lunedì 14 ottobre 2024

IL GIALLO DELLA CONVERSIONE DI ANTONIO GRAMSCI E IL MURO DI SILENZIO

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In questi mesi Antonio Gramsci – molto studiato anche all’estero – è stato evocato spesso nel dibattito pubblico italiano. Eppure sembra che persista un argomento tabù: la sua (controversa) conversione. 

C’è qualche storico controcorrente come Luigi Nieddu che, indagando i tanti misteri dei suoi ultimi due anni e della sua morte, ne ha parlato, nel 2014, nel suo libro L’ombra di Mosca sulla tomba di Gramsci (Le Lettere), ma fra gli storici di area l’ipotesi è liquidata drasticamente.

Un esempio recente. Lo storico Angelo d’Orsi ha pubblicato, con Feltrinelli, Gramsci. La biografia e alla fine del suo libro racconta gli ultimi tre giorni del leader comunista.

UNA GRANDE SOFFERENZA

La sua situazione era tragica. Ricordiamola. Gramsci era stato arrestato nel 1926 e condannato a venti anni da parte del Tribunale speciale del regime fascista. Le dure condizioni della detenzione andarono a minare la sua salute già molto cagionevole ed egli subì una progressiva demolizione fisica e anche psicologica perché, nel frattempo, la sua critica a Stalin lo aveva isolato nel partito togliattiano e reso pericolosamente sospetto a Mosca.

Alla fine del 1933 fu ricoverato, sempre come detenuto, in una clinica di Formia, dove poté continuare a studiare e a scrivere, e un anno dopo ottenne la libertà condizionata. La sua salute però peggiorava e nell’agosto 1935 fu trasferito alla clinica Quisisana di Roma.

La cognata, Tatiania Schucht, era sempre presente e faceva da tramite con il Partito (specialmente Togliatti) e con la moglie Giulia, sua sorella, che stava in Unione Sovietica con i due figli.

Il 25 aprile del 1937 il tribunale di Roma dispose la sospensione delle misure di sorveglianza (era un uomo libero o quasi), ma proprio quella sera – scrive D’Orsi – “Antonio fu colpito da emorragia cerebrale. Non perse la parola né la lucidità: Tania (la cognata Tatania, ndr) era con lui e vi rimase la notte, tutto l’indomani, e una parte della notte seguente”.

Poi – aggiunge D’Orsi – “fu ancora visitato da Puccinelli e da Frugoni (i medici, ndr), mentre si affollavano intorno al suo letto preti e suore, infastidendolo tanto da provocare le rimostranze della cognata, che non cessava di inumidirgli le labbra, mentre il respiro dell’ammalato si faceva via via più penoso. L’agonia durò fino alle ore 4.10 di due giorni più tardi, quando cessò di respirare”.

D’Orsi liquida così quelle ore. Sostiene, con tono sprezzante, che preti e suore lo infastidivano, ma non dice quale fu la reazione di Gramsci alle loro sollecitazioni. Curiosamente non scrive che le voci che circolano da anni di una sua conversione sul letto di morte sono destituite di fondamento.

SI SBRICIOLA IL MURO DI SILENZIO

Del resto non si tratta di voci irrilevanti, ma di testimonianze dirette. La questione della conversione di Gramsci circola dal 1977, quando padre Giuseppe Della Vedova, sulla rivista Studi sociali, riportò la testimonianza della zia suora, Piera Collino, che lavorava appunto alla clinica Quisisana. Lei parlò di un bacio alla statuetta di Gesù bambino, per Natale. Secondo altre testimonianze poi Gramsci si sarebbe affidato varie volte alle preghiere della suore e avrebbe manifestato “simpatia umana” verso un’immagine di santa Teresa del Bambino Gesù, che “non volle che fosse tolta e nemmeno spostata”.

Nel 2008 arrivò l’esternazione di mons. Luigi De Magistris Il vescovo sardo, che era pro-penitenziere maggiore emerito della Santa Sede (e diventerà cardinale nel 2015), alla Radio Vaticana, disse: “Il mio conterraneo Gramsci aveva nella sua stanza l’immagine di Santa Teresa del Bambino Gesù. Durante la sua ultima malattia, le suore della clinica dove era ricoverato portavano ai malati l’immagine di Gesù Bambino da baciare. Non la portarono a Gramsci. Lui disse: ‘Perché non me l’avete portato?’. Gli portarono allora l’immagine di Gesù Bambino e Gramsci la baciò. Gramsci è morto con i sacramenti, è tornato alla fede della sua infanzia. La misericordia di Dio santamente ci ‘perseguita’. Il Signore non si rassegna a perderci”.

La fonte del prelato era una suora sarda, sorella di monsignor Giovanni Maria Pinna, segretario della Segnatura apostolica. La religiosa, in occasione di una messa in suffragio del fratello, aveva raccontato ad alcuni prelati presenti che le suore, nelle feste di Natale, portavano sempre la statuetta di Gesù bambino in ogni stanza “offrendola al bacio degli ammalati”. Così fecero anche nel Natale 1935.

Per discrezione evitarono di andare nella camera di Gramsci e lui, saputolo, chiese il motivo. Poi – riferì la suora – “il signor Gramsci disse di voler vedere quella statuetta e quando l’ebbe di fronte la baciò con evidenti segni di commozione”. “Oltre a De Magistris” scrisse Andrea Tornielli sul Giornale “ad ascoltare le parole della suora c’era monsignor Sebastiano Masala, all’epoca giudice della Sacra Rota”.

L’episodio del bacio a Gesù bambino quindi non accadde nelle ultime ore, ma nel Natale 1935 ed è significativo perché è in quei mesi che iniziano i profondi ripensamenti di Gramsci. Infatti, da allora, nulla delle sue riflessioni ci è noto, neanche un riga. È uno dei tanti misteri. Che travaglio visse in quei due anni? Fu una crisi (esistenziale e politica) che lo portò alla fede?

Nel 2008 vi fu un fuoco di sbarramento da sinistra di fronte alle rivelazioni di De Magistris. Giuseppe Vacca, dell’Istituto Gramsci, obiettò che “esiste una documentazione precisa sulle ultime ore di Gramsci, la sua fine è narrata pochi giorni dopo l’evento in una lettera della cognata Tatiana Schucht, che assisteva il degente… in nessuno di questi scritti esiste un accenno alla vicenda”.

Eppure proprio la lettera della cognata, del 12 maggio 1937, alimenta (involontariamente) i sospetti: “Il medico fece capire alla suora che le condizioni del malato erano disperate. Venne il prete, altre suore, ho dovuto protestare nel modo più veemente perché lasciassero tranquillo Antonio, mentre questi hanno voluto proseguire nel rivolgersi a lui per chiedergli se voleva questo, quell’altro…”.

Perché quei puntini di sospensione? Perché non scrive che Gramsci rifiutò quegli approcci? È chiaro che per il Partito (di stretta obbedienza sovietica) la conversione di Gramsci sarebbe stato uno scandalo politico enorme. Il tradimento.

E c’è chi ha osservato che, con il suo occhiuto controllo, se conversione vi fu, non può stupire che nulla sia trapelato. Oggi gli storici di sinistra liquidano tutto come una voce mai provata, ma perché in tutti questi anni non sono mai andati almeno a verificarla, sentendo le testimonianze dirette delle suore e di De Magistris?

Gianni Baget Bozzo, nel 2008, dichiarò di credere a De Magistris. Francesco Cossiga non aveva dubbi. Disse che – per l’incarico ricoperto alla Sacra Penitenzieria – “se c’è una persona che può sapere di una conversione di Gramsci e di una sua morte in seno alla Chiesa cattolica, quella persona è proprio monsignor De Magistris”.

IL MISTERO DEGLI ULTIMI DUE ANNI

Giancarlo Lehner, autore del libro La famiglia Gramsci in Russia, spiegò storicamente la possibile conversione: “sul piano induttivo per me non sarebbe una grande sorpresa se Gramsci avesse abbracciato, non dico in punto di morte ma nell’ultima fase della sua vita, la fede cattolica. Come testimoniano le fonti, infatti, Antonio recupera via via tutti i grandi valori della tradizione cristiana e cattolica, in primo luogo la famiglia, poi l’amicizia, il valore della verità, la solidarietà”.

Del resto, pure il libro di D’Orsi, da cui siamo partiti, ricostruisce gli ultimi anni di Gramsci come un crollo di tutte le sue certezze politiche (che si accompagnò al crollo fisico). Verso gli ambigui comportamenti dei compagni del Partito “egli nutrì sempre più il sospetto di una consapevole, sconsiderata gestionedella sua causa, che avrebbe celato una più intenzionale volontà di ‘sacrificarlo’, come ebbe a dire Tatiana nel febbraio del ’35”.

Inoltre in quegli anni il fascismo stava diventando sempre più forte e poi c’erano gli orrori di Stalin: “in Russia, era cominciata la terribile escalation dei processi, che avrebbe toccato l’acme nell’anno stesso della morte di Gramsci, il 1937”, cosicché quella che Gramsci aveva considerato la luminosa terra del socialismo e della liberazione, ormai gli si rivelava l’inferno in terra. Era una disfatta totale che forse gli fece intravedere altrove un raggio di luce. Oltre la morte.



Antonio Socci

Da “Libero”, 10 ottobre 2024

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