Pastore sardo |
Alle porte di una nuova Mussolinia
Il 18 Settembre 2023.
Girovagando sul web, colpisce questo articolo pubblicato da Torino Cronache dal titolo “Un vento di cambiamento soffia sulla Sardegna ¬– Dall’esodo dei giovani all’arrivo dei pastori kirghisi: un progetto di integrazione”
<<Chi è stato in Sardegna, - recita l’articolo – anche solo per una vacanza, ha potuto certamente ammirare e godersi non solo il suo mare e le sue spiagge uniche ma anche il suo paesaggio aspro, modellato dal vento e dalla millenaria attività agro-pastorale. Ha sicuramente gustato anche i prodotti caseari che per la loro unicità e bontà sono esportati e consumati in mezzo mondo. Attraversando l’isola però si vedono paesi, specie nell’interno, pressoché disabitati. Lo spopolamento sembra una piaga inarrestabile. Inoltre il prezzo del latte pagato ai pastori è basso nella misura in cui l’attività della pastorizia rischia di diventare residuale nell’economia dell’isola, offrendo ai giovani solo l’emigrazione come via di uscita per costruirsi un futuro.>>
L’articolo, in definitiva, sembra dirci che a fronte <<di una produzione esportata e ambita in mezzo mondo>>, di fatto ci troviamo afflitti da quella che stimano essere quasi una punizione divina e non certo una infame gestione di politiche mirate, ossia “lo spopolamento” definito appunto “piaga inarrestabile”; nonché da una incresciosa svalutazione della materia prima, il latte sottopagato, non certo a causa delle ben note direttive capestro disposte dalla UE (chi non ricorda il latte sversato per le strade e la protesta soppressa al porto di Civitavecchia) nella sciagurata indifferenza delle amministrazioni regionali; bensì <<nella misura in cui l’attività della pastorizia sta diventando marginale - in relazione alla pratica emigratoria che i nostri giovani sembrerebbero prediligere - come via di uscita per costruirsi un futuro.>>
Quanto l’assurdità di tali tesi, indiscutibilmente offensive e moralmente insostenibili, si scontrini con la realtà della storia recente e di quella attuale è vergognosamente palese. Eppure è sulla base di tali argomentazioni che Torino Cronache ci rende edotti dell’accordo raggiunto dalla sezione sarda della Coldiretti, l’associazione di categoria degli agricoltori italiani, in Kirghistan; una delle due ex repubbliche sovietiche situate nell’Asia Centrale a seimila chilometri dall’Isola.
Pastore Kirghisi "L’accordo alla firma del Ministero del lavoro del Kirghizistan prevede di avviare un progetto pilota, con un centinaio di kirghisi in Sardegna" |
<<L’accordo prevede di avviare un progetto pilota, professionale e sociale, - sottolinea la Coldiretti – con l’arrivo di un primo gruppo di un centinaio di kirghisi in Sardegna (di età compresa tra i 18 e i 45 anni), - con professionalità specifiche nel settore, a cui tuttavia andrà offerto – un percorso di formazione e integrazione nel tessuto economico e sociale della Regione con opportunità anche per le mogli nell’attività dell’assistenza.>>
Un progetto di medio-lungo periodo che, in base alla domanda, porterà all’inserimento di migliaia di stranieri, da supportare con mediatori culturali, nei distretti rurali di Sassari, Barbagia e del Sarrabus.
Una “iniziativa” che decantano ispirata <<a salvare gli allevamenti e la tradizione agroalimentare della Sardegna, nonché ripopolare città e campagne a rischio di desertificazione dove, oltre all’abbandono, pesano anche il calo delle nascite e l’invecchiamento della popolazione>>
Insomma, una vera benedizione per questa Terra e per questo popolo storicamente ostaggio di politiche e di pratiche predatorie. Dalla perenne occupazione militare, alle numerose speculazioni economico/finanziarie tanto di storica memoria, quanto attuali. I progetti per l’installazione di mega impianti eolici in tutta l’Isola, ad esempio, credo lascino veramente pochi dubbi circa la loro vera natura e a quali interessi realmente obbediscono.
L’ennesima “colonizzazione” (la quinta?), materiale e culturale, che si tenta persino di spacciare come “innovativa” e originale fingendo amnesia storica di una certa Mussolinia (oggi Arborea), che vide la luce negli anni ’30, nei territori a sud del fiume Tirso che si affacciano sul golfo di Oristano. Memorie cancellate, a cui quasi quasi bisogna pure dare atto che almeno quel Regime, allora, ebbe l’accortezza di servirsi di connazionali.
Che la Sardegna viva da secoli una indotta arretratezza nelle infrastrutture educative, socio-sanitarie, culturali, economico-industriali; nelle reti di trasporto interne e, vergognosamente, esterne che da sempre ci fanno “ostaggio” per mare e per aria dei capricci delle compagnie di turno, poco importa. Che mettere su famiglia e garantire ai nostri figli, costretti ad emigrare, “opportunità”, non sia mai stato in questa Terra pratica tutelata da chi, per istituzione e mandato popolare, era chiamato a promuoverla, irrilevanti contingenze; cosi come sembra irrilevante che la pastorizia, come l’agroalimentare sardo, viva da anni una situazione insostenibile, che rischia di far scomparire, dal processo produttivo, un settore che occupa decine di migliaia di persone detentori di rinomata e antica sapienza a causa di politiche asservite agli interessi sovranazionali speculativi e distopici di Agende ormai tristemente note.
Vilipesi e colpevolizzati di essere vecchi e incapaci di promuovere economia, dovremmo inoltre sentirci onorati di diventare serbatoio di una nuova politica di “immigrazione legale” in una Italia dove, come sottolinea la Coldiretti, <<un prodotto agricolo su quattro viene raccolto da mani straniere>>. Peccato eviti di precisare che si tratta di manodopera preferita ai locali perché sottopagati e senza tutela.
Per rafforzare il tessuto produttivo, contrastare l’abbandono della Terra nativa e il calo della natalità non abbiamo bisogno di “importare”, senza nulla togliere a quei popoli, manodopera più o meno specializzata; non abbiamo bisogno di iniziative che, più che “un progetto di integrazione” socio-culturale, sembrano configurare un lento, ma inesorabile, processo di sostituzione etnica. E suona estremamente stridente che a farsi promotore, sottoscrivendolo (a quale titolo per ora lo ignoriamo), sia proprio la storica Associazione degli Agricoltori, per antonomasia colei che più di tutti dovrebbe conoscere problemi e necessità, implicazione storiche e sociali, proiezione e programmi d’intervento di un fondamentale comparto della economia isolana. Economia che a tutti gli effetti dovrebbe godere di quelle particolari agevolazioni di cui, in ragione della loro condizione geofisica, numerosi paesi della Comunità Europea usufruiscono e che alla Sardegna, Regione autonoma a Statuto speciale, continuano invece ad essere inspiegabilmente negate. Infatti, il Decreto Legislativo del 10 marzo 1998, n. 78, “Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Sardegna concernenti l’istituzione di zone franche” giace, da 25 anni, ignorato (o forse ostacolato) da amministrazioni e presidenti, che nulla hanno fatto e nulla fanno, per rivendicare un “diritto” che tanto ossigeno e slancio ridarebbe a tutti i comparti dell’economia isolana e, in generale, alla vita di tutta la comunità sarda.
Subiremo in silenzio nell’ennesima vessazione?
Lasceremo che i nostri figli vengano ulteriormente derubati o, finalmente, ritrovando la dignità storica di un popolo antico seme del Mediterraneo, alzeremo definitivamente la testa?
Nessun commento:
Posta un commento