Manlio Brigaglia
ilcorriereLa primavera del 1833. Il re savoiardo ordinò la repressione: in pochi mesi 67 arresti e 12 esecuzioni
Il luogotenente «alto e bello di statura» che sfidò la morte
La primavera del 1833. Il re ordinò la repressione: in pochi mesi 67 arresti e 12 esecuzioni
La fucilazione di Efisio Tola che leggeva
«libri sediziosi»
Il luogotenente «alto e bello di statura» che sfidò la morte
Chambéry, capoluogo della provincia della «Savoia propria», 12 giugno 1833. Alle ore cinque del pomeriggio viene fucilato il luogotenente del reggimento di fanteria di Pinerolo, Efisio Tola. Sassarese, «bello e alto di statura », 30 anni compiuti da meno di un mese, è stato condannato a «morte ignominiosa » per «aver avuto tra le mani — dice la sentenza—libri sediziosi, avuto conoscenza di complotti sediziosi e non averli rivelati ai superiori, aver comunicato i detti scritti sediziosi ad altri militari e cercato di procurare partigiani ai suddetti complotti». In realtà, quei complotti sono i progetti «rivoluzionari » intorno ai quali si sono raccolti, nelle principali città degli Stati di Terraferma del Regno di Sardegna (Torino, Genova, Alessandria, Chambéry), piccoli gruppi di giovani patrioti. Tutti toccati dalla propaganda che Mazzini fa, spedendo d’oltre confine stampati, volantini, opuscoli, copie della rivista La Giovine Italia che ha cominciato a stampare a Marsiglia. «Quanti potevano leggerli s’affratellavano», scriverà con orgoglio l’Apostolo nei suoi Ricordi. Quali di questi testi abbia letto e fatto circolare l’ufficiale sardo non si sa; gli atti del processo, celebrato davanti a un tribunale militare, sono fortemente sintetici: i giudici tagliano dritto, non lasciano parlare l’avvocato difensore, ascoltano solo i testimoni d’accusa.
L’accusato, a dire la verità (almeno per come appare negli atti) si era difeso piuttosto blandamente. Alla sentenza, rivolto ai giudici, aveva affermato: «Voi versate un sangue innocente, ma io insegnerovvi come si debba e si sappia morire». E prima della fucilazione: «Né reo son io, né complici ebbi giammai: e se pur ne avessi né il nome sardo né il nome mio farei prezzo di tanta infamia e di tanta viltà». E davanti al plotone d’esecuzione — dice la leggenda della sua vita, più volte raccontata nei tanti libri ottocenteschi sui «martiri della libertà»—si era aperta la camicia per offrire il petto alla scarica.
I «Primi martiri della Giovine Italia». Il primo a sinistra, dal basso, è Efisio Tola |
Efisio Tola appartiene a una famiglia di non grande, ma antica nobiltà: un lontanissimo antenato si era coperto di gloria, quando la Sardegna era spagnola, combattendo sotto le mura di Granada. Una sua discendente avrebbe sposato il medico Francesco («Zizzu») Maria Cossiga, nonno del futuro presidente della Repubblica.
Mazziniani: il secondo seduto da sinistra, Filippo Garavetti, più volte deputato (foto della Biblioteca del Comune di Sassari) |
Enrico Berlinguer, nonno del segretario del Pci |
Soro Pirino non era solo influentissimo. Era soprattutto circondato da un’aura quasi sacrale di stima. Mazzini era suo amico personale: scrivendo ai figli dell’avvocato, Ausonio ed Elvira, li invitava ad amare l’Italia ma anche «la povera, buona e leale Sardegna, che i re hanno sempre tradita e non risorgerà se non sotto bandiera di popolo» (nel 1861, quando si era sparsa la voce, non del tutto inconsistente, di un progetto di cessione dell’isola alla Francia, aveva scritto una serie di articoli molto polemici).
Gavino Soro Pirino |
Nel 1891 i suoi ex allievi vincono le elezioni comunali: Soro Pirino e Manca Leoni, uniti in una lista d’opposizione, sono strabattuti. Eletti, si dimetteranno dal consiglio dopo qualche settimana.
Ormai gli avversari (in Sardegna il «grande nemico» è il cagliaritano Francesco Cocco Ortu, amico di Zanardelli e ministro, più tardi, con Giolitti, colpevole di sacrificare gli interessi della Sardegna a quelli della sua città, poderosamente en marche, come dicono) parlano di Sassari come della «Repubblica sassarese». Quando nel 1899 si dà vita all’Unione popolare, una piccola maison du peuple, che è uno straordinario strumento non solo di alfabetizzazionema anche di indottrinamento politico, gli iscritti arrivano sino a mille.
Ma al referendum del 2 giugno 1946 Sassari sarà la città più monarchica della Sardegna, col 71,7 per cento di voti per il re e 28,3 per cento per la repubblica. Dopo vent’anni di fascismo la «repubblica sassarese» è finita. Meno male che da quel giorno c’è la Repubblica italiana.
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