domenica 24 luglio 2022

IL SUICIDIO POLITICO DEL GOVERNO DRAGHI



Il caos in cui Governo e Parlamento si sono ritrovati nelle ultime ore obiettivamente deriva dagli errori di Mario Draghi che è andato incontro a una disfatta: si può essere abili banchieri, ma non si è automaticamente degli statisti. Le sue sgrammaticature politiche sono state palesi e clamorose.

Anzitutto le dimissioni di giovedì scorso. Il Parlamento gli aveva dato la fiducia (ampia), ma il premier è andato a dimettersi per “il venir meno della maggioranza di unità nazionale”. Cosa era accaduto? Il M5S non aveva partecipato al voto sulla fiducia. La maggioranza c’era lo stesso, ma Draghi ha affermato che lui non intendeva guidare il governo se non c’era, a sostenerlo, la stessa coalizione con cui è nato.

Le sue dimissioni – dopo la fiducia del Parlamento – sono state per molti (anche all’estero) un gesto incomprensibile, oltretutto in un momento che tutti dicono delicato e drammatico per il Paese e per il mondo.

Che poi il premier abbia accettato di presentarsi alle Camere ha fatto pensare a una possibile marcia indietro, secondo il solito costume italico. In ogni caso ha dimostrato che le dimissioni erano state una decisione avventata.

Questi due fatti – il mancato voto da parte del M5S e le dimissioni di Draghi – sono all’origine di tutto ed è bene sottolinearlo perché da parte del Pd – e del partito mediatico – c’è stato e ci sarà il tentativo di attribuire la crisi al Centrodestra, per cercare di salvare il “campo largo” con il M5S. Ma questa è propaganda.

Riprendiamo la narrazione degli eventi. Una volta rinviato alle Camere da Mattarella, Draghi ha sostanzialmente perso i cinque giorni che, per il Capo dello Stato, dovevano servire a chiarire la situazione. Anche la richiesta, avanzata da Lega e Forza Italia, di una verifica nella coalizione di governo puntava al chiarimento, ma non è stata nemmeno considerata dal premier. Il quale in questi giorni non ha tentato nessuna iniziativa, mentre qualcuno attivava il penoso circo delle petizioni e delle manifestazioni dei quattro gatti in piazza, presentati come folle oceaniche.

Persi i giorni utili, Draghi ieri si è presentato al Senato con un discorso disastroso e paradossale. Infatti era in Parlamento perché il M5S non aveva votato la fiducia, ma nel suo discorso ha preso a sportellate il Centrodestra di governo. Soprattutto la Lega, ma anche Forza Italia (per esempio su catasto e giustizia).

Un discorso durissimo, quasi un diktat, l’opposto di quello che avrebbe dovuto fare per ricucire la sua maggioranza.

Aver bersagliato così pesantemente e ingiustamente il Centrodestra ha avuto l’effetto, nell’immediato, di alleggerire la posizione del M5S e facilitare la ripresa di un suo dialogo con il Pd. Che infatti ieri, ad un certo punto, si è riattivato con un incontro dei vertici.

Qualcuno ha ricordato che nelle scorse ore Draghi aveva incontrato Letta (un faccia a faccia che doveva restare riservato) e questo ha suscitato il sospetto che il premier stesse lavorando per essere “sfiduciato” dal Centrodestra in modo da far dimenticare le sue dimissioni e da alleggerire le responsabilità del M5S, propiziando la sua futura alleanza elettorale con il Pd.

Tuttavia bisogna riconoscere che, in serata, la replica di Draghi, breve e stizzita, ha “bastonato” soprattutto il M5S. Forse perché il premier non conosce la grammatica politica e, invece di smussare e cercare elementi comuni di conciliazione, è andato all’attacco di tutti per ottenere la resa dai partiti.

Oppure voleva solo e ostinatamente andarsene. Potrebbe aver distribuito “ceffoni” a destra e a manca per non essere a Palazzo Chigi quando arriverà l’autunno caldissimo.

C’è anche chi ritiene che la replica sia stata sferzante con il M5S per ottenere indirettamente quello che la Lega e Forza Italia avevano chiesto, ovvero lo sganciamento definitivo del M5S e un nuovo governo.

Ma questo è inverosimile. Forse è vera la spiegazione più semplice: voleva la sottomissione di tutti per proseguire come un uomo solo al comando.

Peraltro la proposta di Lega e Forza Italia, di un nuovo governo senza più il M5S, guidato da Draghi, che il centrodestra ha rilanciato anche dopo il duro intervento del premier, era la cosa più razionale e realistica.

Perché era stato proprio Draghi, giovedì scorso, ad affermare che la decisione del Movimento 5 stelle ha rotto il “patto di fiducia” che era alla base del governo di unità nazionale. Tanto è vero che la stessa “Italia viva” di Renzi ha lanciato una petizione in cui aveva chiesto la stessa cosa (“un programma chiaro su pochi punti” con “un Governo di persone di sua stretta fiducia”).

Di fronte al centrodestra disponibile a far nascere un suo nuovo governo, Draghi ha risposto picche, lanciando l’ennesima sfida, perché ha fatto mettere ai voti la risoluzione presentata da un eletto nelle liste del Pd. Così voleva isolare il centrodestra ed è finito isolato lui con il Pd.

Ha finito per dare la sensazione di essersi schierato da una parte. Infatti ha bastonato tutti eccetto il Pd (che pure aveva preso varie iniziative destabilizzanti). In qualche modo, almeno fino alla replica, l’azione del premier ha di fatto favorito il riavvicinamento fra M5S e Pd.

Del resto il programma che ha esposto non è certo per cinque mesi. Va ben oltre. C’è forse un Draghi nel futuro? Il suo nome spunterà nella campagna elettorale della Sinistra?

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