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venerdì 1 ottobre 2021

Hanno ridotto il futuro alle previsioni meteo





di MARCELLO VENEZIANI

Che impressione vedere il ministro Cingolani supplicante davanti alla «madrina della Terra» per farsi assolvere dai peccati.


L’aspettativa delle classi dominanti è cristallizzare il presente senza più preoccuparsi delle evoluzioni storiche, sociali e spirituali.

Hanno trasformato il futuro in un incubo da evitare. 

Faceva una certa impressione l’altro giorno vedere il ministro per la Transizione ecologica Stefano Cingolani quasi inginocchiato davanti alla madonnina del Pianeta, Greta Thunberg che lo guardava col suo sguardo torvo, punitivo, e in segno di ostilità aveva pure i piedi ritorti all’interno, sulla difensiva. 

Era già successo ad altri grandi della Terra. Un ministro esperto di tecnologia stava lì supplicante e prostrato ai suoi piedi per farsi assolvere dai peccati ecologici dalla Madrina della Terra, che rappresenta lo Spirito del Mondo e il Tribunale Planetario del Futuro. Già, il Futuro. Da tempo ormai  si parla di futuro solo per riferirsi al pianeta in pericolo, la terra intesa come ambiente.

L’attesa del futuro, dacché esiste un barlume di coscienza nell’umanità, è sempre stata collegata alla speranza di un mutamento storico, sociale, politico, economico; un progresso o un miglioramento delle condizioni di vita personali o collettive; o un cambiamento spirituale, che in linguaggio religioso si chiama metanoia, palingenesi, prospettiva escatologica, speranza di salvezza.

Ora, invece, l’unico modo consentito di pensare al futuro è nella difesa dell’ambiente, del pianeta, del clima, dell’aria e dell’acqua; non si mettono in discussione gli assetti sociali, culturali, economici
e politici. Ma le emissioni nocive. 

Anche Bergoglio avalla questo riduzionismo climatico del futuro.

Non c’è dunque un’aspettativa di cambiamento positivo ma solo un timore, l’angoscia del cambiamento, la minaccia globale, il pericolo mortale. L’idea di futuro è associata al degrado, perciò l’unico progetto sul futuro è salvare il clima dall’incoscienza del presente.

Siamo così passati da un’idea innovativa ed evolutiva del futuro, nel segno del progresso o della rivoluzione, a un’idea reazionaria ed involutiva del futuro, nel segno della conservazione.

Da notare l'estetica della bambina: sempre uguale. Le cercano apposta con determinate caratteristiche fisiche.

Il futuro è inteso come minaccia di perdere una condizione di vita.

Questa svolta coincide anche con la mutata composizione sociale del mondo progressista: la classe di riferimento non è più quella dei ceti proletari, dei poveri che sognavano di cambiare l’oggi per avere un futuro migliore, ma è quella dei nuovi borghesi che temono di perdere lo status presente e vogliono fermare il mondo, tutelarlo dal futuro. Vogliono salvaguardarsi dalla minaccia del futuro.

Provate a chiedere in giro che aspettativa c’è del futuro, a parte quella personale e privata: non c’è traccia di alternativa, si è insecchito pure il petulante leit motiv di sognare un mondo migliore. C’è solo da evitare il peggio; di conseguenza l’arma migliore per il futuro è il freno d’emergenza, o al più, per dirla con Latouche la «decrescita felice», o meno infelice possibile.

La rinuncia al futuro diventa anche abdicazione in favore dei migranti: gli unici titolari viventi del diritto a un futuro migliore vengono riconosciuti in coloro che lasciano le proprie terre, le loro famiglie, il loro mondo nell’aspettativa di un futuro migliore. Il nostro futuro è il loro, o meglio loro sono il nostro futuro, noi siamo solo residui del passato che si attardano sulla difensiva prima di essere sostituiti da loro o spazzati via dal collasso planetario, per ragioni d’inquinamento e aridità, denatalità o sovraffollamento.

 













Siamo disabilitati al futuro e nostro compito è consentire il passaggio di proprietà del pianeta in loro favore.

Per portare a compimento il messaggio stanno costruendo e lanciando in orbita terrestre, accanto al drone Greta, un drone di colore, che possa integrare il tema ecologico col tema del razzismo: abbiamo visto al suo fianco una ragazza ugandese, Vanessa Nakate, nuova testimonial della lotta per l’ambiente e insieme della lotta antirazzista. La fabbrica degli idoli partorisce un nuovo prodotto per una campagna in apparenza spontanea, in realtà tutta prefabbricata, programmata a tavolino e gonfiata dai media.

La denuncia ambientale scatena intanto una gara internazionale d’ipocrisia: non c’è multinazionale, catena d’ipermercati, impresa alimentare, securitaria o assicurativa, che non faccia pubblicità vantando il suo prodotto non per le sue qualità ma perché ecosostenibile, perché rispetta i protocolli della retorica ambientalista, partecipa alle campagne contro la plastica, alla raccolta volontaria dei rifiuti, al riciclo e al catechismo idrogeologico e atmosferico delle giovani marmotte. È solo fuffa, o al più gesto simbolico, per raggirare gli utenti e invogliarli ai consumi con la falsa coscienza di servire la causa nobile del Pianeta da Salvare.


Il futuro sostenibile è venduto in confezione unica dagli emissari del potere ideologico, merceologico e commerciale.
Tra un futuro come minaccia globale per spaventare i cittadini e un ambientalismo ecofurbo per carpire la buona fede degli stessi, è venuta meno l’attesa più autentica dell’avvenire. Che non riguarda solo il clima ma l’umanità, i sistemi politici, economici e sociali, la condizione spirituale e morale, la giustizia.

Chi ci deruba del futuro? L’Ingranaggio ci impedisce di pensare al futuro come diverso dal presente. Si oppone al futuro chi domina il presente: chiamatelo establishment, mainstream, sistema, assetto
vigente. Ci è vietato di pensare al futuro se non come la perpetuazione dell’oggi; è impossibile e perfino impensabile fuoruscire dal suo modello, dalla sua ideologia e dai suoi canoni.

La diagnosi è radicale ma il proposito di ribaltare il dominio ci pare velleitario. Intanto, però, rendiamoci conto in che mondo ci troviamo, chi sono i padroni del tempo che ci rubano il futuro e ci dicono che è
solo una questione meteo. Una volta si cantava: il domani appartiene a noi... E invece, come diceva Paul Valéry: «Non c’è più il futuro di una volta». Il postuomo non dovrà pensare ma solo funzionare.


martedì 26 maggio 2020

TORNA LA SATIRA DI TRILUSSA PER CAPIRE QUESTI MESI

TORNA LA SATIRA DI TRILUSSA PER CAPIRE QUESTI MESI

Antonio Socci
Sa Defenza 


La situazione politica in Italia è grave, ma non seria, diceva Ennio Flaiano. Tanto più possiamo dirlo in questi mesi, sospesi come siamo fra la gravità della pandemia e lo spettacolo surreale offerto da questa classe di governo.

Forse per questo uno degli autori più citati – fra gli osservatori non conformisti – a commento delle cronache è stato Trilussa, il famoso poeta satirico romano di cui, fra l’altro, ricorre quest’anno il 70° anniversario della morte. Gli spunti di cronaca sono stati tanti.

Il Capo del governo, Giuseppe Conte, dopo essersi specchiato più volte in Winston Churchill e nell’epica dimensione del grande statista durante la Seconda guerra mondiale, ha detto e ripetuto a reti unificate, con enfasi: Stiamo scrivendo una pagina di Storia.

Così Marcello Veneziani ha demolito quell’autoesaltazione evocando per lui non Churchill, ma la lumachella della vanagloria – appunto – di Trilussa:

“La Lumachella della Vanagloria,
ch’era strisciata sopra un obbelisco,
guardò la bava e disse: Già capisco
che lascerò un’impronta ne la Storia”.

Altrettanto corrosivo – dopo le lacrime del ministro dell’agricoltura Bellanova per la sanatoria dei migranti – Daniele Capezzone ha vergato un tweet: “Per Conte, Bellanova e co, l’immortale Trilussa sulle lacrime in politica: ‘Pianse così bene che quasi ce rideva pure lui’ ”. Il titolo della poesia citata è La sincerità ne li comizzi e si conclude proprio così:

“Eppoi parlò de li principi sui:
e allora pianse: pianse così bene
che quasi ce rideva puro lui”.

Un’implicita evocazione trilussiana era contenuta anche nei tweet di Vittorio Feltri che – durante la vicenda Covid – per ironizzare sulla proibizione di darsi la mano, ha vergato una serie di tweet in cui elogiava le qualità igieniche del saluto romano (precisando che era appunto degli antichi romani, ben prima del fascismo e aggiungendo pure – per lo stesso motivo – l’elogio del saluto a pugno chiuso comunista).

Trilussa – che non fu mai fascista durante il ventennio – faceva dell’umorismo sul saluto romano con argomenti “sanitari” che sembrano anticipare alla lettera le norme governative di oggi:

“Quela de dà la mano a chissesia
nun è certo un’usanza troppo bella:
te po succede ch’hai da strigne quella
d’un ladro, d’un ruffiano o d’una spia.
Deppiù la mano, asciutta o sudarella,
quanno ha toccato quarche porcheria,
contiè er bacillo d’una malattia
che t’entra in bocca e va ne le budella.
Invece, a salutà romanamente,
ce se guadagna un tanto co’ l’iggene
eppoi nun c’è pericolo de gnente.
Perché la mossa te viè a di’ in sostanza:
– Semo amiconi… se volemo bene…
ma restamo a una debbita distanza”.

L’abbondante produzione letteraria di Trilussa offre la possibilità di rileggere molti altri fatti e fenomeni di attualità, sempre con lo sguardo ironico, anticonformista e disincantato del poeta di Trastevere.

Divertente è La libbertà de pensiero che sembra anticipare l’attuale regime politically correct. Il “Gatto bianco” è il presidente del “circolo der Libbero Pensiero” e quando sentì che “un Gatto nero/libbero pensatore come lui,/je faceva la critica” si risentì:

“Giacché nun badi alli fattacci tui
– je disse er Gatto bianco inviperito –
rassegnerai le propie dimissione…
ché qui la poi pensà libberamente
come te pare a te, ma a condizione
che t’associ a l’idee der presidente
e a le proposte de la commissione!
– E’ vero, ho torto, ho aggito malamente…-
rispose er Gatto nero.
E pe’ restà nel Libbero Pensiero
da quela vorta nun pensò più gnente”.  

Innumerevoli i versi di satira sulle furbe commistioni fra clericali e anticlericali:

“Oggi che la coscenza nazzionale
s’adatta a le finzioni de la vita,
oggi ch’er prete è mezzo libberale
e er libberale è mezzo gesuita,
se resti mezza bianca e mezza nera
vedrai che t’assicuri la cariera”.  

Sotto il titolo La Giustizia aggiustata si legge poi questa triste poesia che fa riflettere:

“Giove disse a la Pecora: Nun sai
quanta fatica e quanto fiato sciupi
quanno me venghi a raccontà li guai
che passi co’ li Lupi.
E’ mejo che stai zitta e li sopporti.
Hanno torto, lo so, nun c’è questione:
ma li Lupi so’ tanti e troppo forti
pe’ nun avè raggione!”.

Memorabili i versi satirici di Trilussa sulle varie categorie: il politico, il ministro, i giornali, il moralista, il sindacalista, l’umanitario, i personaggi famosi, i trasformisti e i cortigiani.

C’è pure la satira sul partito intransigente. Un giorno un Sovrano decise di licenziare il suo celebre Buffone, che pure lo divertiva, e quello protestò:

“E quanno m’hai cacciato
chi farà divertì la monarchia?
chi farà ride er capo de lo Stato?
Er Sovrano rispose: Per adesso
me basta quer partito intransiggente
che me combatte cor venimme appresso
e m’alliscia rispettosamente…
Tu nun me servi più: rido lo stesso!”.  

E siccome la storia ripropone sempre certi costanti temi di geopolitica, capita di imbattersi – per esempio – in una poesia di Trilussa che, nel 1916 (durante la prima guerra mondiale), sbeffeggiava la smania imperialistica della Germania.

La poesia – a dire il vero – s’intitola L’Internazionale tedesca e c’era un motivo per cui prendeva di mira il partito socialista tedesco che viene definito dei socialisti del Kaiser (come dice la nota dell’edizione mondadoriana di “Tutte le poesie”). Infatti la satira si apre con

“un tedesco che girò l’Europa
con un cartello e un fazzoletto rosso
attaccato in un manico de scopa.
Er cartello diceva: ‘Proletari!
La patria è er monno! Dunque date addosso
a chi vo fa’ le spese militari.
Se volete la pace universale
bisogna ch’abbolite ogni frontiera.
Venite tutti sotto ‘sta bandiera
che canteremo l’Internazionale’.
Quanno er tedesco ritornò ar paese
agnede a casa de l’Imperatore
pe’ fasse rimborsà tutte le spese.
’Be’ – dice – com’è annata?’ – ‘Bene assai!
La propaganda ha fatto un gran furore.
Dio! Quanti fessi! Nun credevo mai!
E l’ho lasciati tutti co’ la smania
d’unì le patrie in una patria sola…
E, in questo, je mantengo la parola
perché faremo tutta una Germania”.

Antonio Socci

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mercoledì 16 gennaio 2019

DOVE ARRIVERA’ ZIO PEPPUCCIO, IL RENZIANO-PRODIANO CHE GUIDA IL GOVERNO GIALLOVERDE

DOVE ARRIVERA’ ZIO PEPPUCCIO, IL RENZIANO-PRODIANO CHE GUIDA IL GOVERNO GIALLOVERDE


Antonio Socci
Sa Defenza 


La porta di Palazzo Chigi si aprì e non entrò nessuno: era Giuseppe Conte. Così – parafrasando Fortebraccio – si potrebbe sintetizzare la narrazione dei media sull’arrivo alla presidenza del Consiglio dell’attuale premier.

È letteralmente balzato fuori dall’anonimato, da un giorno all’altro, come un coniglio dal cilindro del mago, senza aver fatto nulla che potesse caratterizzarlo in qualche modo (come docente universitario era poco conosciuto perfino a Firenze dove insegnava).

Essendo stato scelto proprio per una neutra mediazione fra M5S e Lega, sembrava un uomo senza passato, senza idee e senza identità. Ma non senza qualità. Perché – bisogna riconoscerlo – nessuno aveva capito il personaggio e quello che avrebbe fatto. Era stato del tutto sottovalutato.

Per alcuni mesi infatti è stato rappresentato (e pure spernacchiato) come il vaso di coccio fra i due vasi di ferro (Salvini e Di Maio), come l’incolore riempitivo dell’esecutivo gialloverde. Come lo zero che – nella previsione del deficit del DEF, quella approvata dalla UE – si è frapposto fra il 2 e il 4. Una specie di lubrificante, destinato solo a diminuire gli attriti.


CONTE ZIO

Era il perfetto Conte Ziodei Promessi sposi, come aveva acutamente intuito Marcello Veneziani. E infatti si adattava perfettamente alla sua attività di premier, la descrizione manzoniana di quel personaggio: Sopire, troncare, troncare, sopire” perché “quest’urti, queste picche, principiano talvolta da una bagatella, e vanno avanti, vanno avanti…”.

A confronto delle dichiarazioni dirompenti dei due vicepremier,  il Conte Zio praticava – per riprendere il Manzoni – un parlare ambiguo, un tacere significativo, un restare a mezzo, uno stringer d’occhi che esprimeva: non posso parlare.

Nella compagine governativa gialloverde, dava l’impressione di essere – ricorro ancora ai Promessi sposi – “come quelle scatole che si vedono ancora in qualche bottega di speziale, con su certe parole arabe, e dentro non c’è nulla; ma servono a mantenere il credito alla bottega”.


ZIO PEPPINO

Si era autodefinito Avvocato del popolo”, ma questa bellicosa espressione di sapore rivoluzionario era immediatamente neutralizzata dalla sua antropologia forlaniana.

In effetti la sua bonomia democristiana, la mitezza, l’eleganza, la gentilezza dei modi sono parsi molto rassicuranti e lo hanno fatto crescere sempre più negli indici di popolarità.

Quello che doveva essere l’Avvocato del popolo è diventato lo Zio degli italiani. Zio Peppino, l’affabile zio avvocato che fa sempre comodo in famiglia.

Tuttavia, pian piano, si è creato uno spazio politico rilevantissimo perché il momento storico vede la contrapposizione fra il governo e le élite (l’establishment).

Così la mediazione da metodo è diventata Conte-nuto ed è emersa la cifra democristiana del premier. O meglio (ribadisco): forlaniana. Il coniglio uscito dal cilindro è diventato un coniglio mannaro.

Fu appunto Arnaldo Forlani, valente leader dc, a vedersi affibbiata per primo, da Gianfranco Piazzesi, questa definizione bacchelliana – tratta dal “Mulino del Po” – che allude all’astuzia politica e alle capacità che possono celarsi dentro un carattere mite.


LA SVOLTA

La trasformazione di Conte, da Peppiniello nostro a statista forlaniano, si è appalesata nella drammatica trattativa con la Commissione europea sul DEF che ha condotto in prima persona e che al tempo stesso gli ha permesso di conseguire un successo storico(dal momento che tutti prospettavano uno scontro dirompente fra Roma e Bruxelles) e di accreditarsi – presso la nomenklatura della Ue– come l’unico vero interlocutore del governo italiano.

L’operazione gli ha permesso anche di guadagnarsi definitivamente la fiducia del presidente Mattarella.

Conte – che si è costruita una sua tela di rapporti personali a livello internazionale, in particolare con Trump e la Merkel– si è fatto ricevere in udienza privata pure da Papa Francesco, il 15 dicembre, probabilmente esibendo non solo la sua fede cattolica (cosa che a Bergoglio interessa molto relativamente), ma soprattutto la sua provenienza giovanile da quella Villa Nazarethche è stata il punto d’incontro della potente corrente cattoprogressista vaticana e anche di “cattolici democratici” come Prodi, Scalfaro, Scoppola, Leopoldo Elia e lo stesso Mattarella (da lì viene anche l’attuale Segretario di Stato vaticano, Parolin).


L’ANTI SALVINI

Cosa si siano detti Conte e Bergoglio in quel colloquio non è dato sapere. Fatto sta che a pochi giorni di distanza, il presidente del Consiglio – sul caso dei 49 migranti, che tanto interessava al papa – ha preso la clamorosa posizione che sappiamo, pubblicamente  contrapposta a Matteo Salvinise non li faremo sbarcare li vado a prendere io con l’aereo

Poi si è addirittura intestato la “soluzione” di questo caso (la ripartizione dei migranti), ancora una volta in accordo con la UE.

D’improvviso si è materializzato un Conte imprevisto, un vero “anti Salvini, capace di batterlo sul terreno dove il vicepremier da sempre trionfa (quello dell’emigrazione).
Era inevitabile che in questa veste Conte raccogliesse simpatie a Sinistra.

Di sicuro ha catalizzato l’interesse degli ambienti catto-vaticani in cerca di rappresentanza nella crociata migrazionista anti-Salvini.

A questo punto d’improvviso tutti si sono accorti che Conte da comparsa era diventato un protagonista. Con quali prospettive? Il suo passato sembrava incolore. Ma lo era davvero?


PRODIANO/RENZIANO

L’antica collaborazione col suo famoso maestro Guido Alpa non lo caratterizzava politicamente. Gli erano state attribuite, per il passato prossimo, vaghe simpatie renziane e un’amicizia con la Boschi, ma anche questo non sembrava una cosa significativa.

Poi lui stesso ha rivelato di aver votato per l’Ulivo di Prodi e Pd fino al 2013”
Renzi ha sarcasticamente fatto sapere: “Conte me lo ricordo, quando ci mandava i messaggini tutto contento e entusiasta delle riforme che facevamo, della Buona Scuola, del referendum…”.

In sostanza, quel Conte che sembrava senza identità, si rivela invece il classico moderato, catto-progressista, di area PD, che probabilmente non era proprio del tutto sconosciuto – anche al Quirinale – quando Mattarella gli ha dato l’incarico di formare il nuovo governo.

Certo, il fatto che per la guida del loro primo governo i rivoluzionari” grillini abbiano scelto un democristiano, di area Pd, strappa più di un sorriso. Ma la cosa non va letta con ironia. E’ un fatto emblematico che spiega molte cose.

Renzi, dopo aver ricordato quei precedenti di Conte, lo ha polemicamente pizzicato aggiungendo: “A suo tempo, nel 2015, aveva tutta un’altra posizione sullo sforzo riformatore del Governo Renzi. È legittimo cambiare idea, specie se ti offrono incarichi importanti. Io penso che le idee valgano più delle poltrone”.

Ma siamo proprio sicuri che il Conte prodian-renziano abbia avuto un’improvvisa folgorazione grillina sulla via (non di Damasco, ma) di Palazzo Chigi?

E se – diversamente da quanto pensa Renzi – Conte in realtà rappresentasse proprio una soluzione “istituzionaleper disinnescare e, alla fine, normalizzazione” il M5S
Fabio Martini, sulla “Stampa, ha scritto che Mattarella “probabilmente avrebbe gradito che il Pd entrasse a far parte di una maggioranza incardinata sui Cinque Stelle con Conte premier”.

A quel tempo fu proprio Renzi a mettersi di traverso. Ma se con i nuovi assetti del Pd, ridimensionato Renzi, per una crisi dell’attuale governo si ripresentasse questo scenario, non sarebbe proprio Conte il più adatto ad assumere la guida di un nuovo esecutivo M5S-PD, benedetto da Mattarella, da Bergoglio e dalla UE?

Non è detto che ciò accada. Ma le prospettive politiche che si aprono davanti a Conte sono anche altre. E lo potrebbero “consacrare” definitivamente come il vero anti-Salvini.

Come il Prodi del XXI secolo. I conti in Italia non tornano mai, ma Conte sì, tornerà.


Antonio Socci
Da “Libero”, 13 gennaio 2019

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https://sadefenza.blogspot.com/2019/01/dove-arrivera-zio-peppuccio-il-renziano.html



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