Di Mauro Pili
La “manina” questa volta ha agito con una precisione chirurgica. Un intervento millimetrico, un solo numero sostituito all’ultimo istante, un «trenta» che diventa «novanta». Una mossa capace di aprire scenari ancora più inquietanti sull’ombra nucleare che si allunga ancora una volta sulla Sardegna. Un blitz politico elettorale che cela sponde trasversali e sotterranee, una lobby radioattiva capace di pianificare in ogni dettaglio l’obiettivo finale. Il piano per realizzare il Deposito Unico di scorie nucleari, opera miliardaria bramita dagli affaristi dell’atomo da dismettere, tra scorie e decommissioning, viaggia spedito nelle aule parlamentari. La Camera dei deputati ha votato il decreto Energia il 26 gennaio scorso, il Senato della Repubblica lo farà almeno un giorno prima della scadenza dei sessanta giorni utili per convertire in legge il decreto, il 9 febbraio.
Decreto blindato
Pacchetto legislativo già chiuso e blindato, impossibile, salvo ribaltamenti dell’ultim’ora, modificarlo. L’aula di Montecitorio si è presa giusto il tempo per impedire al Senato ulteriori correzioni in corso d’opera. La modifica all’articolo undici della norma, quella relativa al deposito di scorie radioattive, è scandita in una modifica legislativa che doveva appartenere a quelle apparentemente insignificanti. Tutt’altro, invece. Si tratta, infatti, di un emendamento della “teorica” opposizione al Governo Meloni, quella degli esponenti di Azione, approvato a spron battuto dalla maggioranza e non solo. Il dispositivo della correzione è roba da ingegneri della legislazione: «Al comma 1, lettera c), numero 2), capoverso 5-bis, secondo periodo, sostituire le parole: entro trenta giorni con le seguenti: entro novanta giorni».
Colpo di mano
Non roba da semplici cultori dei calendari, ma semmai la convergenza parlamentare di “appassionati” calcolatori delle scadenze elettorali e delle convenienze politiche. Quella modifica sottotraccia, i termini ampliati da trenta a novanta giorni per consentire al Ministero della Difesa di candidare le basi militari, il 65% dislocate in Sardegna, a luogo per realizzare il deposito unico di scorie radioattive, è molto più di un colpo di mano. Non ci vuole molto per sintetizzare il colpo basso: la Sardegna è l’unica Regione che andrà al voto il 25 febbraio. Nella prima e originaria stesura del decreto-legge varato dal Governo Meloni il 9 dicembre scorso erano previsti «30 giorni» per consentire al Ministero della Difesa di proporre “volontariamente” e “autonomamente” siti e poligoni militari per “ospitare” il deposito unico di scorie radioattive. Una vera e propria “militarizzazione” della partita nucleare, una sorta di “golpe” capace di sottrarre alle istituzioni democratiche, Comuni e Regioni, la potestà del governo del territorio.
La “manina” questa volta ha agito con una precisione chirurgica. Un intervento millimetrico, un solo numero sostituito all’ultimo istante, un «trenta» che diventa «novanta». Una mossa capace di aprire scenari ancora più inquietanti sull’ombra nucleare che si allunga ancora una volta sulla Sardegna. Un blitz politico elettorale che cela sponde trasversali e sotterranee, una lobby radioattiva capace di pianificare in ogni dettaglio l’obiettivo finale. Il piano per realizzare il Deposito Unico di scorie nucleari, opera miliardaria bramita dagli affaristi dell’atomo da dismettere, tra scorie e decommissioning, viaggia spedito nelle aule parlamentari. La Camera dei deputati ha votato il decreto Energia il 26 gennaio scorso, il Senato della Repubblica lo farà almeno un giorno prima della scadenza dei sessanta giorni utili per convertire in legge il decreto, il 9 febbraio.
Decreto blindato
Pacchetto legislativo già chiuso e blindato, impossibile, salvo ribaltamenti dell’ultim’ora, modificarlo. L’aula di Montecitorio si è presa giusto il tempo per impedire al Senato ulteriori correzioni in corso d’opera. La modifica all’articolo undici della norma, quella relativa al deposito di scorie radioattive, è scandita in una modifica legislativa che doveva appartenere a quelle apparentemente insignificanti. Tutt’altro, invece. Si tratta, infatti, di un emendamento della “teorica” opposizione al Governo Meloni, quella degli esponenti di Azione, approvato a spron battuto dalla maggioranza e non solo. Il dispositivo della correzione è roba da ingegneri della legislazione: «Al comma 1, lettera c), numero 2), capoverso 5-bis, secondo periodo, sostituire le parole: entro trenta giorni con le seguenti: entro novanta giorni».
Colpo di mano
Non roba da semplici cultori dei calendari, ma semmai la convergenza parlamentare di “appassionati” calcolatori delle scadenze elettorali e delle convenienze politiche. Quella modifica sottotraccia, i termini ampliati da trenta a novanta giorni per consentire al Ministero della Difesa di candidare le basi militari, il 65% dislocate in Sardegna, a luogo per realizzare il deposito unico di scorie radioattive, è molto più di un colpo di mano. Non ci vuole molto per sintetizzare il colpo basso: la Sardegna è l’unica Regione che andrà al voto il 25 febbraio. Nella prima e originaria stesura del decreto-legge varato dal Governo Meloni il 9 dicembre scorso erano previsti «30 giorni» per consentire al Ministero della Difesa di proporre “volontariamente” e “autonomamente” siti e poligoni militari per “ospitare” il deposito unico di scorie radioattive. Una vera e propria “militarizzazione” della partita nucleare, una sorta di “golpe” capace di sottrarre alle istituzioni democratiche, Comuni e Regioni, la potestà del governo del territorio.
Trenta giorni scattati originariamente dal momento della ripubblicazione da parte dei Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico della mappa dei siti idonei ad accogliere le scorie. L’elenco dei potenziali luoghi è, infatti, comparso nel sito del Ministero il 13 dicembre scorso. In pratica, visto che il decreto-legge nella sua stesura originale è vigente per sessanta giorni, sino alla conversione parlamentare, i termini per le candidature dei poligoni sarebbero scaduti il 13 gennaio. Entro quella data, dunque, il Ministero della Difesa avrebbe dovuto trasmettere sia al dicastero dell’Ambiente che alla Sogin, il “braccio nucleare” dello Stato, i siti militari candidati alla realizzazione del «mausoleo» delle scorie radioattive. Ad oggi, però, non è dato sapere se, in base alla scadenza del 13 gennaio, le “stellette” di Stato abbiano o meno avanzato qualche area prediletta. Un dato è certo, se anche fosse stata formalizzata la candidatura, è stata tenuta segreta. Nemmeno uno spiffero dai “palazzi di guerra”.
Un silenzio inquietante, così come la proroga a «novanta giorni» di quella scadenza. È fin troppo evidente che questo slittamento dei tempi consente ai partiti di maggioranza, e non solo, di “scollinare” le elezioni regionali sarde, omettendo un “pericolo” di non poco conto, sintetizzabile con un quesito imprescindibile: il deposito delle scorie radioattive è destinato alle basi militari della Sardegna? La modifica temporale approvata dalla Camera, e ormai prossima al varo definitivo da parte del Senato, da trenta a novanta giorni, sposta le lancette del “cronometro delle scorie nucleari” al 13 marzo prossimo, con le elezioni regionali sarde già belle che “consumate”.
Un passaggio chiave che rischia di mettere la Sardegna sotto scacco e spalle al muro. Il deposito nucleare è, infatti, come è facile desumere, fattore dirimente contro lo sviluppo, visto il danno e il pesante condizionamento d’immagine che graverebbe sulla percezione turistica dell’Isola. L’inserimento dei poligoni militari sardi tra i possibili siti destinati ad ospitare il deposito radioattivo aggrava ancor di più la posizione dell’Isola, già balzata ai vertici di quella “maledetta” mappa di siti dichiarati idonei ad accogliere le scorie. Come se non fossero sufficienti quei 14 Comuni sardi già individuati nella mappa varata prima dal Governo Conte e poi confermata da quello Meloni, ora, nello scenario dei potenziali siti, vengono di fatto ricomprese tutte le basi militari sarde, per ben 35 mila ettari. Dai 12 mila ettari del Poligono del Salto di Quirra ai 7.200 di Teulada, dalla falange di Capo Frasca sino all’arsenale di Santo Stefano, nell’Isola di La Maddalena. Con una “occupazione” militare senza eguali del territorio sardo c’è il serio pericolo che il Ministero della Difesa possa decidere di indicare proprio uno dei poligoni dislocati nell’Isola.
Militarizzazione
Una “militarizzazione” di questi siti che taglierebbe totalmente fuori dalle decisioni le istituzioni democratiche sarde, delegando a “stellette” e Governo una decisione grave e inaccettabile, non foss’altro per la Specialità autonomistica e costituzionale in materia di «Governo del territorio». Una competenza primaria calpestata senza colpo ferire e che dovrebbe essere impugnata dalla Regione senza attendere nemmeno la prossima scadenza del termine del 13 marzo. Con questo decreto del Governo, infatti, non si prevede nessuna procedura di coinvolgimento della Regione, né con la formula del «sentita», tantomeno con quella dell’«intesa», provocando una gravissima violazione costituzionale alle disposizioni statutarie che hanno attribuito alla Regione la competenza primaria proprio nel «Governo del territorio».
Mancata impugnazione
Una mancata e tempestiva impugnazione da parte della Regione sarda di questo decreto, che sarà varato definitamente nella prima decade di febbraio, lascerà aperto il contenzioso alla prossima legislatura regionale, lasciando intravvedere, però, un silenzio-assenso dell’attuale Governo sardo su questa palese violazione costituzionale. Una vicenda, quella delle scorie nucleari in Sardegna, che coinvolge, in un modo o nell’altro, tutte le forze politiche impegnate nella contesa elettorale per le prossime elezioni regionali. Una cronologia delle responsabilità che non lascia scampo ai contendenti: dalla prima mappa dei siti sardi varata dal Governo Cinque Stelle e Pd nel gennaio 2021, a quella confermata dall’attuale Governo Meloni nel dicembre 2023, per arrivare all’emendamento “galeotto” della italianissima Azione schierata con Rifondazione Comunista a sostegno dell’ex Pd Soru. È evidente che, dinanzi ad appuntamento così rilevante come il voto per il futuro Presidente della Regione e il rinnovo del Consiglio regionale, posticipare la scelta e la comunicazione del sito militare da proporre “volontariamente” al dopo elezioni del 25 febbraio è un fatto gravissimo, sia sul piano morale che politico-istituzionale.
Decidere oggi, non dopo
Ora che quella “manina” chirurgico-nucleare è stata scoperta, sarebbe corretto che, alla luce del sole e senza sotterfugi, con atti concreti e tangibili, si prendesse atto dell’incostituzionalità di quella norma “militare”. Nel contempo, senza fronzoli, l’Isola dovrebbe essere immediatamente esclusa da quel «piano nucleare», senza se e senza ma. I sardi, del resto, si sono già espressi senza mezze misure: in Sardegna mai.
Mauro Pili
Militarizzazione
Una “militarizzazione” di questi siti che taglierebbe totalmente fuori dalle decisioni le istituzioni democratiche sarde, delegando a “stellette” e Governo una decisione grave e inaccettabile, non foss’altro per la Specialità autonomistica e costituzionale in materia di «Governo del territorio». Una competenza primaria calpestata senza colpo ferire e che dovrebbe essere impugnata dalla Regione senza attendere nemmeno la prossima scadenza del termine del 13 marzo. Con questo decreto del Governo, infatti, non si prevede nessuna procedura di coinvolgimento della Regione, né con la formula del «sentita», tantomeno con quella dell’«intesa», provocando una gravissima violazione costituzionale alle disposizioni statutarie che hanno attribuito alla Regione la competenza primaria proprio nel «Governo del territorio».
Mancata impugnazione
Una mancata e tempestiva impugnazione da parte della Regione sarda di questo decreto, che sarà varato definitamente nella prima decade di febbraio, lascerà aperto il contenzioso alla prossima legislatura regionale, lasciando intravvedere, però, un silenzio-assenso dell’attuale Governo sardo su questa palese violazione costituzionale. Una vicenda, quella delle scorie nucleari in Sardegna, che coinvolge, in un modo o nell’altro, tutte le forze politiche impegnate nella contesa elettorale per le prossime elezioni regionali. Una cronologia delle responsabilità che non lascia scampo ai contendenti: dalla prima mappa dei siti sardi varata dal Governo Cinque Stelle e Pd nel gennaio 2021, a quella confermata dall’attuale Governo Meloni nel dicembre 2023, per arrivare all’emendamento “galeotto” della italianissima Azione schierata con Rifondazione Comunista a sostegno dell’ex Pd Soru. È evidente che, dinanzi ad appuntamento così rilevante come il voto per il futuro Presidente della Regione e il rinnovo del Consiglio regionale, posticipare la scelta e la comunicazione del sito militare da proporre “volontariamente” al dopo elezioni del 25 febbraio è un fatto gravissimo, sia sul piano morale che politico-istituzionale.
Decidere oggi, non dopo
Ora che quella “manina” chirurgico-nucleare è stata scoperta, sarebbe corretto che, alla luce del sole e senza sotterfugi, con atti concreti e tangibili, si prendesse atto dell’incostituzionalità di quella norma “militare”. Nel contempo, senza fronzoli, l’Isola dovrebbe essere immediatamente esclusa da quel «piano nucleare», senza se e senza ma. I sardi, del resto, si sono già espressi senza mezze misure: in Sardegna mai.
Mauro Pili
Nessun commento:
Posta un commento