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venerdì 19 luglio 2019

L’IDEONA DELL’ESPRESSO: ABOLIRE LE FRONTIERE. FACILE PREVEDERE COSA ACCADREBBE.…

L’IDEONA DELL’ESPRESSO: ABOLIRE LE FRONTIERE. FACILE PREVEDERE COSA ACCADREBBE...

Antonio Socci
Sa Defenza 




“L’Espresso”, il magazine di De Benedetti, distribuito con “La Repubblica”, ha avuto un’ideona. Una pensata così geniale e risolutiva che ci si chiede perché mai – nella storia dell’umanità – non si sia escogitata prima.

Sta nella copertina dell’ultimo numero: “Le frontiere uccidono… l’unica speranza è un mondo libero dai confini”.

Non è meraviglioso? Non vi pare la pensata del secolo o addirittura del millennio? A ispirare questa geniale copertina è l’antropologo Michel Agier, intervistato dal settimanale (il titolo della conversazione è: “L’unica speranza per il mondo è liberare i confini”).

Agier è l’autore del libro “La Giungla di Calais”, uno studio di quell’immensa distesa di tende e baracche che si è formata, davanti al Canale della Manica, sulla costa francese, dove nel 2016 vivevano più di 10 mila migranti.

Questo intellettuale – dall’astrazione ideologica facile – sostiene “la libera circolazione delle persone”, “l’ospitalità come regole giuridica” e afferma che “se oggi (le frontiere) fossero aperte avremmo una situazione molto più pacifica”. E “L’Espresso” sposa questa surreale utopia facendo la copertina che si è visto.

Basta rifletterci un attimo per capire cosa accadrebbe. Lo Stato d’Israele, per esempio, sparirebbe, circondato com’è dall’odio arabo e dall’estremismo islamico (tanto è vero che in questi anni, per proteggersi, ha dovuto erigere un formidabile muro in Cisgiordania).

Ma la stessa cosa vale per l’Italia e per l’Europa. Basti considerare l’afflusso irregolare di centinaia di migliaia di persone degli ultimi anni: se abbattessimo davvero le frontiere e fosse possibile emigrare liberamente, a proprio arbitrio, l’Italia diventerebbe la banchina di sbarco di milioni di persone solo dall’Africa (continente di un miliardo e 200 milioni di abitanti).

Con effetti devastanti non solo per l’Italia e l’Europa, ma anche per l’Africa stessa. Sarebbe il caos. La stessa cosa si può facilmente immaginare per gli Stati Uniti.

Non si capisce, del resto, per quale motivo si dovrebbero abbattere le frontiere spazzando via, così, gli Stati e anche i popoli stessi con le loro identità.

Agier accenna ai morti nel Mediterraneo in questi anni di immigrazione irregolare. Tuttavia nessuno ha ancora risposto al ministro dell’Interno Salvini il quale, citando i dati  dell’Unhcr, ha mostrato il crollo del numero di vittime da quando si è fatta una politica di blocco delle partenze.

D’altronde è facile immaginare che un sommovimento gigantesco di milioni di persone verso l’Europa, da Africa e Asia, sarebbe tanto traumatico da provocare reazioni, rivolte e guerre civili davvero tragiche per moltissimi anni.

Basta un minimo di realismo per rendersene conto. Ma certi intellettuali e certe aree politico-ideologiche sembrano vivere lontano dalla realtà. Ed è per questo che sia la sinistra immigrazionista che papa Bergoglio, eludono sempre la domanda: “quanti?Quanti immigrati vorreste far entrare prima di chiudere le frontiere?”

Nel loro mondo immaginario c’è un Eden simile alla vecchia utopia ideologica degli anni Settanta a cui John Lennon dette voce col brano “Imagine”, del 1971, il quale rappresenta – come ha scritto Eugenio Capozzi nel libro “Politicamente corretto”– “l’inno ufficiale del pacifismo… uno dei monumenti del catechismo politicamente corretto, ancora oggi imprescindibile collante emotivo e propagandistico”.

In quella canzonetta – tuttora celebrata – c’è già disegnato quell’Eden. Essa, osserva Capozzi, “elenca in maniera chiara quali sono i mali che bisognerebbe rimuovere per restaurare quella condizione: la religione trascendente e le Chiese (‘no heaven’, ‘No hell below us’, ‘Above us only sky’, ‘no religion’…), le nazioni (‘no countries’, ‘Nothing to kill or die for’), la proprietà (‘no possessions’,  ‘No need for greed or hunger’). In pratica, i fondamenti della modernità euro-occidentale. Con una intuizione fulminante, Lennon si sintonizzava sulla stessa lunghezza d’onda del dilagante ripudio dell’eredità dell’Occidente”.

Il cantante riprendeva “in pochi icastici versi tutta l’eredità delle utopie di liberazione, da Rousseau a Marx fino al terzomondismo e alla rivolta hippie: comunione dei beni, secolarizzazione integrale, sradicamento di ogni identità politica e culturale sono… le chiavi per l’accesso (o meglio per il ritorno) a una naturale fratellanza”.

L’esito della stagione hippy degli anni Settanta è nota ed è stato tutt’altro che paradisiaco. La sua perfetta caricatura si può trovare in Ruggero, il comico “figlio dei fiori” di “Un sacco bello”interpretato da Carlo Verdone, quello che si avventura nella campagna e vede che “un sacco di fiori si aprivano al mio passaggio” e “un sacco di uccelli scendevano dagli alberi per parlarmi”.

Con il santone che gli dice “Love, love love!”, che passa la notte con lui “sotto questa frasca” e lo indirizza a “un grandissima casale bianco con una grandissima piscina dove un sacco di ragazzi di tutto il mondo stanno formando una grandissima comunità… ragazzi un sacco simpatici, cileni rhodesiani, tedeschi inglesi… tutta gente che aveva fatto un certo tipo di scelta: la scelta dell’amore”.

L’altra realizzazione, stavolta tragica, di quell’utopia “universalista”è stata il comunismo sovietico, con la guerra a tutte le identità nazionali e religiose (oltreché alla proprietà privata)e la deportazione di intere popolazioni nella prospettiva di un mondo tutto sovietizzato e – a quel punto – davvero “senza confini”. Tutto profondo rosso. Senza altri colori.

L’Urss non c’è più. Né gli hippy. Cambiano le ideologie e i tempi. Ma resta qualcosa di inquietante anche nelle nuove utopie ideologiche.

Si ha la sensazione che dietro tutto questo “amore” per le migrazioni di massa – che viene proclamato anche negli alti organismi internazionali– si possa cogliere   un’inconfessata ostilità per le nazioni e le identità, un’utopia “ecumenica” che porta all’appiattimento di ogni diversità e storia. 

Sarebbe un futuro inquietante, certamente tragico e non prospero.

Antonio Socci
Da “Libero”, 15 luglio 2019

*****
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mercoledì 22 maggio 2019

Lettera aperta a Matteo Messina Denaro. ''Davvero vuole finire così?''

Lettera aperta a Matteo Messina Denaro. ''Davvero vuole finire così?''

Chris Barlati
Sa defenza 




Giusto fino ad un mese fa non si faceva altro che parlare di Matteo Messina Denaro. Per quale motivo?
Non è un caso che si smetta di parlare del ''mafioso'' più ricercato d'Italia, se non d'Europa, prima delle elezioni europee.

La storia di Messina Denaro è un romanzo dell'incredibile. Miliziano di prim'ordine di Cosa Nostra, Messina Denaro diventa il referente nazionale della Falange Armata, l'organizzazione terrorista che mosse guerra allo stato Italiano, uccidendo Falcone e Borsellino e che conquistò non solo il mercato economico del nuovo mondo globalizzato, ma il mondo della politica nazionale.

Il contesto storico
Ricordiamo tuttavia un evento di fondamentale importanza: con il crollo della prima Repubblica e le bombe che segnarono l'inizio della Seconda, una nuova struttura, del tutto aliena alla vecchia comprensione di cui poteva disporre il potere politico, iniziò ad insidiarsi nei meccanismi decisionali dello Stato. Tra questi, massoneria, 'Ndrangheta, Cosa Nostra, finanza vicino all'ala di De Benedetti, le strane politiche del post Pc in senso liberista, si unirono in una commistioni all'allora indefinibile.
Gli unici che riuscono a scorgere la fisionomia di tale chimera furono Falcone e Borsellino. Altri, come il pool di Milano e, nella fattispecie di Di Pietro, vennero usati, tanto che resosi conto della reale pericolosità della situazione, decisero di allontanarsi per sempre dal mondo della magistratura senza più nulla tentare per timore di una definitiva ''liquidazione''.
I ''sopravvissuti'' della politica, i vari post comunisti successori del Pci, insieme ad una sparuta minoranza di socialisti, divennero implicitamente parte del nuova sistema(vuoi per ignoranza, o per quieto vivere).
Resistenze non ve ne furono, a parte lo stupido tentativo dei socialisti craxiani e Dc andreottiani di ergere Berlusconi a Homo Novus e referente politico del nuovo divenire, con l'intento di ''assorbire'', nel modo meno traumatico possibile, lo shock dell'inevitabile trasformazione, impedendo così la diluizione della politica italiana in un mero agglomerato di interessi e proiezioni economiche e finanziarie.

Chi è(era) il ''dritto''. Una nuova trattativa all'orizzonte?
E' questo il contesto in cui Matteo Messina Denaro assume il ruolo di referente dell'ala militare della Falange Armata, ovvero di quella chimera composta da Mafia, parte della 'Ndrangheta, sezioni filo atlantiche dei Servizi Segreti e massoneria finanziaria.

Storia insegna che, ogni qual volta un nuovo governo voglia praticare un po' di politica, senza la ''benedizione'' di questa invisibile ma presente entità, si corra matematicamente il rischio di inaugurare una nuova stagione di bombe, attentati o di inchieste giudiziarie riguardanti i reati più indicibili(i più comuni sono di finanziamento illecito e sessuali). Tutti i precedenti governi hanno lanciato messaggi di distensione nei riguardi di tale sovrastruttura.

Forniamo alcuni esempi:
  • Berlusconi:
Il buon vecchio Silvio ha vissuto per oltre un ventennio da giocatore di primo piano nella vita politica ed economica del Paese. Tramite dell'Utri, suo vecchio amico di Università, ha potuto avvicinarsi a Cosa Nostra e rendersi ''credibile'', di conseguenza, agli occhi della finanza falangista(di cui Cosa Nostra era la componente maggioritaria). E' qui che il sogno del ponte sullo stretto di Messina, chiaro segnale di distensione nei confronti della criminalità, prende avvio. In quel periodo, qualsiasi criminale poteva trarre sostegno ed impunità facendosi eleggere come senatore o deputato di Forza Italia(vedi Cosentino). E l'incessante ritorno al tema del Ponte costituiva ad ogni tornata elettorale un messaggio di rinnovata amicizia nei riguardi della succitata organizzazione.

  • Renzi:
Dopo il crollo della destra in Italia, e prima dell'affermarsi del Movimento 5 stelle, il potere è passò alla ''sinistra'', l'ala atlantica del nazismo finanziario. Anche Renzi, come Berlusconi, corteggiò infinite volte la Falange con la sua intenzione di voler proseguire l'operato di Berlusconi: in primis, il Ponte e, a seguito, privatizzazioni, deregolamentazioni, precariato e concessioni di territori nazionali(Mar di Sardegna).

  • Governo giallo verde.
Sia Salvini che Luigi di Maio non hanno sprecato una sola parola nei riguardi del super latitante Messina Denaro. Basterebbe scrivere ''Salvini/Di Maio'' con ''Messina Denaro'' su google per rendersi conto dell'inesistenza di qualunque trattazione od argomentazione spesa dai due ''super ministri''. Ritroviamo sorprendentemente ed unicamente le affermazioni di Cafiero de Raho, uomo stimato dal defunto pentito Carmine Schiavone, che si lascia andare a dichiarazioni sconcertanti, quasi stupide, che ''non gli appartengono'' data la sua brillante e professionale carriera nell'antimafia(nonché stando alla stima nutrita nei suoi confronti dall'ex boss dei Casalesi).

Caro De Raho, le parole sono importanti
''Arresteremo Messina Denaro'', ''Abbiamo tagliato le reti che lo supportavano'', ''La sua cattura è questione di tempo''.
Tempo fa De Raho aveva pubblicamente annunciato che la Direzione Nazionale Antimafia aveva sventato la formazione di una nuova cupola mafiosa a Palermo, sul punto di riformarsi a seguito della morte del ''capo dei capi''. Tale assurdità è stata il prologo di una serie di scivoloni che non sono certo il prodotto dell'intelletto di Cafiero de Raho, ma che trovano bensì spiegazione in una sua ipotetica strumentalizzazione ad opera del governo in carica; governo che sembra inviare al ''referente'' della Falange un inequivocabile messaggio: ''Accordiamoci''.

5 Stelle e Lega. Una nuova Trattativa
Quando si vuole arrestare qualcuno, lo si fa e basta. Non lo si avvisa. Ciò lo allarmerebbe e gli permetterebbe di fuggire. Quando nei passati anni '90 si dichiarò in pubblico l'imminente arresto di Riina, quest'ultimo comprese chi e come l'avesse 'venduto'. La storia è la narrazione di un procedere universale chiamato 'tempo', che si ripete in forme diverse ma con attuazioni analoghe.

Perché si decide, in questo caso, di ''allarmare'' il mafioso più importante del mondo? Colui che, alla guida dell'esercito di ''Cosa Nuova'', commistione tra Cosa Nostra e 'Ndrangheta, gestisce e permette l'entrata in Europa dell'intero mercato della droga atlantica? Colui che, molto probabilmente, assieme alle sezioni ''deviate'' dei servizi segreti ha preso accordi per impedire attentati in Italia in cambio di un ''ragionevole'' traffico di armi e di rifiuti nucleari con i paesi del Medio Oriente, in perfetto stile ''Lodo Moro 2.0''?

Risponderemo qui di seguito.
Si allarme un personaggio di tale calibro perché:
  1. Si vuole dargli un avviso, ''attenzionarlo'', per rimetterlo in riga;
  2. Si vuole lanciare un messaggio, in modo che possa essere il solo ed unico a poterlo comprendere;
  3. Si vuole salvare il latitante da un omicidio interno, offrendogli un ''armistizio'' o ''protezione'', arrestandolo.

I contesti, naturalmente, cambiano a seconda dell'opzione.
Per il punto 1, storia criminale ci insegna che, qualora un Riina si avvicini alla fine, sorga sempre un Provenzano pronto a consegnarlo alle forze dell'ordine, non per tradirlo, ma per offrire un capro espiatorio alla pubblica opinione e procedere ad una ''distensione'' tra i due mondi: quello formale, pubblico, della politica, e quello oscuro, dei sporchi meccanismi dello Stato e dell'interazione tra servizi e criminalità. Ad ogni Provenzano succederà un Messina Denaro, e così via...

E se davvero ne capissero qualcosa di politica?
Lega e 5 Stelle potrebbero aver ideato consapevolmente tutto ciò, consci del lento ma inarrestabile divenire multipolare europeo, cambiamento che richiede, come sempre, una riformulazione degli equilibri esistenti tra strutture statali e sovrastrutture irregolari.

Proprio come accadde in Europea quando crollò il muro di Berlino, la necessità di ''aggiornare'' la ''gestione'' della Cosa Pubblica in senso finanziario ed ultraliberale(a suon di bombe ed omicidi di ''Stato'') divenne prioritaria: vitale. Allo stesso modo, 5 Stelle e Lega, da ottimi prevenuti, potrebbero aver anticipato eventuali offerte, lanciando per primi il loro messaggio alla ''stanza dei bottoni'': ''Siamo qui, a vostra disposizione, ma abbiamo il coltello dalla parte del manico. Caro Messina Denaro, o sei dei nostri o faremo di tutto per delegittimarti e farti eliminare dalla stessa organizzazione di cui fai (o facevi) parte''. Se così fosse, tanto di cappello nei confronti degli strateghi della Lega e dei 5S. Ciò spiegherebbe anche il perché del silenzio del ''capitano'' Salvini su argomenti quali 'Ndrangheta, Servizi Segreti e massoneria deviata, assieme al menefreghismo dei 5S che ha fatto, in passato, della trasparenza il suo cavallo di battaglia(l'esponente più rude, a tal proposito, era Alessandro Di Battista, silurato in fretta in furia, guarda caso in vista delle elezioni europee).

Ora tutti europeisti
Per il punto 2, M5s e Lega hanno, altra casualità, abbracciato un europeismo fatto di santini, figurine della madonna e richiami a qualsiasi entità che potesse loro fornire consensi. Chiesa, criminalità, mercati finanziari ecc... Una politica priva di dignità, insomma, al limite del ridicolo, di cui il nuovo Governo vuole farsi incarnazione. In questo mese che ha preceduto, e precede, le votazioni, la questione ''Messina Denaro'' ha perso di significato. Potremmo interpretare questa 'casualità' come un tentativo preparatorio in vista delle europee, o come un obiettivo temporaneo raggiunto, in parte, nella propria realizzazione. Nel senso: ''Caro Messina Denaro, se hai capito il messaggio vediamo chi vincerà queste elezioni e se ci saranno problemi. In base ai risultati, poi, ragioneremo.''
Naturalmente, le mie sono supposizioni. Ma ricordiamo che il santino sta alla Chiesa come l'europeismo ai mercati finanziari ed il silenzio al consenso mafioso...

No trattativa Stato-Mafia, ma Falange-Governo
Il punto 3, rifacendoci all'intricata cronologia della trattativa tra Stato e Mafia degli anni '90, ha del concreto ed è attinente con l'odierna evoluzione degli eventi politici nazionali ed internazionali. Sappiamo di per certo che senza quella ''sezione'' dei ''servizi'' segreti italiani, che oramai detiene il potere nell'ambito decisionale politico ed economico, sarebbe impossibile governare, a meno che non si vogliano rischiare bombe, scandali, intercettazioni e finanziamenti illeciti.

Definito il contesto nel quale si è avallato ''l'avviso di arresto'', seguo con le domande al signor Denaro, speranzoso che possa leggerle e che possa rispondere magari con un ''papello'' scritto di suo pugno ed inviato ai maggiori quotidiani nazionali(nel dubbio, a quotidiani minori siciliani, o al giornale LA VOCE DELLE VOCI, di cui stimo l'operato ed i collaboratori. Link http://www.lavocedellevoci.it/):

Lettera aperta a Matteo Messina Denaro. ''Voleva davvero finire così?''
Caro signor Messina Denaro,
Non mi interessa conoscere i come, i dove ed i perché. E' inutile domandarlo, e sono sicuro che solo gli stupidi pretenderebbero di avere certe risposte. Carmine Schiavone informò Cafiero de Raho degli ''inconfessabili segreti'' pervenuti da suo padre quando questi si trovava in cella con il boss casalese. E sappiamo bene che De Raho si guarda bene dal raccontarli. Molte delle dichiarazioni di Schiavone sono adesso nelle mani dei servizi belgi. Quest'ultimi hanno la strana predisposizione nell'accogliere, tra le loro braccia, uomini della criminalità della provincia di Caserta e Salerno, che si sono distinti nel loro agire, cambiandogli connotati ed identità. Ma non voglio domandarle questo. Le mie domande riguardano le sue intenzioni. Le passate, ovvio. Il suo lato ''umano'' ed ''intellettuale''. Mi spiego meglio:
  1. Quando iniziò a mettere a fuoco i contorni del nuovo divenire, si rese conto che si sarebbe circondato di persone meschine, inutili e senza un minimo di anima? Gente che, condannata alla depravazione del denaro e della cocaina, in nulla e per nulla avrebbe potuto attuare i suoi ''ideali'' di crociato mafioso?
  2. Non si sente usato da quel mondo che ha contribuito a creare? Pensa davvero che la sua proiezione, in tale microcosmo, possa tuttavia influenzare la realtà circostante in maniera ''positiva''?
  3. Pensa davvero che ci siano persone incapaci di percepire quella verità che viene ridicolizzata e mistificata da esseri di infimo valore presenti nelle istituzioni e nelle megacorporazioni mediatiche?
  4. La storia si ripete, e si sta ripetendo anche per Lei. Di sicuro era preparato a tutto questo, poiché lei è, come direbbe Riina, uno ''dritto''. Pensa sia arrivato il momento di raccontarci un po' di Lei? Non dei suoi segreti, ma della sua persona. Un racconto, e non una confessione, di ciò che fu. La chiamano ''Svetonio'', ma preferire la chiamassero ''Petronio'' o ''Marziale'', poiché ''la nostra pagina sa di uomo'', e mi piacerebbe leggere una sua di pagina, anche una sola, che descriva la situazione di questi anni. Se la sentirebbe? Prima che l'arrestino o che la facciamo scomparire per sempre?
Con affetto
Chris Barlati

*****
https://sadefenza.blogspot.com/2019/05/lettera-aperta-matteo-messina-denaro.html

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sabato 1 dicembre 2018

"Storie di Prima Repubblica"

"Storie di Prima Repubblica"  

Sa Defenza 


Chris Barlati
Chris Barlati è un collaboratore attivo per Sa Defenza che ama scrivere su temi quali Servizi Segreti, interessi finanziari e, più in generale, politica internazionale. Il
multipolarismo è sempre stato il suo principale interesse, ma questa volta ha ben pensato di scrivere un libro inerente la Prima Repubblica.

In un periodo di rifacimenti, nostalgie e definizioni errate della politica, il nostro collaboratore ha tentato di ristabilire i vecchi significati degli schieramenti, nonché

terminologie quali "destra" ,"sinistra";"criminalità" e "sovranità". Incontrando personaggi un tempo detentori dei meccanismi decisionali del nostro Paese, Barlati
ha potuto conoscere, parlare, discutere degli eventi, le strategie ed i segreti che hanno cambiato per sempre le sorti d'Italia. "Storie di Prima Repubblica" è il risultato di un percorso di studi che parte da una semplice tesi di laurea, ma che approda alla rielaborazione dei principali misteri d'Italia, nonché degli omicidi di Falcone e Borsellino, per offrire una verità che ancora oggi deve essere metabolizzata dalla pubblica opinione e che svela l'esistenza di chi si è sempre celato dietro Cosa Nostra, Gladio, Uno Bianca e le privatizzazioni postume al crollo del muro di Berlino. Abbiamo così deciso di intervistare il nostro collaboratore e di porgli alcune domande.


Partiamo Subito con la prima domanda. Mani Pulite fu un'operazione d'oltre oceano?

«Mani Pulite fu una conseguenza del crollo del Muro di Berlino. Le inchieste della
magistratura rappresentano il naturale divenire delle indagini allora in corso che,
non essendo più ostacolate dalle manine atlantiche, manine abituate agli omicidi ed
alle destabilizzazioni, poterono scardinare l'intera struttura dirigente. Mani Pulite
deflagra anche in Giappone, Francia, non solo in Italia e in maniera del tutto simile.
Mani Pulite, in sintesi, è una delegittimazione dei vecchi sistemi politici, protrattasi
a livello internazionale.»

Per quale motivo ciò avviene?

«Perché non ha più senso difendere e sostenere un immenso e dispendioso esercito
anti comunista. Mi riferisco alla Dc, al Psi e all'immunità di cui godeva l'Italia, come
altri paesi, sia nei rapporti con la mafia che per i numerosi finanziamenti illeciti.
Dunque, il ragionamento fu allo stesso tempo economico e politico. Diciamo che la
presenza statunitense, in questo caso, si esplica attraverso il proprio non intervento.
Mi spiego meglio: mentre in passato l'alleato era pronto a coprire eventuali
compromissioni, sia con l'utilizzo di qualche agente spregiudicato, sia con qualche
finanziamento ad personam, da quel momento in poi nessuno più si attivò a difesa dei
vecchi alleati. Anzi, ben accetta fu la scoperta di tutte le tangenti afferenti il Psi o la
Dc. Per eliminare l'oramai inefficiente e corrotta macchina pentapartitica, si pensò di
lasciar fare alla magistratura il suo corso naturale. Socialisti e democristiani inoltre
avevano fin troppo infastidito con la loro politica filo araba inglese e statunitense. Lo
stesso Andreotti con la sua equidistanza si era messo in cattiva luce, irritando le 
intelligence anglosassoni e francesi.»

Quale fu il ruolo di Gladio nella prima Repubblica, nell'omicidio di Falcone e

Borsellino e nei confronti dell'Unione Sovietica?
«Gladio ufficialmente fu un apparato militare di intervento dedito alla prevenzione di
ogni possibile minaccia sovietica. Lo studio di Gladio era principalmente di natura
programmatica e strategica, e solo nel peggiore dei casi d'attuazione di guerra non
convenzionale. Alcuni critici collegano una partecipazione Gladio al rapimento e
omicidio di Aldo Moro, mentre dal mio punto di vista ciò non avrebbe avuto molto
senso nella seconda ipotesi. Vada pure, per assurdo, la validità del rapimento, ma
illogico si configurerebbe l'omicidio, per un aspetto di fondamentale importanza:
Moro era stimato ed amato dai Servizi italiani, da quegli stessi Servizi che
continuarono ad osservare fedelmente il patto con i palestinesi per il trasporto di armi in
territorio italiano in cambio dell'assenza di attentati (il cosiddetto Lodo Moro). Un
omicidio Moro avrebbe generato un guerra interna agli stessi Servizi, a meno che
quest'ultimi non fossero stati ingannati da altri servizi meglio preparati e con
maggiori dotazioni. Ricordiamo che il democristiano Galloni solo recentemente ha
parlato della presenza di truppe israeliane all'interno delle Brigate Rosse. Dunque,
quest'ipotesi si rende leggermente più credibile rispetto all'esclusiva partecipazione di
Gladio, o meglio nell'omicidio dello statista.
Nei riguardi di Falcone e Borsellino non abbiamo molte prove per dubitare di Gladio.
Basandoci su di un collegamento di fatti, e non di opinioni, dobbiamo escludere la
partecipazione diretta dell'organizzazione, poiché sciolta completamente e sotto i
riflettori della pubblica opinione già nel 1990. Potremmo invece ipotizzare arruolamento di alcuni suoi componenti fanatici di estrema destra, la cosiddetta Gladio Nera, nelle fila della Falange armata, poiché vicini per ideologia ad alcuni esponenti della criminalità organizzata e della P2.»

Una Gladio all'nterno di Gladio?

«Gladio, per quanto "Stay Behind", fu pur sempre un apparato militare italiano,
dunque suscettibile anch'essa di sviste e goffaggini all'italiana, nonché di
infiltrazioni e manipolazioni. Non sono rari casi di analogie tra esponenti della
criminalità, figure massoniche ultra atlantiche e militari di apparati segreti.
Ricordiamo che tutti i maggiori attentati di quel periodo vennero rivendicati dalla
Falange Armata, in una non casuale confusione di chiamate fatte da sedi dei servizi
segreti e da voci marcate dai più disparati dialetti ed accenti stranieri. Se poi
volessimo citare Elio Ciolini, terrorista nero che seppe predire le azioni falangiste, o il
pentito Messina Denaro, padre di Matteo Messina Denaro, che per primo parlò di una
commistione tra mafia e massoneria, entriamo in un circuito composto da terroristi
neri, criminalità organizzata e massoneria. Tutte entità che ebbero in comune il
medesimo interesse: divenire decisori della nuova politica italiana.»

Se non sbaglio fu questa l'ossatura della Falange Armata.

«Esatto.»

Quindi, se non direttamente ci fu sempre una partecipazione esterna?

«Assolutamente, sì. Gli esplosivi, le tecniche d'azione militari, il radiocomando nel
citofono della madre di Borsellino, l'elicottero che sorvolò le strade al momento degli
attentati, strane figure viste e riviste in più di un'occasione: se non mercenari,
sicuramente personaggi assoldati da interessi non prettamente nazionali.»

Come è stato possibile che personaggi quali Cossiga od Andreotti non si resero

conto di ciò che stava accadendo?
«Andreotti non venne mai seriamente indagato, al massimo i suoi Pomicino e
Vitalone pagarono le conseguenze della sua condotta. Cossiga, ex amministratore
politico della Gladio, poté parlare in futuro liberamente, e senza remore, dei più
oscuri segreti di Stato. Pensiamo ai premi carriera per gli ottimi impiegati che rifilano
dopo un quasi decoroso licenziamento...
Sicuramente i due democristiani compresero che piega stesse prendendo il divenire
nazionale, ma non poterono opporre significative resistenze, poiché impossibilitati.
Andreotti puntò su Berlusconi e sul tentativo di conservare una radice culturale
politica della Prima Repubblica, così da rallentare il processo di svuotamento e
finanziarizzazione. Cossiga, invece, si ritirò a vita privata, dedicandosi sì alla politica,
ma al racconto degli inconfessabili segreti. Spazi d'azione, concessi, come ho detto,
poiché in fondo i due avevano ubbidito bene ai loro padroni sino all'ultimo momento.
Di una loro partecipazione diretta negli omicidi dei Giudici e nella strategia della
tensione, è difficile dire. Ma di sicuro non si sono opposti al cambiamento. Hanno
cercato solo di mitizzarlo. Come sempre hanno fatto.»

Che ruolo ebbe Di Pietro? Si vocifera di tutto, dall'essere un agente della Cia ad

un agente di Andreotti.
«Vi è un ottimo articolo, scritto dal direttore Andrea Cinquegrani, uomo che stimo
moltissimo e che reputo un'eccellenza del giornalismo italiano, che mette in risalto
tutte le sfaccettature del caso Di Pietro. L'articolo è rintracciabile su internet al nome
di "Di Pietro chi?".
Ho avuto il piacere di guardare Di Pietro negli occhi, di riderci e scherzarci, ed anche
di parlare in dialetto. Di Pietro, posso affermare, è stato implicitamente aiutato da
quel sistema che poi ha deciso di farlo cadere. Il carisma di Di Pietro e la sua volontà
di dirigere una Mani Pulite Internazionale è stata, indirettamente, l'incarnazione delle
stesse forze che hanno poi benedetto il governo Berlusconi per poi successivamente
delegittimare Mani Pulite e l'operato del PM Di Pietro, in sintesi, è stato una pedina
poco consapevole, come tutti in quel momento, delle reali direzioni che stava
assumendo la politica italiana. Il futuro leader dell'Italia dei Valori venne invitato
anche negli U.S.A. e sarebbe interessante conoscere per filo e per segno i contenuti di
quelle conversazioni, ma noi curiosi sappiamo per certo che non furono altro che
tentativi di carpire le intenzioni del magistrato, nonché la profondità raggiunta dalle
inchieste di Mani Pulite. Una volta stabilizzatosi il sistema, iniziano gli attacchi della
magistratura al pool di Milano. Non solo nei confronti di Di Pietro, ma di Gherardo
Colombo e di tutti i suoi componenti.
Per le ipotesi di Cia, Fbi o agente di Andreotti, tutto è possibile. Specialmente nella
prima Repubblica. Ma su questo non posso affermare niente, poiché non ho studiato
nello specifico il caso. Tuttavia consiglio la lettura di "L'odore dei soldi" di Elio
Veltri, autore a cui ho dedicato in primis la tesi di laurea e poi questo libro.»

Nel tuo libro poni l'accento su di un'ipotetica trattativa tra mafia e quella che tu

definisci "corrente De Benedetti". Pensi sia tutt'ora valida?
«Autori come Travaglio lasciano intendere che i politici della sinistra democristiana
abbiano trattato con la mafia servendosi di esponenti dell'arma dei Carabinieri.
Dovremmo avere il coraggio di definire ciò che è empirico, ovvero che la sinistra Dc
aspirava da sempre alla guida del paese, anche in virtù di una sua posizione di
apertura a sinistra. E sembra inoltre strano che De Mita, capo corrente della sinistra
Dc, non avesse conoscenza delle azioni dei suoi sottoposti. Come ha potuto uno come
De Mita non conoscere i polli del suo recinto?
Non solo la sinistra Dc, ma anche la sinistra ebbe un ruolo non trascurabile. Vengono
fatti nomi quali quelli di Violante e De Gennaro, rispettivamente politico ed
esponente del mondo di polizia. Le accuse mosse verso quest'ultimi sono di
faciloneria, incompetenza ed omertà. Come verrà espresso nel libro,  l'isolamento di
Borsellino da parte della sinistra culminerà non con la sua morte, ma con le bombe di
San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano, secondo alcuni messaggi rivolti a
Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini. Cose strane, certo, non prove, ma
collegamenti di fatti, non complotti. Bisognerebbe guardare a sinistra e non solo alla
Dc per la trattativa Stato-Mafia, poiché se una delle due fazioni politiche avesse
avuto intenzione di salvare la vita dei giudici, l'avrebbe fatto. In passato sono stati
sventati colpi di stato grazie al Pci, alzando solo una cornetta telefonica. Figuriamoci
salvare la vita di un giudice quando questi già è stato oggetto di minacce.»

Ultima domanda. Perché le dediche a Veltri e Giannuli?

«Originariamente, Storie di prima Repubblica nasce come un lavoro di tesi di laurea.
L'idea me la diede Aldo Giannuli, che volli incontrare per ricevere consiglio.
Naturalmente io ho stravolto il progetto originario, mettendoci del mio. E devo dire
che il risultato finale non è stato affatto male. Non potevo non affrontare il tema
stragi di stato poiché tuttora ritengo sia strettamente connesso al passaggio Prima-
Seconda Repubblica. E spero che se un giorno il proff. Giannuli leggerà il mio libro,
non la prenderà a male.
Per quanto riguarda la dedica ad Elio Veltri, mi sono ispirato molto a lui. Il suo modo
di raccontare la storia è simile, per aspetti, a quello di Montanelli. Indro Montanelli,
nella sua storia d'Italia, critica, giudica ed analizza spietatamente personaggi, luoghi e
circostanze. Veltri le chiarifica e le spoglia delle sofisticazioni. Grazie a Veltri ho
scoperto un nuovo modo di leggere la storia e di definire la politica passata e
corrente. Non a caso mi definisco un "socialista Veltriano".
Per la "simpatia" delle interviste ho pensato che non bastasse riadattare i contenuti e
stilare le necessarie definizioni, già presenti in forme diverse, e con diverse
argomentazioni, negli innumerevoli libri degli autori della vecchia classe dirigente.
Storie di prima Repubblica è un libro per i ragazzi che vogliono conoscere il vero
significato dei concetti della politica. E'  un libro pensato per chiarire e per spiegare,
non per romanzare. Quello lo lasciamo fare ai politici della Seconda Repubblica. Per
quelli come me conta sì il politichese, ma la fede nei confronti della verità, del
proprio Paese e della memoria storica che andrebbe preservata ad ogni costo.»

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https://sadefenza.blogspot.com/2018/12/storie-di-prima-repubblica.html


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