Peter Marcias, |
Intervista a Peter Marcias, sceneggiatore e regista
Perché un regista come Peter Marcias, sempre attento ai problemi del presente, sovente attivo nell’affrontare argomenti di grande attualità e impegno politico e sociale (con altrettanti lavori dello stesso genere come: Liliana Cavani, una donna nel cinema, 2010, e Nilde Iotti, il tempo delle donne, 2020), è andato a riesumare un tema oramai estinto come quello della “Marcia dei Lavoratori”?
Il protagonista Gianni Loy, foto di Simone Ruggiu |
Immagino che non voglia arrendersi a questa estinzione, che intenda riportare il tema alle luci della ribalta, per ricordare al lavoratore stesso e anche a tutti noi, chi eravamo un tempo e che cosa abbiamo avuto il coraggio di fare.
Col documentario “Uomini in marcia” di cui Peter è Sceneggiatore e Regista, sembra che voglia, attraverso un importante e anche incredibile fatto del passato, farci credere che se è stato possibile allora – in un momento storico in cui si era all’inizio delle battaglie sui Diritti del Lavoro – deve essere possibile anche oggi, quindi vuole incitare i lavoratori a non abbandonare la strada tanto faticosamente costruita.
Come egli stesso afferma nelle Note di Regia: «Dopo l’uscita in sala nel 2018 del mio film documentario “Uno sguardo alla Terra” tornai a Carbonia e rimasi colpito, rovistando tra gli archivi del “Centro Servizi Culturali Carbonia della Società Umanitaria – Fabbrica del Cinema”, da un evento che legò nel 1992/93 ventisette comuni del Sulcis Iglesiente e relativamente al quale il Centro stesso aveva già avviato un importante lavoro di raccolta di testimonianze e documentazione, con l’obbiettivo di restituire alla memoria collettiva, proprio attraverso la realizzazione di un film, uno degli episodi più importanti della storia del lavoro nel territorio».
La curiosità ha sempre stimolato Peter e per di più si trattava di qualcosa che riguardava i suoi antenati, i nostri ‘sardi padri’ – pur essendo nato a Oristano, essendosi trasferito a Cagliari a soli 5 anni, posso consideralo cagliaritano come me – e lui è uno di quelli che vuole sempre sapere, quindi posso solo immaginare come sia andato a rovistare tra quelle pellicole, proprio come un archeologo che scava tra i reperti per assicurarsi la scoperta di un antico mosaico.
E il suo ritrovamento è proprio quel materiale audiovisivo spuntato dagli archivi della nostra Cineteca Sarda dal quale ha potuto ricostruire la storia delle lotte dei lavoratori dell’Isola, dall’eccidio dei minatori di Monteponi (1922) fino alle grandiose mobilitazioni sindacali avvenute tra il 1992 e 1993 che coinvolsero quei ventisette Comuni del Sulcis Iglesiente, che si erano uniti per richiedere un nuovo piano di sviluppo socio-economico per un territorio che resta, ancora oggi, tra i più carenti d’Italia.
La «Marcia per lo Sviluppo» del Sulcis Iglesiente, era partita il 19 ottobre 1992 da Teulada, a Cagliari, a Civitavecchia, raccogliendo sostegno e solidarietà in tutti i paesi attraversati ed era giunta a Roma (sotto una pioggia battente) l’8 dicembre per difendere il posto di lavoro e lo sviluppo della Sardegna.
All’epoca nel polo industriale minerario sardo (bauxite, piombo, carbone, alluminio e tutto l’indotto) si contavano 21 mila disoccupati e 14 mila in cassa integrazione.
Come afferma Peter stesso «Quelle persone marciando dapprima nel loro territorio, per poi arrivare a Roma, unendo la loro “voce”, davano un forte segnale al resto dei lavoratori italiani. E proprio quella marcia di uomini, donne e bambini, fece da apripista di tante lotte per il lavoro nel nostro Paese».
Quale segreto rivela questo passato dell’Isola?
Che anche un luogo sperduto e povero, anche solo ventisette piccoli comuni dove tutti, uomini, donne, bambini, proprio tutti, si uniscono e marciano dando voce alla loro mobilitazione con il grido dell’avanti a ogni costo, può sfondare il muro dell’indifferenza e fungere da elemento trascinatore per gli altri luoghi, per gli altri lavoratori che non hanno coraggio, per quelli che hanno paura di perdere il posto di lavoro. Un solo cittadino non può protestare perché corre il rischio di essere licenziato, massacrato, preso a sassate, tutti insieme possono farlo, non hanno nemmeno più paura delle ritorsioni del padrone, sono tutti uniti da una forza collettiva, quella che all’inizio del secolo scorso è stata rappresentata dal movimento sindacale.
Non dimentichiamoci che la prima Camera del lavoro vide la luce a Milano nel 1891 per opera di Osvaldo Gnocchi-Viani. E che proprio le Camere del Lavoro costituirono l’ossatura del movimento sindacale italiano, che nel 1906 diede vita al primo coordinamento sindacale italiano su scala nazionale con la fondazione della Confederazione generale del lavoro (CGL). Ricordiamo le numerose battaglie sindacali per i Diritti, i piccoli e grandi passi compiuti dal Movimento, le lotte sindacali ai tempi di Di Vittorio o a quelli del governo di centro-sinistra del 1963 di Aldo Moro. Certo le rappresentanze sindacali erano fortemente politicizzate e ognuna aveva un suo Partito politico, ma nel momento in cui la CGIL, la CISL e la UIL (tecnicamente diventate delle confederazioni), cominciarono a lavorare in sintonia, furono collettivamente definite come “la Triplice”.
Sentite quale forza sprigiona questa parola?
È la forza di questa antica “marcia” su cui si incentra il documentario di “Marcias”. Mi piace che l’articolo pubblicato su Close up evidenzi questo legame marcia-Marcias, perché niente avviene per caso e Marcias è stato attratto da questa marcia anche sicuramente per l’eredità che porta nel suo nome, perché anche lui sicuramente, è un “uomo in marcia”.
Inoltre, come ancora evidenza Close up «essere in marcia qui vuol dire essere in movimento (come il cinema, tra l’altro), far proseguire il cammino ai diritti dei lavoratori nel corso del tempo, attraverso i pur naturali cambiamenti socio-politici ed economici delle nostre società sempre in fieri».
Mi piace anche come Davide Maria Zazzini abbia iniziato la sua recensione su Cinematografo: «Diritto al lavoro e allo sciopero. Mobilitazioni e manifestazioni. Testimonianze d’epoca e d’attualità. Un’unica arena, simbolica, come teatro degli scontri. Un’isola che all’alba degli anni Novanta si raduna e si mette in marcia. Il consorzio affratella minatori, agricoltori, operai, disoccupati, donne, sindacati, prelati e politici per chiedere al Governo sviluppo, tutele, diritti». Zazzini è un campione di sintesi e poesia, offre in poche parole il quadretto giusto del senso dell’opera di Marcias.
Peter riesce anche lui a essere poetico associando alle immagini di repertorio di questa marcia, quelle relative ad una conquista fondamentale per i lavoratori, quella dello Statuto dei Lavoratori, entrato in vigore con la Legge n. 300 del 20 maggio 1970, che reca “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”. Si tratta di un corpo normativo fondamentale del diritto del lavoro italiano che costituisce la disciplina di riferimento per i rapporti tra lavoratore e impresa e i diritti sindacali. Si divide in un titolo dedicato al “rispetto della dignità del lavoratore”, in due titoli “dedicati alla libertà e all’attività sindacale”, in un titolo sul “collocamento” e in uno sulle “disposizioni transitorie”.
Le prime istanze per un provvedimento coordinato sulla materia risalgono a quando il leader della CGIL, Giuseppe Di Vittorio, si pronunciò apertamente nel 1952 a favore di una legge quadro che riformulasse l’intera materia, e lo fece parlandone proprio in termini di statuto. Ma i protagonisti che portarono a casa questo risultato furono altri.
Giacomo Brodolini, sindacalista socialista che fu Ministro del lavoro e della previdenza sociale, legò il suo nome sia alla riforma del 1969 proprio della previdenza sociale (la cosiddetta “riforma delle pensioni”, passate dal sistema “a capitalizzazione” a quello “a ripartizione”), sia all’abolizione delle cosiddette “gabbie salariali”, sia all’impulso più determinante per la codificazione della materia del lavoro.
Brodolini richiese l’istituzione di una commissione nazionale per la redazione di una bozza di statuto (da lui chiamato “Statuto dei diritti dei lavoratori”) e chiamò come presidente un docente universitario, socialista, Gino Giugni, e un comitato tecnico di notevole spessore. E fu proprio Giugni che portò a termine il progetto perché Brodolini morì poco dopo l’istituzione della Commissione. Il suo successore, il democristiano Carlo Donat Cattin (ex-sindacalista della CISL torinese), s’impegnò in un fervente discorso per far approvare la Legge.
Il film di Peter Marcias documenta diverse fasi cruciali della storia sindacale italiana, dalla nascita delle prime organizzazioni operaie alle grandi mobilitazioni degli anni ’60 e ’70, fino ad arrivare alle lotte contemporanee per la tutela dei diritti dei lavoratori precari. Il regista arricchisce ogni fase storica con le testimonianze di coloro che hanno vissuto in prima persona questi momenti, “rendendo il documentario un’opera viva e pulsante”.
La pellicola si snoda tra interviste, riflessioni e immagini di repertorio, percorre l’Italia dalle campagne alle fabbriche, nelle Isole, al Nord e al Sud del Paese. Si avvale della voce narrante di Gianni Loy, professore di diritto del lavoro all’Università di Cagliari dal 1975 al 2014, scrittore e poeta. Un vero protagonista della storia perché riesce a raccontare i fatti con quella sua capacità di coniugare le conoscenze tecniche della materia del Diritto, con l’abilità di essere scrittore e poeta, come del resto desiderava Peter, che ha fortemente voluto Loy esattamente in questo ruolo. E davvero quest’uomo sale in cattedra, ma non come esperto specialista che pontifica, bensì come vero Maestro di vita. Egli stimola l’ascoltatore, lo accarezza con voce suadente, lo informa, lo scuote, come un padre bonario che suggerisce senza imporre nulla. Il suo eloquio è talmente delicato e coinvolgente che mi sono sentita come se stessi in fase meditativa, con questa voce fuori campo che entrava nel mio inconscio e lo faceva riflettere come una musica risvegliante.
Peter intervista anche grandi uomini del cinema che sul tema del lavoro hanno fatto la storia come Ken Loach (regista, sceneggiatore e attivista, nato in una famiglia di operai britannici, che ha dedicato tutta la sua opera cinematografica alla descrizione delle condizioni di vita dei ceti meno abbienti) e Laurent Cantet (regista e sceneggiatore francese scomparso recentemente, esperto sui temi dello scontro sociale e generazionale insieme).
Alle testimonianze poi di Peppino La Rosa, Giampaolo Puddu, Bruno Saba, Antonello Cabras, Salvatore Cherchi, si aggiungono altresì le testimonianze d’archivio: Giuseppe Di Vittorio, Giacomo Brodolini, Laura Conti, Gino Giugni, Luciano Lama, Arrigo Miglio, Mario Scelba.
Su due strade narrative parallele parlano gli operai e gli intellettuali, portatori di necessità individuali e sociali di sviluppo e obiettivi del lavoro che esplorano diversi punti di vista. Sono facce di lavoratori in primo luogo, rappresentanti dei minatori del Sulcis, che parlano attraverso uomini e donne di oggi, attraverso cronache di archivio in bianco e nero, interviste recenti e vecchie interviste. Il montaggio alterna testimonianze, filmati d’archivio, fotogrammi, volti, interviste, denunce e disastri. Il regista parla per immagini, ma per rendere davvero poetico il discorso per immagini il montaggio è fondamentale e Fabrizio Federico, che ha montato molti lavori e che è molto attento al repertorio, a comprendere la volontà del regista e qual è la direzione, è riuscito ad andare in una dimensione di semplicità, perché Peter non voleva fronzoli e non voleva fare una cosa né troppo romantica né troppo tecnica.
Quando lo Statuto dei lavoratori venne approvato, l’articolo di fondo del quotidiano socialista l’Avanti proclamava:
E a questo proposito se chiedessi a Gianni Loy, in quanto esperto di lavoro, se davvero lo Statuto dei Lavoratori e questi due articoli della Costituzione vengono applicati nel nostro paese, lui risponderebbe, come ha già sottolineato in una intervista che «dignità, tutele e diritti sanciti dallo Statuto dei Lavoratori, ancora oggi sono attuati di rado…».
Sicuramente, come accade a tutti noi, anche al professore capiterà di avere la sensazione che i nostri lavoratori non siano più “uomini in marcia” e che il cammino verso il rispetto e la dignità del lavoro sia ancora molto lungo…
Eppure dal dipanarsi della vicenda documentata, dal modo di raccontarla si evince che in Peter è viva la speranza, infatti ammette anche «non a caso ho scelto Gianni perché è un uomo di speranza».
Il nostro regista comunque non si ferma, per fortuna. Se qualcuno gli chiede quali sono i suoi prossimi progetti, risponde:
«Sto lavorando a tantissimi progetti, tra cui uno che è un film d’animazione che si intitola “Lo stato delle anime”, tratto dal romanzo di Giorgio Todde. E poi sto facendo altri documentari. Sono sempre attivo, mi piace investigare. Sono mosso dalla curiosità di cose che mi affascinano personalmente. Difficilmente faccio qualcosa che mi dicono altri o che mi vengono suggerite».
Col documentario “Uomini in marcia” di cui Peter è Sceneggiatore e Regista, sembra che voglia, attraverso un importante e anche incredibile fatto del passato, farci credere che se è stato possibile allora – in un momento storico in cui si era all’inizio delle battaglie sui Diritti del Lavoro – deve essere possibile anche oggi, quindi vuole incitare i lavoratori a non abbandonare la strada tanto faticosamente costruita.
Come egli stesso afferma nelle Note di Regia: «Dopo l’uscita in sala nel 2018 del mio film documentario “Uno sguardo alla Terra” tornai a Carbonia e rimasi colpito, rovistando tra gli archivi del “Centro Servizi Culturali Carbonia della Società Umanitaria – Fabbrica del Cinema”, da un evento che legò nel 1992/93 ventisette comuni del Sulcis Iglesiente e relativamente al quale il Centro stesso aveva già avviato un importante lavoro di raccolta di testimonianze e documentazione, con l’obbiettivo di restituire alla memoria collettiva, proprio attraverso la realizzazione di un film, uno degli episodi più importanti della storia del lavoro nel territorio».
La curiosità ha sempre stimolato Peter e per di più si trattava di qualcosa che riguardava i suoi antenati, i nostri ‘sardi padri’ – pur essendo nato a Oristano, essendosi trasferito a Cagliari a soli 5 anni, posso consideralo cagliaritano come me – e lui è uno di quelli che vuole sempre sapere, quindi posso solo immaginare come sia andato a rovistare tra quelle pellicole, proprio come un archeologo che scava tra i reperti per assicurarsi la scoperta di un antico mosaico.
E il suo ritrovamento è proprio quel materiale audiovisivo spuntato dagli archivi della nostra Cineteca Sarda dal quale ha potuto ricostruire la storia delle lotte dei lavoratori dell’Isola, dall’eccidio dei minatori di Monteponi (1922) fino alle grandiose mobilitazioni sindacali avvenute tra il 1992 e 1993 che coinvolsero quei ventisette Comuni del Sulcis Iglesiente, che si erano uniti per richiedere un nuovo piano di sviluppo socio-economico per un territorio che resta, ancora oggi, tra i più carenti d’Italia.
La «Marcia per lo Sviluppo» del Sulcis Iglesiente, era partita il 19 ottobre 1992 da Teulada, a Cagliari, a Civitavecchia, raccogliendo sostegno e solidarietà in tutti i paesi attraversati ed era giunta a Roma (sotto una pioggia battente) l’8 dicembre per difendere il posto di lavoro e lo sviluppo della Sardegna.
All’epoca nel polo industriale minerario sardo (bauxite, piombo, carbone, alluminio e tutto l’indotto) si contavano 21 mila disoccupati e 14 mila in cassa integrazione.
Come afferma Peter stesso «Quelle persone marciando dapprima nel loro territorio, per poi arrivare a Roma, unendo la loro “voce”, davano un forte segnale al resto dei lavoratori italiani. E proprio quella marcia di uomini, donne e bambini, fece da apripista di tante lotte per il lavoro nel nostro Paese».
Quale segreto rivela questo passato dell’Isola?
Che anche un luogo sperduto e povero, anche solo ventisette piccoli comuni dove tutti, uomini, donne, bambini, proprio tutti, si uniscono e marciano dando voce alla loro mobilitazione con il grido dell’avanti a ogni costo, può sfondare il muro dell’indifferenza e fungere da elemento trascinatore per gli altri luoghi, per gli altri lavoratori che non hanno coraggio, per quelli che hanno paura di perdere il posto di lavoro. Un solo cittadino non può protestare perché corre il rischio di essere licenziato, massacrato, preso a sassate, tutti insieme possono farlo, non hanno nemmeno più paura delle ritorsioni del padrone, sono tutti uniti da una forza collettiva, quella che all’inizio del secolo scorso è stata rappresentata dal movimento sindacale.
Non dimentichiamoci che la prima Camera del lavoro vide la luce a Milano nel 1891 per opera di Osvaldo Gnocchi-Viani. E che proprio le Camere del Lavoro costituirono l’ossatura del movimento sindacale italiano, che nel 1906 diede vita al primo coordinamento sindacale italiano su scala nazionale con la fondazione della Confederazione generale del lavoro (CGL). Ricordiamo le numerose battaglie sindacali per i Diritti, i piccoli e grandi passi compiuti dal Movimento, le lotte sindacali ai tempi di Di Vittorio o a quelli del governo di centro-sinistra del 1963 di Aldo Moro. Certo le rappresentanze sindacali erano fortemente politicizzate e ognuna aveva un suo Partito politico, ma nel momento in cui la CGIL, la CISL e la UIL (tecnicamente diventate delle confederazioni), cominciarono a lavorare in sintonia, furono collettivamente definite come “la Triplice”.
Sentite quale forza sprigiona questa parola?
È la forza di questa antica “marcia” su cui si incentra il documentario di “Marcias”. Mi piace che l’articolo pubblicato su Close up evidenzi questo legame marcia-Marcias, perché niente avviene per caso e Marcias è stato attratto da questa marcia anche sicuramente per l’eredità che porta nel suo nome, perché anche lui sicuramente, è un “uomo in marcia”.
Inoltre, come ancora evidenza Close up «essere in marcia qui vuol dire essere in movimento (come il cinema, tra l’altro), far proseguire il cammino ai diritti dei lavoratori nel corso del tempo, attraverso i pur naturali cambiamenti socio-politici ed economici delle nostre società sempre in fieri».
Mi piace anche come Davide Maria Zazzini abbia iniziato la sua recensione su Cinematografo: «Diritto al lavoro e allo sciopero. Mobilitazioni e manifestazioni. Testimonianze d’epoca e d’attualità. Un’unica arena, simbolica, come teatro degli scontri. Un’isola che all’alba degli anni Novanta si raduna e si mette in marcia. Il consorzio affratella minatori, agricoltori, operai, disoccupati, donne, sindacati, prelati e politici per chiedere al Governo sviluppo, tutele, diritti». Zazzini è un campione di sintesi e poesia, offre in poche parole il quadretto giusto del senso dell’opera di Marcias.
Peter riesce anche lui a essere poetico associando alle immagini di repertorio di questa marcia, quelle relative ad una conquista fondamentale per i lavoratori, quella dello Statuto dei Lavoratori, entrato in vigore con la Legge n. 300 del 20 maggio 1970, che reca “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”. Si tratta di un corpo normativo fondamentale del diritto del lavoro italiano che costituisce la disciplina di riferimento per i rapporti tra lavoratore e impresa e i diritti sindacali. Si divide in un titolo dedicato al “rispetto della dignità del lavoratore”, in due titoli “dedicati alla libertà e all’attività sindacale”, in un titolo sul “collocamento” e in uno sulle “disposizioni transitorie”.
Le prime istanze per un provvedimento coordinato sulla materia risalgono a quando il leader della CGIL, Giuseppe Di Vittorio, si pronunciò apertamente nel 1952 a favore di una legge quadro che riformulasse l’intera materia, e lo fece parlandone proprio in termini di statuto. Ma i protagonisti che portarono a casa questo risultato furono altri.
Giacomo Brodolini, sindacalista socialista che fu Ministro del lavoro e della previdenza sociale, legò il suo nome sia alla riforma del 1969 proprio della previdenza sociale (la cosiddetta “riforma delle pensioni”, passate dal sistema “a capitalizzazione” a quello “a ripartizione”), sia all’abolizione delle cosiddette “gabbie salariali”, sia all’impulso più determinante per la codificazione della materia del lavoro.
Brodolini richiese l’istituzione di una commissione nazionale per la redazione di una bozza di statuto (da lui chiamato “Statuto dei diritti dei lavoratori”) e chiamò come presidente un docente universitario, socialista, Gino Giugni, e un comitato tecnico di notevole spessore. E fu proprio Giugni che portò a termine il progetto perché Brodolini morì poco dopo l’istituzione della Commissione. Il suo successore, il democristiano Carlo Donat Cattin (ex-sindacalista della CISL torinese), s’impegnò in un fervente discorso per far approvare la Legge.
Il film di Peter Marcias documenta diverse fasi cruciali della storia sindacale italiana, dalla nascita delle prime organizzazioni operaie alle grandi mobilitazioni degli anni ’60 e ’70, fino ad arrivare alle lotte contemporanee per la tutela dei diritti dei lavoratori precari. Il regista arricchisce ogni fase storica con le testimonianze di coloro che hanno vissuto in prima persona questi momenti, “rendendo il documentario un’opera viva e pulsante”.
La pellicola si snoda tra interviste, riflessioni e immagini di repertorio, percorre l’Italia dalle campagne alle fabbriche, nelle Isole, al Nord e al Sud del Paese. Si avvale della voce narrante di Gianni Loy, professore di diritto del lavoro all’Università di Cagliari dal 1975 al 2014, scrittore e poeta. Un vero protagonista della storia perché riesce a raccontare i fatti con quella sua capacità di coniugare le conoscenze tecniche della materia del Diritto, con l’abilità di essere scrittore e poeta, come del resto desiderava Peter, che ha fortemente voluto Loy esattamente in questo ruolo. E davvero quest’uomo sale in cattedra, ma non come esperto specialista che pontifica, bensì come vero Maestro di vita. Egli stimola l’ascoltatore, lo accarezza con voce suadente, lo informa, lo scuote, come un padre bonario che suggerisce senza imporre nulla. Il suo eloquio è talmente delicato e coinvolgente che mi sono sentita come se stessi in fase meditativa, con questa voce fuori campo che entrava nel mio inconscio e lo faceva riflettere come una musica risvegliante.
Peter intervista anche grandi uomini del cinema che sul tema del lavoro hanno fatto la storia come Ken Loach (regista, sceneggiatore e attivista, nato in una famiglia di operai britannici, che ha dedicato tutta la sua opera cinematografica alla descrizione delle condizioni di vita dei ceti meno abbienti) e Laurent Cantet (regista e sceneggiatore francese scomparso recentemente, esperto sui temi dello scontro sociale e generazionale insieme).
Alle testimonianze poi di Peppino La Rosa, Giampaolo Puddu, Bruno Saba, Antonello Cabras, Salvatore Cherchi, si aggiungono altresì le testimonianze d’archivio: Giuseppe Di Vittorio, Giacomo Brodolini, Laura Conti, Gino Giugni, Luciano Lama, Arrigo Miglio, Mario Scelba.
Su due strade narrative parallele parlano gli operai e gli intellettuali, portatori di necessità individuali e sociali di sviluppo e obiettivi del lavoro che esplorano diversi punti di vista. Sono facce di lavoratori in primo luogo, rappresentanti dei minatori del Sulcis, che parlano attraverso uomini e donne di oggi, attraverso cronache di archivio in bianco e nero, interviste recenti e vecchie interviste. Il montaggio alterna testimonianze, filmati d’archivio, fotogrammi, volti, interviste, denunce e disastri. Il regista parla per immagini, ma per rendere davvero poetico il discorso per immagini il montaggio è fondamentale e Fabrizio Federico, che ha montato molti lavori e che è molto attento al repertorio, a comprendere la volontà del regista e qual è la direzione, è riuscito ad andare in una dimensione di semplicità, perché Peter non voleva fronzoli e non voleva fare una cosa né troppo romantica né troppo tecnica.
Quando lo Statuto dei lavoratori venne approvato, l’articolo di fondo del quotidiano socialista l’Avanti proclamava:
«La Costituzione entra in fabbrica», sottolineando «il riconoscimento esplicito di una nuova realtà che, dopo le grandi lotte d’autunno, nel vivo delle lotte per le riforme sociali, vede la classe lavoratrice all’offensiva, impegnata nella costruzione di una società più democratica».Eppure la società più democratica e attenta al mondo del lavoro era già presente nella nostra Costituzione che stabilisce all’articolo 1 che “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” e all’articolo 4 che “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”.
E a questo proposito se chiedessi a Gianni Loy, in quanto esperto di lavoro, se davvero lo Statuto dei Lavoratori e questi due articoli della Costituzione vengono applicati nel nostro paese, lui risponderebbe, come ha già sottolineato in una intervista che «dignità, tutele e diritti sanciti dallo Statuto dei Lavoratori, ancora oggi sono attuati di rado…».
Sicuramente, come accade a tutti noi, anche al professore capiterà di avere la sensazione che i nostri lavoratori non siano più “uomini in marcia” e che il cammino verso il rispetto e la dignità del lavoro sia ancora molto lungo…
Eppure dal dipanarsi della vicenda documentata, dal modo di raccontarla si evince che in Peter è viva la speranza, infatti ammette anche «non a caso ho scelto Gianni perché è un uomo di speranza».
Il nostro regista comunque non si ferma, per fortuna. Se qualcuno gli chiede quali sono i suoi prossimi progetti, risponde:
«Sto lavorando a tantissimi progetti, tra cui uno che è un film d’animazione che si intitola “Lo stato delle anime”, tratto dal romanzo di Giorgio Todde. E poi sto facendo altri documentari. Sono sempre attivo, mi piace investigare. Sono mosso dalla curiosità di cose che mi affascinano personalmente. Difficilmente faccio qualcosa che mi dicono altri o che mi vengono suggerite».
Foto di Simone Ruggiu |
Uomini in marcia è stato Presentato alla Festa del Cinema di Roma 2023 e distribuito nelle sale cinematografiche dal 1° giugno, alla vigila della Festa della Repubblica. È stato presentato il 2 maggio in Sardegna, a Carbonia, mentre io sono stata presente alla proiezione speciale a Roma al Cinema Farnese martedì 4 giugno.
Uomo in marcia – Genere: Documentario – Regia: Peter Marcias – Sceneggiatura: Peter Marcias – Attori: Gianni Loy, Laurent Cantet, Ken Loach, Peppino La Rosa, Bruno Saba, Giampaolo Puddu, Salvatore Cherchi, Antonello Pirotto, Antonello Cabras – Musiche: Stefano Guzzetti – Montaggio: Fabrizio Federico – Fotografia: Simone Ruggiu – Durata: 75 min- Produzione: Ganesh Produzioni, Ultima Onda Produzioni, Rai Cinema – Distribuzione: Notorious Pictures – Paese: Italia – Data di uscita: 01 giugno 2024 Anno: 2023
Foto di copertina: Peter Marcias, foto di Simone Ruggiu
Uomo in marcia – Genere: Documentario – Regia: Peter Marcias – Sceneggiatura: Peter Marcias – Attori: Gianni Loy, Laurent Cantet, Ken Loach, Peppino La Rosa, Bruno Saba, Giampaolo Puddu, Salvatore Cherchi, Antonello Pirotto, Antonello Cabras – Musiche: Stefano Guzzetti – Montaggio: Fabrizio Federico – Fotografia: Simone Ruggiu – Durata: 75 min- Produzione: Ganesh Produzioni, Ultima Onda Produzioni, Rai Cinema – Distribuzione: Notorious Pictures – Paese: Italia – Data di uscita: 01 giugno 2024 Anno: 2023
Foto di copertina: Peter Marcias, foto di Simone Ruggiu
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