Un articolo datato. è del 1966 di un giornale sardista "SARDEGNA LIBERA", con uscita a numero unico, ma è sempre attuale cambiano le prospettive e gli intendimenti sullo sviluppo da dare all'economia e alla società , arriviamo a oggi e dopo la Manifestazione del 13 settembre 2019 del Comitato spontaneo popolare per l'applicazione del DLgs 75/98 sotto il palazzo del Consiglio regionale sardo , si vedono segni in movimento , si organizzano eventi sulla Zona Franca per sensibilizzare i politici della RAS alla sala del comune di Cagliari l'11 settembre, ad Assemini il 25 ottobre, al Nuraghe Losa domenica scorsa 27 ottobre, e guardando bene quanto si muove in giro ti rendi conto che veramente la macchina della Zona Franca si è avviata, e la voglia di vincere cresce, la consapevolezza si diffonde e la vediamo oggi nelle strade di Cagliari.
I commercianti cagliaritani si organizzano con l'associazione "Strada Facendo" approvata dal Comune di Cagliari lancia lo SHOPPING IN ZONA FRANCA, sostenuta dai zona franchisti, l'iniziativa ha richiamato l'attenzione della cittadinanza dando l'input a una visione nuova nel concreto a cosa si intende nella realtà per zona franca , oggi i commercianti aderenti all'iniziativa hanno scorporato l'IVA dagli acquisti previa autorizzazione dell'Agenzia delle Entrate e aziende dei prodotti in vendita.
In attesa che si applichi quanto dovuto dalla legge al popolo sardo , incoraggiamo tutti i cittadini a rivendicare personalmente quanto non vi è stato ancora dato per diritto costituzionale , e a pressare ed esigere dai politici a fare il loro dovere e lavoro attuando la legge che costituisce la Zona Franca in Sardegna!
ORGANO DELLA COMUNITÀ SARDA
Direzione e Redazione : Via Roma 68, Sassari
Sassari 20 Aprile 1966
Numero Unico
autore:
El-Kadi* (pseudonimo di
Antonio Simon Mossa)
editing a cura di Sa Defenza
30 Ottobre 2019
VERSO LA ZONA FRANCA
La Via dell'Avvenire
La richiesta di trasformazione della
Sardegna in Zona Franca, è stata avanzata sempre dai sardisti, proprio per liberare l'isola dal sistema soffocante della cinta doganale italiana, creata praticamente allo scopo di "proteggere" i produttori settentrionali che hanno fatto del Meridione e delle Isole del dominio italiano un largo mercato di consumo, una sorta di polmone regolatore degli squilibri di mercato, tanto più pericoloso - in ogni caso contrario ai nostri specifici interessi - in quanto ogni qualvolta ai grossi industriali del Nord si apre anche temporaneamente , un mercato estero, tutto il Mezzogiorno è costretto non a prezzi di concorrenza ma a prezzi assai elevati. Ci si obietta che il sistema doganale italiano protegge il nord, ciò è pacifico, ma protegge anche il sud consentendo il collocamento dei suoi scarsi prodotti nel mercato interno a prezzi remunerativi.
Questo ragionamento bizantino poteva anche essere accettato e giustificato nel lontano periodo dell'autarchia, quando cioè la folle politica di competizione fascista nella ricerca di un nuovo ordine tentava un assetto particolare e illusorio della malatissima economia nazionale.
Allora non si parlava certo di pianificazione economica ne di processo di sviluppo. Allora si parlava soltanto di supremazia e di rivendicazione, confondendo spesso e volentieri il "
genio " italico con l'eterna e insoddisfacente "
fame " meridionale
La Nuova Struttura
Dopo la guerra del 40/45 , quando le speranze di tutti i "
regnicoli" erano volte verso una . nuova struttura economica e sociale del paese , la restituzione del regime democratico in contrapposizione a quello autoritario potesse veramente ricreare nella realtà una nuova economia complementare in cui il processo di sviluppo si sarebbe attuato in armonia con quello di tutta Europa, in cui le zone sottosviluppate e depresse avrebbero trovato la solidarietà internazionale in virtù di nuove concezioni di collaborazione fra stato e stato nella più ampia visione di un rinnovamento europeo e mondiale , quando insomma si profilava orma i chiara all'orizzonte l'organizzazione supernazionale della Comunità Europea di cui tutti i territori -sopratutto quelli che avevano subito nel passato il peso di squilibri e di egemonie secolari- avrebbero beneficiato, in Italia, come in altri paesi d'Europa , la vecchia classe dominante , legata da una catena di interessi egoistici ottocenteschi, ebbe buon gioco con la classe politica sorta dal conflitto che regolò l'azione con la la massima disinvoltura.
Ecco quindi che i parlamentari democratici italiani e di molte altre nazioni tennero fede alla vecchia concezione di nazionalismo egoistico a servizio delle classi padronali, e furono mantenute e rafforzate le cinture doganali.
L'Egoismo Nazionalista
Tutti i sogni delle aree sottosviluppate e depresse vennero quindi duramente delusi . Il risveglio fu ed è terribile. Quegli stessi gruppi di potere , per prolungare ancora per molti anni la posizione acquisita a prezzo di dolori e sacrifici delle masse popolari e con totale impoverimento dei territori marginali , escogitarono la formula del
Mercato Comune Europeo , formula che tendeva - come oggi si può dedurre dal più semplice esame- a federare le classi padronali dei paesi aderenti in cui erano tenuti presenti tutti gli interessi e i processi di sviluppo unilaterali; vera e propria consacrazione del 'peggiore egoismo capitalista, negazione sostanziale del principio di uguaglianza fra i popoli, tradimento della
Carta delle Nazioni Unite.
La perplessità inglese , tanto dei conservatori , come sopratutto dei laburisti, i quali non potevano accettare il cambiamento di rotta di una larga maggioranza dei "
Tories" disposta a vendersi all'Europa per l'ultimo salvataggio di un sistema ormai destinato a scomparire, dimostra chiaramente come l'area interessata al Mercato Comune non era altro che una estensione del principio della polarizzazione di interessi di sfruttatori del restante mondo libero, depresso o sottosviluppato, zona di influenza e sicuro mercato dei nuovi signori.
Libero Scambio
L'attuazione però di una tale politica economica ha stranamente coinciso con l'insofferenza e la rivoluzione armata dei popoli coloniali che costituivano per la nuova organizzazione europea i nuclei della "promotion" del mercato nei territori finitimi. Tutto ciò doveva portare a tentativi di "aggiornamento"rapido e sostitutivo della concezione primitiva , alla concorrenza spietata con la ben più vasta area dell'
EFTA, alla nuova tendenza concordata di "promotion" dai territori perduti in Africa e in Asia.
Quale sostanziale vantaggio potevano ottenere i territori marginali dell'area europea?, quei territori che le particolari condizioni storiche di servaggio e di dipendenza economica dalle grandi potenze industriali avevano sempre mantenuto in posizione " coloniale"?
Soltanto i paesi che avevano raggiunto una reale "
indipendenza" e potevano disporre in modo autonomo dalle proprie risorse risorse nel mondo libero, quelle nazioni che guardavano al mare e che seguendo l'esempio della vecchia Olanda e della vecchia Gran Bretagna , si erano costituite una "
libera flotta mercantile" , avevano la speranza di sopravvivere e resistere alla lotta serrata fra l'organizzazione economica europea e quella di libero scambio.
Posizione sostanziale , quindi , di non allineamento, con possibilità di sviluppo di rinascita , di progresso .
Se noi quindi, noi di Sardegna, vogliamo freddamente esaminare i danni di fatto , senza suggestioni patriottiche e senza le piagnucolose remore dell'Unione Europea, dobbiamo rilevare :
1) che la Sardegna si trova in una delle tipiche aree marginali ove la comunità europea del MEC non trova conveniente una politica di sviluppo economico ;
2) che il nostro sviluppo è condizionato a un reale interesse dai gruppi centro-europei i quali tenderebbero ad incrementare le nostre capacità di mercato e di consumo in cambio di una parziale industrializzazione non concorrenziale col grosso complesso da essi manovrato;
3) che parte degli squilibri "marginali" dell'area europea dovrebbero essere assorbiti e bilanciati dagli stati componenti;
4) che qualunque forma di autonomia commerciale delle zone "marginali" potrebbe costituire , domani, causa di squilibrio per lo sviluppo graduale dell'area stessa;
5) che il nostro sviluppo dovrà essere in ogni caso controllato ed armonizzato in rapporto alle necessità della area europea del mercato comune , evitando ogni forma di concorrenza produttiva nei settori classici e in quelli di un prossimo avvenire ;
6) che alle frontiere nazionali tradizionali si sostituiscono ormai quella della Comunità Europea, con regime interno di interscambio libero, ma ben rigide diventano le frontiere di tutta l'area laddove , nelle zone marginali , ove potrebbe effettivamente crearsi la possibilità o la necessità di una nuova forma di scambi con paesi al di fuori dell'area stessa, restano sempre uguali i problemi di sviluppo , perché le zone stesse continuano come nel passato ad essere chiuse da barriere invalicabili verso il mondo libero che supera largamente l'angustia europea;
7) che le zone franche marginali sottosviluppate e tali mantenute dal condizionamento rigido della Comunità Europea, si trovano tutte nel Mediterraneo, che è la vera storia dello sviluppo avvenire, ove tre continenti si affacciano, ove si incrociano le vie del mondo, ove le civiltà si affrontano e si integrano , e che pertanto non potranno restare vincolate eternamente a una imposizione egoistica delle nuove classi dominanti europee.
La nostra posizione non differisce quindi , a parte la diversità del grado di sviluppo, da quella di
Wilson che disse , al
Congresso Laborista del 1962: "
Noi non intendiamo aderire al MEC se questo significa volgere le spalle al resto del mondo" , e nel Parlamento :"
Noi siamo dispostissimi ad unirci al Mercato Comune se - ma insisto su questo se- le condizione saranno tali da soddisfare i fondamentali interessi dell'Inghilterra e sopratutto il nostro diritto a proseguire gli scambi commerciali con i paesi del Commonwealth e dell'EFTA".
Il Club dei Ricchi
Noi pertanto , pur essendo ben diverse le nostre attuali condizioni, non dobbiamo essere relegati a una eterna posizione tributaria al
Club dei Ricchi Europei, ma ma dobbiamo tenere conto e della posizione geografica e dei fermenti di sviluppo di tutta la area mediterranea di cui - si voglia o no- facciamo parte in modo concreto molto più e diversamente di quanto possiamo essere legati e inseriti in una realtà europea (nordista) alla quale siamo assolutamente estranei.
Ciò spiega la nostra avversione al
Mercato Comune e il nostro insopprimibile obiettivo di inserimento della Sardegna nella più vasta area mediterranea che ci apre prospettive nuove e sopratutto alimenta le nostre speranze di una rinascita effettiva .
Ora soltanto così sarà possibile una graduale industrializzazione diffusiva nell'isola, perché soltanto a questo modo si rimuove definitivamente l'ostacolo costituito dall'ipoteca nordista nei riguardi del nostro sviluppo, si determina una reazione a catena che, avvalendosi dei canali mediterranei in una nuova concezione di libertà commerciale , ci porta autonomamente a creare quel clima di interrelazione con tutti i popoli del bacino mediterraneo , in cui la complementarietà delle economie risultanti dovrà in breve o lungo periodo rendere l'isola stessa centro e non margine.
L'industrializzazione diffusiva, nei termini di una pianificazione globale ma integrata nel resto dell'area mediterranea, senza l'egoismo tradizionale della caccia al mercato lontano , senza sopratutto la tendenza sopraffattrice della concorrenza, dovrà quindi sorgere per forza di cose; la uscita da una cinta doganale europea , l'evasione da uno schema di posizione volutamente marginale, la coagulazione di energie volte al libero interscambio mediterraneo, la pianificazione del tutto autonoma in rapporto esclusivo con le possibilità di quella integrazione a larghissimo raggio, la trasformazione in altre parole della Sardegna in Isola Franca , significa l'unica vera strada per la rinascita.
Non più quindi esportazione di "
coolies" cioè di
gente affamata e schiava che porta la sua energia, la sua intelligenza , la sua operosità, a servizio del Nord Europa, ma processo integrato di industrializzazione in cui le nostre energie , la nostra intelligenza e la nostra operosità siano al servizio della Sardegna e di quei popoli che possono sinceramente collaborare con la nostra gente senza essere da questi sfruttati e senza sfruttarla.
Utopia e Schiavitù
Non vi è niente di utopistico in questa concezione economica. Vi è soltanto l''esame obiettivo di una realtà , in vista di una liberazione dalle catene del vecchio egoismo dei padroni nordisti perché i sardisti sempre si sono battuti per la
Sardegna Zona Franca, affinché la finalità di una autonomia completa e soddisfacente fosse raggiunta
Perché se si vuole veramente che il popolo sardo risalga la china della eterna miseria è indispensabile il processo integrale di industrializzazione . Presupposto perché si giunga alla diffusività delle industrie a tutti i livelli , onde rendere l'isola una terra sviluppata nel senso attuale del termine , e appunto la serie di vantaggi che la
Zona Franca produce in rapporto a qualunque altro sistema di regimi , controlli, e barriere doganali. Ora, se il Mercato Comune - come di fatto avviene- non favorisce o condiziona gli interessi di un club ristretto di regioni ricche il processo della nostra industrializzazione non si vede realmente il modo in cui si possa attuare nell'Isola la pianificazione globale che auspichiamo.
Il progetto di
Statuto Autonomo Regionale proposto a suo tempo dai sardisti, prevedendo innanzitutto l'autonomia finanziaria della Sardegna , negava la validità del sistema doganale nazionale, strettamente protettivo di industrie che non hanno sede in Sardegna, e proponeva - secondo i programmi tradizionale del Partito- l'istituzione della
Zona Franca estesa praticamente a tutto il territorio dell'isola. I sardisti si batterono contro il complicato sistema delle esenzioni parziali doganali, proposto dalla commissione per lo Statuto nominata dalla
Consulta Regionale, in quanto non ritenevano che avrebbe ai potuto funzionare. Il che si è verificato, naturalmente, con l'aggravio che i sardi sono stati costretti e lo sono ancora oggi ad acquistare i prodotti che i monopoli italiani ci impongono a prezzi sempre più alti di quanto il mercato mondiale offra ( si veda l'azione monopolista della Federconsorzi in Sardegna).
E, come prevedeva
Piero Soggiu (IL SOLCO, 12 Aprile 1947, n12) "
alla fine dei venticinque anni (di esenzione doganale a favore dello sviluppo , secondo le proposte della Consulta ) , insufficienti a dare l'abbrivio alla trasformazione economica dell'isola, essa sarà nuovamente in lotta per mantenere quel minimo di libertà faticosamente conquistato. tanto valeva ottenere almeno i vantaggi della Zona Franca ", la situazione economica sarda si presenta , allo scadere di 18 anni , esattamente così, forse ancora più tragica di quanto lo stesso
Piero Soggiu prevedesse. D'altra parte, se si riuscisse a svincolare la Sardegna dal sistema doganale europeo e italiano, si aprirebbero le vie di uno sviluppo conforme al generale sviluppo dell'area mediterranea. L'autonomia non ha senso a nostro avviso senza l'autonomia doganale.
La Zona Franca come Aosta
Con il riconoscimento della
Zona Franca verrebbe a conseguirsi la esenzione dei diritti di confine , delle imposte interne di produzione e di vendita, con quale vantaggio per l'insediamento di industrie e per l'incremento del commercio è facile intendere. Solo in tal modo sarà possibile istituire nell'isola depositi, industrie per la trasformazione , la manipolazione, e la conservazione di merci di alto valore tecnologico, in regime di piena libertà doganale.
Potranno essere quindi introdotti nell'isola e lavorati prodotti e materie prime provenienti dall'estero senza i gravami dei diritti doganali; con la libera circolazione e il libero commercio delle materie prime e dei prodotti industriali e con tutti quei provvedimenti atti a costituire la spina dorsale della rinascita economica dell'isola, palesi ed evidenti appaiono i vantaggi per i produttori ed i consumatori, per cui i sardi senza esclusione di sorta si renderanno consapevoli autori del processo generale di rinnovamento.
L'isola dovrà innalzarsi al giusto posto che le compete nel
Mediterraneo e nel mondo , affermandosi come centro di produzione e di esportazione offrendo pane e lavoro dignitoso a tutti i suoi figli.
Altrimenti lo sviluppo significherà soltanto miseria e miseria; l'autonomia non avrà efficacia , e la schiavitù dei sardi si estenderà ai secoli dei secoli.
Ma non sono stati i sardisti a creare quella situazione. Sono stati gli altri partiti , asserviti al potere di gruppi monopolistici del nord. E piangono i sardi.
da
Sardegna Libera 20 Aprile 1966
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