domenica 14 maggio 2023

IL GRAFOLOGO di Mariano Abis quattordicesima parte


 

IL GRAFOLOGO di Mariano Abis quattordicesima parte

Apprendo la notizia con un misto di sollievo e preoccupazione, anche Romano è pensieroso, una volta usciti dal palazzo decidiamo di chiedere ospitalità a sua sorella. La sera stessa siamo nella casa della sorella di Romano, ma non prima di aver messo al corrente Eleonora e Rita degli ultimi avvenimenti, specificando di non sapere quale sarebbe stata la nostra destinazione, presumiamo che avremmo dovuto far parte dell’esercito dislocato nel sud italia per contrastare l’avanzata degli eserciti nemici. La casa della sorella di Romano è un minuscolo appartamento al secondo piano nei pressi della stazione ferroviaria principale della capitale, dopo un lungo cammino la raggiungiamo, e una volta là decidiamo il da farsi. Ci guardiamo in faccia, nessuno dei due ha idee precise sul comportamento da adottare, prendiamo in esame per prima cosa l’ipotesi di ubbidire all’ordine di Duilio, ed arruolarci, ma entrambi scartiamo quell’evenienza, far parte di un esercito in disarmo non ci attira per nulla, perché rischiare la vita per difendere scelte sbagliate? Decidiamo che qualsiasi decisione venga presa, non ci saremmo dovuti separare, per ora, e valutiamo l’opzione di andare in sardegna, che sembrerebbe una tra le regioni meno coinvolte dalla guerra, ma dobbiamo tenere sempre a mente che da domani in poi saremmo stati dei disertori, e restare nella capitale è da scartare a priori, perché i nostri visi sono noti a molta gente.

La sera stessa prendiamo il treno per Civitavecchia, ma ormai le cose hanno subito radicali cambiamenti, e di navi per la sardegna non ne esistono proprio, e persino per entrare in porto abbiamo dovuto subire lunghi controlli, due militari addetti a far la guardia ad un cancello del porto hanno controllato i nostri documenti. Sospettavano forse che fossimo dei disertori, vista la nostra età, ma Romano ha consegnato loro il foglio che Duilio gli aveva assegnato, dicendo che siamo dei funzionari del governo. Hanno voluto vedere anche il mio foglio, poi hanno controllato in un elenco che presumibilmente riportava i nomi dei disertori, naturalmente i nostri nomi non c’erano, ma dai prossimi giorni un controllo del genere sarebbe stato per noi infausto. Una volta che ci siamo liberati dalle grinfia dei due soldati, abbiamo appurato che essere venuti al porto ci ha fatto unicamente perdere tempo prezioso, e decidiamo di prendere il primo treno diretto verso nord, avremmo scelto di stare in qualche paesino lontano dalle principali vie di comunicazione, e in ambiente collinare o montano, e perciò lontani dai pericoli. I miei pensieri vanno ai miei cari, scriverò loro una lettera.

Il viaggio in treno non comporta particolari pericoli, e i due fogli in nostro possesso ci consentono di evitare qualsiasi spiegazione, ma ormai diventeranno persino pericolosi, e li avremmo dovuti buttare tra qualche giorno, anche se riteniamo che la lista dei disertori non verrà aggiornata di continuo. Facciamo tappa a firenze, poi a bologna, il nostro viaggio non è la conseguenza di ragionamenti, ma del caso, là decidiamo, dopo molte valutazioni, di andare verso milano e poi raggiungere con altri mezzi le grandi montagne verso nord, potevamo legittimamente sperare così che avremmo fatto perdere le nostre tracce. Ma qualsiasi viaggio, in tempi di guerra, non si sa quando partirà e nemmeno quando avrà termine, ma finalmente, dopo ore di attesa, partiamo. Dopo qualche ora il capotreno comunica che i passeggeri devono scendere perché gli alleati hanno bombardato la linea più avanti, il nostro viaggio in treno termina qui. Scendiamo alla stazione emiliana di fiorenzuola d’arda, tutto attorno ci sembra di essere in un’immensa pianura, il luogo meno adatto al nostro scopo, dobbiamo andar via da quel posto immediatamente, e cercare qualche mezzo di trasporto che ci porti lontano. Una volta usciti dalla cittadina, vediamo con sorpresa che non molto lontano ci sono delle colline, non proprio delle dimensioni volute, ma per ora possono essere sufficienti a darci una parvenza di rifugio, dato che alcuni di quei rilievi sembrano fittamente alberati.

Ci incamminiamo verso di essi, un piccolo tratto di strada viene percorso su un camioncino che ci ha accompagnato al paese di bacedasco, là siamo scesi, e dato che imbruniva, abbiamo scelto di trascorrere la notte in un casolare abbandonato non lontano dal paese. Certo è che le comodità a cui eravamo abituati nel palazzo, qui possono essere appena sognate, ma a noi preme salvare la vita fino alla fine del conflitto. La mattina dopo abbiamo camminato verso collinette più alte, siamo arrivati nei pressi del minuscolo borgo dei colli piacentini di costa stradivari, e abbiamo chiesto ospitalità a una famiglia del posto. Per fortuna le nostre tasche sono ben fornite di soldi, dato che fino ad allora lo stato ci aveva pagato profumatamente, e decidiamo, d’accordo con la famiglia, che avremmo ricompensato la loro ospitalità con qualche moneta giornaliera. Il denaro in questo periodo è merce rara, e possederne vuol dire avere tutte le porte spalancate. La famiglia è composta da Enzo, la moglie Fabia, e dal figlio Massimo.

L’aspetto della casa è quanto di più confacente alle nostre esigenze, vecchia ma abbastanza grande, abitata al primo piano, mentre a piano terra sono sistemati attrezzi agricoli e qualche animale da cortile, uova, carne e latte non sarebbero mancati di certo. Al di sopra delle stanze abitate c’è una specie di mansarda adibita a fienile, dove abbiamo ricavato il nostro rudimentale alloggio, là sono nascoste abusivamente derrate alimentari, cereali, qualche sacco di legumi e qualche insaccato. La mattina dopo scambio due parole con Enzo, un uomo alto e magro, con uno sgualcito cappello a larghe tese sistemato un po’ di traverso sulla fronte spaziosa, dal viso smunto, dall’aspetto ho già catalogato parte della sua personalità, gli dico chiaramente che vorremmo conservare l’anonimato, e faccio un patto con lui: gli avremmo consegnato giornalmente i denari pattuiti, e non avremmo divulgato il fatto che siamo a conoscenza che nascoste in casa ci sono abbondanti derrate alimentari proibite. Così non avrebbe avuto interesse a confidare particolari pericolosi sul nostro conto, e noi altrettanto nei suoi confronti. La più contenta di tutti sembrerebbe la moglie Fabia, contenta di poter disporre di qualche soldo giornaliero.

Trascorrono i giorni, e ci rendiamo conto di come si vive in famiglia, lui coltiva un minuscolo appezzamento di terreno dove coltiva ortaggi e una decina di filari di viti, lei accudisce gli animali, siamo di fronte a una famiglia poverissima. Chi non si vede troppo spesso è Massimo, certe notti non torna nemmeno a dormire. Ha una ventina d’anni, o poco più, corpulento, ma agile nei movimenti, quando l’ho visto a lavoro era una vera e propria forza della natura, costantemente vestito con camicie a quadri, dalle maniche perennemente rimboccate, scarponi sempre presenti nonostante siamo a primavera inoltrata, e comincia a fare abbastanza caldo. Mi stupisco che non sia arruolato. Nonostante il minuscolo borgo sia molto decentrato, un giorno vediamo passare per la strada stretta e irta una lunga colonna di militari Tedeschi, quelli che ubbidiscono all'altro dittatore, armati di tutto punto, con varie mitragliatrici pesanti, trainate da camion che trasportano anche un gran numero di soldati, diretti verso la vicina cittadina di castell’arquato. Noto un atteggiamento da parte di Massimo che attira la mia attenzione, come se improvvisamente sia stato sotto tensione, poi, una volta passato l’ultimo soldato, lo vedo uscire frettolosamente, e scomparire tra la vegetazione. Immagino che faccia parte di qualche organizzazione contraria alla presenza dei militari stranieri nella nostra nazione, e che forse è un oppositore dell’attuale regime, ne parlo con Enzo e Fabia e dico loro che da noi non hanno da temere nessuna azione che lo potrebbe danneggiare. Dato che avremmo potuto vivere in quella casa per chissà quanto tempo, abbiamo l’esigenza di comunicare, e stabiliamo che tra noi non ci devono essere sotterfugi, e raccontiamo loro, senza omettere particolari, come mai ci troviamo nelle condizioni di doverci nascondere, e la nostra vita appena trascorsa all’interno del palazzo romano. Facciamo vedere loro i fogli che attestano la nostra passata appartenenza all’organizzazione informativa statale, ma diciamo loro che ormai quell’esperienza è acqua passata, e che abbiamo cambiato radicalmente opinione, passando alla parte opposta. Come atto simbolico facciamo un minuscolo falò di quei fogli.

Naturalmente Enzo e Fabia non hanno nulla da nascondere, ma Massimo evidentemente si, e allora ci facciamo raccontare la sua vita. Non è loro figlio, e nemmeno Massimo sa da quale famiglia o regione provenga, se lo sono trovati in casa all’età di dieci anni, e, non avendo figli, sono stati contenti di accoglierlo, lui li ha sempre ricompensati già da quell’età con lavori in casa e fuori, facendo compagnia al padre adottivo, nei lavori alle dipendenze di una grossa azienda agricola e zootecnica delle vicinanze, questo fino a pochi mesi fa, ma ormai il sistema economico della zona è stato azzerato dalle difficoltà create dalla guerra, e si trovano entrambi disoccupati. I genitori sospettano che Massimo faccia parte della resistenza armata alla dittatura, ma ignorano quali siano i suoi compiti, se la sua collaborazione sia ai massimi livelli, o solo occasionale. Per noi la notizia che esiste una resistenza organizzata è inaspettata, nonostante lavorassimo in un ambiente delegato a raccogliere informazioni; sapevamo che molte personalità dirigevano l’opposizione al regime dall’estero, ma che esistesse una struttura qui al nord che combattesse con le armi il regime, questo non lo sapevamo, forse questo è un fatto recentissimo.

Quando, un paio di giorni dopo, il ragazzo torna a casa, gli chiediamo informazioni, ma lui è estremamente restio a parlare, e nonostante gli avessimo spiegato che anche noi osteggiamo il regime, non si è mosso di un millimetro dalla sua condotta, facendoci credere che le nostre supposizioni sono troppo fantasiose, ma al sottoscritto non sfuggono certi segnali del viso e delle mani che evidenziano il fatto che sta mentendo. Mentre i nostri rapporti con i due anziani della famiglia, sono collaborativi, gli atteggiamenti del ragazzo verso di noi sono scostanti, e notiamo il suo fare estremamente sospettoso nei nostri confronti. Nei giorni successivi, nonostante avessimo l’esigenza di restare rintanati, usciamo, io e Romano, a respirare l’aria frizzante di alta collina, in queste ultime giornate estive, girovaghiamo per i boschi vicini in cerca di tranquillità, per stare finalmente a contatto con la natura, dalla cima di una collina vediamo che castell’arquato è invasa ancora dai militari Tedeschi, cosa ci facciano nel nord italia resta per noi un mistero, sarebbero stati forse molto più utili nel sud a contrastare l’avanzata dell’esercito alleato. Quando vediamo un casolare diroccato in cima a una collina, affiancato da una piccola radura, decidiamo di nascondervi una parte dei nostri soldi, e cerchiamo un altro posto per nascondervi il resto, in modo da avere almeno un rifugio sicuro, un po’ più a valle; infestata da una fitta vegetazione, dove la fanno da padroni soprattutto i rovi e le acacie, scopriamo i ruderi di un secondo casolare, spostiamo qualche pietra per nascondervi i soldi, facendo attenzione a non incappare in qualche vipera, che sappiamo quanto siano numerose in questi boschi, ma restiamo allibiti alla vista che si presenta ai nostri occhi, all’interno di una grossa e robusta cassa di metallo sono nascosti tre fucili mitragliatori, una decina di pistole e una quantità enorme di munizioni, rimettiamo tutto a posto e ci allontaniamo velocemente da quel posto pericoloso. Per oggi le nostre scorribande per boschi sono terminate, e abbiamo fretta di rientrare in casa, al sicuro. Una volta in casa, Romano mi fa osservare che la sua arma è della stessa marca e modello di tre delle pistole nascoste. Mi dice che sono in dotazione agli ufficiali dell’esercito italiano.

Trascorre una settimana senza scossoni, e un giorno, nei pressi della casa che ci accoglie, all’imbrunire, veniamo circondati da cinque uomini, che con le armi in pugno ci invitano a seguirli. La notte trascorre in cammino tra strade sterrate e boschi, con la paura che possa accadere qualcosa di brutto, mentre Romano ostenta sicurezza e non sembra eccessivamente preoccupato, gli viene però tolta la pistola. Finalmente, dopo tre o quattro ore, arriviamo a destinazione, ci fanno coricare in un casolare in stanze diverse, ciascuno di noi sorvegliato da uno di loro. Durante la camminata non mi sono azzardato a chiedere spiegazioni, mentre Romano manteneva il suo sangue freddo e cercava di entrare in relazione con loro. Sono certo che abbiamo percorso la strada in direzione ovest, presumo che siamo nella zona tra i colli piacentini e l’oltrepo pavese, una zona collinare dalla folta vegetazione. Mi addormento quasi subito, vinto dalla stanchezza, e un po’ rassicurato dalla tranquillità che Romano mi trasmette; del resto, se pure i nostri rapitori appartenessero alla resistenza, non vedo di che colpe potremmo essere accusati. Ci svegliamo poco dopo l’alba, presumo che le domande a cui avremmo dovuto rispondere sarebbero state molte, ma non abbiamo nulla da nascondere. Sono presenti una dozzina di uomini, armati di tutto punto, una pistola, un mitra, qualche bomba a mano e innumerevoli munizioni per ciascuno di loro, non si curano di nascondere i loro visi. L’interrogatorio è lungo, ma non è così stringente, sembra piuttosto un colloquio, e finora non ci è stato torto un capello, però quello che sembrerebbe il capo, dopo aver avuto qualche risposta da me, interroga, in un’altra stanza, Romano, e circa ogni mezz’ora si sposta tra quelle due stanze interrogandoci a turno. Il capo sembrerebbe al corrente del fatto che abbiamo scoperto il nascondiglio delle armi, io confermo, e gli dico che non abbiamo rivelato a nessuno l’esistenza del piccolo arsenale, mi dice che qualcuno ha notato la nostra passeggiata nei pressi del nascondiglio, e hanno così deciso di recuperare immediatamente le armi, hanno tenuto sotto controllo il casolare diroccato per un paio di giorni, ma nessun soldato Tedesco o Italiano ha rovistato quel posto.

Mi invita a vuotare le tasche, e appaiono così due mazzetti di banconote, ben poca cosa se confrontata con il denaro che ho a disposizione, ma comunque si tratta di una cifra abbastanza rilevante. Mi sequestra un solo mazzo, quasi scusandosi, e dicendomi che sarebbe servito per finanziare i partigiani. Chi siano i partigiani non mi è dato sapere, la parola non è completamente sconosciuta per me, ma non possiedo altre informazioni su di loro. Non sono stato riluttante a rispondere ad ogni domanda, e altrettanto spero abbia fatto Romano, del resto, parlando tra noi, prima di venire sequestrati, abbiamo valutato l’ipotesi di collaborare in qualche modo con quella di cui fa presumibilmente parte Massimo, che a noi sembrava un’organizzazione indirizzata a contrastare l’attuale dittatura, lui con azioni vere e proprie, essendo un militare dei corpi speciali, e quindi perfettamente addestrato a compiere azioni di grande rilevanza, pericolosità e delicatezza, io con le mie competenze. Quando il capo mi dice che il colloquio è terminato, mi sento sollevato, e mi ritrovo a fianco di Romano, con la sua pistola e in condizioni di libertà, ma costretti a rispondere ad una considerazione:

“Sappiamo per certo che non abbiamo nulla da temere da voi, sappiamo che siete dalla nostra parte, naturalmente quello che è successo oggi deve restare segreto, e vi proponiamo di entrare a far parte della resistenza”.

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