venerdì 16 settembre 2022

Il metodo del bastone e della carota nella gestione della finanza pubblica.

NodoallaCorda
Duecentoventidue miliardi. Semplice da leggere no? Questo è l’ammontare del prestito previsto dal recovery plan, cioè uno dei risultati che sono stati presentati a tutti noi dopo l’arrivo di Mario Draghi e la definizione del PNRR. Ebbene sì, ci risiamo; occorre uno strumento per tenere gli stati al guinzaglio come generalmente è stato fatto altre volte, ma le tecniche di comunicazione e il marketing riescono ad avere sempre la meglio. Prima di partire con qualche piccola comparazione, è il caso di ricordarci di cosa stiamo parlando. Curiosando nel sito del Ministero dell’Economia e finanze si può leggere quanto segue in merito al PNRR tanto adorato dai mezzi d’informazione nostrani:

“Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) si inserisce all’interno del programma Next Generation EU (NGEU), il pacchetto da 750 miliardi di euro, costituito per circa la metà da sovvenzioni, concordato dall’Unione Europea in risposta alla crisi pandemica. La principale componente del programma NGEU è il Dispositivo per la Ripresa e Resilienza (Recovery and Resilience Facility, RRF), che ha una durata di sei anni, dal 2021 al 2026, e una dimensione totale di 672,5 miliardi di euro (312,5 sovvenzioni, i restanti 360 miliardi prestiti a tassi agevolati).

Italia Domani, il Piano di Ripresa e Resilienza presentato dall’Italia, prevede investimenti e un coerente pacchetto di riforme, a cui sono allocate risorse per 191,5 miliardi di euro attraverso il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza e per 30,6 miliardi attraverso il Fondo complementare istituito con il Decreto Legge n.59 del 6 maggio 2021 a valere sullo scostamento pluriennale di bilancio approvato nel Consiglio dei ministri del 15 aprile. Il totale dei fondi previsti ammonta a di 222,1 miliardi. Sono stati stanziati, inoltre, entro il 2032, ulteriori 26 miliardi da destinare alla realizzazione di opere specifiche e per il reintegro delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione. Nel complesso si potrà quindi disporre di circa 248 miliardi di euro. A tali risorse, si aggiungono quelle rese disponibili dal programma REACT-EU che, come previsto dalla normativa UE, vengono spese negli anni 2021-2023. Si tratta di fondi per ulteriori 13 miliardi.”[1]

Sembra tutto bellissimo, ma secondo un detto popolare, se una cosa è troppo bella per essere vera, non è vera. Infatti, questo rappresenta un debito per l’Italia e questo è il vero problema, non la soluzione come ormai da mesi cercano di raccontarci.

Tra le righe di tutta l’abbondanza che sembra colare dalle braccia amorevoli della Ue, torna sempre la stessa storia: le condizionalità.

Questo concetto è il vero trappolone, che possiamo leggere come al solito tra le righe, un metodo ampiamente utilizzato spesso con i paesi del terzo modo dal FMI (fondo monetario internazionale) che, in cambio di prestiti, impone scelte di macelleria sociale che portano ad un impoverimento complessivo degli stati caduti in questa tagliola. Questa situazione viene definita simpaticamente assistenza finanziaria dal sito del Ministero degli esteri: “Il Fondo fornisce assistenza finanziaria ai paesi membri per fronteggiare situazioni di squilibrio temporaneo della bilancia dei pagamenti tramite un accordo stipulato con le autorità, volto a definire le misure di politica economica e le riforme necessarie per il superamento della crisi. Nel corso degli anni il Fondo ha sviluppato numerosi strumenti di finanziamento per far fronte alle diverse esigenze dei paesi membri”[2] A chi non verrebbe voglia di farsi prestare qualcosa da loro? Che importa se poi, in cambio di tali prestiti, bisognerà rinunciare alla sanità pubblica o alle pensioni?

Se vediamo il caso della Grecia, l’esempio è ancora più calzante, non a caso il MES (Meccanismo europeo di stabilità), detto anche affettuosamente dagli europeisti più romantici “Fondo salva-stati”, è un altro strumento di natura finanziaria che dovrebbe servire per risollevare le sorti di nazioni in difficoltà. Invece, assistiamo a un sistema che sottopone le stesse a riforme durissime e, sicuramente, ne rappresenta un elemento portante per introdurre un controllo alle politiche economiche interne di questi stati. Insomma, come al solito, oltre al danno la beffa. Per chi avesse ancora dubbi, possiamo leggere un aspetto significativo nel sito istituzionale del Consiglio dell'Ue e del Consiglio europeo: “A seguito della valutazione della Commissione europea, effettuata d'intesa con la BCE e formulata in data 10 luglio 2015, il consiglio dei governatori del MES ha convenuto che poteva prendere il via il negoziato su un nuovo programma di assistenza finanziaria per la Grecia”[3].

In particolare, è da notare che l’esempio della Grecia ha reso impresentabile questo inquietante strumento. Infatti, a quanto sembra, ci sono state delle forze politiche anche in Italia che hanno puntato i piedi quando sono spuntate delle proposte concrete sul suo utilizzo.

Come fare allora? Semplice: si inventa qualcosa di simile, in questo caso possiamo considerare il recovery fund, ed il gioco è fatto.

Il metodo, in parole povere, suona così: "se io ti presto i soldi, dovrai fare quello che decido io".

Sempre nel sito del Mef ecco che spuntano quelle che sembrano apparentemente le  vantaggiosissime e accattivanti condizioni che porteranno benefici incredibili al tessuto economico-sociale italiano: “Il Piano si sviluppa intorno a tre assi strategici condivisi a livello europeo: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, inclusione sociale. Si tratta di un intervento che intende riparare i danni economici e sociali della crisi pandemica, contribuire a risolvere le debolezze strutturali dell’economia italiana”.

Il sistema delle condizionalità nella sua effettiva funzione, cioè sottomettere una nazione sulla base di determinate condizioni, funziona sempre, e porta gli stati coinvolti a riforme che, generalmente, scardinano l’assetto di tutele sociali quali, ad esempio, pensioni e sanità. Non a caso è presente anche nel Recovery plan la tendenza a ridurre il peso delle pensioni di vecchiaia nella spesa pubblica, a quanto pare non è citato espressamente nel testo del recovery ma viene posto un generico riferimento alle raccomandazioni Ue 2019[4].

Una scelta più razionale e meno condizionante sarebbe stata quella del ricorso al debito pubblico, e va ricordato che le aste di titoli di stato italiano hanno degli andamenti più che soddisfacenti. Infatti, il ricorso al debito pubblico, inteso come vendita di titoli di stato, consente allo Stato di impiegare il denaro per le finalità più opportune senza vincoli di condizionalità. A marzo di quest’anno il debito pubblico italiano si è attestato a 2755,4 miliardi ed ha subito una crescita di 18,9 miliardi rispetto al mese precedente[5] . Il problema principale, che non verrà trattato in modo esteso in questo articolo, è dovuto al fatto che l’euro non rappresenta una valuta sovrana emessa dallo Stato italiano, e vi è quindi la necessità di acquisirlo essendo di fatto una moneta estera, e questo rappresenta il principale limite all'utilizzo del debito pubblico come strumento principale per il finanziamento della spesa pubblica.  In conclusione, la mancanza di una vera indipendenza non permette alle nazioni di attuare delle misure volte esclusivamente all’interesse dei cittadini.


[1]https://www.mef.gov.it/focus/Il-Piano-Nazionale-di-Ripresa-e-Resilienza-PNRR/#:~:text=Si%20tratta%20di%20un%20intervento,di%20transizione%20ecologica%20e%20ambientale.

[2]https://www.esteri.it/it/politica-estera-e-cooperazione-allo-sviluppo/organizzazioni_internazionali/fora-organizzazioni-economiche-internazionali/fondomonetariointernazionale/

[3] https://www.consilium.europa.eu/it/policies/financial-assistance-eurozone-members/greece-programme/

[4] https://www.pmi.it/impresa/normativa/358441/fisco-lavoro-pensioni-riforme-e-interventi-del-recovery-plan.html

[5] https://www.ilsole24ore.com/art/bankitalia-debito-quota-2755-miliardi-marzo-19-miliardi-AEvtH1YB

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