mercoledì 20 luglio 2022

QUELLO CHE NON VI HANNO DETTO SULLE DIMISSIONI DI DRAGHI E LA CRISI DI GOVERNO

Mario Draghi e Joe Biden
di Antonio Socci 

L’astuzia politica tutta democristiana del presidente Mattarella ancora una volta ha prevalso su quella del famoso banchiere e tecnocrate. Infatti il Capo dello Stato, giovedì, respingendo e sospendendo le sue dimissioni, gli ha presentato il rinvio alle Camere come un dovere istituzionale e Draghi si è fatto convincere.

Ora però il premier si trova in un pasticcio da cui gli sarà difficile uscire indenne. Infatti mercoledì il suo governo otterrà sicuramente la fiduciadel Parlamento, probabilmente – visto che non ha ritirato i ministri – perfino quella del M5S (che comunque non è numericamente indispensabile).

A quel punto cosa farà il premier? Se confermerà ostinatamente le sue dimissioni sarà difficile giustificarle, perché un primo ministro che si dimette da un governo che ha un’ampia maggioranza per una inspiegabile ripicca, in un momento così grave, non fa una figura da statista.

Se la maggioranza – pur certa – non avrà il voto dei contiani (i dimaiani stanno incollati a Draghi), il premier potrà dire che il governo è nato con tutto il M5S e se manca un pezzo “non ci sono più le condizioni” per continuare, ma sarà una giustificazione debolissima perché lui è un tecnico, non un politico.

Il suo esecutivo non ha alla base un patto politico: un governo tecnico deve andare avanti finché ha la maggioranza in Parlamento. Quindi la sua giustificazione risulterà pretestuosa.

Se infine Draghi, davanti alla fiducia delle Camere, ci ripenserà e deciderà di restare, la sua decisione di dimettersi – giovedi 14 luglio – appariràavventata, una leggerezza poco responsabile, una dimostrazione di dilettantismo e di scarso senso dello Stato.

È per questo che – stando alle voci – in queste ore il presidente del Consiglio sta pensando di trasformare le sue “comunicazioni” alle Camere in un’informativa, in modo da non far votare il Parlamento.

Ma se così accadesse si avrebbe la prova definitiva che il dissenso del M5S, giovedì, per il premier, è stato solo un pretesto per “scappare”.

Un incidente che alcuni ritengono addirittura cercato da Draghi (o non evitato, a sentire qualche ministro).

Certo, la narrazione dominante resterà quella che vuole Conte colpevole di “gettare l’Italia nel baratro” del voto anticipato (il Pd magari cercherà acrobaticamente di coinvolgere pure la Lega nel crollo del governo).

Ma la verità evidente sarà un’altra. Di certo il M5S ha gettato il cerino nella polveriera, ma il premier voleva andarsene e ha colto al volo il pretesto offertogli da Conte, con il quale non ha nemmeno provato a mediare, neanche in questi giorni, per il timore di ricomporre la crisi.

Essersi dimesso, giovedì, subito dopo aver avuto la fiducia del Parlamento, è stato – secondo molti – il segnale di un’incomprensibile volontà di fuga.

Per cui, se Draghi voleva “scappare” da Palazzo Chigi, la domanda che s’impone è: perché?Per quale motivo vuole andarsene oltretutto con il coro nazionale e internazionale che lo implora di restare presentandolo come il Migliore? Le risposte che circolano nell’aria sono tante.

La prima: il motivo per cui ha accettato, nel febbraio 2021, di guidare un esecutivo tecnico era il Quirinale e fallito l’obiettivo non ritiene più utile stare a farsi rosolare, con una situazione dell’Italia che, dopo un anno e mezzo del suo governo, è più grave del febbraio 2021 (nonostante la cassa propagandistica dei media).

La seconda ragione che si ipotizza è proprio questa disastrosa situazione del Paese che in autunno potrebbe esplodere facendo emergere un colossale malcontento popolare contro lui e il suo governo ormai in carica da quasi due anni. Sarebbe rovinoso per la sua immagine internazionale.

La terza ragione che si ipotizza è la seguente: Draghi sarebbe proiettato verso mete (e poltrone) molto più alte, stabili e a lui congeniali, come la Banca Mondiale o quella di Segretario generale della Nato (e questo potrebbe far capire perché ha schierato l’Italia su posizioni ultra atlantiste, sconcertando Macron e Scholz i quali invece sanno che, sulla questione ucraina, gli interessi europei sono diversi da quelli americani).

La quarta ipotesi è questa: nelle prossime settimane la guerra ucraina potrebbe avere clamorosi sviluppi come fa pensare il recente avviso urgente dell’ambasciata Usa a Kiev che ha chiesto agli americani in Ucraina di “lasciare immediatamente” il Paese.

Potrebbe essere vicino il crollo dell’Ucraina e il dilagare dell’invasione russa. Oltreché una tragedia per l’Ucraina sarebbe una disfatta per i governi occidentali (a partire da quello italiano).

Del resto oggi Draghi quali condizioni potrebbe imporre ai partiti per restare? Avere le mani libere? Le ha già, da un anno e mezzo. Decide ciò che vuole e i risultati sono quelli che sono. Negativi. Dunque perché restare?

Ieri Marzio Breda, quirinalista del “Corriere della sera”, ha scritto: “Mattarella sa che Draghi è ‘molto determinato’ nella propria posizione. Una rigidità che neanche lui… è riuscito ad ammorbidire”.

La speranza di certi ambienti del Pd sta in una telefonata da oltre atlantico. Perché pensano che Draghi non sappia resistere al canto di quelle sirene. Può essere. In effetti è arrivato a Palazzo Chigi con la forte sponsorizzazione della Casa Bianca di Biden e della UE. Ma oggi questa copertura internazionale appare assai debole perché Biden ha enormi problemi in casa, con i sondaggi a picco vede una disfatta elettorale a novembre e non sa più come uscire dal disastro ucraino (si prospetta un altro Afghanistan).

Mentre l’UE traballa con una Francia e una Germania in panne, a cui si aggiunge il crollo della leadership di Johnson in Gran Bretagna. Un fallimento generale da cui Draghi, probabilmente, vorrebbe scappare prima possibile.

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