Theresa May e il cambiamento di paradigma
Jacques Sapir Жак Сапир
russeurope
Jacques Sapir Жак Сапир
russeurope
tlaxcala-int.org
Trd Francesco Mazzuoli
Un avvenimento di notevole importanza ha appena avuto luogo in Gran Bretagna, un avvenimento che potrebbe annunciare una svolta importante tanto per la politica interna britannica quanto, con le sue ripercussioni, per la Francia e numerosi altri paesi europei.
Theresa May, il primo ministro britannico succeduto a David Cameron dopo il referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea (il famoso Brexit), ha fatto un passo logico, eppure, nel contesto del suo Paese, quasi rivoluzionario. Presiedendo la prima riunione della commissione interministeriale sulla « strategia economica e industriale », martedì 2 Agosto, la May si è impegnata a mettere in piedi una vera politica industriale. Nella Gran Bretagna devastata da più di 35 anni di « neo-liberalismo » ciò equivale ad una piccola rivoluzione.
Il fatto che questa politica sia intrapresa da un primo ministro conservatore, il partito di Margaret Thatcher, sottolinea ancor più il carattere rivoluzionario della svolta operata da Theresa May.
Questa svolta annuncia un cambiamento di paradigma. Gli ultimi studi di organizzazioni come il FMI dipingono oggi la globalizzazione e il suo bilancio in maniera molto più negativa di quanto facessero una quindicina di anni or sono. Si comprende attualmente che il concetto di globalizzazione, predicato dal FMI (dieci anni fa) o dall’ OCSE, non è la soluzione. Il ritorno in grazia di un certo volontarismo, notato già con Arnaud Montebourg nel 2012-2013, è palese.
Una rivoluzione?
È necessario, quindi, soffermarci su questa decisione, che non fa che mettere in pratica ciò che era già contenuto nel discorso di investitura di Theresa May. Il portavoce del governo, in un comunicato pubblicato dopo la riunione interministeriale, ha dichiarato: « Il primo ministro ha sottolineato che l’obiettivo della nuova politica industriale dovrebbe essere quello di mettere in piedi un’economia che funzioni per tutti ».
Che cosa significa? C’è un aspetto opportunistico in questa politica. Theresa May aveva dichiarato prima della riunione che se la Gran Bretagna vuole « approfittare delle opportunità offerte dal Brexit, è necessario che tutta la nostra economia sia sfruttata ». Se le misure restano per il momento vaghe, è la prima volta che un capo del governo britannico afferma il suo interesse per il settore secondario, dopo che, trenta anni fa, Margaret Thatcher ha sotterrato il concetto di politica industriale.
Questa nuova politica industriale indirizza quindi il governo verso l’aiuto alle industrie che fanno la forza del Regno Unito, come l’automobile (Jaguar, Land Rover) e l’aeronautica con BAE Systems, ma anche le nuove industrie, come la casa produttrice di microchip ARM Systems, che è stata venduta alla Japan Soft Bank in Luglio per 32 miliardi di lire, ossia 38 miliardi di euro. Anche la siderurgia potrebbe beneficiare di aiuti: Tata Steel aveva annunciato a fine Marzo la vendita delle sue attività nel Regno Unito, mettendo in pericolo migliaia di posti di lavoro. Infine ha dichiarato di voler tornare sulle sue decisioni e ha iniziato delle trattative con la Thyssenkrupp per l’eventuale creazione di una joint venture. In effetti, la caduta della lira sterlina favorisce la competitività delle produzioni in Gran Bretagna. Il gruppo farmaceutico GlaxoSmithKline ha annunciato mercoledì scorso 275 milioni di lire di nuovi investimenti nei suoi siti produttivi in Gran Bretagna. Questo gruppo si prepara ad un secondo semestre molto promettente, in virtù della svalutazione della lira sterlina, dal momento che i suoi costi saranno in lire e le sue entrate in altre valute.
La svalutazione della lira e oltre
Il deprezzamento della lira sterlina costituisce un elemento di questa politica industriale. Certo, questo elemento resta primitivo. Ma non si è mai vista una politica industriale in un paese la cui moneta sia sopravvalutata. Ora, uno studio del FMI mostra che in media il tasso di cambio reale della lira nel 2015 era sopravvalutato del 12,5%.
Se si guardano gli sviluppi dopo il referendum sul Brexit, si constaterà che il deprezzamento attuale ha corretto una parte degli squilibri che si erano creati a partire dall’inizio del 2014. Si può considerare che il tasso di 0,85 lire per 1 euro corrisponda a ciò di cui la Gran Bretagna ha oggi bisogno.
Fonte : Bloomberg
Ma è chiaro che una politica industriale non si può ridurre ad una forte svalutazione monetaria.
Il comitato ha quindi anche annunciato che sosterrà la formazione di operai qualificati, sempre più richiesti nell’industria, e potrebbero essere annunciate altre misure per favorire l’investimento, e tanto più in quanto la Gran Bretagna sarà presto liberata dalla morsa dei regolamenti della UE. E in questa politica industriale vediamo pure manifestarsi un’idea di pianificazione del territorio. Il ministro delle finanze, M. Philip Hammond, durante la stessa riunione del comitato, ha stimato che la riduzione dello scarto di competitività fra Londra e il resto del Paese, cui mira questa politica, dovrebbe generare il 9% di crescita, e fare rientrare 150 miliardi di lire (179 miliardi di euro) supplementari nelle casse dello Stato.
I fondamenti di una svolta politica
Questa politica ha sorpreso gli osservatori, perché dà prova di un dinamismo di cui la Gran Bretagna non era più accreditata. Essa va contro i pronostici catastrofistici sul post-Brexit diffusi con compiacimento, specialmente in Francia. La Banca Centrale (Bank of England) lo mostra in uno studio datato 20 Luglio e dice in modo inequivocabile: » Per il momento, non c’è una chiara indicazione di un rallentamento netto e generalizzato ». Il mercato del lavoro resta ben orientato, e il consumo delle famiglie è aumentato del 1,1% in Luglio, uno dei migliori risulati degli ultimi mesi. Lungi dall’essere la catastrofe predetta, il Brexit va avanti con calma. Certamente ci sono dei problemi importanti. L’incertezza generata dalla separazione con l’UE può compromettere gli investimenti. Ed è giustamente per evitare questo che Theresa May ha adottato questa politica volontaristica Ed è altrattanto chiaro che ella intenda con tale politica ritrovare una dinamica perduta prima del Brexit.
Ma questa politica ha sorpreso gli osservatori anche perchè denota una volontà di ricostruire un’ economia su una base più giusta, un’economia che, per riprendere le parole di Theresa May, porti beneficio a tutti. Ella ha messo il suo mandato sotto l’imperativo della lotta contro la « bruciante ingiustizia »: « Ciò significa lottare contro l’ingiustizia bruciante che fa sì che, se siete nati poveri, morirete in media nove anni prima degli altri. Se siete neri, sarete trattati dal sistema penale più duramente che se foste bianchi. Se siete un ragazzo bianco, di classe operaia, avrete meno possibilità di chiunque altro in Gran Bretagna di andare all’università. Se frequentate una scuola di Stato, avrete meno possibilità di accedere alle migliori professioni che se foste istruiti nel sistema privato. Se siete una donna, guadagnerete meno di un uomo. Se soffrite di malattie mentali, non avrete abbastanza aiuto a disposizione. Se siete giovane, troverete più difficile che mai possedere una casa di proprietà. »
Queste parole avrebbero potuto (e dovuto) essere pronunciate da Jeremy Corbyn, il leader dei laburisti. Il fatto che siano state pronunciate da un primo ministro conservatore è dunque sorprendente. Che il primo ministro voglia plasmare un Paese che « funzioni per tutti » e prenda apertamente posizione per una politica volontaristica non dovrebbe però sorprendere quanti ricordano la « grande tradizione » dei conservatori britannici, una tradizione di fatto opposta alla politica neo-liberale di Margaret Thatcher e le cui radici rinviano a Benjamin Disraeli, l’autore di Sybil, un romanzo sociale della metà del XIX secolo.
La sovranità e i laburisti
È, dunque, significativo che il Brexit abbia affrancato una parte dei conservatori dall’ideologia « neo-liberale ». Bisogna qui ritornare sopra uno studio realizzato da un politologo in Gran Bretagna, che mostra come quasi il 70% delle circoscrizione che hanno eletto un deputato laburista abbiano votato per il « leave » e ciò mentre il partito laburista faceva ufficialmente campagna per il « remain ». Il fatto illustra bene la contraddizione esistente tra l’opinione difesa dai quadri di un partito e ciò che sentono i militanti o i simpatizzanti della base. Questa contraddizione è tanto più forte in quanto si poteva pensare che l’odiosa morte della deputata laburista Joe Cox, una settimana prima della votazione, avrebbe provocato un moto di simpatia per il « remain ». Ora, se tale sentimento ha potuto esistere, non è stato sufficinente per invertire la tendenza delle opinioni. Perché gli elettori laburisti comprendevano, anche confusamente, che nessuna rottura con il neo-liberalismo sarebbe stata possibile fino a che il Regno Unito fosse rimasto legato a l’Unione Europea.
Se Jeremy Corbin si ritrova oggi in difficoltà, non può che prendersela con sè stesso e la propria mancanza di coerenza. È una lezione valida per tutta la sinistra europea.
Perché questo capovolgimento politico possa esistere, perchè una rottura con il « neo-liberalismo » thatcheriano sia possibile, il Regno Unito doveva ritrovare la propria sovranità. È quello che ha fatto con il Brexit. Si constata, così, come il concetto di sovranità non si lasci rinchiudere nelle categorie di « sinistra » o « destra ». Non che queste categorie non siano necessarie al dibattito, ma esse abbracciano giudizi divergenti su ciò che è il « bene comune », giudizi che sono possibili soltanto in una società, una Nazione, uno Stato, sovrani.
Un cambiamento d'identità?
Si comprende, allora, perché l’idea di una sovranità « di sinistra », come quella di una uscita « di sinistra » dall’euro, siano delle pericolose scempiaggini, delle quali si compiacciono ancora troppe anime belle. Una porta deve essere aperta o chiusa e poco importa quale mano si appoggi sulla porta per aprirla o chiuderla: se bisogna aprirla, allora non serve a niente fare i difficili su chi l’aprirà. Invece, una volta che la porta sia aperta, la questione di quale direzione prendere si porrà, ed è là che le differenze tra « sinistra » e « destra » riacquisteranno tutto il loro senso. Avere risolto un problema che appartiene all’ordine del politico (lo scontro amico/nemico), permette alla politica di riprendere il suo posto.
Tuttavia, si dà il caso che il Brexit abbia prodotto il cambiamento di identità che abbiamo indicato in seno al partito conservatore. La svolta operata da Theresa May rischia, quindi, di svuotare di significato il dibattito. Occupando sul terreno economico e sociale le posizioni che avrebbe dovuto adottare il partito laburista, facendolo per lo più con la legittimità che le dona il Brexit, Theresa May è in grado di presidiare la totalità dello spazio politico. Ella ha – forse – messo a segno un colpo da maestro.
Un avvenimento di notevole importanza ha appena avuto luogo in Gran Bretagna, un avvenimento che potrebbe annunciare una svolta importante tanto per la politica interna britannica quanto, con le sue ripercussioni, per la Francia e numerosi altri paesi europei.
Theresa May, il primo ministro britannico succeduto a David Cameron dopo il referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea (il famoso Brexit), ha fatto un passo logico, eppure, nel contesto del suo Paese, quasi rivoluzionario. Presiedendo la prima riunione della commissione interministeriale sulla « strategia economica e industriale », martedì 2 Agosto, la May si è impegnata a mettere in piedi una vera politica industriale. Nella Gran Bretagna devastata da più di 35 anni di « neo-liberalismo » ciò equivale ad una piccola rivoluzione.
Il fatto che questa politica sia intrapresa da un primo ministro conservatore, il partito di Margaret Thatcher, sottolinea ancor più il carattere rivoluzionario della svolta operata da Theresa May.
Questa svolta annuncia un cambiamento di paradigma. Gli ultimi studi di organizzazioni come il FMI dipingono oggi la globalizzazione e il suo bilancio in maniera molto più negativa di quanto facessero una quindicina di anni or sono. Si comprende attualmente che il concetto di globalizzazione, predicato dal FMI (dieci anni fa) o dall’ OCSE, non è la soluzione. Il ritorno in grazia di un certo volontarismo, notato già con Arnaud Montebourg nel 2012-2013, è palese.
Una rivoluzione?
È necessario, quindi, soffermarci su questa decisione, che non fa che mettere in pratica ciò che era già contenuto nel discorso di investitura di Theresa May. Il portavoce del governo, in un comunicato pubblicato dopo la riunione interministeriale, ha dichiarato: « Il primo ministro ha sottolineato che l’obiettivo della nuova politica industriale dovrebbe essere quello di mettere in piedi un’economia che funzioni per tutti ».
Che cosa significa? C’è un aspetto opportunistico in questa politica. Theresa May aveva dichiarato prima della riunione che se la Gran Bretagna vuole « approfittare delle opportunità offerte dal Brexit, è necessario che tutta la nostra economia sia sfruttata ». Se le misure restano per il momento vaghe, è la prima volta che un capo del governo britannico afferma il suo interesse per il settore secondario, dopo che, trenta anni fa, Margaret Thatcher ha sotterrato il concetto di politica industriale.
Questa nuova politica industriale indirizza quindi il governo verso l’aiuto alle industrie che fanno la forza del Regno Unito, come l’automobile (Jaguar, Land Rover) e l’aeronautica con BAE Systems, ma anche le nuove industrie, come la casa produttrice di microchip ARM Systems, che è stata venduta alla Japan Soft Bank in Luglio per 32 miliardi di lire, ossia 38 miliardi di euro. Anche la siderurgia potrebbe beneficiare di aiuti: Tata Steel aveva annunciato a fine Marzo la vendita delle sue attività nel Regno Unito, mettendo in pericolo migliaia di posti di lavoro. Infine ha dichiarato di voler tornare sulle sue decisioni e ha iniziato delle trattative con la Thyssenkrupp per l’eventuale creazione di una joint venture. In effetti, la caduta della lira sterlina favorisce la competitività delle produzioni in Gran Bretagna. Il gruppo farmaceutico GlaxoSmithKline ha annunciato mercoledì scorso 275 milioni di lire di nuovi investimenti nei suoi siti produttivi in Gran Bretagna. Questo gruppo si prepara ad un secondo semestre molto promettente, in virtù della svalutazione della lira sterlina, dal momento che i suoi costi saranno in lire e le sue entrate in altre valute.
La svalutazione della lira e oltre
Il deprezzamento della lira sterlina costituisce un elemento di questa politica industriale. Certo, questo elemento resta primitivo. Ma non si è mai vista una politica industriale in un paese la cui moneta sia sopravvalutata. Ora, uno studio del FMI mostra che in media il tasso di cambio reale della lira nel 2015 era sopravvalutato del 12,5%.
Se si guardano gli sviluppi dopo il referendum sul Brexit, si constaterà che il deprezzamento attuale ha corretto una parte degli squilibri che si erano creati a partire dall’inizio del 2014. Si può considerare che il tasso di 0,85 lire per 1 euro corrisponda a ciò di cui la Gran Bretagna ha oggi bisogno.
Fonte : Bloomberg
Ma è chiaro che una politica industriale non si può ridurre ad una forte svalutazione monetaria.
Il comitato ha quindi anche annunciato che sosterrà la formazione di operai qualificati, sempre più richiesti nell’industria, e potrebbero essere annunciate altre misure per favorire l’investimento, e tanto più in quanto la Gran Bretagna sarà presto liberata dalla morsa dei regolamenti della UE. E in questa politica industriale vediamo pure manifestarsi un’idea di pianificazione del territorio. Il ministro delle finanze, M. Philip Hammond, durante la stessa riunione del comitato, ha stimato che la riduzione dello scarto di competitività fra Londra e il resto del Paese, cui mira questa politica, dovrebbe generare il 9% di crescita, e fare rientrare 150 miliardi di lire (179 miliardi di euro) supplementari nelle casse dello Stato.
I fondamenti di una svolta politica
Questa politica ha sorpreso gli osservatori, perché dà prova di un dinamismo di cui la Gran Bretagna non era più accreditata. Essa va contro i pronostici catastrofistici sul post-Brexit diffusi con compiacimento, specialmente in Francia. La Banca Centrale (Bank of England) lo mostra in uno studio datato 20 Luglio e dice in modo inequivocabile: » Per il momento, non c’è una chiara indicazione di un rallentamento netto e generalizzato ». Il mercato del lavoro resta ben orientato, e il consumo delle famiglie è aumentato del 1,1% in Luglio, uno dei migliori risulati degli ultimi mesi. Lungi dall’essere la catastrofe predetta, il Brexit va avanti con calma. Certamente ci sono dei problemi importanti. L’incertezza generata dalla separazione con l’UE può compromettere gli investimenti. Ed è giustamente per evitare questo che Theresa May ha adottato questa politica volontaristica Ed è altrattanto chiaro che ella intenda con tale politica ritrovare una dinamica perduta prima del Brexit.
Ma questa politica ha sorpreso gli osservatori anche perchè denota una volontà di ricostruire un’ economia su una base più giusta, un’economia che, per riprendere le parole di Theresa May, porti beneficio a tutti. Ella ha messo il suo mandato sotto l’imperativo della lotta contro la « bruciante ingiustizia »: « Ciò significa lottare contro l’ingiustizia bruciante che fa sì che, se siete nati poveri, morirete in media nove anni prima degli altri. Se siete neri, sarete trattati dal sistema penale più duramente che se foste bianchi. Se siete un ragazzo bianco, di classe operaia, avrete meno possibilità di chiunque altro in Gran Bretagna di andare all’università. Se frequentate una scuola di Stato, avrete meno possibilità di accedere alle migliori professioni che se foste istruiti nel sistema privato. Se siete una donna, guadagnerete meno di un uomo. Se soffrite di malattie mentali, non avrete abbastanza aiuto a disposizione. Se siete giovane, troverete più difficile che mai possedere una casa di proprietà. »
Queste parole avrebbero potuto (e dovuto) essere pronunciate da Jeremy Corbyn, il leader dei laburisti. Il fatto che siano state pronunciate da un primo ministro conservatore è dunque sorprendente. Che il primo ministro voglia plasmare un Paese che « funzioni per tutti » e prenda apertamente posizione per una politica volontaristica non dovrebbe però sorprendere quanti ricordano la « grande tradizione » dei conservatori britannici, una tradizione di fatto opposta alla politica neo-liberale di Margaret Thatcher e le cui radici rinviano a Benjamin Disraeli, l’autore di Sybil, un romanzo sociale della metà del XIX secolo.
La sovranità e i laburisti
È, dunque, significativo che il Brexit abbia affrancato una parte dei conservatori dall’ideologia « neo-liberale ». Bisogna qui ritornare sopra uno studio realizzato da un politologo in Gran Bretagna, che mostra come quasi il 70% delle circoscrizione che hanno eletto un deputato laburista abbiano votato per il « leave » e ciò mentre il partito laburista faceva ufficialmente campagna per il « remain ». Il fatto illustra bene la contraddizione esistente tra l’opinione difesa dai quadri di un partito e ciò che sentono i militanti o i simpatizzanti della base. Questa contraddizione è tanto più forte in quanto si poteva pensare che l’odiosa morte della deputata laburista Joe Cox, una settimana prima della votazione, avrebbe provocato un moto di simpatia per il « remain ». Ora, se tale sentimento ha potuto esistere, non è stato sufficinente per invertire la tendenza delle opinioni. Perché gli elettori laburisti comprendevano, anche confusamente, che nessuna rottura con il neo-liberalismo sarebbe stata possibile fino a che il Regno Unito fosse rimasto legato a l’Unione Europea.
Se Jeremy Corbin si ritrova oggi in difficoltà, non può che prendersela con sè stesso e la propria mancanza di coerenza. È una lezione valida per tutta la sinistra europea.
Perché questo capovolgimento politico possa esistere, perchè una rottura con il « neo-liberalismo » thatcheriano sia possibile, il Regno Unito doveva ritrovare la propria sovranità. È quello che ha fatto con il Brexit. Si constata, così, come il concetto di sovranità non si lasci rinchiudere nelle categorie di « sinistra » o « destra ». Non che queste categorie non siano necessarie al dibattito, ma esse abbracciano giudizi divergenti su ciò che è il « bene comune », giudizi che sono possibili soltanto in una società, una Nazione, uno Stato, sovrani.
Un cambiamento d'identità?
Si comprende, allora, perché l’idea di una sovranità « di sinistra », come quella di una uscita « di sinistra » dall’euro, siano delle pericolose scempiaggini, delle quali si compiacciono ancora troppe anime belle. Una porta deve essere aperta o chiusa e poco importa quale mano si appoggi sulla porta per aprirla o chiuderla: se bisogna aprirla, allora non serve a niente fare i difficili su chi l’aprirà. Invece, una volta che la porta sia aperta, la questione di quale direzione prendere si porrà, ed è là che le differenze tra « sinistra » e « destra » riacquisteranno tutto il loro senso. Avere risolto un problema che appartiene all’ordine del politico (lo scontro amico/nemico), permette alla politica di riprendere il suo posto.
Tuttavia, si dà il caso che il Brexit abbia prodotto il cambiamento di identità che abbiamo indicato in seno al partito conservatore. La svolta operata da Theresa May rischia, quindi, di svuotare di significato il dibattito. Occupando sul terreno economico e sociale le posizioni che avrebbe dovuto adottare il partito laburista, facendolo per lo più con la legittimità che le dona il Brexit, Theresa May è in grado di presidiare la totalità dello spazio politico. Ella ha – forse – messo a segno un colpo da maestro.
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