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domenica 7 maggio 2023

IL GRAFOLOGO Romanzo di Mariano Abis Tredicesima parte

 

IL GRAFOLOGO Romanzo di Mariano Abis Tredicesima  parte 

Sono presenti elementi grafologici che richiamano alla mente ramponi, aguzzi arpioni, e segni esageratamente appuntiti, e una tendenza ad una scrittura anomala, e talvolta discendente in maniera eccessiva; e non voglio andare oltre nell’analisi particolareggiata, dato che qua e là compaiono segnali di una intima sofferenza persino troppo accentuata, una relazione che deve essere per forza particolareggiata, una scrittura così inusuale, che raramente ho visto nel corso della mia esperienza; caratteri così interlocutori sarebbero poco rilevanti se in presenza di un personaggio dall’intelligenza nella norma, ma qui mi trovo di fronte agli scritti di una persona che dimostra grandissima intelligenza, e a quanto ne so grande acume oratorio, ma con una possibile aridità, accentuata all’inverosimile nei sentimenti, mentre pretende dagli altri grande considerazione per la sua persona, e predisposizione a stati di esaltazione estrema in prospettiva di azioni future, ma grande tendenza alla depressione se i risultati non fossero quelli sperati, con conseguente caduta verticale del suo auto referenziarsi, che porterebbero a stati di prostrazione assoluta. Non vorrei che fossero in atto contatti tra il nostro dittatore e quello preso in esame, penso che i risultati sarebbero deleteri. Nella parte finale della mia relazione affermo chiaramente che siamo di fronte a un personaggio dalla psicologia enigmatica, e dalla volontà incrollabile, quando supportata da ottimismo.

domenica 30 aprile 2023

IL GRAFOLOGO Romanzo di Mariano Abis Dodicesima parte


 


 IL GRAFOLOGO Romanzo di Mariano Abis Dodicesima parte





E un giorno la vedo, nella piazza antistante la grande stazione ferroviaria, in compagnia di un uomo, ci avviciniamo, lei fa le presentazioni di rito, e ci dice di essere in partenza per trascorrere un periodo di vacanza. Mi chiedo se sia possibile che debba incontrarla sempre di sfuggita, e la notizia che trascorrerà una vacanza con quell’uomo non mi mette particolarmente di buon umore. Per un periodo di tempo sarò costretto a non pensare a lei, o almeno a non disperdere il mio tempo alla sua ricerca. I giorni successivi, giocoforza, mi libero da quell’ossessione, e ritrovo una parvenza di interesse per le analisi che sto compiendo, in particolare Romano mi dice che ha trovato informazioni frammentarie sull’autore degli scritti che tanto hanno attirato la mia curiosità, qualche giorno prima, quelli dell’anarchico. Mi dice che è originario del friuli, ma abitava nelle marche, almeno fino a quando non è stato costretto ad eclissarsi, vista la cattiva aria che tira verso anarchici e sovversivi. Mi viene da pensare a Lupo, ma le informazioni non mi sono di nessun aiuto, infatti abbiamo sempre trattato temi tra i più disparati, ma mai abbiamo parlato in dettaglio della nostra vita, e, nonostante i ripetuti contatti che ho avuto con lui, non mi è mai passato per le mani nessuno dei suoi scritti, in quel caso avrei riconosciuto all’istante quella scrittura particolare, anche senza guardare le generalità sul fronte della cartella.

domenica 23 aprile 2023

IL GRAFOLOGO Romanzo di Mariano Abis Undicesima parte



 IL GRAFOLOGO Romanzo di Mariano Abis Undicesima parte

 



Gli racconto ciò che mi è capitato, ed il lavoro che sto compiendo, ma sintetizzo al massimo l’esposizione, ho una dannata fretta di conoscere l’evoluzione degli avvenimenti che lo riguardano, e informarlo che per lungo tempo ero convinto che fosse morto o imprigionato, certo che tra gli organizzatori dell’attentato ci fosse anche lui.

“Appartengo ad un’organizzazione anarchica che ha deciso di eliminare il dittatore, e se in genere agiamo singolarmente, stavolta abbiamo deciso di non rischiare e organizzare per bene un attentato. Eravamo in sette, ma ancora prima di agire, due miei compagni sono stati picchiati e sequestrati dagli squadristi, che però erano sicuramente ignari della decisione presa, e noi abbiamo continuato ad organizzare l’azione, non è la prima volta che abbiamo avuto grosse noie senza andare a cercarcele. Per un motivo o per un altro, la decisione è stata rimandata più volte, a roma abbiamo deciso che là saremmo entrati in azione, aspettando un’occasione favorevole, ma ancor prima di agire, un mio compagno è stato arrestato, mentre un altro è stato ferito e bastonato, perché trovato in possesso di un’arma, un terzo, riconosciuto e inseguito, ma salvo, ha detto di voler espatriare in svizzera, un altro verso nord, ed io sono rientrato in questa zona, ma penso che sappiano esattamente chi siamo, infatti mi stanno cercando, anche se non ho avuto modo di compiere alcuna azione, evidentemente hanno deciso di arrestare tutti gli anarchici, a prescindere da eventuali colpe. Essere venuto qui proprio ora che ci sei tu penso sia un grosso rischio per entrambi, e infatti tra un po’ vado via, se ci dovremo vedere sarà in un altro posto”.

domenica 16 aprile 2023

IL GRAFOLOGO Romanzo di Mariano Abis Decima parte


 


 IL GRAFOLOGO Romanzo di Mariano Abis Decima parte

Conosco quali sono i limiti evidenziati, e posso intervenire in casi estremi, infatti conoscere i punti deboli di chi mi contrasta è un vantaggio non indifferente. Ho appena sistemato la sua cartella al sicuro, accompagnata da una relazione indirizzata verso conclusioni estremamente negative, accentuate all’eccesso, certo più del dovuto. Mi appresto ad analizzare le cartelle che contengono i profili di avversari del regime, quando lo vedo di fronte a me, con un altro mazzo di fascicoli pronti per essere analizzati, ne approfitto per osservarlo, ho letto che dai tratti anatomici, specie del viso e delle mani, e quelli generali della struttura fisica, si possono ricavare ulteriori informazioni.

domenica 9 aprile 2023

IL GRAFOLOGO Romanzo di Mariano Abis Nona parte


 

IL GRAFOLOGO Romanzo di Mariano Abis Nona parte

Siamo appena saliti in macchina quando due carabinieri mi consegnano un dispaccio che mi intima di rientrare immediatamente a roma. Arriviamo a civitavecchia in tarda mattinata, siamo a roma nel primo pomeriggio, percorrendo le strade, anche quelle periferiche, notiamo una strana atmosfera, capannelli inusuali di persone che discutono, incontriamo un piccolo, improvvisato corteo, siamo circondati da una insolita atmosfera, decidiamo di interrompere il viaggio e informarci su cosa stia succedendo, e le notizie che riceviamo non sono per me così strampalate come potrebbero apparire, immaginavo che la situazione si sarebbe potuta evolvere verso una conclusione che a me appariva logica. E’ stato compiuto giorni fa un attentato contro il capo del governo, e la sua reazione immediata è stata la limitazione drastica delle libertà personali della gente. Sono stati sciolti i partiti e azzerata la libertà di stampa; il traballante, insicuro sistema democratico che arrancava finora, non esiste più, l’antico giornalista socialista si è trasformato in dittatore.

Il mio pensiero va a Lupo.

domenica 5 marzo 2023

IL GRAFOLOGO Romanzo di Mariano Abis quarta parte

IL GRAFOLOGO Romanzo di Mariano Abis quarta parte

Mi dice che, nonostante fermo sia trapuntata da innumerevoli luoghi di culto, non reputa i suoi concittadini particolarmente bigotti, semmai ha altri appunti da contestare loro, specie in ambito politico e sociale. Mi invita a pranzo a casa sua, non prevedevo certo una simile eventualità, ma accetto di buon grado. Mette sul fuoco uno spezzatino che in fase di cottura emana un simpatico aroma di aceto, e sul tavolo un bottiglione di vino nero e un po’ di insalata, poi apre gli sportelli di un armadio dalle dimensioni importanti, mi aspetto di vedere stoviglie o non so che altro, ma resto stupito alla vista di una colossale montagna di giornali, e qualche libro. Mi spiega che per lo più sono stati racimolati qua e là, e ogni articolo di carattere politico e sociale spulciato attentamente. Mi sono sempre piaciute le persone particolari, ma la sua personalità è così spiccata che mi risulta persino ingombrante, se continuerà il mio relazionarmi con lui, non sarà certo in tranquillità, o per parlare di luoghi comuni, e dovrò adeguarmi alle sue dissertazioni poco convenzionali. Parla continuamente del mio conterraneo, i suoi articoli lo appassionano, e seppure le due visioni politiche e sociali differiscono sensibilmente, mi dice che il suo anarchismo è stemperato da concezioni socialiste che ha sempre avute. L’ingombrante armadio pieno come un uovo, mi ricorda un mio mobile dove stipavo quantità industriali di manoscritti, a convalida delle mie teorie sullo studio dei segni lasciati sui fogli. Gliene parlo, e mi dico curioso di analizzare la sua grafia, al che lui non ha problemi di sorta, anzi va in direzione dell’armadio ed estrae un fascicolo che sottopone alla mia attenzione: si tratta di articoli pubblicati da un francescano suo conterraneo, che sta cercando di rendere scientificamente plausibili le sue originali conclusioni riguardo a una materia completamente nuova, che chiamano grafologia. Mi rendo conto di essere di fronte a una persona dagli innumerevoli interessi, portati avanti con competenza, d’ora in poi, quando parlerà di qualsiasi argomento, dovrò pensare che le sue parole non saranno buttate giù a caso, ma correlate da informazioni dettagliate. Non avrei mai immaginato che la mia predisposizione all’analisi dei segni fosse in qualche modo condivisa da altri, per di più dalla esperienza nettamente superiore alla mia, e i suoi articoli, e i libri pubblicati, sono già conosciuti in zona da qualche appassionato; stanno uscendo in questo periodo le sue pubblicazioni scientifiche su un giornale bolognese, di cui il mio amico ha la raccolta completa; il Lupo solitario è tale solo in relazione alle persone, non certo quando si tratta di assimilare concetti emergenti, una persona che volge il suo sguardo al futuro, appassionato di argomenti poco conosciuti e dibattuti, con una cultura impensabile se paragonata al suo aspetto dimesso, ma che, con quei capelli arruffati e i modi di fare sembra piuttosto un intellettuale con cui è problematico ogni confronto.

domenica 12 febbraio 2023

IL GRAFOLOGO romanzo di Mariano Abis parte prima


IL GRAFOLOGO 

Romanzo di Mariano Abis prima parte

La calda mattinata di inizio autunno volgeva al termine, i miei genitori mi avrebbero chiamato a breve per il pranzo, misi il maglioncino per non ricevere da loro ramanzine, e smisi di giocare con la sabbia, mi fermai ad ammirare l’opera d’arte che avevo realizzato. Stranamente non soffiava un filo di vento, e i segni che avevo lasciato sulla sabbia non avevano subito modifiche durante il corso della loro realizzazione. Ma non avevo costruito castelli o che altro, semplicemente avevo lasciato dei segni ripetitivi che richiamavano la mia data di nascita: … zero uno, zero uno, diciannove, zero uno… Girai intorno a quei segni per ammirarli da ogni posizione, come al solito mi comunicavano qualcosa, sia che li avessi realizzati sulla sabbia, o con un pezzo di carbone sui muri, o su un foglio di carta, ma questi, date le dimensioni di molto superiori, mi coinvolgevano maggiormente. Ricordo che, anche quando ancora non sapevo scrivere, mi dilettavo a lasciare segni dappertutto. Ma allora, dopo aver frequentato la seconda elementare, mi scoprivo a trasformare le varie lettere che avevo imparato a scrivere, e i numeri, in forme diverse a quelle raccomandate dalla maestra, e le abbellivo con segni originali che nascevano dalla mia fantasia. Il sole picchiava forte su quella sabbia bianchissima, e quasi mi impediva di vedere quei segni senza un minimo di fastidio.

Quando arrivò l’ordine di rientrare per consumare il pranzo al sacco, quasi mi dispiaceva abbandonare l’opera, e speravo che non venisse distrutta da qualche persona di passaggio che ancora affollava la spiaggia cagliaritana del poetto. Era la prima volta che vedevo il mare, e quella enorme, lunghissima e larga curva di candida sabbia, era inimmaginabile fino al giorno precedente; rientrai verso la comitiva di una ventina di persone che avevano monopolizzato lo spazio accanto a un gruppo di alberi, a un centinaio di metri dalla battigia. Più in là stavano già consumando la loro biada quattro cavalli, a ridosso dei loro carretti e calessi. Mi sistemarono accanto a un gruppo di bambini più piccoli di me, e cominciammo a mangiare, io facevo attenzione a non saziarmi troppo perché a fine pasto avremmo consumato quattro enormi angurie che i miei genitori avevano portato. Avevo appena scoperto che mio padre svolgeva un lavoro ritenuto antipatico dalla generalità delle persone del mio paese, era cioè “su cummossariu”, l’esattore delle tasse alle dipendenze dello stato, una persona cioè che sottraeva denari alla gente, ma le persone presenti sembravano dimostrare di essere sue amiche, tre famiglie che anche in passato avevano fatto gite in compagnia della mia. Avevo così scoperto che attorno al mio paese esistevano posti bellissimi, una splendida cascata nei pressi di biddaxidru, a venti chilometri dalla contrada di sorres, il mio paese, e un folto bosco in un paese ancora più in là, a gonnos; là erano attive delle miniere, come pure in territorio del mio paese, sulla strada per biddaxidru. Ero attirato dai monti, che disegnavano delle linee che si stagliavano sul cielo, al contrario del paesaggio monotono e piatto delle campagne di sorres.

A fine pasto consumai la mia porzione di anguria, ma non completamente, dato che uno degli amici di mio padre mi aveva favorito e aveva riservato per me la fetta più grossa. Mi veniva spontaneo osservare i gesti che ciascuno compiva, siano stati adulti o bambini, notavo che ciascuno aveva un suo modo particolare di eseguire lo stesso gesto, per esempio, notavo che il taglio dell’anguria che mio padre compiva, era dissimile dalla tecnica adottata da mia madre. E quando parlavano, il modo di gesticolare di ciascuno di loro differiva da quello degli altri, e attirava la mia attenzione. Mi obbligarono a giocare con gli altri bambini, ciò mi dispiaceva perché avrei lasciato la mia opera d’arte incustodita, in balia delle persone che avrebbero affollato la spiaggia per il riposino pomeridiano.

Trascorrevo la mia infanzia in modo sereno, mio padre dimostrava di non avere problemi economici, e le mie tre sorelline, venute al mondo in anni alterni, vedevano in me una persona amica che le avrebbe difese in qualunque occasione, seppure un po' dispettoso nei loro riguardi. Notavo che i miei genitori erano sempre ben vestiti, al contrario degli agricoltori e allevatori del mio paese, inoltre sentivo già dalle prime ore del mattino, quando era ancora buio, dei rumori di gente al lavoro, per accudire gli animali che ciascuna famiglia possedeva, siano stati essi buoi o maiali, o animali da cortile, mentre i miei genitori si alzavano ogni giorno col sole già spuntato da un pezzo. Il compito di mia madre, per quanto ne sapevo, era invece quello accudire la casa e le sorelline, e di prepararmi per andare a scuola. Un’infanzia felice, senza problemi di sorta, il mio unico compito era quello di ottenere buoni risultati a scuola, e non fare capricci o disubbidire, né ai miei genitori, né alla maestra, e nemmeno alla catechista che vedevo ogni domenica, dopo aver assistito alla messa delle nove. Mi pesavano però i compiti giornalieri, che mi sottraevano tempo per il gioco. Ma quando finalmente avevo svolto l’ultimo compito della giornata, potevo andare ad incontrare i miei amici, avevamo una fantasia nel scegliere i giochi, che probabilmente i ragazzi di oggi nemmeno immaginano. Potevamo scegliere tra una miriade di giochi diversi, la classica partita con pallone mezzo sgonfio e consumato irrimediabilmente, e a volte costruito da noi stessi, con pezzi di stoffa, oppure un gioco, anch’esso a squadre, che mi attirava molto, chiamato “bara”, nel quale bisognava mettere in campo velocità, decisioni immediate in sinergia coi compagni e un pizzico di strategia concordata, oppure uno che mi piaceva meno, quello de “is cuaddus fortis”, un gioco che obbligava a sopportare il peso dei compagni, che con un balzo, atterravano sulla schiena di quattro compagni, il gioco terminava quando uno di essi non riusciva più a sopportarne il peso. Ma il gioco che più attirava la mia attenzione era quello denominato “sa strumpa”, cioè una sorta di lotta tra due contendenti, soggetto a regole precise, adottate solo nella mia terra, e non esattamente condivise nelle varie zone. Era un gioco essenzialmente di forza, ma non mancavano elementi che richiamavano a tecniche personali, specie all’inizio della contesa, o quando uno dei due contendenti riusciva a liberarsi dalla morsa dell’avversario. Noi ragazzini osservavamo le lotte tra ragazzi più grandi di noi, o tra adulti, e scimmiottavamo i loro movimenti, dal canto mio mi piaceva osservare la gestualità messa in campo, ma se obbligato a cimentarmi personalmente, non mi ispirava troppe simpatie.

Ricordo i giochi con le trottole, che un artigiano costruiva, in cambio di commissioni o pezzi di ulivo, materiale usato per lo più per la loro costruzione, ma non disdegnava realizzare con essi “panastaggius”, semplicissimi mobiletti da appendere sui muri, per custodire i piatti più belli, a vista, grosse stoviglie o mortai, tutti attrezzi che trovavano collocazione in cucina. Preferivo i giochi che comportavano grande manualità, o dinamicità, mi attiravano meno i giochi di forza. Ciascuno di noi possedeva più di una trottola, di dimensioni diverse, io avevo, tra le altre, la mia preferita, “su pisuncheddu”, dalle dimensioni ridotte. Anche durante questo gioco osservavo con attenzione la gestualità che ciascun compagno metteva in campo, e, conoscendo alla perfezione il carattere di ciascuno, traevo conclusioni tra la sua personalità e i gesti che eseguiva. Facevamo un altro gioco che consisteva nel riuscire ad addossare ad un muro, il più vicino possibile ad esso, dei cerchi metallici, chi si avvicinava maggiormente, aveva diritto a impossessarsi dei cerchi dei compagni di gioco, se non ricordo male il nome di quel gioco era “sponda”. Poi esisteva un gioco chiamato “a muncadoreddu”, che consisteva nell’impossessarsi di un fazzoletto di tela senza venire toccato dall’avversario di turno, una volta venuto in possesso dello stesso; questo gioco si eseguiva con due squadre contrapposte, mentre la generalità degli altri giochi era per lo più individuale.

Le bambine, invece, avevano i loro giochi, uno in particolare suscitava la mia attenzione, quello de “sa butteghedda”, che generava un gran chiasso che attirava la nostra attenzione; una di loro era delegata a disporre su un piano della mercanzia, pezzi di legno, pietre, stoffe, carta e cartone, e quant’altro, contrattare e vendere la merce, un gioco semplice, ma che generava grandi discussioni e continue gestualità. Poi amavano giocare ad un gioco chiamato “a casella”, che consisteva nel saltare tra degli spazi preventivamente tracciati in terra col gesso, senza toccarne i bordi. Potrei descrivere ancora una ventina di giochi diversi, sia maschili che femminili, mi viene in mente che allora la fantasia poteva spaziare in mille direzioni, avendo purtroppo a disposizione pochi tipi di oggetti utilizzabili, mentre ora la fantasia dei ragazzi si limita a scegliere gli oggetti utili e acquistarli, mentre noi dovevamo costruirli.

Oggi, se un ragazzo vuole possedere un fucile finto, basta mettersi in tasca qualche lira, ed ecco che l’arma è a disposizione, ma noi dovevamo scegliere un pezzo di legno, sagomarlo nella forma voluta, procurarci degli elastici e delle mollette che le nostre madri usavano per appendere i panni, e assemblare il tutto, ciò richiedeva fantasia e manualità, quella manualità che mi è sempre piaciuto osservare, mentre ora i ragazzi la esprimono solo quando hanno in mano oggetti non costruiti da loro e più sofisticati, con modalità per lo più ripetitive. Il gioco che più mi metteva apprensione, ma che preferivo, perché coinvolgente e pericoloso, era il gioco della “mira”, un gioco che si concludeva solo quando uno dei contendenti restava ferito. La mia contrada, convenzionalmente, è divisa in tre parti, chiamiamoli borghi, uno era quello in cui abitavo io, denominato “de prazz’e cresia”, la piazza di chiesa, poi c’era quello de “sa stazioni”, la stazione ferroviaria, infine quello che giudicavamo più agguerrito e determinato, de “su guventu”, il convento, loro mettevano in campo un senso di appartenenza molto superiore a quello degli altri due borghi, ciascuno di essi aveva la sua squadra di ragazzini, che ricorda le bande così ben descritte dal Molnar, nel capolavoro dei ragazzi della via pal. Se si trattava di fare una partita a pallone, i componenti di una delle squadre dovevano necessariamente appartenere allo stesso borgo, e nel gioco della mira questa regola era ancora più ferrea. Poteva scegliere l’appartenenza solo chi abitava sui confini, che erano però abbastanza ben definiti.

Il gioco consisteva nell’armarsi, ciascun componente, di una determinata quantità di pietre, dalle dimensioni codificate, che non potevano superare una certa grandezza, e lanciarle all’indirizzo della squadra avversaria, a volte si verificavano alleanze, altre volte qualcuno barava sulle dimensioni delle pietre, ed il gioco terminava solo quando qualcuno veniva colpito duramente, in genere quando appariva una ferita che sanguinava. Quando qualche squadra non osservava le regole, o metteva in campo azioni sleali, o sotterfugi non concessi, veniva giudicata da una sorta di tribunale estemporaneo, istituito lì per lì, e la pena era la denigrazione generale. Quel gioco, seppure collettivo, metteva in evidenza il coraggio di ciascuno, contavano anche astuzia e rapidità di movimenti, capacità di stringere alleanze, avevano rilevanza implicazioni logistiche, e una buona dose di informazioni, carpite in tutti i modi possibili e immaginabili.

Tra i nostri passatempi preferiti figuravano altri giochi relativamente pericolosi, tra i quali i furti di frutta in campagna, avevamo la necessità di arrampicarci sugli alberi, e svolgere il lavoro in brevissimo tempo, per non dar modo ai molti contadini che affollavano allora le campagne, di identificarci. Ma ciò, però, avveniva molto spesso, e al rientro a casa, all’imbrunire, qualcuno di noi doveva subire i rimproveri dei genitori, e qualche volta anche le loro punizioni che prevedevano qualche salutare ceffone. Non ricordo, però, una sola volta in cui sono stato punito in modo violento, o brutale, piuttosto dovevo subire restrizioni sulle cose che mi piacevano, prima fra tutte, il divieto di uscire per la sera successiva, mentre qualche mio compagno di marachella a volte si presentava a scuola con evidenti segni sulla guancia. Altre attività a noi gradite erano la ricerca dei nidi di uccelli sugli alberi, o la pesca con attrezzi inadeguati di trote o anguille nei due fiumi che costeggiano il mio paese, e la ricerca di asparagi, fichi d’india o funghi. Ciascun borgo aveva al suo interno una dozzina di gruppi omogenei, ciascuno accomunato da realtà tra le più disparate, il mio gruppo, per esempio, composto da meno di dieci elementi, forse il meno numeroso di tutti, aveva la caratteristica di essere composto da compagni di classe, ed era quasi impossibile accedervi se non dopo una prova, a dimostrazione del fatto che il nuovo arrivato dovesse essere dotato di grande coraggio. Ricordo ancora oggi la prova a cui io stesso fui sottoposto, nonostante facessi parte del piccolo gruppo originario. I miei amici, a mia insaputa, trascorsero tutta la serata in preparazione dell’evento, mettendo in atto strategie volte a mettermi paura, esplicitando i rischi che correvo per la mia abilitazione. Uno di loro, per esempio, raccontò che fu sottoposto alla stessa prova che attendeva me, cioè attraversare il camposanto in una notte senza luna, da solo; fu così che, una volta all’interno, inciampò in un tombino che era parzialmente crollato, e si trovò lungo disteso a far compagnia alle ossa del suo inquilino, un altro uscì terrorizzato a causa di improvvisi bagliori. Inoltre avrei dovuto scappare da casa nel pieno della notte, incorrendo in punizioni da parte dei miei genitori, nel caso fossi stato scoperto. Oltre il coraggio, bisognava avere quindi anche atteggiamenti volti ad eseguire in modo intelligente il compito.

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