodicità REALI nella distribuzione delle date di

fenomeni astronomici REALI, per esempio le eclissi o le esplosioni di stelle. Sopra avevamo

mostrato che i collegamenti “scaligeriani” degli antichi documenti contenenti le descrizioni di

eclissi, alle date di antiche eclissi realmente avvenute, nella maggior parte dei casi sono basati su

forzature.

2. L’ECLISSI DURANTE LA CROCIFISSIONE DI GESÙ CRISTO

Sopra abbiamo ricordato che, in conformità alla tradizione del primo cristianesimo, nel momento

della crocefissione di Cristo si era verificata un’eclissi, o di luna o di sole. La cronologia

scaligeriana propone per quest’eclissi (ritenendola di luna) la data 33 d.C. Tuttavia, come

abbiamo spiegato sopra, quest’eclissi non è assolutamente conforme alla descrizione delle fonti

primarie ([544], t. 1). Un’attenta datazione scientifica ha messo in luce altre opzioni: o l’eclissi di

luna del 1075, o l’eclissi di sole del 1086 o l’eclissi di sole del 1 maggio 1185 ([906], [601]).

Come abbiamo chiarito, la data definitiva della crocifissione di Cristo risulta essere l’anno 1185

(si veda il nostro Car’ Slavjan, [Lo Zar degli Slavi]). In questo modo lo slittamento che emerge è

pari a circa 1150 anni e praticamente coincide con il secondo slittamento cronologico principale

dell’ordine di 1000-1100 anni. Questo slittamento concorda bene con la sovrapposizione

indipendente del secondo Impero romano sul Sacro romano impero dei secoli X-XIII (si vedano le

figg. 4.19 e 4.20).

3. L’APOCALISSE

La data scaligeriana della creazione di questo libro biblico oscilla nei limiti dei secoli I-II d.C.

([76], [765]). La nostra nuova datazione astronomica dell’A-pocalisse, secondo l’oroscopo in essa

contenuto (si veda sopra) [il capitolo relativo non è stato tradotto; N.d.T.] propone l’anno 1486

d.C. Lo slittamento cronologico qui è all’incirca dell’ordine di 1300-1350 anni, ed è pressappoco

uguale alla somma del primo e del secondo degli spostamenti cronologici principali,

rispettivamente dell’ordine di 330-360 anni e 1000-1050 anni.

Fig. 4.73. La concordanza di nuove date astronomiche precise con la nuova cronologia. Nella fattispecie, gli slittamenti delle

date di “antichi” fenomeni astronomici, concordano bene con i parallelismi dinastici.

4. GESÙ CRISTO

In conformità alla versione cronologica scaligeriana, Cristo visse nel I secolo della nuova era.

Secondo i nostri risultati, invece, Egli visse nel XII secolo (si veda il nostro libro Car’ Slavjan

[Lo Zar degli Slavi]). Lo slittamento cronologico è qui pari a 1153 anni, e concorda bene con il

parallelismo dinastico indipendente che sovrappone il secondo Impero romano sul Sacro romano

impero dei secoli X-XIII (si vedano figg. 4.19 e 4.20). L’immagine riflessa di Cristo nella storia

“romana” dell’XI secolo risulta essere quella di “papa Ildebrando”, ovvero Gregorio VII (si veda

il nostro Antičnost’ - eto srednevekov’e [L’Antichità è il Medioevo], vol. 1, cap. 4).

5. ESPLOSIONI DI STELLE

È importante sottolineare che questi tre slittamenti cronologici di 330, 1050 (o 1150) e 1800 anni

circa concordano bene con dati astronomici di carattere IRREGOLARE. Parlando di irregolarità,

intendiamo i fenomeni diversi dalle eclissi, considerando che queste ultime avvengono con una

determinata periodicità e in questo senso sono regolari, cioè possono essere calcolate. Un

importante esempio di fenomeni irregolari è costituito dalle esplosioni di stelle. I tre spostamenti

cronologici si manifestano bene nella distribuzione delle date scaligeriane relative alle esplosioni

di stelle nove e supernove. È emerso che le date “delle antiche esplosioni” si ottengono da date

reali di esplosioni medievali tenendo conto dello spostamento in giù di queste ultime pari a 333

anni, 1053 (o 1150) anni e 1778 anni all’incirca. Nella fattispecie, le date di tutte le esplosioni

avvenute nell’intervallo da quello che si ritiene l’anno 900 a.C. a quello che si ritiene l’anno 390

d.C. si ottengono dalle date delle esplosioni avvenute nei secoli X-XIII d.C., stante uno slittamento

in giù di 1053 anni (si veda più dettagliatamente Antičnost’ - eto srednevekov’e [cit.], vol. 1, capp.

4-5). Nella fig. 4.73 è riportato per ora solo un esempio di questo tipo. L’esplosione, che si

suppone sia avvenuta nel 186 d.C. “si ottiene” dalla reale esplosione avvenuta nel 1230 con uno

slittamento di 1044 anni, che corrisponde praticamente allo slittamento cronologico di 1050 anni.

6. TUCIDIDE

La triade di eclissi, descritte dall’“antico” Tucidide, viene datata dalla storia scaligeriana V

secolo circa a.C. e precisamente 431, 424 e 413 a.C. Alla luce di un’esatta datazione astronomica,

queste tre eclissi si spostano in avanti raggiungendo l’XI o il XII secolo d.C. (si veda il cap. 2). In

questo modo lo slittamento delle date corrisponde all’incirca a quasi 1470 anni o 1560 anni. È

probabile che si tratti della differenza tra il secondo e il terzo degli slittamenti cronologici

principali giacché 1800-330 = 1470 anni.

7. TITO LIVIO

L’eclissi descritta da Tito Livio nella sua Storia (36, 1), viene datata dagli storici scaligeriani

anno 168 a.C. Alla luce di un’esatta datazione astronomica, essa si identifica con l’eclissi del 955

d.C., oppure con quella del 1020 d.C. Il valore dello slittamento in su è qui di circa 1120 o 1188

anni, e ciò si avvicina al secondo slittamento cronologico all’incirca di 1050 o 1150 anni.

8. L’ALMAGESTO DI TOLOMEO

Si ritiene che l’Almagesto di Tolomeo sia stato composto all’epoca dell’“antico” imperatore

romano Antonino PIO (vissuto, come si ritiene, negli anni 138-161 d.C.), nel secondo anno del suo

governo. Tuttavia la nostra datazione del catalogo stellare ha messo in luce un’epoca

completamente diversa, e precisamente i secoli VII-XIV d.C. (si veda il nostro Astronomičeskij

analiz chronologii [Analisi astronomica della cronologia], vol. 1). Invece, la datazione

dell’edizione latina dell’Almagesto sulla precessione delle longitudini dà all’incirca il risultato

XV-XVI secolo. In questo modo, lo slittamento in su delle date è dell’ordine di circa 1000 anni nel

primo caso e di 1400 anni nel secondo. In altri termini, qui si individua o lo slittamento

cronologico di 1050 anni, o la somma dei due spostamenti, cioè 350 + 1050 = 1400. È curioso

notare che anche l’epoca della comparsa delle prime edizioni dell’Almagesto, presumibilmente a

partire dal 1530 d.C. circa, si differenzia dall’anno 140 d.C. (cioè dal secondo anno di governo di

Antonino PIO) all’incirca di 1390-1400 anni. Con uno slittamento in su, l’“antico” Antonino PIO si

sovrappone, conformemente ai parallellismi dinastici, proprio all’epoca delle prime pubblicazioni

dell’Almagesto e cioè, come si ritiene: 1528, 1537, 1538, 1542, 1551 ecc. Immediatamente prima

di questo periodo nell’impero degli Asburgo governava il famoso imperatore Massimiliano I PIO

Augusto 1493-1519.

9. ZODIACI DI DENDERA

La datazione scaligeriana dello Zodiaco Circolare e Lungo del tempio egizio di Dendera li fa

risalire all’anno 30 a.C. (o 54-68 d.C.) e 14-37 d.C. La soluzione astronomica esatta è però

tutt’altra, e precisamente 1185 d.C. per lo Zodiaco Circolare e 1168 d.C. per quello Lungo (si

veda il cap. II). In questo modo lo spostamento delle date in avanti corrisponde a circa 1150-1200

anni.

10. GLI OROSCOPI (ATHRIBI) DI FLINDERS PETRIE

I due oroscopi (“superiore” e “inferiore”) rinvenuti dal famoso egittologo Flinders Petrie

all’inizio del XX secolo, vengono datati dagli storici scaligeriani all’incirca 52 e 59 d.C., ma

l’esatta soluzione astronomica offre gli anni 1230 d.C. e 1268 d.C. (si veda il cap. II, 5). Dettagli

in Astronomičeskij analiz chronologii (vol. 2). Lo slittamento in su delle date raggiunge quasi

1200 anni.

16. Lo strano “gap” da noi individuato nella cronologia scaligeriana vicino

“all’inizio della nuova era (cristiana)” ottiene ora una semplice spiegazione

Dalla struttura stratificata “del manuale scaligeriano di storia”, individuata dall’Autore, emerge

che “l’Antichità” dev’essere un fantasma del Medioevo, dell’epoca dall’XI al XVI secolo. Ci si

chiede: trova conferma questa conclusione se si affronta l’edificio della cronologia scaligeriana da

un altro punto di vista, per esempio analizzando la globalità degli “antichi regni”? Sì, trova conferma.

Racconteremo dell’effetto curioso rinvenuto dall’Autore a un’analisi dettagliata delle “Tavole

cronologiche” di J. Blair [76], create alla fine del XVIII - inizio XIX secolo. Si tratta di tavole molto

preziose per noi, essendo state compilate in un’epoca in cui la cronologia scaligeriana si era appena

formata, ragion per cui esse ci riportato un quadro cronologico ancora piuttosto vicino alla versione

primaria di Scaligero e della sua scuola, sorta alla fine del XVI - inizio XVII secolo. In queste tavole

si manifestano chiaramente quei princìpi in base ai quali fu creata la storia scaligeriana. Da questo

punto di vista le tavole più tarde, compilate nei secoli XIX-XX sono “peggiori” di quelle di Blair (e

di altri analoghi lavori dei secoli XVII-XVIII) nel senso che risultano “troppo lisciate”. Gli storici

dei secoli XIX-XX si sono adoperati a “stuccarle e a incerarle”, riempiendo le lacune e le fessure

con una moltitudine di dettagli senza per questo cambiare la sostanza stessa, ovvero l’errata

cronologia scaligeriana di base. Ne è risultato che molte tracce di quest’allungamento artificiale

della cronologia, chiaramente manifeste, per esempio, nelle Tavole di J. Blair, nei lavori successivi

risultano coperte e dissolte nella moltitudine di dettagli secondari, ragion per cui le

cicatricicongiunture della cronologia scaligeriana appaiono rivestite dallo spesso strato di “cemento

storico” dei secoli XIX-XX. Definito poi “scienza storica”.

Da qui segue una conclusione pratica: se vogliamo capire il processo d’insorgenza della

cronologia di Scaligero, dobbiamo analizzare le prime tavole, risalenti ai secoli XVII-XVIII, come

per esempio le tavole di Blair [76]. Studiandole, scopriremo dei materiali originari, primordiali,

anteriori a quelli che ci guardano oggi dalle pagine delle tavole più tarde, lisciate (si veda il nostro

Astronomičeskij analiz chronologii).

Affrontiamo dunque l’analisi delle tavole di Blair: [76]. Ecco il titolo completo della traduzione

russa, pubblicata a Mosca nel 1808: Tablicy Chronologičeskie, ob’emljuščie vse časti vsemirnoj

istorii iz goda v god ot sotvorenija mira do XIX stoletija, na anglijskom jazyke izdannye Členom

Korolevskogo Londonskogo Obščestva Džonom Blerom (Tavole cronologiche comprensive di tutte

le parti della storia universale di anno in anno dalla Creazione del mondo al XIX secolo, in inglese,

redatte dal Membro dell’Accademia Reale della Società di Londra John Blair). Queste tavole

abbracciano la storia dell’umanità a partire da quello che si ritiene il 4004 a.C. fino al XIX secolo.

Tutti i regni sono divisi in due tipi. Quelli del primo tipo possiedono cronache annuali proprie. Dei

regni che fanno capo al secondo tipo non ci sono pervenuti annali propri e pertanto ci sono noti solo

grazie alle menzioni esistenti in documenti di “altri regni aventi annali propri”.

Innanzitutto presteremo attenzione ai “regni con annali” nonché alle informazioni sui vari metodi

di calcolo degli anni nell’Antichità, cioè alle diverse ere. Proprio questo “sistema di ere”, in cui

Scaligero e i suoi discepoli “misero ordine”, forma lo scheletro della versione odierna della

cronologia.

L’elenco completo dei “regni con annali”, aventi flussi dinastici di cui si sono conservati, almeno

parzialmente, dei dati, è rappresentato nelle figg. 6.107 e 6.108.

Abbiamo inoltre mantenuto l’esatta terminologia d J. Blair [76]. A partire da ciò che si ritiene i

secoli VI-VIII d.C. abbiamo solo indicato i regni principali elencati in [76]. I regni meno importanti,

fatti riferire da Blair ai secoli posteriori al VI-VIII secolo d.C., sono stati da noi trascurati

appositamente, per non appesantire il disegno. Per contro abbiamo riportato interamente l’elenco

“dei regni di Blair” anteriori al presunto V secolo d.C.

Vediamo i principali sistemi “antichi” di cronologia, così come sono rappresentati da Blair e

come sono descritti nei commenti contemporanei. Emerge che queste ere, nella cronologia

scaligeriana, spesso “venivano dimenticate”, a volte addirittura per interi secoli, salvo poi

“risuscitare” nel loro presunto aspetto originario. Eccone l’elenco.

Fig. 4.74. La versione della cronologia globale degli “antichi” regni così come rappresentata nelle “Tavole Cronologiche” di J.

Blair [76]. Si nota chiaramente “una strana spaccatura”, “un vuoto”, nella cronologia scaligeriana, che abbraccia quasi

trecento anni, dal presunto I secolo d.C. al presunto III secolo d.C (prima parte del grafico).

“ANTICO CALCOLO” DEGLI ANNI SECONDO LE OLIMPIADI

Questo tipo di calcolo cominciò, si presume, nel 776 a.C. [76], tavola 1. Gli stessi Giochi

olimpici, in onore dei quali cominciò il calcolo degli anni, furono PER LA PRIMA VOLTA introdotti

dai Dattili, si ritiene nel 1453 a.C. Successivamente FURONO DIMENTICATI, poi

“NUOVAMENTE RIPRISTINATI” da Eracle nel 1222 a.C. Quindi ancora una volta DIMENTICATI.

Di nuovo poi “FURONO RIPRISTINATI” da Ifito e Licurgo nell’884 a.C., come si presume.

Tuttavia qui inaspettatamente è risultato che, per il calcolo del tempo, si cominciò a usare i

Giochi solo dal presunto anno 776 a.C.

Tra l’altro, allo stesso modo, nella cronologia scaligeriana, “vennero dimenticati” e poi

ripristinati” altri Giochi, per esempio quelli istmici, nemei e pitici. Secondo le tavole di Blair, il

conto degli anni in base alle Olimpiadi fu interrotto intorno all’anno 1 d.C. (!). Dunque, questo

metodo di conteggio del tempo durò all’incirca 776 anni, dal presunto anno 776 a.C. all’anno 0 d.C.

In seguito fu dimenticato. In generale, intorno alla questione relativa alla data a partire dalla quale le

Olimpiadi vennero prese in considerazione a fini cronologici esistevano tra i cronologisti vari punti

di vista, con differenze che raggiungevano i cinquecento anni (si veda sotto).

Fig. 4.75. La versione della cronologia globale degli “antichi” regni così come rappresentata nelle “Tavole Cronologiche” di J.

Blair [76]. Si nota chiaramente “un strano vuoto” nella cronologia scaligeriana, che abbraccia qusi trecento anni, dal presunto

I secolo d.C. al presunto III secolo d.C. (seconda parte del grafico).

Proviamo a illustrare questo slittamento cronologico alla luce di alcuni esempi. Secondo Blair

[76], il conto degli anni in base alle Olimpiadi cominciò all’incirca nello stesso periodo in cui

cominciò il calcolo ab Urbe condita. Oggi si ritiene che per “Urbe” s’intendesse Roma in Italia,

fatto, probabilmente, non corrispondente al vero (si veda sopra). Di conseguenza, secondo Blair, il

calcolo secondo le Olimpiadi cominciò all’incirca verso la metà del presunto VIII secolo a.C. Per

contro, lo storico S. Lur’e afferma che «all’epoca di Senofonte [cioè verso i presunti secoli V-IV

a.C.; N.d.A.] la cronologia in base alle Olimpiadi NON ERA ANCORA ENTRATA IN VIGORE,

giacché la introdusse PER LA PRIMA VOLTA lo storico siciliano Timeo verso il 264 a.C.» [447], p.

224. Stando a quest’ipotesi, secondo Lur’e, l’“antico” Timeo introdusse per primo la cronologia

olimpica 512 anni dopo la prima Olimpiade, fatta risalire all’incirca al 776 a.C. La divergenza nelle

opinioni degli storici raggiunge né più né meno che cinquecento anni.

In questo modo, ogni volta che in un vecchio documento si incontra un calcolo di anni sulla base

delle Olimpiadi, bisogna fare bene attenzione e capire a partire da quale data assoluta l’annalista

calcola gli anni. A seconda della scelta del punto di partenza iniziale emergono oscillazioni di non

meno di cinquecento anni!

N.A. Morozov in [544] espresse il pensiero che il conto degli anni in base alle Olimpiadi cioè

ogni quattro anni, coincidesse più semplicemente con il conto giuliano degli anni, a noi ben noto. In

esso i quadrienni sono distinti dal sistema degli anni bisestili, cioè, ogni quarto anno viene

considerato, nel calendario giuliano, bisestile. In base a quest’ipotesi, il calcolo olimpico cominciò

non prima di Giulio Cesare, che introdusse il calendario giuliano. Ne consegue che persino nella

cronologia scaligeriana il conto olimpico-giuliano cominciò non prima del primo secolo a.C. e non

certo nell’arcaica epoca dell’“antico” Eracle-Ercole. Invece, in conformità alla nostra ricostruzione,

che colloca Giulio Cesare a un epoca non anteriore al XII secolo d.C., il calcolo degli anni in base

alle Olimpiadi poteva cominciare non prima del XII secolo d.C. E con tutta probabilità esso

corrisponde semplicemente al calcolo cristiano degli anni dalla nascita di Gesù, iniziato all’incirca a

partire dal 1100 o dal 1152 cioè dall’anno di nascita di Gesù, nel 1152 (si veda il nostro Car’

Slavjan). Non solo, ma l’“antico” Eracle risulta essere ancora un riflesso di Andronico-Cristo, come

abbiamo spiegato nel nostro Gerakl (Mify o Gerakle javljajutsja legendami ob Andronike-Christe;

zapisannymi v XVI veke) (Eracle. I miti di Eracle risultano essere delle leggende su Andronico-

Cristo, trascritte nel XVI secolo).

In questo modo le cause delle divergenze tra i diversi storici a proposito di quando incominciò il

conto degli anni in base alle Olimpiadi diventano chiare. Evidentemente, il calcolo degli anni in base

alle Olimpiadi cominciò a partire dalla nascita di Cristo nel XII secolo e durò ininterrottamente

alcune centinaia di anni. Non ci fu “alcun oblio e rinascita” di quest’era. Più semplicemente, a causa

della “moltiplicazione degli annali”, uno stesso evento reale – l’inizio delle Olimpiadi – “fu

moltiplicato” (sulla carta!) e “fu allontanato” in un profondissimo passato, col risultato che gli storici

posteriori, guardando il quadro di duplicati-ripetizioni creatosi nel manuale scaligeriano e

dimenticando le cause della sua insorgenza nei secoli XVI-XVII, cominciarono a ragionare sugli

“oblii” e sui “ripristini” delle Olimpiadi, a cercarne le cause, a costruire teorie complesse, a

discutere su Eracle e i Dattili, su Ifito e Licurgo... insomma a operare su un grande “campo

d’attività”.

“ANTICO” CONTO DEGLI ANNI AB URBE CONDITA

Questo conteggio cominciò a partire dall’anno che si ritiene 753 a.C. ([76], tavola 5). Ma più

avanti ci viene detto che tale data fu fissata, per la prima volta, solo nel presunto I secolo dal romano

Varrone. Cioè 700 (!) anni dopo che, secondo quando scrive Scaligero, fu fondata Roma. Il conteggio

degli anni ab Urbe condita si conclude nel presunto III secolo d.C. e più precisamente nel decennio

250-260 d.C. [76]. È il periodo delle guerre civili a Roma, fatte risalire alla metà del III secolo d.C.

Blair comunica: «Una gran parte delle cronache cessa di indicare gli anni [in questo periodo; N.d.A.]

a partire dalla fondazione di Roma» [76], tavola 15. Ricordiamo che l’identificazione dell’Urbe con

la città italiana di Roma è solo un’ipotesi degli storici. In realtà Urbe (Città) all’inizio veniva

chiamata la “Nuova Roma” sul Bosforo e solo dopo, nel XIV secolo, così cominciarono a chiamare

l’Orda-Rus’ (si veda Načalo Ordynskoj Rusi [L’inizio della Rus’ dell’Orda]). Si ritiene che l’Urbe

(Città) fosse stata fondata intorno al 300 d.C. e benedetta nel 330 d.C. In questo modo, persino nel

contesto della cronologia scaligeriana, la sostituzione della Roma italiana con quella sul Bosforo

porta a un slittamento di mille anni delle date, calcolate in certi annali ab Urbe condita. A questo

tipo di testi si riferisce, per esempio, la nota Storia di Tito Livio. È curioso notare che nella

cronologia scaligeriana il conteggio degli anni ab Urbe condita si interrompe proprio sulla

congiuntura dei due imperi-duplicati, il secondo Impero romano e il terzo Impero romano vedi [76] e

figg. 4.74, e 4.75.

IL CALCOLO DEGLI ANNI A PARTIRE DALLA NASCITA DI GESÙ-CRISTO

La storia scaligeriana sostiene che questo calcolo degli anni probabilmente cominciò a entrare in

uso PER LA PRIMA VOLTA nel 747 d.C. cioè settecento anni dopo la morte di Gesù nel I secolo

secondo Scaligero [76], e duecento anni dopo i calcoli di Dionigi il Piccolo, che visse, come si

presume, nel VI secolo d.C. e che PER LA PRIMA VOLTA calcolò la data della crocefissione di

Cristo.

Più avanti si ripete il quadro a noi già noto degli oblii e dei ripristini delle ere. Ci viene detto

che, dopo la PRIMA menzione dell’era a partire dalla nascita di Cristo in un documento ufficiale del

742 d.C., quest’era NUOVAMENTE CADE IN DISUSO E NUOVAMENTE RITORNA A ESSERE

MENZIONATA RARAMENTE GIÀ SOLO NEL X SECOLO d.C. E SOLO a partire DAL 1431 [cioè

dal quindicesimo secolo!; N.d.A.] comincia a essere REGOLARMENTE indicata nei messaggi

papali, ma anche in questo caso con l’indicazione, in parallelo, del calcolo degli anni a partire “dalla

creazione del mondo” ([744], p. 52).

È assai degno di nota il fatto che, negli annali laici, l’era che viene fatta iniziare dalla nascita di

Cristo compare in tempi ancora più tardi. Gli storici comunicano che in Germania, essa fu stabilita

solo nel XVI secolo, in Francia anche e nella Rus’ solo nel 1700, superata dall’Inghilterra, che

registra quest’era ancora più tardi, nel 1752 ([744], p. 52). In questo modo, persino in base alla

cronologia scaligeriana, solo a partire dal XV secolo si può parlare dell’uso più o meno regolare

dell’era che prende inizio con la nascita di Cristo (avvenuta, secondo i nostri calcoli, nel 1152).

Le assai rare “menzioni” precedenti a questo periodo in documenti fatti risalire a un’epoca

anteriore ai secoli X-XI d.C. risultano essere, di conseguenza, il risultato della duplicazione degli

annali e dell’operazione del loro allontanamento nel profondo passato. Ne risulta che le menzioni

reali medievali di questa era nei documenti dei secoli XII-XVII sono comparse in veste “fantasma”

nei presunti VI e VIII secolo.

Guardando questi fantasmi, gli storici posteriori hanno cominciato a costruire delle teorie

complesse, per esempio, quella su Dionigi il Piccolo, presumibilmente vissuto nel VI secolo d.C.

Tuttavia, come si diceva sopra “Dionigi il Piccolo del VI secolo” risulta essere solo il riflesso

fantasma di Dionigi Petavius (cioè il PICCOLO = PETIT), vissuto nei secoli XVI-XVII d.C.

Emerge così che Dionigi Petavius = Dionigi il Piccolo, colui che per primo calcolò giustamente la

data della crocefissione di Cristo, circa 550 anni prima di se stesso. E come adesso capiamo, aveva

assolutamente ragione, perché, portando in giù, dalla metà del XVII secolo (Petavius morì nel 1652),

550 anni, capitiamo proprio nel XII secolo, cioè quando, secondo la nostra ricostruzione (negli anni

1152-1185), veramente visse e fu crocifisso Andronico-Cristo.

Dunque, ritornando alle figg. 4.74 e 4.75, vediamo che nella storia scaligeriana i due principali

conteggi “antichi” degli anni, quello secondo le Olimpiadi e quello a partire dalla fondazione

dell’Urbe, si sono conclusi come minimo 500 anni prima della prima e dell’unica menzione ufficiale

dell’era di Gesù Cristo in un documento fatto risalire al 742, la cui datazione, come abbiamo detto, è

assai dubbia.

“L’ANTICO” CONTEGGIO DEGLI ANNI A PARTIRE DALLA CREAZIONE DEL MONDO

Si ritiene che quest’era sia strettamente legata alla Bibbia e perciò dipenda pienamente dalla

datazione degli eventi biblici. Siccome questi eventi, in base ai risultati dell’applicazione dei nuovi

metodi di datazione, risalgono al Medioevo, ne risulta che anche questo conteggio degli anni abbia

un’origine medievale o addirittura risalente al tardo Medioevo. Secondo la nostra ricostruzione esso

cominciò non prima del XII secolo d.C.

CONTO DEGLI ANNI SECONDO L’EGIRA

Si ritiene che il calcolo arabo degli anni cominci nel 622 d.C. [76], tavola 19. Questo calcolo è

strettamente legato alla datazione del Corano e degli eventi in esso descritti. Pertanto, con tutta

probabilità, esso è di origine più tarda e cominciò non prima dei secoli XIV-XV d.C. (si veda il

nostro libro Prorok Zavoevatel’, Il Profeta Conquistatore [cit.]).

Nelle figg. 4.74 e 4.75 si osserva chiaramente un fatto importante. Nella cronologia scaligeriana

tutti i regni, a eccezione di due, si suddividono in due classi. Nella prima classe rientrano i regni che

esistevano interamente prima dell’inizio dell’era cristiana, della seconda classe, invece, fanno parte i

regni che esistevano interamente dopo l’inizio dell’era cristiana L’intervallo anno 0-260 d.C. è

attraversato solo da due regni, l’Impero romano e il regno dei Parti. Da ciò emerge che l’inizio della

nuova era possedeva delle proprietà stranamente distruttive: pare che solo due regni, tra i molti altri,

“antichi”, abbiano felicemente attraversato “il pericoloso intervallo” dall’anno 0 al 260 d.C. Del

resto, sulle dinastie dei Parti mancano delle informazioni continue e coerenti [76], ragion per cui

questo regno non può servire da anello cronologico e “cucitura” di ere diverse. Per quanto concerne

il secondo Impero romano diremo quanto segue: nell’intervallo dall’anno 0 al 260 d.C. cade proprio

il Secondo Impero romano. La sua fine, precisamente negli anni, 260-270 d.C., coincide

precisamente con la fine del “pericoloso intervallo” 0-260 d.C. da noi scoperto. Non solo, ma dai

disegni nelle figg. 6.107 e 6.108 si evince che il decennio 260-270 d.C., cioè proprio il periodo a

cavallo tra il secondo e il terzo Impero romano, non viene coperto né dal conto degli anni secondo le

Olimpiadi, né dal conto degli anni ab Urbe condita, né tantomeno dal conto degli anni dalla nascita

di Gesù Cristo. Che, come ci dicono gli stessi storici, ancora “non esisteva”. Secondo la cronologia

scaligeriana, nel decennio 250-260 d.C. il conto degli anni dalla fondazione dell’Urbe finisce. Il

conto secondo le Olimpiadi si era invece concluso, come si presume, già 250 anni prima di questo

momento. Il conto cristiano non solo non era ancora cominciato, ma non era stato neppure inventato.

Per il suo inizio, nel XII secolo d.C., ci vorranno ancora alcune centinaia d’anni.

Andiamo avanti. Secondo i nostri metodi statistici, il Secondo Impero romano risulta essere un

duplicato del terzo Impero romano, non solo, ma entrambi risultano essere delle immagini riflessefantasma

del Sacro romano impero dei secoli X-XIII e fondamentalmente dell’impero degli Asburgo

(Nov-gorod?) dei secoli XIV-XVI (si vedano figg. 4.11, 4.12, 4.13, 4.17, 4.18, 4.19, 4.20). Di

conseguenza la storia romana fatta risalire ai secoli I-III non è autonoma ma è “fantasma”. Bisogna

“alzarla” e identificarla quanto meno con il Terzo Impero romano, e di fatto con il più tardo Regno

Grande = Mongolico dei secoli XIV-XVI.

Ancora: nell’“intervallo pericoloso” dell’anno 0-260 d.C. cade parzialmente anche l’episcopato

romano. Tuttavia la storia papale degli anni 68-141 d.C. è ritenuta pienamente leggendaria dalla

storia scaligeriana ([492], p. 312). Blair addirittura scrive: «Prima della scadenza di questo secolo

[cioè prima dell’inizio del II secolo d.C.; N.d.A.] [...] in questa colonna [cioè nell’elenco dei papi

romani; N.d.A.] c’è UN’ASSOLUTA MANCANZA DI NOTIZIE» [76], tavola 13. Il periodo papale

seguente 68-141 non è autonomo, risultando essere solo il riflessofantasma del periodo papale dei

presunti anni 314-536 d.C. (si veda la fig. 6.17). E infine essi risultano entrambi un’immagine

riflessa di un periodo papale molto posteriore. Ne risulta che il primo periodo dell’episcopato

romano, rialzandosi, viene a identificarsi con il suo secondo periodo, col risultato che l’epoca dal 30

a.C. al 270 d.C., secondo la cronologia scaligeriana, cioè un’epoca della durata di circa 300 anni,

risulta essere una ZONA DI TOTALE SILENZIO CRONOLOGICO DI DOCUMENTI. In questo

periodo, secondo la cronologia scaligeriana, non c’è alcun regno storico con un proprio flusso

dinastico indipendente.

L’epoca dal 30 a.C. al 270 d.C. si conclude con un VUOTO anche nella cronologia scaligeriana.

Ricordiamo che i due principali tipi di “conteggi antichi” di questo tempo, l’era ab Urbe condita e

l’era di Diocleziano, iniziatasi nel presunto 284 d.C., non combaciano [76]. Tra di essi c’è un vuoto,

un “gap” cronologico dell’ordine di almeno 20 anni. Ribadiamo che ancora non si parla nemmeno di

calcolare gli anni a partire dalla nascita di Cristo.

CONCLUSIONI

Nella cronologia scaligeriana si trovano chiaramente, nell’epoca dei presunti anni 0-260 d.C., le

tracce della cucitura di alcune cronache-duplicati. Qualcuno, nei secoli XVI-XVII d.C., collocò

nell’asse del tempo alcune cronache-duplicati, assemblando con esse un unico “manuale”, e

operando grossolanamente, senza “colmare” il punto di congiuntura con qualche era, probabilmente

decidendo che così andasse bene. Alla fine il fittizio “inizio della nuova era”, collocato in quello che

si ritiene l’anno zero, ha suddiviso la storia cronologica “in due metà” (si vedano le figg. 4.74 e

4.75).

In tal modo si sono ottenuti tanti regni “antichi” PRIMA dell’inizio dell’era cristiana e molti regni

medievali DOPO l’inizio dell’era cristiana, mentre in prossimità dell’inizio stesso della nuova era si

è creato uno strano vuoto. Lo scopriamo oggi grazie ai nuovi metodi che ci permettono di analizzare

l’edificio della cronologia scaligeriana nel suo complesso.

Esito: formuliamo qui due conclusioni importanti:

1. dato lo slittamento cronologico “in su” di circa 1000-1100 anni (si vedano le figg. 4.19-4.20.),

risulta che il periodo durante il quale visse Gesù Cristo viene a cadere verso l’XI secolo. Così

ritenevano i cronologisti medievali. Tuttavia, le ricerche che noi abbiamo condotto (vedi il nostro

Lo Zar degli Slavi, op. cit.) ci inducono a sostenere che anche questa opinione medievale sia

errata. Di fatto, in base ai nostri studi, siamo arrivati alla conclusione che Cristo visse in un’epoca

ancora più tarda, 100 anni dopo, cioè visse nella seconda metà del XII secolo: la sua nascita risale

al 1152 d.C., la sua crocifissione al 1185 d.C. È assolutamente ovvio che lo spostamento “in su”

dell’inizio della nuova era “dopo Cristo” comporta la ristrutturazione radicale dell’intero edificio

della storia antica e medievale.

2. Abbiamo scoperto una serie di parallellismi dinastici, cioè l’“identificazione” di dinastie antiche e

medievali. Lo studio scrupoloso di questi parallelismi ci ha dimostrato che tali dinastie si

sistemano in una catena, “a capo” della quale, cioè in un tempo a noi più vicino, risulta essere la

dinastia degli zar-chan della Rus’ dell’Orda, degli anni 1273-1600 d.C.

Tutte le altre dinastie appaiono esserne dei riflessi-fantasma, allontanati nel passato. Ciò significa

che i principali regni antichi e medievali, riflessi nei vecchi annali, figurano essere, in una misura o

in un’altra, delle descrizioni di uno stesso Impero dei secoli XIV-XVI, Impero che noi chiamiamo

Grande Impero = “mongolico”. Analogamente anche l’“antico” Impero romano è una delle immaginifantasma

riflesse di questo Grande Impero.

Anche questa conseguenza cambia sostanzialmente la nostra rappresentazione della storia antica.

BIBLIOGRAFIA

400 anni d’inganni rappresenta IN ASSOLUTO la prima edizione italiana dedicata alla NC.

L’elenco generale dei testi utilizzati dagli Autori nelle loro ricerche sulla cronologia è in continuo

ampliamento. In questo libro ne riportiamo solo una parte.

Nella presente edizione italiana è stata mantenuta la numerazione (tra parentesi quadre) con la quale i

testi citati sono indicati nella seguente Bibliografia.

Pubblicazioni sulla NUOVA CRONOLOGIA (NC)

I libri sulla NC escono dal 1990 [le primissime pubblicazioni di A.T. Fomenko e colleghi erano

apparse in riviste scientifiche già nel 1980; N.d.T.]. Purtuttavia cominciamo l’elenco dei nostri libri

con l’Opera in sette tomi Chronologija (Cronologia), portata a termine nel 2003 e comprendente (in

veste ampliata e rielaborata) i risultati di tutte le nostre ricerche fino al 2003.

Opera Omnia in sette tomi Chronologija (Pervyj kanon)

(Cronologia. Il primo canone)

[CHRON 1]: Fomenko, A.T., Osnovanija istorii (Vvedenie v problemu. Kritika scaligerovskoj

chronologij. Zodiaki. Goroskopy. Zatmenija. Astronomičeskaja datirovka Apokalipsisa.

Astronomija v Vetchom Zavete. “Temnye veka” srednevekovoj istorii). Odna kniga. [I fondamenti

della storia. (Introduzione al problema. Critica della cronologia scaligeriana. Gli zodiaci. Gli

oroscopi. Le eclissi. La datazione astronomica dell’Apocalisse. L’astronomia nell’Antico

Testamento. “I secoli bui” della storia medievale)]. Libro unico, ediz. RIMIS, Moskva 2005.

(Edizione inglese: Fomenko, A.T., History: Fiction or Science? Chronology 1, Delamere Publishing,

Paris-London-New York 2003).

[CHRON 2]: Fomenko, A.T., METODY (Matematiko-statističeskie metody datirovki. Global’naja

chronologičeskogo karta. Otoždestvlenija drevnich i srednevekovych dinastij. Trojanskaja vojna

v XIII veke n.e. Rim. Grecija. Biblija. Osnovnye sdvigi v chronologii. Otraženie evangel’skich

sobytij XII veka n.e. v rimskoj istorii XI veka n.e.) V dvuch knigach. (I METODI. I metodi

matematico-statistici di datazione. La Carta Cronologica Gobale. Le identificazioni di dinastie

antiche e medievali. La guerra di Troia nel XIII secolo d.C. Roma. La Grecia. La Bibbia. I

principali slittamenti cronologici. I riflessi degli eventi evangelici del XII sec. d.C. nella storia

romana dell’XI secolo d.C.). Due tomi, ediz. RIMIS, Moskva 2005.

(Edizione inglese: Fomenko, A.T., History: Fiction or Science?. Chronology 2, Delamere

Publishing, Paris-London-New York 2005).

[CHRON 3]: Kalašnikov, V.V., Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., ZVEZDY. (Astronomičeskie metody v

chronologii. Al’magest Ptolomeja. Ptolomej. Ticho Brache. Kopernik. Egipetskie zodiaki),

Pervaja čast’ tret’ego toma Chronologij. (LE STELLE. I metodi astronomici nella cronologia.

L’Almagesto di Tolomeo. Tolomeo. Tÿcho Brahe. Copernico. Gli zodiaci egizi – Prima parte del

terzo tomo di Chronologija), ediz. RIMIS, Moskva 2006.

(Edizione inglese: Fomenko, A.T., Fomenko, T.N., Kalashnikov, V.V., Nosovskiy, G.V., History:

Fiction or Science?.Chronology 3, Delamere Publishing, Paris-London-New York 2007).

[CHRON 3b]: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., Fomenko, T.N., ZVEZDY. (Astronomičeskie metody v

chronologii. Al’magest Ptolomeja. Ptolomej. Ticho Brache. Kopernik. Egipetskie zodiaki),

Vtoraja čast’ tret’ego toma Chronologij. (LE STELLE. I metodi astronomici nella cronologia.

L’Almagesto di Tolomeo. Tolomeo. Tycho Brache. Copernico. Gli zodiaci egizi – Seconda parte

del terzo tomo di Chronologija), ediz. RIMIS, Moskva 2006.

(Traduzione inglese: Fomenko, A.T., Fomenko, T.N., Kalashnikov, V.V., Nosovskiy, G.V., History:

Fiction or Science? Chronology 3, Delamere Publishing, Paris-London-New York 2007).

[CHRON 4]: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., NOVAJA CHRONOLOGJA RUSI (Rus’. Anglija.

Vizantija. Rim.), V trech knigach. (LA NUOVA CRONOLOGIA. La Rus’. L’inghilterra. Bisanzio.

Roma – in tre tomi), ediz. RIMIS, Moskva 2004.

(Edizione inglese: Fomenko, A.T., Fomenko, T.N., Kalashnikov, V.V., Nosovskiy, G.V., History:

Fiction or Science? Chronology 4, Delamere Publishing, Paris-London-New York 2007).

[CHRON 5]: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., IMPERIJA (Velikoe zavoevanie. Rus’-Orda. Osmanija

= Atamanija. Evropa. Kitaj. Japonija. Etruski. Egipet. Skandinavija), V dvuch knigach.

(L’IMPERO. La grande conquista. La Rus’ dell’Orda. Osmanija = Atamanija, L’Europa. La Cina. Il

Giappone. Gli Etruschi. L’Egitto. La Scandinavia – in due tomi), ediz. RIMIS, Moskva 2004.

[CHRON 6]: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., BIBLEJSKAJA RUS’ (Vsemirnaja srednevekovaja

Ordynsko-Atamanskaja Imperija. Biblija. Pokorenie zemli obetovannoj. Amerika. Reformacija.

Kalendar’ i Pascha), V četyrech knigach. (LA RUS’ BIBLICA. L’Impero universale medievale

dell’Orda ottomana. La Bibbia. La conquista della terra promessa. L’America. La Riforma. Il

Calendario e la Pasqua – in quattro tomi), ediz. RIMIS, Moskva 2004.

[CHRON 7]: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., REKONSTRUKCIJA (Rekonstrukcija vseobščej

istorii. Chany Novgorodcy-Gabsburgi. Nasledie Velikoj Imperii v istorii I kul’ture Evrazii I

Ameriki), V trech knigach. (LA RICOSTRUZIONE. Ricostruzione della storia universale. I Khan

di Novgorod e gli Asburgo. L’eredità del Grande impero nella storia e nella cultura dell’Eurasia e

dell’America – in tre tomi), ediz. RIMIS, Moskva 2005.

Edizioni sulla NC pubblicate successivamente all’Opera in sette tomi Chronologija e

contenenti argomenti non trattati in essa

[NCHE] (G-1): Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., NOVAJA CHRONOLOGIJA EGIPTA.

Astronomičeskoe datirovanie pamjatnikov Drevnego Egipta. Issledovanija 2000-2002 godov (LA

NUOVA CRONOLOGIA DELL’EGITTO. La datazione astronomica dei monumenti dell’Antico

Egitto. Ricerche degli anni 2000-2002), ediz. Veče, Moskva 2002. (Edizione riveduta: AST,

Astrel’, Moskva 2007).

[IND]: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., NOVAJA CHRONOLOGIJA INDII. Issledovanija 2002-2003

godov. (LA NUOVA CRONOLOGIA DELL’INDIA. Ricerche degli anni 2002-2003), ediz. Delovoj

Ekspress, Moskva 2004. In edizione sostanzialmente rivista l’opera è uscita anche con il titolo

Kazaki-arii: iz Rusi v Indiju (I kazaki-arii: dalla Rus’ all’India) (si veda più avanti).

[CRS] (B-1): Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., CAR’ SLAVJAN (IL RE DEGLI SLAVI), ediz. Neva,

Sankt Peterburg 2004. (Edizione aggiornata: AST, Astrel’, Moskva 2007).

[NOR] (B-2): Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., NAČALO ORDYNSKOJ RUSI (Posle Christa.

Trojanskaja vojna. Osnovanie Rima) (L’INIZIO DELLA RUS’ DELL’ORDA, Dopo Cristo. La

guerra di Troia. La fondazione di Roma), AST, Moskva 2005.

[DZZ] (G-2): Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., DREVNIE ZODIAKI. Egipta i Evropy (Datirovki

2003-2004 godov) (GLI ANTICHI ZODIACI dell’Egitto e dell’Europa. Datazioni degli anni 2003-

2004), ediz. Veče, Moskva 2005. (Edizione aggiornata: Astrel, AST, Moskva 2009).

[KR] (B-3): Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., KREŠENIE RUSI (Jazyčestvo i christianstvo. Krešenie

Imperii. Konstantin Velikij. Dmitrij Donskoj. Kulikovskaja bitva v Biblii. Sergij Radonežskij,

izobretatel’ ognestrel’nogo oružija. Datirovka kovra iz Baye) (IL BATTESIMO DELLA RUS’. Il

paganesimo e il cristianesimo. Il battesimo dell’Impero. Costantino il Grande. Dmitrij Donskoj. La

battaglia di Kulikovo nella Bibbia. Sergij Radonežskij, l’inventore delle armi da fuoco. La

datazione del tappeto di Bayeux), AST, Astrel’, Moskva 2006.

[EA]: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., EGIPETSKIJ AL’BOM. Vzgljad na pamjatniki Drevnego

Egipta: ot Napoleona do Novoj Chronologii (ALBUM EGIZIO. Sguardo sui monumenti

dell’antico Egitto: da Napoleone alla Nuova Cronologia), RIMIS, Moskva 2006.

[CRIM] (B-4): Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., CARSKIJ RIM v Mezdureč’e Oki i Volgi. (Novye

svedenija o Deve Marii i Andronike-Christe, Cholop’ej vojne Novgorodcev, Dmitrii Donskom i

Mamae, Aleksandre Nevskom i Ledovom Pobojšče na stranicach antičnoj “Istorii Rima” Tita

Livija i Vetchogo Zaveta”) (LA ROMA DEI RE tra i fiumi Oka e Volga. Nuove informazioni sulla

Vergine Maria e Andronico-Cristo, sulla guerra dei cittadini di Novgorod, Dmitrij Donskoj e

Mamaj, Alessandro Nevskij e il massacro di Ledovoj nelle pagine dell’arcaica Storia di Roma di

Tito Livio e dell’Antico Testamento), AST, Astrel’, Moskva 2006.

[KAZ] (B-5): Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., KAZAKI-ARII: iz Rusi v Indiju. (Kulikovskaja bitva v

Machabcharate. “Korabl’ durakov” i mjatež Reformacii. Velesova kniga. Novye datirovki

zodiakov. Irlandskie skazanija) (I KAZAKI-ARIANI: dalla Rus’ all’India. La battaglia di

Kulikovo nel Mahābhārata. “La nave dei folli” e la ribellione della Riforma. Il libro di Veles. Le

nuove datazioni degli zodiaci. Leggende irlandesi), AST, Astrel’, Moskva 2007.

[ZI] (B-6): Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., ZABYTYJ IERUSALIM (Stambul v svete Novoj

Chronologii) (LA GERUSALEMME DIMENTICATA. Istanbul alla luce della Nuova Cronologia),

AST, Astrel’, Moskva 2007.

[GR] (B-7): Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., CHRISTOS I ROSSIJA glazami “drevnich” grechov.

(Novye svedenija ob Andronike-Christe, Ioanne Krestitele, apostole Pavle, Iude Iskariote i o

Krestovych Pochodach Rusi-Ordy. Eti svidetel’stva, kak okazyvaetsja, sostavljajut osnovu

glavnych knig Gerodota, Plutarcha, Fukidida, Ksenofonta, Platona i Aristofana) (CRISTO E LA

RUSSIA visti con gli occhi degli “antichi greci”. Nuove informazioni su Andronico-Cristo,

Giovanni Battista, l’apostolo Paolo, Giuda Iscariota e sulle Crociate della Rus’ dell’Orda. Queste

testimonianze, come è emerso, sono alla base dei libri fondamentali di Erodoto, Plutarco,

Tucidide, Senofonte, Platone e Aristofane), AST, Astrel’, Moskva 2008.

[ZA] (B-8): Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., ZAVOEVANIE AMERIKI Ermakom-Kortesom i mjatež

Reformacii glazami “drevnych” grekov (Novye svedenja o Kulikovskoj bitve, ob Ivane Groznom

i istorii Esfiri, o znamenitom pochode atamana-konkistadora Ermaka-Kortesa i Velikoj Smute v

Imperii XVI-XVII vekov. Eti svidetel’stva sostavljajut značitel’nuju čast’ “antičnych”

proizvedenija Gerodota, Plutarcha i Fukidida) (LA CONQUISTA DELL’AMERICA da parte di

Ermak-Cortès e la ribellione della Riforma viste con gli occhi degli “antichi” Greci. Nuove

informazioni sulla battaglia di Kulikovo, su Ivan il Terribile e la storia di Ester, sulla famosa

campagna dell’ataman conquistador Ermak-Cortès e i Grandi Torbidi nell’Impero dei secoli XVIXVII.

Queste testimonianze costituiscono la maggior parte delle “antiche” opere di Erodoto,

Plutarco e Tucidide), AST, Astrel’, Moskva 2009.

[PE] (B-9): Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., POTERJANNYE EVANGELIJA. Novye svidetel’stva ob

Andronike-Christe (Znamenityj Pigafor, bog Apollon, čudotvorec Apollonij, vetchozavetnye

patriarchi Isav, Iakov a takze Iov i prorok Isaja javljajutsja otraženijami Christa) (I VANGELI

PERDUTI. Nuove testimonianze su Andronico-Cristo. Il famoso Pitagora, il dio Apollo, il

taumaturgo Apollonio, i patriarchi vetero-testamentari Isacco e Giacobbe, Giobbe e il profeta Isaia

come immagini riflesse di Cristo), AST, Astrel’, Moskva 2008.

[RI] (B-10): Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., RASKOL’ IMPERIJ: ot Groznogo-Nerona do Michaila

Romanova-Domiciana. (Znamenitye “antičnye” trudy Svetonija, Tacita i Flavija, okazyvaetsja,

opisyvajut Velikuju Russkuju Imperju i mjatež Reformacii XVI-XVII vekov) (LA SCISSIONE

DELL’IMPERO: da Nerone “il Terribile” fino a Michail Romanov-Domiziano. Le famose opere

“antiche” di Svetonio, Tacito e Flavio descrivono l’Impero russo e la ribellione della Riforma dei

secoli XVI-XVII), AST, Astrel’, Moskva 2009.

[CHR] (B-11): Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., CHRISTOS RODILSJA V KRYMU. TAM ŽE

UMERLA BOGORODICA. (Svjatoj Graal - eto kolybel’ Iisusa, dolgo chranivšajasja v Krymu.

Korol’ Artur – eto otraženie Christa i Dmitrija Donskogo (CRISTO NACQUE IN CRIMEA, LÌ

MORÌ LA VERGINE. Il sacro Graal è la culla di Gesù, per molto tempo conservatasi in Crimea. Il

re Artù è l’immagine riflessa di Cristo e di Dmitrij Donskoj), AST, Astrel’, Moskva 2009.

[GRK] (B-12): Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., GERAKL. “Drevne”-grečeskij mif XVI veka. (Mify

o Gerakle javljajutsja legendami ob Andronike-Christe, zapisannymi v XVI veke) (ERCOLE. Gli

antichi miti greci di Ercole sono delle leggende su Andronico-Cristo, trascritte nel secolo XVI),

AST, Astrel’, Moskva 2009.

[PRRK] (B-13): Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., PROROK ZAVOEVATEL’. Unikal’noe

žizneopisanie Magometa (Skrižali Moiseja. Jaroslavskij meteorit 1421 goda. Pojavlenia Bulata.

Faeton) (IL PROFETA CONQUISTATORE. La biografia originale di Maometto. Le tavole delle

Leggi di Mosè. Il meteorite di Jaroslavl’ del 1421. La comparsa di Bulat. Faeton), AST, Astrel’,

Moskva 2009.

[STKR] (B-14): Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., STARYE KARTY Velikoj Russkoj Imperii. (Ptolomej

i Ortelij v svete novoj chronologii) (LE VECCHIE CARTE del Grande impero russo.Tolomeo e

Ortelius alla luce della Nuova Cronologia), Neva, OLMA MEDIAGRUPP, San Pietroburgo 2004.

(Ediz. riveduta: AST, Astrel’, Moskva 2009).

[ERIZ] (G-3): Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., EGIPETCKIE, RUSSKIE I ITAL’JANSKIE ZODIAKI

(Otkrytija 2005-2008 годов) (ZODIACI EGIZI, RUSSI E ITALIANI), AST, Astrel’, Moskva 2009.

[ŠACH] (B-15): Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., SHAHNAMEH: Iranskaja letopis’ Velikoj Imperii

XII-XVII vekov. (Andronik-Christos (on že Andrej Bogoljubskij), Dmitrij Donskoj, Sergij

Radonežskij (on že Bertol’d Schwarz), Ivan Groznyj, Elena Vološanka, Dmitrij “Samozvanec”,

Marina Mnišek i Sulejman Velikolepnyj na stranicach znamenitogo Eposa Šachname

(ŠACHNAME: una cronaca iraniana del Grande impero dei secoli XII-XVII. Andronico-Cristo –

ovvero Andrej Bogoljubskij –, Dmitrij Donskoj, Sergij Radonežskij – ovvero Bertol’d Schwarz –,

Ivan il Terribile, Elena Vološanka, Dmitrij l’“usurpatore”, Marina Mnišek e Sulejman il Magnifico

nelle pagine del famoso Shâhnameh), AST, Astrel’, Moskva 2010.

[VAT] (G-4): Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., VATICAN (Zodiak Astronomii. Stambul i Vatikan.

Kitajskie goroskopy. Issledovanija 2008-2010 godov) (IL VATICANO. Lo zodiaco

dell’astronomia. Istanbul e il Vaticano. Gi oroscopi cinesi. Ricerche degli anni 2008-2010), AST,

Astrel’, Moskva 2010.

[ŠEK] (B-16): Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., O ČEM NA SAMOM DELE PISAL ŠEKSPIR. Ot

Gamleta-Christa do korolja Lir-Ivana Groznogo (DI COSA IN REALTÀ SCRIVEVA

SHAKESPEARE. Da Amleto-Cristo al re Lear-Ivan il Terribile), AST, Astrel’, Moskva 2011.

Nel 2010 Fomenko ha curato una nuova redazione dell’opera in sette tomi Chronologija (serie

A), che si differenzia notevolmente dalle precedenti

[1, t. 1]: Fomenko, A.T., ČISLA PROTIV LŽI. Tom 1, kniga 1: Matematičeskoe rassledovanie

prošlogo. Kritika chronologii Skaligera. Sdvig dat. Sokrašenie istorii. Novaja chronologija (t. 1)

(I NUMERI CONTRO LA MENZOGNA. t. 1, vol. 1: Indagine matematica del passato. Critica

della cronologia di Scaligero. Lo slittamento delle date. L’abbreviazione della storia. La Nuova

cronologia – t. 1).

[2, t. 1]: Fomenko, A.T., ANTIČNOST’ – ETO SREDNEVEKOV’E. Tom 1, kniga 2: Miraži v istorii.

Trojanskaja vojna byla v XIII veke n.e. Evangel’skie sobytja XII veka n.e. i ich otraženija v

istorii XI veka (L’ANTICHITÀ È IL MEDIOEVO, t. 1, vol. 2: I miraggi nella storia. La guerra di

Troia avvenne nel XIII secolo d.C. Gli avvenimenti evangelici del XII secolo d.C. e le loro

immagini riflesse nella storia dell’XI secolo).

[2, t. 2]: Fomenko, A.T., ANTIČNOST’– ETO SREDNEVEKOV’E. Tom 2, kniga 2: Menjaem daty –

menjaetsja vse. Novaja chronologija Grecii i Biblii. Matematika vskryvaet obman

srednevekovych chronologov (L’ANTICHITÀ È IL MEDIOEVO, t. 1, vol. 2: Se cambiamo le date

cambia tutto. La Nuova Cronologia della Grecia e della Bibbia. La matematica rivela l’inganno

dei cronologisti medievali).

[3, v. 1]: а) Kalašnikov, V.V., Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., ZVEZDY SVIDETEL’STVUJUT. Tom

3, kniga 1: Datirovka Al’magesta Ptolomeja. Ptolomej, Kopernik, Tycho Brache i “antičnyj”

Gipparch (LE STELLE TESTIMONIANO, t. 3, vol. 1: La datazione dell’Almagesto di Tolomeo.

Tolomeo. Copernico. Tycho Brache e l’“antico” Ipparco).

[3, v. 2]: b) Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., Fomenko, T.N., NEBESNYJ KALENDAR’ DREVNICH.

Tom 3, kniga 2: Egipetskie zodiaki. Istorija srednich vekov na karte zvezdnogo neba. Kitajskaja

astronomija (IL CALENDARIO CELESTE DEGLI ANTICHI, t. 3, vol. 2: Gli oroscopi egizi.

Storia dei secoli di mezzo nella carta del cielo stellato. L’astronomia cinese).

[4, v. 1]: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., TAJNA RUSSKOJ ISTORII. Tom 4, kniga 1: Russkie

letopisi. “Mongolo-Tatarskoe zavoevanie”. Kulikovskaja bitva. Ivan Groznyj. Razin. Pugačev.

Razgrom Tobol’ska i razdel ego ogromnych severoamerikanskich vladenij meždu romanovskoj

Rossiej i evropejskimi kolonijami na vostoke Ameriki. Vozniknovenie SŠA (IL MISTERO DELLA

STORIA RUSSIA, t. 4, vol. 4: Le cronache russe. “La conquista tataromongola”. La battaglia di

Kulikovo. Ivan Groznyj. Razin. Pugačev. La distruzione di Tobol’sk e la spartizione dei suoi

enormi possedimenti nordamericani tra la Russia dei Romanov e le colonie europee dell’est

americano. La nascita degli USA).

[4, v. 2]: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., TAJNA RUSSKOJ ISTORII. Tom 4, Kniga 2: Tatarskij i

arabskij jazyki na Rusi. Jaroslavl’ kak Velikij Novgorod. Drevnjaja anglijskaja istorija –

otraženie vizantijskoj i ordynskoj. (IL MISTERO DELLA STORIA RUSSA, t. 4, vol. 2: Le lingue

tatara e araba nella Rus’. La città di Jaroslavl’ come la città di Velikij Novgorod. La storia inglese

antica come immagine riflessa di quella bizantina e dell’Orda).

[5, v. 1]: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., IMPERIJA. Tom 5, kniga 1: Slavjanskoe zavoevanie mira.

Evropa. Kitaj. Japonija. Rus’ kak srednevekovaja metropolija Velikoj Imperijj (L’IMPERO, t. 5,

vol. 1: La conquista slava del mondo. L’Europa. La Cina. Il Giappone. La Rus’ come metropolia

medievale del Grande impero).

[5, v. 2]: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., IMPERIJA. Tom 5, kniga 2: Rascvet Carstva. Gde na

samom dele putešestvoval Marko Polo. Kto takie ital’janskie etruski. Drevnij Egipet.

Skandinavia. Rus’ – Orda na starinnych kartach. (L’IMPERO, t. 5, vol. 2: La fioritura del Regno.

Per quali contrade viaggiò veramente Marco Polo. Chi sono gli Etruschi italiani. L’antico Egitto.

La Scandinavia. La Rus’ dell’Orda nelle antiche carte).

[6, v. 1]: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., BIBLEJSKAJA RUS’. Tom 6, kniga 1: Velikaja Imperija

XIV-XVII vekov v stranicach Biblii. Rus’-Orda i Osmanija-Atamanija-dva kryla edinoj Imperii.

Biblejskij pochod Moiseja – osmanskoe zavoevanie. Biblejskie Esfir’ i Iudif ’ v XVI veke) (LA

RUS’ BIBLICA, t. 6, vol. 1: Il Grande impero dei secoli XIV-XVII nelle pagine della Bibbia. La

Rus’ dell’Orda e l’Ottomanija-Atamanija due ali di uno stesso impero. La missione biblica di

Mosè – la conquista ottomana. Le bibliche Ester e Giuditta nel secolo XVI).

[6, v. 2]: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., BIBLEJSKAJA RUS’. Tom 6, kniga 2: Osvoenie Ameriki

Rus’ju-Ordoj i načalo amerikanskich civilizacij. Biblejskij Noj i srednevekovyj Kolumb. Mjatež

Reformacii. Vetchozavetnyj Ierusalim – Moskva XVI veka. Chram Solomona – Chram Svjatoj

Sofii v Stambule. (LA RUS’ BIBLICA, t. 6, vol. 2: La conquista dell’America da parte della Rus’

dell’Orda e l’inizio della civiltà americana. Il Noè biblico e il Colombo medievale. La ribellione

della Riforma. La Gerusalemme dell’Antico Testamento e la Mosca del XVI secolo. Il tempio di

Salomone. Il tempio di Santa Sofia a Istanbul).

[6, v. 3]: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., BIBLEJSKAJA RUS’. Tom 6, kniga 3: Sem’ čudes sveta.

Kalendar’ i Pascha. Roždestvo Christa i Nikejskij Sobor. Proročestvo Daniila. Podzemnaja

Moskva XVI veka – proobraz znamenitogo “antičnogo” Labirinta. (LA RUS’ BIBLICA, t. 6, vol.

3: Le sette meraviglie del mondo. Il calendario e la Pasqua. Il Natale di Cristo e il Concili di

Nicea. La profezia di Daniil. La Mosca sotterranea del XVI secolo – archetipo del famoso

Labirinto “antico”).

[7, v. 1]: а) Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., ZAPADNYJ MIF. Tom 7, kniga 1: “Antičnyj” Rim i

“nemeckie” Gabsburgi – eto otraženija Russko-Ordynskoj istorii XIV-XVII vekov. Nasledie

Velikoj Imperii v kul’ture Evrazii i Ameriki (IL MITO OCCIDENTALE, t. 7, vol. 1: La Roma

“Antica” e gli Asburgo “tedeschi” sono un’immagine riflessa della storia della Rus’ dell’Orda dei

secoli XIV-XVII. L’eredità del Grande impero nella cultura dell’Eurasia e dell’America).

[7, v. 2]: b) Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., Fomenko, T.N., RUSSKIE KORNI “DREVNEJ”

LATYNI. Tom 7, kniga 2: Jazyki i pis’mennost’ Velikoj Imperii (LE RADICI RUSSE

DELL’“ANTICO” LATINO, t. 7, vol. 2: Le lingue e la scrittura del Grande impero).

Singoli libri sulla NC usciti nel periodo 1990-2004

Oltre ai sette volumi di Chronologija (La Cronologia), portati a termine nel 2003 e comprendenti (in

versione generalizzata e rinnovata) tutte le nostre ricerche sulla cronologia condotte fino ad allora

nonché una gran quantità di materiali apparsi negli ultimi anni, dal 1990 al 2004 sono stati scritti e

pubblicati anche altri testi singoli. Li elenchiamo di seguito, corredandoli dei dovuti dettagli e

abbreviazioni convenzionali.

Abbiamo suddiviso i nostri libri singoli sulla cronologia in sette “sezioni” generalizzate:

1. Vvedenie (Introduzione)

2. Metody 1-2 (Metodi 1-2)

3. Metodi 3 (Metodi 3)

4. Novaja Chronologija Rusi (Nuova Cronologia della Rus’)

5. Imperija (L’Impero)

6. Biblejskaja Rus’ (La Rus’ biblica)

7. Rekonstrukcija (Ricostruzione)

Vvedenie (Introduzione)

[VVED]:1: Fomenko, A.T., Novye Eksperimental’no-Statističeskie Metodiki Datirovanija Drevnich

Sobytij i Priloženija k Global’noj Chronologii Drevnego i Srednevekovogo Mira (Preprint)

(Nuovi Metodi sperimentali e statistici di datazione degli antichi avvenimenti e applicazioni alla

Cronologia Globale del mondo antico e medievale), Gosudarstvennyj Komitet Televidenija i

Radiovešanija, Moskva 1981. Ord. 3672. Let. del 9/XI-81. N. BO7201, pp. 1-100.

[VVED]:2: (edizione in inglese) Fomenko, A.T., Some new empirico-statistical methods of dating

and the analysis of present global chronology, The British Library, Department of printed books,

Londra 1981. Cup. 918/87 (manoscritto depositato presso la British Library al n. 918/87).

[VVED]:3: Fomenko, A.T., KRITIKA TRADICIONNOJ CHRONOLOGII ANTIČNOSTI I

SREDNEVEKOV’JA. (KAKOJ SEJČAS VEK?). (CRITICA DELLA TRADIZIONALE

CRONOLOGIA DELL’ANTICHITÀ E DEL MEDIOEVO (IN CHE SECOLO SIAMO?), ediz.

Mechaniko-matematičeskogo fakul’teta MGU, Moskva 1993.

[VVED]:4: si tratta di una seconda edizione sostanzialmente rielaborata e ampliata, uscita nel 1999

col titolo: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., Vvedenie v Novuju Chronologiju (Kakoj sejčas vek)

(Introduzione alla Nuova Cronologia (in che secolo siamo?), ediz. Kraft-Lean, Moskva 1999. In

versione abbreviata il libro è uscito per la Kraft anche nel 2001.

[VVED]:5: nuova versione rielaborata uscita nel 2002: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., Kakoj sejčas

vek? (In che secolo siamo?), ediz. AiF-Print, Moskva 20032.

[VVED]:6: nuova versione rielaborata uscita in edizione bulgara: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T.,

Kakoj sejčas vek?(In che secolo siamo?), ediz. Litera Prima, Sofia 2004.

Metody 1 (Metodi 1 – libro secondo, parte prima)

[MET1]:1: nuova versione rielaborata uscita nel 2002: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., METODY

STATISTIČESKOGO ANALIZA NARRATIVNYCH TEKSTOV. PRILOŽENIJA K CHRONOLOGII

(Raspoznanie i datirovka zavisimych tekstov, statističeskaja drevnjaja chronologija, statistika

drevnych Astronomičeskich soobščenij) (METODI DI ANALISI STATISTICA DEI TESTI

NARRATIVI. APPLICAZIONI ALLA CRONOLOGIA. Individuazione e datazione di testi,

cronologia statistica antica, statistica delle antiche comunicazioni astronomiche), ediz. MGU,

Moskva 1990.

[MET1]:2: la seconda edizione rielaborata del libro è uscita nel 1996: (METODY

STATISTIČESKOGO ANALIZA ISTORIČESKICH TEKSTOV. PRILOŽENIJA K CHRONOLOGII

(METODI DI ANALISI STATISTICA DEI TESTI STORICI. APPLICAZIONI ALLA

CRONOLOGIA), ediz. Nauka, Moskva 1996.

[MET1]:3: singoli capitoli del libro in versione rielaborata e ampliata sono usciti nel 1996 in veste

di opera singola col seguente titolo: Fomenko, A.T., NOVAJA CHRONOLOGIJA GRECII.

ANTIČNOST’ V SREDNEVEKOV’E (LA NUOVA CRONOLOGIA DELLA GRECIA.

L’ANTICHITÀ NEL MEDIOEVO), tomi 1-2, ediz. del centro di formazione preuniversitaria della

facoltà meccanica dell’Università di Stato di Mosca, Moskva 1996.

[MET1]:4: traduzione inglese in versione sostanzialmente ampliata e rielaborata: Fomenko, A.T.,

EMPIRICO-STATISTICALANALYSIS OF NARRATIVE MATERIAL AND ITS APPLICATIONS TO

HISTORICAL DATING. Vol. 1: The Development of the Statistical Tools. Vol. 2: The Analysis of

Ancient and Medieval Records, Kluwer Academic Publishers, The Netherlands 1994.

[MET1]:5: traduzione in serbo: Fomenko, A.T., CTATИCTИЧKA XPOHOЛOГИJA.

MATEMATИЧKИ ПOГЛEД HA ИCTOPИJУ.У KOM CMO BEKУ?, ediz. Margo-art, Beograd

1997.

[MET1]:6: in versione sostanzialmente ampliata e rielaborata, il libro è uscito nel 1999 come primo

tomo di una pubblicazione in due tomi dal titolo: METODY STATISTIČESKOGO ANALIZA

ISTORIČESKICH TEKSTOV. PRILOŽENIJA K CHRONOLOGII - TOM 1. (METODI DI

ANALISI STATISTICA DEI TESTI STORICI. APPLICAZIONI ALLA CRONOLOGIA), t. 1, ediz.

Kraft-Lea, Moskva 1999.

[MET1]:7: in versione rielaborata, il libro è uscito in due tomi (i primi due tomi di un’edizione in tre

tomi) nel 1999, in russo, negli Stati Uniti: Fomenko, A.T., NOVYE METODY STATISTIČESKOGO

ANALIZA ISTORIČESKICH TEKSTOV. PRILOŽENIJA K CHRONOLOGII - TOM 1-2. (NUOVI

METODI DI ANALISI STATISTICA DEI TESTI STORICI. APPLICAZIONI ALLA

CRONOLOGIA, tomi 1-2), nella serie “Russian Studies in Mathematics and Sciences”, Scholary

Monographs in the Russian Language, voll. 6-7, The Edwin Mellen Press, Lewiston. Queenston,

Lampeter 1999.

Metody 2 (Metodi 2 – libro secondo, parte seconda)

[MET2]:1: Fomenko, A.T., GLOBAL’NAJA CHRONOLOGIJA (Issledovanija po istorii drevnego

mira i srednych vekov. Matematičeskie metody analiza istocnikov. Global’naja chronologija.

(CRONOLOGIA GLOBALE. Ricerche sulla storia del mondo antico e dei secoli di mezzo. Metodi

matematici di analisi delle fonti. La cronologia globale), ediz. della facoltà meccanica

dell’Università di Stato di Mosca, MGU, Moskva 1993.

[MET2]:2: in versione rielaborata e sostanzialmente ampliata il libro è uscito nel 1999 come ultimo

secondo tomo dell’edizione in due tomi, dal titolo: Fomenko, A.T., METODY STATISTIČESKOGO

ANALIZA ISTORIČESKICH TEKSTOV. PRILOŽENIJA K CHRONOLOGII. TOM 2 (METODI DI

ANALISI STATISTICA DEI TESTI STORICI. APPLICAZIONI ALLA CRONOLOGIA, t. 2), ediz.

Kraft-Lean, Moskva 1999.

[MET2]:3: in versione rielaborata e sostanzialmente ampliata il libro è uscito nel 1999 in russo,

negli Stati Uniti, come ultimo terzo tomo dell’edizione in tre tomi, sotto il titolo generale:

Fomenko, A.T., NOVYE METODY STATISTIČESKOGO ANALIZA ISTORIČESKICH TEKSTOV.

PRILOŽENIJA K CHRONOLOGII - TOM 1-2 (NUOVI METODI DI ANALISI STATISTICA DEI

TESTI STORICI. APPLICAZIONI ALLA CRONOLOGIA). Titolo del terzo tomo: Fomenko, A.T.,

ANTIČNOST’ V SREDNEVEKOV’E (GREČESKAJA I BIBLEJSKAJA ISTORIJA) (ANTIQUITY IN

THE MIDDLE AGES. Greek and Bible History), nella serie “Scholary Monographs in the Russian

Language”, The Edwin Mellen Press, Lewiston, Queenston, Lampeter 1999.

Metody 3 (Metodi 3 – libro terzo)

[MET3]:1: Fomenko, A.T., Kalashnikov, V.V., Nosovsky, G.V., GEOMETRICAL AND STATISTICAL

METHODS OF ANALYSIS OF STAR CONFIGURATIONS. DATING PTOLEMY’S ALMAGEST,

CRC Press, USA 1993.

[MET3]:2: in russo il libro è uscito nel 1995 con il titolo: Kalašnikov, V.V., Nosovskij, G.V.,

Fomenko, A.T.,: DATIROVKA ZVEZDNOGO KATALOGA “AL’MAGEST”. STATISTIČESKIJ I

GEOMETRIČESKIJ ANALIZ (Datazione del catalogo stellare “Almagesto”. Analisi statistica e

geometrica), ediz. Faktorial, Moskva 1995.

[MET3]:3: in versione notevolmente ampliata e rielaborata questo libro è uscito in una nuova

edizione nel 2000 con il titolo: Kalašnikov, V.V., Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T.,

ASTRONOMIČESKIJ ANALIZ CHRONOLOGII. AL’MAGEST. ZODIAKI (ANALISI

ASTRONOMICA DELLA CRONOLOGIA. L’ALMAGESTO. GLI ZODIACI), Finansovyj

izdatel’skij dom Delovoj ekspress, Moskva 2000.

[MET3]:4: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., NOVAJA CHRONOLOGIJA EGIPTA.

ASTRONOMIČESKOE DATIROVANIE PAMJATNIKOV DREVNEGO EGIPTA. ISSLEDOVANIJA

2000-2002 GODOV (NUOVA CRONOLOGIA DELL’EGITTO, DATAZIONE ASTRONOMICA

DEI MONUMENTI DELL’ANTICO EGITTO, RICERCHE DEGLI ANNI 2000-2002), Veče,

Moskva 2002. La seconda edizione rielaborata e ampliata è uscita nel 2003.

Novaja Chronologija Rusi (Nuova Cronologia della Rus’ – libro quarto)

[RAR]:1: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., NOVAJA CHRONOLOGIJA I KONCEPCIJA DREVNEJ

ISTORII RUSI, ANGLII I RIMA (Fakty. Statistika. Gipotezy). Tom 1: Rus’. Tom 2: Anglija i Rim

(NUOVA CRONOLOGIA E CONCEZIONE DELLA STORIA ANTICA DELLA RUS’,

DELL’INGHILTERRA E DI ROMA (Fatti. Statistica. Ipotesi), t. 1: la Rus’; t. 2: l’Inghilterra e

Roma), edizioni del Centro scientifico di formazione pre-universitaria dell’Università statale di

Mosca MGU, Moskva 1995. Questo libro è uscito in due edizioni, nel 1995 e nel 1996.

[RAR]:3: il primo tomo del libro, in versione riveduta, è uscito nel 1997 come volume singolo:

Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., NOVAJA CHRONOLOGIJA RUSI (LA NUOVA CRONOLOGIA

DELLA RUS’), ediz. Faktorial, Moskva 19993.

[RAR]:4: una nuova versione, sostanzialmente ampliata e rielaborata, del primo tomo dell’edizione

dell’opera in due tomi è uscita in volume singolo dal titolo: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T.,

NOVAJA CHRONOLOGIJA RUSI, ANGLII I RIMA (NUOVA CRONOLOGIA DELLA RUS’,

DELL’INGHILTERRA E DI ROMA), ediz. Anvik Moskva 1999. Di questo volume sono state

effettuate ristampe successive.

[RAR]:5: una nuova versione rielaborata di questo libro è uscita in volume singolo dal titolo:

Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., NOVAJA CHRONOLOGIJA RUSI, ANGLII I RIMA (NUOVA

CRONOLOGIA DELLA RUS’, DELL’INGHILTERRA E DI ROMA, Finansovyj izdatel’skij dom

Delovoj, Moskva 2001.

Imperija (L’Impero – libro quinto)

[IMP]:1: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., IMPERIJA. Rus’, Turcija, Kitaj, Evropa, Egipet. Novaja

matematičeskaja chronologija drevnosti (L’IMPERO. La Rus’, la Turchia, la Cina, l’Europa,

l’Egitto. Una nuova cronologia matematica dell’Antichità, ediz. Faktorial, Moskva 20036).

Biblejskaja Rus’ (La Rus’ biblica – libro sesto)

[BR]:1: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., MATEMATIČESKAJA CHRONOLOGIJA BIBLEJSKICH

SOBYTIJ (CRONOLOGIA MATEMATICA DEGLI AVVENIMENTI BIBLICI), Nauka, Moskva

1997.

[BR]:2: in versione notevolmente rielaborata e ampliata il libro è uscito in due tomi: Nosovskij, G.V.,

Fomenko, A.T., BIBLEJSKAJA RUS’ (Russko-ordynskaja Imperija i Biblija. Novaja

matematičeskaja chronologija drevnosti). Toma 1-2 (LA RUS’ BIBLICA. L’Impero della Rus’

dell’Orda e la Bibbia. Una nuova cronologia matematica dell’Antichità, tomi 1-2), ediz. Faktorial,

Moskva 20002.

[BR]:3: in versione ridotta ma con l’aggiunta di materiali inediti importanti, il libro è uscito nel 1998

con il titolo: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., RUS’-ORDA NA STRANICACH BIBLEJSKICH

KNIG (LA RUS’ DELL’ORDA NELLE PAGINE DEI LIBRI BIBLICI), ediz. ANVIK, Moskva

1998. Di questo volume sono state edite pubblicazioni successive.

[BR]:4: Nosovskij, G.V., Fomento, A.T., BIBLEJSKAJA RUS’. IZBRANNYE GLAVY – 1 (Russkoordynskaja

Imperija i Biblija. Novaja matematičeskaja chronologija drevnosti. Istorija

rukopisej i izdanij Biblijj. Sobytija XI-XII vv. N.e. v Novom Zavete. Pjatiknižie) (LA RUS’

BIBLICA I. CAPITOLI SCELTI. L’Impero della Rus’ dell’Orda e la Bibbia. Una nuova cronologia

matematica dell’Antichità. La storia dei manoscritti e delle edizioni della Bibbia. Avvenimenti dei

secoli XI-XII d.C. nel Nuovo Testamento. Il Pentateuco), ediz. Faktorial, Moskva 1999.

[BR]:5: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., BIBLEJSKAJA RUS’. IZBRANNYE GLAVY – II (Russkoordynskaja

Imperija i Biblija. Novaja matematičeskaja chronologija drevnosti. Istorija XIV-XVI

vv. V poslednich glavach knig Carstv. Istorija XV-XVI vv. Na stranicach knig Esfir’ i Iudif ’.

Epocha Reformacij XVI-XVII vv.) (LA RUS’ BIBLICA I. CAPITOLI SCELTI. L’Impero della Rus’

dell’Orda e la Bibbia. Una nuova cronologia matematica dell’Antichità. La storia dei secoli XV e

XVI nelle pagine di libri di Ester e Giuditta. L’epoca della Riforma dei secoli XVI-XVII), ediz.

Faktorial Press, Moskva 2000.

Rekonstrukcija (La Ricostruzione – libro settimo)

[REK]:1: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., REKONSTRUKCIJA VSEOBŠČEJ ISTORII (Novaja

chronologija). Kniga 1 (LA RICOSTRUZIONE DELLA STORIA UNIVERSALE. La nuova

cronologia, libro 1), ediz. Finansovyj izdatel’skij dom Delovoj ekspress, Moskva 20002.

[REK]:2: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., REKONSTRUKCIJA VSEOBŠČEJ ISTORII Issledovanija

1999-2000 godov. (Novaja chronologija). (LA RICOSTRUZIONE DELLA STORIA

UNIVERSALE. Ricerche degli anni 1999-2000. La nuova cronologia), ediz. Finansovyj

izdatel’skij dom Delovoj ekspress, Moskva 2000.

[REK]:3: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., REKONSTRUKCIJA VSEOBŠČEJ ISTORII ŽANNA

D’ARK, SAMSON I RUSSKAJA ISTORIJA (LA RICOSTRUZIONE DELLA STORIA

UNIVERSALE. GIOVANNA D’ARCO, SANSONE E LA STORIA RUSSA), ediz. Finansovyj

izdatel’skij dom Delovoj ekspress, Moskva 2002.

Edizioni divulgative

[RRM]:1: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., Rus’ i Rim. Pravil’no li my ponimaem istoriju Evropy i

Azii. Toma 1-2 (La Rus’ e Roma. Quanto correttamente comprendiamo la storia dell’Europa e

dell’Asia, tomi 1-2), ediz. Olimp, Moskva 19992. A Moskva, nel 2001, presso la casa editrice

Olimp-AST sono usciti i tre tomi dell’edizione in cinque tomi di Rus’ i Rim (La Rus’ e Roma).

[RRM]:2: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., Rus’ i Rim, toma 1-2, ediz. AST, Astrel’, Moskva 2004.

Si tratta di un’edizione rinnovata rispetto alla precedente pubblicazione in cinque tomi Rus’ i Rim.

La seconda edizione, riveduta e ampliata, è uscita nel 2007: Rus’ i Rim. (Sensacionnaja gipoteza

mirovoj istorii) (La Rus’ e Roma. Un’ipotesi sensazionale della storia mondiale), t. 1; Rus’ i Rim.

(Russko-Ordynskaja Imperija) (La Rus’ e Roma. L’Impero della Rus’ dell’Orda), t. 2, AST,

Astrel’, Moskva 2007.

[RUS’]: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., Rus’. Podlinnaja Istorija Velikoj Russko-Ordynskoj

Imperii v Novoj Chronologii (La vera storia del Grande impero della Rus’ dell’Orda nella Nuova

Cronologia), AST, Astrel’, Moskva 2009 (edizione a colori con preziose illustrazioni).

Opere pubblicate nella collana divulgativa “Novaja chronologija dlja vsech” (“La Nuova

Cronologia per tutti”)

B/1: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., Rus’ i Orda. Velikaja Imperija srednych vekov. (La Rus’ e

l’Orda. Il Grande impero dei secoli di mezzo), AST, Astrel’, Moskva 2007.

B/2: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., Velikaja Smuta. Konec Imperii (I Grandi Torbidi. La fine

dell’Impero), AST, Astrel’, Moskva 2007.

B/3: Fomenko, A.T., Četyresta let obmana. Matematika pozvoljaet zagljanut’ v prošloe

(Quattrocento anni d’inganni. La matematica permette di dare uno sguardo al passato), AST,

Astrel’, Moskva 2007.

B/4: Fomenko, A.T., Istinu možno vyčislit’. Chronologija glazami matematiki (La verità si può

calcolare. La cronologia dagli occhi della matematica), AST, Astrel’, Moskva 2007.

B/5: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., Pascha. Kalendarno-Astronomičeskoe rassledovanie

chronologii. Gil’debrand i Krescentij. Gotskaja vojna (La Pasqua. Una ricerca astronomica e di

calendario della cronologia. Ildebrando e Crescenzo. La guerra gotica), AST, Astrel’, Moskva

2007.

B/6: Fomenko, A.T., Trojanskaja vojna v srednevekov’e. Razbor otklikov na naši issledovanija (La

guerra di Troia nel Medioevo. Analisi delle critiche alle nostre ricerche), AST, Astrel’, Moskva

2007.

B/7: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., Tataro-mongol’skoe igo: kto kogo zavoevyval (Il giogo tataromongolico:

chi ha conquistato chi), AST, Astrel’, Moskva 2008.

B/8: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., Slavjanskoe zavoevanie mira. (Zagadka etruskov. Kniga

Mavro Orbini o slavjanskom zavoevanii mira. Starinnye skandinavskie geografičeskie

sočinenija). (La conquista slava del mondo. Il mistero degli Etruschi. Il libro di Mauro Orbini

sulla conquista slava del mondo. Antiche composizioni geografiche scandinave), AST, Astrel’,

Moskva 2009.

B/10: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., Pegaja Orda. Istorija “drevnego” Kitaja (L’Orda pezzata.

Storia dell’“antica” Cina), AST, Astrel’, Moskva 2009.

Opere pubblicate nella collana divulgativa “Novaja Chronologija: Malyj Rjad” (“Nuova

Cronologia per tutti: piccola serie”)

M/1: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., Čislo zverija. Kogda byl napisan Apokalipsis. (Il numero

della bestia. Quando fu scritta l’Apocalisse, AST, Astrel’, Moskva 2009.

M/2: Nosovskij, G.V., Sčet let ot Christa i kalendarnye spory (Il conto degli anni a partire dalla

nascita di Cristo e le dispute sul calendario), AST, Astrel’, Moskva 2009.

M/3: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., Ivan Groznyj i Ivan Pervyj. Car’ vymyšlennyj i car’

podložnyj (Ivan il Terribile e Ivan Primo. Lo zar inventato e lo zar falso, AST, Astrel’, Moskva

2009.

Altre edizioni

[STAM]: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., Stambul v svete novoj chronologii. (Istanbul alla luce

della Nuova Cronologia), Veče, Moskva 2004.

[MOSK]: Nosovskij, G.V., Fomenko, A.T., Moskva v svete novoj chronologii. (Moskva alla luce

della Nuova Cronologia), Veče, Moskva 2004. Ristampa riveduta e rinnovata: Nosovskij, G.V.,

Fomenko, A.T., Moskva v svete novoj chronologii. (Kulikovo pole v Moskve. Moskovskij Kreml’ v

Biblii. Gerodot o podzemnoj Moskve) (Mosca alla luce della Nuova Cronologia. (Il campo di

Kulikovo a Mosca. Il Cremlino di Mosca nella Bibbia. Erodoto sulla Mosca sotterranea), AST,

Astrel’, Moskva 2009.

[NS]: Fomenko, A.T., Antičnost’ – eto Srednevekov’e (L’Antichità è il Medioevo), ediz. Neva,

OLMAMEDIAGRUPP, Sankt Peterburg 2005.

[DVD]: Novaja Chronologija Fomenko-Nosovskogo (La Nuova cronologia di Fomenko-Nosovskij.

2006). Dischi in DVD-CD-ROM per Windows, “Kirill i Mefodij srl”, Moskva 2006 (Edizione

rielaborata nel 2010).

[FLM]: Set di 24 dischi DVD della serie: Istorija: Nauka ili vymysel (La storia: una scienza o

un’invenzione?). Sulla base dei materiali della Novaja Chronologija Fomenko-Nosovskogo (La

Nuova cronologia di Fomenko-Nosovskij). Compagnia cinematografica Novoe Vremja e Goldland

Pictures srl, Moskva 2008 (documentari 1,2,4,6,7) e 2010 (tutti i documentari 1-12). Durata di

ogni documentario: 52 minuti. Libro allegato di Molot, S.: Novaja Chronologija Fomenko-

Nosovskogo za 15 minut ili za 1 čas (La Nuova cronologia di Fomenko-Nosovskij in 15 minuti o

in 1 ora) e con allegato il disco DVD, CD-ROM for Windows, “Kirill i Mefodij srl”, Moskva

2010.

Titoli dei documentari:

Documentario 1: Znaem li my svoju istoriju (Conosciamo la nostra storia)?

Documentario 2: Na čem osnovana istorija (Su cosa si basa la storia).

Documentario 3: Istinu možno vyčislit (La verità si può calcolare).

Documentario 4: Alchimija piramid, ili kak stroili v Drevnem Egipte (L’alchimia delle Piramidi,

ovvero come si costruiva nell’antico Egitto).

Documentario 5: Tajna egipetskich zodiakov (Il mistero degli zodiaci egizi).

Documentario 6: Gospodin Velikij Novgorod. Kto ty? (Signor Grande Novgorod? Chi sei?).

Documentario 7: Kulikovo pole. Bitva za Moskvu (Il campo di Kulikovo. La battaglia per la

conquista di Mosca).

Documentario 8: Rus’-Orda (La Rus’ dell’Orda).

Documentario 9: V kakom veke žil Christos? (In che secolo visse Cristo?).

Documentario 10: Zabytyj Ierusalim (La Gerusalemme dimenticata).

Documentario 11: Moskovskij Kreml’ (Il Cremlino di Mosca).

Documentario 12: Rekonstrukcija istorii (La ricostruzione della storia).

Documentario 13: Fal’sifikacija pis’mennoj istorii (La falsificazione della storia scritta).

Documentario 14: Podelki i poddelki (Manufatti e manipolazioni).

Documentario 15: Tri velikie fal’šivki (Tre grandi falsi).

Documentario 16: Ivan Groznyj (Ivan Il Terribile).

Documentario 17: Smuta (Il periodo dei Torbidi).

Documentario 18: Pervye Romanovy (I primi Romanov).

Documentario 19: Kak pisali russkiju istoriju (Come è stata scritta la storia russa).

Documentario 20: Radzivilovskaja letopis’. Prizvanie varjagov (La Cronaca Radzivilovskaja. La

chiamata dei varjaghi).

Documentario 21: Reformacija. Raspad imperii (La Riforma. Il crollo dell’Impero).

Documentario 22: Soldaty Imperii. Katary. Razin. Pugačev (I soldati dell’Impero. I Catari. Razin.

Pugačev).

Documentario 23: Etruski eto russkie (Gli Etruschi sono i russi).

Documentario 24: Simvoly Drevnego Rima (I simboli dell’Antica Roma).

Elenco di alcuni libri direttamente legati alle nostre ricerche e pubblicati con la nostra

partecipazione

Nikerov, V.A. Istorija kak točnaja nauka (Po materialam Fomenko-Nosovskij. Novaja

Chronologija (La storia come scienza esatta. In base ai materiali di Fomenko-Nosovskij, La

Nuova Cronologia), ediz. EKSMO-Press, “Jauza”, Moskva 2002.

Nikerov, V.A., Neožidannyj Julij Cezar’ (Po materialam Fomenko-Nosovskij. Novaja Chronologija

(Un inaspettato Giulio Cesare. In base ai materiali di Fomenko-Nosovskij, La Nuova Cronologia),

ediz. EKSMO-Press, “Jauza”, Moskva 2003.

Savel’ev, E.P., Drevnjaja istorija kazačestva (L’antica storia del “Kazačestvo”). Ristampa

dell’edizione del 1915 con “Prefazione”, commento e selezione a cura di Fomenko, A.T. e

Nosovskij, G.V., ediz. Veče, Moskva 2002.

Tabov, I., Kogda krestilas’ Kievskaja Rus’ (Quando fu cristianizzata la Rus’ di Kiev), con

“Prefazione” di Fomenko, A.T. e Nosovskij, G.V., ediz. Neva, Sankt Peterburg 2003.

Grazie alla rinascita dell’interesse verso la NC, interesse stimolato dalle nostre ricerche, negli anni

1997-1998 la casa editrice moscovita Kraft, dietro nostra iniziativa, ha ristampato l’opera

fondamentale di Morozov, Christos (pubblicata per la prima volta negli anni 1924-1932): Morozov,

N.A., Christos (Istorija čelovečestva v estestvennom-naučnom osveščenii) toma 1-7 (Cristo. Storia

dell’umanità alla luce delle scienze naturali), tomi 1-7, ediz. Kraft, Moskva. Su nostra iniziativa è

stato anche pubblicato per la prima volta l’ottavo tomo delle ricerche di N.A. Morozov sulla storia

russa. Fomenko è riuscito a consultare questo tomo tramite l’Archivio dell’Accademia Russa delle

Scienze.

Newton, I., Ispravlennaja chronologija drevnich carstv (Cronologia corretta degli antichi regni),

con “Prefazione” di Nosovkij, G.V., ediz. RIMIS, Moskva 2007.

Kurinnoj, I.I., Borec o bor’be (Filosofija i praktika borby Velikoj Imperii) (Il lottatore sulla lotta.

Filosofia e pratica di lotta del Grande impero), AST, Astrel’, Moskva 2009.

Indirizzi Internet, contenenti informazioni sulla Nuova Cronologia:

– www.chronologia.org (sito ufficiale in russo del progetto Novaja Chronologija. È presente anche la

pagina italiana)

– www.nuovacronologia.it

– www.history.mithec.com

– www.jesus1053.com

Bibliografia delle opere in russo:

[5]: Azarevič, D.I., Istorija vizantijskogo prava, Jaroslavl’, 1876-1877.

[10]: Aleksandrija. Roman ob Aleksandre Makedonskom po russkoj letopisi XV veka, ediz. Nauka,

Moskva-Leningrado 1966.

[18]: [Al’berti] Leon Battista Alberti. Raccolta di articoli, ediz. Nauka, Moskva 1977. Edizione in

inglese: Alberti, L., Completed, Phaidon, Oxford 1977.

[19]: Amal’rik, A.S., Mongajt, A.L., Čto takoe archeologija, ediz. Prosvescenie, Moskva 1963.

[21]: Amfiteatrov, A., Sobranie sočinenij v 8 tomach. Tom 4, Prosvescenie, Sankt Peterburg 1911.

[29]: Apokrifičeskie skazanija ob Iisuse, svjatom semejstve i svideteljach Christovych, a cura di

Svencickaja, I.S., Skogorev, A.P., ediz. Kogelet, Moskva 1999.

[30:1]: Arago, F., Biografia znamenitych atsronomov, fizikov, geometrov. Knigi 1, 2 (toma 1-3),

ediz. Reguljarnaja i chaotičeskaja dinamika, Moskva-Izevsk 2000.

[35]: Aronov, V., El’zeviry (Istorija knižnogo iskusstva), ediz. Kniga, Moskva 1975.

[36]: Archangelogorodkij letopisec. Polnoe sobranie russkich letopisej, t. 37, ediz. Nauka,

Leningrad 1982.

[40]: Archimedes. The Works of Archimedes, Cambridge University Press, Cambridge 1912.

[46]: Balandin, R.K., Čudo ili naučnaja zagadka? Nauka i religija v Turinskoj plasčanice, ediz.

Znanie, Moskva 1989.

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ristampa di tutti e sette i tomi.

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L’autore

Anatolij Fomenko è membro della Accademia russa delle Scienze e un stimato Professore della

facoltà di matematica meccanica dell’Università statale di Mosca.

È autore di una trentina di manuali e testi di matematica, topologia e statistica (tradotti in varie lingue

e raccomandati anche nelle facoltà italiane di fisica e matematica), oltre che dei tanti libri dedicati

alla Nuova Cronologia.

Nell’intraprendere, a suo tempo, questa colossale revisione della cronologia e della storia

convenzionali, lui stesso ama precisare:

“Non ho mai pensato di cercare una fama con trovate sensazionali, tantomeno volevo provocare o

sfidare la comunità degli storici, invadendo il loro campo”.

E seguendo questo principio ha elaborato la sua teoria utilizzando una severa investigazione

applicata a metodi matematici.

Anatolij T. Fomenko

400 Anni d’Inganni

E se il nostro passato fosse tutta “un’altra storia”?

Se tutto ciò che ci hanno sempre insegnato poggiasse su basi storico-cronologiche errate?

Niente avrebbe più una datazione certa, nessuna cronologia tradizionalmente accettata sarebbe più

credibile e il passato ricadrebbe nel buio dell’indistinto.

Dopo anni di certezze “dove?” e “quando?” tornano a essere domande senza risposta.

O meglio, domande in cerca di nuove risposte.

La Nuova Cronologia del professor Fomenko è una rigorosa e sofisticata teoria scientifica che

poggia su salde basi matematiche. L’intento è quello di proporre un’ipotesi sensazionale che non ha

precedenti al mondo: la possibilità di ricostruire la storia rimettendo in discussione tutti gli stereotipi

finora ritenuti validi.

Nessuna nuova verità assoluta però. Non più.

Il coraggioso invito dell’autore è quello di creare un onesto confronto intellettuale, di riaprire un

dibattito che sembrava non più affrontabile o rinegoziabile, un dibattito culturale e interdisciplinare

che richiederebbe il coraggio dei primi storici, l’intelligenza dei veri scienziati, la passione di chi

insegue le verità più difficili, anche a discapito di ogni rassicurante certezza.

Note

Capitolo 1 PROBLEMI DI CRONOLOGIA STORICA

1 Con tutta probabilità il testo si riferisce agli annunci di spettacoli di gladiatori e nella fattispecie all’iscrizione III 7995 in via

dell’Abbondanza: Valentis flaminis Neronis Caesaris Aug(usti) k perpetui D. Lucretii Valentis filii v. k. april. Venatio legitima et vela

erunt, simile all’annuncio CIL IV 3884 riportato in fig. 1.57 : D. Lucreti Satri Valentis flaminis Neronis Caesaris Aug(usti) filii perpetui

gladiatorum paria XX et D. Lucretio Valentis filii glad(iatorum) paria X pug(nabunt) Pompeis VI, V, IV, III, pr(idie) Idus Apr(iles).

Venatio legitima et vela erunt. Scr(ipsit) Aemilius Celer sin(gulus) ad luna(m); [N.d.T.].

Capitolo 2 LE DATAZIONI ASTRONOMICHE

1 [Qui e altrove la traduzione in italiano è stata fatta a partire dalla traduzione in russo dell’originale greco; N.d.T.].

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