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sabato 1 giugno 2019

IL PRIMO ” PUTSCH DEGLI ONESTI”

IL PRIMO ” PUTSCH DEGLI ONESTI”



E’ stato nel numero  del 3 febbraio 1993 di “L’Italia Settimanale”, direttore Marcello Veneziani, e per cui lavoravo anch’io. L’articolo rivelava per primo che meno di un anno prima, il 2 giugno 1992, “a bordo del regio yacht Britannia (che si trova “per caso” nelle nostre acque territoriali) dei rappresentanti della BZW (la ditta di brocheraggio della Barclay’s), della Baring   § Co., della S.G. Warburg , e  dai nostri rappresentanti dell’ENI, dell’AGIP, di Mario Draghi del  ministero del Tesoro, Riccardo Gallo dell’IRI, Giovani Bazoli dell’Ambroveneto, Antonio Pedone del Crediop e da alti funzionari della Comit, delle Generali e della Società Autostrade [danno] il via alla svendita dello Stato. Prime vittime annunciate, i patrimoni industriali e bancari più prestigiosi.  Il nome dell’operazione èprivatizzazione”. Formula magica presentata alla collettività come unica cura per risanare la nostra economia e che invece  nasconde un business di proporzioni incalcolabili […] fra le famiglie del capitalismo, banche e signori della moneta. Accordi e strategie politiche ben precise: scippare agli Stati,  considerati un inutile retaggio del passato e un odioso freno la globalizzazione del mercato, la sovranità monetaria”.
Che ve ne pare, come attualità, ora che Mario Draghi torna venerato a qualche massima carica che è stata approntata  per lui? Traggo queste righe  dal libretto di Michele Rallo, “La Crociera del Britannia”, Dino Grammatico Edizioni, per un buon motivo. Rallo, di Trapani, che è stato deputato di Alleanza Nazionale per due legislature dal 1994 al 2001, ebbe la dignità civile di fare quattro interrogazioni parlamentari per sapere cosa s’era deciso sul Britannia: quattro interrogazioni  al governo Amato, al governo Ciampi, al governo Berlusconi. Senza mai ottenere risposta.

Attenzione alle date, consiglia giustamente Rallo:   i media erano  pieni dello scandalo di Mani Pulite (cominciato a febbraio  ‘92)  delle ondate di arresti eccellenti, della crisi del governo democristian-socialista,  le elezioni di aprile avevano segnato la liquidazione politica di Craxi e di Andreotti e il vuoto di potere reale della classe dirigente  – il primo e originale Golpe degli Onesti –  con Giuliano Amato capo di un governo di emergenza. Come non  bastasse, il 23  maggio era stato ucciso il giudice Falcone nel famoso mega-attentato; i media   avevano le migliori scuse per non riferire che, all’orizzonte di Civitavecchia, era comparso il Britannia dove uno sconosciuto funzionario del Tesoro di nome Draghi era presente all’incontro  dove (precisa un’altra interrogazione di Rallo) “fu decisa  la dismissione delle aziende a partecipazione statale […] Le procedure di vendita sono a buon punto per Maccarese e Italstrade, e c’è la conferma della volontà di quotare in Borsa, scendendo sotto il  51%, anche le azioni della Società  Autostrade”  :  che sappiamo in quali mani  private è finita, a render lucri inverosimili ingiustificati.
Per di più, a settembre del ’92, ecco l’attacco di George Soros alla lira, che “obbliga”  Ciampi  a svalutare del 30% dopo una inutilmente ostinata  (e sospetta) difesa della nostra valuta,  che costò all’erario  una perdita valutaria di 48 miliardi di dollari,  facendo arricchire qualcun altro di altrettanto. Con la svalutazione, “calcolato in dollari, l’acquisto delle nostre imprese da privatizzare è diventato per gli acquirenti esteri meno costoso del 30%”.  Sarà certo una coincidenza  se Soros riceverà la laurea honoris causa dalla massonica università di Bologna, su indicazione(si dice) di Romano Prodi, uno degli artefici maggiori della esaltante stagione delle privatizzazioni.
A rivedere  il film di quei tempi che ho vissuto,  resto colpito dall’accumulo straordinario di eventi enormi che avvennero tutti in pochi mesi del 1992.  Il  7  febbraio, il Trattato di Maastricht:  17, arresto di Mario Chiesa e inizio della tempesta giudiziaria di Mani Pulite;  aprile, le elezioni disastrose per i vecchi partiti, e che vedono l’affermazione di Lega Nord e di Rete (Leoluca Orlando), i due “partiti degli Onesti” dell’epoca, con molti punti in comune con il grillismo odierno.  Il 27 aprile, le dimissioni anticipate di Cossiga, “perché ci vuole un presidente forte” per  reggere  il timone nella tempesta (e tenere a freno le procure) e lui, prossimo alla scadenza  e dunque al semestre bianco, non lo è. A maggio la morte di Falcone;  a giugno, l’arrivo del Britannia; a settembre Soros che attacca la lira. E in questi mesi Amato, Ciampi, Prodi, Andreatta che ci danno dentro  con le privatizzazioni delle aziende a partecipazione pubblica. Con un governo Ciampi  che  è il primo di uno  al di fuori del  parlamento (meglio: il secondo, il primo fu il governo Badoglio), e pieno di “tecnici”, ossia gente delle banche e della finanza.


Cronologia di Mario Draghi

Ciò  che non ricordavo è la provenienza di Draghi. Com’è che appare al Tesoro,  e come direttore generale? Dove stava, prima?
Era direttore esecutivo, ossia altissimo dirigente, della Banca Mondiale. Dal 1984 al 1990.  La Banca Mondiale, fondata nel ’45 dopo Bretton Woods come primo pilastro del futuro Governo Mondiale;  quello di cui il banchiere Warburg disse al Senato, nel 1950: “Avremo un governo mondiale, vi piaccia o no – o col consenso o  con la forza”.  E’ alla Banca Mondiale  che  Bush jr. ha messo il  suo complice-chiave del’11 Settembre, il Paul Wolfowitz dal doppio passaporto.
Dunque Draghi aveva alle spalle una eccelsa carriera nel mondo della finanza anglo, in corso dal 1984 al 1990.  Ma proprio nel 1990, per divina ispirazione, lascia l’America  e torna in Italia. Nel 1991, viene nominato al Tesoro: Direttore Generale. Da chi? Dal ministro di allora, Guido Carli,“co-autore con Giuliano Amato della legge delega che aveva avviato la privatizzazione” della Banca d’Italia.  In tempo per salire sul Britannia. Un “tecnico”. E’ possibile, ma non c’è prova, che ci fosse anche Andreatta.  Se fosse vero, era l’unico politico italiano invitato. Se si può chiamare “politico” quello che attuò il divorzio fra Tesoro e Bankitalia nell’81.
Torniamo a Draghi:
1984-1990 direttore della World Bank.
1991-2001 Direttore generale del Tesoro e – insieme  – Presidente del Comitato Privatizzazioni: carica in cui  si avvicendano altri liquidatori del patrimonio pubblico, fra cui Romano Prodi, successivamente presidente IRI (fino al ’94), capo del governo (1996-1998),  e come premio,  presidente della Commissione Europea (1999).
2002  – Draghi lascia e va a Goldman Sachs. “Non  da semplice manager, ma addirittura da vicepresidente con competenza dell’area europea, e membro del suo  Management Committee Worldwide”. Ossia della finanziaria  speculativa  che non soltanto aveva fatto la “consulente della privatizzazione di Credito Italiano e Fintecna,  ma aveva acquistato in prima persona consistenti pezzi del nostro patrimonio nazionale: fra cui l’intera proprietà immobiliare dell’ENI , più altri patrimoni immobiliari da Fondazione Cariplo,  RAS, Toro eccetera”.
Ah, se ci fossero stati i procuratori di Mani Pulite! Avrebbero potuto rilevare  come  possibile reato  il gigantesco conflitto d’interesse in capo a Draghi e incriminarlo! Ma  non c’erano. Solo trent’anni dopo,   una loro emulatrice avrebbe messo sotto intercettazione  il sindaco di Legnano. I conflitti d’interesse   diventano delitti solo a quel livello.
2006 – Draghi rientra in Italia e diventa Governatore della Banca d’Italia. Ah, peccato  che si fossero distratti i procuratori di Mani Pulite! E il partito degli Onesti non abbia eccepito l’inammissibilità che un dirigente di Goldman prendesse la più  importante carica pubblica monetaria  –    ah già, ora  Bankitalia era privata.
Chi ce l’ha messo?  “Male, molto male io feci ad appoggiarne, quasi a imporne la candidatura a Silvio Berlusconi”, esplose Cossiga  ….”E’ il liquidatore,  dopo  la famosa crociera del Britannia,  dell’industria pubblica ..  la svendita dell’industria pubblica italiana quand’era Direttore generale del Tesoro” . E’ il celebre  momento  del “vile  affarista”:
Un vile, vile affarista…non si può mettere a presidente del Consiglio [se ne parlava già  allora] chi è stato socio di Goldman Sachs”. 
Ah ,  che bell’occasione per le Procure!   Prendere le parole dell’ex capo di Stato e usarle come notitia   criminis onde indagare Draghi, l’uomo di Goldman Sachs  –  per appurare,  con intercettazioni 24 ore  su 24  come  quelle che fanno adesso ai leghisti, di quali “vili affari” lo si potesse accusare. Niente. Davigo, l’occhiuto Procuratore Totale,  non raccolse.
2006-2011 Draghi resta dunque a governare Bankitalia.
2011 – spicca il  grande balzo: governatore della Banca Centrale Europea.
….Adesso torna, tranquilli.  Capo di governo “tecnico” e poi presidente della Repubblica, come Ciampi –  a  completare l’opera e  applaudito dagli Onesti.
Fini dai Rotschild: entrò fascista uscì conservatore
La storia non sarebbe completa senza il finale comico che riguarda Gianfranco Fini, allora segretario di Alleanza Nazionale, presidente della Camera, alleato di Berlusconi nel governo e desideroso di sostituirlo. Una vicenda di cui Rallo, in quanto parlamentare di AN, conosce particolari a me sfuggiti.

Il Corriere della Sera del 21  gennaio 1995 titolava: “Fini a Londra: polemica sul Times, colazione dai Rotschild”. Si riferiva di una “colazione di lavoro” della  Banca Rotschild “Per sentire cosa propone Fini. E si riportava di una voce di corridoio: “Arriverà fascista e partirà conservatore”.
Quello che volevano sapere i banchieri Rotschild  dal successore di Almirante: “AN è un partito liberista o statalista? Era  a favore o contro lo stato sociale? A favore o contro la moneta unica europea?
E più e più volte: siete a favore delle privatizzazioni?” – e lui, Fini, “fa di tutto per rispondere”, riferisce l’inviato del Corriere – che era l’inviata: Lucia Annunciata, passata al Manifesto a Repubblica e  dal ’93 appunto al Corriere; ma anche, dal ’95, in RAI 3 – dove dirige Linea 3. Mi stupii un po’ allora, assistendo alle interviste faccia a faccia che  la “rossa”  Annunciata faceva a Fini:  simpatizzanti,   di sdoganamento, quasi di promozione. Adesso capisco perché.  Repubblica, lo stesso giorno, dettava: “Il presidente di AN parla a favore delle privatizzazioni –che la City e la Banca Rotschild ascoltino”.
Un pilota del parco velivoli dello Stato mi disse che Fini (e neo-consorte) volavano spesso a Londra impegnando un  executive della repubblica.   Imparava bene. Nel 2003 in Israele,  kippà in testa, pronunciò la frase: “Fascismo male assoluto”, ed eccolo, purificato  nell’apposito lavacro, pronto a sostituire Berlusca. Il quale durava troppo, probabilmente, anche per quelli di Londra. Fino al giorno del “Che fai, mi cacci?”, del 22 aprile 2010. Era sul punto di…ma arrivò la storiaccia della casa di Montecarlo, rivelata da Il Giornale di  Berlusconi.
Per Rallo, era finita prima. Le quattro interrogazioni che  aveva presentato per sapere  dal governo di cosa si era parlato sul Britannia, lo rendeva inadatto alla nuova nascita del Segretario come Rotschildiano. “Al convegno di Fiuggi (gennaio 1995) dall’elenco dei deputati del Gruppo Sud , il mio nominativo veniva cassato personalmente dal presidente. Non mi spiego il perché”, mi disse allora Antonio Parlato, l’onorevole che  aveva presentato l’elenco a Fini.
(Da ricordare a chi ha meno di 40 anni e quindi non  sa del “Britannia”.  Specie adesso che Berlusconi ha candidato Mrio Draghi… anche se è possibile che l’abbia nominato per bruciarlo.   Almeno a giudicare dal dispetto con cui nel  hanno parlato a Radio Radicale: ….Ha voluto trascinarlo nella  campagna elettorale…”. Indicazione che l’ordine è:  non si faccia nemmeno il santo nome del Banchiere, deve restare candido e sacro, da Venerato Maestro, per gli usi ulteriori).
Qui sotto un video del gruppo Larouche, a cui risale il merito di aver rivelato per primo la crociera del Britannia:



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sabato 1 dicembre 2018

"Storie di Prima Repubblica"

"Storie di Prima Repubblica"  

Sa Defenza 


Chris Barlati
Chris Barlati è un collaboratore attivo per Sa Defenza che ama scrivere su temi quali Servizi Segreti, interessi finanziari e, più in generale, politica internazionale. Il
multipolarismo è sempre stato il suo principale interesse, ma questa volta ha ben pensato di scrivere un libro inerente la Prima Repubblica.

In un periodo di rifacimenti, nostalgie e definizioni errate della politica, il nostro collaboratore ha tentato di ristabilire i vecchi significati degli schieramenti, nonché

terminologie quali "destra" ,"sinistra";"criminalità" e "sovranità". Incontrando personaggi un tempo detentori dei meccanismi decisionali del nostro Paese, Barlati
ha potuto conoscere, parlare, discutere degli eventi, le strategie ed i segreti che hanno cambiato per sempre le sorti d'Italia. "Storie di Prima Repubblica" è il risultato di un percorso di studi che parte da una semplice tesi di laurea, ma che approda alla rielaborazione dei principali misteri d'Italia, nonché degli omicidi di Falcone e Borsellino, per offrire una verità che ancora oggi deve essere metabolizzata dalla pubblica opinione e che svela l'esistenza di chi si è sempre celato dietro Cosa Nostra, Gladio, Uno Bianca e le privatizzazioni postume al crollo del muro di Berlino. Abbiamo così deciso di intervistare il nostro collaboratore e di porgli alcune domande.


Partiamo Subito con la prima domanda. Mani Pulite fu un'operazione d'oltre oceano?

«Mani Pulite fu una conseguenza del crollo del Muro di Berlino. Le inchieste della
magistratura rappresentano il naturale divenire delle indagini allora in corso che,
non essendo più ostacolate dalle manine atlantiche, manine abituate agli omicidi ed
alle destabilizzazioni, poterono scardinare l'intera struttura dirigente. Mani Pulite
deflagra anche in Giappone, Francia, non solo in Italia e in maniera del tutto simile.
Mani Pulite, in sintesi, è una delegittimazione dei vecchi sistemi politici, protrattasi
a livello internazionale.»

Per quale motivo ciò avviene?

«Perché non ha più senso difendere e sostenere un immenso e dispendioso esercito
anti comunista. Mi riferisco alla Dc, al Psi e all'immunità di cui godeva l'Italia, come
altri paesi, sia nei rapporti con la mafia che per i numerosi finanziamenti illeciti.
Dunque, il ragionamento fu allo stesso tempo economico e politico. Diciamo che la
presenza statunitense, in questo caso, si esplica attraverso il proprio non intervento.
Mi spiego meglio: mentre in passato l'alleato era pronto a coprire eventuali
compromissioni, sia con l'utilizzo di qualche agente spregiudicato, sia con qualche
finanziamento ad personam, da quel momento in poi nessuno più si attivò a difesa dei
vecchi alleati. Anzi, ben accetta fu la scoperta di tutte le tangenti afferenti il Psi o la
Dc. Per eliminare l'oramai inefficiente e corrotta macchina pentapartitica, si pensò di
lasciar fare alla magistratura il suo corso naturale. Socialisti e democristiani inoltre
avevano fin troppo infastidito con la loro politica filo araba inglese e statunitense. Lo
stesso Andreotti con la sua equidistanza si era messo in cattiva luce, irritando le 
intelligence anglosassoni e francesi.»

Quale fu il ruolo di Gladio nella prima Repubblica, nell'omicidio di Falcone e

Borsellino e nei confronti dell'Unione Sovietica?
«Gladio ufficialmente fu un apparato militare di intervento dedito alla prevenzione di
ogni possibile minaccia sovietica. Lo studio di Gladio era principalmente di natura
programmatica e strategica, e solo nel peggiore dei casi d'attuazione di guerra non
convenzionale. Alcuni critici collegano una partecipazione Gladio al rapimento e
omicidio di Aldo Moro, mentre dal mio punto di vista ciò non avrebbe avuto molto
senso nella seconda ipotesi. Vada pure, per assurdo, la validità del rapimento, ma
illogico si configurerebbe l'omicidio, per un aspetto di fondamentale importanza:
Moro era stimato ed amato dai Servizi italiani, da quegli stessi Servizi che
continuarono ad osservare fedelmente il patto con i palestinesi per il trasporto di armi in
territorio italiano in cambio dell'assenza di attentati (il cosiddetto Lodo Moro). Un
omicidio Moro avrebbe generato un guerra interna agli stessi Servizi, a meno che
quest'ultimi non fossero stati ingannati da altri servizi meglio preparati e con
maggiori dotazioni. Ricordiamo che il democristiano Galloni solo recentemente ha
parlato della presenza di truppe israeliane all'interno delle Brigate Rosse. Dunque,
quest'ipotesi si rende leggermente più credibile rispetto all'esclusiva partecipazione di
Gladio, o meglio nell'omicidio dello statista.
Nei riguardi di Falcone e Borsellino non abbiamo molte prove per dubitare di Gladio.
Basandoci su di un collegamento di fatti, e non di opinioni, dobbiamo escludere la
partecipazione diretta dell'organizzazione, poiché sciolta completamente e sotto i
riflettori della pubblica opinione già nel 1990. Potremmo invece ipotizzare arruolamento di alcuni suoi componenti fanatici di estrema destra, la cosiddetta Gladio Nera, nelle fila della Falange armata, poiché vicini per ideologia ad alcuni esponenti della criminalità organizzata e della P2.»

Una Gladio all'nterno di Gladio?

«Gladio, per quanto "Stay Behind", fu pur sempre un apparato militare italiano,
dunque suscettibile anch'essa di sviste e goffaggini all'italiana, nonché di
infiltrazioni e manipolazioni. Non sono rari casi di analogie tra esponenti della
criminalità, figure massoniche ultra atlantiche e militari di apparati segreti.
Ricordiamo che tutti i maggiori attentati di quel periodo vennero rivendicati dalla
Falange Armata, in una non casuale confusione di chiamate fatte da sedi dei servizi
segreti e da voci marcate dai più disparati dialetti ed accenti stranieri. Se poi
volessimo citare Elio Ciolini, terrorista nero che seppe predire le azioni falangiste, o il
pentito Messina Denaro, padre di Matteo Messina Denaro, che per primo parlò di una
commistione tra mafia e massoneria, entriamo in un circuito composto da terroristi
neri, criminalità organizzata e massoneria. Tutte entità che ebbero in comune il
medesimo interesse: divenire decisori della nuova politica italiana.»

Se non sbaglio fu questa l'ossatura della Falange Armata.

«Esatto.»

Quindi, se non direttamente ci fu sempre una partecipazione esterna?

«Assolutamente, sì. Gli esplosivi, le tecniche d'azione militari, il radiocomando nel
citofono della madre di Borsellino, l'elicottero che sorvolò le strade al momento degli
attentati, strane figure viste e riviste in più di un'occasione: se non mercenari,
sicuramente personaggi assoldati da interessi non prettamente nazionali.»

Come è stato possibile che personaggi quali Cossiga od Andreotti non si resero

conto di ciò che stava accadendo?
«Andreotti non venne mai seriamente indagato, al massimo i suoi Pomicino e
Vitalone pagarono le conseguenze della sua condotta. Cossiga, ex amministratore
politico della Gladio, poté parlare in futuro liberamente, e senza remore, dei più
oscuri segreti di Stato. Pensiamo ai premi carriera per gli ottimi impiegati che rifilano
dopo un quasi decoroso licenziamento...
Sicuramente i due democristiani compresero che piega stesse prendendo il divenire
nazionale, ma non poterono opporre significative resistenze, poiché impossibilitati.
Andreotti puntò su Berlusconi e sul tentativo di conservare una radice culturale
politica della Prima Repubblica, così da rallentare il processo di svuotamento e
finanziarizzazione. Cossiga, invece, si ritirò a vita privata, dedicandosi sì alla politica,
ma al racconto degli inconfessabili segreti. Spazi d'azione, concessi, come ho detto,
poiché in fondo i due avevano ubbidito bene ai loro padroni sino all'ultimo momento.
Di una loro partecipazione diretta negli omicidi dei Giudici e nella strategia della
tensione, è difficile dire. Ma di sicuro non si sono opposti al cambiamento. Hanno
cercato solo di mitizzarlo. Come sempre hanno fatto.»

Che ruolo ebbe Di Pietro? Si vocifera di tutto, dall'essere un agente della Cia ad

un agente di Andreotti.
«Vi è un ottimo articolo, scritto dal direttore Andrea Cinquegrani, uomo che stimo
moltissimo e che reputo un'eccellenza del giornalismo italiano, che mette in risalto
tutte le sfaccettature del caso Di Pietro. L'articolo è rintracciabile su internet al nome
di "Di Pietro chi?".
Ho avuto il piacere di guardare Di Pietro negli occhi, di riderci e scherzarci, ed anche
di parlare in dialetto. Di Pietro, posso affermare, è stato implicitamente aiutato da
quel sistema che poi ha deciso di farlo cadere. Il carisma di Di Pietro e la sua volontà
di dirigere una Mani Pulite Internazionale è stata, indirettamente, l'incarnazione delle
stesse forze che hanno poi benedetto il governo Berlusconi per poi successivamente
delegittimare Mani Pulite e l'operato del PM Di Pietro, in sintesi, è stato una pedina
poco consapevole, come tutti in quel momento, delle reali direzioni che stava
assumendo la politica italiana. Il futuro leader dell'Italia dei Valori venne invitato
anche negli U.S.A. e sarebbe interessante conoscere per filo e per segno i contenuti di
quelle conversazioni, ma noi curiosi sappiamo per certo che non furono altro che
tentativi di carpire le intenzioni del magistrato, nonché la profondità raggiunta dalle
inchieste di Mani Pulite. Una volta stabilizzatosi il sistema, iniziano gli attacchi della
magistratura al pool di Milano. Non solo nei confronti di Di Pietro, ma di Gherardo
Colombo e di tutti i suoi componenti.
Per le ipotesi di Cia, Fbi o agente di Andreotti, tutto è possibile. Specialmente nella
prima Repubblica. Ma su questo non posso affermare niente, poiché non ho studiato
nello specifico il caso. Tuttavia consiglio la lettura di "L'odore dei soldi" di Elio
Veltri, autore a cui ho dedicato in primis la tesi di laurea e poi questo libro.»

Nel tuo libro poni l'accento su di un'ipotetica trattativa tra mafia e quella che tu

definisci "corrente De Benedetti". Pensi sia tutt'ora valida?
«Autori come Travaglio lasciano intendere che i politici della sinistra democristiana
abbiano trattato con la mafia servendosi di esponenti dell'arma dei Carabinieri.
Dovremmo avere il coraggio di definire ciò che è empirico, ovvero che la sinistra Dc
aspirava da sempre alla guida del paese, anche in virtù di una sua posizione di
apertura a sinistra. E sembra inoltre strano che De Mita, capo corrente della sinistra
Dc, non avesse conoscenza delle azioni dei suoi sottoposti. Come ha potuto uno come
De Mita non conoscere i polli del suo recinto?
Non solo la sinistra Dc, ma anche la sinistra ebbe un ruolo non trascurabile. Vengono
fatti nomi quali quelli di Violante e De Gennaro, rispettivamente politico ed
esponente del mondo di polizia. Le accuse mosse verso quest'ultimi sono di
faciloneria, incompetenza ed omertà. Come verrà espresso nel libro,  l'isolamento di
Borsellino da parte della sinistra culminerà non con la sua morte, ma con le bombe di
San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano, secondo alcuni messaggi rivolti a
Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini. Cose strane, certo, non prove, ma
collegamenti di fatti, non complotti. Bisognerebbe guardare a sinistra e non solo alla
Dc per la trattativa Stato-Mafia, poiché se una delle due fazioni politiche avesse
avuto intenzione di salvare la vita dei giudici, l'avrebbe fatto. In passato sono stati
sventati colpi di stato grazie al Pci, alzando solo una cornetta telefonica. Figuriamoci
salvare la vita di un giudice quando questi già è stato oggetto di minacce.»

Ultima domanda. Perché le dediche a Veltri e Giannuli?

«Originariamente, Storie di prima Repubblica nasce come un lavoro di tesi di laurea.
L'idea me la diede Aldo Giannuli, che volli incontrare per ricevere consiglio.
Naturalmente io ho stravolto il progetto originario, mettendoci del mio. E devo dire
che il risultato finale non è stato affatto male. Non potevo non affrontare il tema
stragi di stato poiché tuttora ritengo sia strettamente connesso al passaggio Prima-
Seconda Repubblica. E spero che se un giorno il proff. Giannuli leggerà il mio libro,
non la prenderà a male.
Per quanto riguarda la dedica ad Elio Veltri, mi sono ispirato molto a lui. Il suo modo
di raccontare la storia è simile, per aspetti, a quello di Montanelli. Indro Montanelli,
nella sua storia d'Italia, critica, giudica ed analizza spietatamente personaggi, luoghi e
circostanze. Veltri le chiarifica e le spoglia delle sofisticazioni. Grazie a Veltri ho
scoperto un nuovo modo di leggere la storia e di definire la politica passata e
corrente. Non a caso mi definisco un "socialista Veltriano".
Per la "simpatia" delle interviste ho pensato che non bastasse riadattare i contenuti e
stilare le necessarie definizioni, già presenti in forme diverse, e con diverse
argomentazioni, negli innumerevoli libri degli autori della vecchia classe dirigente.
Storie di prima Repubblica è un libro per i ragazzi che vogliono conoscere il vero
significato dei concetti della politica. E'  un libro pensato per chiarire e per spiegare,
non per romanzare. Quello lo lasciamo fare ai politici della Seconda Repubblica. Per
quelli come me conta sì il politichese, ma la fede nei confronti della verità, del
proprio Paese e della memoria storica che andrebbe preservata ad ogni costo.»

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