IL GRAFOLOGO di Mariano Abis Sedicesima parte
Ed eccolo arrivare, due giorni dopo, il mio grande amico, appena mi vede il suo viso si illumina improvvisamente, saluta Romano e ci abbraccia forte. La sera, durante la cena, espone le decisioni prese dai dirigenti della resistenza, c’è bisogno di lui in una zona molto problematica, e di sicuro molto più pericolosa: dovrà andare a dirigere le azioni dei partigiani all’estremo nord est della nazione, in friuli. Spiega i motivi della decisione, e di come l’esercito Germanico abbia estrema necessità di avere uno sbocco al mare, e se i territori più a sud non potessero essere difesi, non rinunceranno certo volentieri al porto di trieste. E così il comando sui monti sibillini verrà preso dallo scrittore Sardo. Lupo invita me e Romano a valutare se restare qui o seguirlo, insieme ad una dozzina di uomini. La nostra decisione è naturalmente quella di stare al suo fianco, e due giorni dopo ci vede salutare il nostro amico scrittore, due motociclette ed un camion si mettono in viaggio verso i confini orientali della nostra nazione. Una delle moto precede il camion di due chilometri, per avere il tempo di avvisare i suoi occupanti, nel caso più avanti ci fossero problemi, l’altra lo segue. Il manipolo di uomini è armato di tutto punto, sono state scelte le persone più motivate, molte di loro hanno ben poco da perdere se non la propria vita, e sono addestratissime. Durante il viaggio, Lupo scherza mettendo in risalto il fatto che io sono il solo a non avere una preparazione militare adeguata, controbatto che ho avuto un insegnante di tutto rispetto, Romano, che però mi lancia uno sguardo quasi di commiserazione, molto più eloquente di qualsiasi parola. Il lungo viaggio continua, non mancano i pericoli e le lunghe attese nella speranza che vengano tolti i molti posti di blocco dei militari Tedeschi che abbiamo incontrato, e viaggiamo di giorno quando si tratta di attraversare zone collinose e poco abitate, ma costretti ad avanzare di notte nei tratti delle zone pianeggianti. Un tragitto interminabile, che se avessimo percorso in tempi di pace, scegliendo le strade più agevoli, si sarebbe concluso in un giorno, ma dovendo scegliere itinerari alternativi, si prolunga di molto.
Ma alla fine, una sera, arriviamo nella regione di destinazione, una decina di partigiani ci aspettano in una località stabilita in precedenza, sulle riva del fiume tagliamento, e insieme lo attraversiamo. Trascorriamo quello che resta del giorno in una grande casa non molto distante dal fiume. La notte attraversiamo la pericolosa pianura che ci separa dalla nostra zona di competenza, e stabiliamo il nostro quartier generale nei pressi della cittadina di cormons. L’alba ci vede ammirare dall’alto di una collina le splendide zone del collio, un ampio territorio abitato da diverse etnie, le più importanti delle quali sono quella Italiana e quella Slovena, ma non mancano qualche rappresentante Austriaco e di altri paesi danubiani. Una visione, stemperata nelle vallate da qualche addensamento di sottilissima nebbia, che conferisce a questa zona, alle prime luci dell’alba, un aspetto irreale, con l’accendersi di colori sempre più intensi man mano che la giornata avanza, in questa mattinata di autunno, così fredda, ma che ci scalda il cuore alla vista di tanta bellezza e al tepore dei primi raggi del sole.
I primi giorni sono dedicati a prendere conoscenza dell’ampio territorio che dovremo controllare, esistono delle case a nostra disposizione in varie zone, ciascuna delle quali fungerà di volta in volta da quartier generale, presidiate da una decina di persone ciascuna, che godono della collaborazione della stragrande maggioranza della popolazione, faremo parte di un eterogeneo gruppo di partigiani che conta qualche centinaio di uomini. Il gruppo più vicino a cormons, composto da una trentina di partigiani, è dislocato tra i fitti boschi della località di plessiva, una nell’altopiano del carso, che ha visto assurde carneficine nel corso della guerra precedente, un’altra nell’alta valle del fiume natisone, che sovrasta l’antica e importante città di cividale, la cui zona di competenza arriva fino alla media valle del fiume isonzo, e l’ultima dislocata sui disagevoli monti sopra il paese di faedis. Questi contingenti ubbidiranno alle direttive di Lupo. Da là in poi, più a nord, esistono altre postazioni di partigiani, e sono gestite pressoché in maniera autonoma, nelle alte montagne della carnia, e la nostra competenza territoriale vera e propria termina nella contrada di attimis. Dato che tra le zone di nostra competenza non esistono montagne di grandissimo rilievo, tali da giustificare l’istituzione di un’unica postazione sicura di comando, siamo costretti a spostarci tra queste case in maniera continua, per controllare l’ampia zona di territorio, senza dimenticare la pianura sottostante che arriva fino alla città di udine.
Non troppo lontano da cormons esistono anche le varie cellule partigiane autonome che agiscono nelle città di gorizia, monfalcone e trieste. Un ampio territorio, forse il più problematico di tutto lo stivale; poco lontano da qui c’è il territorio istriano, la dalmazia e la bassa valle dell’isonzo, abitate da Italiani e Slavi, che finora hanno convissuto in maniera abbastanza tranquilla, anche se in genere l’Italiano viene visto ultimamente come il fascista, il ricco, e l’inaffidabile. Probabilmente per loro non fa nessuna differenza il fatto che combattiamo insieme il dissolto regime ed i Tedeschi, proprio come loro, ma siamo comunque Italiani, e le ultime esperienze sotto la dittatura sono state per loro traumatiche: il regime ha sviluppato un’assurda opera di italianizzazione di quelle popolazioni, che mal sopportavano, giustamente, intrusioni culturali a loro estranee. Sono state compiute anche azioni violente contro quelle etnie, una delle quali ha avuto grande rilevanza nel catalogare l’Italiano unicamente come una persona che non rispetta le tradizioni altrui, prevaricatore e arrogante. È nato quindi negli ultimi tempi un sentimento di repulsione verso il nostro popolo, ma finora nessun gesto di violenza è stato compiuto.
Trascorriamo la notte in un grande capanno nascosto tra i boschi di plessiva, abbiamo avuto modo, durante il viaggio, di parlare della nostra nuova missione e di sviluppare strategie, ma il contatto con questa particolarissima zona del territorio nazionale si rivela molto problematica, per via della presenza nello stesso territorio di componenti molto dissimili tra loro, e in evidente contrasto, a volte alleate, ma sempre sospettose tra loro. E il fatto di essere in presenza di componenti così disparate non fa che accentuare la problematicità del territorio. Il regime si è dissolto, o almeno si è dissolta la perfetta macchina organizzativa messa in piedi a suo tempo, sostituita da una parvenza di controllo di una rinata forma di stato messa in piedi dallo stesso dittatore, che però ora è succube dello strapotere dell’esercito Tedesco, e quindi non in grado di prendere decisioni autonome. L’antico esercito Italiano non esiste più, restano in piedi solo forme di controllo espletate da carabinieri e finanzieri, anche loro pressati dall’esercito Tedesco, che ora si può considerare a tutti gli effetti invasore. Agiscono in questa ampia zona le organizzazioni partigiane, anche loro composte da elementi che non sempre hanno visioni politiche concordanti, ne fanno parte ampie frange di comunisti, di socialisti moderati e di cattolici. Inoltre, al di là della valle dell’isonzo, agiscono squadre partigiane Slovene e Croate, e un vero e proprio esercito Jugoslavo, tutti insieme combattono i Tedeschi. Ma regna sovrano un clima di incertezza sulle strategie da adottare, e anche nel nostro gruppo abbiamo notato che esiste qualche partigiano insofferente verso la figura del nuovo capo.
La mattina successiva, sulla strada che da cormons, costeggiando la zona di plessiva, porta verso il paese di casteldobra, essendo io e Romano di pattuglia proprio su quella strada, armati di tutto punto, fermiamo un motociclista che dall’aspetto sembra un militare, e che, dopo un interrogatorio, rivela di essere un corriere partigiano, che porta un importante dispaccio da consegnare al gruppo dei partigiani Sloveni che operano oltre il fiume isonzo. Non apriamo il dispaccio, ma accompagniamo il corriere al cospetto di Lupo, deciderà lui come comportarsi nei suoi confronti. Seppure formalmente alleati con i partigiani Jugoslavi, Lupo decide in cuor suo di aprire il dispaccio; nella nostra attività le informazioni sono importanti almeno quanto la nostra capacità di combattere. Con la scusa che la zona che dovrà percorrere il corriere è infestata da una quantità rilevante di soldati Tedeschi, lo invitiamo ad aspettare tempi migliori, e a sostare da noi fino a quando questi non se ne saranno andati. All’insaputa del corriere, Lupo apre con cura il dispaccio in mia presenza, in modo che possa essere ricomposto senza dare sospetti, e lo leggiamo. Con nostra grande sorpresa è subito evidente che la sua importanza è rilevantissima, scritta di suo pugno dall’attuale capo del partito comunista, contiene informazioni sul territorio da noi controllato, del tutto sconosciute a noi. È redatto in due copie praticamente simili tra loro, una diretta al comandante dell’esercito Jugoslavo, l’altra a uno dei capi partigiani comunisti che controllano la zona istriana. Si lamenta del fatto che è a conoscenza che è in atto una grande operazione di pulizia etnica contro la popolazione Italiana, fatto a noi sconosciuto, e dà indicazioni sulle prossime strategie da adottare. Il suo pensiero che salta subito agli occhi è di quelli che ci fa rabbrividire; si dice favorevole, alla fine del conflitto, all’annessione di buona parte del territorio friulano, giuliano, istriano e dalmata alla futura nazione jugoslava, le nostre considerazioni si concentrano sul fatto che a noi sembra inverosimile che un Italiano possa ragionare così, seppure spinto da concezioni internazionaliste, volte a diffondere il comunismo in ampi tratti di territori.
Quanto è lontano il suo pensiero dalle concezioni del fondatore del suo stesso partito! Secondo noi, pur non appartenendo a quell’area politica, riteniamo che le idee che spingono quelle personalità, siano ampiamente condivisibili da una fascia rilevante della popolazione, e la loro diffusione non necessariamente debba avvenire tramite imposizioni in territori da loro controllati, farebbero in tal modo né più, né meno, che adottare la strategia del dissolto regime che imponeva concezioni italianiste a popolazioni che per lo più nulla avevano da spartire con la nostra cultura. In questo modo si metterebbero esattamente sullo stesso piano di un regine che loro stessi disapprovano e combattono. Quando il potere dominante impone scelte assurde a popolazioni che hanno una loro cultura, un loro modo di vedere il mondo, le loro tradizioni, rasenta concezioni antistoriche che i tempi, per forza di cose in continua evoluzione, decreteranno come portatrici di contrasti, e perché no, foriere di probabili vendette, sbagliate, ma non completamente ingiustificate. La scelta forzata di italianizzare nomi slavi, la pretesa di sottoscrivere l’impegno di assorbire la cultura italiana, pena l’abbandono di quei territori, con conseguente confische di beni, la stessa strategia di regime che invogliava il popolo Friulano all’odio verso le comunità Slave, e l’imposizione della lingua, accompagnata dal divieto di diffondere le loro lingue originarie, hanno spinto le popolazioni Slave a considerare ogni Italiano, una persona da contrastare. In quegli anni di regime, proprio nella zona in cui operiamo noi, erano attive e numerose due comunità non Italiane, quella Slovena e quella di lingua Tedesca, e mentre la prima scelse per lo più di non abbandonare quei territori, quella Tedesca sparì quasi del tutto dalla zona. Il mondo inteso come spezzettamenti di territori a volte organici tra loro, se pur abitati da diverse etnie, la presenza di frontiere, spesso naturali, che portano alla mancanza di scambi culturali, l’assurda concezione di dividere il mondo secondo zone di influenza, come se le idee non avessero modo di divulgarsi, se pur in presenza di confini, metodi che accettiamo perché siamo abituati a conviverci fin dalla notte dei tempi, e non in grado di ragionare in termini diversi, un favorire incomprensioni e rivalità. Problematiche che si evidenziano in tutte le zone di confine, le frontiere che separano pesantemente modi di ragionare diversi, che così non hanno modo di confrontarsi e progredire assieme. Steccati che impediscono un rapido sviluppo dell’umanità.
Dobbiamo approfondire l’argomento per aver chiara la situazione che si verrà a creare, consci ormai del fatto che qualche frangia dei partigiani appartengono alla componente rossa, il cui obiettivo finale va contro il loro stesso popolo, in nome di un’internazionale che secondo noi perseguirà interessi sovietici, e non certo italiani. Lupo fa chiamare Romano, e in tre operiamo un sottile interrogatorio bonario, cercando di non dare l’impressione che stiamo acquisendo informazioni. Il nostro capo, per disarmare il suo atteggiamento sospettoso, dice che il nostro contingente è composto quasi esclusivamente da componenti comuniste, cosa non vera, riusciamo così, con una semplice chiacchierata, a carpire informazioni importanti sulle future strategie del movimento rosso in atto in tutta la nazione, sia dal punto di vista politico che strategicamente militare. Se noi obbediamo alle direttive generali degli alleati, loro obbediscono subdolamente e segretamente a interessi sovietici, mettendo in secondo piano le aspettative del loro stesso popolo.
Quando io, Romano e Lupo, ci ritroviamo da soli, riconsideriamo le informazioni ricevute, ormai certi che i nostri nemici non solo solamente i Tedeschi e il rinato esercito Italiano del nord, sotto il controllo formale del dittatore, ma sostanziale dell’esercito Tedesco, ma anche quelle frange dell’esercito partigiano che risponde agli ordini sovietici. Una situazione complicatissima, che avrà bisogno ancora di informazioni dettagliate, e di un comportamento tale da non destare sospetti sul fatto che siamo a conoscenza dei reali obiettivi dei partigiani rossi. Dal canto mio, avendo una certa dimestichezza nel valutare la gestualità delle persone, faccio sapere ai due amici che il corriere è in uno stato di forte tensione, e sicuramente nasconde altri segreti. Lo terrò sotto controllo nei prossimi giorni, nella speranza di un suo passo falso, lo possiamo trattenere quanto tempo vogliamo, con la scusa della presenza dell’esercito Tedesco nelle vicinanze.
Non troppo lontano da cormons esistono anche le varie cellule partigiane autonome che agiscono nelle città di gorizia, monfalcone e trieste. Un ampio territorio, forse il più problematico di tutto lo stivale; poco lontano da qui c’è il territorio istriano, la dalmazia e la bassa valle dell’isonzo, abitate da Italiani e Slavi, che finora hanno convissuto in maniera abbastanza tranquilla, anche se in genere l’Italiano viene visto ultimamente come il fascista, il ricco, e l’inaffidabile. Probabilmente per loro non fa nessuna differenza il fatto che combattiamo insieme il dissolto regime ed i Tedeschi, proprio come loro, ma siamo comunque Italiani, e le ultime esperienze sotto la dittatura sono state per loro traumatiche: il regime ha sviluppato un’assurda opera di italianizzazione di quelle popolazioni, che mal sopportavano, giustamente, intrusioni culturali a loro estranee. Sono state compiute anche azioni violente contro quelle etnie, una delle quali ha avuto grande rilevanza nel catalogare l’Italiano unicamente come una persona che non rispetta le tradizioni altrui, prevaricatore e arrogante. È nato quindi negli ultimi tempi un sentimento di repulsione verso il nostro popolo, ma finora nessun gesto di violenza è stato compiuto.
Trascorriamo la notte in un grande capanno nascosto tra i boschi di plessiva, abbiamo avuto modo, durante il viaggio, di parlare della nostra nuova missione e di sviluppare strategie, ma il contatto con questa particolarissima zona del territorio nazionale si rivela molto problematica, per via della presenza nello stesso territorio di componenti molto dissimili tra loro, e in evidente contrasto, a volte alleate, ma sempre sospettose tra loro. E il fatto di essere in presenza di componenti così disparate non fa che accentuare la problematicità del territorio. Il regime si è dissolto, o almeno si è dissolta la perfetta macchina organizzativa messa in piedi a suo tempo, sostituita da una parvenza di controllo di una rinata forma di stato messa in piedi dallo stesso dittatore, che però ora è succube dello strapotere dell’esercito Tedesco, e quindi non in grado di prendere decisioni autonome. L’antico esercito Italiano non esiste più, restano in piedi solo forme di controllo espletate da carabinieri e finanzieri, anche loro pressati dall’esercito Tedesco, che ora si può considerare a tutti gli effetti invasore. Agiscono in questa ampia zona le organizzazioni partigiane, anche loro composte da elementi che non sempre hanno visioni politiche concordanti, ne fanno parte ampie frange di comunisti, di socialisti moderati e di cattolici. Inoltre, al di là della valle dell’isonzo, agiscono squadre partigiane Slovene e Croate, e un vero e proprio esercito Jugoslavo, tutti insieme combattono i Tedeschi. Ma regna sovrano un clima di incertezza sulle strategie da adottare, e anche nel nostro gruppo abbiamo notato che esiste qualche partigiano insofferente verso la figura del nuovo capo.
La mattina successiva, sulla strada che da cormons, costeggiando la zona di plessiva, porta verso il paese di casteldobra, essendo io e Romano di pattuglia proprio su quella strada, armati di tutto punto, fermiamo un motociclista che dall’aspetto sembra un militare, e che, dopo un interrogatorio, rivela di essere un corriere partigiano, che porta un importante dispaccio da consegnare al gruppo dei partigiani Sloveni che operano oltre il fiume isonzo. Non apriamo il dispaccio, ma accompagniamo il corriere al cospetto di Lupo, deciderà lui come comportarsi nei suoi confronti. Seppure formalmente alleati con i partigiani Jugoslavi, Lupo decide in cuor suo di aprire il dispaccio; nella nostra attività le informazioni sono importanti almeno quanto la nostra capacità di combattere. Con la scusa che la zona che dovrà percorrere il corriere è infestata da una quantità rilevante di soldati Tedeschi, lo invitiamo ad aspettare tempi migliori, e a sostare da noi fino a quando questi non se ne saranno andati. All’insaputa del corriere, Lupo apre con cura il dispaccio in mia presenza, in modo che possa essere ricomposto senza dare sospetti, e lo leggiamo. Con nostra grande sorpresa è subito evidente che la sua importanza è rilevantissima, scritta di suo pugno dall’attuale capo del partito comunista, contiene informazioni sul territorio da noi controllato, del tutto sconosciute a noi. È redatto in due copie praticamente simili tra loro, una diretta al comandante dell’esercito Jugoslavo, l’altra a uno dei capi partigiani comunisti che controllano la zona istriana. Si lamenta del fatto che è a conoscenza che è in atto una grande operazione di pulizia etnica contro la popolazione Italiana, fatto a noi sconosciuto, e dà indicazioni sulle prossime strategie da adottare. Il suo pensiero che salta subito agli occhi è di quelli che ci fa rabbrividire; si dice favorevole, alla fine del conflitto, all’annessione di buona parte del territorio friulano, giuliano, istriano e dalmata alla futura nazione jugoslava, le nostre considerazioni si concentrano sul fatto che a noi sembra inverosimile che un Italiano possa ragionare così, seppure spinto da concezioni internazionaliste, volte a diffondere il comunismo in ampi tratti di territori.
Quanto è lontano il suo pensiero dalle concezioni del fondatore del suo stesso partito! Secondo noi, pur non appartenendo a quell’area politica, riteniamo che le idee che spingono quelle personalità, siano ampiamente condivisibili da una fascia rilevante della popolazione, e la loro diffusione non necessariamente debba avvenire tramite imposizioni in territori da loro controllati, farebbero in tal modo né più, né meno, che adottare la strategia del dissolto regime che imponeva concezioni italianiste a popolazioni che per lo più nulla avevano da spartire con la nostra cultura. In questo modo si metterebbero esattamente sullo stesso piano di un regine che loro stessi disapprovano e combattono. Quando il potere dominante impone scelte assurde a popolazioni che hanno una loro cultura, un loro modo di vedere il mondo, le loro tradizioni, rasenta concezioni antistoriche che i tempi, per forza di cose in continua evoluzione, decreteranno come portatrici di contrasti, e perché no, foriere di probabili vendette, sbagliate, ma non completamente ingiustificate. La scelta forzata di italianizzare nomi slavi, la pretesa di sottoscrivere l’impegno di assorbire la cultura italiana, pena l’abbandono di quei territori, con conseguente confische di beni, la stessa strategia di regime che invogliava il popolo Friulano all’odio verso le comunità Slave, e l’imposizione della lingua, accompagnata dal divieto di diffondere le loro lingue originarie, hanno spinto le popolazioni Slave a considerare ogni Italiano, una persona da contrastare. In quegli anni di regime, proprio nella zona in cui operiamo noi, erano attive e numerose due comunità non Italiane, quella Slovena e quella di lingua Tedesca, e mentre la prima scelse per lo più di non abbandonare quei territori, quella Tedesca sparì quasi del tutto dalla zona. Il mondo inteso come spezzettamenti di territori a volte organici tra loro, se pur abitati da diverse etnie, la presenza di frontiere, spesso naturali, che portano alla mancanza di scambi culturali, l’assurda concezione di dividere il mondo secondo zone di influenza, come se le idee non avessero modo di divulgarsi, se pur in presenza di confini, metodi che accettiamo perché siamo abituati a conviverci fin dalla notte dei tempi, e non in grado di ragionare in termini diversi, un favorire incomprensioni e rivalità. Problematiche che si evidenziano in tutte le zone di confine, le frontiere che separano pesantemente modi di ragionare diversi, che così non hanno modo di confrontarsi e progredire assieme. Steccati che impediscono un rapido sviluppo dell’umanità.
Dobbiamo approfondire l’argomento per aver chiara la situazione che si verrà a creare, consci ormai del fatto che qualche frangia dei partigiani appartengono alla componente rossa, il cui obiettivo finale va contro il loro stesso popolo, in nome di un’internazionale che secondo noi perseguirà interessi sovietici, e non certo italiani. Lupo fa chiamare Romano, e in tre operiamo un sottile interrogatorio bonario, cercando di non dare l’impressione che stiamo acquisendo informazioni. Il nostro capo, per disarmare il suo atteggiamento sospettoso, dice che il nostro contingente è composto quasi esclusivamente da componenti comuniste, cosa non vera, riusciamo così, con una semplice chiacchierata, a carpire informazioni importanti sulle future strategie del movimento rosso in atto in tutta la nazione, sia dal punto di vista politico che strategicamente militare. Se noi obbediamo alle direttive generali degli alleati, loro obbediscono subdolamente e segretamente a interessi sovietici, mettendo in secondo piano le aspettative del loro stesso popolo.
Quando io, Romano e Lupo, ci ritroviamo da soli, riconsideriamo le informazioni ricevute, ormai certi che i nostri nemici non solo solamente i Tedeschi e il rinato esercito Italiano del nord, sotto il controllo formale del dittatore, ma sostanziale dell’esercito Tedesco, ma anche quelle frange dell’esercito partigiano che risponde agli ordini sovietici. Una situazione complicatissima, che avrà bisogno ancora di informazioni dettagliate, e di un comportamento tale da non destare sospetti sul fatto che siamo a conoscenza dei reali obiettivi dei partigiani rossi. Dal canto mio, avendo una certa dimestichezza nel valutare la gestualità delle persone, faccio sapere ai due amici che il corriere è in uno stato di forte tensione, e sicuramente nasconde altri segreti. Lo terrò sotto controllo nei prossimi giorni, nella speranza di un suo passo falso, lo possiamo trattenere quanto tempo vogliamo, con la scusa della presenza dell’esercito Tedesco nelle vicinanze.
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