domenica 12 febbraio 2023

Il WEF promette di vietare le uova "pericolose" in seguito alla scoperta scientifica che mangiarle cura il covid in modo naturale

di Ethan Huff
Natural News
L '"élite" globale sta attaccando le uova definendole pericolose e mortali dopo che è stato rivelato che il superfood ad alto contenuto proteico è una cura naturale per covid.

Il World Economic Forum (WEF) ha twittato una bugia affermando che mangiare uova "aumenta il rischio di infarti e ictus", suggerendo che le persone dovrebbero smettere di mangiarle per la propria sicurezza.

Sappiamo la verità che i "vaccini" covid sono responsabili dell'improvviso aumento di infarti e ictus osservati in tutto il mondo, ma il WEF sta cercando di convincere tutti che le uova, che attualmente scarseggiano , sono peggio del crack o eroina.

IL GRAFOLOGO romanzo di Mariano Abis parte prima


IL GRAFOLOGO 

Romanzo di Mariano Abis prima parte

La calda mattinata di inizio autunno volgeva al termine, i miei genitori mi avrebbero chiamato a breve per il pranzo, misi il maglioncino per non ricevere da loro ramanzine, e smisi di giocare con la sabbia, mi fermai ad ammirare l’opera d’arte che avevo realizzato. Stranamente non soffiava un filo di vento, e i segni che avevo lasciato sulla sabbia non avevano subito modifiche durante il corso della loro realizzazione. Ma non avevo costruito castelli o che altro, semplicemente avevo lasciato dei segni ripetitivi che richiamavano la mia data di nascita: … zero uno, zero uno, diciannove, zero uno… Girai intorno a quei segni per ammirarli da ogni posizione, come al solito mi comunicavano qualcosa, sia che li avessi realizzati sulla sabbia, o con un pezzo di carbone sui muri, o su un foglio di carta, ma questi, date le dimensioni di molto superiori, mi coinvolgevano maggiormente. Ricordo che, anche quando ancora non sapevo scrivere, mi dilettavo a lasciare segni dappertutto. Ma allora, dopo aver frequentato la seconda elementare, mi scoprivo a trasformare le varie lettere che avevo imparato a scrivere, e i numeri, in forme diverse a quelle raccomandate dalla maestra, e le abbellivo con segni originali che nascevano dalla mia fantasia. Il sole picchiava forte su quella sabbia bianchissima, e quasi mi impediva di vedere quei segni senza un minimo di fastidio.

Quando arrivò l’ordine di rientrare per consumare il pranzo al sacco, quasi mi dispiaceva abbandonare l’opera, e speravo che non venisse distrutta da qualche persona di passaggio che ancora affollava la spiaggia cagliaritana del poetto. Era la prima volta che vedevo il mare, e quella enorme, lunghissima e larga curva di candida sabbia, era inimmaginabile fino al giorno precedente; rientrai verso la comitiva di una ventina di persone che avevano monopolizzato lo spazio accanto a un gruppo di alberi, a un centinaio di metri dalla battigia. Più in là stavano già consumando la loro biada quattro cavalli, a ridosso dei loro carretti e calessi. Mi sistemarono accanto a un gruppo di bambini più piccoli di me, e cominciammo a mangiare, io facevo attenzione a non saziarmi troppo perché a fine pasto avremmo consumato quattro enormi angurie che i miei genitori avevano portato. Avevo appena scoperto che mio padre svolgeva un lavoro ritenuto antipatico dalla generalità delle persone del mio paese, era cioè “su cummossariu”, l’esattore delle tasse alle dipendenze dello stato, una persona cioè che sottraeva denari alla gente, ma le persone presenti sembravano dimostrare di essere sue amiche, tre famiglie che anche in passato avevano fatto gite in compagnia della mia. Avevo così scoperto che attorno al mio paese esistevano posti bellissimi, una splendida cascata nei pressi di biddaxidru, a venti chilometri dalla contrada di sorres, il mio paese, e un folto bosco in un paese ancora più in là, a gonnos; là erano attive delle miniere, come pure in territorio del mio paese, sulla strada per biddaxidru. Ero attirato dai monti, che disegnavano delle linee che si stagliavano sul cielo, al contrario del paesaggio monotono e piatto delle campagne di sorres.

A fine pasto consumai la mia porzione di anguria, ma non completamente, dato che uno degli amici di mio padre mi aveva favorito e aveva riservato per me la fetta più grossa. Mi veniva spontaneo osservare i gesti che ciascuno compiva, siano stati adulti o bambini, notavo che ciascuno aveva un suo modo particolare di eseguire lo stesso gesto, per esempio, notavo che il taglio dell’anguria che mio padre compiva, era dissimile dalla tecnica adottata da mia madre. E quando parlavano, il modo di gesticolare di ciascuno di loro differiva da quello degli altri, e attirava la mia attenzione. Mi obbligarono a giocare con gli altri bambini, ciò mi dispiaceva perché avrei lasciato la mia opera d’arte incustodita, in balia delle persone che avrebbero affollato la spiaggia per il riposino pomeridiano.

Trascorrevo la mia infanzia in modo sereno, mio padre dimostrava di non avere problemi economici, e le mie tre sorelline, venute al mondo in anni alterni, vedevano in me una persona amica che le avrebbe difese in qualunque occasione, seppure un po' dispettoso nei loro riguardi. Notavo che i miei genitori erano sempre ben vestiti, al contrario degli agricoltori e allevatori del mio paese, inoltre sentivo già dalle prime ore del mattino, quando era ancora buio, dei rumori di gente al lavoro, per accudire gli animali che ciascuna famiglia possedeva, siano stati essi buoi o maiali, o animali da cortile, mentre i miei genitori si alzavano ogni giorno col sole già spuntato da un pezzo. Il compito di mia madre, per quanto ne sapevo, era invece quello accudire la casa e le sorelline, e di prepararmi per andare a scuola. Un’infanzia felice, senza problemi di sorta, il mio unico compito era quello di ottenere buoni risultati a scuola, e non fare capricci o disubbidire, né ai miei genitori, né alla maestra, e nemmeno alla catechista che vedevo ogni domenica, dopo aver assistito alla messa delle nove. Mi pesavano però i compiti giornalieri, che mi sottraevano tempo per il gioco. Ma quando finalmente avevo svolto l’ultimo compito della giornata, potevo andare ad incontrare i miei amici, avevamo una fantasia nel scegliere i giochi, che probabilmente i ragazzi di oggi nemmeno immaginano. Potevamo scegliere tra una miriade di giochi diversi, la classica partita con pallone mezzo sgonfio e consumato irrimediabilmente, e a volte costruito da noi stessi, con pezzi di stoffa, oppure un gioco, anch’esso a squadre, che mi attirava molto, chiamato “bara”, nel quale bisognava mettere in campo velocità, decisioni immediate in sinergia coi compagni e un pizzico di strategia concordata, oppure uno che mi piaceva meno, quello de “is cuaddus fortis”, un gioco che obbligava a sopportare il peso dei compagni, che con un balzo, atterravano sulla schiena di quattro compagni, il gioco terminava quando uno di essi non riusciva più a sopportarne il peso. Ma il gioco che più attirava la mia attenzione era quello denominato “sa strumpa”, cioè una sorta di lotta tra due contendenti, soggetto a regole precise, adottate solo nella mia terra, e non esattamente condivise nelle varie zone. Era un gioco essenzialmente di forza, ma non mancavano elementi che richiamavano a tecniche personali, specie all’inizio della contesa, o quando uno dei due contendenti riusciva a liberarsi dalla morsa dell’avversario. Noi ragazzini osservavamo le lotte tra ragazzi più grandi di noi, o tra adulti, e scimmiottavamo i loro movimenti, dal canto mio mi piaceva osservare la gestualità messa in campo, ma se obbligato a cimentarmi personalmente, non mi ispirava troppe simpatie.

Ricordo i giochi con le trottole, che un artigiano costruiva, in cambio di commissioni o pezzi di ulivo, materiale usato per lo più per la loro costruzione, ma non disdegnava realizzare con essi “panastaggius”, semplicissimi mobiletti da appendere sui muri, per custodire i piatti più belli, a vista, grosse stoviglie o mortai, tutti attrezzi che trovavano collocazione in cucina. Preferivo i giochi che comportavano grande manualità, o dinamicità, mi attiravano meno i giochi di forza. Ciascuno di noi possedeva più di una trottola, di dimensioni diverse, io avevo, tra le altre, la mia preferita, “su pisuncheddu”, dalle dimensioni ridotte. Anche durante questo gioco osservavo con attenzione la gestualità che ciascun compagno metteva in campo, e, conoscendo alla perfezione il carattere di ciascuno, traevo conclusioni tra la sua personalità e i gesti che eseguiva. Facevamo un altro gioco che consisteva nel riuscire ad addossare ad un muro, il più vicino possibile ad esso, dei cerchi metallici, chi si avvicinava maggiormente, aveva diritto a impossessarsi dei cerchi dei compagni di gioco, se non ricordo male il nome di quel gioco era “sponda”. Poi esisteva un gioco chiamato “a muncadoreddu”, che consisteva nell’impossessarsi di un fazzoletto di tela senza venire toccato dall’avversario di turno, una volta venuto in possesso dello stesso; questo gioco si eseguiva con due squadre contrapposte, mentre la generalità degli altri giochi era per lo più individuale.

Le bambine, invece, avevano i loro giochi, uno in particolare suscitava la mia attenzione, quello de “sa butteghedda”, che generava un gran chiasso che attirava la nostra attenzione; una di loro era delegata a disporre su un piano della mercanzia, pezzi di legno, pietre, stoffe, carta e cartone, e quant’altro, contrattare e vendere la merce, un gioco semplice, ma che generava grandi discussioni e continue gestualità. Poi amavano giocare ad un gioco chiamato “a casella”, che consisteva nel saltare tra degli spazi preventivamente tracciati in terra col gesso, senza toccarne i bordi. Potrei descrivere ancora una ventina di giochi diversi, sia maschili che femminili, mi viene in mente che allora la fantasia poteva spaziare in mille direzioni, avendo purtroppo a disposizione pochi tipi di oggetti utilizzabili, mentre ora la fantasia dei ragazzi si limita a scegliere gli oggetti utili e acquistarli, mentre noi dovevamo costruirli.

Oggi, se un ragazzo vuole possedere un fucile finto, basta mettersi in tasca qualche lira, ed ecco che l’arma è a disposizione, ma noi dovevamo scegliere un pezzo di legno, sagomarlo nella forma voluta, procurarci degli elastici e delle mollette che le nostre madri usavano per appendere i panni, e assemblare il tutto, ciò richiedeva fantasia e manualità, quella manualità che mi è sempre piaciuto osservare, mentre ora i ragazzi la esprimono solo quando hanno in mano oggetti non costruiti da loro e più sofisticati, con modalità per lo più ripetitive. Il gioco che più mi metteva apprensione, ma che preferivo, perché coinvolgente e pericoloso, era il gioco della “mira”, un gioco che si concludeva solo quando uno dei contendenti restava ferito. La mia contrada, convenzionalmente, è divisa in tre parti, chiamiamoli borghi, uno era quello in cui abitavo io, denominato “de prazz’e cresia”, la piazza di chiesa, poi c’era quello de “sa stazioni”, la stazione ferroviaria, infine quello che giudicavamo più agguerrito e determinato, de “su guventu”, il convento, loro mettevano in campo un senso di appartenenza molto superiore a quello degli altri due borghi, ciascuno di essi aveva la sua squadra di ragazzini, che ricorda le bande così ben descritte dal Molnar, nel capolavoro dei ragazzi della via pal. Se si trattava di fare una partita a pallone, i componenti di una delle squadre dovevano necessariamente appartenere allo stesso borgo, e nel gioco della mira questa regola era ancora più ferrea. Poteva scegliere l’appartenenza solo chi abitava sui confini, che erano però abbastanza ben definiti.

Il gioco consisteva nell’armarsi, ciascun componente, di una determinata quantità di pietre, dalle dimensioni codificate, che non potevano superare una certa grandezza, e lanciarle all’indirizzo della squadra avversaria, a volte si verificavano alleanze, altre volte qualcuno barava sulle dimensioni delle pietre, ed il gioco terminava solo quando qualcuno veniva colpito duramente, in genere quando appariva una ferita che sanguinava. Quando qualche squadra non osservava le regole, o metteva in campo azioni sleali, o sotterfugi non concessi, veniva giudicata da una sorta di tribunale estemporaneo, istituito lì per lì, e la pena era la denigrazione generale. Quel gioco, seppure collettivo, metteva in evidenza il coraggio di ciascuno, contavano anche astuzia e rapidità di movimenti, capacità di stringere alleanze, avevano rilevanza implicazioni logistiche, e una buona dose di informazioni, carpite in tutti i modi possibili e immaginabili.

Tra i nostri passatempi preferiti figuravano altri giochi relativamente pericolosi, tra i quali i furti di frutta in campagna, avevamo la necessità di arrampicarci sugli alberi, e svolgere il lavoro in brevissimo tempo, per non dar modo ai molti contadini che affollavano allora le campagne, di identificarci. Ma ciò, però, avveniva molto spesso, e al rientro a casa, all’imbrunire, qualcuno di noi doveva subire i rimproveri dei genitori, e qualche volta anche le loro punizioni che prevedevano qualche salutare ceffone. Non ricordo, però, una sola volta in cui sono stato punito in modo violento, o brutale, piuttosto dovevo subire restrizioni sulle cose che mi piacevano, prima fra tutte, il divieto di uscire per la sera successiva, mentre qualche mio compagno di marachella a volte si presentava a scuola con evidenti segni sulla guancia. Altre attività a noi gradite erano la ricerca dei nidi di uccelli sugli alberi, o la pesca con attrezzi inadeguati di trote o anguille nei due fiumi che costeggiano il mio paese, e la ricerca di asparagi, fichi d’india o funghi. Ciascun borgo aveva al suo interno una dozzina di gruppi omogenei, ciascuno accomunato da realtà tra le più disparate, il mio gruppo, per esempio, composto da meno di dieci elementi, forse il meno numeroso di tutti, aveva la caratteristica di essere composto da compagni di classe, ed era quasi impossibile accedervi se non dopo una prova, a dimostrazione del fatto che il nuovo arrivato dovesse essere dotato di grande coraggio. Ricordo ancora oggi la prova a cui io stesso fui sottoposto, nonostante facessi parte del piccolo gruppo originario. I miei amici, a mia insaputa, trascorsero tutta la serata in preparazione dell’evento, mettendo in atto strategie volte a mettermi paura, esplicitando i rischi che correvo per la mia abilitazione. Uno di loro, per esempio, raccontò che fu sottoposto alla stessa prova che attendeva me, cioè attraversare il camposanto in una notte senza luna, da solo; fu così che, una volta all’interno, inciampò in un tombino che era parzialmente crollato, e si trovò lungo disteso a far compagnia alle ossa del suo inquilino, un altro uscì terrorizzato a causa di improvvisi bagliori. Inoltre avrei dovuto scappare da casa nel pieno della notte, incorrendo in punizioni da parte dei miei genitori, nel caso fossi stato scoperto. Oltre il coraggio, bisognava avere quindi anche atteggiamenti volti ad eseguire in modo intelligente il compito.

sabato 11 febbraio 2023

EUROPA TITANICA. ZELENSKY FA ESPLODERE L'ALLEANZA TRA PARIGI, ROMA E BERLINO

Volodymyr Zelensky, Emmanuel Macron, Olaf Scholz
Scritto da Piero Messina
La missione europea del presidente ucraino Volodymir Zelensky è un successo senza precedenti. Riuscì a far esplodere le contraddizioni tra i paesi europei. L'asse Parigi-Berlino comanda le operazioni e l'Italia, che negli ultimi mesi era stata l'avanguardia della Nato nel sostenere le politiche anti-russe e aumentare le forniture di armi a Kiev, riceve uno schiaffo sonoro. La premier italiana Giorgia Meloni è stata esclusa dal vertice con Zelensky che è stato celebrato in modalità triade: Zelensky, il presidente francese Macron e il premier tedesco Olaf Scholz.

Progetto KORICANCHA "alla ricerca dei tunnel sotterranei andini"

Nel 2003 iniziò a diffondersi sui media una notizia enigmatica, citando le dichiarazioni di uno studioso spagnolo, Anselm Pi Rambla , il quale rivelò di aver rilevato, durante i suoi scavi a Cuzco , un antico corridoio sotterraneo citato nelle antiche cronache coloniali. 

Quello strano rapporto è stato il risultato di un'ambiziosa collaborazione iniziata nel 2000, battezzata nella sua prima fase come Progetto Wiracocha , e successivamente mutata in Progetto Koricancha , coinvolgendo nel suo sviluppo non solo Pi Rambla ma anche lo stesso governo peruviano. Tuttavia, poco dopo la pubblicazione del clamoroso annuncio, l'importante progetto è stato coinvolto in uno scandalo, frutto di un aspro contenzioso tra le parti, che ha portato ben presto alla sua cancellazione. 

Un simbolo perduto di un'antica civiltà

Antica civiltà
di Faro antico
È estremamente difficile contestare il fatto che negli ultimi anni sia stata trovata un'enorme quantità di prove per la distorsione della nostra storia, a partire dalla fine del XIX secolo. Inoltre, più andiamo avanti nel tempo, più distorta diventa la posizione storica ufficiale. Ogni giorno sempre più persone sono inclini a credere che qualche tempo fa esistesse un'unica civiltà e cultura sulla Terra, che è stata successivamente distrutta e frammentata in molte parti da certe forze. Esistono numerose versioni su quale nome avrebbe potuto avere quella civiltà, sia che si trattasse di Tartaria, Scizia, Sarmazia, Impero slavo-ariano (Rus), ecc., tuttavia, indipendentemente da come fosse effettivamente chiamata, il fatto che quel qualcosa di unito e di grande esisteva e univa le genti del passato.

venerdì 10 febbraio 2023

Conoscenza Perduta 1. Lingam

lingam
di lyanat
Le idee proposte sono state sviluppate grazie all'articolo “The Lost Key. Part 1 " di Antique Lighthouse 1 marzo 2021 e il grande lavoro di Pravin Mohan , viaggiatore e ricercatore di antichi manufatti.
Questo è il caso perfetto quando la quantità si trasforma in qualità. Il materiale lungo e accuratamente selezionato, integrato in una catena logica di forme e circostanze, improvvisamente dà una risposta. Chiedo scusa all'autore di Antique Lighthouse se gli ho interrotto in qualche modo il percorso di ricerca. Volevo lasciare un commento, ma i miei pensieri sono andati in un tale flusso che non si adattavano a una replica. I propri sviluppi hanno finalmente ricevuto uno slancio per lo sviluppo.
In attesa della seconda parte di "The Lost Key. Parte 2per scoprire da che parte andrà l'autore. Sembra essere parallelo. Spero che nei nostri articoli ci completeremo a vicenda con successo su un singolo argomento.

L'UCRAINA RICEVERÀ I CARRI ARMATI LEOPARD 2 NEL PRIMO TRIMESTRE DEL 2023

Carri armati tedeschi Leopard 2A6. (Credito fotografico: esercito degli Stati Uniti)
di south front                                                                                                                                L'Ucraina potrebbe ricevere il primo lotto di carri armati Leopard 2 entro i primi tre o quattro mesi di quest'anno, ha dichiarato il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, durante la sua visita a Varsavia l'8 febbraio.

“Potremmo consegnare almeno un battaglione entro i primi quattro mesi di quest'anno, forse tre; e dovremo agire il più velocemente possibile dopo ciò", ha detto PIsorius, aggiungendo che è probabile che un battaglione di carri armati includa 31 carri armati.
Alla fine di gennaio, il governo tedesco ha annunciato che avrebbe reso disponibili 14 carri armati Leopard 2A6 per l'attenzione di Kiev e avrebbe dato l'autorizzazione ai partner europei a riesportare i loro carri armati in Ucraina.

La mossa è stata incoraggiata da una decisione britannica di fornire all'Ucraina 14 carri armati Challenger 2 e un'altra dagli Stati Uniti di fornire 31 carri armati M1A2 Abrams.

A seguito della decisione tedesca, la Polonia si è impegnata ad armare le forze di Kiev con 14 Leopard 2A4, mentre il Canada ha dichiarato che ne avrebbe forniti altri quattro della stessa versione. Da parte sua, il Portogallo ha dichiarato che fornirà quattro Leopard 2A6.

Il ministro Pistorius ha affermato di aver concordato con la Polonia che i rappresentanti dei paesi che possono spedire carri armati Leopard 2 in Ucraina si incontreranno la prossima settimana.

Il Leopard 2A4 è armato con il cannone Rh-120 L/44 da 120 mm, mentre il 2A6 è armato con il più letale cannone Rh-120 L/55 dello stesso calibro. Entrambe le versioni sono alimentate dal motore diesel biturbo MTU MB 873 Ka-501 raffreddato a liquido da 1.479 CV e possono raggiungere una velocità massima fino a 70 chilometri orari.

L'armatura composita del carro armato è stata oggetto di molte critiche nel 2016, quando almeno otto Leopard 2A4 dell'esercito turco sono stati distrutti dai terroristi dell'ISIS nella regione settentrionale della Siria con missili guidati Fagot e Konkurs di fabbricazione sovietica.

Gli esperti russi hanno già avvertito che i carri armati Leopard 2 destinati all'Ucraina sono vulnerabili a missili e proiettili anticarro più avanzati in servizio con l'esercito russo.

Le forniture di carri armati occidentali all'Ucraina hanno lo scopo di preparare le forze di Kiev a lanciare un'offensiva su larga scala contro l'esercito russo la prossima primavera. La data di consegna fissata da Pistorius mostra che la Germania è impegnata a sostenere l'imminente offensiva ucraina.

Breve storia delle azioni segrete degli Stati Uniti in patria e all'estero

statua della libertà

Molto prima dell'attacco al Nord Stream, gli Stati Uniti si sono guadagnati la reputazione di far saltare in aria le cose, spiare e organizzare colpi di stato in Paesi stranieri, cercando nel contempo di dipingersi con lo stereotipo del "bravo ragazzo".

Il giornalista investigativo statunitense e vincitore del premio Pulitzer Seymour Hersh ha sganciato una "bomba" mediatica questa settimana quando ha incolpato gli Stati Uniti della distruzione di tre dei quattro gasdotti del Nord Stream che fornivano gas naturale russo alla Germania.

Mentre gli Stati Uniti fingevano stupore sulla scia della distruzione del gasdotto nel settembre dello scorso anno, Hersh ha affermato che sono stati i sommozzatori della Marina degli Stati Uniti a piazzare cariche esplosive sul Nord Stream durante un'esercitazione della NATO nel Mar Baltico, la scorsa estate.

► Potrebbe interessare anche: