Da migliaia di anni, le piramidi e la Sfinge si ergono verso il cielo dall’arido altopiano di Giza e sembrano racchiudere in sé l’enigmatico messaggio di epoche lontane, che da sempre esercita il suo fascino su chi, arrivato come turista, se ne allontana con la sensazione che siano la testimonianza di un qualcosa di essenziale che il mondo moderno ha ormai perduto. Ma che cosa sia esattamente, nessuno riesce a spiegarlo.
All’inizio degli anni novanta del secolo scorso, una violenta polemica scosse il mondo dell’egittologia: studiosi come John Anthony West, Robert Bauval, Adrian Gilbert, Graham Hancock e Colin Wilson ne hanno ampiamente parlato nelle loro opere, lanciando una vera e propria bomba contro l’establishment archeologico. La loro storia è piena di pathos, avvincente e spesso assurda. Comincia così: “C’era una volta un continente che si chiamava Atlantide“.
Gli autori ci spiegano che il continente perduto era il centro di un vastissimo impero marittimo, che possedeva una religione misterica e avanzatissime conoscenze scientifiche; ma, contrariamente al solito, essi lo collocano non al di là dello stretto di Gibilterra, ma molto più a sud, nell’attuale Antartide, spiegandoci che, più di 16.000 anni fa, era libera dai ghiacci e aveva un clima simile a quello dell’attuale Canada.
In seguito ad una serie di cataclismi geologici, e alla deriva dei continenti, la posizione dei poli cambiò: il continente meridionale si spostò nella sua attuale posizione polare coprendosi di ghiacci perenni e Atlantide scomparve sotto tre chilometri di neve e di ghiaccio. Durante le ultime fasi di quella spaventosa calamità, nel XIV millennio a.C., la popolazione sopravvissuta abbandonò il sud della Terra e si sparse per tutto il globo.
Tra loro c’erano gli iniziati ai misteri, i depositari del sapere tecnologico, religioso e scientifico di Atlantide. Una parte di essi, che i testi più tardi chiamano “seguaci di Horus”, si stabilirono in Egitto e fondarono un centro di culto a Giza. Temendo nuove catastrofi, si dedicarono alla costruzione di luoghi dove conservare per sempre gli insegnamenti segreti. Idearono un metodo per inserire i principi della loro fede nella geometria degli edifici che stavano costruendo, che dovevano essere tanto solidi da sopravvivere a qualunque disastro; così, anche se le scuole iniziatiche fossero andate distrutte, le civiltà successive sarebbero state in grado di capire i loro segreti decifrando i segni nascosti negli schemi geometrici di quegli edifici. In tal modo il loro messaggio poteva conservarsi nel tempo e sarebbe stato recepito dalle generazioni future.
Gli iniziati di Atlantide costruirono la Sfinge e progettarono la planimetria di Giza. Non si sa se abbiano costruito anche le attuali strutture o soltanto tramandato il progetto alle generazioni successive. Comunque sia, 8.000 anni dopo, nel 2.500 a.C., le piramidi vennero costruite in base a quegli antichi calcoli. Sin dall’inizio, Giza e i suoi segreti vennero protetti dai “seguaci di Horus”, i sacerdoti-astronomi le cui conoscenze erano considerate talmente avanzate che, 8.000 anni dopo, i faraoni non osarono cambiare nulla del complesso progetto di Giza.
Ecco cosa scrivono in proposito Hancock e Bauval: “Le prove a nostra disposizione fanno pensare che ci sia stata, attraverso i secoli, una trasmissione ininterrotta delle avanzate conoscenze in campo scientifico e ingegneristico, e che in Egitto abbia risieduto, dal Paleolitico sino all’epoca dinastica, una comunità di individui illuminati e con una vasta cultura: probabilmente i misteriosi akhus le cui conoscenze, ci dicono i testi, erano di origine divina“.
Per i due autori il complesso di Giza è il centro sacro dell’Egitto, se non del mondo. Così sacro che nemmeno una delle sue parti ha subito cambiamenti, nonostante siano trascorse migliaia di anni. È un testo straordinario: un’avventura suggestiva piena di idee originali, di scoperte singolari, di intuizioni inaspettate, che lancia una serie di sfide ad alcune delle figure più stimate nel campo dell’egittologia.
Hancock e Bauval sono profondamente anti-establishment: nel loro libro non mancano di sottolineare come le prove antitetiche vengano continuamente confutate; l’accesso ai siti archeologici interdetto; i permessi per compiere ulteriori ricerche negati; i reperti anomali smarriti; e, in breve, quanto il mondo accademico disprezzi qualunque spiegazione alternativa a quella ufficialmente accettata.
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