giovedì 20 aprile 2023

Il caos: la regola aurea del federalismo all'italiana.

Italia geopolitica

Si dice che Vittorio Emanuele II e Camillo Benso Conte di Cavour scatenassero liti furibonde quando si discuteva sull’ordinamento amministrativo da assegnare all’Italia che stava nascendo: il Re era centralista, mentre Cavour credeva nel federalismo.

In realtà neanche oggi l’Italia se la passa troppo bene, i protagonisti ottocenteschi non ci sono più ma è rimasta la confusione cronica nel nostro infelice assetto amministrativo pubblico.

La chiave di volta si è avuta negli anni novanta, quando le leggi “Bassanini” hanno sdoganato il concetto di federalismo amministrativo. Va ricordato che, anche se il concetto di federalismo è un concetto tanto caro a certe formazioni politiche in vena di secessioni vere o presunte, in tal caso si tratta di qualcosa che avrebbe potuto risolvere qualche problema concreto, se applicato con criterio, e si tratta delle seguenti Leggi: in particolare la Legge 15 marzo 1997, n. 59 e la legge 15 maggio 1997 n. 127.
Tutte le competenze esercitabili a livello locale venivano assegnate progressivamente, in base al principio di sussidiarietà, verso il basso, quindi regioni e comuni si ritrovavano a spartirsi il bottino di competenze varie. Il problema comunque rimanevano le risorse. Infatti, oltre ai bellissimi discorsi sull’autonomia e il federalismo spesso ci si dimenticava che servivano i soldi, allora ecco trovare le idee ingegnose, soprattutto l’autonomia impositiva che tanti problemi sta creando. Ecco fioccare normative che danno la possibilità agli enti locali e alle regioni di imporre e riscuotere tributi, sempre sotto l’immancabile normativa statale che è come il prezzemolo ma senza dar troppo nell’occhio.

Poi arriva il turno della Legge Costituzionale 3 del 2001, con cui si è dato il colpo di grazia ad un sistema che, in fondo, una sua coerenza ce l’aveva. Si sovverte l’art 117 della Costituzione: in pratica, per semplificare il discorso, si potrebbe dire che si fissano delle competenze esclusive in capo allo Stato, e quanto non previsto si assegna alle regioni. Sembra la soluzione ideale, no? Macché, solito specchietto per le allodole. Infatti se leggiamo l’art 117 con attenzione e fino in fondo scopriamo le “materie di legislazione concorrente” e lì scopriamo tutto un mondo fatto di ricorsi incrociati alla Corte costituzionale da parte sia dello Stato che delle Regioni, oltre a valanghe di ricorsi ai Tribunali Amministrativi Regionali e chi più ne ha più ne metta.

Ora, dato che non bastava quanto è stato provocato in questi ultimi trenta anni, adesso si parla di "autonomia differenziata" in tal caso l’obiettivo viene spostato sull’art. 116 della Costituzione che così recita: “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, n) e s)possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119. La legge e' approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”.

Un modo soft di intendere il diritto amministrativo, e forse qualcuno, non distinguendo il dito dalla luna, ha voluto ridimensionare il problema di approvare leggi costituzionali e leggi ordinarie, e ha deciso di rimettere tutto alla forma più moderna di capriccio normativo: le intese. Definendo in modo semplice il concetto, si potrebbero definire una forma flessibile di accordi con cui gli enti di ogni ordine e grado si riuniscono discutendo sul da farsi (si veda il caso della Conferenza Stato-Regioni) Col tempo hanno acquisito sempre più importanza rendendo le assemblee legislative, che ormai non vanno più di moda, certificatori di decisioni prese altrove, e rendendo sempre più incomprensibile il sistema giuridico italiano.

Di certo in questo caso l’approvazione delle intese deve essere approvato con legge da parte del Parlamento, infatti le camere devono deliberare, ma c’è un altro passaggio a monte di tutto: i LEP, cioè i livelli essenziali delle prestazioni. L’art. 3 del Ddl del 2 febbraio 2023 recita quanto segue: "Ai fini dell’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (di seguito, LEP) e i relativi costi e fabbisogni standard sono determinati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, secondo le disposizioni di cui all’articolo 1, commi da 791 a 801, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, nelle materie o ambiti di materie indicati con legge". 

Quest’ultimo concetto complica ulteriormente il quadro, dato che nessuno ne sa granché e non erano mai stati elaborati prima. Sta di fatto che i livelli essenziali delle prestazioni pubbliche vanno finanziati, la domanda è: come? non sarà anche questo per caso l’ennesimo tentativo di scaricare competenze a regioni ed enti locali chiedendo loro di ingegnarsi a trovare risorse? Se analizziamo la situazione, in questo periodo storico in cui vige il principio del pareggio di bilancio in Costituzione (vedasi l’art. 81 della Costituzione), lo Stato dovrebbe trovare risorse da devolvere, ma non si capisce bene dove cercarle, dal momento che urge il taglio della spesa pubblica e del deficit per abbassare il debito pubblico. Il problema è complesso e sembra un modo per scaricare il problema dei servizi pubblici su regioni ed enti locali. I problemi rimangono, ma di certo dobbiamo riconoscere che i nostri legislatori sono dotati di una grande creatività degna di nota.

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