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lunedì 14 febbraio 2022

IL PROBLEMA E’ L’ESPANSIONISMO RUSSO? O PIUTTOSTO L’ESPANSIONISMO DELLA NATO?



Antonio Secci

Ormai da mesi, certi media – a proposito della crisi Ucraina – hanno calzato l’elmetto e suonano la fanfara contro l’“espansionismo russo che la Nato – a loro dire – dovrebbe contrastare.

In realtà se si guarda una cartina geografica si vede che ad essersi allargata smisuratamente in Europa, dagli anni Novanta, è la Nato, non la Russia (che non è più neanche Urss, ma si è ridotta appunto alla sola Russia).

Infatti sono passate dal Patto di Varsavia (che non esiste più) alla NatoPolonia, Repubblica Ceca e Ungheria nel 1999, poi nel 2004 Bulgaria, Slovacchia, Romania, Slovenia e perfino Estonia, Lettonia e Lituania che facevano addirittura parte dell’Urss; infine Croazia nel 2009, Montenegro nel 2017 e Macedonia del Nord nel 2020. Anche l’Albania – che non era nel Patto di Varsavia perché filocinese – c’è entrata nel 2009.

Oltretutto gli “atlantisti con l’elmetto” di oggi “fingono di dimenticare” come ha scritto Barbara Spinelli sul Fatto quotidiano “che l’unificazione della Germania e lo scioglimento del Patto di Varsavia furono ottenuti grazie a una promessa che Bush padre e i leader europei (Kohl, Genscher, Mitterrand, Thatcher) fecero a Gorbaciov nel 1990: la Nato non si sarebbe estesa ‘nemmeno di un pollice’ ad Est, garantì il Segretario di Stato, James Baker. Avrebbe rispettato l’antico bisogno russo di non avere vicini armati ai propri confini. Un bisogno speculare a quello statunitense, come si vide nella crisi di Cuba del 1962”.

Abbiamo visto com’è stato rispettato quell’impegno. Inoltre Stati Uniti e Gran Bretagna, scrive la Spinelli, “hanno imposto il riarmo dell’Est europeo” e “si sono immischiate nelle rivoluzioni colorate in Georgia e poi Ucraina, e ora inviano ulteriori massicci aiuti militari a Kiev”.

Se anche l’Ucraina, come prospettato, aderisse alla Nato, la Russia si troverebbe con i missili sotto casa senza più possibilità di difesauno squilibrio pericolosissimo per la pace mondiale.

Non c’è bisogno di avere simpatie per Putin – basta voler evitare la guerra in Europa (con tutte le conseguenze economiche disastrose, anche delle sole sanzioni) – per capire che bisogna fermarsi.

Perfino su Foreign Affairs – la rivista legata al Council of Foreign Relations, al di sopra di ogni sospetto – lo storico Michael Kimmage ha scritto: E’ ora che la Nato chiuda le sue porte. Aggiungendo che “non è adatta all’Europa del 21° secolo” ed è “troppo grande, troppo poco definita e troppo provocatoria per il suo stesso bene”.

Secondo la Spinelli forse sarebbe l’ora di dire che la Nato perde senso, essendosi sciolto il Patto di Varsavia e che “l’ascesa della Cina a potenza globale richiede politiche nuove, multipolari”. Ma discuterne è impossibile in Italia” riconosce la Spinelli, perché “c’è il copione e se te ne discosti sei un appestato sovranista.

Lo si è visto nelle settimane scorse, quando – è sempre la Spinelli che lo dice – “è bastato che Franco Frattini dicesse alcune cose sensate sulla crisi ucraina e sulla russofobia regnante in Occidente, perché il suo nome – suggerito fugacemente da Conte e Salvini – scomparisse come per magia da tutte le rose dei candidati” al Quirinale.

Eppure Frattini (già ministro degli Esteri) è da sempre noto come atlantista, tanto che nell’ottobre 2013 è stato addirittura candidato a Segretario generale dell’alleanza atlantica: “Una candidatura” scriveva l’HuffPost “che gode sia del sostegno del governo italiano (Monti prima, Letta ora), che – si dice tra i corridoi di Bruxelles – di quello del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano”.

Se un politico di centrodestra si discosta dalla russofobia dogmatica viene subito messo all’indice. Romano Prodi nel recente passato si è schierato per togliere le sanzioni alla Russia (criticate pure da D’Alema), ma guai se lo fa un politico di centrodestra.

Pierluigi Castagnetti, che è assai vicino al presidente Mattarella, un mese fa ha scritto in un tweet: Forse è ora di dire che la pretesa russa che l’Ucraina non entri nella Nato ha qualche senso.

Se lo avesse scritto Salvini sarebbe finito nelle polemiche. Infatti è bastato che, una settimana fa, invitasse a dialogare con Mosca per risolvere la crisi ucraina perché Repubblica gli dedicasse polemicamente l’apertura del giornale: Kiev, Salvini apre a Mosca.

Eppure ad “aprire a Mosca, andando a parlare con Putin a nome dell’Europa, nelle stesse ore, era il presidente francese Macron che dichiarava: Cominciamo a costruire una risposta utile per la Russia, utile per tutta la nostra Europa, una risposta che permetta di evitare la guerra, di costruire gli elementi di fiducia e stabilità.

È sospetto di russofilia pure Macron, secondo “Repubblica”, specialista nella caccia ai “filo russi” con gli altri giornaloni?

Si sono espressi a favore del dialogo con la Russia pure il Papa e Valerie Pécresse (candidata gollista alle presidenziali francesi). E il cancellliere tedesco Scholz è prudente. Anche il papa, Scholz e Valerie Pécresse sono ‘filo-russi’?, si è chiesto Il Fatto quotidiano. Perché sui giornaloni domina il dogmatismo e fioccano le scomuniche? Il bellicismo russofobo non fa l’interesse dell’occidente.

Lucio Caracciolo, fondatore di “Limes” (gruppo editoriale Repubblica/La Stampa) e acuto analista di geopolitica, ha spiegato, proprio sulla “Stampa”: “Nel 2014 gli Stati Uniti spinsero la Russia nelle braccia della Cina appoggiando il rovesciamento del regime ucraino, considerato marionetta del Cremlino, e stroncando la mediazione franco-tedesca. In questo modo riuscirono a costruire un’improbabile, ma effettiva coppia sino-russa, a tutto vantaggio della Cina. Mettere insieme il Numero Due e il Numero Tre non è esattamente il compito del Numero Uno. Eppure è accaduto e resta un fatto… rafforzare il proprio avversario principale (Pechino) offrendogli le notevoli risorse militari, energetiche e tecnologiche dell’avversario secondario (Mosca) non è mossa da manuale”.

Sergio Romano, già ambasciatore a Mosca ed editorialista del “Corriere della sera”, sostiene che gli Stati Uniti hanno bisogno di un grande nemico perché il nemico giustifica la loro politica delle armi, la loro industria delle armi… si ha bisogno di una crisi permanente, l’Ucraina come crisi permanente.

Ma è anche l’attuale crollo di Biden nei sondaggi a indurre oggi la Casa Bianca ad alimentare la tensione Ucraina/Russia per distrarre la propria opinione pubblica. Tuttavia la crisi permanente e le sanzioni (per non dire della guerra) hanno costi economici colossali, pure per l’Italia (lo vediamo sulla bolletta). E non è una politica lungimirante per gli Usa.

Bisognerebbe invece sviluppare la strategia dell’incontro di Pratica di Mare, del 2002, quando – ospiti del premier italiano Berlusconi – Bush e Putin sottoscrissero uno storico documento di collaborazione fra Nato e Russia che (prendendo atto della fine del comunismo in Russia) doveva mettere fine alla guerra fredda, ai blocchi contrapposti e alla minaccia nucleare in Europa, aiutando pure lo sviluppo della democrazia ad Est. Quella strada fu abbandonata dagli Stati Uniti, ma resta l’unica via saggia da seguire.

 

venerdì 19 luglio 2019

L’IDEONA DELL’ESPRESSO: ABOLIRE LE FRONTIERE. FACILE PREVEDERE COSA ACCADREBBE.…

L’IDEONA DELL’ESPRESSO: ABOLIRE LE FRONTIERE. FACILE PREVEDERE COSA ACCADREBBE...

Antonio Socci
Sa Defenza 




“L’Espresso”, il magazine di De Benedetti, distribuito con “La Repubblica”, ha avuto un’ideona. Una pensata così geniale e risolutiva che ci si chiede perché mai – nella storia dell’umanità – non si sia escogitata prima.

Sta nella copertina dell’ultimo numero: “Le frontiere uccidono… l’unica speranza è un mondo libero dai confini”.

Non è meraviglioso? Non vi pare la pensata del secolo o addirittura del millennio? A ispirare questa geniale copertina è l’antropologo Michel Agier, intervistato dal settimanale (il titolo della conversazione è: “L’unica speranza per il mondo è liberare i confini”).

Agier è l’autore del libro “La Giungla di Calais”, uno studio di quell’immensa distesa di tende e baracche che si è formata, davanti al Canale della Manica, sulla costa francese, dove nel 2016 vivevano più di 10 mila migranti.

Questo intellettuale – dall’astrazione ideologica facile – sostiene “la libera circolazione delle persone”, “l’ospitalità come regole giuridica” e afferma che “se oggi (le frontiere) fossero aperte avremmo una situazione molto più pacifica”. E “L’Espresso” sposa questa surreale utopia facendo la copertina che si è visto.

Basta rifletterci un attimo per capire cosa accadrebbe. Lo Stato d’Israele, per esempio, sparirebbe, circondato com’è dall’odio arabo e dall’estremismo islamico (tanto è vero che in questi anni, per proteggersi, ha dovuto erigere un formidabile muro in Cisgiordania).

Ma la stessa cosa vale per l’Italia e per l’Europa. Basti considerare l’afflusso irregolare di centinaia di migliaia di persone degli ultimi anni: se abbattessimo davvero le frontiere e fosse possibile emigrare liberamente, a proprio arbitrio, l’Italia diventerebbe la banchina di sbarco di milioni di persone solo dall’Africa (continente di un miliardo e 200 milioni di abitanti).

Con effetti devastanti non solo per l’Italia e l’Europa, ma anche per l’Africa stessa. Sarebbe il caos. La stessa cosa si può facilmente immaginare per gli Stati Uniti.

Non si capisce, del resto, per quale motivo si dovrebbero abbattere le frontiere spazzando via, così, gli Stati e anche i popoli stessi con le loro identità.

Agier accenna ai morti nel Mediterraneo in questi anni di immigrazione irregolare. Tuttavia nessuno ha ancora risposto al ministro dell’Interno Salvini il quale, citando i dati  dell’Unhcr, ha mostrato il crollo del numero di vittime da quando si è fatta una politica di blocco delle partenze.

D’altronde è facile immaginare che un sommovimento gigantesco di milioni di persone verso l’Europa, da Africa e Asia, sarebbe tanto traumatico da provocare reazioni, rivolte e guerre civili davvero tragiche per moltissimi anni.

Basta un minimo di realismo per rendersene conto. Ma certi intellettuali e certe aree politico-ideologiche sembrano vivere lontano dalla realtà. Ed è per questo che sia la sinistra immigrazionista che papa Bergoglio, eludono sempre la domanda: “quanti?Quanti immigrati vorreste far entrare prima di chiudere le frontiere?”

Nel loro mondo immaginario c’è un Eden simile alla vecchia utopia ideologica degli anni Settanta a cui John Lennon dette voce col brano “Imagine”, del 1971, il quale rappresenta – come ha scritto Eugenio Capozzi nel libro “Politicamente corretto”– “l’inno ufficiale del pacifismo… uno dei monumenti del catechismo politicamente corretto, ancora oggi imprescindibile collante emotivo e propagandistico”.

In quella canzonetta – tuttora celebrata – c’è già disegnato quell’Eden. Essa, osserva Capozzi, “elenca in maniera chiara quali sono i mali che bisognerebbe rimuovere per restaurare quella condizione: la religione trascendente e le Chiese (‘no heaven’, ‘No hell below us’, ‘Above us only sky’, ‘no religion’…), le nazioni (‘no countries’, ‘Nothing to kill or die for’), la proprietà (‘no possessions’,  ‘No need for greed or hunger’). In pratica, i fondamenti della modernità euro-occidentale. Con una intuizione fulminante, Lennon si sintonizzava sulla stessa lunghezza d’onda del dilagante ripudio dell’eredità dell’Occidente”.

Il cantante riprendeva “in pochi icastici versi tutta l’eredità delle utopie di liberazione, da Rousseau a Marx fino al terzomondismo e alla rivolta hippie: comunione dei beni, secolarizzazione integrale, sradicamento di ogni identità politica e culturale sono… le chiavi per l’accesso (o meglio per il ritorno) a una naturale fratellanza”.

L’esito della stagione hippy degli anni Settanta è nota ed è stato tutt’altro che paradisiaco. La sua perfetta caricatura si può trovare in Ruggero, il comico “figlio dei fiori” di “Un sacco bello”interpretato da Carlo Verdone, quello che si avventura nella campagna e vede che “un sacco di fiori si aprivano al mio passaggio” e “un sacco di uccelli scendevano dagli alberi per parlarmi”.

Con il santone che gli dice “Love, love love!”, che passa la notte con lui “sotto questa frasca” e lo indirizza a “un grandissima casale bianco con una grandissima piscina dove un sacco di ragazzi di tutto il mondo stanno formando una grandissima comunità… ragazzi un sacco simpatici, cileni rhodesiani, tedeschi inglesi… tutta gente che aveva fatto un certo tipo di scelta: la scelta dell’amore”.

L’altra realizzazione, stavolta tragica, di quell’utopia “universalista”è stata il comunismo sovietico, con la guerra a tutte le identità nazionali e religiose (oltreché alla proprietà privata)e la deportazione di intere popolazioni nella prospettiva di un mondo tutto sovietizzato e – a quel punto – davvero “senza confini”. Tutto profondo rosso. Senza altri colori.

L’Urss non c’è più. Né gli hippy. Cambiano le ideologie e i tempi. Ma resta qualcosa di inquietante anche nelle nuove utopie ideologiche.

Si ha la sensazione che dietro tutto questo “amore” per le migrazioni di massa – che viene proclamato anche negli alti organismi internazionali– si possa cogliere   un’inconfessata ostilità per le nazioni e le identità, un’utopia “ecumenica” che porta all’appiattimento di ogni diversità e storia. 

Sarebbe un futuro inquietante, certamente tragico e non prospero.

Antonio Socci
Da “Libero”, 15 luglio 2019

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